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La leadership

Fin dal XIX secolo, la letteratura sulla leadership è molto ampia e vede la contrapposizione tra:
1. Teorie deterministiche vedono il corso della storia come qualcosa di ineluttabile rispetto alla quale le
azioni degli uomini hanno poco potere (es. il conflitto tra classi marxista).
2. Great Man Theory. Una teoria elaborata da Thomas Carlyle negli anni ’40 del XIX secolo, che
presenta la storia come segnata dal ruolo dei grandi uomini. Carlyle aveva in mente in particolare
Napoleone, uomo che ha sicuramente segnato la storia europea ma è possibile pensare anche a
personaggi del XX secolo che, nel bene e nel male, hanno segnato il corso della storia: Churchill,
Hitler, Roosevelt etc. Teoria fortemente condizionata dalla cultura dell’epoca, tanto da poterla
definire come profondamente sessista.
Definizione di leadership: forma di esercizio del potere. Il potere è un concetto di relazione tra la volontà di
un attore A e quella di un attore B. Il soggetto A riesce a far fare a B ciò che vuole attraverso l’uso delle
risorse del potere, le quali possono essere materiali, ideologiche, culturali, psicologiche etc.
La leadership esercita due tipi di potere: (1) hard power sistema di leggi e sanzioni (2) e soft power, ovvero
la capacità di convinzione, tale per cui colui sul quale viene esercitato il potere arriva a convincersi della
bontà di ciò che gli viene proposto.
Possiamo individuare tre elementi che definiscono il concetto di leadership:
1. Leader; colui che esercita la leadership.
2. Seguaci, coloro che seguono il leader.
3. Contesto all’interno del quale il leader esercita la propria leadership; culturale, sociale, politico-
istituzionale etc.
NB: si può seguire un leader anche se questo non agisce per il bene dei suoi seguaci.
Obiettivi della leadership
- Nye: colui che aiuta un gruppo di persone a formulare e conseguire obiettivi condivisi (visione
idealista) + mobilita i seguaci affinché tali obiettivi possano essere raggiunti  importanza
dell’esistenza di obiettivi condivisi, proposti dal leader o meno.
- Burns: come il potere, la leadership è relazionale, collettiva e finalizzata. Ma la portata e l’ambito
della leadership sono più limitati di quelli propri del potere. I leader non cancellano le motivazioni
dei seguaci. Essi guidano altre creature, non cose.
- Tucker: la leadership è direzione. La direzione deve avere senso rispetto al contesto, a ciò che il
momento richiede.
L’esercizio della leadership si compone di 3 momenti (Tucker):
1. Diagnosi: interpretazione della situazione esistente, dei mali e delle loro cause. Elemento molto
importante di narrazione: il leader narra il suo punto di vista della situazione osservata
2. Prescrizione del corso di azione: individuazione delle soluzioni e dei percorsi da intraprendere.
3. Mobilitazione
Il contesto/ambito d’azione del leader struttura la situazione che il leader deve fronteggiare (es. crisi
economica, guerra, ripetute sconfitte del partito), definendo gli strumenti che il leader ha a disposizione (es.
governo, amministrazione e partito nel caso di un capo di governo – gli strumenti istituzionali non sono
uguali in tutti i governi democratici; esiste una differenza sostanziale tra i sistemi maggioritari, come in Gran
Bretagna, e i sistemi consensuali, come in Olanda*). Sono, poi, molto importanti anche la socializzazione
dello stesso leader e i suoi condizionamenti culturali (J. Blondel).
*es. In UK, i capi di governo hanno a disposizione strumenti che facilitano l’approvazione dei propri
provvedimenti, fatto che influisce anche sulla tipologia di leadership esercitata. Nel caso del Belgio, invece, i
leader che si sono distinti nella loro storia politica erano molto capaci di negoziare e di trovare equilibri
complicati.
Tutta la letteratura sulla leadership evidenzia l’importanza della crisi come finestre di opportunità per
rafforzare o far emergere la propria leadership. Pensiamo al caso italiano: FI conosce una crisi di consenso e
di leadership da molti anni, che, da alcuni, potrebbe essere vista come un’opportunità per far emergere la
propria leadership (nel caso specifico di FI questo non è successo). Un altro esempio è Salvini, che ha
sfruttato la crisi legata alla figura di Umberto Bossi e quella più generale della destra del sistema partitico,
diventando la più importante figura della destra italiana. Caso UK: Blair ha sfruttato la crisi interna al partito
labourista, prima ottenendone la leadership e, in seguito, cambiando il vero e proprio modello di partito o,
ancora, la Tatcher ha sfruttato la crisi del partito conservatore, a lungo lontano dal potere, conquistandone la
leadership e cambiando la struttura del partito. Entrambi hanno poi conquistato la carica di capo del governo.
Rapporto tra ruolo formale (posizione) e comportamento
È necessario distinguere analiticamente il ruolo formale – es. capo di governo – e il comportamento di colui
che ricopre quel ruolo. In questo senso, possiamo dire che la leadership non è solo un concetto di relazione
ma anche comportamentale (concetto che rimanda alle origini della scienza politica, nata negli USA negli
anni ’50 in polemica ad altre discipline che si occupavano di politica, come il diritto; tra i valori aggiunti
della scienza politica c’è il fattore dell’effettivo comportamento del leader politico - behaviourismo). Ruolo e
comportamento stanno, comunque, in relazione tra loro:
- Il ruolo formale fornisce degli strumenti, in virtù dei quali il leader adeguerà il proprio
comportamento
- L’esercizio effettivo della leadership può influenzare il ruolo formale e trasformarlo, ampliandone,
ad esempio i confini operativi. ES. Presidente della Repubblica italiana; ruolo definito con una certa
ambiguità nella costituzione, per cui le sue funzioni possono essere ampliate o ridotte in virtù
dell’ambito e del comportamento di chi ricopre il suddetto ruolo  Ribaltone di Scalfaro / Pertini e
la comunicazione / Napolitano e le riforme istituzionali. Un altro esempio è quello della Quinta
Repubblica francese; la nuova Costituzione (1958) di De Gaulle costituisce il passaggio da una
democrazia fortemente parlamentare ad una democrazia semi-presidenziale, la quale, però, non
attribuisce i poteri che, di fatto, il presidente francese si è arrogato nel corso del tempo (es. licenziare
i PM o assumersi funzioni che prima erano del PM, come la contrattazione con i sindacati). Tutto ciò
è stato capace, innanzitutto, grazie all’opera di De Gaulle, richiamato alla Presidenza per risolvere la
questione algerina, per la quale gli sono attribuiti enormi poteri; nel ’62, introduce l’elezione diretta
del presidente e governa il Paese fino al ’69, in virtù del potere di direzione attribuitogli dalla
Costituzione. Alcuni presidenti andarono anche oltre; l’Eliseo si è rafforzato sempre di più da
D’Estaigne in poi. Con Sarkozy è iniziato il cosiddetto processo di prima-misterializzazione del
presidente francese.
I seguaci
Sebbene tutta la letteratura riconosca i seguaci come uno degli elementi costitutivi della leadership, non tutti
gli studiosi hanno dato la stessa importanza ai seguaci, né tanto meno hanno dipinto lo stesso rapporto con la
leadership (recentemente si è parlato anche di followship). Il leader deve comprendere i bisogni e i desideri
dei propri seguaci per mobilitarsi ed orientare le loro visioni e i loro comportamenti; da qui l’importanza
della comunicazione tra le due parti. Molto importante è anche il rapporto tra il leader e la sua squadra di
collaboratori, i quali svolgono un ruolo cruciale nelle diverse fasi della leadership. J. Blondel sostiene che tra
le capacità del leader necessarie a condurre una leadership efficace c’è la capacità di scegliere i propri
consiglieri e la capacità di interagire in modo intelligente con i propri collaboratori, ovvero di ascoltarli ed
imparare da loro, mantenendo comunque le distanze da loro, in modo da non esserne eccessivamente
condizionato. F.I. Greenstein aggiunge che tra le qualità del Presidente si colloca l’abilità «di unire i propri
collaboratori e strutturare la loro attività in modo efficace»  estrema differenza tra il caso americano e
quello italiano.
Il ruolo del leader richiede, quindi, anche il possesso di certe caratteristiche personali (Blondel)
1. Intelligenza: analisi dei problemi ed elaborazione delle possibili soluzioni; scegliere i collaboratori e
soppesare il valore delle loro analisi e soluzioni (non dipendere totalmente da loro). Si tratta di
un’intelligenza contestuale, ovvero reattiva agli elementi dell’ambiente in cui opera, che mette in
campo anche un’intelligenza emotiva (empatia nei confronti degli altri) e che si differenzia da quella
intellettuale,
2. Volontà e coraggio: porre fine alla fase di analisi e elaborazione, del dibattito, e decidere (un
« eccesso » di intelligenza può essere controproducente). Cruciale la motivazione rispetto al
raggiungimento dell’obiettivo.
3. Capacità di «vendere» la decisione: al gruppo più prossimo, alla burocrazia, al pubblico (di nuovo,
importanza della comunicazione e dello storytelling).
Leader narcisista
Il narcisista tende a leggere il mondo attraverso il filtro di sé stesso:
«L’energia psicologica investita nel mondo delle persone, nel mondo degli oggetti, nel narcisista è ri-
direzionato e totalmente assorbito nel proprio sé» - Sigmund Freud
In politica, il narcisismo può raggiungere livelli più alti della media, tanto da poter raggiungere tratti
patologici, diventando deleterio per la stessa leadership:
«Gli individui con tratti narcisistici significativi son inevitabilmente attirati dal mondo della politica, come
un insetto verso la fiamma (…) L’arena politica fornisce un’attrazione di tipo magnetico per gli individui che
cercano di essere al centro dell’attenzione, di essere ammirati e considerati speciali» - J.M. Post, Narcisism
and Politics, Cambridge University Press, 2015.
- Senso di inferiorità sotteso alla personalità narcisistica riequilibrato dall’essere al centro di un plot
grandioso
- Sentimento di essere investiti di una grande missione  collocazione all’interno di un plot grandioso
- Sopravvalutazione di sé stessi
- Identificazione tra il sé e il bene e un loro esterno e il male
Tratti narcisistici rintracciabili in molti casi di leadership, anche se un vero e proprio disturbo della
personalità di tipo narcisistico difficilmente può essere alla base di una leadership duratura e di successo.
Casi: Trump, Renzi (difficoltà nel condividere il potere acquisito con i suoi collaboratori), Macron,
Berlusconi (si nota soprattutto dai suoi movimenti del corpo, oltre che allo storytelling di “piccolo eroe” da
lui costruito)
Stili di leadership del leader narcisista:
1. Scelte condizionate dalle ricadute sulla reputazione del leader. Spesso, le scelte dei leader sono
condizionate dalla loro ricaduta comunicativa (  conseguenze di una decisione sull’immagine del
leader).
2. Collaboratori accondiscendenti. Il leader narcisista cerca specchi, che si limitino a riflettere le
proprie scelte senza metterle in discussione.
3. Incoerenza nella comunicazione. Se le scelte sono condizionate da quella che il leader reputa essere
la sua convenienza, allora è inevitabile che nel tempo tali scelte producano contraddizioni.
4. Sovraesposizione comunicativa. In presenza di numerose piattaforme di comunicazione, diventa
molto facile sovraesporsi con possibili ricadute negative; i cittadini si stancano, diventa molto
difficile mantenere la comunicazione coerente (saturazione).
Il narcisismo e i seguaci: il narcisismo del leader coinvolge anche i seguaci.
- Bisogno di una figura di riferimento, rassicurante, che favorisce una idealizzazione di figure
«carismatiche» anche in persone altrimenti equilibrate e mentalmente sane.
- Queste figure tendono sempre ad attirare personalità narcisistiche del tipo «Ideal hungry» (tipo
speculare al mirror-hungry caratteristico del leader, che cerca conferme ed ammirazione).
L’individuo «Ideal hungry» riesce a percepirsi come un individuo con un proprio valore solo nella
misura in cui può relazionarsi con individui che ammira.
«Assumendo proporzioni eroiche e rappresentando ciò che i seguaci desiderano essere, egli [il leader] li
protegge dal confronto con sé stessi e la loro fondamentale inadeguatezza e alienazione. Il successo del
leader diviene il successo del seguace, un sostegno alla propria autostima.» (Post)
Il leader ideologico
- ideali e identità ben precise che ne guidano le azioni
- traduzione in realtà di una visione ideale; perseguimento pragmatico dei propri obiettivi
- fedeltà alla missione (visione eroica di sé).
Esempi: Tatcher e Reagan, con il loro forte anticomunismo e il perseguimento del liberismo economico.
Stile:
- attivi e riformatori; sono molto propositivi
- determinazione nella realizzazione dei loro obiettivi
- rigidità;
- poco incline al compromesso, predilige la persuasione alla negoziazione;
- comunicazione ‘persuasiva’; utilizza la comunicazione come strumento di persuasione anche del
grande pubblico
- centralità della comunicazione;
- retorica amico/nemico.
Il leader pragmatico
Il leader pragmatico agisce e basa le proprie decisioni in risposta alle sollecitazioni del contesto (calcolo
costi-benefici).
Esempio: Angela Merkel
Stile:
- più orientato alla collaborazione– convincere gli stake holder; gli orizzonti sono più di grandi
principi
- modello di coordinamento delle policy-making.
- La comunicazione ha un ruolo meno importante
Il leader outsider
A. King individua tre tipi di outsider all’interno dell’ambiente politico:
1. Outsider sociale: leader che viene da un ambiente sociale diverso rispetto a quello dal quale
normalmente giungono donne e uomini politici (es. Tatcher: Grammar School, piccola-media
borghesia)
2. Outsider psicologico: leader che percepisce una propria estraneità rispetto al mondo che lo circonda.
Di difficile identificazione
3. Outsider tattico: leader che capisce l’utilità di giocare il ruolo dell’outsider in un determinato
contesto politico (es. Macron)
Ci sono poi dei casi ancor più particolare di Leader Outsider, capaci di mescolare in tutto o in parte i
precedenti profili. Un esempio è Silvio Berlusconi, outsider tattico, sociale e, in maniera minore, psicologico,
nonché possessore di una forte indole narcisista, trasformista e tendente al compromesso.
Stile: approccio agentico, fatto di azione, determinazione e orientamento all’obiettivo.
Il leader carismatico (Max Weber)
All’interno del concetto di potere Weber individua tre forme distinguibili sulla base della legittimazione del
potere stesso:
1. Potere legale-razionale: si legittima sull’adesione alle leggi e norme
2. Potere tradizionale: si basa sulle tradizioni e convinzioni, su quello che è sempre stato fatto ed è
sempre stato
3. Potere carismatico: capacità di una persona di far sorgere e mantenere la convinzione di
rappresentare di per sé stessa fonte di legittimità ≠ legittimazione esterna.
Il carisma è una qualità in virtù della quale una persona è considerata straordinaria e trattata come se fosse
dotata di forze e qualità sovrannaturali, sovraumane o eccezionali. Non è una qualità oggettiva: «Ciò che
solamente importa, è sapere come essa [la qualità carismatica] è considerata da coloro che sono dominati
carismaticamente, gli adepti»
Le caratteristiche del potere carismatico:
1) Il riconoscimento da parte di coloro che sono dominati; un riconoscimento libero, garantito dalla
conferma (il prodigio), sorto dall’abbandono alla rivelazione, alla venerazione dell’eroe, alla fiducia
nella persona del capo, decide della validità del carisma.
2) Se la conferma tarda a venire, se colui che possiede la grazia carismatica appare abbandonato dal suo
dio, dalla sua potenza magica od eroica, se il successo gli è lungamente rifiutato, se, soprattutto il
suo governo non apporta alcuna prosperità a coloro che domina, allora la sua autorità carismatica
rischia di sparire: i seguaci dubitano delle capacità eccezionali del leader, minandone il carisma.
3) Il gruppo dei dominati è una comunità emotiva. La direzione amministrativa del signore carismatico
non è un ‘funzionariato’ (…). Al contrario [esso] è scelto in funzione delle qualità carismatiche: al
‘profeta’ corrispondono i ‘discepoli’; al ‘principe della guerra’, i ‘partigiani’, al ‘capo’ in generale
gli ‘uomini di fiducia’. Non c’è né ‘nomina’ né ‘destituzione’, né ‘carriera né avanzamento’: solo
una chiamata, secondo l’ispirazione del capo. Punto di partenza per capire il funzionamento
dell’organizzazione carismatica, costituitasi di persone tra cui sussiste un rapporto di fiducia.
4) Il carisma puro è estraneo all’economia (..) Disdegna e rigetta l’utilizzazione economica della grazia
come fonte di guadagni.
5) Il carisma è la grande potenza rivoluzionaria delle epoche legate alla tradizione. (…) il carisma può
consistere in una trasformazione dell’interiorità. Nato dalla necessità o dall’entusiasmo, esso
significa in generale cambiamento della direzione dell’opinione e dei fatti, orientamento del tutto
nuovo di tutte le posizioni verso tutte le forme particolari di vita e verso il ‘mondo’.
L’organizzazione carismatica. A differenza delle altre forme di potere, il potere carismatico dà luogo a una
organizzazione di rapporti sociali che non conosce “regole”, né “carriere” al suo interno, né una chiara e
definita divisione del lavoro. Le lealtà dirette da una parte e la delega dell’autorità da parte del capo dall’altra
su basi personali e arbitrarie sono gli unici criteri che informano il funzionamento dell’organizzazione.
L’organizzazione carismatica, quindi sostituisce alla stabilità delle aspettative che regola le organizzazioni
burocratiche così come le organizzazioni tradizionali, l’incertezza e l’instabilità più totali: la scelta del capo e
la sua continua dimostrazione di fiducia nei confronti dei subordinati sono gli unici criteri da cui dipende la
“struttura delle opportunità” per i singoli operanti entro l’organizzazione, gli unici criteri che informano la
gerarchia (informale) interna ( gerarchia totalmente informale e fluida). - A. Panebianco, Modelli di
Partito, Il Mulino, 1982.

Istituzionalizzazione del carisma. Il partito carismatico nasce e muore con il leader. Quando sopravvive al
leader si parla di istituzionalizzazione del carisma; l’organizzazione diventa più simile a quella legale-
razionale e il partito, nel suo funzionamento, acquisisce una certa autonomia che non consiste nella
rinnegazione del leader (es. Partito gaullista) – fenomeno raro e difficile da compiersi.
a. Il caso del partito gollista. La figura di leader carismatico è perfettamente incarnata nella persona di
Charles De Gaulle, tant’è che sia nella sua storia politica che personale possiamo facilmente
ritrovare gli elementi della definizione di Weber, in particolar modo il riconoscimento, cioè l’essere
una figura che in momenti di crisi sa porsi come riferimento efficace e come portatore di soluzioni.
La sua stessa leadership è stata più volte riconfermata nel tempo, attraverso l’istituto del referendum.
Sostanzialmente, nella sua azione De Gaulle era guidato da una serie di grandi principi e da una
grande visione che sapeva porre nella realtà molto pragmaticamente senza renderlo totalmente
sottomesso a dogmi ideologici.
b. Il caso di Forza Italia. Berlusconi si è sempre comportato come un leader carismatico nei confronti
del suo partito, rifiutando l’idea che Forza Italia si potesse strutturare davvero; questo perché
un’istituzionalizzazione del partito avrebbe portato alla formazione di poteri lontani da lui. Ad oggi,
è difficile capire quale sia la vera struttura di potere interna al partito; sicuramente comanda
Berlusconi ma oltre a lui è tutto relativo. Da un lato, lo stesso leader ha innescato alcuni meccanismi
di rivoluzione permanente, marginalizzando alcuni e favorendo altri, per cui la struttura non si è mai
veramente consolidata, dall’altro il partito ha perso consensi, attestandosi oggi intorno al 6%,
comunque legato ad un suo consenso personale. Va, comunque, tenuto conto che Berlusconi ha
impedito il crearsi di qualsiasi meccanismo di successione, per cui, qualora il leader si ritirasse dalla
vita politica, Forza Italia avrebbe difficoltà a riorganizzarsi e a sopravvivere.
c. Il caso della Lega. Si tratta di un partito che, nel corso della sua storia, ha avuto più leader
carismatici (es. Bossi) ma, anche grazie alla forte strutturazione territoriale e il recente utilizzo delle
primarie, ha saputo sopravvivere a tutti i cambi di leadership. Ergo, l’istituzionalizzazione del
carisma è sicuramente avvenuta. Tuttavia, le questioni odierne sono piuttosto quanto la Lega si
istituzionalizzata nella veste di partito-di-Salvini, nonché quanto Salvini possa essere considerato un
leader carismatico.
Per mettere ulteriormente a fuoco il concetto di carisma, Nye ha proposto l’idea di Smart Power, nata dalla
fusione di Soft e Hard Power:
- Soft power: capacità di condizionare ciò che gli altri desiderano e di influenzare le preferenze altrui.
Non solo argomentare ma attrarre e sedurre.
- Hard Power: minacce ed incentivi
→ Smart Power: adeguata e accordata combinazione di hard e soft power, in relazione al contesto
La leadership trasformativa
Concetto elaborato da James McGregor, analizzando la figura di F.D. Roosevelt negli anni immediatamente
successivi la crisi del ’29 (New Deal) e durante la II WW. Studiando la leadership di Roosevelt degli anni
’30, il Presidente era apparso molto orientato a negoziare, a trovare compromessi e ad usare tecniche come il
patronage; accanto a questo c’era una grande capacità di comunicare e di accompagnare le sue politiche più
decise con un continuo e grande appello agli americani, dando l’idea che si stesse facendo ogni sforzo
possibile per superare la crisi economica. La prima modalità viene chiamata “transactional leadership”. La
seconda modalità viene detta “transformative leadership”. Analizzando, poi, il comportamento di Roosevelt
durante la Seconda Guerra Mondiale, McGregor Burns osserva come il Presidenti utilizzi nuovamente delle
tecniche di tipo transactional, facendo ad esempio pressioni sul Congresso, e allo stesso tempo crei una
dimensione narrativa potenze e coinvolgente.
La conclusione a cui arriva McGregor Burn è che, nonostante in un leader possano coesistere entrambe le
nature, è inevitabile che una sia predominante dell’altra; nel caso di Roosevelt l’elemento dominante era
quella transactional. Inoltre, Burns individua due diverse accezioni della modalità trasformativa.
Da un lato, la trasformazione del contesto esistente in base agli obiettivi che si è posto; dall’altro, la
trasformazione di coloro che vengono coinvolti con il leader, il quale si pone in relazione con i seguaci.
Il potere ‘trasformante’ dell’interazione tra leader e follower. Il leader assume l’iniziativa, mobilitando la
partecipazione nel processo del cambiamento, incoraggiando un senso d’identità collettiva e di efficacia
collettiva. Tutto ciò produce nei follower un sentimento di valorizzazione ed efficacia di sé “perseguendo il
cambiamento trasformativo, le persone possono trasformare loro stesse”. Va, però, precisato che:
a. Ruolo delle emozioni. Coinvolgendo i seguaci su una dimensione emotiva, il leader ne favorisce una
identificazione con sé, la quale conduce al cosiddetto “empowerment”, ovvero quella sorta di nuova
consapevolezza e capacità di agire che si viene a creare nell’individuo che partecipa nelle imprese
del leader, perché incluso in un’impresa più grande di lui.
b. Si tratta di un processo che può produrre conflitto tra leader e follower e tra quest’ultimo possono
sorgere nuovi leader (nuova percezione di sé).
c. Si tratta di un passo avanti rispetto alla concettualizzazione del carisma; sussiste una relazione
creativa e un trasferimento reciproco di potere.
Strategie complessive:
1. Pieno uso dei poteri costituzionali, in particolare il potere di veto.
2. Timing: cercare il momento giusto per avanzare le proposte – analisi contestuale.
3. Preparazione delle misure all’interno della Presidenza
4. Continue pressioni, esercitate con abilità
5. Patronage, ovvero la distribuzione di ruoli
6. Rapporti personali con i legislatori
7. Appello al popolo e monitoraggio dell’opinione pubblica
8. Attenzione alle fazioni interne
9. Retorica diversa per avversari e oppositori
10. Tentativo di portare il conflitto politico su un terreno favorevole
Nye, in risposta alla teoria di McGregor Burns, sostiene che sia necessario distinguere tra stile ed obiettivi,
precisazione che permette di usare quattro distinte categorie:

 Obiettivi incrementali/trasformativi
 Stile transnazionale/ispiratore
Es: Clinton ha uno stile ispiratore ma obiettivi incrementali. Non aveva un grande visione.
Presidenzializzazione e personalizzazione della politica
Fenomeni di trasformazione dei sistemi politici occidentali, che hanno cambiato il volto della politica e del
modo di fare politica e di comunicarla. Per presidenzializzazione s’intende il rafforzamento dei ruoli
monocratici a livello di Governo ma in particolare di partito. Con Roosevelt, ad esempio, si ha una prima
fase di presidenzializzazione che si è poi affermata con Reagan. In Gran Bretagna, due momenti importanti
di questo passaggio si sono avuto con Thatcher e Blair. In Italia, Berlusconi ha dato una spinta alla
presidenzializzazione della politica.
Il concetto di presidenzializzazione si afferma con il libro (2005) di due studiosi, Pokuntke e Webb – non
danno molto spazio al tema della mediatizzazione della politica – secondo i quali il fenomeno inizia a
manifestarsi negli anni ‘80/’90 del Novecento, per poi rafforzarsi, su tre diversi livelli:
1. Esecutivo, o rafforzamento del presidente o del capo di governo nei confronti dei suoi ministri;
scelta, definizione degli obiettivi etc. Nel caso francese, ad esempio, da Pompidou in poi, con delle
accelerazioni successive, in parte con Chirac, moltissimo con Sarkozy, la struttura dell’Eliseo si è
ampliata, fino a diventare una sorta di governo ombra, consentendo al Presidente di intervenire in
tutti gli ambiti di azione del Governo.
2. Partito, comporta il rafforzamento del ruolo del leader rispetto al partito, inteso come
organizzazione; capacità di controllo maggiore + autonomia del leader rispetto al partito (il leader
diventa la faccia del partito, traendo forza e legittimazione da questo riconoscimento esterno e,
quindi, anche una maggiore capacità di azione nei confronti dell’interno. Maggiore libertà
decisionale e nelle modalità d’azione).
3. Competizione elettorale: gli elettori orientano i loro comportamenti di voto non sulla base del loro
attaccamento al partito o ad una certa ideologia ma della loro valutazione personale del leader.
Campagna permanente: vengono mantenuti i toni e le strategie tipici di una campagna elettorale
utilizzate nella ricerca del consenso durante la campagna elettorale. Fatto dovuto sia alla diffusione
dei sondaggi che ai frequenti appuntamenti elettorali.
- Concetto elaborato con la presidenza Carter ma pienamente sviluppato con Reagan.
Premessa: la presidenzializzazione dei ruoli monocratici e, in generale, della politica, si innesta sul
precedente processo di lungo periodo del rafforzamento degli esecutivi. Il XX secolo è stato definito il
“secolo degli esecutivi”; la novità ottocentesca della centralità del Parlamento non viene meno con il nuovo
secolo ma grandi avvenimenti come le due guerre mondiali e la crisi economica hanno avuto l’effetto di
rafforzare il ruolo dei Governi – rispetto al Parlamento. Una guerra richiede una centralizzazione dei processi
decisionali, la capacità di reperire le risorse necessarie e di utilizzarle in modo efficace; così come la gestione
di una crisi economica. In questo contesto, i Governi hanno subito un ampliamento sia in termini quantitativi
(più personale) sia qualitativi (nuove funzioni); il processo di presidenzializzazione, che più o meno inizia
negli anni ’80, si innesta su queste dinamiche. Nel caso inglese, ad esempio, il modello tipico vedeva un
Gabinetto – PM e ministri più importanti – molto forte e capace di affermare le proprie politiche in
Parlamento ma che aveva sempre mantenuto una dimensione collegiale; la Thatcher aggiunge un ulteriore
forte elemento ad un’esecutivo già molto potente.
Cause:
a. Processi di europeizzazione e internazionalizzazione della politica democratica. La politica, negli
ultimi decenni, prevede sempre di più un’interazione degli stati anche con autorità sovranazionali,
per cui ci sono molte decisioni collettive; ogni paese è rappresentato dal suo leader
b. Trasformazioni sociali, economiche e tecnologiche. La crisi dei partiti tradizionali ha fornito nuove
occasioni alle leadership. Il cosiddetto proletariato diventa socialmente meno rilevante perché meno
numeroso della cosiddetta classe media, che invece aumenta di numero grazie alla rivoluzione
tecnologica e ai cambiamenti socioeconomici (fluidità sociale). I grandi partiti di massa perdono il
loro appeal nei confronti della loro tradizionale base elettorale; maggiore fluidità del voto elettorale.
Innalzamento del livello di istruzione; atteggiamento più laico nei confronti della politica
(secolarizzazione).
La crisi dei partiti tradizionali unita alla nascita e alla diffusione dell’elettorato di opinione portarono
alla nascita del partito professionale elettorale, dove i vertici di partito assumono sempre più
rilevanza, in quanto i leader assumono il ruolo di attori maggiormente mobili, più in grado di
adattarsi e rispondere alle sollecitazioni.
c. Mediatizzazione della politica: la logica mediatica favorisce le persone e le immagini, piuttosto che i
contenuti. Radio e TV hanno consentito ai leader di partito di parlare direttamente alle persone,
permettendo un rafforzamento del leader del partito, perché ha reso obsolete alcune figure, come i
militanti di partito.
La personalizzazione della politica

La

personalizzazione politica può avere tre facce:


1. Istituzionale: riguarda sia le istituzioni di governo sia quelle non di governo.
2. Mediatica: personalizzazione prodotta dalla mediatizzazione della politica.
- Controllata: messa in atto dagli stessi leader politici, che la usano come strumento di consenso
- Non controllata: modo in cui i media raccontano la politica
3. Comportamentale:
- politici: come i politici interpretano il proprio ruolo
- elettori: atteggiamento degli elettori nel momento della decisione elettorale
Crisis management
Nei momenti di crisi, la leadership è fondamentale:
a. Aspettative dei cittadini nei confronti delle capacità del leader di affrontare e risolvere la situazione
b. Rally around the flag: consenso di cui gode il leader nelle fasi iniziali della crisi
c. La crisi come sfida e opportunità per la leadership
d. Cartina di tornasole: ci dicono quelle che sono effettivamente le caratteristiche della leadership, in
quanto sottoposta ad una condizione estrema.
e. Decisioni ultime: le elevate aspettative che si producono attorno a leader massimizzano alcune
variabili, tra cui la visibilità e la responsabilità – da intendere come accountability. Il “blame game”
in agguato, ovvero la situazione che si può verificare che porta ad attribuire colpe e responsabilità in
particolare ai leader politico.
In una situazione di crisi, un leader può ricoprire tre diverse figure: (a) quella del sovrano, ovvero colui che
prende le decisioni ultime - richiama l’idea di leader trasformativo -, (b) del simbolo, ovvero colui che
diventa il simbolo della nazione e (c) del facilitatore, ovvero colui che ha la capacità di coordinare i tanti
poteri che possono essere coinvolti in un processo di decision making e di implementazione (diventa
rilevante un stile transactional).
I ‘compiti’ da svolgere nella gestione di una crisi sono:
1. Preparation: attività dei governi per prepararsi ad eventualità, che possono essere considerate
improbabili ma non impossibili.
2. Sense-making: ha a che fare con la capacità e possibilità del leader, ovviamente sempre contornato
dai suoi collaboratori e da tutta una serie di comitati in grado di aiutarlo, di capire cosa sta
succedendo e tutte le eventuali implicazioni.
3. Meaning-making: è una narrazione convincente fondamentale che serve a ridurre l’incertezza delle
persone colpite dalle crisi e ad ispirare fiducia nei leader che gestiscono la crisi. La difficoltà
nell’imporre questa narrativa convincente sta nel fatto che non esiste una sola narrazione; nei
contesti democratici, possono essere costruite diverse narrazioni sulla crisi, anche confliggenti, per
cui è complicato far prediligere dall’opinione pubblica quella del leader. Questa narrazione serva
anche a creare il c.d. “permissive consensus”, ovvero quella legittimazione che gli permette di agire
liberamente nella fase di crisi. Il meaning-making si compone di due momenti: a) formulare un
messaggio persuasivo su cosa è successo e perché, sulle possibili ripercussioni, sulle possibili
soluzioni, su chi bisogna fare affidamento; b) consegnare il messaggio: parole, immagini, gesti,
timing, performance; simboli e riti.
4. Shaping responses/decision-making): prendere le decisioni ultime e approntare il processo
decisionale, definendo il contesto in cui viene presa la decisione – attribuzione delle competenze
decisionali su diversi livelli.
5. Ending a crisis: decidere il momento in cui la crisi è terminata e fare in modo che questa non abbia
strascichi a livello di conflittualità politico o di scontri nel dibattito pubblico.
6. Learning: apprendere dall’esperienza, sia in termini tecnici che procedurali etc.
Implicazioni del crisis management e del meaning-making:
- I leader devono rispondere al vuoto cognitivo indotto dalla ‘rottura’ rappresentata dalla crisi con una
narrazione autorevole che faccia intravvedere una via di uscita.
- Frame ‘efficace’: offre una spiegazione credibile di ciò che è successo, offre una guida, instilla
speranza, trasmette empatia, suggerisce che il leader ha il controllo della situazione.
- È perennemente in gioco la loro reputazione, anche perché non possono contare sui successi
precedenti la crisi.
Il meaning-making può assumere l’aspetto di un “blame avoidance”, per cui il leader avanza la c.d.
“apology”, che assume i tratti di un discorso difensivo atto a dimostrare come il leader e il suo entourage
abbiano preso le migliori decisioni possibili. Tra le strategie adottate in questa tipologia di meaning-making,
troviamo:
1. Denial: negazione che consiste nel prendere le distanze da cose considerate negative dall’opinione
pubblica.
2. Bolstering: apparire agli occhi dell’opinione pubblica come in sintonia con delle cose positive.
3. Scapegoating: cercare capri espiatori, ovvero attribuire ad altri la responsabilità per le cose negative
che sono accadute.
4. Reducing offensivness: ridurre il carattere potenzialmente dannoso della crisi, minimizzandola
oppure sganciandosi da qualsiasi responsabilità.
Ci sono, inoltre, degli strumenti linguistici particolari utilizzati sia nella pubblicità che nella propaganda
politica e che hanno come obiettivo generale quello di manipolare le percezioni di chi ascolta:
1. Implicature: sono delle proposizioni che dicono A ma implicano B. Cò che si vuole dire non è detto
espressamente ma è implicato dalla preposizione che effettivamente viene pronunciata.
2. Vaghezza:
3. Implicito della responsabilità o presupposizione: proposizione necessaria affinché un’altra
proposizione sia considerata vera, perché presupposta.
Approfondimento strumenti linguistici per il discorso. Abbiamo due macro-categorie:
1. Implicito del contenuto. Secondo Lombardi Vallauri: “Ci sono espressioni linguistiche che, mentre
esprimono un contenuto, inducono il destinatario a estrarne degli altri non espressi, spesso con
l’aiuto del contesto. L’essenza persuasiva di questi impliciti sta nel fatto che il destinatario, poiché
non “vede” l’emittente asserire quel contenuto, e anzi è lui stesso a costruirlo, più difficilmente lo
metterà in discussione”. Esistono tre tipi di impliciti del contenuto:
a. Sviamento dell’attenzione: un contenuto ritenuto discutibile non viene presentato come
quello del quale si vuole persuadere il destinatario, ma nascosto in un messaggio che dà
l’impressione che sia proposto un contenuto affatto diverso: il destinatario viene portato
a concentrarsi su un contenuto riconoscibilmente vero – che funge da pretesto – e indotto
a vagliare con poca attenzione il resto.
b. Implicature: “proposizioni che possono essere comunicate usando un enunciato senza
però essere esplicitamente dette, ovvero «senza essere parte del significato
convenzionale dell’enunciato [Claudia Bianchi, Pragmatica del linguaggio, 2003] quel
contenuto che c’è ma non si vede» può essere proposto nella propaganda, specie se
discutibile o addirittura falso, poiché consente all’emittente di non esporsi « come la
fonte di contenuti che, se asseriti esplicitamente, sarebbero facilmente riconosciuti poco
veritieri; è invece il destinatario che li integra “di sua iniziativa”, e quindi è meno portato
a metterli in discussione” [Lombardi Vallauri].
c. Vaghezza: adozione di enunciati che restano vaghi e sotto-determinati in conseguenza
della scelta esplicita di «asserire di meno. “Questo in termini di strategia comunicativa
garantisce all’emittente due vantaggi: primo, può deresponsabilizzarsi rispetto a un
contenuto delicato, perché riesce a veicolarlo senza averlo asserito esplicitamente;
secondo, per questo motivo le probabilità di essere contraddetto o semplicemente
riconosciuto erroneo o mendace si abbassano notevolmente”.
2. Implicito della responsabilità: “Un’altra cosa che può rimanere non espressa [rispetto al contenuto] è
la responsabilità dell’emittente per una parte del contenuto trasmesso. Significa (…) che la
responsabilità per quel contenuto viene attribuita anche al destinatario”. Tra gli strumenti più efficaci
dell’implicito della responsabilità è:
a. La presupposizione presenta il contenuto come qualcosa che l’interlocutore o gli
interlocutori hanno già nella loro memoria, di quel contenuto l’emittente non si assume
la responsabilità. Può però accadere che esso sia in realtà nuovo per i destinatari della
comunicazione, ma che per la forma con il quale è veicolato questi non se ne avvedano.
Celebrity Politics
- Mediatizzazione della politica: i media hanno imposto dei criteri per stabilire i valori delle news
(frame) e chi, tra i diversi politici, può avere accesso ai cittadini (audience) – la politica adotta i
criteri valoriali e l’agenda dettata dai media (politicizzazione delle issue), in assenza dei quali non
avrebbe la possibilità di arrivare al pubblico.
- Media logic: insieme dei format dello spettacolo – che funzionano con l’audience -, utilizzati dai
media per trasferire i loro contenuti. Gli interessi della media logic, che si incentrano sull’audience,
si incontrano con quelli della politica, ovvero la ricerca del consenso, per cui si crea una condizione
in cui è lo stesso politico a fornire del materiale al sistema mediatico e, allo stesso, tempo il politico
riesce a raggiungere pubblici che, altrimenti, sarebbero distanti. L’unione delle due logiche porta alla
nascita di nuovi elementi la spettacolarizzazione, il confrontainment, la drammatizzazione,
l’infotainment (caratterizzato dalla dimensione episodica, attenzione data alle soft news, viene
assunta la prospettiva del cittadino comune), la personalizzazione e all’adozione di un nuovo
linguaggio.
Auto-mediatizzazione: comportamento dei leader politici che accettano le regole dei media e che, ad
esempio, costruiscono programmi politici proprio in funzione della loro “notiziabilità”.
→ Il celebrity politician è un prodotto di consumo, il cui “appeal” varia molto nel tempo (non sono
sempre popolari).
La società “mediatizzata”: sono i media a creare le situazioni sociali (Meyrowitz). Da un lato abbiamo la
mediatizzazione della politica, che è un processo top-down, reso possibile da una contestuale
mediatizzazione della società. Secondo Meyrowitz, i media elettronici (TV):
a. Costruiscono la realtà (ciò che è trasmesso appare ‘vero’)
b. Abituano a e diffondono un linguaggio semplificato
c. Fanno cadere le barriere tra i campi di specializzazione (tuttologi/agglomerati di informazioni
piuttosto che argomentazioni lineari)
d. Fanno cadere le barriere tra pubblico e privato (messa in scena del privato)
e. Minano il concetto di autorità (autorevolezza): assenza di distanza del politico, non più percepito
come portatore di competenze specifiche
Tipologie di celebrity politics:
1. Celebrità che sostengono un politico;
2. Celebrità che intraprendono la carriera politica;
3. Politici che diventano celebrità: si presentano e sono rappresentati come tali
Si tratta, quindi, di una vera e propria contaminazione tra la politica e lo star system; una forma di leadership
sostenuta dalla fama, dall’ammirazione e dalla drammatizzazione, piuttosto che dalle elezioni, dalla
rappresentanza e dalla responsabilità. In Francia, si parla di “peoplelisation”: processo di trasformazione dei
politici in VIP.
Elementi della celebrity politics:
a. Propensione degli uomini politici a presentarsi come personaggi, disvelando aspetti della loro vita
privata e della loro personalità
b. Presentazione della propria vita e della propria azione secondo i canoni della fiction
c. Interesse dei media popolari per i personaggi politici, trattati alla stregua di star
d. Allineamento - prodotto dagli imperativi della concorrenza - dei media ‘seri’ alle forme e ai
contenuti dei primi
e. In primo piano non idee e progetti, ma vita privata, intima, gossip: il racconto della vita politica
avviene attraverso la sfera privata. La figura del politico si avvicina agli elettori, al grande pubblico
che lo percepisce come “umano”. La c.d. “intimate politics” implica un trasferimento dei valori della
sfera privata in quella pubblica (Liesbet Van Zoonen). Stayer poi individua diversi cerchi concentrici
della “intimate politics”: individual domain, domain of relationship e spatial domain.
Efficacia della celebrity politics per il politico:
a. Da un lato il personaggio viene descritto con qualità eccezionali, che seducono il lettore e lo
allontanano da esso, dall’altro attraverso tratti più ordinari, che avvicinano la ‘star’ all’uomo comune
e permettono a quest’ultimo di identificarsi con essa.
b. In una situazione di alta concorrenza i media generalisti adottano formati e contenuti più popolari;
gli uomini politici cercano di attirare i settori della popolazione più refrattari al discorso politico
tradizionale. In questi casi, l’interesse del marketing politico si unisce a quello dei media
commerciali.
Un fattore importante è la sempre crescente importanza della “quotidianità”, tanto che è nata una nuova
dimensione politica e del politico, l’”everyday celebrity politicians”. La differenza tra ‘superstar celebrity
politicians’ e ‘everyday celebrity politicians sta nel fatto che il secondo si sia adattato alla crescente
‘democratizzazione’ della celebrità - la persona comune collocata in una situazione straordinaria – tanto da
essere considerato il figlio del reality e dei social media. Nell’equilibrio tra eccezionale (e distante) e ‘come
tutti’ (e vicino), prevale la seconda dimensione.

I casi: Ronald Reagan


1. Affermazione della c.d. “campagna permanente”. Reagan applica alla Casa Bianca le tecniche
che ha utilizzato per arrivarci […]. Così come il metodo è nuovo, lo è anche il linguaggio. A
differenza dei vecchi politici […] gli uomini di Reagan parlano di open windows (l’apertura della
pubblica opinione alle iniziative presidenziali), di target opportunities (eventi o temi dai quali si può
prontamente trarre vantaggio), sequencing (il timing e l’ordine di una serie di azioni), resistance ratio
(il grado in cui il pubblico accetta Reagan e ciò che sta facendo), e della necessità di essere proattivi
piuttosto che reattivi (Blumenthal, 1981, The New York Times).
2. Figura del celebrity politician. La sua amministrazione segnò il momento in cui si realizzò
l’istituzionalizzazione del trend di lungo periodo del celebrity politician verso la costruzione
dell’immaginario, dello stile, della performance e della personalizzazione […]. Lo spin sarebbe
diventato definitivamente un aspetto cruciale della vita pubblica degli Stati Uniti [Wheeler 2013].
3. Passaggio presidenza moderna a post-moderna.

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