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SIMBOLI POLITICI – 15 LUGLIO 2015

Modifiche al procedimento
elettorale preparatorio in tema
di simboli e sottoscrizioni:
spunti problematici
de iure condito et condendo

di Gabriele Maestri
Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate
Università degli Studi di Roma Tre
Modifiche al procedimento
elettorale preparatorio in tema
di simboli e sottoscrizioni:
spunti problematici
de iure condito et condendo *
di Gabriele Maestri
((Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate;
attualmente dottorando in Scienze politiche
presso l’Università degli Studi di Roma Tre

Sommario: 1. Premessa. 2. L’obbligo di depositare lo statuto unitamente al contrassegno.


Riflessioni generali. 3. (continua) Le implicazioni pratiche in materia di liste e simboli. 4. Le nuove
proposte di regolazione dei partiti: osservazioni de iure condendo. 5. Liste, sottoscrizioni e
contrassegni: stato (indecoroso) dell’arte e proposte per recuperare la dignità.

1. Premessa
Oltre che sull’iter parlamentare delle riforme costituzionali, tuttora in corso1, il dibattito politico
sull’assetto istituzionale futuro dell’Italia si è concentrato in modo significativo sulle modifiche
sostanziali alla legge elettorale che servirà a determinare la composizione della sola Camera dei
deputati. Se l’attenzione dei media e di gran parte della stessa dottrina è stata comprensibilmente
diretta soprattutto all’elemento caratterizzante del sistema elettorale, ossia la formula, alcune
modifiche di rilievo hanno interessato anche il procedimento preparatorio alle elezioni e, in
particolare, la fase di deposito dei contrassegni e delle sottoscrizioni a sostegno delle candidature.
Ora che il cammino parlamentare di questa riforma (cd. Italicum) è terminato, con l’approvazione

* Articolo sottoposto a referaggio.


1 Percorso che Federalismi.it ha seguito a fondo, attraverso l’Osservatorio parlamentare sulla riforma costituzionale.

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e promulgazione della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della
Camera dei deputati), è opportuno riflettere su tali passaggi, sia perché l’accordo sul contenuto
delle disposizioni sembra ormai stabilizzato, sia perché è bene offrire spunti per il dibattito sul
tema con largo anticipo rispetto ai nuovi appuntamenti elettorali, tentando dall’inizio una
prognosi sulla reale efficacia di determinati strumenti giuridici.
Pare poi necessario aggiungere una riflessione su vari problemi, legati alla raccolta delle firme, che
da tempo affliggono la pratica elettorale in Italia. Da un lato si è via via accentuata l’inequivocabile
condotta di molti partiti presenti in Parlamento, volta a sollevare il maggior numero possibile di
soggetti dall’onere di presentazione delle sottoscrizioni (o, per lo meno, a ridurre di molto lo sforzo
richiesto in quella fase del procedimento pre-elettorale); a ciò si deve aggiungere, negli ultimi anni, il
ripetersi frequente di episodi – oggetto di indagini e decisioni dei magistrati penali e amministrativi
– di irregolarità nella raccolta delle firme richieste dalle norme elettorali vigenti (per i diversi livelli
territoriali interessati). Ciò impone di valutare con attenzione il modo in cui il legislatore si rapporta
a questo istituto, immaginando un ripensamento radicale della sua configurazione, eventualmente
anche in rapporto alla materia degli emblemi elettorali.

2. L’obbligo di depositare lo statuto unitamente al contrassegno. Riflessioni generali


Il passaggio del disegno di legge «Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati»2 a
Palazzo Madama ha modificato a fondo il testo approvato in prima lettura dalla Camera il 12
marzo 20143. Era prevedibile che l’attenzione – dei politici e degli esperti di diritto costituzionale4

2 Per leggere il testo approvato al Senato – con testo originale a fronte – v. A.P. Camera dei Deputati,
XVII legislatura – disegni di legge e relazioni, nn. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-
998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B.
3 Il testo approvato a Montecitorio – frutto dell’unificazione di una proposta d’iniziativa popolare (A.C. 3)

e trenta disegni di legge d’iniziativa di deputati – si trova in A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura
– disegni di legge e relazioni, n. 1385.
4 Senza pretesa di esaustività, di recente (pure sulla tecnica legislativo-parlamentare adottata), v. R. DICKMANN,

A proposito dell’Italicum. Prime osservazioni sul nuovo sistema elettorale di cui alla legge n. 52 del 6 maggio 2015, in Forum
Quad. cost., 3 giugno 2015, disponibile su www.forumcostituzionale.it (ultima consultazione, per tutte le citazioni
dal sito, 10 giugno 2015); C. SBAILÒ, Oltre l’Italicum. Rafforzare esplicitamente l’esecutivo e lavorare sui contrappesi
(intramoenia ed extramoenia), in Confr. cost., 13 maggio 2015, disponibile su www.confronticostituzionali.eu (ultima
consultazione, per tutte le citazioni dal sito, 10 giugno 2015); V. TONDI DELLA MURA, Del Porcellum “camuffato”
e T.E. FROSINI, Rappresentanza + Governabilità = Italicum, in Confr. cost., 12 maggio 2015, disponibili su
www.confronticostituzionali.eu; M. AINIS, Le regole come atto di fede, in Corriere della Sera, 30 aprile 2015, 1 e 2; S.
CECCANTI, La riforma elettorale necessaria nelle calde giornate di Maggio. Guarire da memoria corta, sguardo provinciale e
ottimismi infondati, in Federalismi.it, 2015, 8, 22 aprile 2015; A. SAITTA, La forma di governo in Italia tra revisione
costituzionale e nuova legge elettorale, in Riv AIC, 2015, 2, 17 aprile 2015, disponibile su www.rivistaaic.it (ultima
consultazione, per tutte le citazioni dal sito, 10 giugno 2015); M. AINIS, Le travi che accecano l’Italicum, in Corriere
della Sera, 13 aprile 2015, 1 e 25; V. PALUMBO, La legge elettorale, tra rappresentanza e governabilità, in Confr. cost., 11

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– si concentrasse soprattutto sugli interventi che hanno toccato i punti nevralgici del nuovo sistema
elettorale5, lontano dal meccanismo di trasformazione di voti in seggi delineato dopo l’esame a
Montecitorio. Negli stessi giorni, però, si sono apportate modifiche di rilievo al procedimento
propedeutico alle elezioni politiche ed è opportuno analizzarne la natura e la portata.
Vista la natura dell’Osservatorio che ospita il contributo, va considerato l’art. 2, comma 7, lettera b)
della l. n. 52/20156, che modifica l’art. 14, comma 1 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Testo
unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, più avanti t.u. Camera).
Il testo previgente era: «I partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste di
candidati, debbono depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno col quale dichiarano
di voler distinguere le liste medesime nelle singole circoscrizioni. All’atto del deposito del
contrassegno deve essere indicata la denominazione del partito o del gruppo politico

marzo 2015, disponibile su www.confronticostituzionali.eu; V. ONIDA, Una legge elettorale che non rispetta la reale
maggioranza, in Corriere della Sera, 10 marzo 2015, 29; V. TONDI DELLA MURA, “Sei stato nominato”: se i sistemi
elettorali plagiano i reality televisivi, in Confr. cost., 3 febbraio 2015, disponibile su www.confronticostituzionali.eu;
P. CIARLO, Contro il voto di preferenza torniamo al Mattarellum, in Confr. cost., 3 febbraio 2015, disponibile su
www.confronticostituzionali.eu; G. PICCIRILLI, Tutto in un voto (premissivo)! La fissazione dei principi dell’Italicum
nel suo esame presso il Senato, in Forum Quad. cost., 30 gennaio 2015, disponibile su www.forumcostituzionale.it;
M. AINIS, I padroni del voto di tutti, in Corriere della Sera, 24 gennaio 2015, 1 e 27; A. GIGLIOTTI, Il voto di
preferenza e l’alternativa del diavolo, in Forum Quad. cost., 20 gennaio 2015, disponibile su
www.forumcostituzionale.it; S. STAIANO, Per un nuovo sistema elettorale: la legge della Corte, la legge del Parlamento, la
legge dei partiti, in Federalismi.it, 2015, 1, 14 gennaio 2015; A. GIGLIOTTI, Sui principi costituzionali in materia
elettorale, in Riv. AIC, 2014, 4, 21 novembre 2014.
5Il riferimento è alla trasformazione del premio di maggioranza (da beneficio per la coalizione più votata a

riconoscimento per la lista col maggior numero di suffragi, al primo turno o al ballottaggio);
all’impossibilità di formare coalizioni o stringere apparentamenti; alla riduzione al 3% dell’unica soglia di
sbarramento valida per ogni forza politica; alla fissazione del numero dei collegi; alla reintroduzione della
doppia preferenza di genere, accanto alla previsione di un capolista “bloccato” di collegio.
6 La disposizione, introdotta a Palazzo Madama, si inserisce in quello che – nel testo approvato dalla

Camera – era l’art. 1, comma 7; l’originaria lettera b) è stata trasfusa nella lettera c). Lo “slittamento”
dall’art. 1 all’art. 2 delle disposizioni è stato dato dall’approvazione dell’emendamento n. 01.103 – a prima
firma del senatore Stefano Esposito (Pd) – con si sono “preposti” al resto della legge i principi e i punti
fondamentali del nuovo testo di ispirazione governativa e si sono fatti venir meno molti emendamenti dei
vari gruppi; sul punto, v. ancora G. PICCIRILLI, Tutto in un voto (premissivo)!, cit. e, amplius, L. CIAURRO,
L’emendamento premissivo omnibus: un nuovo modo di legiferare?, in Osservatorio AIC, 2015, n. 1, 1° marzo 2015.
C’è chi ha voluto accostare gli effetti dell’approvazione dell’emendamento “premissivo” a quelli prodottisi
circa sei mesi prima sempre al Senato (durante l’esame della riforma costituzionale), frutto dell’espediente del
“canguro”, ma il paragone è poco appropriato: allora la “decadenza” degli emendamenti incompatibili –
soprattutto di matrice ostruzionistica – si era prodotta in virtù dell’esercizio dei poteri di razionalizzazione
delle votazioni sugli emendamenti stessi, esercitati dalla Presidenza della Camera o del Senato (e non per la
natura “premissiva” di un emendamento approvato, come nel caso della riforma elettorale). V. F. FABRIZZI,
G. PICCIRILLI, Lavori parlamentari 24-30 luglio. Salta l’accordo sul rinvio del voto finale a settembre, si procede alle
votazioni con il “canguro”, in Federalismi.it (Osservatorio parlamentare sulla riforma costituzionale), 2014, 15, 30 luglio
2014; per una trattazione più approfondita (pur se datata e centrata sulla Camera), v. C. RIZZUTO, Strumenti
procedurali per la razionalizzazione delle deliberazioni della Camera dei Deputati sugli emendamenti, in AA.VV., Il
Parlamento della Repubblica: organi, procedure, apparati, a cura della Camera dei Deputati, 2001, XI/2, 659-721.

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organizzato». Quello nuovo, oltre a precisare che le liste ex art. 14 si presentano «nei collegi
plurinominali» 7 , chiarisce che partiti e gruppi che vogliano partecipare alle elezioni «debbono
depositare presso il Ministero dell’interno il proprio statuto di cui all’articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre
2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, e del contrassegno […]».
L’aggiunta in corsivo è frutto dall’approvazione dell’emendamento 1.12165, presentato dal
senatore Ugo Sposetti8, non nuovo a proposte normative sui partiti: lui – tuttora tesoriere e legale
rappresentante dei Democratici di sinistra, ancora esistenti come associazione non riconosciuta,
pur avendo da tempo concluso la loro attività politica – era tra l’altro primo firmatario di uno dei
progetti di legge più dettagliati della XVI legislatura in tema di regolazione dei partiti politici9.
Prima di analizzare la portata della modifica dell’art. 14 t.u. Camera, va segnalato che il governo
aveva espresso parere contrario all’emendamento e Sposetti, in data 22 gennaio, l’aveva ritirato
per evitarne la bocciatura; la stessa proposta emendativa, tuttavia, è stata fatta propria dal collega
Luciano Uras (gruppo misto - Sel) e da altri senatori e, posta in votazione nella stessa giornata,
risultata approvata con 257 voti favorevoli, 8 contrari e 2 astenuti (a fronte di 270 presenti)10,
dopo peraltro che il governo aveva mutato indirizzo, rimettendosi alla valutazione dell’aula11.

7 A norma dell’art. 2, comma 7, lettere a) (approvata nel primo passaggio alla Camera) e c) (aggiunta al Senato).
8 Un intervento simile, peraltro, era stato previsto già da A.P. Camera dei Deputati, XVII legislatura –
disegni di legge e relazioni, n. 356, a firma della deputata Pd Donata Lenzi.
9 A.P. Camera dei Deputati, XVI legislatura – disegni di legge e relazioni, n. 3809. La proposta – la sola della

legislatura a prevedere la partecipazione telematica alle primarie, la più attenta a regolare le fondazioni –
aveva tra i firmatari pure deputati di centrodestra (Luca Barbareschi, Vincenzo D’Anna e Raffaello Vignali.
10 Il risultato diverge da quanto lasciavano intendere le dichiarazioni di voto. Si erano espressi contro (v.

A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta, 22
gennaio 2015) il MoVimento 5 Stelle, con Vito Crimi, e Forza Italia, con Donato Bruno; Luigi Zanda,
presidente del gruppo Pd, pur riconoscendo il «carattere positivo» di una norma che attui l’art. 49 Cost., si
è interrogato sull’opportunità di inserire quella modifica nella (delicata) legge elettorale in esame e con
quella formulazione, stante la non omogeneità delle idee dei parlamentari; tutti i senatori citati hanno però
votato a favore dell’emendamento. A conferma della “anomalia” creatasi in aula, durante la trentina di
secondi in cui è rimasta aperta la votazione elettronica sull’emendamento, sul quadro sinottico (il tabellone
raffigurante l’emiciclo del Senato) almeno 40 punti luminosi hanno cambiato colore da rosso (o, più
raramente, bianco) a verde: altrettanti senatori – collocati in gran parte nei banchi di destra, in cui siedono
tra l’altro gli eletti di Forza Italia – avevano inizialmente votato contro o si erano astenuti, salvo cambiare
idea “in corsa” (cosa che il sistema consente di fare), votando a favore dell’emendamento, forse dopo aver
verificato il diverso orientamento dell’aula. Per il funzionamento del sistema di voto con procedimento
elettronico, v. la Descrizione del dispositivo elettronico di votazione e le Istruzioni per l’uso del dispositivo elettronico di
votazione, in appendice al Regolamento del Senato (scaricabile in pdf su www.senato.it), nonché F. GUELFI,
Dispositivo elettronico di votazione (voce del Dizionario parlamentare), in Rass. parl., 2009, 2, 651-658.
11 Si veda (in A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della

382° seduta, 22 gennaio 2015, 111-112) l’intervento della ministra Maria Elena Boschi, che ha spiegato
come il governo abbia ritenuto estraneo il tema degli statuti dei partiti rispetto a quello della legge
elettorale, riguardando il primo anche «le regole di democrazia e di organizzazione dei partiti e quindi, in
ultima analisi, di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione». Alla fine il parere negativo, pur «volto a

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A un esame prima facie, il nuovo art. 14 chiede ai «partiti» e ai «gruppi politici organizzati» che
aspirino a concorrere alle elezioni, nella stessa fase – tra il 44° e il 42° giorno precedente a quello
del voto – in cui si effettua il deposito del contrassegno e degli altri documenti richiesti dal t.u.
Camera12, pure il deposito del proprio statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico e nel rispetto
di quanto disposto dal d.l. n. 149/2013 (convertito e modificato dalla l. n. 13/2014; più avanti lo
si indicherà come d.l. sui partiti), specie dall’art. 3, che ne prescrive il contenuto necessario13.
A questo proposito, il primo – e più importante – problema che si pone riguarda l’individuazione
dei soggetti cui effettivamente si applica la norma modificata, prestando massima attenzione al
punto perché è in gioco la partecipazione dei cittadini in forma associata al momento elettorale,
dunque a una delle forme di esercizio della sovranità popolare ex art. 1 Cost. Riflettere sull’esatta
ampiezza “soggettiva” della regola sugli statuti è necessario, poiché i testi delle disposizioni da
considerare delimitano ambiti di applicazione diversi e l’interpretazione non appare immediata.
Il rinvio all’art. 3 del d.l. n. 149/2013 richiede che ci si interroghi sui soggetti cui la disposizione
(e l’intero atto) si applica. L’art. 18, comma 1 precisa che, ai fini del decreto, «si intendono per
partiti politici i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati
sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo di uno degli organi indicati dall’articolo 10,
comma 1, lettera a), nonché i partiti e movimenti politici di cui al comma 2 del medesimo articolo
10»: sciogliendo i rinvii, sono «partiti politici» ai sensi del d.l. n. 149/2013 le formazioni che abbiano
presentato candidature alle elezioni politiche, europee o regionali e quelle che abbiano partecipato
alle elezioni politiche o europee con liste comuni e simbolo depositato congiuntamente 14 ,
eleggendo almeno un candidato, e infine – prescindendo dal requisito della partecipazione alle

tutelare […] anche una certa democraticità nella possibilità di accedere alla competizione elettorale e,
quindi, a lasciare maggiori margini di ampiezza», è stato rimosso sulla base del dibattito che aveva
coinvolto i gruppi, «visto che […] questo tema sicuramente attiene alla vita dei Gruppi e dei partiti»; ciò,
nonostante la ministra non abbia ritenuto l’intervento risolutivo sul piano simbolico (non senza ragioni,
come si vedrà). Allo stenografico della seduta si rinvierà spesso, per chiarire la portata della nuova norma.
12 Ossia le designazioni, per ogni circoscrizione, dei delegati alla presentazione delle liste (con relativa

documentazione) presso gli uffici elettorali circoscrizionali (art. 17) e, dopo l’entrata in vigore alla fine del
2005 dell’art. 14-bis, anche il programma elettorale e l’indicazione del capo della forza politica (e non più
della coalizione, non prevedendo la nuova legge elettorale la possibilità di effettuare collegamenti).
13 Su tale intervento, relativo soprattutto alla contribuzione volontaria e indiretta a favore dei partiti (ma

che introduce le prime regole sulla democraticità interna dei partiti), v. R. DICKMANN, La contribuzione su
base volontaria ai partiti politici prevista dal decreto legge n. 149 del 2013. Molte novità e alcuni dubbi di costituzionalità,
in Federalismi.it, 2014, 5 e, se si vuole, G. MAESTRI, Simboli dei partiti, controllo degli statuti e registrazione: gli
effetti delle nuove norme sul finanziamento, in Federalismi.it, 2015, 5 (Osservatorio sui simboli politici).
14 Ci si riferisce in primis al contrassegno composito (che contenga due o più simboli); è da valutare come

applicare la norma a emblemi depositati congiuntamente, ma senza grafiche che rimandino ai singoli partiti.

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elezioni, includendo la fattispecie pure i soggetti nati in corso di legislatura – i partiti cui dichiari
di fare riferimento un gruppo parlamentare o una singola componente del Gruppo misto15.
Si tratta di un novero piuttosto ampio di soggetti politici (e giuridici); l’art. 3, comma 1 del
decreto-legge in esame, tuttavia, precisa che a essere «tenuti a dotarsi di uno statuto, redatto nella
forma dell’atto pubblico» sono «[i] partiti politici che intendono avvalersi dei benefici previsti» dal
decreto stesso. È dunque corretto ritenere che, considerando solo il d.l. n. 149/2013, i partiti – a
qualunque categoria indicata dall’art. 18 appartengano – non interessati a beneficiare delle
provvidenze normate dal decreto non abbiano l’onere di dotarsi dello statuto nelle forme previste.
Se si considera tutto ciò nel quadro del nuovo art. 14, comma 1 della legge elettorale e dell’art. 3
del d.l. n. 149/2013, le cose sembrano complicarsi. Il rinvio espresso all’intero art. 3, infatti, non
pare riferito solo alle prescrizioni relative allo statuto, ma sembra coinvolgere anche il riferimento
alla scelta di avvalersi dei benefici previsti dal decreto, contenuto proprio in quella disposizione.
La questione non è di poco conto: il combinato disposto obbligherà tutti i soggetti che vogliano
partecipare alle elezioni a dotarsi di uno statuto conforme al d.l. n. 49/2013 per poterlo
depositare al Viminale, oppure l’obbligo di deposito varrà solo per i partiti politici che abbiano
quello statuto a norma delle disposizioni già esaminate? In particolare, un partito che – non
essendo interessato alle provvidenze pubbliche – non abbia conformato il proprio statuto alle
prescrizioni dell’art. 3 del decreto potrà comunque concorrere alle elezioni o la nuova formulazione
dell’art. 14 t.u. Camera gli impedirà di presentarsi (fino a quando sceglierà di adeguarsi)?
Il dubbio su questo punto è legittimo e plausibile: è stato condiviso dal Governo16 ed è emerso
con chiarezza dall’intervento in aula del senatore Vito Crimi (M5S), quando ha notato che «[è]
chiaro che questo statuto può essere presentato solo ove previsto che una formazione politica lo
abbia […] questo emendamento […] prevede l’obbligo di presentazione di uno strumento che è
obbligatorio solo per quelle forze politiche che vogliono accedere» ai finanziamenti pubblici17.
Nella stessa seduta del 22 gennaio 2015, però, a propendere per un’applicazione tout court
dell’obbligo, anche ai partiti non interessati a fruire delle provvidenze, era stato il senatore
Gaetano Quagliariello (Area popolare – Ncd), sottolineando la doppia natura dei partiti politici

15 La stessa disposizione, però, richiede che i partiti in parola, tanto nel caso del gruppo/componente
parlamentare quanto in quello delle liste comuni, siano già iscritti nel Registro nazionale dei partiti politici
riconosciuti ai sensi del d.l. n. 149/2013 e istituito dall’art. 4 della stessa fonte.
16 V. quanto già detto alla nota 11.
17 V. A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382°

seduta, 22 gennaio 2015, 100-101; lo stesso Crimi aveva avanzato il sospetto che l’emendamento Sposetti
potesse essere «un emendamento trappola, magari per qualche Movimento che si sostiene non abbia
statuto o altro», senza però voler attribuire al collega Sposetti quello specifico intento.

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(libere associazioni nella vita politico-giuridica quotidiana, soggetti investiti di funzioni pubbliche
in talune circostanze): a suo dire, «laddove si richiede la presentazione dello statuto per poter
accedere al due per mille [dell’Irpef], per la stessa ragione, nel momento delle elezioni, bisognerebbe
dare le stesse garanzie», non in chiave “liberticida”, ma di attuazione dell’art. 49 Cost.18
L’art. 14, comma 1 del t.u. Camera dall’inizio distingueva tra «partiti» e «gruppi politici
organizzati»: si sarebbe tentati di riferire il primo termine ai «partiti politici» regolati dal d.l. n.
149/2013, mentre i «gruppi politici» si configurerebbero come categoria a parte in cui far
rientrare gli altri soggetti collettivi, ma ciò non sarebbe risolutivo per determinare l’ambito
applicativo della “norma statuti”. Aver mantenuto l’elencazione espressa delle due categorie
(accanto al rinvio all’art. 3 del d.l. sui partiti), infatti, potrebbe implicare sia l’estensione dell’onere
di depositare lo statuto nella forma dell’atto pubblico (e, a monte, di dotarsi di quel documento)
anche ai soggetti non qualificabili come «partiti» che vogliano partecipare alle elezioni, sia –
all’opposto – la limitazione dell’adempimento ai soli «partiti politici» obbligati dalla legge che li
regola ad avere quel tipo di statuto19: impiegando (e forse esasperando) il criterio interpretativo
letterale, potrebbe deporre nell’ultimo senso l’uso della congiunzione «o» tra partiti e gruppi politici.
La formula «i partiti o i gruppi politici organizzati» impiegata dall’art. 14, comma 1 del d.P.R. n.
361/1957, però, è molto simile a «i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati», espressione
usata dall’art. 18 del d.l. n. 149/2013 nel definire i partiti. Uno sguardo sistematico induce a una
lettura estensiva, che richieda a ogni formazione che intenda partecipare alle elezioni – al di là della
natura “più o meno partitica”20 – di conformarsi al decreto-legge citato. Anche questo argomento,
peraltro, non scioglie il dubbio sull’applicabilità dell’onere sullo statuto anche ai soggetti non
interessati alle provvidenze previste dal decreto: estendere l’art. 3 della stessa fonte anche ai «gruppi
politici» non qualificabili come «partiti» potrebbe estendere anche la limitazione in esso contenuta21.

18 A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta,

22 gennaio 2015, 104.


19 All’evidenza, un simbolo per concorrere e distinguersi è necessario per tutti; si potrebbe invece anche

prescindere dall’esistenza di uno statuto con determinati crismi, come del resto è tuttora possibile fare.
20 V. però P. RIDOLA, Partiti politici (voce), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, par. 6, quando distingue

nettamente, ex art. 49 Cost., «partiti» e «gruppi politici organizzati» (o «gruppi elettorali»): questi ultimi
sono «qualificati dal fatto che la loro azione e la loro funzione organizzativa si esaurisce puntualmente
nell’àmbito del procedimento elettorale; in quanto tali, essi differiscono dai partiti, e, quand’anche il
gruppo elettorale sia espressione di blocchi o di alleanze fra partiti stabilmente organizzati nel Paese,
costituisce una figura soggettiva distinta dai partiti medesimi». La riflessione tornerà buona parlando del
ruolo delle liste nella nuova legge elettorale.
21 Cosa che probabilmente si sarebbe potuta evitare se, ad esempio, si fosse utilizzata una formulazione

come: «I partiti o i gruppi politici organizzati […] debbono depositare presso il Ministero dell’interno il

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A questo punto, tuttavia, è opportuno interrogarsi sulla natura delle elezioni e dei soggetti che vi
partecipano (dal lato passivo). Si parla della legge che regola il funzionamento delle elezioni
politiche, che più di tutte devono essere «democratiche» affinché l’intero ordinamento possa dirsi
tale, così come qualificato dall’art. 1 Cost.22 e come emerge da altre disposizioni costituzionali.
Questa considerazione non può non andare alla pari con il messaggio dell’art. 49: la vocazione dei
partiti è «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Non è questa la
sede per richiamare il copioso dibattito sulla distinzione tra “democrazia tra partiti” e “democrazia
nei partiti”, con la duratura inattuazione della seconda lettura del dettato costituzionale23. Certo è
che, per la dottrina più attenta, già da tempo «[n]on sembra […] che, al fine di considerare partito

proprio statuto con le forme e i contenuti di cui all’articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149,
convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13 […]».
22 Irrinunciabile qui è il riferimento a G. FERRARI, Elezioni (teoria generale) (voce), in Enc. dir., XIV, Milano,

1965, spec. par. 3: «poiché un ordinamento può dirsi democratico nella sua totalità, in quanto lo sia anche
– se non prima – nelle sue parti e nei congegni che a queste danno funzionalità, dalla generale
democraticità della Repubblica si deduce la speciale democraticità delle elezioni, le quali sono appunto uno
dei congegni, che conferiscono funzionalità alle strutture». Sul concetto di «repubblica democratica»,
d’obbligo rileggere almeno C. MORTATI, Art. 1, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione.
Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1975, 5-6. V. anche E. BETTINELLI, Elezioni politiche (voce), in Dig. disc.
pubbl., 1990, spec. parr. 1 e 2 (contributo in cui peraltro si sottolinea l’importanza nient’affatto secondaria
degli interessi politici di dimensione locale e delle elezioni di rango “inferiore” rispetto a quelle politiche).
23 Senza la minima pretesa di esaustività, v. C. MORTATI, Concetto e funzione dei partiti politici, in Quaderni di

ricerca, 1949, 1; P. BISCARETTI DI RUFFÌA, I partiti nell’ordinamento costituzionale, in Il Politico, 1950, 11 ss.; C.
MORTATI, Disciplina dei partiti politici nella Costituzione italiana, in Cronache sociali, 1950, 2, 25-27, ora in ID.,
Raccolta di scritti, III, Milano, 1972, 39 ss.; C. ESPOSITO, I partiti nella Costituzione italiana, in La Costituzione
italiana. Saggi, Padova, 1954, 215 ss.; C. MORTATI, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell’ordinamento
italiano, in Scritti giuridici in memoria di V.E. Orlando, II, Padova, 1956, 111 ss.; V. CRISAFULLI, La Costituzione
della Repubblica italiana e il controllo democratico dei partiti, in Studi politici, 1960, 265 ss.; A. PREDIERI, Democrazia
nei partiti nella determinazione della politica nazionale, ivi, 288 ss.; L. ELIA, L’attuazione della Costituzione in materia
di rapporti fra partiti e istituzioni, in AA.VV., Il ruolo dei partiti nella democrazia italiana, Cadenabbia, 1965, 67 ss.;
V. CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione italiana, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, II,
Firenze, 1969, p. 113 ss.; E. BETTINELLI, La formazione dell’ordinamento elettorale nel periodo precostituente.
All’origine della democrazia dei partiti (1944-1946), in E. CHELI (a cura di), La fondazione della Repubblica,
Bologna, 1979; P. RIDOLA, Partiti politici (voce), cit., spec. par. 8; C. PINELLI, Disciplina e controlli sulla
“democrazia interna dei partiti”, Padova, 1984; F. LANCHESTER, Il problema del partito politico: regolare gli sregolati,
in Quad. cost., 1988, 3, 437 ss.; C. ROSSANO, Partiti politici (voce), in Enc. giur., XXII, Roma, 1990; A.
BARBERA, Una democrazia con i partiti, in Dem. dir., 1992, 4; G. PASQUINO, Art. 49, in G. BRANCA, A.
PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1992, 2-48, spec. 20 ss.; BARTOLE
S., Partiti politici (voce), in Digesto disc. pubbl., X, Torino, 1995, 705 ss.; LIPPOLIS V., I partiti politici
nell’esperienza repubblicana, in Rass. parl., 2003, 4; M. CERMEL, La democrazia nei partiti, I-II, Milano, 1998-
2003; G. RIZZONI, Art. 49, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla
Costituzione, Torino, 2006, spec. par. 2.7.2.; S. BARTOLE, Partiti politici (voce), in Digesto disc. pubbl., Agg.,
Torino, 2000, 398 ss.; G. CERRINA FERONI, Partiti politici: una regolazione giuridica?, in Rass. parl., 2007, 2;
G.E. VIGEVANI, Art. 49, in R. BIN, S. BARTOLE (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova,
2008; AIC, Annuario 2008. Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Napoli,
2009; S. MERLINI (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Firenze, 2009. Da ultimo, G.
AMATO, Nota su una legge sui partiti in attuazione dell’art. 49 della Costituzione, in Rass. parl., 2012, 4 e F.
CLEMENTI, Prime considerazioni intorno ad una legge di disciplina dei partiti politici, in Federalismi.it, 2015, 6.

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un’associazione politica, si possa prescindere dall’elemento della partecipazione alle competizioni
elettorali»24: se così è, a un partito chiamato a concorrere a determinare la politica nazionale «con
metodo democratico» (e che, per farlo, partecipi a «elezioni democratiche»), sembra pressoché
doveroso richiedere il rispetto di standard di democrazia tanto esterna, quanto interna. Ciò è tanto
più vero se si considera l’importanza che una parte significativa degli studiosi dà al rafforzamento
dei partiti nell’ottica di un miglioramento della “qualità” della democrazia, che tenga lontani
eccessi leaderistici e derive plebiscitarie proprio grazie a una disciplina giuridica dei partiti stessi,
per garantire tra l’altro un corretto funzionamento della rappresentanza politica25.
Se si prende per buono tutto questo, diventa quasi naturale immaginare che tutti i partiti – come
pure i «gruppi politici organizzati» – che vogliano partecipare alle elezioni, proprio per la funzione
costituzionale che rivestono 26 , si mettano almeno “minimamente in regola”, dotandosi dello
statuto con le forme e i contenuti previsti dall’art. 3 del d.l. n. 149/2013, a prescindere dal loro
interesse per le forme di contribuzione previste: la norma ex Sposetti, dunque, di fatto
estenderebbe la fattispecie prevista dal citato art. 3, sia pure con esclusivo riferimento al
momento elettorale27. Di certo, per le formazioni meno assimilabili ai partiti, questo potrebbe
comportare un aggravio procedurale (non essendo frequente che i loro statuti rivestano la forma
dell’atto pubblico e abbiano al loro interno le previsioni “tipiche” dei soggetti partitici)28 , ma
bisogna ammettere che, nel caso, la disposizione sarebbe animata da un favor democratiae, che
dovrebbe produrre effetti positivi per l’intero cimento elettorale e, di conseguenza, per le
Assemblee che si formeranno dopo l’introduzione della “norma statuti”.

24 P. RIDOLA, Partiti politici (voce), cit., par. 6.


25 Così, da ultimo, soprattutto S. BONFIGLIO, I partiti e la democrazia. Per una rilettura dell’art. 49 della
Costituzione, Bologna, 2013, 84 ss. Sulla stessa linea, in precedenza, E. CHELI, Nata per unire. La Costituzione
italiana tra storia e politica, Bologna, 2012, 179 ss.; G. AMATO, F. CLEMENTI, Forme di Stato e forme di governo,
Bologna, 2012, 101; M. RUBECHI, Meno partiti, tutti democratici, in A. BARBERA, G. GUZZETTA (a cura di), Il
Governo dei cittadini. Referendum elettorali e riforma della politica, Soveria Mannelli, 2007, 691 ss.; A. BARBERA,
La regolamentazione dei partiti: un tema da riprendere, in Quad. cost., 2006, 2, 323-325.
26 Di recente, v. P. MARSOCCI, Sulla funzione costituzionale dei partiti e delle altre formazioni politiche, Napoli, 2012.
27 L’interpretazione corretta perciò discenderebbe dall’applicazione all’antinomia – dovuta alla successione

di leggi nel tempo – tanto del criterio cronologico-temporale (la “norma statuti” è più recente), quanto di
quello di specialità (essendo relativa alla sola materia elettorale politica e non alla generica «osservanza del
metodo democratico» da parte dei partiti, ex art. 2 del d.l. n. 149/2013, e neanche al più ampio ambito
elettorale tracciato dall’art. 18 della stessa fonte, la modifica introdotta dall’emendamento ex Sposetti si
configura come lex specialis, che può ben prevedere requisiti aggravati per quella precisa circostanza).
28 In questo senso si può probabilmente interpretare la scelta del Governo, che inizialmente aveva dato

parere negativo sull’emendamento pure per «tutelare, da un certo punto di vista, anche una certa
democraticità nella possibilità di accedere alla competizione elettorale», come spiegato in aula dalla
ministra Boschi (sul punto, v. la nota 11).

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3. (continua) Le implicazioni pratiche in materia di liste e simboli
Dopo queste riflessioni di principio, vanno considerati alcuni risvolti “pratici” dell’emendamento
approvato il 22 gennaio a Palazzo Madama: pur essendo legati alla questione della “democrazia
interna” dei partiti, toccano pure (come si vedrà) il tema dei contrassegni elettorali.
In primis occorre chiedersi a quali elezioni si applicherà la nuova norma sul deposito degli statuti.
La legge n. 18/1979, che disciplina l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia, all’art. 11 rinvia all’art. 14 del t.u. Carmera; il rinvio, tuttavia, riguarda esplicitamente le
modalità di deposito (e di esame) dei contrassegni di lista e la contestuale presentazione dei
rappresentanti e dei delegati per il deposito delle liste è regolata a parte dai commi 4 e 5. Rebus sic
stantibus e considerata l’attenzione nel delimitare la reale ampiezza dei rinvii, non potrebbe dirsi
automatica l’applicazione della “norma statuti” anche alle elezioni europee, pur essendo identica
la finalità con cui essa potrebbe operare in quelle consultazioni: un minimo intervento normativo
– che magari trasformasse la formula dell’art. 11, l. n. 18/1979 da «Il deposito del contrassegno
di lista […]» in «Il deposito dello statuto e del contrassegno di lista […]» – basterebbe a estendere di
certo il nuovo regime anche alle elezioni europee. Nessun dubbio, invece, sull’inapplicabilità
immediata della norma alle elezioni regionali29: per obbligare le liste che intendano presentare
candidature a depositare pure lo statuto (con le forme e i contenuti richiesti) occorrerà
un’espressa modifica alla disciplina statale cedevole e alle leggi elettorali di ogni Regione.
In secundis, il fatto che il nuovo testo dell’art. 14, comma 1 del d.lgs. 361/1957 rinvii al solo art. 3
del d.l. sui partiti rende necessario interrogarsi sulla reale ampiezza dell’adempimento di cui una
formazione che intenda partecipare alle elezioni deve farsi carico. In quell’articolo si parla della
forma e del contenuto dello statuto, ma il successivo art. 4 regola l’iscrizione nel «Registro
nazionale dei partiti politici riconosciuti» ai sensi del decreto in questione, subordinata al vaglio
dello statuto da parte di un’apposita Commissione, che verifica la presenza degli elementi ex art. 3
nel documento: ci si deve chiedere se la formazione che voglia concorrere alle elezioni debba solo
depositare al Viminale lo statuto (anche senza aver ancora ottenuto l’iscrizione-riconoscimento da
parte dell’organo di controllo), o se invece l’iter di verifica debba essere completato prima del
deposito, essendo altrimenti impossibile presentare validamente contrassegni e liste.
La conclusione positiva della verifica dello statuto darebbe più garanzie sulla democraticità
interna dei partecipanti alle elezioni; sembra però poco opportuno, allo stato attuale, limitare la
partecipazione elettorale ai soli soggetti che abbiano superato favorevolmente il vaglio della

29Il dubbio sorge se non altro perché l’art. 18 del d.l. n. 149/2013 fa rientrare nei «partiti politici» anche le
formazioni che abbiano conseguito (almeno) un eletto in un consiglio regionale o delle province autonome.

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Commissione. Almeno due argomenti inducono a questa soluzione, a partire da quello testuale: il
nuovo art. 14, comma 1 t.u. Camera nulla dice circa l’iter di controllo dello statuto 30 . Non
consentire la partecipazione alle elezioni a un soggetto che abbia uno statuto redatto in base all’art.
3 (e lo abbia trasmesso alla Commissione), ma non abbia visto completare l’esame, parrebbe una
limitazione eccessiva della possibilità di accesso alla competizione elettorale e alla determinazione
della politica nazionale31: è importante che prima del voto il partito depositi al Ministero dell’interno
lo statuto che ne costituisce la “carta d’identità”, mentre la Commissione manterrà il potere di
chiedere modifiche al testo e (qualora quelle apportate non siano soddisfacenti) di negare
l’iscrizione al Registro, con l’impossibilità di accedere ai regimi agevolati previsti dal d.l. sui partiti.
Soprattutto però, nel decreto non è previsto alcun termine entro il quale l’organo di verifica deve
esprimersi sulla rispondenza degli statuti all’art. 3. Finora i tempi di risposta sono stati contenuti
circa nei due mesi per il primo esame dei documenti32, ma l’assenza di una scansione temporale
predefinita potrebbe non garantire che la verifica si concluda in tempo utile per partecipare alle
elezioni, specie se queste si tenessero in anticipo rispetto alla scadenza naturale del Parlamento.
Naturalmente questo problema ci si augura resti un caso di scuola – del resto, l’attività della
Commissione potrebbe essere intensificata a fine legislatura, per assicurare il diritto di partecipare
alle elezioni – ma, senza indicazioni più precise sul termine per l’esame degli statuti, sarebbe bene
consentire il concorso a tutti i soggetti che si siano dotati di statuto nella forma dell’atto pubblico e
l’abbiano trasmesso alla Commissione per l’esame, mettendosi in condizione di essere controllati.

30 Prescrizioni che sarebbe anche stato facile e naturale esplicitare, a favore della chiarezza del testo.
31 Va sottolineato che, in base all’art. 4 del decreto-legge n. 149/2013, la verifica di cui è incaricata la
Commissione sembra soprattutto di natura formale, dovendo questa controllare «la presenza nello statuto
degli elementi indicati all’articolo 3»; non pare invece che quest’attività possa comportare un esame “nel
merito” del “tasso di democraticità” delle singole previsioni dello statuto. Ciò comporterebbe, nel caso,
l’impossibilità di sindacare le scelte fatte dagli organi del partito in tema di procedure e maggioranze
previste dallo statuto, a meno che siano così “abnormi” da essere assimilabili a una sostanziale mancanza
di certi elementi. In effetti, fino a questo momento la Commissione ha invitato i partiti di cui ha esaminato
lo statuto «ad apportare necessarie modifiche» ai documenti, senza che nulla si sappia sull’effettiva natura
delle modifiche richieste (e poi effettivamente apportate, nei casi in cui si è proceduto all’iscrizione nel
Registro). In ogni caso, immaginare un controllo essenzialmente sull’esistenza di determinati contenuti,
magari solo da esplicitare (mentre una verifica che si concentrasse sulle singole soluzioni adottate potrebbe
essere più invasiva e intervenire molto più a fondo sul documento), unitamente alla possibilità per i partiti
di porre rimedio alle mancanze in un arco di tempo non brevissimo, non sembra deporre a favore di
un’esclusione preventiva dalle elezioni del partito il cui statuto non sia ancora stato controllato.
32 Si veda ad esempio – nel sito del Registro www.parlamento.it/1063 – la deliberazione del 17 ottobre

2014, n. 12/IR, relativa alla richiesta di iscrizione al Registro da parte del partito Realtà Italia: lì si legge che
lo statuto è stato sottoposto per la prima volta all’esame della Commissione il 25 marzo 2014, mentre la
lettera di invito alla modifica era datata 28 maggio. In altri casi, tuttavia, i tempi sono stati molto più
ridotti: lo statuto del Partito socialista italiano, per esempio, era stato sottoposto all’esame il 16 giugno
2014, mentre le modifiche sono state richieste il 24 giugno.

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Il problema legato ai tempi, in realtà, oltre che con le elezioni anticipate in sé, si avrebbe con le
formazioni politiche nate dall’accordo di più partiti – ad esempio, le federazioni – e, in
particolare, con quelle la cui “nascita” fosse formalizzata a ridosso dei giorni previsti per il
deposito dei contrassegni. L’ipotesi, già sperimentata, porta a esaminare un’ulteriore e molto più
spinosa questione, che non si può affatto trascurare, essendo emersa nel dibattito parlamentare.
Tra gli elementi di cui tenere conto, c’è il contesto in cui la “norma statuti” è inserita, a partire dal
sistema elettorale configurato dalla l. 52/2015: quando la modifica è stata votata dall’aula, era già
stato approvato il cd. “emendamento Esposito” che aveva trasformato la formula, sostituendo il
premio di maggioranza alla coalizione col premio alla lista più votata ed escludendo la possibilità
di coalizioni. Modifiche così rilevanti avranno inevitabili riflessi sull’offerta politica, scoraggiando
le “corse solitarie” e favorendo il cammino comune di più sigle sotto lo stesso contrassegno33.
Molte forze politiche si sono mostrate consapevoli di ciò34, ma si è individuato un possibile “nervo
scoperto”, noto a chi conosce le pratiche pre-elettorali. Una lista espressione non di una sola forza
politica, ma di varie formazioni che si presentino con un unico emblema, nella compilazione è
soggetta agli accordi tra dette parti. Quei patti però non sono immutabili, ma possono alterarsi,
influenzati da dinamiche interne ed esterne (come il venir meno o l’aggiungersi di partecipanti alla
federazione) o da vicende personali e politiche dei candidati: ciò può tradursi in modifiche alla
composizione delle liste, anche a ridosso della scadenza dei termini di presentazione delle
candidature 35 . Il senatore Donato Bruno (Fi) si è perciò interrogato sulla compatibilità di tali
comportamenti con le norme sulla selezione dei candidati che l’art. 3 esige siano presenti nello statuto
di ogni partito e sull’opportunità di introdurre la “norma statuti” con l’emendamento ex Sposetti36.

33 I partiti maggiori potrebbero avere convenienza a federarsi con forze minori per puntare al premio di
maggioranza (o, almeno, per approdare al secondo turno). I partiti piccoli, a loro volta, avrebbero interesse
a unirsi in un’unica lista per cercare di superare la soglia di sbarramento al 3%; in più, qualora una delle
forze federate – per piccola che sia – abbia una rappresentanza parlamentare tale da consentire l’esonero
dalla presentazione delle sottoscrizioni, le formazioni che si uniranno a essa nella preparazione della lista –
il cui contrassegno sarà evidentemente composito, con il logo del partito “esentato” – potranno presentare
candidature che diversamente non avrebbero avuto spazio, proprio per la difficoltà di raccogliere le firme.
34 Si vedano in A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della

382° seduta, 22 gennaio 2015, gli interventi dei senatori Luciano Uras (102, «stiamo parlando di una legge
elettorale in cui i partiti scompaiono e appaiono le liste, forse anche i listoni. E, badate, le liste non sono i
partiti, hanno anche altri significati, si compongono anche in altre maniere, hanno anche altre finalità») e
Gaetano Quagliariello (104, secondo il quale lo sforzo per l’attuazione dell’art. 49 «dovrebbe essere ancora
più importante nel momento in cui stiamo discutendo di un disegno di legge elettorale che più che sulle
coalizioni è basato sui partiti o anche sugli accordi e le federazioni tra i partiti»).
35 Sull’evidente scorrettezza di questa pratica nei confronti degli elettori che hanno sottoscritto la lista

prima che i candidati siano del tutto definiti, v. l’ultimo paragrafo.


36 A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta,

22 gennaio 2015, 107-108: «cosa succede, parlando di lista, quando il partito si organizza? Se c’è una lista,

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Condividendo la risposta convinta e accalorata dell’originario proponente della modifica 37 , è
semplice risolvere il dubbio del senatore Bruno. La pratica conferma che quasi sempre i “cartelli”
elettorali nascono già con atto costitutivo e statuto redatti da un notaio come atti pubblici, con la
previsione tanto delle regole di “democrazia interna”, quanto dei segni distintivi38. Federazioni e
“cartelli”, pur non essendo «partiti» in senso stretto39, si possono certamente annoverare tra i
«gruppi politici organizzati» contemplati dall’art. 14, comma 1 del t.u. Camera40. Se si prende per
buono quanto detto sull’applicabilità dell’art. 3 del d.l. n. 149/2013 a ogni formazione che voglia
partecipare alle elezioni, compresi i partiti non interessati alle agevolazioni previste dal decreto,
non c’è motivo per non pretendere anche dalle “maxiliste” o dai “listoni” la presentazione dello
statuto nelle forme previste dal d.l. sui partiti: anche questi soggetti dovrebbero dare il minimo di
garanzie di democraticità interna previsto dalla normativa vigente per i «partiti politici»41.
Nella realtà, peraltro, va ricordato che gli accordi alla base delle aggregazioni elettorali spesso sono
siglati a ridosso della scadenza dei termini per presentare i documenti richiesti per le elezioni42. In

può esserci anche una maxilista. […] nella maxilista, confluiscono vari partiti, entità, realtà e personalità.
[…] Oggi […] parliamo di lista, nella quale credo che tutti i partiti dovranno fare un esame – e forse lo
faranno l’ultima sera di presentazione delle liste stesse – per capire come riempirle, con quali persone.
Questo potrebbe violare le norme che, invece, devono essere sacrosante e stabilite in uno statuto». Si noti
tra l’altro, poco dopo, la reazione piccata del senatore Bruno Marton (M5S), a proposito della possibilità
che una lista prima raccolga firme a proprio sostegno, poi modifichi la composizione delle candidature.
37 A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta,

22 gennaio 2015, 109: «Se fai il listone, farai un’associazione tra i soggetti che compongono il listone che
stabilisce le regole» (il testo è però quello dell’intervento originale di Sposetti, tratto dal filmato dei lavori).
38 Lo sottolinea lo stesso Sposetti, ricordando la costituzione dell’Ulivo, di Uniti nell’Ulivo e dell’Unione:

«quei soggetti giuridici, che sono nati dopo una visita nello studio di un notaio, hanno definito com’era il
simbolo e quali erano le regole che definivano i comportamenti di quella associazione» (A.P. Senato della
Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta, ult. loc. cit.).
39 Sarebbe invece difficile non considerare “cartelli” e federazioni come «partiti politici» ai sensi dell’art. 18

dello stesso decreto-legge n. 149/2013.


40 Come già detto, questa è pure la tesi di P. RIDOLA, Partiti politici (voce), cit., par. 6. Per lo stesso Autore,

peraltro, «[i] gruppi elettorali appaiono invero come partiti allo stato meramente potenziale, che attendono
dal consenso del corpo elettorale la forza necessaria per estendere la loro sfera di azione, attraverso il
conseguimento di una rappresentanza nelle assemblee elettive, dall’intervento puntuale nelle competizioni
elettorali al concorso permanente nella determinazione della politica nazionale» e proprio da questo
discenderebbe «il loro assoggettamento alle regole del metodo democratico», come pure l’obbligo per lo
Stato di tutelare la parità di chance rispetto agli altri concorrenti. La natura di «partiti allo stato meramente
potenziale», in grado di “attualizzarsi”, è stata dimostrata da esempi come quello di Democrazia è libertà - la
Margherita, che ha partecipato alle elezioni del 2001 come cartello, trasformandosi in partito l’anno dopo.
41 Quanto all’obiezione mossa dal senatore Bruno, pare chiaro che, in caso di federazione/“cartello” che

abbia la forma dell’associazione costituita per atto pubblico, si dovranno seguire innanzitutto le regole
contenute nei documenti fondativi (atto costitutivo e statuto) dell’associazione, regole destinate a prevalere
su quelle degli statuti dei singoli partiti che hanno costituito il progetto elettorale: in caso di “listone” o
“maxilista”, i candidati sarebbero espressione del soggetto collettivo e non direttamente dei singoli partiti.
42 Il fenomeno è stato vistoso in occasione delle elezioni europee del 2014: a pochissimi giorni dalla data di

deposito dei contrassegni presso il Ministero dell’interno si sono definiti gli accordi per la presentazione

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queste circostanze, da una parte la necessità di dotarsi in tempo utile di uno statuto nella forma
dell’atto pubblico (per inviarlo alla Commissione per il controllo e consegnarlo al Viminale nei
giorni stabiliti) richiederebbe una definizione di alleanze e federazioni anticipata rispetto a quanto
oggi accade; dall’altra, la “consacrazione” di quel documento nella citata forma dell’atto pubblico (la
stessa necessaria per modificare il contenuto) dovrebbe poi tradursi in una tendenziale stabilità degli
accordi – specie in tema di candidature – per rispettare le previsioni della lex specialis dello statuto.
Non può però sfuggire un particolare importante: la richiesta di depositare lo statuto al Ministero
dell’interno può forse tradursi nella non ammissione del contrassegno per chi non ottempererà
alla prescrizione del nuovo art. 14, comma 143, ma non sono previste sanzioni qualora il partito o
il gruppo politico organizzato non rispetti il contenuto del documento. Né il Viminale, né gli
Uffici elettorali periferici, né la Commissione di garanzia degli statuti sono dotati di alcun potere
per sindacare eventuali comportamenti dei partiti difformi da quanto previsto nei loro statuti.
In mancanza di sanzioni dedicate44, viene spontaneo interrogarsi sulla reale utilità del deposito
dello statuto presso il Ministero (oltre che per condivisibili ragioni di trasparenza)45: qui si palesa

della lista Scelta europea (l’emblema fino a qualche giorno prima comprendeva le “pulci” di Centro
democratico e Fare per Fermare il declino, ma non quella di Scelta civica, pronta a presentare una propria
lista – Scelta civica per l’Europa – e ad agire legalmente contro chi avesse utilizzato il termine «Scelta» nel
nome, in chiave confusoria) e del “cartello” tra Nuovo centrodestra e Unione di centro (mentre pochi
giorni prima l’Udc aveva presentato in conferenza stampa un altro contrassegno, condiviso con i Popolari
per l’Italia), che ha consentito all’alleanza di superare la soglia di sbarramento del 4%.
43 L’ipotesi potrebbe essere accostata alle altre fattispecie in cui il contrassegno è dichiarato «senza effetti».

Ciò accade quando la documentazione presentata dal depositante risulta incompleta (perché, ad esempio,
mancano le designazioni dei delegati al deposito delle liste, oppure manca il programma o, ancora, si
dichiara espressamente la volontà di non partecipare alle elezioni): in queste situazioni, la non ammissione
dell’emblema non dipende da un giudizio sullo stesso (anzi, l’esame non viene svolto: la dichiarazione
«senza effetti» non equivale a una bocciatura, ma nemmeno può essere presunta l’ammissibilità del fregio).
44 Ad oggi si può al più immaginare che violazioni di disposizioni statutarie siano oggetto di contenziosi

davanti ai giudici civili (il d.l. n. 149/2013 non pare avere mutato la natura di associazioni non riconosciute
dei partiti); è difficile, tuttavia, ritenere adatti gli ordinari strumenti giudiziari (compreso l’invocatissimo art.
700 c.p.c.) quando si ha a che fare con decisioni prese dai vertici del partito all’interno di un procedimento
elettorale preparatorio. In più, trattandosi di operazioni preliminari alle elezioni politiche, su di esse insiste
già il gravissimo deficit di tutela dovuto allo “scaricabarile” reciproco tra giudici ordinari (e, a volte,
amministrativi) e Giunte delle elezioni delle Camere: sul tema e per la bibliografia v. soprattutto L. TRUCCO,
La giustizia elettorale politica tra riforme mancate ed occasioni perdute, in E. CATELANI, F. DONATI, M.C. GRISOLIA (a
cura di), La giustizia elettorale (Atti del Seminario del Gruppo di Pisa svoltosi a Firenze, il 16 novembre 2012),
Napoli, 2013, 357-372 e P. TORRETTA, Verifica dei poteri e stato costituzionale. Saggio sull’articolo 66 della
Costituzione, Ariccia, 2012; per la materia specifica dei contrassegni, non sia considerato inelegante rinviare a
G. MAESTRI, I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti, Milano, 2012, 265 ss.
45 Non a caso il Comitato per la legislazione, il 22 aprile 2015, ha approvato il parere sulla legge elettorale

allora in discussione nel quale si legge, tra l’altro, che la “norma statuti” «non reca una disciplina espressa
in ordine alla verifica della presenza nello statuto dei requisiti indicati dal citato articolo 3 del decreto-legge
n. 149/2013; non disciplina le conseguenze del mancato deposito dello statuto; non prevede una
procedura per la sanatoria di eventuali irregolarità connesse al deposito dello statuto che possono

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l’ulteriore scopo della “norma statuti”, che rischierebbe di non emergere se ci si limitasse alla sola
interpretazione letterale del testo modificato dell’art. 14, comma 1 del t.u. Camera. L’art. 12 delle
preleggi, però, chiede che nell’interpretazione di un testo normativo si tenga conto, oltre che del
«significato proprio delle parole», anche della «intenzione del legislatore»: nei lavori parlamentari
si delinea con chiarezza l’ulteriore obiettivo di ostacolare potenziali “disturbatori” che vogliano
depositare a proprio nome simboli senza averne la legittimazione o contrassegni confondibili.
Si sarebbe tentati di dire, senza forzature, che questo è il fine reale che ha animato parte dei
sostenitori dell’emendamento approvato dal Senato: prendendo a prestito concetti del diritto
processuale civile, dagli interventi di vari eletti il miglioramento della democrazia interna ai partiti
appare come “petitum mediato” (ma già desumibile dal testo), mentre si configura come “petitum
immediato” (ma non evidente ictu oculi a livello testuale) proprio l’esclusione dei simboli decettivi.
Nell’intervento illustrativo-esplicativo della sua proposta, è stato lo stesso presentatore originario
dell’emendamento, al di là dei discorsi sulla necessità di attuare realmente l’art. 49 Cost.46 – a
fronte, tra l’altro, di un’azione non soddisfacente in tal senso da parte del citato d.l. n. 149/2013,
specie per quanto riguarda il finanziamento dei partiti 47 – a porre per primo l’accento sulle

pregiudicare la partecipazione del partito o del gruppo politico organizzato alle elezioni, come invece
previsto per le irregolarità connesse al deposito del contrassegno». Nella stessa seduta, una sorta di
“interpretazione autentica” (non dovuta al proponente della norma) è arrivata dal sottosegretario per le
riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Ivan Scalfarotto, che nega ogni effetto al mancato
deposito dello statuto: «[…] la collocazione sistematica della disposizione, nel corpo dell’articolo 14
relativo al deposito del contrassegno […] permette – si legge nel resoconto sommario – di ritenerlo un
onere, piuttosto che un vero e proprio obbligo, finalizzato a concorrere alla protezione del partito e
dell’elettore sotto il profilo della riconoscibilità e non confondibilità della lista. Rafforza infatti tale lettura,
oltre al criterio della sedes materiae, anche il confronto con le prescrizioni relative al deposito dei
contrassegni, rispetto alle quali emerge sia la mancata previsione di conseguenze o sanzioni (che
caratterizza la disposizione quale lex imperfecta, recante cioè un principio la cui inottemperanza non è
sanzionata), sia la correlativa assenza di disposizioni in tema di sanatoria o tardiva integrazione in caso di
mancato deposito, che in tale quadro risulterebbero ridondanti stante, appunto, la mancanza di sanzioni».
46 V. l’intervento del senatore Ugo Sposetti (A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea,

resoconto stenografico della 382° seduta, 22 gennaio 2015, 101): «Ora, noi ci accingiamo a votare una
norma che definisce le procedure per l’elezione della Camera dei deputati, e in questa norma è molto
volte ripetuta la parola “partiti”. Ma oggi noi non sappiamo che cos’è un partito [...]; non sappiamo come
si svolge la vita interna di un partito; non sappiamo come vive un partito. Non abbiamo ancora attuato
l’articolo 49 della Costituzione, quindi mi sembrava logico che noi prevedessimo che, per presentare una
lista per l’elezione della Camera dei deputati, fosse stabilita una procedura».
47 Lo stesso Sposetti, in sede di conversione del d.l. sui partiti, era intervenuto in tono critico contro le

norme contenute in quel testo (sul quale ha espresso voto contrario). Ricordando che «[i] Padri costituenti,
con l’articolo 49 della Costituzione, […] hanno voluto porre l’accento sul libero associarsi, sul libero
concorrere da parte dei cittadini e sul metodo democratico, libertà che potremo finalmente garantire solo
attraverso la regolamentazione della vita interna dei partiti, dando cioè finalmente piena attuazione
all’articolo 49» e richiamando il contributo di Luigi Sturzo sul tema (A.P. Senato della Repubblica, XVII
legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 187° seduta, 11 febbraio 2014, 15), il senatore si era

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criticità legate al deposito dei simboli presso il Ministero dell’interno48: con la modifica da lui
proposta, Sposetti voleva evitare che alle nuove elezioni si creasse (di nuovo) una «rissa […] per
la presentazione delle liste»49, che avrebbe potuto riprodursi senza adeguati interventi normativi.
Se vari interventi si sono concentrati sul tema della democrazia interna, sull’attuazione dell’art. 49
Cost. e sul finanziamento pubblico dei partiti50, alcuni senatori hanno approfondito la questione
“simbolica”, appoggiando l’emendamento ex Sposetti e contribuendo a chiarire quale significato
loro dessero alla modifica proposta. C’è chi ha ricordato l’importanza di «garantire che vi sia
l’impossibilità che si ripeta nel futuro quello che è avvenuto nel passato», cioè «l’utilizzazione di
simboli da parte di altri non legittimati», così da «identificare la formazione di quel determinato
partito, che ha l’espressione di quelli che sono gli appartenenti a quell’area politica» 51 , ma i
contributi più interessanti si sono giovati soprattutto di esperienze vissute in prima persona52. Ci si

espresso duramente sulla più parte delle disposizioni del decreto, in particolare quelle volte a ridisegnare il
sistema di finanziamento dei partiti, a suo dire troppo ispirate dall’antipolitica e non in grado di concedere
«pari opportunità economiche per produrre politica, per produrre cultura» (ibidem; per approfondire la
posizione, che distingue nettamente «costi della politica» e «costi della democrazia», si rinvia al testo
integrale dell’intervento, depositato dal senatore Sposetti e leggibile ivi, 47 ss.). Nell’intervento in sede di
discussione della legge elettorale, peraltro, sempre Sposetti ha richiamato un precedente intervento del
collega Gaetano Quagliariello, svolto nella discussione della stessa riforma (A.P. Senato della Repubblica,
XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 377° seduta, 15 gennaio 2015, 22 ss., spec. 25-
26): questi, già ministro per le Riforme costituzionali del governo Letta e tra i proponenti del d.l. sui
partiti, dopo aver invitato a «pensare a una legge che attua l’articolo 49 della Costituzione, che prevede
garanzie anche nella formazione di federazioni», ammette che il nuovo sistema di finanziamento della
politica non ha funzionato, poiché «il meccanismo del 2 per mille, che avevamo previsto desse 12 milioni
di euro l’anno, ne ha invece dati circa 600.000 e quindi i partiti […] rischiano di essere debolissimi»).
48 A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta,

22 gennaio 2015, 101: «Quando qualcuno deposita il simbolo, c’è un lavoro enorme a carico del
Ministro dell’interno, che deve fare una selezione dei simboli. Tra l’altro, due cittadini possono depositare
due simboli identici, creando un problema alla magistratura amministrativa». Va però segnalata
l’inesattezza dell’ultima parte dell’affermazione: allo stato attuale, nella situazione delineata alla nota 44, i
giudici amministrativi non hanno spazi di intervento nell’eventuale contenzioso legato alla presentazione
di contrassegni identici o confondibili per le elezioni politiche; il discorso, invece, è corretto per quanto
riguarda le elezioni europee, in cui è previsto un sindacato pre-elettorale del provvedimento contestato
sull’emblema, a norma degli artt. 126 ss. del codice del processo amministrativo. Sul punto, v. di nuovo E.
CATELANI, F. DONATI, M.C. GRISOLIA (a cura di), La giustizia elettorale, cit., in particolare i contributi di
M. CECCHETTI (Il contenzioso pre-elettorale nell’ordinamento costituzionale italiano, ivi, 5 ss.) e, se si vuole, di G.
MAESTRI (I simboli alla sbarra. Il contenzioso sui contrassegni tra giudici da individuare e regole da rivedere, ivi, 163 ss.).
49 A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta,

22 gennaio 2015, 102.


50 Il riferimento è soprattutto agli interventi dei senatori Luciano Uras, Francesco Campanella (gruppo

misto – Italia lavori in corso), Gaetano Quagliariello, Enrico Buemi (gruppo Autonomie – Psi – Maie),
Donato Bruno, Lucio Barani (Grandi autonomie e libertà – Nuovo Psi) e Luigi Zanda (Pd).
51 Intervento del senatore Giacomo Caliendo (Fi), in A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura –

Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta, 22 gennaio 2015, 105-106.


52 L’esperienza diretta attribuisce un valore aggiunto a questi interventi, ma – va premesso – non sempre le

ricostruzioni offerte sono esatte dal punto di vista fattuale, cronologico o giuridico.

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riferisce all’intervento del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli (Lega Nord) 53 e alla
dichiarazione di voto dello stesso Sposetti54: loro hanno seguito per anni le operazioni pre-elettorali
dei rispettivi partiti e spesso hanno dovuto rispondere al deposito di contrassegni uguali o simili ai
propri, affrontando contenziosi per evitare “disturbi” (senza riuscire sempre vincitori).
In base agli interventi, si comprende che nell’intenzione del legislatore rientrano tanto il desiderio
di impedire la presentazione di contrassegni a soggetti non legittimati (specie se si tratta di
emblemi di partiti politicamente non più attivi, ma ancora esistenti)55, quanto l’auspicio che le

53
«Io dal 1992 mi incarico per conto del partito che rappresento di andare a depositare i simboli alle varie
competizioni elettorali e, partendo dal 1992, si dovevano fare le notti per potersi garantire un posto che
non consentisse a qualcuno di presentare delle liste o simboli apocrifi. Gli anni successivi si è avuta una
diversa regolamentazione da parte del Ministero dell’interno; da quest’anno si è ritornati ai tempi in cui
bisognava fare le notti (quest’anno solo tre, per le elezioni europee). E ancora una volta sono stati
depositati i simboli apocrifi della Lega, dei 5 Stelle, dei Fratelli d’Italia, con l’apertura di una procedura di
giorni per poter stabilire se due allegri compagnoni avevano solo portato un simbolo ovvero, come è
capitato al nostro di partito, di qualcuno che ha depositato un simbolo e pretendeva che gli candidassi la
moglie in un posto con elezione sicura per poter ritirare il simbolo che aveva depositato. Quindi, questo
emendamento mi sembra di assoluto buon senso, […] vuol dire regolarizzare il deposito dei simboli,
regolarizzare la vita di un partito che, come giustamente ricordava il collega Sposetti, attende ancora che
qualcuno la definisca nei suoi particolari […] io vorrei pretendere, per i prossimi anni, che quello che
presenta un simbolo per poterti ricattare o per metterti in difficoltà non lo possa più fare» (A.P. Senato
della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta, 22 gennaio
2015, 106-107; si è preferito riportare il testo tratto dal filmato, per una maggiore aderenza all’originale).
54
«C’è un punto delicato: il collega Calderoli […] ha posto un problema, di quelli che presentano i simboli.
Voi non avete idea… che cosa significa al Ministero dell’interno, quando la mattina, alle 8, da tre ore si fa
la fila per essere i primi a presentare… ma questo perché, collega Quagliariello? Perché noi non abbiamo
scritto due righe sul riconoscimento giuridico del partito, perché se ci fosse stato il riconoscimento
giuridico del partito, quel simbolo è il mio e nessun altro me lo può presentare. Oggi è una discussione tra
soggetti diversi, […] di quello che presenta il simbolo e il bravo funzionario del Ministero dell’interno. E
Calderoli sa, perché abbiamo fatto la fila: lui per difendere il simbolo della Lega, io per impedire che trenta
soggetti… trenta soggetti si sono riuniti e hanno detto questo: “I Democratici di sinistra siamo noi”, dopo
la costituzione del Partito democratico… e io ho dovuto seguire tutte le consultazioni elettorali perché
depositavano il simbolo dei Democratici di sinistra. E siccome non c’era il riconoscimento giuridico […],
ad ogni elezione devi essere pronto per andare presso la Corte d’appello o il presso il Tar per intervenire.
Allora queste cose […] sono cose di buonsenso; perché non le dobbiamo normare? […] Perché dobbiamo
rivolgerci sempre a un magistrato? Il magistrato risolve il problema di chi è il simbolo. […] Ma vi sembra
normale che sia un magistrato […], non so di dove, che decide che quel simbolo è di quel partito o di quel
soggetto giuridico? […] Ho sofferto, insieme ad altri colleghi, la non disciplina della normativa che
riguarda i partiti. E siccome noi cambiamo la normativa per eleggere la Camera dei deputati, facciamo in
modo che quel soggetto sappia quello che deve fare» (A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura –
Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta, 22 gennaio 2015, 109-110; anche qui si è scelto di
riportare il testo tratto dal filmato di seduta, preferendo la fedeltà alle parole pronunciate anche quando
ciò ha comportato una minore uniformità sintattica del discorso).
55 Il riferimento è a un contenzioso citato dallo stesso Sposetti: questi si è opposto più volte in sede

elettorale, quale legale rappresentante dei Democratici di sinistra, alla presentazione dell’ultima versione
del simbolo del partito (e a volte anche di liste) effettuata da un gruppo di persone guidato dall’avvocato
barlettese Antonio Corvasce. Costoro, nel 2008, per poter continuare ad appartenere ai Ds e cercare di
depositarne il simbolo in vista delle elezioni politiche, avevano scelto di avviare un nuovo tesseramento

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norme tutelino meglio i simboli in uso e quelli di nuovo conio ma divulgati sui media, senza che
siano insidiati da loghi potenzialmente confondibili, presentati da chi voglia ostacolare i partiti di
cui imita gli emblemi o cerchi di ottenere vantaggi personali dalla situazione56. Ciò si dovrebbe
ottenere – per gli intervenuti – grazie a due elementi: da un lato, l’obbligo (a norma dell’art. 3, d.l.
n. 149/2013) di inserire nello statuto la descrizione del simbolo del partito57 e di adottare nome,
sigla e simbolo «chiaramente distinguibili da quelli di qualsiasi altro partito politico esistente»;
dall’altro, la consapevolezza che «ciascun partito ha uno statuto e, se ne ha uno, questo ha anche
delle date»58 e la data certa dell’atto pubblico dovrebbe aiutare a dirimere i contrasti “simbolici”.
Se queste sono – o almeno sembrano – le tesi di chi ha introdotto la previsione su cui la Camera
dovrà esprimersi, è il caso di compiere alcune valutazioni circa i reali effetti della “norma statuti”.
Se si prende per buono quanto già detto circa il deposito obbligatorio dello statuto nella forma
dell’atto pubblico per tutti i soggetti che vogliano partecipare alle elezioni, potrebbero dirsi
innanzitutto neutralizzate le interferenze di coloro che volessero presentare un contrassegno

(sostenendo, tra l’altro, che l’iscrizione al Pd dei vecchi dirigenti fosse incompatibile per statuto con la
permanenza nel partito della quercia), convocare un’assemblea generale degli iscritti al partito e subito
dopo un congresso straordinario che ne deliberasse la continuità dell’attività politica. Per il racconto della
vicenda politica e giuridica (il contenzioso in sede civile tra le due dirigenze Ds non risulta ancora
concluso), sia consentito rinviare a G. MAESTRI, Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia
andata a male, Ariccia, 2014, 207-210; non risulta che emblema e liste dei Ds-Corvasce siano mai stati
ammessi a qualche consultazione, ma dal 2009 in poi Sposetti ha sempre fatto depositare l’emblema dei
Ds al Viminale in occasione delle elezioni di rilievo nazionale e ha monitorato vari appuntamenti elettorali
in Italia, preparandosi a intervenire in caso di presentazioni di simboli e liste ritenuti “di disturbo”.
56
Le ipotesi citate si riferiscono al discorso del senatore Calderoli, ma occorre qualche precisazione. Non è
intanto dato sapere cosa egli intendesse per «diversa regolamentazione da parte del Ministero dell’interno»
circa la presentazione dei simboli (non risultano decisioni o direttive del Viminale che negli ultimi anni
siano intervenute sul criterio di prevalenza degli emblemi tradizionali, magari rappresentati in Parlamento,
e sul principio prior in tempore potior in iure, restituendo importanza alla “fila” per il deposito dei loghi).
Secondariamente, l’episodio dei «simboli apocrifi» del MoVimento 5 Stelle e di Fratelli d’Italia (ma in
quest’ultimo caso parlare di emblemi “apocrifi” sembra molto scorretto, anche se non è questo il luogo
per parlare a fondo della vicenda che ha visto contrapposti Fdi e il preesistente Movimento politico
Fratelli d’Italia di Salvatore Rubbino) non risale al 2014, ma alle elezioni politiche del 2013: sul tema, si
perdoni il rinvio a G. MAESTRI, Rifiuti simbolici: i contrassegni ricusati e l’evoluzione normativa, in Federalismi.it,
2013, 3. Alla stessa consultazione è riferito l’altro episodio identificato in modo inequivocabile da
Calderoli, pur senza fare nomi: la Lega Nord si era opposta all’ammissione del contrassegno di «Prima il
Nord!», partito presieduto da Diego Volpe Pasini e il cui nome era identico a uno slogan usato dalla Lega
nelle sue campagne (persino la grafica era simile); dopo che l’Ufficio elettorale centrale nazionale aveva
respinto l’opposizione confermando l’ammissibilità del segno, i media hanno dato notizia della candidatura
di Sara Papinutto (moglie di Volpe Pasini) nelle liste leghiste della Camera, in posizione potenzialmente
eleggibile in Emilia-Romagna, contestualmente alla mancata presentazione delle liste di «Prima il Nord!».
57 Resta facoltà di ogni formazione allegare allo statuto la rappresentazione grafica del simbolo stesso; nella

pratica, quasi tutti i partiti scelgono di allegare pure il disegno dell’emblema, anche nella convinzione che
ciò produca una tutela maggiore.
58 Frase tratta dall’intervento del senatore Stefano Candiani (Lega Nord), in A.P. Senato della Repubblica,

XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta, 22 gennaio 2015, 113.

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confondibile o decettivo senza dotarsi, a monte, dello statuto con i requisiti richiesti. Ciò
potrebbe scoraggiare potenziali “disturbatori”, per lo meno i più improvvisati, che non volessero
affrontare la spesa per l’atto notarile; non può sfuggire tuttavia che – come la quasi totalità dei
partiti era già stata costituita davanti a un notaio quando nessuna norma regolava la costituzione e
la vita di quei soggetti giuridici – già in passato più di una lista con emblema confondibile aveva
potuto contare su uno statuto redatto nella forma dell’atto pubblico (anche perché era un modo
efficace per tentare di dimostrare la legittimazione all’uso di un determinato segno). In casi come
questi, pertanto, poco cambierebbe anche vigente il nuovo testo.
Era stata la stessa ministra Boschi a esprimere dubbi sull’effettiva capacità di evitare determinate
situazioni problematiche sui contrassegni: a suo dire, «ovviamente nulla vieta che più soggetti
abbiano lo stesso simbolo e anche uno statuto che in qualche modo li legittima a presentare il
simbolo»59. Di certo l’onere di depositare lo statuto (in cui si deve descrivere l’emblema) dovrebbe
aiutare a “stabilizzare” la scelta di un fregio60, tollerando piccole modifiche o inserimenti testuali
(oltre che, nell’ottica delle federazioni, l’accostamento di simboli diversi o elementi caratterizzanti di
essi); se però un partito adotta un determinato contrassegno perché si ritiene in continuità con una
certa esperienza politica o ritiene di avere diritto a usare un determinato nome o elemento
patronimico già legato o ricollegabile a un’altra forza politica (ad esempio perché coincide con
quello del suo leader), in una prima fase non si eviterà la presentazione, legittima almeno ictu oculi, di
due contrassegni in parte simili o comunque confondibili61.
A quel punto – secondo i sostenitori della norma – potrebbe soccorrere il criterio temporale: se i
partiti sono tenuti a dotarsi di un simbolo chiaramente distinguibile da quello di «qualsiasi altro
partito politico esistente»62, qualora vi fosse un rischio di confondibilità tra i segni, la data certa
dello statuto in forma di atto pubblico dovrebbe aiutare a sciogliere il dubbio, determinando il
titolare della “primogenitura” e, dunque, del diritto di continuare a fregiarsi di un certo emblema.
Il ragionamento sembra più efficace rispetto al precedente, specialmente qualora le date dei

59 A.P. Senato della Repubblica, XVII legislatura – Assemblea, resoconto stenografico della 382° seduta,

22 gennaio 2015, 112.


60 Cosa, in realtà, già prevista da tempo all’art. 14, comma 2, t.u. Camera: «[i] partiti che notoriamente

fanno uso di un determinato simbolo sono tenuti a presentare le loro liste con un contrassegno che
riproduca tale simbolo».
61 Naturalmente, a prescindere dall’apparente legittimazione, gli organi di controllo potranno verificare per

altre vie che i depositanti non sono legittimati all’uso di un determinato simbolo.
62 La formulazione è molto ampia e potenzialmente molto restrittiva, specie ove si consideri che – fino a

quando dotarsi di uno statuto con forme e contenuti richiesti dall’art. 3 del d.l. n. 149/2013 sarà un onere
per i soli partiti interessati a fruire delle provvidenze dello stesso decreto – a chi voglia fondare un nuovo
soggetto politico potrebbero essere noti con certezza solo i partiti che abbiano ottenuto l’iscrizione nel
Registro dei partiti riconosciuti, oltre che le formazioni rappresentate in Parlamento.

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documenti siano distanti. Anche qui, però, la copertura non sembra totale, non potendosi
trascurare un particolare importante: l’obbligo di deposito e di forma riguarda il solo statuto, ma
nessuna norma cita anche l’atto costitutivo. La questione non è secondaria, anche se le criticità che
ne potrebbero derivare sembrano casi di scuola: chi volesse “formalizzare” con la veste dell’atto
pubblico uno statuto di un’associazione politica nata dieci o vent’anni prima senza forme
particolari, avrebbe come data del documento quella della formalizzazione e non quella originaria;
altri enti collettivi nati successivamente ma con atto notarile potrebbero essere teoricamente in
posizione di vantaggio (anche se ovviamente in sede di formalizzazione si dovrebbe far emergere
la vera “data di nascita” dello statuto e gli organi chiamati a decidere sull’ammissibilità dei
contrassegni dovrebbero tenerne conto, per non prendere decisioni palesemente ingiuste).
Resta da vedere una fattispecie in cui di certo un emblema da alcuni considerato confusorio non
sarebbe ricusabile, anche ove il relativo statuto avesse una data successiva. Il Ministero dell’interno,
come gli altri organi che controllano i fregi elettorali, deve valutare in concreto la confondibilità dei
contrassegni, confrontando la loro rappresentazione grafica. Se ciò, da un lato, comporta che due
rappresentazioni diverse dello stesso soggetto possono essere considerate confondibili63, dall’altro
fa sì che la confondibilità sia data solo da elementi presenti in entrambi i contrassegni. Qualora un
partito si lamenti per l’uso, da parte di altro soggetto, di un’espressione letterale o grafica ritenuta
«elemento di qualificazione del [proprio] orientamento politico» ma non inserita nel proprio
contrassegno, la doglianza non andrà a buon fine: «non è dato ravvisare ipotesi di confondibilità tra
contrassegni che non siano entrambi caratterizzati da almeno» un simbolo, elemento o dicitura che
possa dirsi tradizionalmente usato dal partito che paventa il rischio di confusione64.
Ciò significa che grafiche e slogan adottati da un partito in occcasione di iniziative di propaganda, se
non sono inseriti nel suo contrassegno (e, a monte, non sono parte del simbolo descritto nello
statuto), possono essere impiegati senza disturbo da altri soggetti politici, specie se non si tratta di
espressioni particolarmente originali65 e sempre che l’uso non violi diritti esclusivi di terzi (come
avverrebbe con l’uso di un marchio registrato o di un’opera dell’ingegno soggetta a diritto d’autore).

63 Lo prova il fascio di decisioni prese dal Ministero dell’interno, dall’Ufficio elettorale centrale nazionale e
da commissioni locali (oltre che da vari organi di giustizia amministrativa) in materia di scudo crociato nel
corso degli anni. Ne dà conto, se si vuole, G. MAESTRI, Elezioni europee 2014 e contrassegni: poche bocciature, ma
significative, in Federalismi.it, 2015, 9 (Osservatorio sui simboli politici)
64 Ufficio elettorale centrale nazionale, 17-18 gennaio 2013, n. 2, Lega Nord c. Prima il Nord! Si tratta

proprio della decisione con cui è stata respinta l’opposizione della Lega nel caso citato alla nota 56.
65 Può risultare utile, ad esempio, apportare anche solo piccole varianti (magari legate alla forma, al colore

o alla font utilizzata per il testo), evitando di incorrere in una sorta di “imitazione servile” dell’elemento.

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4. Le nuove proposte di regolazione dei partiti: osservazioni de iure condendo
Nel momento in cui questo contributo viene chiuso, non si può ignorare come presso le Camere
siano depositate varie proposte di legge che si propongono di completare l’attuazione dell’art. 49
Cost. specie per quanto riguarda la democrazia interna dei partiti. Alcune sono state assorbite
nell’iter di discussione del disegno di legge governativo, il cui contenuto è stato trasfuso nel d.l. n.
149/2013, convertito con modifiche con l. n. 13/2014; altre sono successive e puntano a
introdurre nuove norme intervenendo sulle disposizioni nel frattempo entrate in vigore.
Meritano attenzione soprattutto i progetti di legge gemelli presentati dal Partito democratico (A.S.
1938 e A.C. 3147): essi, infatti, si spingono a richiedere l’acquisizione della personalità giuridica da
parte dei partiti politici – ottenibile con l’iscrizione al Registro nazionale, a seguito dell’esame di
atto costitutivo e statuto da parte dell’apposita Commissione – come condizione necessaria non
solo per avere diritto alle provvidenze pubbliche previste dal d.l. n. 149/2013, ma persino per
partecipare alle elezioni politiche (ed europee, stando alla lettura sistematica del testo dei d.d.l.)66.
Si tratterebbe indubbiamente di una novità molto significativa: dell’eventualità di attribuire la
personalità giuridica ai partiti si era almeno in parte discusso nella XVI legislatura67, mentre non
contemplava l’ipotesi il documento redatto da Giuliano Amato su richiesta dell’allora presidente
del Consiglio Mario Monti68: esso si limitava a valutare – al punto n. 5 – natura, forme ed effetti
della registrazione, anche in chiave comparata, individuando come conseguenze positive di un
sistema che preveda un registro dei partiti l’obbligo di depositare uno statuto conforme, di
mantenere un regime trasparente di finanziamenti (pubblici e privati) e di avere una sede definita.
Non è possibile qui analizzare a fondo il tema del riconoscimento della personalità giuridica, ma
va detto che quasi tutte le proposte di legge della XVII legislatura presentate prima della
conversione del d.l. n. 149/2013 prevedevano quell’istituto69, pur configurando diversi sistemi di
registrazione; convertito il decreto-legge, sono stati depositati solo tre progetti di legge ordinaria70

66 Per un’analisi dei testi e per la valutazione degli effetti del riconoscimento della personalità giuridica, si
conceda il rinvio a G. MAESTRI, Regolare i partiti: «la volta buona» o un ostacolo alla partecipazione?, in Confr. cost., 11
giugno 2014, disponibile su www.confronticostituzionali.eu (ultima consultazione 12 giugno 2015).
67 Vari progetti prevedevano l’attribuzione della personalità giuridica; nel testo unificato discusso alla Camera,

però, il punto non era stato conservato. Non paia inelegante rinviare a G. MAESTRI, «Con metodo democratico»: i
progetti di legge per attuare l’articolo 49 della Costituzione, nella XVI legislatura, in Rass. parl., 2012, 4, 857-886.
68 G. AMATO, Nota su una legge sui partiti, cit.
69 Vale, ad esempio, per le proposte A.C. 186 (Pisicchio), 199 (Di Lello e altri), 681 (Grassi e altri), 1161

(Rampelli e altri), 1325 (Gitti e altro); A.S. 260 (Finocchiaro e altri), 659 (Pagliari), 807 (Piemonte), 891
(Buemi e altri), 966 (Compagna). Sembra fare eccezione solo A.C. 343 (Pastorino e altri).
70 A.C. 3004 (Fontanelli e altri), A.S. 1852 (Sposetti) e A.S. 1933 (Orellana e altri). I primi due testi

esentano dalla raccolta firme i partiti riconosciuti e con una presenza qualificata nelle assemblee elettive;
gli ultimi due si propongono di regolare anche lo strumento delle primarie.

22 | federalismi.it – Osservatorio sui simboli politici |n. 14/2015


(oltre a quelli gemelli già segnalati) e tutti prevedono il riconoscimento. Ciò può indicare che
dotare i partiti di personalità giuridica può dirsi un’esigenza condivisa nel Parlamento in carica,
specie al fine di ottenere una maggiore chiarezza sulla composizione del quadro politico e una più
incisiva garanzia sulla “democrazia interna”, anche grazie ai controlli sugli atti degli organi dei
partiti che potrebbero seguire alla registrazione.
Di certo, però, vari testi discussi nella legislatura attuale e in quella precedente non evidenziavano
che la mancata acquisizione della personalità giuridica avrebbe comportato l’impossibilità di
partecipare alle elezioni di livello nazionale (a causa dell’esplicita previsione della ricusazione delle
liste in caso di mancata iscrizione al Registro), mentre oggi è chiara l’assenza di una sanzione da
applicarsi in caso di mancato deposito dello statuto presso il Viminale. È vero che alcune ipotesi
considerate dalle proposte di legge della XVI legislatura prevedevano di estendere la personalità
giuridica a un novero più vasto di soggetti rispetto a quello indicato dai d.d.l. del Pd (comprese le
liste che presentano candidature alle elezioni regionali e nei comuni sopra i 15mila abitanti), ma,
in questo modo, ogni gruppo politico organizzato dovrebbe obbligatoriamente scegliere forma e
regole minime di un partito, anche qualora si trattasse di caratura politico-sociale o che, nelle sue
intenzioni, volesse fare politica senza “costringersi” negli schemi prestabiliti del partito.
Pur essendo comprensibile, dunque, l’intento di far partecipare alle elezioni solo soggetti in grado
di garantire standard minimi di democrazia interna, potrebbe porsi un problema legato all’ostacolo
che si creerebbe nei confronti di gruppi organizzati che non intendano qualificarsi come partiti
(anche il MoVimento 5 Stelle all’inizio rientrava nella categoria): ad essi finora è stata comunque
garantita la possibilità di presentare liste e lo hanno potuto fare, mentre le modifiche allo studio
lo impedirebbero del tutto, per lo meno alle elezioni politiche ed europee. La soluzione
obiettivamente può sembrare rigida: già far decorrere l’obbligo di iscrizione nel Registro dei
partiti (con relativa attribuzione della personalità giuridica) dal momento in cui il soggetto politico
acquisti eventualmente rappresentanza parlamentare potrebbe bilanciare meglio le esigenze di
trasparenza e democraticità anche “interna” e il principio della libera partecipazione alle elezioni.

5. Liste, sottoscrizioni e contrassegni: stato (indecoroso) dell’arte e proposte per


recuperare la dignità
Si è detto molto della cd. “norma statuti” e dei suoi possibili effetti in materia di simboli elettorali;
non si tratta però dell’unica modifica relativa al procedimento propedeutico alle elezioni politiche.
L’art. 10, comma 1, lettera a) della l. n. 52/2015 (modificando l’art. 18-bis, comma 1 del t.u.
Camera) interviene anche sul numero di sottoscrizioni necessarie per presentare una lista, ossia

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tra le 1500 e le 2000 firme di elettori del collegio in cui essa si presenta: lo stesso numero richiesto
sotto la vigenza della l. 270/2005 per le circoscrizioni di popolazione fino a 500mila abitanti71.
Occorre prestare attenzione alla fase di raccolta firme nel momento in cui si parla di emblemi:
come è noto, per lo meno alle elezioni politiche ed europee, la presentazione e l’ammissione di un
contrassegno non comporta immediatamente l’arrivo del fregio sulle schede, essendo prima
necessario superare lo “scoglio” delle sottoscrizioni richieste dalle leggi vigenti per presentare
validamente una lista; le elezioni comunali e gran parte delle consultazioni regionali prevedono
invece che il deposito (e l’esame) dei documenti relativi a contrassegni e liste sia contestuale.
È bene soffermarsi sulla ratio dell’istituto della raccolta delle sottoscrizioni (dei “presentatori”
della lista o della singola candidatura). Per la letteratura la sottoscrizione di una lista o di una
candidatura non crea vincoli di suffragio, né di adesione politico-partitica tra il sottoscrittore e il
partito o gruppo che beneficia della firma72 (un rapporto simile, al più, potrebbe preesistere, ma
nemmeno l’aderente sarebbe obbligato a sottoscrivere una candidatura del suo partito).
Se in un primo tempo il gruppo dei presentatori di liste era identificato come il solo soggetto
legittimato a presentare le candidature 73 (dunque, di fatto, alla loro designazione), in seguito è
apparso chiaro che il ruolo del “presentatore” era – com’è tuttora – del partito o del gruppo
politico, ma l’istituto della raccolta di un certo numero di firme a sostegno dei candidati è
rimasto. La funzione residua è l’attestazione di un seguito minimo, in una certa area territoriale,
del partito o del gruppo cui il candidato o la lista si riferiscono74: tale “base”, pur contenuta,
dovrebbe garantire un livello sufficiente di serietà della candidatura, che in altri ordinamenti si
dimostra con strumenti diversi, compreso il deposito di una somma cauzionale, il cui rimborso
dipende dall’esito del voto75.

71 Se si considera il numero di 100 collegi plurinominali, su una popolazione totale di quasi 60 milioni di

abitanti su quel territorio, si può immaginare – con gli evidenti limiti che un conto simile presenta – una
media di circa 600mila abitanti per ogni collegio: la raccolta di firme sarà molto più semplice rispetto a un
recente passato nelle circoscrizioni territoriali più popolose (e con più seggi da assegnare), mentre il livello
di difficoltà resterà simile a quello già noto (o potrà aumentare un po’) nei collegi di magnitudo minore.
72 V. G. FERRARI, Elezioni (teoria generale) (voce), cit., par. 44.
73 Cfr. P. RIDOLA, Partiti politici (voce), cit., par. 6. Per l’uso del verbo «presentare», v. r.d. 13 dicembre 1923,

n. 2694 (Testo unico della legge elettorale politica, successivo alla l. n. 2444/1923, cd. “legge Acerbo”), art.
52: «Le liste recanti il cognome e il nome dei candidati […] debbono essere presentate da almeno trecento e
non più di cinquecento elettori inscritti nelle liste elettorali dei comuni della circoscrizione […]».
74 V. P. RIDOLA, ult. loc. cit.
75 V. S. BIRCH, Electoral Malpractice, Oxford, 2011, 22; L. MASSICOTTE, A. BLAIS, A. YOSHINAKA, Establishing

the Rules of the Game: Election Laws in Democracies, Toronto-London, 2004, 61-65; R.S. KATZ, Democracy and
Elections, Oxford, 1997, 255-262; G.S. GOODWIN-GILL, Free and Fair Elections, Geneva, 1994, 56-57.

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Se questa è la concezione alla base della raccolta delle sottoscrizioni anche in Italia76, il legislatore e
la stessa dottrina da tempo hanno finito per circoscriverne l’operatività (e l’efficacia) come mezzo
per evitare le cd. frivolous candidatures. Da un lato hanno contribuito alcune osservazioni figlie della
teoria e della pratica elettorale: certi autori già a metà degli anni ’60 – in un contesto diverso da
quello odierno – ritenevano anacronistico l’onere di raccolta delle firme «in un ordinamento di
partiti, i quali soltanto assumono la figura di presentatori, adempiendo con ciò pienamente la
funzione di garantire la consistenza e serietà delle candidature»77. Dall’altro, ci si era resi conto delle
storture legate all’istituto e dei risultati insoddisfacenti – proprio in tema di serietà di candidature –
che esso restituiva specie in caso di elezioni politiche78. Si sarebbe potuto tentare di rendere più
incisivo lo strumento innalzando la soglia delle sottoscrizioni richieste; di fatto, si è preso atto del
fallimento del sistema e si è proceduto al suo progressivo smantellamento (facendolo passare per
ampliamento della partecipazione dei partiti), battendo la via con sempre maggiore convinzione.
Dall’inizio la soluzione individuata aveva riconosciuto nella presenza di un partito nelle assemblee
elettive maggiori (a partire dalle Camere) un sufficiente indice di «comprovata rappresentatività»79
che rendeva superflue per quella formazione altre prove del suo seguito. Considerando solo le
elezioni politiche, fu la legge 23 aprile 1976, n. 136 a introdurre80 le prime ipotesi di esenzione
dall’onere di raccogliere le sottoscrizioni: si smise di chiedere dimostrazioni di seguito ai partiti o
gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare (anche in una sola Camera) nella legislatura in
scadenza o terminata per scioglimento, e alle formazioni che «nell’ultima elezione abbiano
presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto almeno un seggio in una
delle due Camere». La presenza “qualificata” di un gruppo almeno in un ramo del Parlamento

76 Sull’importanza della raccolta firme come uno dei rari momenti «di possibile “selezione” (o, se si vuole,
di verifica della rappresentatività) delle formazioni politiche da parte del corpo elettorale» in un sistema a
“liste bloccate” v. L. TRUCCO, Dai terremoti del 1968 alla soppressione delle sottoscrizioni nel 2008: l’espansione della
decretazione d’urgenza in materia elettorale, in P. COSTANZO (a cura di), La decretazione d’urgenza (il caso dei c.d.
“decreti sicurezza”), Genova, 2008, 14-27, spec. 24.
77 G. FERRARI, Elezioni (teoria generale) (voce), ult. loc. cit.
78 Ibidem: «il numero delle sottoscrizioni, troppo basso nelle elezioni politiche, e talvolta troppo alto in un

comune di poche centinaia di abitanti, consegue solo approssimativamente ed apparentemente lo scopo di


assicurare la serietà delle candidature». Considerata con lo sguardo dell’oggi, questa tesi suona come il
prologo di una resa tanto crescente, quanto poco accettabile da parte dell’ordinamento.
79 L’espressione è tratta da Ufficio elettorale nazionale, 18 aprile 2014, n. 2, Federazione dei Verdi – Green

Italia c. Ufficio elettorale circoscrizionale Italia centrale: si è scelta una pronuncia recente per mostrare che
il principio di rappresentanza nelle assemblee elettive è tuttora considerato fondamentale per concedere
l’esenzione, a prescindere dai risultati effettivi (spesso scarsi) riscontrati a scrutinio terminato.
80 Assieme a una prima sensibile riduzione del numero di firme (la “forchetta” passò da 500-1000 a 350-

700 elettori per collegio). Il taglio colpisce specie se si considera che la possibile “platea” di sottoscrittori
era aumentata: nel 1958 si contavano 32,4 milioni di elettori, nel 1976 – anche per il conseguimento della
maggiore età al compimento del 18° anno, in base alla legge n. 39/1975 – erano saliti a 40,4 milioni.

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pareva idonea a fornire una prova di “consistenza” della forza politica, valendo anche per partiti
(e relativi gruppi) sorti in corso di legislatura; la partecipazione al voto con proprio simbolo e con
elezione di almeno un componente dava già meno garanzie come “indice di minimo seguito”.
Meno promettente sarebbe stato il nuovo ampliamento dell’esenzione con la legge 21 marzo 1990,
n. 53 (la stessa che ha individuato i soggetti abilitati ad autenticare le sottoscrizioni, una schiera
allargatasi di molto nell’arco di un decennio): esonerati dalla raccolta firme non erano solo i partiti
che avessero ottenuto almeno un eletto alle ultime elezioni europee, purché alla nuova
consultazione politica avessero mantenuto lo stesso emblema, ma anche le liste dotate di
contrassegno composito che contenesse il simbolo di un partito esente81. L’ultima modifica fece
lievitare i soggetti esentati, favorendo alleanze tra soggetti politici fatte con lo scopo dichiarato di
partecipare alle elezioni sfuggendo alla prova delle sottoscrizioni82: lo strumento dell’esenzione si
era trasformato in una norma usata per conservare lo status quo e avvantaggiare i partiti che erano
riusciti a entrare nelle aule parlamentari (e quelli esterni alle assemblee che i soggetti rappresentati
volevano favorire con la deroga), a danno di chi era rimasto fuori o era “nato” da poco.
Il nuovo sistema elettorale, con prevalente assegnazione dei seggi col sistema maggioritario
uninominale83, interruppe la deriva: tutti i candidati dei collegi uninominali e tutte le liste della
quota proporzionale della Camera furono assoggettati ai requisiti di “prova di consistenza” e la
disciplina restò immutata per tre turni (1994, 1996, 2001)84. Con le elezioni europee del 200485

81 La legge intervenne pure sulla l. n. 18/1979, estendendo alle elezioni europee l’esonero per i contrassegni

compositi con simbolo esente. Dall’inizio era prevista l’esenzione per i partiti con gruppi parlamentari o eletti
alle Camere; la legge n. 61/1984 aveva inserito la deroga per i partiti già presenti al Parlamento europeo (nel
1990 si è aggiunto il vincolo di avere partecipato con proprio emblema alle elezioni precedenti).
82 In seguito il fenomeno sarebbe stato assai evidente in occasione delle elezioni europee, con i movimenti

più piccoli, tra quelli dotati di rappresentanza parlamentare, che consentivano ad altri partiti minori (ma
senza rappresentanti) o emergenti di presentarsi alle elezioni senza firme, magari per ottenerne vantaggi.
83 Vengono in considerazione le leggi 4 agosto 1993, nn. 276 e 277.
84 Parla – non senza sarcasmo – di «legislature virtuose» della «prima parte della cd. transizione», in cui «si

era tutti pieni di buona volontà» C. FUSARO, Presentazione delle liste ed esenzione dalla raccolta firme. Una
buffonata di cui vergognarsi, in Forum Quad. cost, 18 febbraio 2008, disponibile su www.forumcostituzionale.it
(ultima consultazione 16 marzo 2015).
85 La legge n. 90/2004, intervenendo in materia elettorale, aggiunse l’ulteriore deroga – applicata solo in

quel turno – per i partiti che avessero presentato liste nella quota proporzionale della Camera e che, pur
non avendo eletti, risultassero collegate almeno a un deputato eletto in un collegio uninominale, «pur sotto
un diverso contrassegno». Tale novella permise di esentare dalla raccolta firme la lista che impiegava
l’emblema (pure in contrassegno composito) con cui si erano distinte alle elezioni politiche del 2001 le
“liste civetta”, usate dal centrodestra e dal centrosinistra per collegare i loro candidati nei collegi
uninominali della Camera e neutralizzare l’effetto dello “scorporo”. Gli emblemi di Per l’abolizione dello
scorporo e contro i ribaltoni e Paese nuovo furono utilizzati come “pulci” per risparmiare la raccolta firme
ai Verdi Verdi - Verdi federalisti e alla Democrazia cristiana, avvertiti dagli avversi schieramenti come
“formazioni di disturbo”, che altrimenti non sarebbero riuscite a raccogliere le sottoscrizioni richieste.

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riprese però piede la tendenza autoassolutoria, fino alle vette (imbarazzanti) delle consultazioni
politiche successive.
Nel 2006, infatti, con l’approvazione della l. n. 270/2005 e il cambio di sistema elettorale, fu
reinserita l’esenzione per i partiti costituiti in gruppi parlamentari (stavolta precisando che i
gruppi dovevano sussistere in entrambe le Camere e dall’inizio della legislatura), cui si aggiunse
quella per i partiti rappresentativi di minoranze linguistiche che avessero eletto almeno un
parlamentare e l’ulteriore deroga – la più elaborata di tutte – per i raggruppamenti che si fossero
coalizzati con almeno due liste esentate grazie alla rappresentanza parlamentare e avessero
ottenuto almeno un seggio alle ultime elezioni europee, a patto che alle politiche utilizzassero lo
stesso emblema rappresentato a Strasburgo86. Di più, la stessa legge introdusse un’agevolazione
anche per chi non poteva beneficiare dell’esenzione totale dalla raccolta firme: il numero di
sottoscrizioni da procurare si sarebbe ridotto della metà in caso di scioglimento della Camera con
un anticipo di oltre 120 giorni sulla scadenza naturale (un decreto-legge introdusse un’ulteriore
deroga per applicare il dimezzamento delle firme anche alle elezioni del 2006, non anticipate).
La situazione, però, è peggiorata alla vigilia delle due nuove tornate elettorali politiche: l’estrema
debolezza dei partiti politici (in una fase caratterizzata da un’antipolitica crescente) e la loro scarsa
fiducia nel proprio radicamento sul territorio ha spinto il Governo a una doppia decretazione
d’urgenza, in una materia delicata (e non “pacifica” per la dottrina) come quella elettorale87; in

86 Di esenzioni «modulate astutamente […] in modo da indirettamente selezionare – tenuto conto

dell’effettivo contesto quale esso allora si presentava – i privilegiandi, a prezzo di ogni pur minima
ragionevolezza» parla ancora C. FUSARO, Presentazione delle liste, cit.: unico soggetto a non poter fruire di quel
vantaggio fu la Rosa nel pugno, che era coalizzata con liste esentate e poteva contare su almeno un
europarlamentare, ma – come “cartello” che univa radicali e socialisti – aveva già dichiarato l’uso di un
contrassegno diverso da quelli rappresentati a Strasburgo. Connessa al caso e, in generale, all’assenza di tutela
giurisdizionale nel processo propedeutico alle elezioni politiche è Corte cost., (ord.) 22-24 febbraio 2006, n.
79: la Consulta ha dichiarato manifestamente inammissibile il conflitto d’attribuzione sollevato dalla Rosa nel
pugno nei confronti delle Camere che avevano approvato le modifiche alla legge elettorale, ritenendo che i
partiti, non essendo organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà di un potere statale, non
fossero legittimati a sollevare il conflitto. V. A. MANNINO, I partiti politici davanti alla Corte costituzionale, in
Forum Quad. cost., 3 maggio 2006, disponibile su www.forumcostituzionale.it (ultima consultazione, per tutte
le citazioni, 16 marzo 2015); S. CURRERI, Non varcate quella soglia! (prime considerazioni sull’ordinanza n. 79/2006
della Corte costituzionale circa l’inammissibilità del conflitto di attribuzioni sollevato da un partito politico), in Forum Quad.
cost., 18 aprile 2006, disponibile su www.forumcostituzionale.it; A. RIDOLFI, La Corte costituzionale nega ai partiti
politici la possibilità di sollevare conflitti di attribuzione, in Rivista Aic - Cronache, 20 marzo 2006, disponibile su
http://archivio.rivistaaic.it (ultima consultazione, per tutte le citazioni, 16 marzo 2015). Parla di «ripresa
intensa del privilegio partitico», pure con riferimento all’esenzione per i partiti legati ai gruppi parlamentari F.
LANCHESTER, I diritti di partecipazione politica nell’innovazione istituzionale incrementale italiana, in Rivista Aic –
Dossier, 17 novembre 2006, disponibile su http://archivio.rivistaaic.it.
87 Sul tema v. l’approfondito contributo di L. TRUCCO, Dai terremoti del 1968, cit., 23 ss), disponibile su

Bibliografia del Parlamento - http://documenti.camera.it/bpr (ultima consultazione 16 marzo 2015).

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tutte e due le occasioni, poi, il Parlamento ha dato una pessima immagine di sé, riuscendo ad
alleggerire ulteriormente – a proprio vantaggio, si sarebbe tentati di dire – gli oneri spettanti ai
partiti, già assai meno gravosi rispetto a un passato nemmeno troppo lontano.
È accaduto prima dello scioglimento anticipato del 2008 (per cui valeva già il dimezzamento delle
firme): il d.l. 15 febbraio 2008, n. 24 aveva previsto all’art. 4 che, una tantum (di nuovo), fossero
sollevate dalla raccolta firme le liste rappresentative di partiti o gruppi che alla data di entrata in
vigore del decreto stesso potessero contare su due parlamentari a Strasburgo o in una delle due
Camere, con la dichiarazione di rappresentatività da parte del segretario o legale rappresentante dei
partiti in questione88 ; il Parlamento, in cui alla vigilia dell’entrata in vigore del decreto si erano
verificate significative migrazioni di gruppo “in zona Cesarini”, in sede di conversione ha ampliato
la deroga, ottenendo che i due eletti potessero anche essere uno alla Camera e uno al Senato89.
Lo scenario si è ripetuto, in modo non meno avvilente, alla vigilia del 2013, con l’ennesimo
decreto-legge (18 dicembre 2012, n. 223) che – stante la nuova fine anticipata della legislatura,
anche se di poco – allargava la platea dei soggetti esenti anche ai partiti rappresentati da
«componenti politiche all’interno dei gruppi parlamentari, costituite all’inizio della legislatura»,
prevedendo invece uno “sconto” del 40% per i partiti costituiti in gruppo (e magari sorti anche a
legislatura inoltrata o in via di conclusione) in un solo ramo del Parlamento; durante la
conversione90, gli stessi parlamentari – lungi dal voler eliminare le ipotesi di deroga ed esenzione,
per cercare di fondare un nuovo sistema su basi davvero democratiche, senza privilegi all’origine91
– hanno ulteriormente dimezzato le sottoscrizioni necessarie per presentare validamente una lista,
che solo per quel turno elettorale erano un quarto di quelle che sarebbero occorse dieci prima.
L’atteggiamento tenuto dai partiti negli ultimi anni deve fare riflettere sul significato, sull’attualità
dell’istituto della raccolta delle sottoscrizioni a sostegno delle liste. La continua rincorsa “al

88 Critica l’intervento normativo d’urgenza nel metodo (il decreto aveva inciso direttamente sulla
possibilità di presentare liste, condizionando l’offerta elettorale e, di riflesso, il voto) e nel merito (lo
strumento era meno discriminatorio di altri, ma comportava una deroga di portata enorme, che rischiava
di moltiplicare la frammentazione, consentendo di correre senza firme a formazioni la cui esigua
rappresentanza magari era emersa addirittura a Camere sciolte) C. FUSARO, Presentazione delle liste, cit.
89 Commenta con sarcastica durezza l’emendamento che ha allargato ancora il novero dei soggetti esentati

– probabilmente, come si legge pure in L. TRUCCO, Dai terremoti del 1968, cit., 23 per includervi Sinistra
critica, cui si riferiva il proponente dell’emendamento, il deputato Salvatore Cannavò – C. FUSARO, Post
Scriptum a Presentazione delle liste ed esenzione dalla raccolta firme. Una buffonata di cui vergognarsi, in Forum Quad.
cost., 21 febbraio 2008, disponibile su www.forumcostituzionale.it (ultima consultazione 16 marzo 2015).
90 Iter conclusosi con l’approvazione della legge 31 dicembre 2012, n. 232.
91 Aveva espresso – comprensibilmente – l’auspicio, enunciando anche altre idee sul vicino appuntamento

elettorale, C. FUSARO, Tempi stretti? Quasi inesistenti. Più qualche altra nota sulla tragicommedia della legge elettorale,
in Astrid, 22 novembre 2012, disponibile su www.astrid-online.it (ultima consultazione 16 marzo 2015).

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ribasso” da parte dei partiti, perché scenda sempre più (o sparisca del tutto) l’asticella dello sforzo
“minimo” richiesto rischia di dire molto sullo scarso potenziale rappresentativo di questi soggetti
collettivi, sulla loro ridottissima capacità di essere presenti sul territorio anche solo come «gruppi
politici organizzati» (un quid minoris rispetto ai «partiti» in senso stretto), sul loro evanescente
desiderio di impegnarsi in operazioni che richiedono organizzazione e vanno al di là della stretta
campagna elettorale (“campagna promozionale”, si sarebbe tentati di dire). Rispetto a quando si
sono approvate – per mano di partiti, ovvio – le prime norme di esenzione dalla raccolta di firme,
i soggetti cui si riferisce l’art. 49 Cost. hanno mutato pelle: la vocazione è sempre il concorso a
determinare la politica nazionale, ma è lecito domandarsi quanto ci sia di «democratico» nel loro
metodo (e quanto abbia ancora senso parlare di «libere associazioni di cittadini») se ogni
occasione è buona per non dimostrare un minimo collegamento con la base popolare.
Non bastasse quanto si è detto fin qui sugli “autosconti” sulle firme che si sono praticati in via
normativa (elemento patologico all’interno del sistema), peggiora inevitabilmente la situazione ciò
che da anni i media testimoniano: la tendenza alla falsificazione delle sottoscrizioni che emerge da una
serie impressionante di episodi susseguitisi92. Sembra la prova che persino in una dimensione
locale, in cui è possibile – e sarebbe normale – avere contatti con persone note e familiari, la
raccolta delle firme è diventata un’operazione non alla portata delle strutture partitiche (o di ciò
che ne resta) o, comunque, in cui non si ritiene di dover investire tempo e risorse umane.
Determinati casi, peraltro, infastidiscono per le circostanze in cui si svolgono: l’esempio più
recente ed eclatante è rappresentato dal cd. “caso Piemonte”. I media, specie tra il 2013 e il 2014,
avevano dato conto dell’intricata vicenda processuale relativa alle elezioni regionali del 2010 che
aveva portato prima a una sentenza penale di Cassazione, con la condanna definitiva di due
persone per reati di falso (essenzialmente ideologico) relativi all’autenticazione delle firme di
accettazione delle candidature della lista Pensionati per Cota a Torino 93 , poi – sulla base del
giudicato penale, che ha fatto ritenere invalida tale lista – alle pronunce della magistratura
amministrativa94 (confermate dalla Suprema Corte) che hanno travolto l’intero risultato elettorale,
già incerto per uno scarto dello 0,4% tra il vincitore Roberto Cota e la sfidante Mercedes Bresso.
Tutto ciò benché, in altra sede, un autenticatore della lista Pensionati e invalidi per Bresso abbia
patteggiato una pena per la falsità ideologica di altre autenticazioni, vicenda che ha condotto alla

92 Ne dà conto funditus M. MARSILI, Elezioni, firme false: così fan tutti, in La Voce d’Italia, 26 gennaio 2013,
disponibile all’indirizzo http://voceditalia.it/articolo.asp?id=91279 (ultima consultazione 15 marzo 2015).
93 Cass., sez. V pen., 14 novembre -20 dicembre 2013, n. 51523.
94 Tar Piemonte, sez. I, 9-15 gennaio 2014, n. 66; Cons. Stato, sez. V, 11-17 febbraio 2014, n. 755.

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cancellazione degli atti affetti da falsità, compresa la dichiarazione di collegamento con l’Italia dei
Valori che aveva permesso alla lista Pensionati e invalidi di concorrere senza firme95.
Il 25 maggio 2014 si è rivotato, stavolta con la vittoria del centrosinistra. Nelle settimane
successive, però, sono state intraprese nuove azioni legali penali e amministrative sulla base di
nuovi vizi legati alle sottoscrizioni: in febbraio, con una prima sentenza96, il Tar del Piemonte –
oltre a respingere parte delle censure originarie – ha disposto la prosecuzione del giudizio sulla
regolarità delle firme, in attesa che la Procura della Repubblica di Torino terminasse le indagini
sulla falsità di molte sottoscrizioni e autenticazioni, con relativo dissequestro degli atti elettorali
del 2014. Negli ultimi giorni, peraltro, una nuova sentenza 97 del Tar ha ridotto l’oggetto del
contendere, dichiarando inammissibili varie censure «per mancato superamento della prova di
resistenza» e non mettendo a rischio la permanenza in carica della giunta Chiamparino.
La vicenda processuale è lungi dal concludersi e in ambito penale vige la presunzione d’innocenza,
ma allo stato attuale è lecito provare un marcato senso di insoddisfazione: il fatto che si sia arrivati a
ripetere le elezioni regionali a causa di anomalie nella raccolta delle sottoscrizioni98 e che, dopo
pochi mesi, si vivano anomalie analoghe a parti invertite99 pare la dimostrazione “viva” di una
distanza difficile da colmare tra “essere” e “dover essere”, tra norma e pratica in tema di
procedimento elettorale preparatorio, a sua volta spia del venir meno di una reale rappresentatività
dei partiti (o dell’interesse degli stessi per un reale contatto con la base che vogliono rappresentare).
Da ultimo, sempre circa la raccolta delle sottoscrizioni si può individuare un altro problema, che
non incide sull’offerta politico-elettorale della singola consultazione ma ha riflessi sulla libertà del

95 Si conceda il rinvio a G. MAESTRI, Il caso delle regionali in Piemonte: se il problema è metterci la firma (e
autenticarla), in Confr. cost., 30 gennaio 2014, disponibile su www.confronticostituzionali.eu (ultima
consultazione 16 marzo 2015).
96 Tar Piemonte, sez. I, 19-25 febbraio 2015, n. 352.
97 Tar Piemonte, sez. I, 9 luglio 2015, n. 1121 (dispositivo).
98 Nei giorni del deposito della sentenza del Tar Piemonte di febbraio, poi, il tribunale penale di Milano

pubblicava la decisione di condanna di Guido Podestà per reati di falso elettorale, circa le sottoscrizioni
per la lista regionale Per la Lombardia e quella provinciale del Pdl a Milano, relativamente alle elezioni
regionali lombarde del 2010 (contemporanee a quelle annullate in Piemonte). Anche tale vicenda non si è
chiusa, ma contribuisce a dare conto della diffusione del problema e della necessità di trovare soluzioni.
99 Con l’aggravante, se si concede l’osservazione, che la parte risultata prevalente alle elezioni aveva scelto

di raccogliere le firme, senza avvalersi delle esenzioni previste dalla legge regionale e cui aveva dritto, come
segnale di “discontinuità” rispetto ai fatti del 2010. In più, ad colorandum, in questo caso – come riportato
dai media, che citano perizie disposte dal pubblico ministero – ci si potrebbe trovare di fronte alla
falsificazione della firma di un autenticatore, questione che, per i giudici, «già allo stato degli atti, può dirsi
sostenuta quanto meno da un principio di prova alla luce delle stesse sconcertanti dichiarazioni rese dal
diretto interessato agli organi di stampa». Sulla gravità di tali episodi, non inficiata dal recentissimo
verdetto di inammissibilità di parte delle censure dedotte, si tolleri il rinvio a G. MAESTRI, Chi di firme ferisce
…. Ancora sul caso Piemonte, la sottoscrizione delle liste e il contenzioso elettorale, in Confr. cost., 12 maggio 2015,
disponibile su www.confronticostituzionali.eu (ultima consultazione 10 giugno 2015).

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voto (in senso lato) ex art. 48 Cost.. Non è raro, infatti, che gli atti con le sottoscrizioni siano
riempiti dai presentatori magari in modo del tutto corretto e consapevole, ma in un momento in
cui le liste non sono ancora definite o addirittura mancano del tutto100. L’uso sempre maggiore di
Internet da parte dei partiti e dei singoli gruppi politici ha obiettivamente favorito la conoscibilità
degli elenchi dei candidati (magari riportati anche dai media nei giorni precedenti la consegna delle
liste presso gli uffici), ma certe situazioni critiche rimangano, anche in base alle norme vigenti.
Per le elezioni politiche101 il d.lgs. n. 361/1957 chiede solo che l’intera documentazione relativa
alle liste (elenchi e firme) sia depositata presso le cancellerie delle Corti d’appello o dei Tribunali
sede dell’ufficio elettorale circoscrizionale «dalle ore 8 del 35º giorno alle ore 20 del 34º giorno
antecedenti quello della votazione» (art. 20). Dovrebbe però essere un dato anche solo logico che
chi appone la propria firma in calce alla lista lo faccia conoscendo già i nomi dei candidati: in caso
contrario, l’adesione del presentatore difficilmente potrebbe dirsi davvero “libera” (benché, come
si diceva, la sottoscrizione della lista non crei vincoli tra presentatore e candidati, conoscendo
l’identità di questi ultimi – e, in caso di “lista bloccata”, il loro ordine – l’elettore potrebbe anche
scegliere di non firmare) e questo vizio potrebbe comunicarsi all’intera ammissibilità della lista.
Se però si cerca una lettura sistematica, si vede che per l’art. 14, comma 3 della legge n. 53/1990,
«le sottoscrizioni e le relative autenticazioni sono nulle se anteriori al centottantesimo giorno
precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature». Il che, a contrario, significa
che partiti e gruppi politici avrebbero a disposizione, in linea teorica, circa sei mesi per raccogliere
le firme necessarie alla presentazione delle liste. Il “monte” temporale viene sempre in buona
parte eroso (il giorno delle elezioni e i termini a esso legati sono un’incognita, specie in caso di
elezioni anticipate), ma di certo la disposizione consente che un gruppo raccolga sottoscrizioni
con largo anticipo anche rispetto alla data in cui si decide la data del voto. La ratio della norma è
agevolare le forze politiche, visto che le operazioni di raccolta delle firme (e relativa
autenticazione) richiedono ex se tempi non brevi; contrasta però con questo il fatto che le liste
possano essere riempite o modificate “in corsa” e, magari, fino agli ultimi momenti disponibili.
Chi ha sottoscritto la lista prima delle modifiche, infatti, avrebbe potuto scegliere di non
contribuire (più) all’ammissibilità dell’elenco se avesse conosciuto in tempo le differenze sulle
identità dei candidati: tra chi firma per la presentazione della lista “prima” delle modifiche e chi

100 V. A. GIGLIOTTI, Presentazione delle liste e raccolta delle firme: quando rispettare la legge è (quasi) impossibile, in
Ballot. Numeri e voti che contano, 10 febbraio 2013, disponibile su www.associazioneballot.com (ultima
consultazione 16 marzo 2015).
101 Il discorso potrebbe essere replicato, senza sostanziali differenze, anche per gli altri livelli di elezione.

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firma “dopo”, si crea così una differenza di consapevolezza e nella corretta formazione della
volontà che non pare accettabile; non è poi difficile capire che il venir meno di eventuali firme
concesse a una lista formulata diversamente potrebbe facilmente avere effetto sull’ammissibilità
della lista stessa e, in definitiva, sull’offerta politico-elettorale della singola consultazione102.
Pare così opportuno formulare alcune proposte, che prendano atto della situazione indecorosa
creatasi intorno alla raccolta delle sottoscrizioni, ma cerchino di portare maggior rispetto tanto
per il «metodo democratico», quanto per la libertà di voto, valori e principi presenti in
Costituzione e a rischio nella pratica elettorale; i problemi legati alla falsificazione delle firme e
alla “prova di seguito” delle forze politiche si dovrebbero affrontare di pari passo.
A poco servirebbe un sussulto di rigore per innalzare il numero di firme richieste: è chiaro a tutti
che, al giorno d’oggi, quasi nessun gruppo politico riuscirebbe ad adempiere correttamente a
traguardi più gravosi, mentre si rischierebbe addirittura di incentivare la contraffazione
La soluzione opposta, cioè eliminare la richiesta di sottoscrizioni per i candidati, pur provocatoria,
non sarebbe priva di senso: potrebbe essere giusto lasciare la valutazione della serietà delle proposte
agli elettori, riconoscendo al corpo elettorale la maturità acquisita con la pratica della democrazia. In
più non ci sarebbe il rischio di creare odiose discriminazioni: per l’art. 51 Cost. «Tutti i cittadini
dell’uno o dell’altro sesso possono accedere […] alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza». La
disposizione è stata introdotta per favorire la democrazia paritaria, ma difficilmente le «condizioni di
eguaglianza» possono dirsi rispettate se qualcuno può candidarsi senza firme, altri fanno di tutto per
liberarsi dall’onere, mentre chi non ce la fa non può tentare di accedere a tali cariche. Siccome finora –
e da tempo – la raccolta delle sottoscrizioni ha mostrato di non saper prevenire a dovere le frivolous
candidatures (e le falsificazioni che le hanno favorite), si potrebbero trovare altri sistemi per dimostrare
la serietà della candidatura, specie se è espressione di un gruppo organizzato103.
Se si propende per la conservazione di un impegno da parte di partiti e gruppi a dimostrare un
minimo seguito (cosa che rientrerebbe nei «requisiti» di cui si occupa lo stesso art. 51), l’ideale
sarebbe unire tre azioni, anche se forse delineano uno scenario utopico, cui difficilmente la politica

102 In tal senso, volendo, G. MAESTRI, Il voto libero: la necessità di regole chiare e trasparenti sul procedimento preparatorio e
di un contenzioso che decida rapidamente, in Luiss School of Government– Working Paper Series, 2013, 7, 14-15.
103 L’Italia in più il 29 giugno 1990 ha firmato a Copenhagen un documento a chiusura della Conferenza sulla

Dimensione Umana della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Csce/Osce): al punto 7.5
si legge che «[p]er garantire che la volontà del popolo sia alla base dell’autorità di governo, gli Stati […]
rispetteranno il diritto dei cittadini di candidarsi a cariche politiche o pubbliche, personalmente o in
rappresentanza di partiti o organizzazioni politiche, senza discriminazione alcuna». Il testo impegna l’Italia a
consentire candidature indipendenti (e individuali), al di fuori di organizzazioni politiche: ad oggi si è lontani
da ciò, ma ci si dovrebbe chiedere se sarebbe ragionevole chiedere un minimo di firme a sostegno di chi non
è parte di organizzazioni (in alcuni paesi accade), o se anche questo potrebbe essere discriminatorio.

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vorrebbe aderire. In primis, si dovrebbe eliminare ogni disposizione derogatoria, che consenta a certe
forze politiche di essere esentate dalla raccolta delle firme: se la situazione organizzativa è difficile
per tutti, è fondamentale trattare ogni soggetto allo stesso modo – attuando gli artt. 3 e 51 Cost. –
chiedendogli di provare un minimo radicamento; non è accettabile né che qualcuno sia “più uguale
di altri” (tra l’altro sulla base di un consenso di cui godeva anni prima e che potrebbe non essersi
mantenuto nel tempo 104 ), né che si permetta a qualcuno di mostrarsi “più furbo degli altri”
(stringendo accordi con forze politiche anche distanti da sé, solo per ospitare il loro simbolo nel
proprio contrassegno ed evitare la raccolta firme).
Detto ciò, sarebbe comunque accettabile pensare a una riduzione generalizzata delle firme
richieste, che tenga conto proprio delle difficoltà oggettive di ottenere il consenso dei cittadini. La
riduzione, però, dovrebbe essere strutturale e – anche se non è possibile garantirlo tecnicamente
– non dovrebbe più consentire riduzioni una tantum, magari legate allo scioglimento anticipato
delle assemblee: scegliere di tenere un’asticella da superare e di abbassarne l’altezza va bene, ma
non si può pretendere che questa arrivi rasoterra. Di più, il numero basso di firme necessarie
potrebbe giustificare una maggiore severità in sede di controllo e sanzione: se lo sforzo richiesto è
minimo, si deve poter pretendere che tutto sia fatto in modo corretto, secondo le regole.
Alla riduzione delle sottoscrizioni, però, si dovrebbe accompagnare una riflessione sulle figure che
l’art. 14, comma 1 della citata legge n. 53/1990 abilita all’autenticazione: i veri problemi di
falsificazione si sono creati quando ad autenticare le firme sono state figure elettive di natura
politica, in particolare consiglieri comunali e provinciali 105 , non quando ci si è rivolti a figure
“professionali” o “istituzionali”. Si dovrebbe così valutare l’opportunità di non concedere più ai
consiglieri comunali la possibilità di autenticare le firme106, lasciando il compito nelle mani di figure
“terze” (notai, giudici di pace, cancellieri e collaboratori, segretari delle procure, segretari comunali e
provinciali, funzionari comunali e provinciali incaricati)107 e valutando se mantenere nell’elenco le
figure istituzionali dal peso politico (sindaci, assessori, presidenti dei consigli comunali). In questo
modo, lo spazio per la falsificazione delle sottoscrizioni (e delle autenticazioni) dovrebbe ridursi.
Da ultimo, i possibili rimedi alla sottoscrizione delle liste quando ancora le candidature non sono
definitive sono due. Si potrebbe, per esempio, introdurre una scadenza differenziata e precedente

104 Ne sia prova la scomparsa dalle aule parlamentari – anche per colpa delle soglie di sbarramento, ma
non solo – di forze politiche che, fino a pochi giorni prima delle elezioni, potevano contare su vari
rappresentanti eletti tempo prima, mentre alle urne hanno ottenuto risultati minimi, inferiori anche all’1%.
105 Ovviamente ci si riferisce a eletti di primo grado, non ai presidenti e consiglieri delle province di oggi.
106 Lo stesso si potrebbe dire, al limite, per i presidenti e i vicepresidenti dei consigli circoscrizionali.
107 Non sfugge peraltro che, in alcuni casi, la scelta potrebbe essere problematica per ragioni economiche,

visto che certe figure operano a pagamento: la legge dovrebbe preoccuparsi anche di questi aspetti.

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per la presentazione delle candidature (individuali o di lista), lasciando che la consegna delle firme
si collochi all’incirca trenta giorni prima del voto: in questo modo, certamente il corpo elettorale
potrebbe decidere in modo pienamente consapevole se contribuire con la propria sottoscrizione
alla presentazione dei candidati 108 , ma ci si dovrebbe comunque accertare che le firme non
vengano ottenute prima e a quel punto, forse, i tempi per la raccolta sarebbero ristretti.
L’alternativa, a quel punto, potrebbe essere una sorta di compromesso. Se la prassi ha dimostrato
che le liste si modificano comunque fino all’ultimo momento possibile, si potrebbero modificare
le norme precisando che le sottoscrizioni servono a sostenere genericamente la presentazione
della lista e, in particolare, del simbolo. Ai potenziali sottoscrittori non si chiederebbe più di
avallare la partecipazione al voto di quella particolare lista, con determinati nomi posti in un certo
ordine, ma la partecipazione di quel partito o gruppo politico, contrassegnato da un determinato
emblema destinato a finire sulle schede, senza poterlo modificare. In questo modo, una
formazione che volesse partecipare alle elezioni con un certo contrassegno potrebbe muoversi
per tempo – magari nei sei mesi che la legge concede – e procurarsi le sottoscrizioni necessarie,
dimostrando così quel “seguito minimo” per cui si è mantenuta la raccolta firme. In più, non
potendo modificare o integrare il logo in un secondo momento (se non nei casi di confondibilità,
su invito degli organi competenti), i gruppi che volessero utilizzare un contrassegno composito
per marcare l’alleanza di più sigle o volessero inserire nell’emblema un nome di persona (ad
esempio, quello del candidato sindaco) dovrebbero anticipare i tempi degli accordi, per non
ridursi a dover cercare le firme negli ultimi giorni disponibili: questo, tra l’altro, consentirebbe una
maggiore chiarezza e informazione sulle forze destinate a confrontarsi il giorno del voto.
È vero, gli elettori presentatori potrebbero sottoscrivere un contrassegno che forse, davanti a una
lista contenente nomi sgraditi, non avrebbero sostenuto; sembra però più “onesto” riferire da
subito la sottoscrizione alla sola presenza della lista, lasciando alla forza politica l’onere di
compilare – nel rispetto delle regole – una lista di candidati che possa ricevere consenso. Se non
altro, con tale soluzione i cittadini firmerebbero per un preciso soggetto politico, scaricando su di
esso ogni responsabilità sui nomi da candidare sotto al simbolo: nessuno potrebbe ritenere i
presentatori corresponsabili della presenza di “impresentabili” in lista. Ora invece nome e
autografo dei firmatari figurano sotto la lista o nelle pagine successive: chi sottoscrive non sa se il
nome sgradito c’era già o se la lista è stata modificata, dalla carta nulla emerge. Meglio allora
mettere le cose in chiaro, perché ognuno abbia la responsabilità di ciò che fa, non più di questo.

108 È questa la posizione di A. GIGLIOTTI, Presentazione delle liste, cit.

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