a cura di Meriggi – Tedoldi Le istituzioni politiche dell'antico regime La natura del problema Il termine “istituzione politica” rimase per buona parte dell'età moderna estraneo al vocabolario dell'epoca. Benché quel vocabolario contemplasse sia “politica” sia “istituzione”a lungo i due termini non vennero contemplati come unificabili. Istituzione era usato in sede giuridica per intendere l'atto di istituire, mentre l'aggettivo “politico” si limitava ad esprimere la naturale vocazione degli uomini a unirsi tra loro in qualsiasi specie di società stabile. Nella prima età moderna non esisteva differenza qualitativa tra i vari generi di autorità. Si comincia a parlare di istituzioni quando si comprende che determinate dinamiche umane non sono dovute a qualcosa di “dato” ed immutabile ma convenzioni e decisioni che plasmano gli assetti della convivenza. Fondamentale per comprendere il panorama premoderno è il concetto di stato. Da sottolineare l'erronea convinzione che lo stato dell'antico regime fosse una mera forma embrionale del “vero” stato moderno. Una costituzione plurale L'antica tradizione di pensiero vedeva nello stato il fattore aggregante di una moltitudine di comunità minori e nel potere centrale l'autorità destinata a garantire la loro convivenza tramite l'amministrazione della giustizia. All'origine della società umana sta, secondo autori come Bodin, la famiglia, la casa, il nucleo politico primigenio governato dal padre. Spinte dalla ricerca di un ordine più stabile più “case” si uniscono quindi in villaggi, questi a loro volta in città fino a giungere alla comunità più vasta di tutte, che è appunto lo stato. L'entrata in scena di quest'ultimo non minaccia in nessun modo l'esistenza dei corpi minori che, in quanto anteriori ad esso, mantengono il diritto di autogoverno. La cooperazione sta alla base di questo tipo di organizzazione e costituisce il collante di un universo istituzionale molto diverso da quello attuale. Si può parlare di “federazione delle amicizie”. Formatosi da una nebulosa di signorie e corti lo stato territoriale europeo si presenta inizialmente come un mosaico di territori indipendenti nonostante l'assoggettamento ad un processo di centralizzazione. Il potere come giurisdizione Mentre nel panorama odierno lo stato è produttore di leggi ed altre decisioni, nel mondo protomoderno era raro che il potere centrale si presentasse ai sudditi come soggetto intenzionato. Lo stato funzionava insomma come un'istanza di mediazione e un asse di equilibrio. Esso era chiamato in primo luogo a rispettare diritti e privilegi dei soggetti che lo componevano. Il centro non era tanto il luogo in cui si assumevano autonomamente decisioni destinate a essere poi trasferite in periferia ma piuttosto come la sede a cui i sudditi si rivolgevano per ricevere la conferma della propria autonomia e dei propri privilegi. Una simile configurazione di potere era ovviamente densa di ricadute sul pano istituzionale e la sua applicazione era limitata dalle istituzioni rappresentative a base cetuale presenti in tutta Europa. Rappresentazioni territoriali e “stato per ceti” Se c'è un tratto comune a molti stati dell'antico regime esso è dato dal fatto che i principe non esercita la pienezza dei suoi poteri se non tramite il concorso di apposite assemblee, rappresentative di tutto il territorio nazionale. Fin dove il monarca esercitava la propria giurisdizione, le assemblee intervenivano soprattutto ad assistere e constatare, mentre quando questo pretendeva qualcosa per sé nascevano varie forme di opposizione. Grazie a queste consultazioni i sudditi scoprono di appartenere a gruppi sociali trasversalmente