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SISTEMI GIURIDICI COMPARATI

DIRITTO COMPARATO

L’evoluzione del diritto comparato e del suo insegnamento

La comparazione si è venuta affermando la sua necessità per la formazione di giuristi, diplomatici, operatori di pace ed
economici. La globalizzazione dell’economia, l’intensificarsi dei rapporti commerciali-culturali con mondi lontani
all’occhio occidentale hanno contribuito. Il XIX sec è caratterizzato da una chiusura netta dei confronti di ciò che è
estraneo, secolo delle codificazioni e dello statualismo; la seconda metà del secolo è pervasa dal positivismo
giurisprudenziale/legislativo e dalla percezione del diritto come fenomeno eminentemente nazionale.

Il diritto comparato odierno nasce nel 1900 a Parigi, quando si svolge il Congresso internazionale di diritto comparato,
nel clima dell’esposizione mondiale. L’idea utopica era quella di un diritto comune dell’umanità, un diritto mondiale, lo
strumento con cui farlo era il diritto comparato, in quanto serve a ricavare principi comuni e a superare le barriere tra
diversi diritti. Il periodo degli anni’30 è detto “clima dell’Aja”, che produce convenzioni volte a istituire una corte
permanente di arbitrato per risolvere pacificamente le controversie fra gli stati e per unificare norme di diritto
internazionale privato. Si avverte l’esigenza di una cooperazione politica e giuridica internazionale, tradotta nella
Società delle Nazioni (1920) e di una Corte internazionale di giustizia per la soluzione pacifica delle controversie fra
stati. Il mondo dopo la II GM è caratterizzato da straordinario progresso tecnologico, epoca di esigenze nuove per cui è
necessario un nuovo diritto o meglio la consapevolezza che il diritto è un fenomeno sociale in continua trasformazione.

Natura del diritto comparato

Il diritto comparato è quella parte di scienza giuridica che si propone di sottoporre a confronto critico e ragionato più
sistemi/gruppi di sistemi giuridici nazionali macrocomparazione e microcomparazione. Il diritto comparato è
diverso dai tradizionali rami del diritto positivo. Il diritto internazionale privato è parte del diritto positivo nazionale ed
è diverso dal diritto comparato, ma il diritto comparato è utile/indispensabile al diritto internazionale privato; il diritto
internazionale pubblico è un sistema giuridico sovranazionale diretto a regolare relazioni fra stati, diverso da quello
comparato. Sarebbe più corretto usare l’espressione comparazione giuridica.

Se di norma la comparazione non è diritto positivo, vi sono ipotesi in cui la comparazione può essa stessa presentarsi
come diritto positivo. Ad esempio, l’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia che menziona “i principi
generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili”, con una visione eurocentrica. Ad. Esempio l’art. 340 TFUE “In
materia di responsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai
diritti degli stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni”. Il
ricorso a presunti principi generali comuni è la via per arrivare al controllo della legittimità degli atti comunitari.

La comparazione giuridica è diversa dallo studio del diritto straniero, che è generalmente il presupposto della
comparazione ed è implicitamente comparatistico dal momento che pone a confronto la categoria giuridica “straniera”
con categorie nazionali.

Stretti rapporti tra diritto comparato e altre discipline non positive: la teoria generale del diritto, la storia del diritto, la
sociologia ed etnologia giuridica. La comparazione è essenziale per comprendere la relatività di concetti, per costruire
una teoria generale del diritto che si elevi sui particolarismi propri dei diritti locali. Lo storico del diritto è comparatista
nel senso che “valuta” il diritto storico oggetto del suo studio alla luce della propria formazione di giurista nazionale.

Funzioni e fini del diritto comparato

La comparazione persegue alcune funzioni fondamentali. Il primo compito della comparazione giuridica è
l’acquisizione di una migliore conoscenza del diritto. Inoltre, essa mira a restituire alla scienza giuridica il carattere di
universalità, proprio di ogni scienza. Il diritto comparato mira a far comunicare giuristi appartenenti a tradizioni
differenti; si inserisce quindi una finalità del diritto comparato, quella di fornire gli strumenti per tradurre
correttamente i testo giuridici. Il giurista deve ricostruire l’effettivo significato del termine nel contesto
dell’ordinamento giuridico al quale appartiene per confrontare l’esito con il vocabolo offerto dall’altra lingua. La storia
definisce vari esempi di imitazione o trapianti massicci di interi sistemi normativi da un paese all’altro (es. Code Civil).
Un “flusso giuridico” è qualsiasi dato dell’esperienza giuridica il quale, proprio di un sistema, sia percepito in un altro e
qui introduca un elemento di squilibrio. Anche se due testi normativi sono identici non è detto che lo sia anche la
pratica applicativa, occorre guardare non solo la law on the books ma anche la law in action. Legal transplants.

Ci si deve chiedere se e in che limiti ci si possa avvalere di una soluzione straniera per l’interpretazione del diritto del
proprio paese. I comparatisti si sono occupati di circolazione di modelli giuridici e trapianti che presuppongono un
sistema che “esporta” e un sistema che “importa”. Vi sono ordinamenti in cui il richiamo all’esperienza straniera è
frequente, o meno o rari. Nei sistemi di common law ove non si è sviluppata alcuna codificazione e che sono sistemi
aperti, è relativamente frequente il caso di sentenze che richiamano ad esperienze straniere. Divisione in 3 gruppi:

 Quei paesi che non sono favorevoli a comparazione. Le sentenze delle corti superiore della Francia sono note per la
loro brevità e fanno aperto riferimento a testo legislativo nazionale. L’Italia ha pochi esempi di comparazione; ma la
sentenza n. 21748/2007 in tema di fin di vita altrimenti nota come Caso Englaro, in cui si doveva decidere la legittimità
della richiesta di interrompere idratazione e alimentazione artificiali della figlia in coma vegetativo permanente, la
Cassazione fa riferimento ai principi costituzionali e prende in considerazione la giurisprudenza delle corti americane,
della House of Lord, del tribunale costituzionale federale tedesco e la legislazione francese. La Corte di Strasburgo
osserva come solo la metà degli stati del Consiglio d’Europa abbia introdotto strumenti volti a consentire la riapertura
dei processi civili a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di accertamento di violazioni
convenzionali.
 Paesi in cui le corti fanno uso della comparazione quale strumento d’interpretazione in modo piuttosto frequente.
L’Inghilterra ha la tendenza dei giudici a invocare il diritto straniero come prova supplementare o a supporto di ciò da
dimostrare. Ci possiamo chiedere se la nuova Supreme Court rimarrà tale anche dopo la Brexit. La Corte costituzionale
ungherese deve decidere questioni riguardanti i diritti fondamentali, adottando metodo comparativo. In Germania,
nel tribunale costituzionale federale, il metodo comparativo viene spesso usato in aggiunta a mezzi di interpretazione
tradizionali per confermare e per promuovere un risultato.
 Vi sono alcuni rari ordinamenti nei quali i giudici fanno apertamente uso della comparazione come prassi regolare. Il
Canada ha un approccio aperto e multiculturale al diritto: le corti canadesi citano la giurisprudenza inglese, del
Commonwealth o americana, i sistemi di Civil law (interesse francese). Il Sud Africa ha avuto una costituzione
provvisoria 1993-96, poi definitiva nel 1996, che ha prodotto una originalissima diposizione in tema di interpretazione
dei diritti fondamentali. Il secondo capitolo che contiene il Bill of Rights: “must considere international law e may
consider foreign law”.
L’esperienza USA merita discorso a parte; non è una novità che le corti prendano in considerazione esperienze
giuridiche diverse dalla propria.

L’espressione “dialogo fra corti” può riferirsi al fenomeno dell’uso della comparazione come strumento di
interpretazionedialogo orizzontale; e al proficuo rapporto che si instaura tra le corti nazionali e le due corti UE
dialogo verticale(Corte di giustizia e Corte europea dei diritti dell’uomo).

Durante il convegno parigino 1900, si attribuiva alla comparazione giuridica il compito di gettare le basi per un diritto
comune di umanità. E’ indispensabile cercare una certa unificazione/armonizzazione del diritto, soprattutto in alcuni
settori. Un metodo di unificazione è quello risultante da convenzioni internazionali. Un metodo di unificazione è
quello delle convenzioni internazionali: le due Convenzioni di Ginevra, la Conferenza dell’Aja, UNCITRAL per
modernizzare regole di commercio internazionale e UNDIDROIT organo della Società delle Nazioni. Il diritto è
pienamente coinvolto dalla tendenza ad imporre un unico modello di regolamentazione economico-sociale, con
l’avvento della globalizzazione. Sono sorti molti organismi, dotati di poteri normativi e anche di meccanismi di
soluzione delle controversie e attuazione delle decisioni, accanto e al di sopra degli stati nazionali che hanno ceduto in
parte la loro sovranità. E’ da segnalare il fiorire della soft law, che, auspice la globalizzazione, tende a sostituirsi ai
legislatori nazionali per regolare relazioni sociale e a carattere transnazionale. L’UNIDROIT ha elaborato una disciplina
uniforme dei principi dei contratti commerciali internazionali. L’altro esempio è quello dei “Principles and Rules of
Transnational Procedure”, con lo scopo di proporre un modello di processo accettabile in tutto il mondo per la
soluzione di controversie commerciali transnazionali; e per offrire ai legislatori un modello di soluzione delle
controversie civili al quale ispirarsi con l’obiettivo di attenuare le divergenze fra i vari ordinamenti processuali. Inoltre,
vi sia una sorta di dialogo fra legislatori, con riforme caratterizzate da filosofia della convergenza nell’area della
giustizia civile. Diverso è il caso in cui la globalizzazione diventa sinonimo di imperialismo culturale (USA), istituzioni
quali la Banca mondiale o il Fondo monetario pretenderebbero dal diritto comparato di essere strumento volto a far
emergere ciò che difetta in altre società e che impedisce loro di essere più simili all’occidente.

Esempio di unificazione e armonizzazione a livello regionale: ’UE, che dalla sua fondazione ha prodotto un livello
notevole di armonizzazione; in origine esistevano 3 comunità riunite nel 1976 in un’unica Comunità europea articolata
in 4 istituzioni (Trattato Lisbona 2009):

 la Commissione è suo organo esecutivo e motore della produzione normativa, composta da 28 membri, essa
rappresenta gli interessi dell’UE nel suo insieme e presenta proposte di legge al Parlamento e Consiglio e svolge
importante compito di vigilanza sull’applicazione del diritto europeo;
 il Consiglio Europeo, composto da capi di stato, dal Presidente e dal Presidente della Commissione, definisce gli
orientamenti e le politiche generali dell’UE;
 il Parlamento europeo, pur eletto dai cittadini, concorre con Commissione e Consiglio alla formazione di norme
comunitarie;
 la Corte di Giustizia di Lussemburgo, composta da un giudice per ogni stato membro e da 9 avvocati generali, chiamati
a presentare pareri motivati sulle cause sottoposte al giudizio della Corte.
Nuovo disegno di cooperazione, in vista dell’ampliamento dell’UE stessa, fondata su 3 pilastri: Comunità europea;
politica estera e sicurezza comune; giustizia e affari interni. Si è sviluppato un sistema volto a rendere uniforme o
armonizzare le regole. Molti sono stati gli interventi armonizzatori del legislatore europeo, rafforzati da una
giurisprudenza assai incisiva della Corte di giustizia sul primato del diritto comunitario. Talmente profonda è stata
l’incidenza della produzione normativa comunitaria nel campo del diritto privato che da tempo è aperto dibattito su
codice civile europeo. E’ verosimile che si preferisca armonizzare gradualmente dal basso, ad esempio con la
Commissione Lando che ha prodotto i Principles of European Contract. Significativo è pure il fatto che l’UE stia
costruendo un processo civile europeo. Un ruolo di grande rilievo ha assunto la Corte di giustizia che ha dato ampio
risalto al diritto alla tutala giurisdizionale piena ed effettiva; ha anche affermato la “forza espansiva” del diritto
comunitario a quelle situazioni che resterebbero prive di tutela. E’ stato istituito l’European Law Institute (ELI) che si
propone di migliorare la produzione normativa (law-making) in Europa e il rafforzamento della integrazione giuridica
europea. Il Consiglio d’Europa promuove l’unità di tutta l’Europa occidentale (ora 47 paesi), spicca la Convenzione
siglata a Roma il 4 novembre 1950, una sorta di Bill of Rights internazionale. Essenziale nell’opera di concretizzazione
della Convenzione è la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo accessibile agli individui, che ritengano
lesi i propri diritti garantiti dalla Convenzione, una volta esauriti i rimedi interni.

La varietà dei diritti positivi

Vi è presenza di una grande varietà di sistemi giuridici, dovuti a vari fattori: particolari condizioni naturali di un
territorio, la storia e cultura del popolo, la volontà politica. Ciascun sistema corrisponde ad uno stato, talvolta
concorrono all’interno di uno stesso stato più sistemi giuridici: in USA è presente un sistema di diritto federale, i
sistemi dei singoli stati, sistema di diritto uniforme che non corrisponde al diritto federale ovvero Uniform Commercial
Code.

Le forme e manifestazioni della varietà e diversità dei diritti vigenti nei diversi paesi, esse si traducono in differenze di
vario ordine. Diversa può essere l’importanza attribuita alla norma giuridica. Essa può godere di un primato assoluto;
o sottomessa a una regola superiore, come ordine religioso; assumere ruolo strumentale, di preparazione ad un
particolare tipo di società per poi scomparire.

Le fonti normative sono la legge, la consuetudine, la giurisprudenza e la dottrina. Nei paesi di common law il formante
giurisprudenziale ha un ruolo preminente mentre la dottrina ha scarso rilievo. La norma giuridica di produzione
legislativa può presentarsi con maggiore/minore generalità/astrattezza. Il quadro normativo può essere
tendenzialmente stabile oppure mostrarsi più dinamico ed esigere frequenti aggiornamenti.

Riguardo all’interpretazione può darsi un atteggiamento più formalista, che attribuisce importanza preminente al testo
e predilige un approccio ermeneutico letteraleapproccio interpretativo, oppure maggiore attenzione allo spirito
della regola, riscontrabile nei paesi di common law. In alcuni ordinamenti si fa ricorso a principi equitativi. Nei paesi di
civil law le grandi codificazioni e valori fondamentali hanno troncato ogni possibilità di concepire l’equità in antitesi al
diritto; anche nei paesi di common law, il consolidamento dell’equity e la sua trasformazione in un sistema, uniti
all’accresciuto ruolo del legislatore, rendono improbabile l’ipotesi di new equity. Vi possono essere differenze rispetto
al grado di effettività della norma giuridica, ovvero se la norma è effettivamente osservata e come si garantisce tale
osservanza; rilevano le differenze relative all’organizzazione giudiziaria e relative al ruolo della giurisdizione.

Le diversità tra i vari diritti possono essere superate da una molteplicità di fattori. Tra i compiti del diritto comparato vi
è quello di individuare perché alcuni modelli giuridici abbiano avuto particolare fortuna e come abbiano circolato.

Il diritto romano ha perduto il suo particolarismo locale, lo ius quiritium ha ceduto il posto al ius gentium. Il diritto
romano si è imposto in due tempi: prima attraverso le conquiste militari, poi attraverso la rinascita degli studi
nell’Europa medievale; all’inizio di impone per forza di autorità, poi per autorità della ragione. In Europa si restaura il
sentimento del diritto, della sua dignità, della sua importanza. Si costruisce un vocabolario giuridico comune idoneo ad
una comunicazione transnazionale.

Il diritto canonico è stato importante fattore di uniformità, per lungo tempo le giurisdizioni ecclesiastiche sono state le
sole competenti per le questioni temporali che avevano un legame più o meno stretto con la religione e solo in un
secondo momento le giurisdizioni laiche estesero le loro competenze in settori appartenenti alla Chiesa. Il diritto
islamico ha valenza universale, precetti rivelati da Dio agli uomini.

L’entusiasmo e le idee della Rivoluzione francese, le Conquiste di Napoleone, l’equilibrio e la sistematicità delle sue
norme, sono tra le cause della circolazione del Code Civil (1804). Esso fu applicato d’autorità nei territori conquistati,
ma dopo la propria indipendenza tali paesi hanno mantenuto o comunque imitato il Code. Gli schemi teorici elaborati
dalla pandettistica tedesca hanno dato luogo a molte imitazioni da parte della dottrina di altri paesi. Circa un terzo del
mondo vive in un regime giuridico influenzato dalla Common Law inglese.

Comparazione giuridica e classificazioni: le famiglie giuridiche

Si tenta di semplificare l’indagine sui sistemi raccogliendoli in gruppi/tradizioni/famiglie. Per sistema giuridico si
intende “un complesso operativo di istituzioni, procedure e norme giuridiche”, vigente in un dato territorio o per un
gruppo particolare di persone. Esistono tanti sistemi giuridici quanti sono gli stati nazionali cui devono aggiungersi le
organizzazioni internazionali e i diritti di alcune comunità non statuali. La tradizione/famiglia giuridica raccoglie quei
sistemi giuridici/ordinamenti che condividono “un complesso di atteggiamenti profondamente radicati, storicamente
condizionati, sulla natura del diritto, sul ruolo del diritto nella società e politica, sull’organizzazione e funzionamento di
un sistema giuridico, e sul modo in cui il diritto deve essere creato. La tradizione giuridica collega il sistema giuridico
alla cultura.

Ogni classificazione ha senso come mezzo e non come fine, giustificata solo se introduce uno schema concettuale
all’interno del quale la conoscenza comparata dei sistemi risulti in qualche modo accresciuta. Ogni classificazione è
imperfetta, vale con riferimento al momento storico dell’osservatore. Nella comparazione giuridica nessuna può
pretendere di inquadrare completamente qualsiasi aspetto del diritto; es. la dicotomia civil-common law può essere
inadeguata per alcuni aspetti. E’ da tenere presente che la classificazione delle famiglie è resa particolarmente
complessa dal fatto che i sistemi giuridici sono entità dinamiche; alcuni autori hanno parlato di layered complexity;
altri hanno sottolineato la particolare difficoltà di ogni intento classificatorio nascente dalla compresenza in uno stesso
ordinamento di numerosi formanti.

Arminyon, Nolde e Wolff propongono negli anni ’50 una suddivisione dei sistemi moderni in base al loro contenuto
intrinseco, indipendente da fattori esteri quali geografici/raziali, individuando 7 famiglie:

 Gruppo francese autonomia e influenza Code Civil


 Gruppo tedesco tradizione codici civili austriaco (ABGB), tedesco (BGB) e svizzero (ZGB) imitati in paesi balcanici
 Gruppo scandinavo
 Gruppo inglese (e derivati) diritto giurisprudenziale
 Gruppo indù
 Gruppo islamico
 Gruppo russorilievo attribuito al governo dall’economia
David sosteneva che i sistemi potevano essere raggruppati solo in considerazione del fattore ideologico e del fattore
tecnico-giuridico, una prima sua classificazione era:

 Sistema di diritto occidentale


 Sistema di diritto sovietico
 Sistema di diritto musulmano
 Sistema di diritto indù
 Sistema di diritto cinese
In seguito, David procede a revisione della classificazione con riduzione del numero a 4 famiglie:

 Famiglia romano-germanicainfluenza profonda diritto romano , ruolo preminente dottrina, diritto come regola di
condotta e modello di organizzazione sociale, primato diritto privato
 Famiglia common law primato dei giudici, norma quale strumento volto a risolvere controversie concrete,
prevalenza diritto pubblico
 Famiglia diritti socialisti obiettivi che il giurista si pone: l’attuazione dei principi fissati dal marxismo leninismo
 Sistemi filosofici-religiosi (Altre concezioni dell’ordine sociale e del diritto) la stessa ide adi diritto e la sua rilevanza
si pongono in modo molto diverso rispetto a occidente
Zweigert e Hotz propongono quale criterio distintivo delle varie famiglie giuridiche: l’idea di stile, che racchiude 5
elementi:

 Evoluzione storica evidente nel common law


 Particolare mentalità giuridica sul continente in termini astratti e si individuano istituiti giuridici, in
Inghilterra in termini controversie
 Istituti giuridici particolari
 Fonti del diritto e metodi per la loro interpretazione
 Ideologia dottrina politico-economica o credenza religiosa incidente sul diritto

Zweigert e Hotz si concentrano su 4 famiglie tutte europee:

 Famiglia romanistica
 Famiglia germanica
 Famiglia di common law
 Famiglia nordica

Ugo Mattei sostiene che le classificazioni tradizionali possono considerarsi superate perché non in grado di cogliere le
grandi linee della carte geografica di un mondo mutato, anche su piano giuridico. E’ proposta una classificazione che
tiene conto di importanti mutamenti: crollo dei regimi socialisti dell’Europa orientale; successi in Cina; straordinaria
evoluzione diritto giapponese; accresciuta presa nel mondo islamico riguardo cultura e diritto; raggiunta indipendenza
di tutto mondo africano. Proposta una classificazione che tiene conto delle concezioni del diritto diverse, che ha delle
sottofamiglie:

 Famiglia caratterizzata dall’egemonia del diritto come modello di organizzazione sociale (Rule of Professioanl
Law) Caratteristiche: separazione diritto-politica; secolarizzazione diritto. Separazione diritto-tradizione
religiosa/filosofica. Fanno parte:
 Sistemi di common law
 Sistemi di civil law
 Sistemi misti
 Famiglia caratterizzata dall’egemonia della politica come modello di organizzazione sociale (Rule of Political Law)
Tutti i sistemi in cui non c’è stato divorzio tra diritto e politica. Chiamato diritto dello sviluppo e della transitorietà.
Comprende:
o Molti paesi ex-socialisti dell’Europa orientale
o Paesi in via di sviluppo africani e latinoamericani
 Famiglia caratterizzata dall’egemonia della tradizione religiosa/filosofica come modello di organizzazione sociale
(Rule of Tradition) No divorzio fra diritto e tradizione. Appare prevalentemente la presenza di regole strettamente
religiose e tradizionali.; con la prevalenza del principio gerarchico su quello democratico, e con l’enfasi sui doveri
piuttosto che i diritti. Comprende:
o Paesi musulmani
o Paesi indù
o Paesi dell’estremo oriente a tradizione confuciana, buddista, taoista etc.
L’aspetto interessante è la dinamicità, che risponde bene alle continue evoluzioni. Un ordinamento può
muoversi lungo i lati di un ipotetico triangolo, i cui vertici sono segnati da Tradizione, Politica e Diritto.
CODE CIVIL

L’archetipo delle grandi codificazioni civilistiche che più compiutamente riassume i contenuti della Rivoluzione è il
Code Civil des Français. Il Code Civil (1804) è il fulcro del diritto civile francese e il modello delle codificazioni
privatistiche dei sistemi a base romanistica. E’ il primo vero codice dell’età moderna: la riorganizzazione delle leggi
serve al sovrano per consolidare il suo impero ed estendere l’egemonia dello stato assoluto, assumendo toni
paternalistici. Riformula i rapporti civili e obbedisce a scelte sistematiche e assume il modello garantistico a guida di
una coerente organizzazione del diritto, segnando il trionfo dei gruppi borghesi. Il Code Civil è un atto di rottura con il
passato e una proiezione verso il futuro, costituisce il rifiuto del modo orami superato di produzione del diritto riflesso
nel droit coutumier. Il codice rappresenta la fine di un itinerario dal droit alla loi; la legge diventa unica fonte capace
di esprimere la volontà generale e il principe esprime con la legge lo spirito della nazione, avviene la monopolizzazione
del potere legislativo da parte dello stato borghese. Il Code Civil tende verso 3 direzioni: unità, completezza ed
esclusività. Il Code Civil non è solo conseguenza degli eventi rivoluzionari e della volontà di Napoleone. Si avverte
l’esigenza di creare un diritto consuetudinario francese attraverso la redazione delle consuetudini. Anche la presenza
di un ceto di giuristi pratici potente e rispettato intorno al Parlamento parigino ebbe una gran importanza.

La Rivoluzione rappresentò momento di rottura. Tra la prima riunione dell’Assemblea nazionale (1789) e la presa di
potere di Napoleone (1799) si impose in Francia un diritto rivoluzionario droit intermediaire, che sovvertì l’ancien
regime sostituendovi la concezione di una società illuminata centrata sull’individuo sullo stato, che ha il dovere di
liberare i cittadini dai vincoli posti dalle autorità per concedere gli stessi diritti a tutti. L’Assemblea costituente aveva
tra gli obiettivi quello di un codice di leggi civili comuni a tutti il regno. Un primo progetto fu predisposto da
Cambaceres, respinto perché troppo complesso; le discussioni su un terzo progetto di Cambaceres furono interrotte
dalla presa di potere di Napoleone.

Napoleone aveva a cuore il progetto di codificazione, nominò subito una nuova commissione che in soli 4 mesi
terminò i lavori; composta da 4 membri: due rappresentanti dei paesi del nord (a prevalenza di diritto
consuetudinario) e due rappresentanti dei paesi del sud (a prevalenza diritto scritto, a base romanistica). Il progetto
doveva essere approvato da vari organi, fra cui il Tribunato, tra cui alcuni oppositori come Benjamin Constant, il
Tribunato manifestò subito la sua ostilità costringendo Napoleone a ritirare il progetto. Quando Napoleone chiede di
nuovo approvazione nel 1803, dopo aver rinnovato la composizione del Tribunato, il progetto fu subito approvato.
Nelle 102 sedute di discussione del progetto di fronte al Consiglio di Stato, 57 furono attivamente presiedute da
Napoleone, contribuendo personalmente alla stesura: una certa impronta del condottiero sul Code Civil è evidente
nell’uso della terminologia chiara e un disegno patriarcale della famiglia.

Il Code Civil è una codificazione vera e propria, riflette l’esistenza di 3 condizioni fondamentali: un potere politico
deciso a volere la codificazione; una scelta rivolta a favore di regole di insieme di largo respiro; una matura
elaborazione di queste regole d’insieme.

Il Code Civil ha stile letterario, redatto in modo semplice ed elegante, in teoria per essere compreso da tutti. Si colloca
a metà strada fra i principi generali e le regole casistiche. Il Code Civil si componeva di 2281 articoli, distribuiti in un
titolo introduttivo e 3 libri:

 Il Titolo introduttivo (6 articoli) contiene alcune norme importanti. L’art. 5 vieta al giudice di disporre in via generale e
regolamentare, vieta al giudice, dato il principio di separazione dei poteri, di seguire la prassi sviluppata dai Parlamenti
prerivoluzionari e dal Parlamento di Parigi; vieta al giudice di sostituirsi al legislatore emanando regole generali di
condotta e vieta di risolvere controversie sulla base di precedenti. L’art. 4 mette in rilievo il divieto di non liquet.
 Il Primo libro (artt. 7-515) Persone. L’art. 8 dichiara che il titolare di diritti civili è il cittadino francese, centralità
individuo.
 Il Secondo libro (artt. 516-710) Proprietà. Della sua centralità vi è traccia anche nella previsione di diritti reali in
numero chiuso, a fronte della tendenza alla frammentazione tipica del regime feudale.
 Il Terzo libro (artt. 711-2281) Diversi modi di acquisto della proprietà. Contiene la disciplina di una serie poco
omogena di istituti; l’altro pilastro dell’individualismo e della libertà di agire in senso economico è espresso nella
libertà contrattuale. Notissimi sono i 5 articoli 1382-86 sulla responsabilità da atto illecito
Il Code Civil è l’archetipo dei codici borghesi emanati nel corso del XIX sec, manca un inquadramento giuridico del
rapporto di lavoro, e il diritto di famiglia ruota introno alla figura patriarcale. Come può sopravvivere un codice entrato
in vigore due secoli fa? Si è assistito ad un fenomeno crescente di decodificazione, ovvero al moltiplicarsi di
disposizioni legislative al di fuori del codice. La dottrina affermava che il Code Civil “è e deve rimanere il diritto
comune, senza scendere nella normativa di dettaglio”. I tentativi di riforma del Code Civil sono naufragati. Il
legislatore è intervenuto in alcuni casi a modificare il testo stesso del codice civile piuttosto he affidarsi a leggi speciali
esterne ad esso. Il diritto di famiglia è stato profondamente riformato; alla donna la società riconosce un nuovo ruolo;
parità tra figli legittimi e non; riconosciute unioni civili. Anche in materia di diritto delle obbligazioni e contratti, dopo
una serie di progetti, si è arrivati all’Ordonnance (2016) volta a riformare il diritto dei contratti in senso stretto e il
regime generale e la prova delle obbligazioni; con tale riforma si è cercato di restituire al Code il ruolo centrale che
aveva inevitabilmente perso, a beneficio di regole più adeguate ai bisogni della società dettate dalla giurisprudenza
della Cour de Cassation e dal diritto di derivazione comunitaria.

La giurisprudenza ha contribuito a adeguare il Code Civil alle nuove esigenze attraverso una interpretazione evolutiva
favorita dal particolare livello semantico di alcune disposizioni del codice. Anche la dottrina ha contribuito
all’adeguamento, inizialmente si limitò a effettuare una esegesi grammaticale e logica del testo; il principio di
separazione dei poteri, la fedeltà ai principi liberali e l’annientamento del prestigio dei giuristi ad opera delle
rivoluzioni portarono in Francia alla condanna dell’attività creativa dell’interprete.

Fu larghissima la circolazione del modello Code Civil. A una diffusione ratione auctoritatis segue una diffusione
auctoritate rationis. Anche dopo Congresso di Vienna, imitazioni/traduzioni del Code Civil restano in vigore/riadottate,
in alcuni stati preunitari italiani, nei territori a ovest del Reno, nel Granducato di Baden, nei Cantoni di Ginevra e Giura
Bernese. Il Belgio ha mantenuto in vigore il Code Civil, fatto oggetto di interventi legislativi di riforma. Il Burgerlijk
Wetboek olandese (1838) è basato sul modello francese, di cui spesso si limita a tradurre disposizioni. Quando l’Italia
codifica prende ispirazione dal modello francese. Il Codigo civil spagnolo (1889) si basa essenzialmente sul Code Civil,
soprattutto per il diritto delle obbligazioni. Il Portogallo passa da un codice di matrice francese a quello di matrice
tedesca. Il Code Civil esercita influenza anche su paesi America Latina, una volta sottratti al dominio spagnolo. La
Francia è stata una grande potenza coloniale, la sua influenza giuridica e del Code Civil è visibile in molti stati africani e
asiatici.
PRUSSIA ALR (1794)

In Prussia e in Austria la codificazione ha alle spalle il giusnaturalismo razionalista dei sovrani illuminati. La prima
codificazione è quella prussiana: l’Allgemeines Landrecht fur die Preussischen Staaten (ALR, 1794). Diversa dalle altre
perché aspira a raccogliere ed esporre tutto il diritto, con i suoi 17000 articoli si propone di disciplinare nel dettaglio
ogni possibile fattispecie. Il codice prussiano si segnala come il prodotto più genuino del diritto della ragione, per il
suo scopo politico di rafforzamento del potere del sovrano e per uno scopo educativo. I sudditi sono in sostanza
obbligati a essere buoni cittadini a dispetto di loro stessi. La codificazione di cui si sta parlando è stata definita “diritto
naturale prussiano”, coma la tradizione prussiana del tardo assolutismo illuminato europeo.

Il codice si presenta diviso in:

 Introduzione norme generali di più evidente matrice giusnaturalistica.


 Parte I: Diritti reali norme sul patrimonio del privato
o Modi diretti di trasferimento della proprietà
o Modi indiretti di trasferimento della proprietà
o Trasferimento della proprietà mortis causa
o Manutenzione e perdita della proprietà
o Proprietà collettiva
o Diritti reali e personali sulle cose
 Parte II: Associazioni consociatio groziana
o Diritti fondati su appartenenza alla stessa “Casa”
o Diritti dei diversi ceti dello stato
o Diritti e doveri dello stato nei confronti dei cittadini.
Tale codice ha anche dei limiti: acritica fede nella ragione, sfiducia nei confronti dell’autoresponsabilità dei cittadini,
visone superata società, presunzione di potere regolare tutti i possibili rapporti intersoggettivi.

La sua influenza fu praticamente nulla. Savigny definì l’ALR “per forma e contenuto un mucchio di spazzatura”.
AUSTRIA ABGB (1811)

Anche in Austria la codificazione ha alle spalle il giusnaturalismo razionalista di sovrani illuminati. Si tratta di un
codice longevo, ancora oggi in vigore, sia pure parzialmente. Anche la sua gestazione fu molto lunga (1753-1811),
elaborato da varie commissioni. L’ABGB mira all’unificazione legislativa di uno stato di grandi dimensioni formato da
una congerie di paesi e popoli, esso ha molti punti di contato con il Code Napoleon. E’ connesso con l’ideologia
garantista e i principi dello statualismo. Spicca la necessità di superare la molteplicità delle fonti e di tradurre sul piano
di una legislazione armonica le prospettive della Francia. L’ispirazione garantistica, unita alla fiducia che la certezza
giuridica derivi dalla conoscibilità delle norme, si manifesta dal Preambolo. Forte è il risalto esplicito che conserva
richiamo al giusnaturalismo; per colmare lacune legislative consente l’analogia e poi il ricorso ai principi del diritto
naturali.

L’ABGB è composto di 1502 articoli, codice breve e chiaro/intellegibile. La brevità è causa di lacune, colmate negli
anni 1914-1916 da 3 Novelle. Il codice si articola in 3 parti, precedute da un’Introduzione:

 Diritto delle persone


 Diritti sulle cose diritti reali, diritti personali sulle cose (contratti) e responsabilità extracontrattuale
 Disposizioni comunicostituzione, modificazione, estinzione diritti ed obblighi, prescrizione ed usucapione
Codice illuminista, in realtà in contrasto con la realtà sociale dell’Austria del 1811. I cambiamenti iniziano con
l’ondata rivoluzionario del 1848 che provoca l’abolizione della servitù della gleba e la diffusione delle idee di libertà.
Ma la restaurazione fece retrocedere ancora.

L’influenza dell’ABGB all’estero è minima.


GERMANIA BGB (1900)

La Germania medievale era caratterizzata dalla debolezza del potere imperiale, dalla mancanza di una giustizia regia
forte e di un ceto di giuristi imperiali influente, caratteristiche che permangono fino al 1815, all’indomani del
Congresso di Vienna, quando la Germania è ancora divisa in 39 stati sovrani. Il diritto romano è fonte principale in
alcuni Stati e fonte sussidiaria ovunque. La funzione unificante tocca alla dottrina, una dottrina pantedesca spinta
dall’ideale di unità culturale giuridica tedesca, favorita da una università che in Germania è intesa come una comunità
di professori e studenti liberi.

L’ideale razionalista aveva un suo seguito anche in Germania, dove mancavano le premesse politico-istituzionali
necessarie, mentre le varie codificazioni locali mal si conciliavano con l’ideale dell’unità pantedesca. L’assenza di un
potere centrale forte e determinato fu tra le cause della mancata attuazione pratica della proposta di codificazione
unitaria per tutta la Germania di Thibaut. Secondo Savigny l’idea di codice era superata dalla crisi dell’epoca
dell’illuminismo: il diritto è il prodotto della storia e dello spirito del popolo, il prodotto incessantemente mutevole
della vita sociale. Savigny e la scuola storica respingono l’arbitrio del legislatore, non credono nella fissità dei modelli
ma nel Volksrechtdiritto del popolo, che deve esprimersi tuttavia inevitabilmente in una formulazione tecnica.

Bisogna stimolare la crescita di una organizzata progressiva scienza del diritto. Le consuetudini, parte del Volksrecht,
non lo esauriscono. Della tradizione fa parte integrante anche il diritto romano, si parla di romanizzazione del diritto
tedesco. Il diritto romano classico è visto come espressione di un mondo spirituale superiore, che si presta a essere
adottato come diritto vigente, una volta riordinato in maniera sistematica. Compito del giurista è di predisporre gli
strumenti di conoscenza del diritto, ristrutturando il diritto civile tedesco e di definire i concetti giuridici. Il
concettualismo è il carattere distintivo della scienza giuridica tedesca. Il metodo seguito dal giurista tedesco si ispira a
quello matematico, è un metodo:

 Concettuale identificazione dell’elemento concettuale costitutivo in presenza del quale le ipotesi da considerarsi
rientrano nella categoria oggetto di definizione e in assenza del quale le ipotesi non rientrano nella categoria
 Dogmatico concetti così definiti non ammettono eccezioni, solo dogmi
 Sistematico In presenza di più definizioni, la più corretta è quella che si armonizza con le altre del sistema.
Nel XIX si avevano le prime tendenze volte all’unificazione del diritto tedesco attraverso la codificazione, è
l’unificazione della Germania nel Reich nel 1871 che costituisce il presupposto politico che conduce la Germania
all’unificazione. Il BGB entra in vigore il 1° gennaio 1900, frutto della pandettistica tedesca. Il BGB abbandona lo
schema delle istituzioni gaiane, si suddivide in 5 libri, seguendo la partizione del diritto privato in 5 materie operata dai
pandettisti, per un totale di 2385 articoli.

 La Parte generale contiene i caratteri concettuali comuni dei rapporti giuridici; con le norme generali sulle persone
fisiche e persone giuridiche, alcune definizioni riguardanti beni e concetto di negozio giuridico. Il senso è che le norme
comuni a tutte le relazioni giuridiche devono essere fissate una sola volta.
 Il secondo libro (Obbligazioni) concerne i rapporti obbligatori, la disciplina dei contratti e delle obbligazioni nascenti da
atto illecito.
 Il terzo libro dedicato ai Diritti sui beni, contenente disciplina della proprietà, ancora nella concezione individualista, e
dei diritti reali, del pegno e ipoteca.
 Il quarto libro dedicato al Diritto di famiglia, concezione conservatrice e patriarcale, con forte subordinazione della
donna e netta discriminazione figli legittimi e non.
 Il quinto libro regola le Successioni.
Il BGB è rappresentativo di un mondo in via di dissoluzione, di una storia già consumata. E’ un codice conservatore,
che non attribuisce compito sociale al diritto privato. Il BGB aspira a prospettare un sistema chiuso, caratterizzato da:
definità, completezza ed esclusività. Ciò comporta l’esclusione della consuetudine, e il primato assoluto della legge,
anzi la drastica identificazione fra diritto e legge. La valvola di sfogo sono le Generalklausen, le clausole generali, che
sono direttive, indirizzate in forma di massima al giudice, con la funzione di vincolarlo al principio generale lì espresso;
esse costituiscono una concessione del positivismo legislativo all’autoresponsabilità del giudice, e ad un’etica sociale
metapositiva. Le clausole generali nascondono un pericolo, se la dogmatica del giudice si allenta, c’è il rischio di
affermazione di una fuga nelle clausole generali.

Il BGB è sopravvissuto fino a noi attraversando l’Impero, Weimar, nazismo, due guerre mondiali, la costituzione 1949,
la DDR, la riunificazione, senza grandi modifiche, rimanendo relativamente stabile fino al 1918. Il periodo della
Repubblica di Weimar è un periodo caratterizzato da interventi profondi sia del legislatore che della giurisprudenza. La
legislazione segna di una nuova impronta sociale e liberale alcuni settori del diritto. Nel 1933 Hitler è cancelliere; il
nazionalsocialismo è un movimento totalitario, razzista e rivoluzionario. Ma i 12 anni di potere autoritario non sono
stati sufficienti per distruggere l’ordine giuridico esistente, molti giuristi si sono limitati a un tributo formale verso il
regime che non ha inciso sulla sostanza del diritto, il BGB resistette vittoriosamente. La legge è strumento di
organizzazione sociale. Per quanto riguarda la giurisprudenza, occorre distinguere fra tribunali speciali, proni al
regime, e giurisdizioni ordinarie, posizione ambigua. Le giurisdizioni superiori sono rimaste rispettose dell’antico
diritto, mentre quelle inferiori più sensibile alla dottrina nazionalsocialista. La costituzione del 1949 costituisce il
fondamentale motivo ispiratore dell’evoluzione del diritto. Gli interventi del legislatore si caratterizzano per la loro
apertura sociale, per il loro spirito egualitario, per il loro spirito liberale e umanitario. Ne risulta un tessuto normativo
più adeguato ai tempi, in parte accoglie/riordina norme sparse in varie leggi speciali, in parte innova tenendo conto
delle istanze comunitarie. Da segnalare il ruolo determinante assunto dalla Corte costituzionale federale, che veglia
sul rispetto dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell’individuo.

Modesta e limitata nel tempo è stata la circolazione del BGB. L’influenza si estese dal Brasile al Portogallo, all’Europa
centrale e meridionale, all’Estremo Oriente. L’influenza più profonda fu in Grecia, durante la dominazione ottomana il
diritto greco era il diritto romano-bizantino. Con al trono il Principe Otto von Wittelsbach si guardò all’opera dei
pandettisti, alcuni giuristi si formavano in Germania direttamente. Il codice civile greco (1946) può essere considerato
appartenente al sistema germanico, anche se non è una copia servile del BGB.
SVIZZERA ZGB (1912)

Nel corso del XVIII sec, mentre sul resto del continente europeo si diffondevano idee pro-codificazione, il diritto del
territorio elvetico consisteva nelle consuetudini di origine germanica, applicate da giudici laici elettivi. La conquista
napoleonica (1798) portò alla creazione dello Stato unitario svizzere e all’idea di un diritto privato unitario; anche se
dopo congresso di Vienna ciascun cantone manteneva la propria indipendenza e fu quindi attuata una ristrutturazione
dell’assetto istituzionale. L’ideale illuministico della codificazione aveva preso piede. I cantoni decisero di introdurre un
proprio codice civile:

 Nella zona meridionale e occidentale seguito Code civil


 Nella Svizzera centrale di lingua tedesca seguito modello austriaco
 Il cantone di Zurigo (1853-55) si dotò di un codice, redatto da giuristi locali formati da Savigny, adottando una
visione sistematica e formale del diritto privato.
Si avvertì l’esigenza di rendere unitario il sistema giuridico. Il cammino verso un codice unitario si svolse con tappe
importanti:

 1848 Confederazione raggiunge integrazione nazionale


 1874 entrata in vigore costituzione federale
 1881 entrata in vigore una codificazione unitaria del diritto delle obbligazioni
 1898 una modifica costituzionale espandeva potestà legislativa della Federazione a tutto il diritto civile
Nel 1884 Huber fu incaricato dall’Associazione dei giuristi svizzeri di effettuare una ricognizione del diritto civile per
una sua prossima unificazione; nel 1894 riceve l’incarico di preparare un progetto che nel 1900 era pronto per essere
valutato e approvato dal Parlamento nel 1907. Il ZGB entrò in vigore il 1° gennaio 1912. Huber, pur conoscendo i
modelli pandettistici, andò verso il ramo germanistico della scuola storica dando importanza al diritto consuetudinario.
Un codice che rifiuta il modello di BGB nei suoi aspetti romanistici ed eccessivamente dotti. Lo stile ZGB tende a
seguire la lingua comune, ad evitare l’uso eccessivo dei termini tecnici. In esso non è presente una parte generale, ma
una breve introduzione di 10 paragrafi; inoltre è composto da 4 libri, articolati in 1600 paragrafi: Diritto delle
persone; Diritto di famiglia; Diritto delle successioni; Diritti reali; più un quinto libro formalmente separato: l’OR, il
diritto delle obbligazioni. Il ZGB non va oltre la delineazione dei tratti salienti di ciascun istituto giuridico. Sta al giudice
elaborare la regola da applicare, seguendo linee del codice. Lo ZGB fa leva su clausole generali, attribuendo ruolo
centrale alla giurisprudenza, con funzione integratrice.

Il successo dello ZGB è misurabile nella circostanza che tutti gli ordinamenti in cui si è proceduto a codificare il diritto
privato dopo di esso ne hanno tenuto conto; soprattutto la Turchia che lo ha adottato come modello per modernizzare
il proprio diritto.
CODIFICAZIONI ITALIANE

Il codice del 1865

Il Code Civil indica il modello cui tendono a ispirarsi molti codici degli Stati preunitari; eccezioni solo il Lombardo
Veneto (ABGB), la Toscana e gli Stati Pontifici privi di codificazione civilistica moderna. La diffusione del modello
francese in Italia prepara il terreno alla rapida codificazione del 1865.

Il codice civile del 1865 è filiazione diretta del codice napoleonico. La sua scelta deriva da vari altri fatti: era opportuno
che alla unificazione politica si accompagnasse rapidamente l’unificazione legislativa. In Italia mancava una dottrina di
prestigio e di largo respiro; aveva peso la consapevolezza della derivazione fondamentalmente romanistica del Code
civil, che manifestava permanente intensa vitalità. Il principio della proprietà assoluta e la preminenza dell’individuo
ben rispondevano alle esigenze della borghesia; le strutture economiche del nuovo stato e quelle sociali
corrispondevano in pieno alle categorie giuridiche centrali del Code Civil. Alcune differenze rispetto al codice francese
esistono: art. 2 prel. si riferisce ai mezzi tecnici analogia e ricorso a principi generali per colmare eventuali lacune; l’art.
2 apre ai gruppi intermedi, ammettendo possibilità di attribuire personalità giuridica agli enti morali; l’art. 3 afferma il
principio secondo il quale l’esercizio dei diritti civili è concesso anche allo straniero senza condizioni reciprocità. Il
principio cardine resta l’individualismo. E’ sostanzialmente una copia fedele del Code civil.

La partizione in 3 libri:

 Libro I Delle Persone


 Libro II Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni massima estrinsecazione pratica dei diritti delle persone
e è definito il diritto di proprietà
 Libro III Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose serie disomogenea di
materie
Il codice del 1942

Il codice civile del 1865 risente delle necessità impellenti di codificazione conseguenti all’unificazione politica, con una
società in trasformazione. Alcune esigenze dello sviluppo economico vennero soddisfatte con il codice di commercio
del 1882. La riforma di un codice chiaro nasce come risposta a profonde trasformazioni economico-sociali. Un primo
passo verso la riforma fu l’emanazione di una legge che delegava l governo la riforma che predispose una
Commissione per progettare preliminarmente i primi 3 libri del codice. I primi due libri (Persone e Famiglia, e
Successioni) entrano in vigore il 1° luglio 1939 e il 21 aprile 1940. Su di essi si può notare: impostazione tradizionale
dell’istituto familiare, con accentuazione dell’unità della famiglia e del principio di autorità con larghi interventi di
direzione e controllo statale, sia sotto profilo dei rapporti personali, sia dei rapporti patrimoniali; impostazione
altrettanto tradizionale delle successioni. Totale di 2969 articoli. Nel suo complesso il codice entrò in vigore il 21
aprile 1942.

L’elaborazione degli ultimi 4 libri fu molto affrettata, spiegata con l’ansia del fascismo di fare del codice la propria
ideologia; concessioni si vennero fatte, ma spesso sostanzialmente verbali sicché fu facile ripulire il codice di
incrostazioni fasciste. L’innovazione più importante è costituita dall’unificazione del diritto privato. Viene dato risalto
al lavoro subordinato che dell’impresa è uno degli elementi determinanti.

 Libro III Proprietà


 Libro IV Obbligazionidedicato al rapporto obbligatorio e alle fonti delle obbligazioni
 Libro VLavoro libro più innovativo e più fascista
 Libro VITutela dei diritti
MANCA TRADIZIONE CIVIL LAW LE ORIGINI, L’EPOCA CODIFICAZIONI, I DIVERSI TIPI DI COSTITUZIONALITA’ LI HO FATTI
SU SCHEMA, E MANCA SOPRATTUTTO EUROPA ORIENTALE.

Totale 13 pagine tratte dal riassunto Studocu (pag 9-12, 22,24-31)


ORIGINI COMMON LAW
Common law: significato e natura

L’espressione common law viene usata in contrapposizione al civil law, volta a descrivere l’intera famiglia giuridica per
confrontarla con la tradizione romanista. La circolazione del modello di common law è avvenuta principalmente per
motivi politici e ha seguito l’espansione dell’impero britannico. E’ importante sottolineare che tra i vari ordinamenti
della famiglia di common law vi possono essere differenze notevoli e che queste si vanno accettando sempre di più
soprattutto le due principali esperienze: Inghilterra e USA. Benché tra il versante inglese e il versante americano
sussistano prima differenze importanti, tuttavia la presenza di fattori particolari conferisce alla famiglia di common
law una certa omogeneità. Tra i fattori che contribuiscono a rendere omogenea la common law vi è la presenza del
Privy Council: una corte sovranazionale per il Commonwealth, dotata di autorità persuasiva per molti paesi, US inclusi.
Esso, ha perso molta importanza ma comunque riveste un certo rilievo storico. Anche la natura giurisprudenziale degli
ordinamenti e dunque il loro carattere di “sistemi aperti” li rende piuttosto omogenei. Inoltre, va sempre tenuto
presente che i paesi di common law sono accomunati dall’assenza di codificazioni a carattere nazionale del tipo di
quelle europee. Inoltre, tra i fattori unificanti c’è la comunanza linguistica, che favorisce la completa interscambiabilità
di categorie e concetti giuridici.

La contrapposizione common law-equity è di natura storica ed è interna allo sviluppo del diritto inglese. La common
law in senso stretto è quel ramo del diritto inglese elaborato, caso dopo caso, dalla giurisprudenza delle corti di
Westminster. L’equity è il ramo del diritto inglese, di origine giurisprudenziale, sviluppato dalla corte di cancelleria e
caratterizzato da rimedi processuali estranei al rigore della common law.

La contrapposizione common law-statute law trova le sue radici nella diversa fonte di produzione della regola
giuridica. Common law significa diritto giurisprudenziale, ossia regole create/scoperte dalle corti superiori come frutto
incidentale della soluzione di una controversia. Statute law è il diritto di creazione legislativa. Statutes/Acts sono le
leggi del Parlamento.

Il diritto inglese è il diritto del regno d’Inghilterra, che fin dal 1536 comprende Galles e isola di Wight. Non è corretto
parlare di “diritto britannico”, perché la Scozia ha conservato il proprio ordinamento giuridico.

Le origini della common law e l’affermazione delle corti centrali di Westminster

Il diritto inglese, che in 9 secoli non ha subito alcuna codificazione, non consiste in un sistema di norme ed istituti
separabili in tutto/parte dal passato, ma nelle tecniche e nella giurisprudenza accumulatesi dal XII sec ad oggi. Il punto
di partenza è la “Conquista” del 1066, quando Guglielmo di Normandia sconfigge a Hastings l’ultimo sovrano sassone
e al protofeudalesimo barbarico si sostituiscono le più elaborate strutture feudali normanne.

L’apparato istituzionale normanno è funzionale al potere di vertice: i vassalli sono persone di fiducia, nessuno di questi
è in grado di opporsi al re. Lo schema feudale comprende il re, i Lords e i subtenants: i primi sono legati al re per il
godimento dei fondi e per il profilo politico-militare; i subtenants sono legati ai Lords per la terra, il suo godimento e
conduzione, ma al re per il profilo politico-militare. La monarchia normanna è caratterizzata da una struttura unitaria
e da una mentalità precocemente burocratica. Tale capacità organizzativa è testimoniata dal Domesday Book, frutto
di un censimento generale ordinato nel 1085 da Guglielmo, è in pratica un libro del catasto in cui non solo sono censite
le proprietà, ma viene determinata l’appartenenza dei beni in funzione di individuazione delle classi sociali. Il
censimento è effettuato in ogni contea da un ufficiale regio, un rappresentante del clero e 4 agricoltori; da tale libro
esce il quadro della società inglese dell’epoca.

La struttura precocemente unitaria dello Stato si palesa anche nell’amministrazione della giustizia e nella sua
organizzazione. Suo carattere originario è quello della centralizzazione delle corti e concentrazione a Londra di
giudici/avvocati. La common law è un diritto regio, che ben presto si affranca dallo stesso re e assume caratteristiche
tali di sofisticazione e di imparzialità che gli consentono di sopravviver a crisi civili e politiche. Il processo di
accentramento regio della giurisdizione si compie su tre piani: l’affermazione delle corti regie, la giustizia itinerante e il
sistema dei writs.
Le origini si trovano nella corte londinese dei sovrani normanni, la curia legis, alto consesso in cui il re (coadiuvato da
vassalli e da alti funzionari) presiede alla direzione dello stato e quindi all’amministrazione della giustizia. La curia legis
è un organo centrale, ciò inizialmente non è sinonimo di staticità locale. Si tratta di un attributo essenzialmente
funzionale, nel senso che le competenza dell’organo sono una diretta emanazione del re. E’ la corte feudale per i
grandi vassalli (il re è il Lord paramount, il supremo signore feudale), ma è anche la corte alla quale si ricorre nei casi di
“breach of the King’s peace”, nei casi di violazione di pace e casi in cui le corti locali non abbiano dato giustizia.
Gradualmente si specializzano nella corte regia 3 organismi: l’Exchequer, il Common Pleas e il King’s Bench, che prima
operano come commissioni della curia poi come vere e proprie corti autonome; individuate anche come corti di
Westminster.

L’Exchequer nasce come sezione speciale della curia con compiti prevalentemente contabili amministrazione del
tesoro reale e raccolta delle entrate. Durante il regno di Enrico II (1154-1189) la sezione si rende autonoma, a fine XIII
secolo da un lato c’è un organismo con funzioni contabili (L’Exchequer of Account and Receipt) e dall’altro una vera
Court of Exchequer. I membri della corte hanno dignità di baroni. La corte ha giurisdizione soprattutto fiscale, ma si
estende a questioni di carattere debitorio per mezzo di finzioni come la Quominus (sufficiens existitit), secondo la
quale poiché un credito non soddisfatto può impedire al creditore il pagamento dei tributi, la Court of Exchequer
interviene con apposito writ, un ordine che autorizza l’attore a convenire l’inadempiente avanti i suoi giudici per
ottenere l’esazione del credito che gli consente di pagare i tributi. Tale corte è abolita dalle grandi riforme del XIX sec.

La Court of common Pleas è la corte di udienze comuni, competente a conoscere liti fra commoners, irrilevanti per
ordine pubblico. Le controversie tra privati sono in origine esaminate da una sezione speciale della curia formata da 2
ecclesiastici e 3 laici. Ma nel 1234 ha inizio l’autonoma repertoriazione nelle decisioni, nel 1272 è nominato il primo
Chief Justice of the Common Pleas. Essendo competente in ordine alla generalità delle controversie tra privati, la Court
of common pleas viene a costituire uno stabile organo giudiziario in grado di svolgere attività processuale
quantitativamente rilevante. I costi del processo sono assai elevati. Si tratta della corte principale dell’Inghilterra, detta
“the lock and the key of the common law”, padrona dell’elaborazione della maggior parte della materia civilistica per
bocca di giudici e avvocati.

Il King’s Bench, la Corte del Banco del Re, è in origine presieduta dal sovrano e lo segue nelle sue peregrinazioni. Ma
afferma velocemente la sua indipendenza dal re. Ha sede fissa a Westminster dal XIC sec, anche se si era staccata dalla
curia legis già dal regno di Giovanni Senza Terra (1199-1216). Dal 1268 si compone di giudici tecnici del diritto,
presieduti da un Chief Justice. La competenza del King’s Bench si estende ai “pleas of the Crown”, le cause che
interessano la corona. Per quanto riguarda le cause penali, la corte giudica dei reati di tipo di ordine pubblico, concetto
legato all’idea della protezione/Sicurezza garantite dal re ai suoi ospiti dapprima e poi ai suoi cittadini. Il King’s Bench è
titolare di una “supervisory jurisdiction” su tutta la giurisdizione penale, che esercita mediante alcuni importanti
strumenti processuali quali il writ of certiorari, il writ of error e la più tarda motion for new trial. Esso è soprattutto
competente a giudicare dei casi di trespass, ovvero di illecita e violenta invasione nella sfera giuridica
personale/patrimoniale di un soggetto. Nei confronti delle corti inferiori esercita sempre una generale funzione di
controllo “supervisory jurisdiction” per mezzo dei prerogative writs, rimedi straordinari ottenibili solo dietro la prova
della inadeguatezza o inutilizzabilità di quelli ordinari.

Indipendenti dalla giurisdizione ordinaria vi sono alcuni importanti tribunali dottai di giurisdizione speciale, come le
corti ecclesiastiche, le corti mercatili e le corti marittime. Guglielmo I assicura indipendenza alla Chiesa e le conferisce
esclusiva giurisdizione in materia ecclesiastica, anche su reati come la bestemmia e l’eresia e su questioni
testamentarie/matrimoniali. Le corti ecclesiastiche giudicano in base al diritto canonico. Naturalmente non mancano
conflitti tra giurisdizione ordinaria ed ecclesiastica, superati solo con la Riforma. Le corti mercantili applicano la ex
mercatoria, ossia il diritto comune della pratica dei commerci. Le corti marittime applicano un diritto fondato nello ius
gentium e nelle relazione internazionali.

Al declino delle corti locali contribuisce l’istituzione della giustizia itinerante, che ha lo scopo di avvicinare al popolo la
giustizia reale. L’istituzione della giustizia itinerante (1702) serve ad emarginare la giustizia feudale, a legare sovrano al
popolo e a estendere la giurisdizione della monarchia normanna (common law) a tutta l’Inghilterra senza dover
ricorrere a corti regie periferiche. Un altro organo locali di giustizia che contribuisce all’affermazione della giurisdizione
regia è lo sheriff, rispetto al quale il sovrano rafforza i vincoli di subordinazione con la corona, sottoposto a severi
controlli ispettivi, a carica elettiva di un solo anno. Lo sheriff è la longa manus regia nell’amministrazione della giustizia.

Il sistema dei writs

Quali sono, oltre alla fama d’imparzialità e rigore, le ragioni del successo delle corti reali? Esse si servono di talune
finzioni giuridiche per attrarre nella propria giurisdizione le cause più varie; concedono in esclusiva rimedi più efficaci,
sconosciuti alle corti locali. E’ possibile, dinanzi alla Corte Regia, l’esecuzione coattiva delle decisioni. La giustizia penale
è completamente o quasi assorbita dalle corti del sovrano, ma anche quella civile. Le corti del re si mettono in
concorrenza con le autorità locali e prevalgono mostrando di essere in grado di offrire un prodotto migliore, efficienza
manifestata sotto profilo sostanziale e processuale. La curia legis offre nuove forme di tutela creando nuovi writs.
Inoltre, offre processo più rapido e razionale, a fianco del giudice dal XIII sec compare la giuria. La forte
centralizzazione dell’amministrazione della giustizia presso le corti regie ha avuto importanti riflessi sulla
formazione del diritto inglese, favorendo espansione common law e formazione di uno stato unitario; ostacolando
penetrazione del diritto romano comune.

Tra gli strumenti che contribuiscono all’espansione della giurisdizione regi nei secoli XII e XIII è di grande importanza il
writ. Il writ (o breve) è un ordine del sovrano, redatto in forma di lettera, scritto in latino, su pergamena, munito del
sigillo reale. Uno strumento autoritario, diretto allo sheriff o al Lord che presiede una corte. Presupposto è che la lite
sia prima portata di fronte alle corti locali e che non abbia soddisfazione nella sua sede naturale. Il writ è il mezzo
tecnico in base al quale opera la giustizia regia ed è anche l mezzo di cui si avvale il re per intromettersi nella giustizia
delle corti locali ed esautorarle. E’ lo strumento imprendiscindibile per la tutela del diritto. L’attore che intende adire la
giustizia regia deve infatti per prima cosa procurarsi un writ adatto alla sua situazione, poiché senza esso la procedura
non può iniziare in quanto solo la finzione della disobbedienza all’ordine del re rende i suoi giudici competenti a
conoscere il caso. Se si creano nuovi writs per tutelare nuove situazioni si ottiene l’affermazione di nuovi diritti e la
conseguente espansione della common law. Non vi è differenza pratica tra attribuire un diritto e concedere un writ.
Qual è la spinta che ha condotto all’affermazione del writ come strumento essenziale dell’esercizio del potere delle
corti di common law? Nel XII-XIII secolo la cancelleria vende i singoli writs, incassando notevoli proventi. Ma vi è anche
un interesse politico, che sarà la causa della crisi dei writs.

Il writ è materialmente elaborato nella segreteria del cancellerie, al quale spetta anche il compito di istruire
preliminarmente il ricorso per cui si richiede la concessione del writ medesimo. Il writ può avere due destinatari.
Diretto allo sheriff con l’ordine di eseguire un servizio, come il provvedere che il convenuto restituisca qualcosa
all’attore; o diretto al Lord titolare di una corte feudale per rendere giustizia all’attore e avvertendolo che in caso
contrario la questione verrà risolta presso le corti regie. L’inosservanza è considerata un’offesa diretta al re,
comportando l’imprigionamento. La concessione del writ è fondamentale perché si instauri un giudizio e costituisce il
presupposto dell’azione. Esistono due tipi di writs. I writs ordinari (writs of course) sono consolidati nella prassi
giudiziaria e annotati in un apposito Registrum brevium, un elenco tenuto presso la cancelleria a disposizione degli
“acquirenti”. L’attore che intende usufruire della giustizia regia e la cui pretesa si presente nel Registrum, deve
ottenere, dietro pagamento di denaro, il writ idoneo a tutelare la sua situazione. I writs straordinari(writs of grace)
non sono elencati nel Registrum, sono ottenuti dai poveri per concessione gratuita o dietro il pagamento di un prezzo
altissimo. Possono divenire writs ordinari se si consolidano nella pratica. Vi è una forte e comprensibile opposizione dei
nobili verso un aumento della giurisdizione regia a scapito della loro.

La Magna Charta è il punto di partenza per la tutela dei diritti di libertà nella struttura costituzionale inglese ed è il
primo documento con cui i baroni riescono a porre un argine al potere del re disponendo che il diritto esistente
avrebbe vincolato allo stesso modo re e vassalli e che la violazione di tale principio da parte del re avrebbe legittimato i
baroni a sottrarsi al proprio dovere di lealtà e la loro insurrezione. Il secondo documento che mostra le grandi tensioni
tra sovrano e signori locali è costituito dalle Provisions of Oxfors, imposte dai baroni, quale corrispettivo del loro aiuto
in armi e denaro, ad Enrico III (1258). Con esse si intende sottrarre il governo del regno al sovrano per affidarlo a un
“comitato riformatore”, avente il controllo dello Scacchiere, la nomina del Chief Justice, il Tesoriere e il Cancelliere,
verificarne l’operato ogni anno. Soprattutto con esse si produce la cristallizzazione del sistema dei writs, viene negato
al cancelliere il potere di emettere nuovi writs straordinari/atipici se non con approvazione esplicita del re e del suo
gran consiglio. Crisi superata solo con la lente e complessa elaborazione dei writs presenti nel Registrum (1258)

Con le Provisions of Oxfors si produce un notevole irrigidimento del sistema, superato con lo Statute of Westminster
(1285). Il capitolo 24 di questo atti, pur mantenendo il divieto di nuovi writs, salvo se autorizzati dal Parlamento,
consente tuttavia alla cancelleria di utilizzare le formule conosciute per ammettere nuove azioni “in consimili casu”,
ossia in fattispecie diverse ma simili a quelle presenti nel Registrum.

Le stesse corti, poste dinanzi all’esigenza di offrire tutela a situazioni concrete sempre più nuove, cominciano a
riconoscere la validità e ammissibilità di nuove azioni quali forme derivate dai writs consolidati dando così definitivo
impulso a quel processo di elaborazione giurisprudenziale evolutiva procedimento on the case (actio super casum).
Le corti ammettono che l’attore, ottenuto dalla cancelleria un writ noto, esponga in una dichiarazione i fatti del caso in
modo molto dettagliato per evidenziare l’opportunità della concessione del writ alla propria situazione. Il writ su cui
operano principalmente le corti per ampliare la propria competenza è il trespass. Il writ of trespass è concesso
inizialmente a chi ha subito una illecita e violenta invasione della sua sfera giuridica personale/patrimoniale.
Interpretando in modo estensivo gli elementi caratterizzanti il writ of trespass, i giudici cominciano a offrire tutela per i
danni causati da responsabilità indiretta/colposa per arrivare alla tutela contrattuale; acquista rilievo il danno
sostanziale che l’attore è stato vittima di un atto illecito/dannoso. Secondo lo schema classico, il writ of trespass è
rilasciato nell’ipotesi di una trasnsgressio che presuppone un atto materiale di forza e una violazione vi et armis
dell’ordine pubblico. Nel XII sec ci sono 3 tipi di trespass: to person, to goods, to land. Partendo da schema
tradizionale, nel XIV e XV sec le corti elaborano il writ of trespass on the case. In questa ipotesi diventa importante la
“declaration” contenente la descrizione dettagliata dei fatti e ciò serve a sostituire la mancata riproduzione della
formula dell’originale writ. In partica diventa irrilevante l’allegazione dell’uso formale della forza, ma acquista rilievo il
dato sostanziale che l’attore sia stato vittima di un danno causato dal comportamento negligente o doloso di un altro
soggetto. Nel writ of trespass on the case si fanno rientrare tutti i casi di comportamenti dannosi che non possono
essere considerati vere e proprie ipotesi di trespass azione sussidiaria generale esperibile per un complesso
eterogeno di casi di condotta dannosa e di illecito civile.

Nel writ of trespass on the case in assumpsit l’attore allega che il convenuto si è assunto di fare qualcosa, un obbligo,
ma non avendolo adempiuto o avendolo adempiuto inesattamente, ha con ciò arrecato danno all persona o ai beni
dell’attore. L’attore soffre un danno e la situazione è tutelata sia nel caso di non adempimento sia di inadempimento
scorretto. L’assumpsit subisce un’espansione diventando un’azione per danni, di natura contrattuale. A partire dal
celebre Slade’s case (1602), le corti offrono analoga tutela anche in caso di promessa implicita. Tale forma estensiva
dell’assumpsit prende il nome di indebitatus assumpsit. A metà del XVI sec si sviluppa anche l’azione di trover.
Un’azione di danni a tutela di chi è privato di un bene mobile. Fondata sulla finzione che l’attore abbia smarrito i suoi
beni e il convenuto li abbia trovati e riconvertiti al proprio uso, rifiutando di restituirli

La Court of Chancery e lo sviluppo dell’equity

L’equity è il sistema di diritto sviluppato e creato dalla Chancery Court che ha affiancato il sistema di common law,
imprimendo il carattere dualista. Le origini dell’affermazione della giurisdizione della Chancery Court sono legate alla
crisi della giustizia amministrata dalle corti di Westminster, alcuni aspetti sono osservati con riferimento
all’irrigidimento della common law. Tra i motivi della crisi vi è la presenza di una procedura sempre più formalistica,
al punto che è frequente la perdita della causa per motivi tecnici; come la parola sbagliata nella formula o scelta del
writ e la corruzione dei giudici/giurati. Inoltre, la concessione del writ da parte del cancelliere rientra nel suo potere
discrezionale; e le corti di Westminster chiariscono la propria autorità, riservandosi il diritto di decidere sulla
legittimità del writ. La common law inizia a mostrarsi inadeguata di fronte ai bisogni della vita sociale inglese. E’
proprio la crisi di Westminster che spinge i ricorrenti a rivolgersi direttamente al re. Dal XIV sec coloro che non
ottengono giustizia dalle corti di common law pretendono di rivolgersi al sovrano affinché intervenga “per soddisfare
la coscienza e per opera di carità”, ossia giudichi con aequitas. La petizione viene rivolta al cancelliere, che lo ritiene
opportuno, la trasmette al re perché questa adotti la sua decisione in seno al consiglio della corona. A partire dalla
guerra delle Due Rose si sviluppa una giurisdizione autonoma del cancelliere, che cresce rapidamente e sviluppa
ampio corpo di regole/principi l’equity.
L’equity si qualifica come un insieme di regole complementari rispetto a quelle di common law, complementarietà
palese dall’adagio “equity follows the law”, per il quale il cancelliere interviene per temprare il rigore della common
law. L’equity è caratterizzata da grande inorganicità e asistematicità. Il cancelliere interviene in collegamento con la
common law e crea in parallelo e analogamente a questa una serie di rimedi processuali tali da svilupparne la portata
ove risulti insufficiente o da renderla inattiva ove essa contrasti con il senso comune di giustizia. Altro elemento
caratterizzante è la discrezionalità, non esiste un vero diritto a ottenere dal sovrano la sua giustizia secondo equità. Le
corti di common law si nono concentrate su due gruppi di rimedi: quelli volti a recuperare la terra e quelli volti a
ottenere il risarcimento dei danni. Sono dunque i nuovi rimedi elaborati e offerti dalla Chancery Court che decretano il
successo di questa corte, sotto il profilo processuale l’equity è particolarmente sensibile alle esigenze del singolo
ricorrete. Inoltre, in considerazione del modello processuale adottato dalla Chancery Court, il cancelliere è per lungo
tempo un ecclesiastico che per la gestione delle pratiche giudiziarie, si avvale di chierici che conoscono bene il diritto
canonico e le sue procedure. Il processo di equity si presenta come segreto, scritto, inquisitorio e senza giuria.
Prendiamo per esempio il momento inziale del processo, quello della citazione del convenuto dinanzi alla corte:
l’attore presenta la propria petizione al cancelliere, che ne notifica un esemplare (bill) alla controparte; al bill è
allegato un ordine di comparizione nel giorno stabilito a pena di sanzioni. Si tratta del writ of subpoena. Se il
convenuto non obbedisce al bill, la Court of Chancery è dotata di forza per far eseguire ciò che ha stabilito. Si dice
“equity acts in personam”. Il cancelliere può agire sui diritti di proprietà anche mediante ordini diretti alle persone, al
cui eventuale inottemperanza sarà sanzionata con pena pecuniaria e con l’arresto per contempt, per oltraggio alla
corte. Il cancelliere può ordinare al convenuto non solo di presentarsi personalmente e di rispondere anche quando
non sia specificato nel bill, ma può con un discovery order domandare alle parti di produrre documenti rilevanti per la
decisione della causa; mediante una injuction può ordinare a una parte di desistere da un comportamento lesivo dei
diritti dell’altra parte.

Qualche esempio può mostrare l’efficacia dei rimedi elaborati dalla Chancery Court e come common law ed equity
prendo a correre su due binari paralleli

 Se un contratto non viene eseguito, la common law offre alla parte lesa dall’inadempimento il solo risarcimento del
danno; la tutale contrattuale trova origine nel writ of trespass e dunque in un’azione delittuale. Il cancelliere tenendo
conto che il risarcimento potrebbe non soddisfare il credito elabora la figura dell’esecuzione in forma specifica del
contratto (specific performance); attraverso l’injuction può emettere ordini di (non) fare.
 In materia di vizi del consenso, la common law ha riguardo alla sola violenza fisica come motivo di annullamento del
contratto. La dottrina della undue influence (violenza morale) è opera della cancelleria. La vittima della violenza/dolo
può rivolgersi al cancelliere perché impedisca all’autore della violenza, con un suo ordine (decree), di rivolgersi alla
court at law oppure perché gli impedisca di avvalersi della condanna di tale corte, pena contempt of court.
 Il trust è un rapporto fiduciario in origine ideato principalmente per motivi di riservatezza e che ha poi adempiuto a
vari scopi relativi alla gestione di patrimoni cospicui. La sua configurazione più semplice è quella in cui Tizio cede un
bene a Caio, con l’intesa che questi lo amministri in favore di Sempronio che così ne percepirà i frutti. La common law
non riconosce alcun valore all’accordo fiduciario e considera Caio il titolare puro e semplice del ben. Il cancelliere
riconosce e tutela l’obbligazione che Caio assume, secondo i dettami della propria coscienza, nei confronti di Tizio.
L’Equity nasce come giustizia morale ed è una misura di giustizia essenzialmente relativa ed elastica, pronta a
adeguarsi alle necessità delle singole situazioni. Dopo le vicende del 1616 quella equitativa cessa di essere una
giurisdizione esclusivamente “di grazia”, ossia una giustizia accordata a discrezione del cancelliere, e assume i caratteri
di rigidezza ed inflessibilità già propri della common law. Le decisioni sono regolarmente conservate in appositi reports
e cominciano a seguire la strada dei precedenti, racchiudono il diritto equitativo prima liberamente elaborato in regole
definite e fisse.
AMMINISTRAZIONE GIUSTIZIA COMMON LAW
Le grandi riforme della giustizia: dalla seconda metà del XIX secolo all’inizio del terzo millennio

Le prime riforme e i Judicature Acts (1873-1875)

Una serie di importanti riforme processuali, ispirata J. Bentham, tenta di modificare panorama esistente e di mitigare
il senso di disagio che le mutate condizioni politiche, economiche e sociali rendono spesso assai acuto. Le idee di
Bentham si riflettono anche sul diritto sostanziale. Leggi dal contenuto privatistico non mirano a disciplinare in modo
esauriente una determinata materia; ma sono leggi ad hoc.

Nel 1846 viene introdotta una reta di corti locali, le County courts, distribuite in 500 distretti, raggruppati in circa 60
circuiti, ciascuno dei quali fa capo a un giudice togato, nominato dal Lord Chancellor tra avvocati con esperienza di
almeno 7 anni. Nel County Courts Act 1846 alcuni vedono la più importante riforma del XIX sec. Tali corti incontrano
immediatamente il favore della popolazione e danno un forte impulso all’espansione del credito, la classe che più ha
premuto per esse è quella dei piccoli/medi commercianti.

Nella prima parte del XIX secolo il legislatore intraprende alcune riforme processuali volte a realizzare una
semplificazione dei giudizi davanti alle corti regie. Le riforme più importanti sono quelle che toccano l’organizzazione
giudiziaria e che portano a profonda riorganizzazione delle corti superiori. Si ricorderà che per ogni tribunale esiste una
particolare procedura e dalla corretta scelta del writ dipende il successo dell’azione. Un attore che voglia ottenere il
risarcimento del danno e la cessazione delle turbative dal convenuto, deve adire a due corti diverse. A ciò ovviano i
Judicature Acts (1873-1875).

Momento essenziale della riforma è la riorganizzazione delle corti. Le numerose corti vengono ricomprese in un’unica
Supreme Court of Judicature, articolare su due livelli di giurisdizione. In prima istanza include la High Court of Justice,
competente in materia civile, e la Crown Court, competente in materia penale. La High Court of Justice prevede in
origine 5 sezioni, ridotte a 3 nel 1881: Queen’s Bench, competente a conoscere cause prima attribuite alle 3 originarie
corti regie; Chancery, per conoscere cause prima attribuite alla Court of Chancery; Probate, Divorce and Admiralty con
competenza in materia di successioni, matrimonio e diritto marittimo. In secondo grado è istituita un’unica Court of
Appeal, che prevede una sezione civile e una penale, entrambe organi collegiali. Il modello adottato è quello della
Court of Appeal in Chancery. Secondo idea che il giudizio di appello si debba caratterizzare come un rehearing, ossia un
riesame della causa a seguito di cui la corte può sostituire la propria decisione a quella impugnata.

Con l’Appellate Jurisdiction Act (1876) è confermata la giurisdizione di ultima istanza della House of Lords, affidata a
una speciale suddivisione, l’Appellate Committee. Di esso fanno parte il Lord Chancellor in carica, i suoi predecessori e
12 giudici chiamati Lords of Appeal in Ordinary/Law Lords, ma questi non partecipano alle riunioni del Judicial
Committee. La House of Lords costituisce la massima istanza per Inghilterra, scozia e Irlanda del Nord. Dal 1876 svolge
un incisivo ruolo di corte suprema, l’autorità delle su pronunce hanno efficacia vincolante. Non esiste un diritto di
accesso alla massima istanza, ma un sistema di “leave” per cui si richiede il permesso della corte che ha pronunciato la
sentenza impugnata o un permesso della stessa House. Così essa si concentra solo su questioni realmente
importanti/controverse. Le decisioni della House of Lords promanano da un organo collegiale e hanno forma e stile
peculiari. La sentenza ha natura personale ed è il frutto del concorso individuale di ciascun membro del collegio. Le
sentenze hanno stile letterario e prestano attenzione a questioni di fatto. Ricordiamo poi il Judicial Committee of the
Privy Council. Il Privy Council è il consiglio privato della corona. Il Judicial Committee costituisce ancora l’ultima istanza
in alcuni paesi del Commonwealth. In altri paesi è stata abolita la possibilità di ricorrere ad esso.

A partire dalla riforma le varie sezioni della High Court e la Court of Appeal devono applicare tutte le regole e principi
del diritto inglese nel suo complesso. L’unicità della giurisdizione consiste nel fatto che le norme di common law e di
equity sono applicate contemporaneamente. Le legge prevede in via generale che, in caso di contrasto tra le due sulla
stessa materia, prevalgano le rules of equity. Il rimedio di equity risente ancora della propria origine “eccezionale” e
dunque la sua concessione rientra tra i poteri discrezionali della corte. Nel Judicature Act (1875) si prevede che la
concreta regolamentazione del processo possa essere effettuata mediante “rules of court” formulate da apposite
commissioni composte da giudici e avvocati, le cui proposte possono essere approvate/respinte dal Parlamento. E’
questo il rule making power delle corti inglesi, che è stato trasformato in potere delegato alle corti dal Parlamento. Lo
spirito delle nuove rules è di assicurare l’uniformità, la semplicità e l’efficacia dei procedimenti, eliminando obsoleti
tecnicismi.

Il Constitutional Reform Act 2005 e la nuova Supreme Court

Il vertice della giurisdizione inglese è stato modificato con una importante legge del marzo 2005: il Constitutional
Reform Act, che a sua volta è stata propiziata da un’altra grande legge, lo Human Rights Act (1998). L’Appellate
Committee della House of Lords è stata sostituita da una nuova Supreme Court, dal 1° ottobre 2009. La Part 3 del
Constitutional Reform Act prevede una Corte suprema separata e indipendente dal Parlamento, composta di 12 giudici
(Justices of the Supreme Court); qualora si verifichi una vacanza, il Lord Chancellor convoca la Selection Commission, Il
Lord Chancellor comunica al Primo Ministro il nome scelto dalla Commissione, il Primo Ministro raccomanda alla
Regina la nomina di tale persona. Le decisioni della nuova corte vincolano tutti i giudici sottordinati. La Supreme Court
continua a seguire i precedenti della House of Lords e i propri per evitare di seguire/abrogare un precedente. L’accesso
alla Corte Suprema è subordinato alla concessione della permission (leave) da parte della corte sottostante o dalla
stessa Supreme Court. Essa non decide più di circa 80 casi all’anno. Determinante è stata l’esigenza di eliminare
dall’ordinamento inglese ogni confusione fra il potere giudiziario e gli altri poteri. Per il resto la nuova Corte si è posta
in una linea di sostanziale continuità con la precedente.

Il ceto dei giuristi e la magistratura laica

Barristers and solicitors

Già nel XIII sec è sempre più frequente il ricorso ad un attorney come rappresentante di parte, ai tempi di Edoardo I
sono dei professionisti che ricevono formazione tramite pratica, inizialmente svolta presso un giurista sperimentato,
sotto controllo della curia legis. Si affianca poi la figura del narrator, provvisto di una superiore dignità professionale e
dotato di maggio prestigio. La preparazione per la professione giuridica si volge nelle Inns of Court, ove gli apprendisti
sono istruiti, anche attraverso simulazione processi, da membri più anziani ed esperti, ossia i benchers e i readers.
Inizialmente anche gli attorneys fanno parte delle Inns annesse alle corti regie, ma nel tardo medioevo si ritirano nelle
Inns of Chancery con i solicitors. Al di sopra di tutti questi pratici vi è la categoria dei serjeants at law (servientes ad
legem), eredi dei narratores e scelti tra i migliori readers, che hanno il compito di definire giuridicamente i termini
della controversia.

Nel corso del XVII sec inizia processo di trasformazione, che porta all’affermazione esclusiva dei barristers e dei
solicitors, eredi rispettivamente delle funzioni dei serjeants e degli attorneys. E la caratteristica più peculiare è proprio
la suddivisione nelle due branche autonome dei barristers e dei solicitors. L’istruzione dei solicitors è affidata alla Law
Society e consiste nella frequenza di un corso di durata annuale seguito da un tirocinio di due anni. Il loro lavoro
consiste in prevalenza nel tenere rapporti con i clienti e la loro capacità di stare in giudizio alle corti superiori è
limitata. Hanno competenza esclusiva su alcune materie come il trasferimento di beni immobili e la redazione di
testamenti; inoltre prepara materiale informativo e probatorio e tutta la documentazione che serva ai barrister per
argomentazioni da sostenere. L’istruzione dei barristers avviene in piccola parte nelle Inns of Court. Entrarci è costoso
e attualmente richiede una laurea riconosciuta; occorre poi la frequenza di un corso di durata annuale presso una
struttura accreditata, seguito da un periodo di pratica di un anno. Tradizionalmente esercitano attività di consulenza e
di patrocinio davanti corti superiori. Tale sistema tradizionale è stato in parte riformato dal Courts and Legal Services
Act (1990), che ha attribuito la possibilità di stare in udienza presso corti superiori (right of audience) a determinare
condizioni anche ai solicitors, possibilità ulteriormente ampliata dall’Access to Justice Act (1999).

I giudici: la tradizione e il rinnovamento del Constitutional Reform Act 2005

A partire dal XIV sec si è consolidata la consuetudine di reclutare i giudici inglesi tra le file degli avvocati più prestigiosi.
Per tutti i più importanti anni formativi della tradizione di common law, giudici ed avvocati formano un solo gruppo
professionale che prende a svolgere l’importante funzione di formare i suoi membri. Storicamente i giudici superiori
inglesi erano nominati dalla Corona su proposta del Lord Chancellor; la selezione avveniva fra i barristers con
esperienza e prestigio (Queen’s Counsels). Si è sempre sostenuto che la scelta die giudici tra i barristers garantisse che
una piccola comunità come quella dei giudici potesse essere formata pescando in un ristretto gruppo professionale. Il
Courts and Legal Services Act 1990 ha inciso sulla nomina dei giudici. Il fatto che i giudici vengano scelti nella cerchia
degli avvocati fa sì che i tribunali superiori siano composti da giudici con lunga esperienza. Appare che il Lord
Chancellor era, fino al 2005, il solo incaricato della nomina di tutti i giudici e massimo responsabile per l’ordine
giudiziario inglese; da un alto godeva di alto prestigio dall’altro costituiva una forte anomalia. Infatti, egli partecipava a
tutte le funzioni di governo, nominava i giudici ed era lui stesso un giudice in quanto presiedeva la House of Lords nella
sua funzione giurisdizionale, presieda il Judicial Committee of the Privy Council e la Chancery Division della High Court;
contemporaneamente era membro del governo e restava in carica fin quando il Gabinetto godeva della fiducia del
Parlamento. Infine, egli era lo speaker della House of Lords in sede legislativa. Molte di queste anomalie sono state
eliminate dal Constitutional Reform Act 2005. Quindi il Lord Chancellor non è da considerarsi un magistrato, ma un
rappresentante dell’esecutivo Secretary of State for Constitutional Affairs (Ministro della Giustizia dal 2007). A esso
vengono sottratte le funzioni giurisdizionali che vengono attribuite al Lord Chief Justice.

In base ad una procedura più aperta, una nuova Judicial Appointments Commission seleziona i candidati per ciascun
posto vacante presso qualunque corte (Tranne la Supreme Court) e comunica la scelta al Lord Chancellor, che o
nomina direttamente la persona scelta o ne raccomanda la nomina alla Regina, il Lord Chancellor può respingere la
proposta o chiedere di formularne una nuova. La Judicial Appointments Commission è un “Executive Non-
Departmental Public Body”, composta da 15 membri nominati dalla Regina su proposta del Lord Chancellor. La
selezione della commissione avviene, sempre tra barrister e solicitors titolari del right of audience o con “experience in
law”, in base la merito.; ha l’obbligo di prendere in considerazione l’elemento della “diversity” per rispondere
all’esigenza di una magistratura maggiormente rappresentativa delle varie espressioni della società.

Per quanto attiene alle garanzie, il Constitutional Reform Act distingue due casi. I magistrati di livello inferiore alla High
Court possono essere rimossi per incapacità e cattiva condotta dal lord Chancellor di concerto con il Lord Chief Justice;
i magistrati delle corti superiori alla High Court possono essere rimossi solo dalla Regina su risoluzione congiunta delle
due camere del Parlamento.

Tradizionalmente i giudici inglesi erano di notevole livello tecnico, ma erano pochi in numero. L’affermazione resta
valida ancora oggi, ci sono 1500 giudici togati a tempo pieno, dei quali 164 sono giudici delle corti superiori. Come si
spiega questo ridotto numero di giudici?  Il ricorso nei secoli ad organismi alternativi per la soluzione di controversie
sfruttando la partecipazione di giudici laici (Justices of the Peace e gli special Tribunals); la particolare struttura del
processo civile, solo poco più dell’1% delle cause iniziate annualmente di fronte a corti ordinarie arriva al trial.

La magistratura laica

Tra gli strumenti impiegati dai sovrani normanni per amministrare in modo efficiente il potere vi è la nomina dei
commissioners, reclutati tra la piccola nobiltà locale di provata fedeltà. Inizialmente i doveri di questi “keepers of the
peace” sono amministrativi e di polizia, ma a partire dal regno di Edoardo III assumono i caratteri degli attuali Justices
of the Peace. Essi hanno visto aumentare la loro competenza di organi giudicanti, al punto che oggi la maggior parte
dei processi penali si svolge di fronte ad essi. Il Justice of the Peace (magistrate) continua a essere un giudice laico
nella maggior parte dei casi; solo a Londra e in alcune grandi città è un giudice professionista, un tempo noto come
stipendiary magistrate. Attualmente i magistrates sono nominati dal Lord Chancellor, previa selezione e poi
approvazione del Lord Chief Justice, e vengono scelti tra gli abituanti più in vista della contea. Nelle città in cui la carica
è rivestita da un professionista, è scelto tra barristers e solicitors con almeno 5 anni di anzianità professionale. Il
numero dei magistrates è assai elevato. Essi non ricevono compenso, ma possono chiedere un’indennità per il
mancato guadagno e devono tenere udienza un certo numero di mezze giornate l’anno (”great unpaid”) I
magistrates sono laici, ma dal 1966 devono seguire un corso in materie giuridiche e sono sempre assistiti da funzionari
partime retribuiti (clerks), scelti tra i barristers o i solicitors. Tutte le cause penali passano al vaglio dei magistrates: o
per essere direttamente decise con procedimento sommario per reati minori o per essere sottoposte ad una istruttoria
preliminare per casi più gravi, con la presenza della giuria. I magistrates erano dotati di competenza in materia civile,
soprattutto con riguardo al diritto di famiglia, che dal 2014 è stata unificata con quella esercitata in materia dalle
county courts e conferita ad apposita Family Court. I magistrates si riuniscono come collegio di 3 membri e decidono
della colpevolezza e della pena a maggioranza; non devono motivare la loro decisione; essi irrogano di norma pene
pecuniarie e talvolta lievi pene detentive. Contro le decisioni dei magistrates è possibile appellarsi alla Crown Court,
senza giuria.

Secondo Dicey, il diritto amministrativo non può trovare spazio nell’ordinamento inglese, perché contrastante con il
principio fondamentale della rule of law. Nonostante questa impostazione teorica, a causa soprattutto della intensa
attività legislativa in senso sociale (welfare state), sono stati istituti dei tribunals. Si trattava di organi giurisdizionali
estranei al sistema di corti ordinarie, A essi il legislatore ha affidato la risoluzione delle maggior parte delle
controversie stato-cittadini, o anche tra privati; ad esempio in materia di imposte, locazioni, rapporti di lavoro,
relazioni industriali, infortuni sul lavoro, licenze edilizie, previdenza ed assistenza, immigrazione, che altrimenti
avrebbe soffocato le corti ordinarie. I tribunals sono nati come organi alternativi alle corti ordinarie, caratterizzati da
maggiore accessibilità, minori costi e minore durata dei procedimenti. Col tempo tuttavia si è assistito ad una
progressiva giruisdizionalizzaizone dei tribunals. In conseguenza dell’assenza di un disegno sistematico, ciascun
tribunal aveva caratteristiche proprie quanto a composizione, a rapporto fra giuristi, esperti e laici, rappresentanti di
categorie contrapposte; quanto a procedura, posizione e ruolo di parti e giudice; quanto a stile, divulgazione e autorità
delle decisioni. E’ certo che si tratti di machinery of adjudication, di organi giurisdizionali, che devono ispirarsi ai
principi di openness, fairness, impartiality. E’ il Tribunals, Courts and Enforcement Act 2007 che ha realizzato una
complessiva riorganizzazione dei tribunals, verso l’edificazione di un “sistema inglese di giustizia amministrativa”. La
legge prevede la razionalizzazione dei tribunals esistenti, attraverso l’accorpamento in due nuovi organi indipendenti,
a composizione mista professionale e laica: il First-tier Tribunal e l’Upper Tribunal. Dunque, viene istituita una figura
di vertice, il Senior President of Tribunals, con funzioni analoghe a quelle del Lord Chief Justice. Dal 200 sono
indipendenti.

Le linee essenziali del processo adversary e le riforme della giustizia civile (1990-1999)

Le linee essenziali del modello adversary di processo

La distinzione tra pre trial e trial (fase predibattimentale e dibattimento) è fondamentale per comprendere la natura e
il funzionamento del processo adversary. Il pre trial inizia con le primissime battute del processo e si conclude con
l’avvio del dibattimento, è la fase in cui gli avvocati hanno la possibilità di dimostrare la propria abilità ed esperienza
nella conduzione della causa, sono rarissimi gli interventi del giudice, qualora si presentino particolari difficoltà
interviene di solito il master, ossia un funzionario della corte, che esercita importanti attività giurisdizionali. Le funzioni
fondamentali del pre trial sono 3:

 la preparazione della causa per il dibattimento Tutti gli atti che vanno dalla proposizione della domanda (claim
form) all’udienza ove si danno le ultime disposizioni. Si individuano le parti della causa e si definisce la “cause of
action”. Si scambiano i pleadings (statements of case), ossia le memorie attraverso cui le parti definiscono con
chiarezza le questioni realmente controverse. Si svolge un momento caratterizzante il processo civile adversary: la
discovery (disclosure), scambio di elementi che possono costituire prove per il dibattimento.
 la decisione della causa senza dibattimento Le actions tried sono solo l’1/1,5% di tutte le azioni proposte. Il
dibattimento finisce per costituire un evento del tutto eccezionale. La maggior parte dei procedimenti non giunge al
giudice, per questo ce ne sono pochi. Tra i meccanismo così usati il più usato è la transazione giudiziale, il settlement.
 l’adozione di provvedimenti provvisori e cautelari in attesa del dibattimento
Il trial sarebbe il dibattimento, a cui giungono circa l’1% della controversie. A queste viene riservato il dibattimento
caratterizzato da quell’oralità, concentrazione e immediatezza, tipici del processo civile adversary. Le prove vengono
assunte oralmente davanti al giudice e le regole che disciplinano l’assunzione delle prove, elaborata a tutela dei
membri laici, sono ancora rigorose. Si parla di “Presenza morale” della giuria (la presenza effettiva p limitata a rarissimi
casi civili). Il dibattimento, in cui si attua l’interrogatorio e il controinterrogatorio dei testimoni, si dice concentrato,
tende a risolversi in una sola udienza o in più udienze ravvicinate. Il modello classico risponde ad un’idea del processo
come libero scontro tra contendenti che nel rispetto delle regole si sfidano davanti al giudice passivo. Corollari di
questa idea sono i due principi di party-presentation e party-prosecution: in base al primo spetta in via esclusiva alle
parti il potere di andare alla ricerca di prove e di allegarle a conforto dei fatti; in base al secondo sono le parti a iniziare
il procedimento, fissandone l’oggetto e a farlo proseguire fino alla fine.

Le riforme recenti

Dopo un primo intervento volto a estendere la giurisdizione delle county courts, nel 1994 il Lord Chancellor incaricò
Lord Wolf, master of the Rolls, di svolgere uno studio approfondito sui problemi che affliggono la giustizia civile.
Vengono pubblicati nel 1995 un Interim Report e nel 1996 il Lord Wolf’s Final Report, dal significativo titolo di “Access
to Justice”, che costituiscono la base per la successiva riforma. Per Lord Wolf sono dunque gli eccessivi costi, tempi e
complessità procedurali il problema del modello adversary. il criticato approccio esasperatamente adversary si
manifesta soprattutto nella fase pre trial ove gli avvocati cercano di sfruttare a proprio vantaggio tutte le possibilità
offerte dalla procedura. Era parso dunque necessario un radicale cambiamento che è stato realizzato dalle Civil
Procedure Rules 1998. A questo corpo di norme si attribuisce il nome di “new procedural code”, a segnalare la
coerenza e l’organicità della riforma, e il suo essere finalizzata al perseguimento di un overriding oggettive, l'obiettivo
fondamentale cioè di consentire alle corti di trattare i casi giustamente, ponendo al centro l'idea del case
management. Secondo tale idea, il giudice deve svolgere un ruolo attivo in tutte le fasi del processo e deve far sì che vi
sia proporzione tra l'importanza e la complessità della controversia da un lato e gli strumenti processuali con i relativi
costi dall'altro. Il Wolf report propone diversi interventi finalizzati al raggiungimento di un rapporto equilibrato tra
complessità della causa e complessità della macchina processuale in modo da ridurre i costi e lungaggini . Vengono
individuate diverse corsie processuali (tracks) in relazione al valore e alla complessità della causa. La small claims track
viene riservata alle controversie di valore modesto e prevede una procedura estremamente informale presso le county
courts. La fast track è riservata alle controversie di valore intermedio ma non complesse in punto di diritto, prevede
una Discovery semplificata ma con scadenze processuali molto origine. La multi track è riservata alle controversie di
valore maggiore o comunque particolarmente complesse , la procedura è qui simile a quella tradizionale ma il giudice
svolge un ruolo più attivo. L’Access to Justice Act 1999 ha introdotto un nuovo sistema di assistenza legale per i meno
abbienti basato sull'individuazione di priorità a fronte di disponibilità limitata di fondi, ha ampliato la possibilità di
ricorso all conditional fee agreement , ha ampliato ulteriormente il right of audience dei solicitors.

L’ unico profilo rispetto al quale le riforme promosse da Lord Wolf non sembrano siano state efficaci è quello del
contenimento dei costi, che continua a rappresentare il principale problema della giustizia civile inglese. A tale
problema hanno cercato di porre rimedio le raccomandazioni contenute nella Review of Civil Litigation Cost
pubblicata da Sir Rupert Jackson nel dicembre 2009.
FONTI DEL DIRITTO

Gerarchia delle fonti e la nozione inglese di costituzione

Nel panorama del costituzionalismo moderno, il Regno Unito fa infatti eccezione sotto duplice profilo. Da un alto
presenta sia fondamentali precedenti e numerose leggi ordinarie in materia costituzionale sia vari atti normativi
solenni; dall’altro non è presente una costituzione intesa come documento scritto di rango superiore alla legge
ordinaria del Parlamento. Esiste tuttavia un “diritto costituzionale”, un insieme di regole che disciplinano i rapporti tra
poteri dello stato e contribuiscono a definire la forma di governo.

Secondo Dicey non esiste dunque nel Regno Unito alcuna “Legge superiore” e non è ammissibile alcun tipo di controllo
giurisdizionale di costituzionalità, ma vige il principio della supremazia del Parlamento. Si comprende come sia stata
difficoltosa l’adesione all’UE; la giurisprudenza inglese è arrivata con fatica a riconoscere la supremazia del diritto
comunitario su quello interno. In questo complesso scenario è opportuno prendere in considerazione lo Human Right
Act (1998), notevole legge in materia costituzionale che consente finalmente l’ingresso della Convenzione nel diritto
inglese ammettendo la tutela di alcuni diritti previsti dalla Convenzione da parte delle stesse corti inglesi. L’Act prevede
che tutte le disposizioni legislative siano lette e applicate in conformità alla Convenzione e attribuisce ai giudici il
potere di pronunciare una “dichiarazione di incompatibilità”. La legge inglese dichiarata da una corte superiore
incompatibile con uno dei diritti della Convenzione, recepiti dallo Human Rights Act, sarà eventualmente modificata
dal parlamento.

La giurisprudenza e il principio dello stare decisis

La prassi secondo cui casi analoghi devono essere decisi in modo analogo incarna un principio di giustizia riconosciuto
e applicato all’interno di tutta la tradizione giuridica occidentale. Ciò che invece è peculiare dei sistemi di common law
è la doctrine of binding precedent, ossia la regola secondo la quale i precedenti giudiziari sono vincolanti e devono
quindi essere seguiti per i successivi casi simili. Nella su accezione più rigida indica l’obbligo per il giudice chiamato a
decidere una controversia di non discostarsi dal precedente scaturito dalla decisione di un caso analogo.

L’affermazione della regola stare decisis

Il diritto inglese è un diritto giurisprudenziale, è case law. L’obbligo di attenersi alle norme che sono poste dai giudici e
di rispettare i precedenti giudiziari è nella logica stessa di un diritto giurisprudenziale. Ma fino al XV sec la forza
vincolante del precedente è dibattuta e respinta “nessun precedente può avere la stessa forza di ciò che è giusto”.
La teoria del precedente è antica, ma la rigida affermazione del principio stare decisis è invece relativamente recente.
La formazione giurisprudenziale del diritto riguarda l’esperienza giuridica nel suo complesso. Così si possono meglio
comprendere le cause che conducono, nella seconda metà del XIX secolo, a quell’irrigidimento della regola stare
decisis, tra cui le riforme dell’amministrazione della giustizia introdotte dal Judicature Acts (1873-1875), che
costituiscono terreno fertile per il buon funzionamento della regola dello stare decisis il cui enunciato essenziale
prevede che le corti inferiori si considerino vincolate dalle decisioni di quelle superiori. Si perfeziona il sistema di
repertoriazione delle sentenze, raccolte affidabili e aggiornate sostituiscono Yearbooks e Nominative Reports. Nel
1865 è istituito un organo semiufficiale, l’Incoporated Council of Law Reporting che inizia la razionalizzazione delle
raccolte inglesi e la compilazione dei Law Reports, contenenti una selezione dei più importanti casi decisi dalle corti
superiori. I Reports sono come preziosi strumenti di lavoro, idonei a garantire la veridicità e completezza.

In Inghilterra l’idea della codificazione non attecchisce, essendo troppo distante dalla concezione della common law
come diritto giurisprudenziale; ma l’esigenza di dare un assetto sistematico e coerente al diritto si manifesta
nell’irrigidimento della doctrine of precedent, conferendo alla common law una struttura formale capace di
legittimarla come sistema razionale. Nel XIX sec si consolida in Inghilterra la teoria secondo cui il precedente giudiziale
è giuridicamente vincolante in modo assoluto. Si afferma così la teoria dichiarativa del precedente giudiziario. Essa
sarà parte dei principi fondamentali della common law, e verrà superata apertamente solo in tempi recenti, quando si
è cominciato a riconoscere il potere creativo dei giudici, veri e propri law makers. Il vincolo del rispetto del
precedente non è previsto in alcun atto legislativo, emergendo piuttosto da una scelta degli stessi giudici.
Teoria e prassi della regola stare decisis

Ciò che caratterizza la teoria inglese del precedente è il fatto di essere una regola formale e coercitiva su cui si fonda
l’amministrazione e lo sviluppo della common law. In modo molto schematico si ricorda che il primo grado di giudizio,
per cause civili e reati minori, si svolge rispettivamente presso le county courts e le magistrate’s courts; la competenza
in prima istanza è attribuita alla High Court in materia civile e alla Crown Court in materia penale; il secondo grado di
giudizio si svolge presso la Court of Appeal e la House of Lords, ora Supreme Court, rappresenta la massima istanza.
L’operatività verticale della regola si esprime tra corti di diverso grado, mentre l’operatività orizzontale si esprime tra
corti di pari grado. Per i giudici inferiori si tratta di un corollario della gerarchia delle corti; i giudici superiori trovano
nella dottrina del precedente in senso orizzontale un modo per perpetuare nel tempo la propria influenza, esercitando
funzione nomofilattica. La Supreme Court vincola tutte le corti inferiori, a meno che la sua pronuncia non sia
“abrogata”, fino al 1966 era sottoposta anche all’osservanza dei propri precedenti. Nel 1966 la House of Lords ha
annunciato, nella “practice statement”, che per il futuro non si sarebbe più sentita vincolata ai propri precedenti
quando ciò fosse apparso conveniente, tale potere riveste una considerevole importanza in quanto legittima
formalmente la concezione secondo la quale i giudici svolgono un ruolo notevole nella creazione del diritto, superando
in maniera aperta la teoria dichiarativa della common law. Le decisioni della Court of Appeal vincolano tutte le corti
inferiori e dunque la regola stare decisis opera efficacemente in senso verticale mentre l’operatività della regola in
senso orizzontale è stata oggetto di discussione. In tale dibattito, Lord Denning ha sostenuto che la Court of Appeal
avrebbe dovuto seguire l’esempio della House of Lords e occasionalmente sottrarsi all’obbligo di seguire i propri
precedenti. La High Court vincola solo le corti inferiori, mentre le decisioni di queste ultime non vincolano nessuno.

E’ importante la distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum, per comprendere le possibilità di manovra dei giudici
rispetto ad un precedente vincolante. Ciò che vincola i giudice successivo non è l’intera decisione ma solo la sua ratio
decidendi, ossia la regola giuridica legata ai fatti rilevanti del caso. La ratio decidendi è la ragione della decisione, il
principio giuridico sottostante che, applicato ai fatti, ha determinato quel particolare risultato. Essa è ovviamente
radicata nei fatti ma è suscettibile di essere astratta e generalizzata sotto forma di proposizione giuridica. E’ il giudice
successivo a determinare la ratio decidendi del caso e nel fare ciò ha il potere di operare distinzioni in considerazione
degli elementi di fatto (distinguishing) . L’applicazione della ratio ad un caso futuro avviene attraverso un processo in
senso lato analogico. Se i fatti vengono ricostruiti ad un alto livello di astrazione, in essi potranno essere classificate un
gran numero di fattispecie concrete e quindi la ratio avrà interpretazione estensiva. Non esistono metodi sicuri per
determinare la ratio di un caso. Spesso è presente un elemento di incertezza ove si esplica la discrezionalità
dell’interprete, la quale permette alla dottrina del precedente vincolante di sopravvivere efficientemente.

L’obiter dictum è ciò che non rientra nella ratio del caso, è il commento incidentale fatto dal giudice, che non risulta
necessario per la decisione della controversia. Si deve considerare il particolare stile e il carattere letterario delle
sentenze delle corti superiori inglesi, che si presentano all’esterno in modo personale. La sentenza è formata da
singole opinioni dei giudici che compongono l’organo collegiale. Le varie opinioni separate possono concordare tra di
loro interamente o solo sul risultato (Judgment) e non sui motivi (reasoning), si parla quindi di opinioni concorrenti; le
opinioni separate possono essere in disaccordo su entrambi gli aspetti e allora si dicono opinioni dissenzienti. Una
decisione in cui ci sono molte opinioni concorrenti o addirittura dissenzienti ha un’autorità minore rispetto ad una
decisione unanime.

Diversa dalla tecnica del distinguishing è la nozione di overruling, che indica l’abrogazione della regola
giurisprudenziale vincolante e in particolare indica il potere riconosciuto ad una corte di discostarsi da un precedente
non altrimenti distinguibile. L’overruling segue l’operatività del precedente nella gerarchia delle corti. Le corti superiori
possono overrule i precedenti delle corti inferiori. L’overruling pone il precedente nella stessa condizione di una legge
che è stata abrogata e sostituita con un’altra, ha efficacia retroattiva, è la correzione di un errore che è sempre stato
tale. L’overruling è esplicito quando nella sentenza successiva si indica espressamente la volontà di cambiare la regola
precedente, ma anche implicito quando vi è incompatibilità tra la ratio vecchia e la nuova. Fra le tecniche di
manipolazione del precedente sono da ricordare:
 l’anticipatory overruling Una corte inferiore si sottrae al rispetto del precedente di una corte superiore quando
risulti ragionevolmente certo che la corte superiore stessa non seguirà più quel particolare precedente; ciò consente ai
giudici inferiori di anticipare la decisione abrogativa
 il prospective overruling Il suo scopo è di abrogare il precedente limitando l’effetto retroattivo di tale abrogazione
La teoria inglese afferma che il precedente è strettamente vincolane non solo in senso verticale ma anche in senso
orizzontale, si intuiscono poi le possibilità che le tecniche del distinguishing e overruling offrono al giudice per
allontanarsi da un precedente sgradito e che gli permettono di mediare le esigenze di certezza e flessibilità interne al
sistema. Bisogna sempre tenere presente che quello inglese è un sistema di case law ove le sentenze dei giudici hanno
contemporaneamente la funzione di dirimere la controversia concreta e di creare regole di diritto oggettivo valide per
il futuro.

La legge e la sua interpretazione

Il ruolo della legge nel diritto inglese è un tema problematico poiché è possibile osservare anche qui un certo divario
tra le teorie classiche e la realtà attuale.

Il rapporto tra la legge e la giurisprudenza

Benché la legge abbia una posizione di rilievo in tutta la storia del diritto inglese, per quasi un secolo e mezzo dopo il
1688 il Parlamento si astiene dal legiferare nelle materie di prevalente interesse delle corti e lascia che la common law
si sviluppi indisturbata. Con l’inizio del XIX sec il Parlamento intraprende una consistente attività legislativa, per
eliminare alcune delle caratteristiche più antiquate della common law. Il diritto comincia a identificarsi con la volontà
del legislatore e numerose riforme sono attuate attraverso gli Acts del Parlamento. Con l’inizio del XX sec la common
law entra “In the age of statutes” ed è soprattutto nel secondo dopoguerra che può collocarsi la massima fioritura
della legislazione inglese. I giudici non hanno gli strumenti che consentono la promozione di grandi riforme. E’ utile
ricordare che se il giudice inglese rende una decisione senza prendere in considerazione una disposizione rilevante,
tale circostanza è motivo di appello e quel precedente non si considera vincolante in quanto emesso per incuriam. Gli
statutes, quantitativamente e qualitativamente, sono da porsi al vertice della gerarchia. Ma la common law è case law
e i giudici inglesi sono stati per un tempo lungo considerati gli oracoli del diritto. Sembra che per la tradizione classica
inglese il diritto elaborato dalle corti regie debba considerarsi il fulcro attorno al quale ruotano gli altri diritti, siano
questi elaborati dalla cancelleria o dal Parlamento. Il rispetto della legge si impone, tuttavia lo statute acquista vitalità
solo quando è applicato dalle corti. La sentenza che interpreta lo statute è un precedente vincolante. La peculiarità
dello stile legislativo inglese è confermata dalla circostanza per cui ogni statute contiene una sezione finale in cui il
medesimo legislatore fornisce l’interpretazione autentica dei principali termini usati. Inoltre, il Parlamento adotta
apposite leggi di interpretazione, la cui funzione è quella di fissare il significato ufficiale che hanno certe formule.

L’idea di codificazione non è totalmente estranea a questo ordinamento. Ciò che continua a distinguere la tradizione di
common law attiene all’atteggiamento rispetto al codice. I common lawyers non condividono l’idea che il codice
rappresenti quella cesura con il passato e l’idea di completezza del codice e della sua centralità.

Lo stile della legge e la sua interpretazione

L’interprete inglese dichiara la propria fedeltà assoluta al testo e si limita a una interpretazione restrittiva, essa
circoscrive l’impatto delle disposizioni legislative lasciando spazio alla creazione giurisprudenziale del diritto.
L’approccio ermeneutico restrittivo ha prodotto un intreccio di regole e principi interpretativi assai peculiari. La
principale regola che rispecchia l’approccio ermeneutico restrittivo è la literal rule, l’interprete deve attribuire
innanzitutto ad una determinata disposizione il senso reso palese dalle parole. Altri due criteri sono usati quando
quello letterale non soddisfa. Il giudice può ricorrere alla golden rule, che consente di discostarsi dal significato più
naturale della norma se questo porti ad esiti assurdi e di scegliere un risultato ragionevole. Altrimenti il giudice
ricorrerà al mischief rule (Heydon’s case), che ammette d’interpretare la norma in modo da rimuovere effettivamente
la specifica carenza che aveva spinto il legislatore ad emanare quella determinata legge; consente di cercare lo scopo
della norma.
COMMON LAW USA

La recezione della common law nelle colonie e l’indipendenza

Quale diritto si applica nelle colonie? Il noto Calvin ’s case 1608 offre una risposta insoddisfacente quando dice che la
common law inglese è applicabile nella misura in cui le regole siano appropriate alle condizioni di vita che regnano
nelle colonie stesse. Ma con l’aumento degli scambi commerciali, la common law si fa strada perché emerge anche un
ceto di giuristi. Verso la metà del XVIII sec si afferma il movimento per l’indipendenza, la situazione riguardante le élite
politica e culturale è cambiata, ciò è provato dal fatto che molti dei firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza sono
giuristi. Nella Dichiarazione si manifesta l’intenzione dei padri fondatori di dotare la nuova nazione di ideali universali
imperniati sul riconoscimento e sul rispetto delle libertà fondamentali; tutti istituti che appartengono alla tradizione
storica del common law, ma che ora gli americani considerano insieme alle libertà patrimonio di ragione universale
inviolabile. Durante il Congresso si elaborano gli Articles of Confederation, in base ai quali l’Unione tra gli stati
americani assume aspetto istituzionale. Gli Articles riconoscono piena sovranità degli Stati dell’Unione, sottraendo loro
solo quei poteri politici che vengono espressamente attribuiti al Congresso, ma al Congresso non sono dati poteri
sufficienti e strumenti efficaci per costringere i singoli stati al rispetto dei doveri confederali. Nel 1787 viene convocata
una Convenzione a Filadelfia, che redige in breve tempo un progetto di costituzione.

L’importanza della costituzione e del Bill of Rights

Negli USA non vi è questione politica che non si risolva prima o poi in una controversia giudiziaria: proprio attraverso la
soluzione di tali controversie il diritto diviene un prolungamento del discorso politico.

Gli articoli originari della costituzione

La costituzione americana è un documento solo apparentemente semplice. Essa è stata ratificata da 13 stati da poco
indipendenti in un momento di transizione, ed è il risultato di un compromesso che riflette le notevoli tensioni tra i
federalisti e gli antifederalisti. Tale compromesso è visibile ad esempio nell’art. 1 con riguardo alla composizione del
Congresso o nell’art. 3 in cui si prevede una sola Corte Suprema. Gli articoli originari sono 7, a cui si sono aggiunti 27
emendamenti; i primi 10 emendamenti costituiscono il Bill of Rights, ossia la carta dei diritti fondamentali, e sono stati
adottati nel 1791. Glia articoli originari rappresentano il testo del più antico documento costituzionale oggi in vigore,
posto come una costituzione rigida modificabile solo tramite emendamenti. Gli articoli originari dettano le basi
istituzionali della forma di governo e individuano la distribuzione dei poteri stati-federazione. L’impianto formale della
costituzione riflette la classica tripartizione dei poteri, ma all’idea di separazione si affianca quella di “checks and
balances”, ciascun potere infatti ha la possibilità di “controllare” l’altro ed è a sua volta “controllato”. La stessa
ripartizione delle competenze fra federazione e singoli stati produce una notevole frantumazione dei centri di potere.

Articolo I Il potere legislativo federale è attribuito al Congresso, organo bicamerale: Senato composto da due
rappresentanti per ogni stato membro, rinnovati per un terzo ogni 2 anni; la Camera dei rappresentanti formata su
base nazionale, in modo proporzionale alla popolazione degli stati, da deputati con mandato biennale. Il Congresso ha
competenza legislativa solo per materi espressamente previste. Ha anche il potere di promulgare le leggi “necessarie
e adatte” all’esercizio di quanto esplicitamente attribuito. La “necessary and proper clause” e la “interstate commerce
clause” sono strumenti utili all’ideale federalista, portando ad ampliamento del potere di intervento del legislatore
nazionale. Nei settori principali del diritto privato la competenza rimane ai singoli stati, governati dalla giurisprudenza
delle corti locali.

Articolo II Il potere esecutivo è attribuito al Presidente USA, capo dello stato e dell’esecutivo e con posizione di
marcata preminenza nella determinazione dell’indirizzo di governo in virtù di ricevere una diretta investitura nazionale
dal corpo elettorale, secondo un sistema indiretto. Il presidente è eletto per 4 anni da un collegio di “grandi elettori”
che a loro volta sono eletti dal popolo. Ha il comando delle forze armate, il potere di stipulare trattati internazionali,
potere di nominare rappresentanti diplomatici e i giudici della Corte suprema e tutti gli altri pubblici ufficiali degli USA
per i quali non sia disposto diversamente. Il Presidente può essere rimosso dall’incarico solo con impeachment, con la
messa in stato di accusa da parte della Camera dei rappresentanti e il giudizio di condanna del Senato presieduto dal
Chief Justice della Corte suprema.
Articolo IIIPrevista giurisdizione federale, attribuita a Corte suprema e conferendo a Congresso il potere di creare
corti federali inferiori. Sono previste garanzie di indipendenza dei giudici.

Articoli IV-VII Prevedono norme eterogenee. Alcune disposizioni sono volte a garantire i diritti individuali mentre
altre sono meramente organizzative. Ad esempio, l’affermazione che i cittadini di tutti gli stati hanno uguali diritti e il
complesso procedimento per emendare la costituzione

Il Bill of Rights

Il Bill of Rights è la carta dei diritti fondamentali dei cittadini americani. I primi 10 emendamenti sono stati proposti
immediatamente dopo la ratifica della costituzione per ribadire la natura limitata dei poteri trasferiti al federal
government; approvati in pochissimo tempo e già in vigore nel 1791 sono da considerarsi una vittoria degli
antifederalisti. Un esempio è offerti dal diritto alla giuria nel processo civile. L’innovazione risiede nella completezza
dell’elenco dei diritti che, insieme alla rigidità, conduce ad una efficace tutela delle libertà individuali. La maggior parte
delle tutele previste riguardano le modalità che le procedure per l’attuazione della giustizia federale penale e civile
devono rispettare; include anche importanti garanzie estranee al campo processuale.

La due process clause

Il “due process of law” è una delle più importanti clausole. Vi è uno stretto legame tra questa vaga formula e la
nozione di “rule of law”, con cui si intende sottrarre i consociati all’arbitrio del potere, istituendo un “governo di leggi e
non di uomini”. E’ una materia complessa e suscettibile di interpretazioni controverse, all’interno della quale la teoria
americana ha individuato una distinzione: procedural due process e substantive due process.

Il procedural due process si riferisce ad un giudizio “fair”/equo sotto il profilo tecnico-processuale. La libertà, la vita, la
proprietà di chiunque non possono subire restrizioni senza una serie di importanti garanzie formali. Questa accezione
ha posto problemi interpretativi, ad esempio rientra nella nozione di due process il diritto al gratuito patrocinio? La
Corte suprema ha dichiarato (Gideon V. Wainwright 1963) che il diritto all’assistenza legale nei procedimenti penali
federali e statali è fondamentale per un equo processo per gli accusati indigenti.

Con l’accezione del substantive due process, la Corte suprema ha tentato di impiegare la formula del due process
come garanzia dei diritti sostanziali di libertà e proprietà. In Lochner V. New York (1905) viene dichiarata illegittima,
perché in contrasto con la libertà di contrattare, la legge newyorkese che limita a 10 ore giornaliere la durata massima
del lavoro per i panettieri; Lochner è espressione della fiducia dei giudici nella “Legge naturale dell’economia”. Si è
detto che la giurisprudenza dei primi decenni del XX sec relativa al substantive due process può contribuire a chiarire
la posizione della Corte suprema nel sistema istituzionale americano e a raffigurare il funzionamento dei “checks
and balances”. Attraverso la Judicial review la Corte suprema prende a invalidare molte leggi volte a dirigere
l’economia e la corte dichiara incostituzionale la legislazione del primo New Deal per sconfinamento delle competenze
del Congresso. In questa situazione viene ideato il famoso “Court packing plan”, che prevede che il Presidente possa
nominare un giudice aggiuntivo al compimento del settantesimo anno di ciascuno dei giudici in carica, nominati a vita;
progetto non finito. Altri esempi sono riferibili ai “penumbra rights”, quei diritti tutelati dalla Corte suprema in quanto
rientrano in senso lato nella sfera d’azione del duo process; ad esempio il diritto alla privacy.

Il X emendamento

La costituzione americana istituisce un sistema originale, in cui verifica una sovrapposizione di due serie di organi: a
livello federali vi sono un Congresso, un Presidente e un sistema di corti; a livello locali troviamo un potere legislativo,
un governatore e un’autonoma organizzazione giudiziaria. Sorge il problema della distribuzione del potere e della
divisione delle competenza tra federazione e stati. Il X emendamento aggiunge il principio per cui la competenza
legislativa degli stati è la regola e la competenza federale l’eccezione. Il diritto federale nasce limitato ma superiore al
diritto statale. Anche nelle materie di competenza del Congresso, la competenza degli Stati non è esclusa ma residuale
e dunque concorrente. Si pone un divieto per gli stati di legiferare in maniera contrastante con le disposizioni federali,
ma gli stati possono adottare disposizioni integrative del diritto federale.

L’articolo III della costituzione e l’organizzazione giudiziaria


Alla disciplina del potere giudiziario federale la costituzione USA dedica l’art. III: il primo paragrafo istituisce la Corte
suprema , conferisce al Congresso il potere di creare corti federali inferiori e determina le garanzie di indipendenza dei
giudici, mentre il secondo individua la competenza delle corti. Si pone dunque un dualismo perfetto tra giudiziario
nazionale e locale.

Le corti federali

Le corti di primo grado si chiamano District Courts, quelle di secondo Le Courts of Appeals, ed infine la Corte suprema
degli Stati Uniti. I giudici rimangono in carica “during good behaviour” e la loro retribuzione non può essere diminuita.
Il Congresso può istituire altri tribunali federali. Si tratta di corti specializzate, i cui giudici sono nominati per periodi
determinati e sono revocabili senza impeachment. Le US District Courts sono 94, vi appartengono più di 650 giudici,
assistiti da magistrates con funzioni decisorie e da clerks. In ciascun stato è presente almeno una District Court,
risolvono casi con giuria. Le US Courts of Appeals sono 13, di cui 11 articolate su circuiti territoriali a cui si deve
aggiungere il District of Columbia e il Federale Circuit; vi appartengono 200 giudici, è un organo collegiale, formato da
3 giudici, e talvolta le sue decisioni sono prese “en banc”, a sezioni unite.

La US Supreme Court è l’unica prevista espressamente dall’art. III, composta da 8 Associate Justices e da un Chief
Justice. L’appellativo Justice è riservato ai membri della Corte suprema, mentre gli altri sono Judges. Il numero dei
giudici è definito con legge ordinaria dal Congresso, in considerazione del ruolo di policy-making svolto dalla Corte tale
numero è stato modificato per influire sulle decisioni della Corte; il fatto che sia stabilito con legge ordinaria e che i
giudici siano nominati dal Presidente con consenso del Senato è un esempio di “checks and balances”. L’art. III
prevede due ipotesi di competenza della Corte suprema: original jurisdiction e appellate jurisdiction. La Corte è
composta di 9 Justices. Opera una severa selezione delle questioni da trattare e lo strumento tecnico attraverso cui
svolge tale selezione è il writ of certiorari. La Corte si è posta quale supremo interprete della carte fondamentale e
quale luogo in cui vengono efficacemente tutelati i diritti individuali. E’ un’istituzione peculiare la cui funzione è
complessa. E’ soprattutto sotto la lunga presidenza Marshall (1801-1835) che la Corte suprema assume il ruolo
fondamentale di giudice della costituzionalità delle leggi e di sostegno per l’affermazione e il primato del diritto
federale.

Per quanto concerne la procedura seguita dalle corti federali, momento importante è il 1934, anno in cui il Congresso
incarica la Corte suprema di redigere norme di procedura civile valide per tutto il sistema federale, riservandosene
l’approvazione; la Corte elabora le Federal Rules of Civil Procedure (1938), che si ispirano alla procedura di equity e
tendono alla deformalizzazione del processo in funzione di un suo snellimento e una riduzione dei costi. Il loro scopo è
quello di assicurare “la giusta, rapida ed economica risoluzione delle controversie”.

Le corti statali

Tra le particolarità del federalismo americano vi è la presenza di un duplice ordine di corti: federali e statali. E’
possibile affermare che in ciascuno stato sono presenti 3 gradi di giurisdizione. Vi è una grande varietà di
denominazioni e anche lo status e il prestigio dei giudici è molto diverso tra stato e stato.

I giudici federali

Il sistema di reclutamento è il medesimo per i giudici delle corti di ogni grado: nomina del Presidente con il consenso
del Senato. In ragione del particolare ruolo che la US Supreme Court riveste nell’ordinamento, la scelta relativa ai
giudici che la compongono segue un iter particolare, in cui l’impronta personale del Presidente è molto forte. Benché il
nome del futuro Justice sia proposto dal Presidente, il ruolo del Senato non deve essere sottovalutato. Il Presidente è
guidato da orientamenti politici del candidato e da considerazioni di “equilibrio”. I giudici federali sono nominati a vita
e possono essere rimossi dalla carica solo tramite impeachment; sono inoltre circondati da grande tradizione di
autonomia e prestigio. La corte suprema è presieduta dal Chief Justice, che svolge ruolo importante ed infatti la storia
della massima istanza federale può essere distinta in periodi che prendono il nome proprio dal Chief Justice. Mentre il
Presidente è direttamente coinvolto nella scelta del Justice, delega potere all’Attorney General, ministro della
giustizia, quando si tratta di altri giudici federali. Il processo di nomina è razionalizzato dalla partecipazione di un
comitato dell’American Bar Association, il Committee on Federal Judiciary. E’ importante per un Presidente nominare
un alto numero di giudici perché essi saranno portatori della sua ideologia oltre il suo mandato. I candidati alla carica
di giudice federale sono giudici delle corti inferiori, professori di facoltà giuridiche e “public officers”.

I giudici statali

I sistemi di reclutamento sono vari. Il primo e più tradizionale modello si basa sul principio dell’elezione popolare,
notevole influenza dei partiti politici, tale modello è ancora il sistema più usato per le corti inferiori e anche per il
reclutamento dei giudici delle corti d’appello; la durata della carica può variare da 6 a 10 anni. Un secondo modello,
utilizzato molto frequentemente sia per le coti di primo grado sia per quelle superiori, prevede la nomina da parte del
governatore; in alcuni stati è prevista la sola nomina da parte del governatore, in altri è necessario anche il consenso
dell’organo legislativo, in un caso è richiesta l’approvazione di un organo ad hoc, vi sono poi casi in cui il governatore
deve scegliere il candidato in una lista compilata da apposita commissione. Negli ultimi decenni si è affermato un
sistema misto (Missouri Plan) che prevede una commissione mista di giudici, avvocati e laici competente a scegliere 3
candidati per ogni posto vacante e il governatore deve nominare uno dei 3, che dopo il primo anno di carica si
presenta all’elettorato per ottenere mandato regolare di 6 o 12 anni.

Marbury VS Madison e il controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi

Il potere di giudicare della legittimità costituzionale delle leggi federali e statali, il potere di Judicial review esercitato
dalle corti americane, non è espressamente previsto dalla costituzione, ma è affermato dal Chief Justice Marshall nella
più famosa e citata sentenza Marbury V. Madison (1803). Tale potere viene teorizzato nel dibattito che accompagna
l’elaborazione della carta costituzionale. Oltre che nella teorizzazione della costituzione quale legge superiore vi è chi
trova il fondamento testuale del potere di judicial review nella “supremacy clause” dell’art. VI.

Marbury viene nominato giudice di pace dal Presidente federalista Adams, poche ore prima che scada il suo mandato.
Madison (antifederalista) non completa la procedura di notificazione dell’incarico a Marbury, profittando del fatto che
l’amministrazione Adams non ha fatto in tempo a portarla a termine. Marbury, considerando la notifica un atto
dovuto, agisce in giudizio presso la Corte suprema per un writ of mandamus, volto ad obbligare Madison a notificargli
la nomina. La domanda proposta da Marbury si fonda sul Judiciary Act (1789) che attribuisce alla Corte suprema il
potere di “emettere writs of mandamus nelle ipotesi previste dai principi e dalla prassi giudiziaria a favore di ogni corte
o di ogni persona che esercita un potere per autorità degli Stati Uniti”. La Corte suprema è all’epoca un organo debole
e si trova tra la scelta di accogliere la domanda del ricorrente rischiando di aprire un contrasto istituzionale, e la scelta
di respingere la domanda apparendo ubbidiente al volere del governo. Il dilemma viene risolto da Marshall che prima
dedica lungi obiter dicta alla dimostrazione di quanto Marbury abbia diritto al provvedimento che chiede e poi nega il
rimedio. Egli pone la questione del rapporto tra il Judiciary Act e la costituzione concludendo che la disposizione del
primo, che conferisce a Marbury il diritto di accesso alla corte suprema, è incompatibile con la distinzione tra
competenze prevista dalla seconda. La legge votata dal congresso non può consentirgli di adire direttamente la
massima istanza federale. Marshall dunque riconosce un contrasto tra la norma della legge e quella della costituzione.

Marshall prevede acutamente il potere di judicial review, vedendo il controllo di costituzionalità delle leggi come un
corollario dell’obbligo del giudice di decidere un caso. Il giudizio sulla legittimità costituzionale di una legge è
strettamente funzionale alla soluzione di una controversia reale ed effettiva. A Marshall si deve anche la prassi di
redigere “l’opinion of the Court” intesa come sentenza della Corte e non come somma di singoli speeches. Il modello
americano è comunemente definito diffuso perché non esiste un giudice costituzionale ad hoc, ma è svolto da tutti i
giudici ordinari nel momento in cui devono risolvere una controversia concreta, è quindi importante la presenza della
regola stare decisis.

E’ possibile l’ipotesi in cui la Corte federale d’appello di un determinato circuito disapplichi, ritenendola
costituzionalmente invalida, una legge federale, tale decisione vincolerà tutte le corti distrettuali presenti nel circuito.
La medesima legge può essere applicata dalla Corte d’appello di diverso circuito, possibile perché l’operatività
orizzontale della regola del precedente è debole. Trattando di una questione di costituzionalità questa giungerà alla
Corte suprema, verrà risolta e tale decisione vincolerà tutti i giudici inferiori. La legge federale in questione sarà
ritenuta legittima o meno in tutto territorio USA. La sentenza Marbury V. Madison ha posto in modo definitivo il
sindacato giudiziale di costituzionalità delle leggi. Il potere di ogni giudice federale di disapplicare una norma di legge
ritenuta in contrasto con la costituzione non è mai stato in pericolo. E’ utile osservare che la corte ha fatto uso
parsimonioso del potere di judicial review. L’atteggiamento di restraint consente alla Corte di porsi nel giusto
equilibrio rispetto ad altri poteri.

La complessità del federalismo americano e il rapporto tra giurisdizione federale e statale

Il Congresso federale ha la possibilità di legiferare solo nelle materie espressamente attribuitegli dalla costituzione, le
corti federali sono dotate di limited jurisdiction. L’art. III della costituzione prevede la competenza federale in due
ipotesi fondamentali:

 federal question jurisdiction originata nella natura della controversia e il giudice federale è competente quando
debba essere applicata la costituzione o la legge federale
 diversity jurisdictionoriginata nelle persone dei ricorrenti e il giudice federale è competente quando parte in causa
sono il governo USA; è dovuta alla ricerca di un giudice imparziale ritenendosi che quello federale offra maggiori
garanzie.
Nel caso Swift V. Tyson (1842) il giudice Story per favorire una maggiore uniformità del diritto, adotta
un’interpretazione restrittiva del Judiciary Act sostenendo che il termine “laws” è da intendersi come “the positive
statutes of the state”. Legge dunque e non diritto, statute law ma non common law; secondo story, la Corte federale
deve applicare la “general common law” se il caso di specie non è regolato da un atto legislativo dello stato.

Può verificarsi un ingiustificato dualismo di soluzioni giuridiche a seconda che si investa del giudizio un organo statale o
un organo federale. Prevedendo la competenza delle corti federali nei casi tra soggetti di diversa cittadinanza, si vuole
assicurare pari giustizia alle parti di stati diversi e non autorizzare la creazione di un diritto federale in materia in cui il
Congresso non può legiferare.

Fattori di semplificazione e uniformazione del diritto americano

Non esiste una common law federale, ma solo la common law dei singoli stati a cui devono aggiungersi le leggi statali e
quelle adottate dal Congresso e la costituzione stessa accompagnata dalla giurisprudenza, così si nota la complessità e
frammentarietà del diritto americano. Ma sono presenti nell’ordinamento americano alcuni importanti fattori
unificanti.

Le law schools e la dottrina

Negli USA l’università non ha avuto concorrenti nell’educazione giuridica e l’importanza dell’accademia ha lasciato
tracce notevoli. I giudici delle corti superiori sono spesso reclutati tra i docenti delle migliori università. Le law schools
sono fondamentali nella formazione del giurista americano. Le università tendono ad insegnare, insieme al diritto
statale, anche i “principi generali del diritto”; l’università svolge un ruolo unificante.

Dal 1870 Cristopher Columbus Langdell sostiene la necessità di un insegnamento scientifico del diritto e inizia il suo
lavoro come preside presso la Harvard Law School: la durata dei corsi viene portata a 3 anni, introdotto un rigido
controllo tramite esami; la frequenza di un corso di studi superiore è posta come requisito per ammissione. Langdell
introduce il case method, un metodo di insegnamento socratico-dialogico. Egli propone di studiare i casi della
giurisprudenza, cercando i scorgervi i principi di diritto che essi esprimono, per ordinare i principi così reperti in un
sistema logico e coerente. Attraverso un impiego didattico originale, si rinnova l’importanza del diritto
giurisprudenziale.

Il superamento del formalismo giuridico è avviato da Oliver Wendel Holmes, giudice della corte suprema 1902-1932.
Ma è Roscoe Pound, fondatore della Scuola sociologica, a sviluppare un programma ideologico. Si riacquista
consapevolezza della potenzialità creativa dell’opera del giudice. Nella giurisprudenza si propone che entrino anche la
valutazione di nuove esigenze della società, in un equilibrato bilanciamento degli opposti interessi della continuità e
innovazione giuridica. Il giudice agisce come “social engineer” e deve perciò conoscere i problemi su cui le sue
decisioni incidono; il professore deve essere giurista, ma anche sociologo, economista e scienziato della politica.

Con il Realismo giuridico l’attenzione dei giuristi americani passa dalla scoperta di cosa sia “the law” all’analisi del
“Legal process”. Per i realisti, il diritto è inteso come mezzo per la realizzazione di scopi sociali e la ricerca deve essere
volta all’osservazione empirica al fine di descrivere in maniera realistica ciò che il diritto è. Per Llewellyn e Frank, il
diritto può discendere da un’attenta osservazione del “judicial behaviour”, ossia dall’osservazione di ciò che i tribunali
effettivamente decidono.

Il realismo influenza profondamento tutti i settori della vita giuridica. La Economic analysis of law utilizza il criterio
dell’efficienza accanto a quello della giustizia nel valutare e spiegare regole giuridiche. Da ricordare sono i Critical legal
studies (Crits), che estremizzano gli aspetti più distruttivi del realismo affermando che non c’è differenza tra il
ragionamento giuridico e quello politico, con la conseguenza di cercare in maniera esplicita i valori metagiuridici cui il
giudice deve riferire le proprie scelte.

Le law schools e la professione legale

Le law schools sono il luogo dove ci si prepara per l’esercizio della professione legale. Per ottenere la qualifica di
lawyer è previsto un preciso curriculum: necessario un diploma conseguito in una delle law schools accreditate
dall’American Bar Association; aver superato il Law School Admission Test. Poi per ottenere il patrocinio presso le
corti (il titolo formale di attorney at law) è necessario superare un esame (il bar exam) che verte su quei principi
generali del diritto americano. L’esercizio associato della professione contribuisce a determinare la peculiarità del
sistema americano.

Il Restatement e l’idea di codificazione

Il Restatement è un importante e originale prodotto della dottrina, il cui fine è dare un po’ d’ordine ad una
giurisprudenza eccessivamente frammentata e complessa. Nel 1923 l’American Bar Association istituisce l’American
Law Institute, con lo scopo di promuovere la semplificazione e chiarificazione del diritto e di incoraggiarne l’approccio
scientifico. L’ALI ha il compito di rielaborare in forma sistematica e ordinata alcuni settori del diritto. Così tutti i campi
importanti del diritto vengono rielaborati nei volumi dei restatements. I restatements, per la costruzione sistematica e
la redazione astratta delle loro regole, ricordano i codici continentali. E’ frutto dell’idea di una riforma globale del
diritto.

Lo Uniform Commercial Code

C’era il bisogno di una disciplina omogena in settori diversi e ulteriori rispetto a quello attribuiti al Congresso; viene per
questo istituita nel 1892 la National Conference of Commissioners on Uniform State Laws con il compito di formulare
leggi per quelle materie che sembrano particolarmente bisognose di una unificazione americana interna; essa ha
elaborato numerose leggi uniformi. Il risultato più importante è lo Uniform Commercial Code (UCC), che disciplina
esclusivamente il diritto dei contratti commerciali e della vendita commerciale. Lo UCC ha struttura, sistematica e
contenuto tipici di un codice.

Qualche osservazione in tema di fonti del diritto

La regola stare decisis

Negli USA la regola stare decisis ha un’efficacia meno rigida rispetto all’Inghilterra. Negli USA le decisioni delle corti
superiori vincolano senz’altro le corti inferiori appartenenti alla stessa giurisdizione. Le differenze sussistono in
considerazione della portata orizzontale del precedente. La Corte suprema federale, diversamente dalla House of
Lords, non si è mai sentita legata alle proprie decisioni. La più alta istanza federale ha sviluppato un approccio
ermeneutico di tipo teologico, adeguando la lettera della carta allo spirito dei tempi. Con la struttura federale
dell’ordinamento e la sua pluralità di giurisdizioni, le corti federali di pari grado non sono tra loro vincolante. Ciò non
toglie che tali sentenze possano avere una grande efficacia persuasiva. Le corti americane hanno sviluppato tecniche
nuove, quali il prospective overruling e l’anticipatory overruling, che rendono il sistema più flessibile. Ove è presenta
una pluralità di giurisdizioni, il numero di sentenze è molto elevato e sono pubblicate efficientemente nei Reports. Tra i
fattori culturali che negli USA rendono meno rigida la regola del precedente vi è lo sviluppo dello studio dottrinale del
diritto nelle law schools, la mentalità critica del giurista è infatti direttamente proporzionale a esso.

Gli statutes

La presenza della costituzione ha familiarizzato il giurista americano con le disposizioni scritte di portata generale. Il
giudice da sempre si è servito dei lavori parlamentari e di tutti i documenti che possano in qualche modo aiutarlo a
trovare lo spirito della legge. Il giudice americano è avvezzo a cercare la policy ad essa sottesa.

Infine, negli USA esistono esempi di codificazione del tutto sconosciuti in Inghilterra, ad esempio lo UCC, che non viene
inteso come estraneo alla common law. Gli statutes si armonizzano con il corpus della common law.
PAESI NORDICI

Uno dei casi più problematici della contrapposizione civil-common law è costituito dall’insieme degli ordinamenti
scandinavi/nordici, ossia gli O.G. di Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia e Islanda. I sistemi giuridici nordici possono
essere sistemati nel gruppo Europeo Continentale.

La suddivisione interna della “famiglia” nordica e la lingua come elemento unificante

E’ bene dare qualche dato storico relativo ai legami intercorsi nei secoli tra gli attuali stati nordici, che permettono di
suddividere la famiglia nordica i due sottoinsiemi. Il primo è costituito dalla tradizione nordica “orientale”, con la
Svezia come modello storico per la Finlandia, e il secondo dalla tradizione nordica “occidentale”. Il rapporto più
stretto è tra Svezia e Finlandia. Fino al 1809 un “diritto finlandese” semplicemente non esisteva, i territori finlandesi
non erano che province del Regno di Svezia. A seguito delle sfortunate scelte svedesi durante le guerre napoleoniche,
la Finlandia passò sotto controllo russo, come granducato con il privilegio di mantenere il proprio diritto. Per molto
tempo l’O.G. finlandese costituì un’isola di diritto svedese “congelato” dentro la Russia. Una volta raggiunta
l’indipendenza (1917) il diritto svedese è rimasto il principale punto di riferimento per i giuristi finlandesi. Nel caso
dell’Islanda, la sovranità danese è terminata solo nel 1944; il riferimento al modello di questo paese è rimasto basilare
a causa delle ridotte dimensioni del paese.

Un fattore importante è quello linguistico. Ognuno dei paesi nordici dispone di una lingua nazionale. Ma questo
pluralismo linguistico non pone particolari ostacoli alla circolazione delle idee in generale e alla comunicazione tra
giuristi in particolare. Le similitudine morfosintattiche sono tali da renderle intercomunicanti.

La precoce affermazione delle fonti legislative e la loro evoluzione

I paesi nordici condividono con la common law l’alto grado di continuità storica. La tradizione nordica è l’esito di un
processo evolutivo che prende le mosse dall’unificazione di regni scandinavi databile approssimatamene nell’XI
secolo. Il cemento culturale è stato fornito da una precoce affermazione di fonti che, pur con tutte le cautele del caso
per quanto riguarda le epoche risalenti, hanno carattere prevalentemente legislativo. I testi normativi più antichi a
noi giunti sono costituiti dalle “leggi provinciali” (landskapslagar), adottate ognuna in una particolare regione dei regni
nordici continentali e aventi natura varia. Esistevano anche testi normativi (“leggi cittadine”, stadslagar) adottai dalle
città. Le leggi provinciali sono state un materiale prediletto in particolare dagli storici tedeschi del XIX sec, che vi
vedevano la cristallizzazione di consuetudini germaniche. A noi importa mettere in luce l’apparizione in epoca molto
risalente di materiali giuridici redatti nelle lingue nazionali, e non in latino.

Un passo importante è costituito dalla redazione di testi normativi unificati per ognuno dei regni nordici. L’unificazione
non è totale, in quanto si manteneva comunque una normativa distinta per le campagne e per le città; inoltre
l’unificazione non fu immediata, in particolare per la Svezia sembra che i nuovi testi abbiano per un tempo rilevante
convissuto nella prassi con le leggi provinciali.

Le categorie e le partizioni contenute nelle compilazioni medievali costituiranno la tela di fondo della tradizione
nordica. Sino a XVII-XVIII sec, i testi non subirono modifiche particolari e le principali innovazioni ebbero luogo al di
fuori di essi, principalmente nell’ambito dell’organizzazione giudiziaria. L’attaccamento alle radici è dimostrato da che
in Svezia nel 1608 Carlo IX autorizzò le corti ad utilizzare come fonti sussidiarie le antiche leggi provinciali. I primi a
giungere alla revisione dei testi medievali furono i danesi, con la promulgazione da parte di Cristiano V nel 1683 del
Danske Lov, promulgato in una versione molto simile per la Norvegia (Norske Lov) nel 1687. E’ stato discusso se questo
testo sia più una compilazione che una codificazione. Comunque esso non rappresenta un punto di rottura/svolta
radicale.

Lo stesso vale per il corrispondente testo che verrà promulgato in Svezia nel 1734 (Sveriges rikes lag= Legge del regno
di Svezia), che diverrà ovviamente diritto vigente anche in Finlandia. Il Rikes lag è un testo atipico per il giurista
continentale per le sue permanenti radici medievali, riflesse anzitutto nella sistematica, che riprende quella dei due
corpi legislativi preesistenti. Poneva fine alla bipartizione diritto rurale/diritto cittadino. Nel contenuto era data in
linea di massima la preferenza alle soluzioni della legislazione cittadina per le materie di commercio, e a quelle della
legislazione rurale per il regime della proprietà immobiliare. Si tratta di un’opera a carattere nettamente casistico, che
privilegia la concretezza nella descrizione dei fatti a cui collegare effetti giuridici e l’incisività delle statuizioni attraverso
l’uso di frasi concise. La lingua è volutamente arcaica. Al di fuori della casistica l’interprete è lasciato all’oscuro, non
soccorrendo clausole generali, e presupponendo “lo svolgimento da parte del giudice di un’attività integrativa
secondo coscienza e sapienza”. Le stesse ragioni del prestigio di tali testo ne costituivano allo stesso tempo la
debolezza. L’estrema, didascalica, corrispondenza alla realtà della propria epoca e la scarsità di clausole generali non
li rendevano i facile adattabilità a mutate condizioni.

La “codificazione mancata” in Svezia

Dopo il disastro del 1809, si avvia una breve stagione in cui appare possibile un radicale rinnovamento del paese. Al
Riksdag vengono presentate mozioni per l’ammodernamento e il riordinamento del Rikes Lag (1734) e per l’eventuale
adozione di un testo nuovo, in un contesto in cui i riferimenti culturali erano schiettamente francesizzanti. Prevale un
approccio prudente, anche i conservatori ammisero la necessità di un riordinamento dell’apparato normativo. Si
giunge nel 1811 alla creazione di una Commissione per la riforma legislativa (Lagkommitté), le cui proposte saranno a
lungo il cardine del dibattito giuridico svedese. Le direttive alla Commissione stabiliscono di mantenere la ripartizione
in balkar del Rikes Lag. Nel 1826 è presentata una “Proposta di legge civile generale”. Ma su alcuni punti la formazione
liberale dei redattori appariva evidente, concretizzandosi in proposte di difficile digeribilità politica per i conservatori,
come la parità tra uomini e donne in materia successoria e la libertà di alienazione dei terreni. La proposta venne
inviata, secondo la procedura dell’epoca, alla Corte suprema per un parere preventivo. Quando dopo anni finalmente,
il parere della Corte sarà negativo; la “Proposta di legge civile generale” venne considerata come eccessivamente
aderente a modelli di oltre frontiera ed eccessivamente innovativa, con argomentazioni tratte di peso
dall’armamentario della Scuola storica. Tale parere imporrà una battuta d’arresto all’opera di riforma.

L’avvio della cooperazione legislativa nordica

I due mondo della tradizione svedese/finlandese e danese/norvegese rimanevano tendenzialmente separati. Il punto
di svolta è rappresentato dall’avvio nel 1872 degli “Incontri nordici dei giuristi”, che riunivano ogni 3 anni giuristi
teorici e pratici per la discussione di problemi di comune interesse. Saranno proprio il diritto civile e il diritto
commerciale ad essere toccati in modo più incisivo dalla cooperazione messa in moto dagli “Incontri nordici”. La
collaborazione fu intensa, ma senza la creazione di alcuna struttura ad hoc, né la formalizzazione di vincoli giuridici in
trattati internazionali; fu semplice collaborazione tra cancellerie.

Di importanza centrale è la promulgazione tra il 1905 e il 1907 in Svezia, Danimarca e Norvegia delle leggi
“armonizzate” in tema di compravendita di beni mobili e soprattutto sul “contratto e gli altri negozi giuridici
nell’ambito patrimoniale”. Queste leggi comportano una netta modernizzazione del diritto civile nordico, ma non
assolutamente la scomparsa delle peculiarità della tradizione dell’area. Anzi restano esterne al corpus dei testi sei-
settecenteschi; nessuna di esse rappresentava un’abdicazione a modelli giuridici extra nordici. Il materiale straniero è
filtrato e riordinato secondo un approccio pragmatico, alieno dai formalismo più estremi della dogmatica. In modo non
dissimile dal realismo giuridico americano, la cosiddetta scuola di Uppsala si scagliava contro le astrazioni concettuali
tipiche della dogmatica tedesca e concepiva il diritto come strumento di ingegneria sociale. I realisti scandinavi
intendevamo riaffermare la natura scientifica del diritto liberando la materia dall’influenza nefasta della metafisica.

Nella seconda fase della cooperazione legislativa nordica, un’importante novità era rappresentata dalla partecipazione
diretta della Finlandia, prima impossibile perché sottoposta alla Russia. Il superamento della condizione di arretratezza
della Finlandia fu realizzato in parte con l’emanazione di leggi ispirate al modello nordico, in parte attraverso una sorta
di adeguamento sommerso.

Dopo la II GM c’è bisogno di una modernizzazione. Un ottimo esempio è la responsabilità civile extracontrattuale. I
paesi nordici arrivano al dopoguerra senza una chiara definizione legislativa del diritto comune della responsabilità
civile. In Svezia, l’unica base legislativa era costituita dalle disposizioni contenute nel sesto capitolo della Legge penale
del 1864. I diritti nordici si erano sviluppati in modo abbastanza caotico, con ampie aree in cui vi era incertezza circa il
contenuto del diritto vigente. La tecnica usata fu quella del coordinamento del lavoro preparatorio, con la nomina di
commissioni parallele nei vari Paesi nordici, composte da esperti chiamati a valutare le differenti alternative e a
redigere rapporti/proposte motivate destinati a costituire la base delle proposte dell’esecutivo.

L’ultima fase dell’evoluzione legislativa nordica è stata in buona parte legata alla realizzazione del particolare modello
di welfare state che ha reso gli ordinamenti nordici una sorta di “laboratorio sociale” dell’Europa. Le innovazioni in
materia di protezione del consumatore, assistenza legale ai non abbienti, unioni di fatto e tutela dei lavoratori.

Le peculiarità nordiche: Lo stile delle leggi

Non vanno sottovalutate le peculiarità che il materiale legislativo nordico mantiene rispetto a quelle con cui sono
abituati a confrontarsi i giuristi, francesi/tedeschi/italiani. Il Rikes lag e il Danske Lov rimangono un’intelaiatura di
grande valore simbolico; essi non sono mai stati abrogati, ma poco del loro testo originale è rimasto in vigore, e di
questo poco gran parte ha un’importanza pratica ridotta. La comprensione delle peculiarità della legislazione nordica
deve quindi rivolgersi a partire dall’esame dei materiali moderni. La legislazione recente è normalmente una
legislazione di elevata qualità linguistica. Il comparatista è di norma colpito dal frequente uso di clausole generali o
comunque di richiami a criteri di valutazione abbastanza indefiniti, quali ad esempio i richiami alla “ragionevolezza”.
Spesso la norma sembra tendere a una struttura del tipo “dal fatto x discende la conseguenza giuridica y, salvo
particolari ragioni non depongano altrimenti”. I riferimenti alla “ragionevolezza” non vanno automaticamente
interpretati come attribuzioni di discrezionalità al giudice o come il riconoscimento di un suo ruolo “forte”.

Il peso dei lavori preparatori nel sistema delle fonti

In Svezia in ogni biblioteca ci sarà la collezione delle sentenze della Corte suprema, con il titolo “Nuovo Archivio
Giuridico” affiancata da una seconda collezione intitolata “Nuovo Archivio Giuridico II”, che raccoglie i lavori
preparatori delle leggi emanate ogni anno. Chi volesse realizzare una scala ideale dei sistemi giuridici europei, basata
sull’importanza che i lavori preparatori hanno nella gerarchia delle fonti e nella tecnica di interpretazione legislativa,
dovrebbe indubbiamente collocare i Paesi nordici a uno dei due estremi, opposto al diritto inglese. La classificazione
del diritto nordico come modello “intermedio” tra civil law e common law si rivela dunque di limitata efficacia
restrittiva. I lavori preparatori sono giunti ad occupare una posizione molto alta nella gerarchia delle fonti alla fine del
XIX sec, in modo abbastanza inosservato, sicuramente dopo la II GM la loro ascesa era compiuta e stabilizzata. Nelle
descrizioni dottrinali della gerarchia delle fonti, in linea generale non si è mai arrivati ad affermare la vincolatività
giuridica per il giudice delle statuizioni ivi contenute. Il manuale di “metodo giuridico pratico” riporta anzi che “una
corte non deve esitare a distaccarsi dalla soluzione proposta dai lavori preparatori, se ritiene che un’altra soluzione sia
migliore”. Ma nella stessa opera si specifica che “di regola una statuizione del motivo confliggente con la chiara lettera
del testo della legge non deve essere seguita”; specificazione motivata dal riscontro empirico che la Corte suprema non
ha esitato ad applicare un enunciato dei lavori preparatori in apparente contrasto con la legge.

E’ interessante rilevare il legame che intercorre tra la forza dei lavori preparatori nel sistema delle fonti e la tecnica
legislativa. La leggibilità e accessibilità per il laico non era un obiettivo semplice, quando si voleva mantenere certezza
circa soluzioni di dettaglia, distinguere le aree nelle quali si riteneva opportuna un’ulteriore elaborazione nella prassi e
dare la possibilità di un temperamento equitativo dei principi di base. Nella pratica ciò finiva per consentire un
“doppio livello” legislativo, potendo inserire una norma di dettaglio alternativamente nel testo o nei lavori
preparatori, senza diminuirne in modo significativo l’effettività. La flessibilità è stata ampiamente utilizzata dai
legislatori. La tecnica del “doppio livello” era utilizzabile in epoche in cui gli esecutivi avevano solidissime maggioranze.
La scelta tecnica consisteva nel lasciare al testo la formulazione dei principi di fondo, riversando la regolamentazione
più puntuale nei lavori preparatori, con i riferimenti alla “ragionevolezza”. Le clausole di “ragionevolezza” possono
risultare ingannevoli per uno straniero.

Un elemento da considerare è quello delle dimensioni delle società nordiche. I paesi nordici sono piccoli dal punto di
vista di abitanti, ma anche per quanto riguarda le dimensioni delle loro comunità giuridiche. L’expertise giuridica in
una particolare area è quindi molto concentrata, questo va ad interagire con le forme del processo legislativo. La
tradizione nordica prevede la preventiva nomina di commissioni governative a composizione tecnico-giuridica che
stendono un progetto di legge. Il rapporto della commissione preparatoria viene sottoposto per un parere a un’ampia
serie di soggetti e dei pareri espressi viene tenuto conto nel disegno di legge governativo. E’ chiaro che le statuizioni
della relazione di accompagnamento al disegno di legge governativo, specie se conformi alle proposte della
commissione preparatoria, sono investite di una doppia legittimità, democratica e culturale. L’attività di
membro/segretario di una commissione governativa di studio. La forza dei lavori preparatori come fonte del diritto è
un dato che comincia a entrare in crisi anche dove, come in Svezia, essa era sino ad oggi più marcata. La scena politica
è molto instabile, ciò ha condotto a discutere il problema di quale sia effettivamente la legittimazione democratica di
una norma. La riflessione sulle peculiarità della tradizione nazionale è stata poi indotta al momento dell’accesso di
Svezia e Finlandia nell’UE il 1° gennaio 1995. Negli scritti sui risvolti giuridici dell’integrazione europea sono ricorrenti
le preoccupazioni circa i problemi interpretativi delle norme comunitarie.

La costituzione nel sistema delle fonti del diritto: prospettive di cambiamento

E’ utile ricordare l’aumentata importanza del controllo giudiziario di costituzionalità. Per quanto tutti i Paesi nordici
dispongano di costituzioni rigide, in linea generale il controllo giudiziario di costituzionalità sull’attività del legislatore è
stato sino ad oggi poco incisivo. Sotto questo aspetto la posizione più arretrata è stata per molto tempo quella svedese
e finlandese.

In Svezia il controllo di costituzionalità fu introdotto dalla legge sulla forma di governo (1974), secondo il quale “se una
corte o un altro organo pubblico rilevano che una norma è in conflitto con una disposizione della costituzione o di
un’altra legge sopraordinata…, tale norma può essere disapplicata”. Fino al 2011 tale controllo era sostanzialmente
disarmato dal prosieguo della stessa disposizione, ove si stabiliva che una norma proveniente dal governo/parlamento
poteva essere disapplicata solo quando il vizio era “evidente”. Il prudente atteggiamento delle corti è dovuto in parte
all’assetto istituzionale che assegna al parlamento un ruolo di preminenza, in parte alla mentalità “burocratica” dei
giudici. Il 1° gennaio 2001 è entrata in vigore una legge costituzionale che ha emendato vari aspetti della Legge sulla
forma di governo, tra cui il rafforzamento del controllo di costituzionalità delle leggi da parte dei giudici. La riforma ha
eliminato il requisito formale della manifesta contrarietà della norma di legge al grundlag, sostituendolo con un
obbligo generico di “tenere in considerazione che il parlamento è il supremo rappresentante del popolo e che la
costituzione prevale sulla legge ordinaria”. La riforma costituzionale del 2011 ha rafforzato il ruolo del Consiglio per la
legge (Lagrad), un organo composto da giudici o ex-giudici della Corte Suprema e della Corte Suprema Amministrativa.
Il Consiglio opera un controllo preventivo sui progetti di legge. La riforma ha reso il parere del Consiglio obbligatorio
con riferimento ad alcune materie specifiche.

Il cauto atteggiamento svedese è condiviso dalla Finlandia. Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi era
affidato unicamente ad una commissione parlamentare, la Commissione costituzionale, che lo esercita in via
preventiva ed astratta. Nel 2000, con una grande riforma, ricalcando in parte il modello svedese, le corti hanno
acquisito il potere di disapplicare le leggi manifestamente incostituzionali. Il potere delle corti si è aggiunto a quello
della Commissione parlamentare, senza sostituirlo. Il controllo di costituzionalità si muove su doppio binario: una
verifica preventiva ed astratta della Commissione costituzionale ed una verifica concreta e diffusa messa in atto dalle
corti. Il vero cuore del controllo di costituzionalità continua quindi ad essere la verifica preventiva ed astratta della
Commissione, verifica che tradizionalmente si concentrava sulla legittimità formale dell’iter legislativo, ma oggi tende
a coinvolgere anche la legittimità costituzionale sostanziale. Il controllo di costituzionalità preventivo è funzionale alle
cosiddette “Leggi di eccezione”, leggi approvate con il procedimento riservato alle riforme costituzionali, capaci di
derogare alla costituzione, ma che rivestono il rango di legge ordinaria. La riforma del 2000 ha posto dei limiti al loro
impiego.

Differente, almeno in principio, è l’approccio al controllo di costituzionalità di Norvegia e Danimarca, dove è da lungo
tempo incontestato il potere delle corti di disapplicare una norma di legge in contrasto con la costituzione, senza
necessità di una particolare “gradazione” del contrasto. Nel caso della Norvegia, tale potere deriva da due pronunce
della Corte Suprema del 1854 e del 1866 e che costituiscono il primo esempio europeo di judicial review. Nel 1976,
con il caso Klofta, la Corte suprema riaffermò il potere delle corti di disapplicare le leggi. Le corti norvegesi, pur
esercitando attivamente il controllo di costituzionalità, sono estremamente restie a disapplicare le leggi del
parlamento, preferendo giungere ad una interpretazione costituzionalmente accettabile. Anche in Danimarca è stata
la giurisprudenza ad attribuire alle corti il controllo di costituzionalità delle leggi. In Danimarca quello di judicial
review sembra rimanere un potere “immanente”.

La tutela dei diritti fondamentali

Nella tradizione nordica la costituzione è uno strumento di organizzazione del potere politico, più che baluardo a
difesa delle libertà individuali. La protezione dei diritti umani è stata affidata in via primaria ai trattati internazionali, a
partire dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

La CEDU è stata incorporata nell’ordinamento svedese dal 1° gennaio 1995, con lo status di legge ordinaria. Per
disciplinare eventuali conflitti, è stata inserita una disposizione costituzionale che vieta l’emanazione di
leggi/regolamenti in contrasto con la CEDU. Una legge svedese emanata in violazione della Convenzione si porrà in
contrasto, per via mediata, anche con la costituzione. Altre disposizioni rilevanti sono contenute nei documenti
costituzionali. La loro presenza del testo costituzionale è un dato utile per comprendere le tendenza dell’O.G. svedese
in materia di diritti fondamentali; impone al governo di promuovere lo sviluppo del diritto in 5 settori: uguaglianza,
libertà e dignità individui; il loro benessere personale, economico e culturale; la protezione del patrimonio ambientale;
la promozione della democrazia nella società e la tutela della privacy; la tutela delle minoranze.

In Danimarca l’approccio dualistico ha negato l’applicabilità diretta della CEDU. Il carattere puramente dualistico
dell’O.G. danese ha trovato molto oppositori, fautori di un approccio più aperto nei confronti dei principi di diritto
internazionale. Il legislatore danese ha scelto di non disciplinare con una disposizione costituzionale il conflitto tra la
Convenzione e le leggi nazionali. E’ quindi teoricamente possibile che la legge di incorporazione, che riveste il rango
di legge ordinaria, sia derogata da un atto successivo del legislatore. Le Corti hanno affrontato il problema ricorrendo
a 2 strumenti ermeneutici: la regola di interpretazione conforme, secondo cui la legge nazionale dovrà essere
interpretata in modo da non violare le norme di diritto internazionale; e la regola di presunzione, in base alla quale i
giudici dovranno presumere che il parlamento non abbia inteso violare il diritto internazionale, logicamente applicabile
solo quando la legge nazionale sia successiva al trattato internazionale.

La regola di presunzione è applicata anche in Norvegia. Qui la legge di incorporazione della CEDU (1999) ha avuto una
decisiva funzione chiarificatrice. La stessa legge prevede che in caso di conflitto tra la legislazione nazionale e la
Convenzione debba prevalere quest’ultima. Ma nel 2014 il legislatore norvegese ha dedicato ai diritti fondamentali
un’apposita sezione del testo costituzionale. In precedenza, i diritti fondamentali erano stati relegati tra le
“disposizioni generali”.

La Finlandia ha aderito al Consiglio d’Europa nel 1989 e alla CEDU nel 1990. Gli eventuali conflitti sono risolti con gli
strumenti ermeneutici usati in Danimarca. La Convenzione è oramai un punto di riferimento importante per l’O.G.
finlandese e su molte disposizioni esiste oramai una vasta casistica giurisprudenziale. Nel 1995, con lo scopo primario
di adeguarsi alla CEDU, ha notevolmente potenziato la tutela costituzionale dei diritti fondamentali. La novità più
importante consiste nell’estensione della tutela a tutta la popolazione finlandese.

In Islanda l’applicazione della CEDU è stata oggetto di un’interessante evoluzione giurisprudenziale. Inizialmente le
corti dimostravano assoluta fedeltà al carattere dualistico. Un mutamento è stato registrato con la sentenza della
Corte suprema n.2/1990, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 6 CEDU, poiché il presidente della corte
distrettuale che lo aveva condannato era anche il superiore gerarchico degli agenti che avevano condotto le indagini, e
non poteva definirsi “imparziale”. La Corte suprema, facendo riferimento ad esperienze giuridiche simili a quella
islandese, ma soprattutto alla CEDU e alla giurisprudenza della Corte europea, ha affermato che la sovrapposizione in
un unico soggetto delle funzioni investigative e giudiziarie non può fornire sufficienti garanzie di imparzialità. La
giurisprudenza islandese tende a riconoscere nei trattati in materia di diritti umani ed alla CEDU, una notevole
autorità, tanto che il diritto nazionale dovrà essere interpretato in modo da non violare la CEDU.

Corti, giudici e processo

Il riconoscimento di una certa marginalità della giurisprudenza non deve estendersi ad affermare una generica
marginalità die giudici. Common Law e tradizione nordica sono accomunate dall’elevate continuità storica, ma si
distinguono per la diversa scansione temporale nello sviluppo delle fonti del diritto. Nel caso del Nord Europa
un’istituzione non meramente transeunte di corti centrali avviene in epoca relativamente tarda, con l’istituzione della
Corte d’appello di Stoccolma (1614) e in Danimarca con la Corte suprema (1661). Questo non vuol dire che il sistema
giuridico traesse la sua legittimità unicamente dai comandi legislativi. Anzi basava la sua forza proprio sul forte
radicamento locale del sistema giudiziario. Nelle zone rurali in Svezia, le corti di prima istanza erano composte da “un
giudice e 12 contadini residenti nella circoscrizione”, i membri laici sono persone che partecipano in modo permanente
all’attività giurisdizionale. E’ importante ricordare che il prestigio di queste corti non derivava dalla loro componente
togata, anzi i membri alici potevano contare localmente su una notevole autorevolezza.

L’istituzione di corti centrali ha rappresentato senza dubbio uno stimolo all’elaborazione di un pensiero giuridico
raffinato, e in alcuni casi alla penetrazione del diritto romano. Ma esistevano ostacoli importanti al travaso di
conoscenze tra la cultura delle élite che sedevano nelle corti e la generalità dei giudici; un primo ostacolo era l’assenza
di un sistema di pubblicazione o di conoscibilità dei precedenti. L’affermazione della necessità di una giurisprudenza
coerente come integrazione delle prescrizioni legislative ha incontrato d’altronde forti resistenze, oltre che in molti
magistrati, anche in una parte della dottrina. Seppur con lentezza, la giurisprudenza ha comunque progressivamente
assunto un ruolo sempre più significativo, e lo stile delle sentenze è diventato sempre più idoneo allo svolgimento di
una funzione nomofilattica. Tutte le corti supreme nordiche ammettono la presenza di opinioni dissenzienti. Nel caso
svedese, i giudici della maggioranza redigono una breve motivazione comune, a cui può seguire una parte redatta dal
singolo giudice a “più preciso chiarimento della sua opinione”. La progressiva affermazione dell’importanza della
giurisprudenza al vertice per l’orientamento di corti inferiori si è riflessa anche nello sviluppo di sistemi di selezione dei
casi da decidere da parte delle Corti supreme. Tutte le corti nordiche dispongono di amplissima discrezionalità nello
stabilire su quali casi pronunciarsi, sulla base di norme che impongono di scegliere primariamente casi di interesse
generale.

Abbastanza peculiare è il fenomeno della scarsità di giurisprudenza in importanti settori del diritto. Relativamente
scarsi sono quelli riguardanti le aree centrali del diritto civile a causa della concorrenza di altri sistemi di dispute
resolution. Le alternative al processo ordinario è vasto, comprende anche una moltitudine di organi
provati/semipubblici che si occupano di controversie assicurative o relative a contratti di consumo. Tutti questi organi
fanno si che le corti supreme solo raramente si pronuncino su dati problemi.

Il modello processuale è caratterizzato da oralità, concentrazione ed immediatezza. La componente laica degli organi
giurisdizionali ordinari è andata progressivamente diminuendo la sua importanza, rimanendo riservata in sostanza ai
processi penali di rilievo. L’obiettivo pragmatico è trovare un equilibrio tra le risorse pubbliche e private investite nel
processo e la rilevanza di ciascuna controversia.

Per quanto riguarda il reclutamento dei giudici, è sostanzialmente basato su un sistema di tipo burocratico, in cui il
reclutamento iniziale è in genere affidato alle stesse corti (In Svezia, le corti d’appello), primariamente sulla base
dell’esito di periodi di tirocinio. Il sistema è caratterizzato dall’effettiva abilità professionale, da una lunga serie di
controlli intermedi nel percorso formativo e da una tarda attribuzione di incarichi giudiziari permanenti. Per quanto
riguarda l’avvocatura ha avuto uno sviluppo tardivo. In Svezia e Finlandia tuttora la parte può stare in giudizio in ogni
grado di giurisdizione senza assistenza di difensore, né l’esercizio dell’attività difensiva è monopolio die giuristi. L’unico
monopolio dei membri dell’ordine degli avvocati è quello di utilizzazione del titolo advokat.
AMERICA LATINA

La locuzione “America Latina” si fonda su un dato culturale, in quanto designa tutti i sistemi del continente americano
in cui si parla una lingua neolatina. Se si considerano i 3 secoli di dominazione spagnola e portoghese e la vasta
codificazione dopo l’indipendenza, è difficile negare che la tradizione di civil law costituisca il punto di partenza. Fin
dall’indipendenza c’è stata l’influenza USA.

L’indipendenza e la codificazione

La vicenda coloniale si verificò quasi 3 secoli prima. Sotto il primo profilo, la Corona di Castiglia si pose il problema del
titolo giuridico su cui fondare la propria sovranità sui nuovi territori e lo individuò in una investitura divina. I rapporti
con le colonie vennero regolati da leggi che collocavano i nuovi territori e i loro abitanti nella stessa posizione di quelli
della madrepatria, almeno formalmente. L’indipendenza delle varie colonie poté realizzarsi in breve, grazie
all’occupazione della penisola iberica da parte di Napoleone e all’esilio dei sovrani di Spagna e Portogallo. Inizialmente
l’indipendenza non comportò una cesura dal punto di vista giuridico, ovunque rimase in vigore l’O.G. anteriore, il
cosiddetto “diritto indiano”. Costituito dal diritto della madrepatria al quale si era aggiunto un vasto corpus di
disposizioni speciali dettate per le colonie, di contenuto soprattutto pubblicistico.

La nuova classe dirigente prese le distanze dai modelli iberici rivolgendo la propria attenzione verso la Francia e
Germania, civil law. Influenzati da Bentham, gli Stati pensarono a una codificazione del proprio diritto, ispirata a quella
francese più per l’ammirazione verso Napoleone. Desiderio di codificazione mosso da desiderio di indipendenza.
Inoltre, fu caratterizzato da una produzione originale e da una intensa circolazione interna, favorita dal retroterra
culturale comune.

E’ possibile distinguere 3 fasi per la codificazione che si sviluppa nel corso del XIX secolo.

I fase Caratterizzata per l’adozione di testi che sono la mera traduzione del Code Civil.

II fase Inizia con il codice civile peruviano (1852), contraddistinta dal tentativo di riformulare in termini moderni il
diritto di epoca coloniale. Si continua a guardare a codificazioni europee perché permettono di individuare gli istituti
che devono essere disciplinati dal codice. Il prodotto principale di questa fase è il codice civile cileno (1855), destinato
a influenzare in una certa misura le successive codificazione dell’area. Successo attribuibile all’equilibrato
compromesso raggiunto da le istanze liberali espresse dal Code Civil e le istanze conservatrici della nuova classe
dirigente.

III fase Contraddistinta dall’accelerazione e dall’estensione a tutti gli stati dell’America Latina. Alcuni adottarono il
codice civile cileno, altri il Code Civil, in altri venne elaborato un progetto originale, che attingeva a modelli
preesistenti. Ad es. il codice civile argentino (1871), opera interessante soprattutto per la varietà dei materiali,
considerato il prototipo dell’eclettismo latino-americano.

L’evoluzione del diritto privato del XX secolo

I mutamenti sociali/politici/economici del XX secolo hanno reso necessari significativi interventi di aggiornamento dei
codici civili. Tale adeguamento è avvenuto principalmente tramite legislazione speciale o in via giurisprudenziale. Tali
esigenze hanno portato a una ricodificazione del diritto privato. Questa nuova fase si caratterizza per una circolazione
interna dal subcontinente ancora più intensa e per una attenzione al modello giuridico italiano.

Più rapida e profonda è stata l’obsolescenza dei codici di commercio. A ciò si è associata la crescente influenza della
common law in materia di diritto commerciale, dovuta al predomino UK e poi di quello USA. Il fenomeno di
americanizzazione del diritto in America Latina si è esteso/intensificato nella seconda metà del XX secolo, investendo
la stessa formazione dei giuristi. La crescente influenza USA è stata conseguenza di rilevanti campagne di
finanziamento da parte USA, comunemente descritte come movimento di law and develompment. Lo sviluppo
economico possa essere promosso attraverso una modernizzazione dell’O.G., consistente nell’importazione di modelli
USA. Un veicolo di questa importazione è stata la spinta verso l’armonizzazione e l’unificazione del diritto di tutto il
continente americano attraverso il trapianto di istituti e soluzioni USA. Fin dalla sua comparsa la politica di
cooperazione a livello continentale sotto l’egida degli USA (panamericanesimo) ha incontrato resistenze da parte di chi
vede una manifestazione dell’imperialismo USA ed ad esso contrappone l’ibero-americanismo, l’ideale di una
unificazione del diritto della sola America Latina, fondata sul recupero del patrimonio comune. Il progetto politico di
una integrazione ha dato luogo a progetti di integrazione sub-regionale e regionale che bilanciano il
panamericanesimo e si sono rivelati fattore di promozione dell’armonizzazione del diritto latino-americano.

Il periodo successivo alle guerre di indipendenza

I nuovi stati avviano la stesura di carte costituzionali ispirandosi a modelli francesi e soprattutto USA, da cui riprendono
la stessa idea di “costituzione”, quale “realtà normativa, prevalente nel processo politico, nella vita sociale ed
economica di ogni paese, legge suprema, reale ed effettiva, che contiene norme direttamente applicabili tanto agli
organi dello Stato quanto agli individui”.

Le prime costituzioni regolano il funzionamento della forma di governo, accogliendo l’idea di tripartizione del potere
tra legislativo, esecutivo e giudiziario e gettando le basi di un moderno stato di diritto e di partecipazione popolare. Le
prime forme di giustizia costituzionale risentono della cultura giacobina e dell’idea di Parlamento quale organo
inappellabile. Realizzano un controllo di tipo politico. Inoltre, la presenza del costituzionalismo latino-americano di una
duplice anima, USA e UE, contribuisce all’affermazione di ogni possibile modello di giustizia costituzionale. Alla
proclamazione del principio della supremazia costituzionale segue l’affermazione di dettagliati cataloghi di diritti
individuali e di libertà pubbliche.

L’Argentina conserva nel tempo un sistema diffuso puro di controllo di costituzionalità, di matrice USA, persino nella
scelta di disciplinarne il funzionamento in via giurisprudenziale. Ciò consente di evidenziare come l’innesto di soluzioni
e strumenti provenienti da altre esperienze giuridiche finisca per produrre alcuni aggiustamenti. Questo sistema non
può contare sulla presenza del principio dello stare decisi. L’O.G. ha previsto lo strumento del recurso extraordinario,
per consentire alla Corte suprema federale di annullare con effetti erga omnes eventuali decisioni dei tribunali inferiori
che evidenzino vizi di costituzionalità.

Il costituzionalismo del XX secolo

A partire dalla metà degli anni ’80, quasi tutti gli OG latinoamericani conoscono fasi di transizione costituzionale e
procedono alla stesura di nuove carte fondamentali. Rimane ancora viva la percezione di un profondo divario tra
quanto sancito sulla carte e quanto realizzato nella prassi applicativa. Un esempio è la Costituzione messicana
(1917), che introduce l’elezione popolare diretta del Presidente e del Congresso, accogliendo così il principio di
sovranità popolare, e consta di 136 articoli di chiara impronta progressista, orientati al riconoscimento di diritti sociali,
economici e culturali, oltre che politici e civili.

Sotto il profilo della ripartizione del potere: organizzazione federale; forma di governo presidenziale; un preciso
sistema di pesi/contrappesi, con un Presidente eletto dal popolo per 6 anni, non rieleggibile, al quale sono attribuiti
importanti poteri di nomina con l’“advice and consent” del Senato; un Parlamento federale bicamerale; una struttura
giudiziaria separata ed indipendente. In ragione del differente contesto politico/economico/sociale, la divisione tra i
poteri viene di fatto abbandonata in favore di forme plebiscitare di presidenzialismo, funzionali a realizzare aspirazioni
autoritarie.

Ovunque in America Latina, si aggiunge il ruolo che hanno avuto, in percorsi politici accidentati da frequenti colpi di
stato ed involuzioni dittatoriali, lo strumento dell’emendamento costituzionale e la disciplina dello stato di
emergenza.

Il neocostituzionalismo latino-americano

Così si possono comprendere l’attenzione che i sistemi giuridici latinoamericani hanno dedicato alle garanzie
processuali, agli strumenti di tutela effettiva dei diritti fondamentali e alla giustizia costituzionale. Il recurso de amparo
merita specifica menzione, “ampar” significa difendere/proteggere i diritti di libertà dell’individuo nei confronti dello
Stato, consente al singolo illegittimamente leso in un diritto costituzionale ad opera di un atto del pubblico potere di
ottenere riparazione dinanzi al giudice ordinario (amparo ordinario) o costituzionale (amparo costituzionale). In alcuni
ordinamenti sono state introdotte forme di amparo collettivo, ovvero azioni di gruppo a tutela di particolari diritti e
interessi collettivi. Si rileva l’importanza crescente del Defensor del pueblo, figura di garanzia per la difesa dei diritti
costituzionali, riconosciuto anche a livello sovranazionale.

A partire dalla sua incorporazione nella Convenzione Americana sui Diritti dell’Uomo (1969), la stessa azione di
amparo ha assunto una dimensione internazionale (amparo interamericano o internacional). Il processo di
internazionalizzazione dei diritti umani e della loro tutela ha favorito una nuova fase del costituzionalismo latino-
americano. Inoltre, bisogna preservare la etnicità ecologica, ossia “quella identità che non si basa sulla lingua, la
religione, il sangue o l tribù, ma u una comune cosmo visione del rapporto essere umano-natura”.

Corti, giudici e processo

Il completamento necessario è l’esistenza di un sistema processuale efficiente e di un giudiziario indipendente da


ogni altro potere. E’ difficile offrire un prospetto chiaro e univoco dell’assetto e del funzionamento del giudiziario in
America Latina, vista la complessità e multiformità degli OG.

Innanzitutto, solo alcuni OG hanno una vera corte costituzionale; altri attribuiscono tali funzioni ad una sezione
interna della Corte suprema ordinaria (Sala Constitucional); mentre in Argentina e Messico vi è solo una Corte
suprema senza distinzione interna/esterna di competenza; infine il Brasile attribuisce le funzioni ad un distinto e
separa Supremo Tribunal Federal.

Parimenti si rinviene una grande varietà di soluzioni con riferimento alla giustizia amministrativa. Argentina, Messico e
Brasile risentono di più dell’influenza USA, ma proprio in questi paesi è interessante vedere come l’evoluzione giuridica
più recente abbia prodotto soluzioni e caratteri del tutto inediti. La quadi totalità degli OG latinoamericani riconosce
ormai ai giudici garanzie ed immunità costituzionali conformi a parametri USA/UE. Differenze importanti da paese a
paese sussistono anche per quanto concerne le procedure di nomina dei giudici superiori. Per quanto concerne il
diritto processuale civile e penale, ci sono 2 linee di tendenza: in primo luogo c’è influenza USA, soprattutto in ambito
civile essa si è manifesta nell’adozione di alcuni istituti tipici dell’O.G. USA. La disciplina del processo penale invece è
stata interessata da una ventata riformatrice che ha portato a cospicuo numero di stati all’adozione di nuovi codici. La
seconda tendenza è la significativa circolazione interna di soluzioni e la spinta verso l’armonizzazione a livello
regionale.
CINA

La Cina ha rappresentato il paese dominante dell’est asiatico; considerata il “Paese dl centro” fu la prima a sviluppare
gli elementi propri di una civiltà. L’influenza dell’antica civiltà cinese sulla stessa concezione del diritto non può essere
ignorata, nonostante l’adozione di istituti, regole e concetti di diritto straniero, sia di civil law che di common law.

La prospettiva cinese

La sua storia è caratterizzata dalla successione di molte dinastie. Dal II sec a.C. con l’avvento della dinastia Qin, si forma
un impero a vocazione centralizzata, ovvero uno stato unitario che ha mantenuto alcune caratteristiche fino alla
caduta nel 1911. La legittimazione del potere si basava sul “mandato del cielo”, un vero e proprio potere che
rappresentava l’ordine naturale dell’universo e che conferiva il diritto di governare ad un uomo giusto. L’imperatore
viene rappresentato così 王: i 3 tratti orizzontali indicano il cielo, gli uomini e la terra, mentre l’imperatore è il tratto
verticale che metaforicamente significa che è in grado di mantenere in equilibrio i 3 elementi. L’insurrezione del
popolo era interpretata come una sopravvenuta inadeguatezza del sovrano a proseguire il suo mandato, legittimando
il cambio di investitura.

L’impero a vocazione centralizzata si fondava su due scuole di pensiero:

 La scuola legista (III sec a.C.) La natura umana è essenzialmente malvagia, un severo sistema di regole e punizioni è
l’unico strumento idoneo a domarla. I precetti legislativi servivano a mantenere l’ordine sociale. Era un diritto
imposto/applicato dall’alto, volto a regolare/punire gli erronei comportamenti del popolo.
 Il confucianesimo Fondata sul principio che l’uomo fosse per natura buono e idoneo ad essere guidato da principi
morali. Identificava l’armonia nazionale come una condizione di pace e di equilibrio nei rapporti interpersonali tra gli
individui e nei rapporti tra l’individuo e la società in una continua commistione tra regole di convivenza sociale e
morale. Il ricorso alla legge era da evitare, era da prediligere la mediazione attraverso la responsabilizzazione del
singolo alla convivenza sociale. In una ricercata assenza di conflitti personali e sociali, tendeva a costruire una società
in cui la legge era un male necessario volto alla repressione dei comportamenti contrari all’ordine naturale. Erano le
stesse amministrazioni centrali/locali, connesse all’imperatore, ad essere chiamate a risolvere i conflitti.
L’amministrazione della giustizia rappresentava uno dei tanti compiti del funzionario imperiale, che era un uomo di
cultura che amministrava porzione di territorio dopo aver superato molti esami imperiali incentrati soprattutto sulla
conoscenza di testi confuciani. Proprio dalla lettura di questi emerge l’importanza del principio gerarchico e il
principio di differenziazione. Confucio partiva da una concezione gerarchica dei rapporti sociali. Il principio di
differenziazione, a completamento di quello gerarchico, stabiliva che ciascuno rivestisse un ruolo determinano e
differenziato, quindi il superiore non solo vantava dei diritti verso l’inferiore ma era anche tenuto a protegger e
consigliarlo.

Si può parlare di principio di personalità del diritto cinese, ogni popolo possedeva riti e costumi degni di essere
osservati e anche verso stranieri, la legge doveva trovare applicazione solo laddove lo straniero stesso si trovasse privo
di etica e morale.

Dal 206 a.C. (Dinastia Han) la dinastia confuciana divenne ideologia di stato. I funzionari imperiali diffondevano tali
precetti grazie ad un capillare funzionamento dell’amministrazione pubblica organizzata su vasto impero suddiviso in
province, suddivise in unità amministrative decentrate. I membri di un clan/gruppo/villaggio dovevano cooperare per il
bene più alto della collettività.

“Li” insieme di principi etici e morali, da qui scaturisce l’idea che i rapporti sociali debbano obbedire a dei riti dettati
dalla legge naturale

“Fa” insieme di leggi che prevedono punizioni e castighi per ristabilire l’ordine sociale eventualmente violato
dall’uomo privo di morale.
La prospettiva occidentale

Quando a metà del XIX sec le potenze occidentali arrivarono in Cina, interpretarono la realtà cinese a modo proprio. La
principale differenza è l’individuo, in Europa considerato in un ruolo preminente durante l’illuminismo, mentre in Cina
come in quanto parte di un gruppo, come membro della famiglia. Le potenze occidentali non trovarono codici o
raccolte di giurisprudenza e ne dedussero che non esistesse il diritto, o avesse un ruolo nettamente minore. Tale
incomunicabilità fu acuita dalla diversa percezione del diritto. Da un alto i cinesi non tentarono di ostacolare il diritto
degli stranieri (principio personalistico); dall’altro lato, gli occidentali non rivendicarono subito una loro autonomia
giuridica, ricorrendo alla corruzione quando non riuscivamo a difendersi ed a contrastare le restrizioni imposte. Tanto
gli occidentali percepirono la società cinese come barbara ed arretrata, tanto i cinesi percepirono gli occidentali come
un popolo privo di principi morali e pericoloso in virtù delle armi da fuoco.

Esistevano delle raccolte di legge volte a contribuire all’organizzazione della società, tra questi il Codice della dinastia
Qing (1646) che recepì il diritto penale ed amministrativo già consolidato; aveva uno spirito penalistico, soprattutto per
aspetti che ora definiremmo come amministrativi/civilistici.

La morale confuciana fu assorbita poi dalla legislazione creando una dinamica di legal process: la regola (scritta) si
poteva applicare, ma combinata con i precetti morali del confucianesimo. Il diritto autoctono cinese non è
caratterizzato da una centralità della legge, ma dall’importanza dei costumi/consuetudini. L’applicazione era affidata i
funzionari imperiali (mandarini) dislocati a livello locale, che svolgevano anche il ruolo di giudice anche senza una
preparazione prettamente giuridica e senza indipendenza.

L’impatto delle guerre dell’Oppio: i patti diseguali

Con le guerre dell’oppio (1839-1842 e 1856-1860) si avvia un cambiamento della storia del diritto cinese influenzato
dal dominio economico e dalla volontà occidentale di intervenire nella politica interna dell’impero celeste. Nel 1842 la
Cina è sconfitta e l’Inghilterra la obbliga a firmare il primo di una serie di trattati ineguali per ottenere vantaggi
territoriali e commerciali nel paese, i cinesi sono costretti ad accettare una limitazione di sovranità; degne di nota
sono le clausole di extraterritorialità in cui si prescrive che in tutti i procedimenti giudiziari in cui sia coinvolto il
cittadino straniero, la vertenza debba risolversi davanti al tribunale consolare in base a regole straniere. Si arriva ad
avere un’apertura commerciale totale con l’occidente e parti del territorio sono sottoposte all’amministrazione delle
potenze occidentali.

Le prime riforme ed il declino dell’impero

Il massiccio indebolimento porta l’impero cinese a credere che le riforme istituzionali giuridiche, auspicate dagli
occidentali, siano davvero la strada per sopravvivere. Tradizionalmente la Cina si affidava a studiosi, quindi i
riformatori decisero di comprendere le dinamiche di legal process occidentali proprio ripartendo dallo studio. Fu
istituita una commissione per la codificazione del diritto (1904-1909), impegnata in una imponente opera di
traduzione di testi giuridici occidentali. Ne scaturì un progetto di codice civile (1911) ispirato soprattutto a quello
tedesco (BGB). I codici europei apparvero più semplici da imitare.

L’impero abolì la selezione di mandarini centrata sugli esami imperiali, introducendo un modello di istruzione ispirato
alle università europee. Nel 1906 l’impero promulgò un editto sulla preparazione di una costituzione basata
sull’osservazione dei maggiori modelli stranieri, mediati da una imitazione della costituzione giapponese, ispirata a
quella prussiana.

In una situazione di debolezza economica, il paese era costretto a concedere sempre più privilegi commerciali,
territoriali e giuridici. In linea generale, l’etica e la morale confuciana furono relegate a fonti secondarie ed il diritto
privato divenne quasi esclusiva competenza del legislatore costretto a creare neologismi e tecnicismi per tradurre
concetti occidentali.

Nonostante i lodevoli sforzi di aggiornamento, l’impero non sopravvisse e nel 1911 la Cina ammette il collasso, mentre
il Codice Qing rimase formalmente in vigore fino ’30. La modernizzazione del Codice fu affiancata dall’attività della
Corte suprema, istituita con la Legge sull’organizzazione del sistema giudiziario (1910). In una sentenza stabilì che in
caso di lacuna legislativa, il giudice nella risoluzione di un caso concreto doveva volgere lo sguardo alle consuetudini e
in loro assenza avrebbe dovuto applicare i principi generali del diritto occidentale.

Sun Yat-sen fu uno dei fondatori del Partito nazionalista cinese, egli inserì nello statuto del partito i principi divenuti
noti nel paese come “i tre principi del popolo di Sun Yat-sen”: nazionalità, democrazia e benessere.

L’influenza del diritto tedesco: i Sei Codici del Partito nazionalista

Il Partito nazionalista cinese fu l’unico al governo dal 1927 al 1949, iniziò una nuova e complessa fase di codificazione
stimolata dal confronto con la legislazione delle potenze coloniali. I Sei Codici emanati in questo periodo consistono
ina una legge costituzionale, in un codice civile e in uno penale. Essi si ispirano principalmente al diritto tedesco filtrato
dal diritto giapponese, mantenendo anche elementi derivati dalla legislazione imperiale, sebbene riadattati ai
mutamenti sociali. Il codice civile del Partito nazionalista (1929) segna l’ingresso ufficiale del diritto privato nell’O.G.
cinese.

La legge costituzionale provvisoria del 1932 organizza il sistema delle corti ordinarie su 3 livelli al cui vertice c’è la Corte
suprema. La legge afferma anche la necessità di specifiche competenze giuridiche per i magistrati e si pongono le basi
per la regolazione dell’ordinamento degli avvocati.

L’importanza del diritto tedesco è molto evidente nella struttura del codice civile, suddiviso in 5 libri e preceduto da
una parte generale, e nelle soluzioni. L’impronta tedesca e anche svizzera si evidenzia nell’articolo dedicato alle fonti
del diritto. La prassi della Corte suprema di applicare in caso di lacuna legislativa le consuetudini e in mancanza i
principi generali del diritto occidentale fu codificata all’art. 1. Ufficialmente fu ribaltata la gerarchi delle fonti: le
consuetudini confuciane furono relegate a fonte secondaria, spodestate da legge e principi generali occidentali. La
reale attuazione di quanto stabilito all’interno dei Sei Codici è discussa soprattutto per l’effettività delle disposizioni in
materi adi famiglia, successioni ed obbligazioni che costituiscono un insieme di norme estranee alla tradizione giuridica
cinese.

La fase socialista-maoista e il nichilismo giuridico

A causa del diverso impatto delle nuove leggi, il Partito comunista cinese (PCC) inizia a crollare. La Lunga Marcia (1934)
dal sud del paese diretta a nord permette a Mao Zedong di convincere i contadini alla causa rivoluzionaria. Il 1° ottobre
1949 Mao, dopo aver ufficialmente abolito i Sei Codici nazionalisti, fondò la Repubblica popolare di Cina. Il diritto
serviva a proteggere gli interessi della classe dominante, pertanto il paese comunista doveva aspirare ad una società
priva di diritto. Nell’attesa della promulgazione delle nuove leggi del popolo, il diritto fu rappresentato dalle politiche
del Partito comunista che in primis ricusava il principio della separazione dei poteri, esaltando l’unità delle funzioni
statali. L’assemblea Nazionale del popolo (ANP) fu istituita quale organo supremo, espressione della volontà popolare.
Ma ciò che mancava era la costruzione di un O.G. coerente; le riforme giuridiche erano espressione di “movimenti”
politici il cui scopo non era né la legalità né il riconoscimento dell’autorità del diritto.

L’organizzazione socialista venne disciplinata nella prima costituzione della Repubblica (1954). In questo decennio i
soggetti appartenenti alle strutture burocratiche/amministrative dello stato vennero mandati a “rieducarsi” nelle
campagne, i tribunali furono chiusi così come le facoltà giuridiche; molti studiosi hanno parlato di “nichilismo
giuridico”

Il rinnovato interesse per il diritto occidentale dopo la morte di Mao

La nuova guida del PCC Deng Xiaoping ebbe un approccio pragmatico verso il diritto, come uno strumento per il
raggiungimento dei principali obiettivi di sviluppo delineati dal PCC nella fase di modernizzazione. Il diritto divenne uno
strumento volto a garantire la modernizzazione e la liberalizzazione dell’ordine economico. Si rinnovò l’interesse per i
diritti occidentali. Il mutamento ideologico fu dimostrato dalla repentina approvazione della costituzione del 1978 che
disciplinò interessi di natura industriale, commerciale, finanziaria e una maggiore “giuridicizzazione” dell’ordine
economico e sociale.
La costituzione del 1982 e la “giustizia costituzionale” cinese

La costituzione del 1982 segnò un distacco rispetto alle precedenti. Essa è formalmente la principale fonte del diritto.
L’art. 5 stabilisce “Tutti gli organi statali, le forze armate, ogni partito politico e organizzazione sociale, ogni impresa e
ogni istituzione devono conformarsi alla stessa ed alle leggi. Nessuna organizzazione e nessun individuo ha il privilegio
di stare al di sopra della costituzione e della legge”. E’ la stessa ANP che deve sorvegliare l’applicazione della
costituzione nel suo insieme. La mancanza di controllo di costituzionalità da parte di un organo diverso da quello
legislativo fa si che si parli di “supervisione costituzionale”. La costituzione si inserisce in un più ampio processo di
trasformazione della società e dell’O.G., per aprire la porta all’occidente ma nel rispetto delle “caratteristiche cinesi”
dando priorità all’interesse collettivo ed al ruolo direttivo del partito.

L’influenza occidentale sulla costituzione e sul diritto privato

La costituzione del 1982 fino ad oggi è stata emendata 4 volte. Nel 1988 lo stato ammette l’esistenza del settore
privato dell’economa, ad esempio pur restando la terra di proprietà statale viene protetto il diritto d’uso di essa che è
suscettibile di valutazione economica. Nel 1993 la costituzione cinese recepisce il passaggio ad un’economia socialista
di mercato. Nel 1999 viene affermato esplicitamente di governare il paese secondo i principi propri di uno stato di
diritto, qualificato come socialista. Nel 2004 si rafforza la garanzia della proprietà privata e che lo Stato rispetta e
protegge i diritti umani.

Alla costituzione si affianca l’emanazione di un’amplissima serie di leggi scritte che hanno segnato l’inizio di un grande
rinnovamento del sistema. Per quanto attiene il diritto privato, nel 1986 entrano in vigore i Principi generali del diritto
civile (PGDC); nell’attesa di un vero codice civile essi sono integrati da leggi su specifiche materie. I PGDC, approvati
velocemente per la necessità di fornire uno strumento di modernizzazione, riprendono la dogmatica della
pandettistica. Con la riforma del 1999 si vede l’approvazione di leggi dedicate al diritto commerciale ed apre l’accesso
ad organizzazioni internazionali; proprio l’aumento dei rapporti commerciali con l’estero ha agevolato il trapianto di
nozioni provenienti dal common law.

L’amministrazione della giustizia e le professioni legali

In base alla legge organica dei Tribunali del popolo (1979), l’ordinamento giudiziario è composto da corti speciali e
corti ordinarie; localmente organizzate in modo gerarchico e costituite dalle Assemblee popolari presenti ai livelli
decentrati in ossequio al principio di unitarietà dei poteri statali. Al vertice c’è la Corte suprema del Popolo. La
giurisprudenza non è formalmente fonte del diritto, ma uno dei principali poteri della Corte suprema è quello di
interpretare le leggi emettendo pareri/chiarimenti interpretazioni giudiziarie della Corte suprema del Popolo,
idonei a complicare il sistema delle fonti perché ritenuti atti aventi forza di legge.

Il sistema giudiziario subisce le conseguenze di una subordinazione al potere politico, quindi al Partito comunista. Il
giudice dovrebbe essere “bocca di legge” e limitarsi alla sua applicazione: il PCC male trollerebbe una figura di giudice
creatore del diritto. Inoltre, solo nel 1995, con l’approvazione di un’apposita legge sulla magistratura, la Cina ha
iniziato a definire i requisiti per l’ammissione in magistratura fino ad introdurre nel 2001 un esame giuridico nazionale,
rinominando il giudice come “ufficiale della legge”; a tale esame partecipano giudici, notai e avvocati.

Recenti riforme dell’O.G. cinese

Momenti di riforme e trapianti giuridici occidentali si sono alternati a periodi in cui la retorica del passato sembrava
riemergere nella leadership politica. Una delle riforme è rappresentata dal “meccanismo dei casi guida”. Si tratta di un
meccanismo di selezione ed utilizzo di casi giurisprudenziali ai quali il giudice può rifarsi nella risoluzione di casi simili,
casi che interpretano importanti principi di diritto, sentenze alle quali la Corte suprema riconosca una funzione-guida.
E’ la Corte di massima istanza a selezionare le sentenze, fino ad ora sono 100 i casi guida. A funzionare da guida è solo
un breve estratto selezionato. Ma la riforma non introduce la giurisprudenza tra le fonti del diritto; anzi la Cina con
questo metodo sembra avvicinarsi al common law. Ma il giudice cinese è libero di citare quel caso, ma di motivare un
distacco da quella decisione. Alla mancanza di vincolatività del precedente è legata una mancanza di operatività
verticale e orizzontale.
Il 1° ottobre 2017 è entrato in vigore “Parte generale del diritto civile”. Nonostante le non rare difficoltà interpretative
e le incongruenze con quanto stabilito nei PGDC e quanto poi contenuto nelle specifiche leggi, la Cina ha impiegato 30
anni affinché l’ANP approvasse la Parte generale del diritto civile, mentre i libri successivi sono attesi nel 2020.
GIAPPONE

Primo incontro: Cina

La prima ispirazione venne dalla Cina nel V se., quando il Giappone adottò la scrittura cinese, la religione buddista,
molta parte della filosofia confuciana e i principi giuridici, quali la diffidenza nei confronti della legge, la preferenza per
la risoluzione conciliativa e la struttura gerarchica della società e del diritto. Il Giappone rifiutò di considerare
l’imperatore legittimato da altro che non fosse la propria discendenza dalla dea del sole, inoltre scelse di non divulgare
al popolo la conoscenza delle leggi, riservata ai funzionari.

Le leggi imperiali emanate tra il VII-VIII secolo, in materiale penale (ritsu) e amministrativa (ryō), risentono di
influenza cinese. Queste norme non hanno trovato concreta applicazione, in quanto via via sostituite da
regole/consuetudini locali di origine nobiliare/militare; è la casta dei militari e del capo che li comanda (lo shogun) ad
assumere gradualmente il controllo effettivo del paese e a produrre diritto, come ad es. una raccolta di giurisprudenza
shogunale (1232), volta a regolare la risoluzione delle dispute fra i propri vassalli e fra questi e i proprietari delle terre.
L’affermazione definitiva dei militari avvenne quando Tokugawa Ieyasu completò il processo di unificazione nazionale
controllando tutti i signori e inaugurò, ottenendo il titolo di shogun nel 1603, il predominio della famiglia Tokugawa
(durato fino al 1867). La dinastia Tokugawa si distinse per l’adozione del confucianesimo come ideologia ufficiale e per
la conseguente rigida organizzazione della società in classi e per l’attivismo nella produzione legislativa. Risale al 1742
la riforma dell’intero sistema normativo; fu infatti promulgato il Kujikata Osadamegaki, ossia le norme per le
procedure giudiziarie: si tratta di una compilazione composta da 2 parti, la prima contenente norme amministrative, la
seconda di natura penalistica. L’opera era concepita come manuale di istruzione dei tribunali. Esisteva
un’amministrazione della giustizia shogunale, così come le procedure formali da seguire a seconda che avessero
origine per iniziativa ufficiale o di parte. Il regime Tokugawa non incoraggiava il ricorso alle corti, ma preferiva che la
gente comune risolvesse le proprie questioni fuori dal sistema giudiziario, rivolgendosi a figure di riferimento della
comunità.

L’apertura ai modelli occidentali e l’incontro con civil law

Il regime Tokugawa si dimostrò inadeguato a fronteggiare le esigenze di un mondo che nella seconda metà del XIX sec
cambiava vorticosamente: da un lato lo sviluppo dell’economia metteva in crisi la tenuta di una struttura sociale molto
rigida e il modello confuciano di gestione delle liti; dall’altro lato l’isolazionismo politico non riuscì a fronteggiare la
pressione (anche militare) delle potenze occidentali, che costrinsero il Giappone all’apertura delle frontiere e alla firma
dei trattati ineguali. Lo shogunato Tokugawa crollò nel 1868, segnando il ripristino dell’autorità imperiale, in
particolare dell’Imperatore Mutsuhito, noto come Meiji. Iniziò un periodo di riforme e di modernizzazione del
Giappone: “Restaurazione Meiji”, toccando diritto e sistema delle fonti.

Fu inevitabile rivolgersi a modelli occidentali (civil law), perché fondati su testi normativi organici, suscettibili di una
più agevole imitazione. Il Ministero della Giustizia iniziò a invitare giuristi francesi/tedeschi e a tradurre opere
giuridiche e testi legislativi dei due paesi. Il successo e la fama delle codificazioni napoleoniche determinarono
l’iniziale attenzione per il sistema francese. Gli studiosi e il legislatore compresero che l’imitazione doveva avvenire
sulla base di una comparazione che portasse all’individuazione del modello migliore, più adatto alle esigenze del
paese. Così si privilegiò il diritto tedesco, da cui scaturirono il codice di procedura civile (1890, riformato 1929) e il
codice di commercio (1899) e un nuovo codice penale (1922). Più complessa fu la preparazione di un Codice Civile. Un
primo progetto fu fatto sulla base del Code Napoléon nel 1890, mai entrato in vigore perché in contrasto con la
tradizione. Nel 1898 entrò in vigore un nuovo testo, pur basato prevalentemente sul BGB e con tratti del codice
francese, riusciva a conciliarsi con la tradizione. E’ opportuno ricordare che l’Imperatore concesse al popolo una
costituzione, entrata in vigore nel 1889, basata sul modello prussiano.

Il secondo dopoguerra e l’influenza statunitense

Dopo la II GM, il paese, sconfitto militarmente e occupato da USA, si trova nella necessitò di costruire una propria
immagine democratica e di modernizzarsi. Dominate è l’influenza degli USA, che restano alleati del Giappone,
strategicamente importante in funzione antisovietica e anticinese. L’influenza USA riguarda anche l’O.G.
La prima novità è la costituzione emanata nel 1947, ancora in vigore. Tecnicamente si pone come emendamento alla
costituzione del 1889. Si tratta di una costituzione rigida, che cancella le prerogative divine dell’Imperatore; accoglie il
principio di separazione dei poteri: il potere legislativo è affidato a una Dieta bicamerale elettiva, l’esecutivo al
Governo, legato alla Dieta da un rapporto di fiducia, il potere giudiziario a una magistratura indipendente; introduce il
principio della laicità dello Stato e sancisce la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini. La costituzione
introduce una forma di controllo diffuso della costituzionalità delle leggi (Art. 81), affidato in ultima analisi alla Corte
suprema, che ha esteso la portata dei diritti fondamentali e gode di un potere regolamentare riguardante
l’amministrazione della giustizia in senso lato. La norma ritenuta incostituzionale dalla Corte suprema viene
disapplicata nel caso concreto ma resta in vigore; la relativa sentenza viene pubblicata nel bollettino ufficiale e
trasmessa a Governo e Dieta affinché adottino le misure conseguenti. Il Governo ha spesso provveduto ad iniziare la
procedura di emendamento; ma è tenuto a pronunciarsi nuovamente sulla costituzionalità della legge. Con il codice
del 1996, la giurisdizione della Corte suprema è diventata prevalentemente discrezionale. Il principio di uguaglianza
ha inciso profondamente sui rapporti familiari e sulle successioni, così è necessaria la revisione del Libro IV (Famiglia) e
Libro V (Successioni). L’assetto patriarcale della famiglia e istituti come i diritti successori del primogenito maschio
erano incompatibili con il dettato costituzionale.

L’amministrazione della giustizia

Per secoli, il regime feudale giapponese ha praticamente bandito come immorale la professione di avvocato: se le
parti arrivavano di fronte a un giudice, di presentavano senza il ministero di un difensore. La legittimazione è avvenuta
in epoca Meiji; la sua sottrazione al controllo statale ha dovuto attendere la fine della II GM, quando si impone ai
futuri avvocati un difficilissimo esame e poi di completare due anni di tirocinio, insieme ai futuri giudici e procuratori,
nello stesso Istituto di formazione, annesso alla Corte Suprema. Il numero degli avvocati è sempre stato basso: agli
inizi del 2000 erano 21.000 per una popolazione di 120 MLN. Ma le cose sono cambiate, grazie all’istituzione di 70
scuole basate sulle law schools, a un nuovo esame di ammissione aperto ai soli laureati di queste scuole e meno
restrittivo (Successo 34-47%)

I giudici sono formati nell’ Istituto di formazione, annesso alla Corte Suprema; la loro indipendenza è garantita in modo
enfatico dalla costituzione, che proclama la loro soggezione alla sola costituzione e alle leggi (Art. 76). I metodi di
nomina, la durata limitata del mandato e la sua rinnovabilità, la sottoposizione dei giudici della Corte suprema al
giudizio popolare in occasione delle elezioni per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti.

E’ stata penetrante l’influenza del diritto nord-americano sul processo civile/penale. Un nuovo codice di procedura
penale fu emanato nel 1949, basato sul principio accusatorio, sulla non obbligatorietà dell’azione penale e su alcune
regole di esclusione della prova. Il codice di procedura civile (1890) era una traduzione del codice tedesco del 1877; la
differenza stava nell’assenza dell’obbligo di assistenza legale di fronte alle corti di prima istanza. L’influenza USA si è
sentita anche sul processo civile, a più riprese fino all’adozione di un nuovo codice del 1996 il legislatore è intervenuto
per rendere più “avversario” il processo civile: abolendo il potere del giudice di assumere prove d’ufficio,
introducendo l’istituto della cross-examination, puntando su miglior preparazione della causa e una maggior
concentrazione del procedimento.

Durante lo shogunato, il “principio della transazione” era una delle caratteristiche del sistema processuale: il giudice
praticava il kankai, ossia “il consiglio di transigere”. Il codice di procedura civile (1890) abolì il kankai; il giudice faceva
ricorso frequente al potere di proporre alle parti la transazione della lite. Tuttavia, per molto tempo, mancò un
procedimento apposito di mediazione. Nel 1922 fu istituito un procedimento speciale di mediazione presso le corti: il
chotei (“conciliazione”), inizialmente per mediare le controversie immobiliari poi anche per altri settori. Il
procedimento si svolge davanti a un comitato chotei composto da un giudice (spesso assente) e 2 conciliatori. Se le
parti raggiungono una soluzione concordata, questa avrà valore di sentenza; se le parti non si accordano, il comitato
proporrà una soluzione, in mancanza di decisioni varrà come decisione. I chotei superano i processi civili. Il ricorso a
tecniche alternative di soluzione delle controversie è concepito in funzione efficientistica, servendo a risparmiare costi
e tempo a corti. “La via della mediazione può portare a un risultato che non sarebbe ottenibile con l’applicazione
delle regole del diritto positivo, che per definizione è troppo semplificato e incompleto per regolare in maniera
abbastanza complessa le attività umane.”
PAESI ISLAMICI

La locuzione “Paesi islamici” si riferisce a un insieme diffuso di stati e aventi come caratteristica comune
l’appartenenza all’islam, la quale è espressa dall’Organizzazione della Cooperazione Islamica in termini numerici,
sono 57 gli stati aderenti. Uno sguardo d’insieme è possibile per due ragioni: l’elemento comune è l’appartenenza
all’Islam che si declina anche in termini di almeno parziale applicazione della sharīʿa; inoltre i territori che
costituiscono i Paesi islamici hanno subito dominazione da parte di potenze europee, con il conseguente riflesso di
elementi della tradizione giuridica occidentale, rimasti poi in vigore seppur modificati. Il recupero della sharīʿa avviene
all’interno di dinamiche statali e con strumenti debitori del diritto europeo.

La sharīʿa: brevi nozioni introduttive

L’islam è una religione monoteista nata in Arabia nel VI sec; si fonda sulla Rivelazione divina, espressa in arabo e
contenuta nel Corano, testo in cui si affiancano gli ahkam, le storie e le leggende, le esortazioni e gli ammonimenti. Gli
ahkam hanno contenuto eterogeneo e le prescrizioni rituali si affiancano a quelle delle persone, matrimonio, filiazione
e successione; ci sono anche norme penali, qualche disposizione tributaria, processuale e commerciale. Presenti anche
principi generali, di natura etica, con inviti ad agire con giustizia ed equità. L’islam ha sviluppato un proprio sistema
giuridico: la sharīʿa, termine che solo impropriamente può essere tradotto con diritto/legge essendo, al contempo,
qualcosa di più e qualcosa di meno. La lingua araba usa lemmi differenti per indicare dimensioni del diritto diverse, tre
insieme discreti di norme, tre domini separati e disomogenei:

 sharīʿainsieme delle norme rivelate (diritto rivelato)


 qanunlegge che promana dal governante
 ‘urfconsuetudini
Il vocabolo sharīʿa è usato per due dimensioni di ciò che definiamo diritto musulmano:

 la sharīʿa vera e proprial’insieme di principi, precetti e regole di natura etica, morale e giuridica contenuti nel
Corano e nelle tradizioni attribuiti al profeta Muhammad (dette Sunna). La sharīʿa islamiyya è divina, eterna e
immutabile
 il fiqhla scienza giuridica applicata alla sharīʿa, frutto dell’attività interpretativa dei dottori della legge. Il fiqh è
umano, implica un processo deduttivo sul paino linguistico e legale. Il giurista Ibn Haldun lo definisce come “l’arte di
estrarre dalle fonti le norme relative alla qualificazione sciaraitica delle azioni del musulmano tenuto all’adempimento
dei suoi obblighi religiosi; è un metodo applicato alla sharīʿa caratterizzato da uno spiccato pluralismo.
Per ogni problema esistono almeno 2 o più pareri legali, ciascuno frutto dell’attività interpretativa di un giurista, tutti
ugualmente validi, così il diritto musulmano è in grado di adattarsi perfettamente a società/ambienti diversi e al
fluire dei tempi/circostanze, elaborando nuove soluzioni ove necessario. Va sottolineata la fase di sviluppo del diritto
musulmano nota come “chiusura della porta dell’igtihad (attività interpretativa)”: l’istituzionalizzazione delle scuole
dominanti sunnite e sciite fa affermare il primato del precedente di scuola, il giurista riduce l’attività di igtihad e si
dedica all’elaborazione/commento delle opere dei secoli precedenti. Risulta evidente una cristallizzazione delle regole
giuridiche che si riflette nella parziale incapacità delle società islamiche di interagire in modo dinamico.

Nel diritto musulmano alla base rivelata si somma un corpus di norme che sono frutto dell’attività interpretativa dei
dottori della legge e che fanno del fiqh un juristenrecht, un chiaro esempio del funzionamento a pieno regime del
formante dottrinale. Il fiqh si è sviluppato all’interno di scuole giuridiche. La conoscenza del fiqh è lo scopo ultimo
della formazione del giurista almeno sino al declino del sistema tradizionale (XIX sec), così si produce una certa
omogeneità culturale e l’emersione di un’élite pan-islamica; ma le opere di fiqh non rappresentano il diritto nella
prassi. In questo quadro il mufti (giureconsulto che emette pareri dei giudici) media tra diritto come teoria e diritto
come prassi, con gli Ottomani diventa un funzionario.

A partire dalla metà del XIX sec 3 fattori influenzano il destino della sharīʿa:

 L’istituzionalizzazione di un sistema educativo solare: inizialmente destinato alla formazione delle classi militari,
amministrative e mercatili; si accompagna alla riduzione del numero di studenti nel sistema tradizionale e alla
marginalizzazione del relativo curriculum
 Formazione dei moderni stati-nazione e con essi l’idea di codice e costituzione. I riformisti propongono una maggiore
flessibilità basata sul cosiddetto neo-igtihad, sulla riduzione della “lealtà di scuola” e sull’adozione dell’eclettismo
giuridico.
 Un’opposizione politica in chiave islamica che fa appello alla sharīʿa come ideale di giustizia sociale. Il vocabolo
sharīʿa viene qui invocato come ideale sistema di governo.
Dall’Ottocento e fino a oggi due diversi fenomeni si contendono lo sviluppo del diritto:

 l’acculturazione giuridica, con riferimento al contatto con altre civiltà/diritti e recezione di modelli stranieri
 modernizzazione, riguarda soprattutto lo statuto personale e che esprime un anelito di riforma “interna” al sistema.
La recezione del modello occidentale ratione imperii e imperio rationis

La dottrina europea ha discusso a lungo se il fiqh sia o no un prodotto del tutto originale islamico; forse la nascita del
diritto musulmano dopo la Rivelazione era stata integrata da influenze straniere, o forse il nucleo era nato in Iraq nel
VIII sec risentendo molto della pratica amministrativa degli Imperi sasanide e bizantino. A partire dal XVIII e XIX sec la
relazione fra tradizione giuridica occidentale e tradizione giuridica islamica si fa più stretta e gli influssi della prima sulla
seconda sono più netti. Sono due le cause: il fascino della codificazione francese napoleonica e il colonialismo, come
principale strumento di controllo sulle risorse/popoli.

La stagione delle riforme nell’Impero ottomano e nella Turchia repubblica

Castro spiega che l’acculturazione giuridica “consiste in una profonda trasformazione della società nella quale si
innestano nuove concezioni giuridiche. L’innesto delle nuove concezioni giuridiche attecchisce in quei settori del
diritto islamico, ove il potere comunque costituito, attraverso la sua siyasa/politica riusciva a sottrarre ambiti di
applicazione alla sharīʿa”. Agli inizi del XIX sec nell’Impero ottomano si avverte la necessità di avviare delle riforme che
mettano l’Impero in condizione di uscire dal pantano economico. Nel 1839 il sultano Abd al-Megid avvia una
profonda ristrutturazione dello Stato, delle leggi civili e commerciali e della magistratura, culminando nella
costituzione (1876). Il programma riguarda l’adozione di modelli giuridici/politici stranieri: la ripartizione dei poteri, la
cittadinanza, l’uguaglianza davanti alla legge sono idee discusse sia come strumenti per contrastare le spinte
centrifughe delle popolazioni non islamiche dell’Impero sia come rimedi avverso il ritardo rispetto alle conquiste
tecnologiche, militari e politiche. In questo quadro si collocano le riforme volte a garantire l’uguaglianza dei sudditi
dinanzi alla legge, la pubblicità del processo, l’introduzione di un meccanismo statale per le imposte, la riforma della
coscrizione obbligatoria.

Tra il 1869 e il 1876 sono composto i 16 libri della mecelle-yi ahkam adliyye, il codice delle obbligazioni e dei contratti
in forma europea ma contenuto islamico. Diversa è la situazione per i codici di commercio, qui è evidentissima
l’influenza del diritto francese. Il codice di commercio marittimo ottomano realizza una sintesi del diritto marittimo
mediterraneo ottocentesco e risponde all’esigenza di dotarsi di uno strumento giuridico moderno e adeguato alla
realtà economica del momento; l’eclettismo delle fonti usate dimostra la conoscenza e consapevolezza di quanto
avviene fuori dai confini. La decisione di Mustafa Kemal Ataturk, all’indomani della nascita della Repubblica di Turchia
nel 1921, di abrogare ogni residua vestigia della tradizione giuridica islamica e sostituirla con codici europei. Nel 1925
in Turchia è introdotto il codice civile svizzero (1912), si tratta di un adattamento flessibile, agevolato dalla
precedente esperienza normativa ottomana; la Turchia convoglia la disciplina dello statuto personale nel codice civile,
che quindi disciplina anche la capacità delle persone, il matrimonio, la filiazione e la successione. La nuova famiglia
turca di modello svizzero è comunque patriarcale, ma il matrimonio è rigorosamente monogamico e si ha una parziale
uguaglianza di genere sul divorzio. L’adozione del codice svizzero su possibile dalla rinuncia al diritto a vivere secondo
la propria legge comunitaria, da parte delle tre comunità degli ebrei, armeni e greci. Nel mondo musulmano la
recezione di nuovi modelli si rivela più facile che altrove, grazie al vocabolario tecnico raffinato coniato dal fiqh, la
traduzione dei testi è relativamente semplice; le integrazioni lessicali sono poche.

Il codice civile è stato riformato in modo sostanziale nel 2001, soprattutto nell’ambito del diritto di famiglia per
ridefinire i ruoli dei coniugi in termini di piena eguaglianza, portare a 18 anni per entrambi i sessi l’età minima per il
matrimonio, disciplinare l’adozione per persone non coniugate, riconoscere gli stessi diritti anche a figli nati fuori dal
matrimonio.
Gli effetti della colonizzazione sul diritto

Nella maggior parte dei Paesi islamici, il diritto straniero è arrivato ratione imperii, per via di imposizione autoritativa
attraverso il regime coloniale e mandatorio. Le modalità con cui gli europei hanno imposto le proprie regole hanno
influito su i sistemi esistenti anche snaturandoli. Gli inglesi hanno adottato due diverse strategie:

 Direct rule esercitata dal Colonial Office di Londra, es. il British Ray: i territori indiani sotto il diretto controllo della
Corona inglese
 Indirect rule, secondo la quale il miglior governo coloniale è quello capace di operare attraverso l’intermediazione di
capi locali
La direct rule in India si sostanzia in una serie di riforme relative all’amministrazione della giustizia; nei tribunali di
primo grado i giudici inglesi erano affiancati da consulenti musulmani e indù. Il vertice dell’O.G. era rappresentato dai
giudici formatisi in Inghilterra, applicando solo diritto inglese. In tutti i casi relativi a eredità, successioni, matrimonio,
caste e istituzioni religiose, le leggi del corano rispetto ai maomettani e quelle dei Shastra rispetto agli indù saranno
seguite. Ai consulenti venivano chiesti pareri sulle rispettive leggi religiose, secondo clausole poste dagli inglesi. Nel
corso del XVIII sec fu avviata una vasta opera di traduzione delle fonti normative dei diritti locali, il cui presupposto
teorico era che il diritto musulmano e il diritto indù fossero esclusivamente quelli che si ricavavano da testi antichi: tale
traduzione consentiva di affermare la teoria del diritto musulmano come essenzialmente incapace di rispondere alle
esigenze della realtà. Si sviluppò così una nuova versione del diritto musulmano nota come anglomuhammadan law,
così gli inglesi rimisero in vigore norme già desuete o mai interamente applicate.

Nell’indirect rule alla potenza coloniale spetta il controllo delle tasse, dell’esercito e delle relazioni diplomatiche,
mentre alle autorità locali è delegata l’amministrazione ordinaria. Il problema principale stava nella scelta dei capi
locali, operata dalle autorità coloniali spesso e volentieri senza alcun riguardo alla volontà delle popolazioni
sottomesse. In Africa rilevano le strategie giuridiche poste in atto in Sudan e Nigeria: nel primo alla sharīʿa è
riconosciuto lo status di sistema giuridico autonomo, in Nigeria sharīʿa è considerata una variante del native law and
custom, alle Native Courts fu riconosciuta la possibilità di amministrare il diritto musulmano al pari di ogni altro diritto
consuetudinario, con il limite della disapplicazione della sharīʿa se si fosse dimostrata contraria a equità, coscienza e
giustizia. La sharīʿa era assoggettata ai validity test: le decisioni dei giudici erano soggette al controllo da parte del
Residente britannico e dei funzionari distrettuali. In Asia l’indirect rule si applicò soprattutto nei Indian Princely States,
una serie di piccoli principati del British Raj in India.

Un esempio dell’applicazione contemporanea sia della direct che dell’indirect rule è rappresentato dalla Malesia: i
suoi territori entrano nel common law dal 1807 quando Giorgio III concesse la Royal Charter of Justice. I possedimenti
inglesi in Malesia si articolavano in tre diverse strutture:

 Straits Settlements istituiti nel 1826 e amministrati attraverso le Charter of Justice concesse dal re e funzionali
all’organizzazione del sistema giudiziario. Nel 1867 la sua amministrazione fu trasferita al Colonial Office. Amministrati
secondo i principi della direct rule, perché caduti sotto il controllo britannico; vigeva la common law in diritto
commerciale, per lo statuto personale, le successioni e le fondazioni si applicava la legge islamica
 Federated Malay Statesformati nel 1895. Venne istituita una corte di appello comune per i 4 Stati federati, quando
si doveva udire un appello contro una sentenza emessa dal kathi o dalle court of penghulu, il magistrato doveva
convocare uno o più esperti musulmani. Amministrati con il sistema dell’indirect rule, i sultani restavano formalmente
capi, ma i funzionari inglesi (Residenti) controllavano la politica statale nei settori di interesse per la Corona.
 Unfederated Malay StatesCiascuno Stato conservò autonomia giudiziaria, ognuno con differenze significative nella
struttura e competenze dei tribunali e nella possibilità di ricorso al Privy Council. Amministrati come i Federated.
In Indonesia le cose furono diverse sotto il dominio coloniale olandese, inizialmente vede l’applicazione agli europei
dei regolamenti della Compagnia Olandese delle Indie Orientali; al di fuori delle basi commerciali, le leggi urbane dei
principi indigeni e le consuetudini restano in vigore tranne che nelle ipotesi di conflitto con il commercio olandese. Nel
1854 i diversi statuti furono riuniti insieme in una sorta di costituzione (Regerings Reglement), Gli Olandesi fecero
propria la repugnancy per cui le leggi locali sopravvissero nella misura in cui furono ritenute “accettabili” dalla
sensibilità giuridica olandese. Il Regerings Reglement divideva la popolazione delle Indie Orientali Olandesi in 2
categorie: gli europei (cristiani non indigeni) e gli inlanders/nativi. Tale classificazione fu confermata dalla costituzione
(Indische Staatsregeling, 1926) che identificava 3 gruppo razziali, collegati a 3 distinti sistemi giuridici: gli europei, gli
“orientali stranieri” e i nativi; le consuetudini restavano il diritto applicabile alla maggioranza degli inlanders; in
materia penale e di sicurezza si applicava il diritto olandese a prescindere dalla loro appartenenza etnica, stessa cosa
per il diritto commerciale, quando almeno una delle parti era un europeo. Nei tribunali di prima istanza/distrettuali i
giudici olandesi/indigeni applicavano la consuetudine a casi specifici; la possibilità di appellarsi a corti superiori
presiedute da giudici europei implicava che la consuetudine divenisse una sorta di diritto statale, processo agevolato
dalla raccolta/trascrizione delle consuetudini stesse.

Le terre soggette a colonizzazione francese furono soggette alle norme dei codici francesi. Un caso particolare è
l’Algeria, dove i francesi credevano di aver rimpiazzato gli Ottomani nel controllo di terre mai loro sovrane, inoltre ci fu
una massiccia migrazione di francesi in Algeria, tali coloni pretendevano terre ed esercitavano forti pressioni politiche
sulla Francia affinché agevolasse le loro ambizioni commerciali; infine la Francia fece dell’Algeria un territorio
metropolitano. Ciò non impedì una politica discriminatoria, il cui culmine fu con l’emanazione del code de l’indigenat
(1881), che distingueva tra:

 cittadini metropolitani  a loro vennero equiparati gli europei residenti in Algeria a cui venne estesa la cittadinanza
francese
 sudditi indigeni la cittadinanza veniva concessa solo raramente e solo dopo aver rinunciato alla sharīʿa.
Il code de l’indigenat è un insieme di norme a carattere repressivo destinate ad applicarsi ai soli “indigeni”; il carattere
discriminatorio, il razzismo, le ridotte tutele processuali tradirono gli ideali della Riv. Francese, ma soddisfano le
esigenze di controllo delle potenza coloniale. Nel 1873 la Loi Warnier rese applicabile in Algeria l’intero corpus del
diritto francese con la sola eccezione dello statuto personale e della successioni; ai giudici islamici fu consentito
applicare il fiqh malikita, i francesi si limitarono a sporadici interventi legislativi, relativi alla tutela dei minori e
formalità sul matrimonio. Un controllo sul diritto musulmano avveniva attraverso l’attività della Chambre de revision
musulman, sezione della Corte di Appello di Algeri. In Algeria l’intervento francese modifica il fiqh creando il droit
musulman algerien sia attraverso l’attività dei tribunali sia attraverso la dottrina e la sua attività traduzione e
reinterpretazione delle fonti classiche.

La codificazione del diritto civile e l’affermazione del Code Civil francese

Riguardo l’idea di codificare il diritto, nel Mediterraneo, nel XIXI sec, si affermarono modelli diversi, largamente
tributari al diritto europeo e soprattutto francese.

In Egitto erano stati istituiti Tribunali misti, in virtù del sistema di protezione consolare (capitolazioni), ove sedevano
giudici delle potenze capitolari; nel 1876 nascono i codici misti, destinati ad applicarsi a rapporti tra stranieri di diverse
nazionalità e stranieri-egiziani; questi codici sono una trasposizione del diritto francese soprattutto del Code Civil, la
cui materia è riassunta in meno articoli. Nel 1883 sono emanati i codici nazionali per i rapporti tra egiziani, il
contenuto è diritto francese ed italiano. L’Egitto si trova così in vigore 12 codici: 6 nazionali e 6 misti, che disciplinano il
diritto civile, commerciale, marittimo, penale, procedura penale e civile. Il diritto musulmano sopravvive solo nel
dominio riservato allo statuto personale, successioni e fondazioni pie. Nel 1949 si passa a un codice unificato, una
fusione tra elementi del diritto europeo e del diritto musulmano.

Nel Maghreb spicca il codice delle obbligazioni e dei contratti tunisino (1907), il suo contenuto si fonda sull’opera di D.
Santillana che nel suo avant-project de code civil et commercial tunisien (1896) fonde un impianto romanistico con
norme di fiqh malikita e hanafita, indicando fonti europee e musulmane.

In Indonesia olandese entra in vigore nel 1848 il Burgelijk Wetbook (1838), modellato sul codice napoleonico. Le
disposizioni del codice civile e commerciale si applicavano a europei e giapponesi (e in certi casi agli orientali stranieri).
Agli indigeni si applicavano gli adatrech, a loro fu estesa solo nel 1967 la possibilità di applicare le disposizioni di diritto
societario contenute nel codice di commercio e del diritto dei contratti contenute nel codice civile.
Sebbene nell’opera di codificazione civile e commerciale che ha interessato i paesi del Mediterraneo meridionale un
ruolo egemone sia stato svolto dal diritto francese, non mancano significative influenze del diritto civile e
commerciale italiano.

Non sempre all’idea di codice civile e commerciale si accompagna la recezione di modelli stranieri, come in
Afghanistan, il cui codice è noto per la originalità della sua impostazione: è disciplinata, sul modello dell’omologo
codice iraniano, la materia dello statuto personale, tradizionalmente non compresa perché di solito oggetto di leggi
speciali. In Iran l’adozione del codice civile (1928-1935) si colloca durante la campagna per l’abolizione del regime delle
capitolazioni.

Il costituzionalismo

La prima costituzione in assoluto nel mondo islamico è quella tunisina (1861), ove è prevista l’istituzione di una
commissione legislativa, un organo di controllo delle spese di governo e una struttura giuridica gerarchica, l’obiettivo
primario è il ridimensionamento dei poteri del principe (bey); l’istituzione del protettorato francese sospenderà la
carte, che tornerà nel 1956. Più interessante è la prima costituzione ottomana (1876), ispirata a quella belga (1832) e
prussiana (1851). L’Islam è la religione di Stato, ma il ruolo delle autorità religiose è limitato; vengono definiti i diritti
dei sudditi ottomani: uguaglianza davanti alla legge senza discriminazioni basate su religione, libero esercizio delle
confessioni non-islamiche, inviolabilità della libertà personale. Sono conservante le prerogative del sultano e il
principio della separazione dei poteri è superficiale: il potere esecutivo sovrano, tramite consiglio dei ministri;
potere legislativo sovrano, in condivisione con il parlamento (bicamerale); giurisdizioneorganizzata su livello
sciaraitico e statale. La Costituzione venne sospesa con lo scioglimento del Parlamento e nel 1909 venne data
sovranità al Parlamento.

I paesi nati dalla decolonizzazione provvedono a darsi delle carte fondamentali: dal costituzionalismo è ripresa la
separazione dei poteri, il catalogo dei diritti fondamentali dei cittadini, le forme di stato e di governo sono le più
diverse, ma si preferisce il modello della potenza europea colonizzatrice. Dopo l’indipendenza emergono
sostanzialmente due modelli:

 Il primo, liberale, si rifà all’esperienza politica francese-inglese, da cui riprende l’assetto dei poteri, l’idea di sovranità
nazionale e popolare, la separazione dei poteri, le garanzie per le minoranze. Presto in crisi, si assiste a proliferazione
di carte costituzionali usate in funzione di legittimazione del potere politico, con affermazione del modello
presidenziale, emarginazione delle assemblee etc.
 Il secondo, socialista, muove dall’idea di trasformazione delle strutture economiche, ma che in mancanza tipica della
lotta di classe europea, fallirà presto. Il socialismo qui organizza la compagine sociale a opera di un partito/leader
autoritario.
Sono prive di costituzione:

 l’Arabia Saudita dal 1992 ha una Legge fondamentale di governo che dichiara all’art.1: Il Corano e la sunna del
profeta essere la “costituzione” e in 83 articoli tratteggia alcune linee essenziali dello Stato.
 la Libiaaveva adottato una costituzione nel 1951 (indipendenza); la Rivoluzione del 1969 era stata accompagnata da
un Proclama costituzionale che faceva della Libia una repubblica araba democratica; nel 1977 la Dichiarazione
dell’autorità del popolo trasformò la Libia in “regime delle masse” ma senza costituzione. Il crollo del regime di
Gheddafi (2011) ha avviato una crisi istituzionale, tecnicamente il paese è retto dalla Dichiarazione costituzionale del
2011 che fa della Libia una democrazia in cui la sovranità appartiene al popolo, l’Islam è la religione di stato, la sharīʿa è
la principale fonte di legislazione.
Il controllo di costituzionalità delle leggi

Va considerato il problema del ruolo dell’islam e della sharīʿa nell’O.G. Quasi tutte le carte costituzionali inseriscono
disposizioni a riguardo: generico riferimento nel preambolo, una disposizione sulla religione dis tato, affermazione del
principio di conformità della legislazione alla sharīʿa, queste caratteristiche sono quelli che Parolin definisce “acciaio
islamico in uno stampo liberale”. Particolare è il caso del Bangladesh, la cui costituzione (1972) è stata più volte
emendata riflettendo i cambiamenti dovuti ai colpi dis tato; dal 2011 sono stati reintrodotti principi come il
nazionalismo, socialismo, democrazia e secolarismo.

La questione è più articolata con la clausola di conformità sciaraitica della legislazione. Il richiamo alla sharīʿa avviene
diversamente, osserviamo la formula secondo la quale la sharīʿa è “la” fonte o “una” delle fonti del diritto, la scelta del
tipo di articolo indeterminativo segnala la volontà del legislatore di evidenziare l’attaccamento ai valori dell’Islam
senza essere costretto ad attenersi a tutti i suoi ordini/divieti, mentre quello determinativo impone al legislatore
obblighi diversi.

In Iran la scuola giuridica di riferimento è indicata dalla costituzione che fa dell’Islam sciita gia ‘farita la religione
ufficiale pur permettendo altri culti secondo la propria scuola di appartenenza. La rivoluzione del 1979 disegna un
modello in cui tutti i poteri sono sotto il controllo del rahbari, la Guida politico-religiosa del paese. Arjomand descrive il
sistema come una sintesi tra la teoria del mandato giurista e i principi e l’organizzazione di uno stato moderno; l’Iran
ha forma di repubblica presidenziale in cui però la Guida si pone al vertice perché controlla le nomine degli altri
apparati dello Stato. Il controllo sulla costituzionalità delle leggi è un controllo preventivo sulla loro conformità
islamica ed è esercitato dal Consiglio dei guardiani; l’eventuale conflitto tra il Parlamento e il Consiglio dei guardiani è
risolto dall’intervento del Consiglio per il discernimento del superiore interesse dello stato. La Corte Suprema esercita
solo funzioni analoghe alla Cassazione.

In Egitto convivono la Corte di Cassazione di modello francese e la Corte Costituzionale. La Cassazione è stata istituita
nel 1931 per permettere l’interpretazione e applicazione uniforme del diritto nel paese. La Corte Suprema
Costituzionale è stata istituita nel 1979, determinandone anche le competenze, la Corte distingue tra i principi della
sharīʿa di fonte e significato “assoluti” e i principi “relativi” che mutano nel tempo/spazio.

In Pakistan, a fianco della Corte Suprema, esiste dal 1980 la Corte Federale Sciaraitica, si tratta di un unicum tra i
Paesi islamici, il suo compito è solo quello di verificare la conformità delle leggi federali e statali ai “precetti dell’islam
come stabiliti nel Corano”; è composta di 8 giudici di religione musulmana, 3 dei quali devono avere almeno 15 anni di
esperienza nel campo del diritto islamico. La Corte può riesaminare le sentenze in materia di reati hudud, per verificare
la correttezza del giudizio e delle procedure. Esiste anche la Corte Suprema, che ha giurisdizione originale, d’appello e
consultiva sulle pronunce della altre corti; decide delle controversie tra governi provinciali o tra questi e il governo
federale; può agire suo motu per controllare e moderare l’attività di governo per prevenire le violazioni dei diritti
umani.

Il diritto penale

Il primo vero codice penale si ha nell’Impero ottomano nel 1858, riproducendo quasi per intero il codice penale
napoleonico, in seguito integrato con elementi tratti dalla codicistica italiana, tedesca e ungherese, pur mantenendo
alcuni riferimenti alla sharīʿa. Il codice penale della Repubblica turca (1926) è un omaggio alla tradizione italiana,
largamente fondato sullo Zanardelli (1899), fino al 2005 quando è stato profondamente revisionato.

In Egitto i codici penali misto e nazionale (1875 e ’83) sono meri calchi del diritto francese. Il codice attualmente in
vigore risale al 1937, frutto dell’emancipazione legislativa dopo il trattato di Montreux, e si ispira al codice Rocco. A
questo codice fa riferimento la Libia indipendente del 1953, l’influenza italiana si scorge nell’impianto formale,
nell’adozione di una rubrica per ogni articolo, nella organizzazione e classificazione di alcuni reati.

Nel subcontinente indiano, il modello dominante è stato il codice penale anglo-indiano del 1860, emanato dalla
Corona inglese per risolvere definitivamente il problema del diritto applicabile in un contesto in cui convivevano le
norme del diritto musulmano, indù e i regolamenti coloniali. Il codice ebbe una straordinaria fortuna. Nelle terre sotto
dominio coloniale francese si ha l’applicazione diretta del codice napoleonico, a esso fanno riferimento anche i codici
post-indipendenza.

Nei paesi islamici non va sottovalutata una tendenza, iniziata cautamente in Libia nel 1972 e poi fattasi più radicale a
partire dal 1979, verso la re-islamizzazione totale o parziale del diritto penale.

Il diritto di famiglia
Le influenze del diritto europeo sul diritto di famiglia dei Paesi islamici sono del tutto marginali, con solo alcune rare
eccezioni. La Turchia repubblicana ha adottato il codice svizzero, comprensivo della disciplina della famiglia. In Senegal
il legislatore ha “fuso” elementi provenienti dal diritto coloniale francese, dal diritto musulmano e dalle numerose
consuetudini locali. Spesso il diritto di famiglia è ancorato a una concezione confessionale (e personale) dello stesso:
sono retti dalle regole della propria comunità religiosa di appartenenza gli statuti personali in Libano, Egitto, Indonesia,
Afghanistan. Talvolta lì dove l’islam non è maggioritario, il rinvio al diritto personale implica anche il rinvio a un
diritto dottrinale non codificato. Lo strumento della codificazione è utilizzato dal legislatore statale per introdurre
riforme.
INDIA

Il dominio britannico ha portato a una profonda penetrazione della common law nella cultura locale induista. Il diritto
indù si è trovato a sperimentare una doppia concorrenza, prima da parte di invasioni islamiche poi per influenza
britannica. L’India moderna ha lasciato il diritto gli indù solo come diritto personale per i cittadini di religione induista.

Il diritto tradizionale personale indù

Il diritto indù è il più antico sistema di diritto esistente al mondo, se si tiene presenta che già i Veda possono essere
testi da cui discendono regole di comportamento sociale. La società era organizzata in base a categorie sociali (Varna),
cui il singolo apparteneva per nascita, e a tali categorie corrispondeva un diverso codice di comportamento dharma.
Ogni uomo doveva adempiere a obblighi che il suo status imponeva. Il dharma è un insieme di precetti ad un tempo
religiosi, etici, e di prevenzione/composizione dei conflitti, fondati sulla credenza che esista un ordine dell’universo,
inerente alla natura delle cose. E’ un termine onnicomprensivo.

I primi scritti a tal proposito erano i dharmasastra (VI sec a.C.), ampie raccolte di regole redatte da saggi dei tempi.
Sono circa 100, formano un precetto unico. Tutti i dharmasastra si basano sulle scritture del sacro Veda, ma in realtà la
loro base si ritrova nelle diverse consuetudini rispettate dagli indù nelle relazioni sociali e nel campo religioso. Il
dharma non è una legge immutabile, ma sensibile all’evoluzione della società.

Dall’XI al XVII secolo esigenze di razionalizzazione dei testi esistenti portarono a redazione dei nibandha, affinché
raccogliessero tutte le fonti dedicate ad un dato problema, le confrontassero e ne risolvessero le contraddizioni.

La dominazione britannica, la deformazione del diritto indù e la costituzione di un diritto territoriale

L’affermazione del diritto inglese inizia nel 1600, durante il regno di Elisabetta I, con la East India Company, che
conquistò il monopolio commerciale sull’Oceano Indiano. La Compagnai ebbe completa giurisdizione sui sudditi inglesi,
tuttavia fu la Charter di Carlo II (1661) a segnare l’inizio dell’esercizio del potere giudiziario da parte della Compagnia.
Il dominio inglese non si estenderà mai a tutto il territorio del subcontinente. Nel 1726 Giorgio I dispose che i territori
di Bombay, Calcutta e Madras fossero direttamente soggetti all’amministrazione britannica, istituendo corti regie
chiamate ad applicare il diritto inglese. Dal 1781 la competenza di tali corti si estese alle liti riguardanti gli autoctoni,
decidendo sulla base del diritto indù/musulmano. Nei territori fuori dalle capitali dove operava la Compagnia delle
Indie, il diritto inglese fu di difficile applicazione. Nel 1772 il governatore Warren Hastings dispose che le corti avrebbe
dovuto seguire il diritto indù/musulmano in materia di successioni, matrimonio, casa o altre istituzioni a carattere
religioso, mentre nelle altre materie avrebbe deciso secondo i “principles of justice, equity and good conscience”.

Dopo la rivolta 1857-1858, con ammutinamento di truppe della Compagnia, il governo viene assunto direttamente
dalla Corona, con la nascita del British Ray. Il great mutiny sarà occasione di un profondo ripensamento del rapporto
degli inglesi con l’India. La penetrazione della common law in India è stata un processo graduale e non lineare.

Sotto l’amministrazione britannica il diritto indù e islamico vennero trattati come leggi di eccezione. Il nuovo diritto di
ispirazione inglese, applicabile a tutti gli abitanti, si impose quale diritto territoriale. La costituzione di esso sembrò il
modo migliore per regolare rapporti tra persone appartenenti a diverse comunità. Nel diritto commercial il diritto indù
e musulmano erano carenti, le soluzioni presente già nella common law tesero a imporsi.

I britannici insediarono giudici metropolitani che avrebbe dovuto applicare il loro diritto personale, se le persone da
giudicare fossero induiste. Ma il loro operato portò a una distorsione del diritto indù, così forte che spesso le stesse
parti chiedevano di essere giudicati con il common law, più certo. Nella ricerca della regola da applicare il giudice
inglese, disconoscendo la flessibilità del diritto indù, credette erroneamente che i dharmasastra contenessero il diritto
positivo. Inoltre, solo 1/3 dei dharmasastra furono tradotti. Di fronte alle numerose lacune, i giudici inglesi
svilupparono norme spesso influenzata dal common law ed elaborate dopo indagine comparatista. Il diritto indù venne
confinato a sole tematiche personali, per le lacune (es. obbligazioni) venne istituito l’Anglo-Hindu Law. Un numero
sempre maggiore di decisioni giudiziarie, opera dei giudici inglesi dei tribunali indiani, venne pubblicato e fu usato da
avvocati/giudici come dei precedenti a cui ispirarsi. Si cessò la redazione di raccolte di diritto personale e cominciarono
a diffondersi raccolte di giurisprudenza, organizzate secondo i concetti e le categorie inglesi. Il dharma quindi venne
considerato come un diritto astratto e naturale. Il diritto conclamato come ufficiale fu un diritto solo per le élite,
mentre il diritto popolare continuò a essere consuetudinario.

L’influenza in India delle idee di Bentham: l’epoca delle codificazioni

Jeremy Bentham aveva fatto riferimento proprio al subcontinente, pieno di differenze e di lacune sul piano giuridico,
per far comprendere quanto l’esigenza delle codificazioni fosse universale. La codificazione apparve lo strumento
migliore per trapiantare in India il diritto inglese ed abolire radicalmente le istituzioni tradizionali della civiltà indiana. Il
Charter Act (1833) accentra presso il Governatore Generale con sede a Calcutta il potere legislativo per tutti i territori
sottoposti alla Compagnia; aveva inoltre il potere di istituire una Law Commission. I lavori della prima Law Commission
si concentrarono sulla redazione di un codice penale. L’effettiva adozione avviene solo dopo la Grande Rivolta. Nel
1859 viene promulgato un codice di procedura civile, nel 1860 un codice penale e nel ’61 un codice di procedura
penale. Vennero adottate leggi in materia di contratti, di prove, di trasferimento di proprietà, sul trust, sull’esecuzione
forzata delle obbligazioni e sui titoli di credito. Le nuove leggi introdussero grossi nuclei di diritto inglese. Il codice
penale anglo-indiano va ascritto alla tradizione europea continentale. Questo lavoro di codificazione venne
apprezzata all’estero.

L’indipendenza e il diritto vigente: ancora tracce della tradizione giuridica occidentale

L’indipendenza dell’India (1947) non ha discusso l’opera di legislazione compiuta. Nel 1950 la nuova costituzione ha
sovrapposto al diritto vigente testo di 395 articoli, che costituiscono una componente nuova nell’O.G. indiano. L’art.
372 ha proclamato che le leggo anteriori rimangono in vigore e con il British Statutes Repeal Act (1960) si è deciso di
conservare 150 leggi dell’impero britannico. La costituzione è un esemplare prodotto della comparazione giuridica. Il
primo carattere originale del diritto indiano che lo avvicina a USA e lo allontana dal diritto inglese è la presenza della
carta costituzionale. Con questa l’india si è costituita in una Unione federale oggi composta da 29 Stati e 7 union
territories. A livello federale si auspica che l’hindi sostituisca l’inglese, unica lingua ora capace di esprimere il discorso
giuridico. Il solo contrappeso al governo centrale è rappresentato dal potere giudiziario che, alla maniere inglese ed
americana, costituisce la vera spina dorsale del sistema giuridico. In India è presente un unico corpo costituito dalle
corti superiori degli Stati, con al vertice la Corte suprema con sede a Nuova Delhi. La Corte suprema, inizialmente
investita del solo potere di pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi statali e federali, nel tempo si è attribuita
anche il potere di controllare l’attività costituente del corpo politico.

Numerosi sono i tratti peculiari dell’O.G. indiano. Esso costituisce una continuazione della common law non tanto nei
contenuti quanto per i metodi di lavoro impiegati. Poi, il giudice crea norme giuridiche se il legislatore è carente e
anche in opposizione ad esso qualche volta. Il legislatore talvolta è restio a emanare leggi che potrebbero risultare
impopolari. In virtù dell’art. 141 della Costituzione, ogni regola di diritto elaborata dalla Corte suprema vincola tutti gli
organi giudiziari del paese. In questo si è tentato di leggere il fondamento costituzionale della regola del precedente,
ma la regola del precedente nella realtà pratica sta perdendo sempre più terreno. A proposito della Corte suprema
indiana, va notato come il ricorso al diritto comparato sia assai frequente nelle sue decisioni. Un ultimo tratto è la
predominanza della fonte legislativa. All’art. 44 della costituzione, l’india si è espressamente dichiarata aperta alle
codificazioni, auspicando la promulgazione di un codice civile unificato per tutta la nazione.

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