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Morbidelli Diritto Comparato completo

Diritto pubblico comparato (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido
Carli)

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Appunti di Diritto pubblico Francesco Stati


comparato

Appunti di Diritto Pubblico Comparato

Capitolo I: Introduzione alla metodologia

1) Premessa

La storia del Diritto Comparato è legata al diritto occidentale, quindi per una comparazione
migliore bisogna anche tenere conto di termini come “amae” (armonia) del diritto giapponese, “fa” e “li”
nel diritto cinese, di “dharma” nel diritto hindu ecc.
Il Diritto Comparato studia le costituzioni anche nei paesi dove “non c’è” come il Regno
Unito; finalità principale della comparazione è produrre conoscenza. La comparazione organizza
sistematicamente la conoscenza attraverso l’operare raffronti per analogie e differenze, andando a
costruire modelli e classificazioni.Oggetto di questa comparazione “pura” sono i diversi diritti positivi
Hdnd
(ad es. fonti, diritti, giustizia costituzionale, decentramento dello Stato, organizzazione del potere ecc).

2) Comparazioni

Oltre a tale finalità principale, vi sono funzioni sussidiarie della comparazione:

- Funzione di elaborazione legislativa e costituzionale: La comparazione è strumentale


alla conoscenza del proprio ordinamento; un comparatista non si limita ad analizzare il
diritto ma prende in considerazione tutti gli elementi che contribuiscono a far funzionare un
ordinamento in un dato contesto.

- Funzione di uniformizzazione del diritto: predisposizione di trattati e convezioni


internazionali che spesso hanno come oggetto il giungere a normative più omogenee.

- Funzione di aiuto in sede interpretativa, in particolare significati di atti internazionali ma


anche propri di ciascun ordinamento che devono essere interpretati proprio in connessione
con le altre disposizioni del sistema giuridico.Ci sono diversi metodi che possono essere
utilizzati nella comparazione la cui scelta dipende da quale tipologia di elementi comuni si
privilegiano (fatti, funzioni, organizzazione).

- Metodologia del tertium comparationis (Radbruch; de Vergottini): l’approccio è


empirico, bottom-up, volto a costruire un modello di riferimento, un parametro (il tertium
comparationis, cioè le proprietà che i due elementi -comparato e comparando- hanno in
comune). Spesso il TC corrisponde a uno dei due elementi (come comparando si assumono
i caratteri che corrispondono a un modello esistente in un ordinamento); più raramente il
TC è un modello ideale elaborato in astratto. La critica principale è che presuppone una
valutazione dei termini confrontati rispetto al modello di riferimento (il giurista non deve
giudicare, il giudizio è proprio della politica e può essere esplicitato rispetto a un fine
concreto).

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- Metodologia degli elementi determinanti (Constantinesco): un ordinamento è


composto da particelle giuridiche elementari (norme, principi, concetti, istituti) che non
hanno tutte lo stesso valore (non si può studiare il diritto socialista senza conoscerne
l’ideologia di Stato né il diritto musulmano senza conoscere l’Islam). La conoscenza effettiva
di un ordinamento è data da:

1) Elementi determinanti;
2) Elementi fungibili;
3) Interrelazione tra elementi.

Caratteristiche degli elementi determinanti sono: unicità, insostituibilità, carattere


determinante, complementarietà. Tale metodologia è stata sviluppata da Constantinesco
per la sistemologia (macrocomparazione, cioè comparazione di ordinamenti) ma può essere
utilizzata anche nella microcomparazione (singoli istituti).

- Metodo problematico: si va dal generale al particolare, dall’astratto al concreto. Metodo a


cui sono particolarmente avvezzi i giuristi continentali, ha come finalità la ricerca di come
nei vari ordinamenti viene risolto un determinato problema.

- Metodo casistico (case method): dal particolare al generale, dal concreto all’astratto.
Utilizzato dagli studiosi anglosassoni, ha come finalità la ricerca nel case law delle soluzioni
concrete al fine di estrarre la norma generale.

- Metodo funzionale (functional approach; Zweigert, Esser, Gordley): si accentua la


funzione dell’istituto studiato. Si parte dal presupposto che i problemi siano universali e si
studiano le diverse risposte normative che ogni sistema dà alla medesima situazione (ad es.
come si scioglie un matrimonio).

- Metodo fattuale (factual approach; Cornell): si accentuano i fatti comparabili. Si


fornisce la descrizione di un fatto unico e uguale per tutti e si chiede a ciascun giurista come
tale situazione viene affrontata nel proprio ordinamento.

- Formanti (Sacco): si privilegia l’interesse per un particolare formante (insieme di regole e


proposizioni alla base della soluzione di un problema o della disciplina di un istituto in un
ordinamento dato e in un determinato momento storico). I formanti di solito presi in
considerazione riguardano regole legali.

3) Rapporto con la storia del diritto

La comparazione può essere sincronica (confronto di ordinamenti o istituti di una stessa


epoca) o diacronica (confronto esteso a ordinamenti o istituti appartenenti a periodi diversi). Lo studio
storico è fondamentale in quanto permette di cogliere i crittotipi, cioè formanti e regole non
verbalizzati, modelli giuridici impliciti che operano perlopiù a livello di influenza culturale.

4) Rapporto con la scienza politica

Importante per il comparatista è anche l’effettività delle norme oltre al dato testuale e quindi
svolgere indagini anche sull’esistenza di norme giuridiche quali consuetudini e convenzioni
costituzionali, tenendo conto anche dei contesti culturali, sociali, economici, politici in cui tutti ciò vive.

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5) Rapporto con lo studio del diritto straniero

Il diritto comparato non corrisponde allo studio del diritto straniero anche se la comparazione
presuppone lo studio dei diritti stranieri ma tale studio è strumentale al confronto.

6) Rapporto con la linguistica

Il comparatista deve prendere in considerazione le estensioni socioculturali del linguaggio


giuridico proprio di ciascun ordinamento.

7) Macrocomparazione e microcomparazone

La macrocomparazione presuppone le differenze e ricerca le similitudini; rientrano nella


categoria forma di governo, fonti, decentramento, ecc;la microcomparazione presuppone le
similitudini e ricerca le differenze cioè studia singoli istituti, atti, procedimenti, funzioni, enti, diritti,
poteri, doveri, ecc e la loro possibile comparazione (ad es. stessa funzione di un istituto in due
ordinamenti). Particolare rilievo in questo senso assume la dimensione linguistica: in diversi
ordinamenti vi possono essere parole che esprimono significati giuridici differenti pur avendo una
radice comune.

8) Classificazioni

Classificare significa raggruppare secondo somiglianze e differenze famiglie, sistemi,


ordinamenti giuridici, istituti propri di ordinamenti in apparenza similari.Caratteri che ogni
classificazione deve avere sono:

1) Reciproca esclusività (nessun elemento può stare in due o più classi);


2) Congiunta esaustività (tutti gli elementi devono stare in una classe);
3) Pertinenza (motivo per cui ciascun elemento è inserito in una certa classe).

Le classificazioni giuridiche difficilmente possono aspirare all’esaustività piena in quanto i sistemi


giuridici sono sempre in divenire. Per tale motivo si raggruppano insieme elementi che hanno il
più elevato numero di caratteri comuni ma nessuna di queste caratteristiche è essenziale
singolarmente per definire l’appartenenza a una determinata classe.È necessario anche operare
scelte da parte dello studioso che classifica: semplificare al massimo può essere utile ma può
comportare la perdita della complessità propria della realtà; per contro classificazioni troppo complesse
possono rendere inutile la stessa opera classificatoria.
La principale classificazione è quella tra sistemi giuridici: la dottrina ha proposto diverse
classificazioni sulla base di elementi determinanti per le discipline di “diritto privato” e di “diritto
pubblico”. Nell’ambito del diritto pubblico le classificazioni proposte sono basate sull’essenza e la
struttura del sistema politico (forma di Stato) e sulla comunanza/divergenza dei valori di fondo
caratterizzanti le Costituzioni.

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Capitolo II – Famiglie, sistemi giuridici, fonti del diritto

Sezione I - famiglie e sistemi giuridici

1) Premessa

Le carte costituzionali riflettono (in tutto o in parte) i tratti caratterizzanti il sistema giuridico nel
contesto del quale si pongono come parametro supremo di riferimento. Le idee e i valori che ispirano
l’avvento di una costituzione mutano rispetto al vecchio regime; tuttavia, la costituzione nuova deve
necessariamente inserirsi in un quadro giuridico di rapporti, vincoli, facoltà, libertà,
obbligazioni ecc, che in genere sopravvivono alla nascita della nuova costituzione. La
costituzione disegna i rapporti tra autorità e libertà; detta gli aspetti organizzativi fondamentali
dell’assetto delle autorità pubbliche e formula i principi e i criteri a salvaguardia delle libertà dei singoli.
In questa sezione si prenderanno in esame le teorie sulla base delle quali si sono distinti i sistemi
giuridici secondo una classificazione degli stessi in famiglie giuridiche. Per la famiglia giuridica si
intende una classe omogenea entro cui raggruppare per finalità euristica ordinamenti giuridici
che presentano rilevanti tratti comuni. Con l’espressione sistema giuridico può intendersi
l’ordinamento giuridico in senso stretto oppure l’ordinamento giuridico in senso lato, comprensivo cioè
di quei fattori che fanno sistema con l’impianto più propriamente normativo e
interagiscono/interferiscono con il medesimo (fattori sociali, politici, economici, storici, culturali,
religiosi, ecc). In queste pagine utilizzeremo questa espressione nel suo significato più ampio.

2) Le famiglie giuridiche secondo le classificazioni di tipo assoluto

L’assunto di queste teorie è quello di stabilire un criterio (o un insieme di criteri) di


classificazione indeterminato e assoluto. Adhémar Esmein, nel 1900, distingueva gli ordinamenti
giuridici in cinque gruppi:

- Romanistico;
- Germanistico;
- Anglosassone;
- Slavo;
- Islamico.

sulla base del criterio della originalità dell'ordinamento giuridico e della sua storia.
Circa vent’anni dopo Henri Lévy Ullman, basando la sua classificazione sul diverso valore
delle fonti del diritto all’interno dell’ordinamento, distingueva:

- Gruppo continentale;
- Gruppo di paesi anglofoni;
- Gruppo di paesi islamici.

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Un approccio antropologico, invece, si rinviene nel tentativo operato all’inizio del 1900 da
Georges Sauser-Hall di distinguere gli ordinamenti giuridici sulla base della razza umana; esso
distingueva quindi:

- Una famiglia giuridica indo-europea;


- Una semitica;
- Una mongola;
- Una dei popoli ancora primitivi.

All’interno della prima famiglia egli proponeva ulteriori sottogruppi: induista, iraniano, celtico, greco-
latino, germanico, anglosassone e lettone-slavo.
Negli anni ‘50 contestano il ricorso a criteri esterni di classificazione Pierre Arminjon, Baron
Boris Nolde e Martin Wolff i quali, al contrario, prospettano una classificazione basata sui criteri
intrinseci agli ordinamenti giuridici, tralasciando fattori non direttamente qualificabili come
giuridici quali la razza o la geografia. Conseguentemente, giungono a prospettare una classificazione
in sette gruppi:

- Francese;
- Germanico;
- Scandinavo;
- Inglese;
- Russo;
- Islamico;
- Induista.

La posizione di René David critica le dottrine precedenti per il fatto che non offrono criteri
classificatori veramente persuasivi. Gli unici elementi che a suo avviso possono essere utilizzati per una
classificazione in famiglie giuridiche sono il criterio ideologico e quello tecnico-giuridico. Il primo
criterio tiene conto del fattore religioso e filosofico proprio di ogni ordinamento, oltre che della
struttura sociale, politica ed economica; il secondo guarda aspetti più tipicamente giuridici.
David considera il primo criterio come quello determinante; sulla base di quest’ordine di idee, David
distingue in un primo tempo cinque famiglie giuridiche (diritti occidentali, diritti sovietici, diritto
musulmano, diritto induista e diritto cinese), successivamente restringe le classi a quattro:

- La famiglia romano germanica;


- La famiglia di Common Law;
- La famiglia dei paesi socialisti;
- “Altri sistemi”: ordinamenti di diritto musulmano, di diritto induista, di diritto dell’estremo
oriente nonché quelli in via di sviluppo del continente africano.

3) Le famiglie giuridiche secondo le classificazioni di tipo relativistico

Più recentemente (1984), Konrad Zweigert e Hein Kötz hanno rilevato che nella
identificazione dei diversi ordinamenti nel mondo contemporaneo devono tenersi presente due
principi: il principio della relatività per materie e il principio della relatività temporale. In base al
primo, la validità delle classificazioni dei raggruppamenti in famiglie non può che essere riferita alle
diverse branche del diritto, per cui se si guarda al diritto privato di un dato ordinamento esso può essere
inserito in una data famiglia giuridica, mentre se la prospettiva si riferisce al diritto costituzionale la
collocazione classificatoria potrebbe essere diversa. Il principio della relatività temporale, per parte sua,
implica la necessità di considerare il contesto storico, per cui un certo ordinamento potrebbe mutare la

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sua collocazione da questa a quella famiglia in relazione al tempo e alle circostanze storiche che lo
attraversano.
In altri termini, Zweigert e Kötz affermano la necessità di relativizzare ogni classificazione
in famiglie giuridiche, svuotandole di pretese assolutistiche e assiologiche. Quanto poi alla
classificazione, essi ritengono che si debba far leva sugli stili giuridici di ciascun ordinamento e che lo
studio del diritto comparato avrebbe come oggetto precipuo l’individuazione dello stile giuridico di
questo o quell’ordinamento. Il concetto di stile si concretizza attraverso alcuni fattori rilevabili in
ciascun ordinamento. I fattori determinanti, secondo Zweigert e Kötz, sono cinque:

1) L’origine storica e l’evoluzione di un ordinamento giuridico;


2) Il predominante e caratteristico modo di pensare dei giuristi nel dato ordinamento;
3) Gli istituti giuridici particolarmente caratterizzanti;
4) Le fonti del diritto e la loro interpretazione;
5) I fattori ideologici.

Sulla base di questi fattori, viene prospettata una classificazione in otto famiglie giuridiche:
famiglia romanistica, famiglia germanica, famiglia scandinava, famiglia di Common Law, famiglia
socialista, famiglia dell’estremo oriente, famiglie islamiche, famiglia induista. A queste famiglie
andrebbero poi aggiunti diversi sistemi ibridi, non classificabili, quali Québec, Louisiana, Scozia, Israele
ecc.

4) Le famiglie giuridiche secondo le classificazioni di tipo relativistico-prevalente

Ugo Mattei, intorno alla metà degli anni ‘90, disegna una nuova ipotesi di classificazione per
famiglie giuridiche sulla base delle recenti acquisizioni della scienza del diritto comparato. Egli muove
dall’assunto per cui ogni organizzazione sociale, ancorché primitiva, è una organizzazione
giuridica: il carattere della giuridicità infatti prescinde dall’esistenza della scrittura, dell’esistenza del
legislatore, del giudice o del giurista. Inoltre sottolinea la necessità di abbandonare una visione
eurocentrica degli ordinamenti e di riconoscere la diversità tra le organizzazioni sociali senza alcun
predominio delle concezioni occidentali.
L’ipotesi che Mattei propone prevede che i sistemi giuridici possono essere raggruppati in
tre principali famiglie giuridiche:

- La famiglia a egemonia professionale (rule of professional law);


- La famiglia a egemonia politica (rule of political law);
- La famiglia a egemonia tradizionale (rule of traditional law).

Si tratta di una tripartizione non rigida basata su un giudizio complessivo di prevalenza o di


egemonia. La famiglia a egemonia professionale, fondata sulla rule of professional, esprime la
tradizione giuridica occidentale e include le due tradizionali famiglie di Civil Law e Common Law. La
tradizione giuridica occidentale presenta una matrice unitaria fondata su due criteri di base: a) la
componente tecnico-giuridica si distingue dalla componente politica; b) la struttura concettuale del
diritto è largamente secolarizzata. La famiglia a egemonia politica è destinata a raggruppare
temporaneamente quegli ordinamenti giuridici che conoscono una fase di evoluzione e/o transizione. Si
tratta di ordinamenti nei quali il momento politico e quello giuridico non sono separati. Le scelte
politiche restano nelle mani del potere politico e le soluzioni tecnico-giuridiche risentono dell’influenza
del potere politico. Infine, la famiglia a egemonia tradizionale ricomprende tutti quegli ordinamenti
giuridici nei quali non vi è separazione tra diritto e tradizione religiosa o filosofica. Si tratta
prevalentemente di ordinamenti appartenenti all’aria orientale, nei quali accanto a una organizzazione
sociale giuridicamente strutturata esiste una rilevantissima sfera di rapporti giuridici governata da regole
diverse da quelle giuridiche.

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5) La relatività delle classificazioni in famiglie giuridiche

Le classificazioni in famiglie giuridiche hanno generalmente un valore relativo alla finalità


conoscitiva che si persegue. Ad esempio, la distinzione tra Common Law e Civil Law perde la sua piena
potenzialità esplicative se la si impiega nel campo del diritto pubblico comparato. Il percorso di
ibridazione avviato da tempo tra i modelli di Civil Law e Common Law assume un significato di portata
diversa nella sfera del diritto civile comparato, dove serve a inquadrare molti istituti privatistici, e in
quella del diritto pubblico, ove in genere ci si limita a registrare da una parte la crescita di ruolo e spazio
della legislazione negli ordinamenti di matrice anglosassone e, dall’altra, una certa evoluzione del valore
della giurisprudenza negli ordinamenti continentali. Zweigert e Kötz, come si è visto, opportunamente
richiamano la necessità di tener conto nella sistemologia comparativistica di un principio di
relatività per materie. Nel campo del diritto pubblico comparato, dunque, può risultare maggiormente
proficua una classificazione degli ordinamenti giuridici in base alla forma di Stato, cioè in base agli
elementi giuridici che qualificano il rapporto tra governanti e governati, tra autorità e libertà, se si avesse
di mira la conoscenza e la classificazione degli ordinamenti costituzionali contemporanei alla luce dei
recenti processi di circolazione dei modelli costituzionali e delle dinamiche di rinvigorimento o
marginalizzazione di caratteri tradizionali (religiosi e/o filosofici).
Il concetto di famiglia giuridica non è in grado di includere tutte le realtà giuridiche
organizzate in sistema; in particolare, non aiuta a comprendere la classe delle democrazie liberali,
trasversale rispetto alle famiglie di Common Law e di Civil Law. Sembra condivisibile la critica di Ancel
secondo il quale non è possibile, a livello di diritto comparato generale, raggruppare diversi
ordinamenti giuridici in una famiglia di diritto occidentale, poiché troppe differenze
resterebbero in ombra. Ciò significa che uno studioso che intendesse approfondire le relazioni tra
autorità e libertà potrebbe mettere da parte la distinzione tra diritto politico e diritto giurisprudenziale,
concentrandosi sugli effetti delle disposizioni normative, in particolare sulla disciplina dei diritti
individuali e sui rapporti tra la società e il potere, prescindendo dall’origine delle norme (legislativa o
giurisprudenziale che fosse).

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Sezione II - Le fonti di legittimazione

1) Definizioni e concetti generali


Le parole “fonti del diritto” hanno più significati, tutti consacrati dall’uso. La definizione più in
voga nella manualistica italiana è quella di “atti o fatti idonei a produrre diritto”, ma essa non è
appagante ai nostri fini: per identificare le fonti del diritto sembra infatti indispensabile una definizione
da utilizzare sempre e comunque, con riferimento a qualsiasi ordinamento giuridico del passato o del
presente, e non basta soltanto richiamarsi a un particolare ordinamento. È necessario rinvenire una
specie di minimo comune denominatore tra i vari atti e fatti che nel corso della storia e nei diversi
ordinamenti si sono dimostrati idonei a innovare gli ordinamenti stessi.
L’indagine comparativistica ci dimostra la relatività del concetto di fonte e la varietà di atti e
fatti che si celano dietro questa espressione. Le fonti sono definibili come un multiforme insieme di
processi da cui deriva il diritto oggettivamente inteso.
L’esame comparativo ci insegna inoltre che il diritto può essere prodotto, oltre che con
procedure legalmente previste (fonti legali), anche fuori di esse (fonti extra ordinem), e che anzi
questa seconda forma di produzione giuridica appare largamente diffusa negli ordinamenti più primitivi
o instabili, mentre viene considerata con sospetto in quelli più evoluti. Il diritto comparato suggerisce
anche di attenuare la distinzione tra fonti di produzione e fonti di cognizione che, venendo da una
prospettiva esterna al nostro ordinamento, non assume rilievo o, almeno, sembra presentare una
minore importanza. Basti considerare che alla contrapposizione tra le prime (definita dalla dottrina
atti e fatti cui ciascun ordinamento connette la nascita oppure l'estinzione delle proprie norme) e le
seconde (cioè i documenti che forniscono notizia legale delle norme prodotte, o comunque le rendono
conoscibili) è in parte estranea tutta la vastissima area del diritto consuetudinario che ignora
ovviamente le fonti di cognizione. In ottica macrocomparativa è più importante la distinzione tra
fonti-atto (alla cui origine sta una manifestazione di volontà) e fonti-fatto (che si fondano invece su un
comportamento: un fatto, appunto), le quali caratterizzano ancora larghi strati del diritto praticato in
molte aree del mondo.

2) Premessa

L’analisi delle fonti che svolgeremo si basa sul criterio prevalente di produzione. In nessun
ordinamento, statuale o meno, esiste un modo esclusivo per produrre diritto. I vari tipi di fonte
si mescolano tra loro, e le norme giuridiche a volte si sovrappongono a regole non definite “giuridiche”,
come quelle religiose. Nel tempo e nello spazio, non esiste una concezione comune di diritto. Il
massimo grado di legittimazione si ha quando una regola consuetudinaria si fonda «su una tendenza
istintiva e su una pacifica norma etica, sponsorizzata dal soprannaturale» (Gianola), ricevendo l’avallo di
una regola politica.

3) Le consuetudini

Il diritto tradizionale permea tutt’oggi larga parte della produzione giuridica del mondo, anche
se viene normalmente svalutato dai costituzionalisti. La sensibilità del diritto privato comparato è
stata maggiore per i diritti consuetudinario, tribale, religioso. Non manca tuttavia, anche sul versante
pubblicistico, chi tenta di conciliare il diritto consuetudinario (tribale) e il diritto costituzionale. Sembra
possibile un diritto costituzionale altruista, ancorato alle tradizioni e quindi a base consuetudinaria. La
tradizione è un’opera di rappresentazione del reale basata su un insieme di dati appresi in

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precedenza, il diritto tradizionale/consuetudinario sta alla base di uno schema teorico che permette di
valutare le riforme chiamando in calce i concetti di tradizione e di pluralismo giuridico. Dentro le
tradizioni il diritto consuetudinario rappresenta una base importante anche se non esclusiva: vi
concorrono infatti anche il diritto religioso, l’animismo, nonché altri tipi di regole.
In occidente, la definizione di consuetudine affonda le sue radici in un’elaborazione teorica
sviluppatesi dell’antichità; i requisiti che determinano l’affermarsi di una norma consuetudinaria
sono l’usus e l’opinio iuris, vale a dire la ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e
pubbliche di un dato comportamento (usus), cui si aggiunge la consapevolezza, in chi tiene in quel dato
comportamento, di un dovere giuridico di conformarsi all’uso (opinio iuris). La nozione di
consuetudine viene frequentemente riferita agli ordinamenti giuridici delle società primitive, siano esse
risalenti all’antichità o giuridicamente involuti. In genere, prevale in quelle società l’idea che i
comportamenti stabiliti dagli antenati, o dagli anziani, siano doverosi e non suscettibili di modifica.
Diversi testi che hanno costituito le basi di riferimento del moderno diritto sono stati il risultato
di un processo di codificazione o compilazione di consuetudini preesistenti (dal Corano alla Bibbia ai
Veda), ma queste fonti hanno conservato notevole importanza anche in Occidente, almeno sino al
definitivo affermarsi del diritto giurisprudenziale da una parte e del diritto codicistico dall’altra . Oggi le
consuetudini dimostrano la loro inadeguatezza di fronte a più sofisticati modi di produzione
giuridica e vengono prevalentemente relegate in un ruolo marginale. In particolare, il diritto
tradizionale viene oggi riscoperto in alcuni ordinamenti che lo incorporano nel diritto costituzionale,
addirittura parametrizzandolo ai fini del controllo di costituzionalità.
Il diritto consuetudinario svolge un’importante funzione anche nell’ordinamento
internazionale. In tale contesto, mancando un organo cui possano essere riconosciuti poteri
normativi formali, la principale se non l'unica fonte del diritto internazionale finisce per essere
l'insieme dei comportamenti tenuti dagli Stati e da essi accettati come giuridicamente rilevanti. Gli stessi
trattati assumono un ruolo di rilevatori di norme piuttosto che di creatori delle stesse.
Negli ordinamenti statali moderni la legge si impone sempre sulla consuetudine, in
ossequio a una consolidata concezione giuspositivista (salvo rarissime eccezioni). La consuetudine
abrogatrice è generalmente esclusa negli ordinamenti liberal-democratici per il primato conferito alle
fonti-atto. Nel diritto occidentale contemporaneo, dunque, la sfera di operatività delle consuetudini
si limita a quei casi in cui la stessa legge fa rinvio alla norma (consuetudo secundum legem), mentre
presenta tuttora soluzioni diversificate l'atteggiamento degli ordinamenti verso le consuetudini praeter
legem, relative cioè a materie non disciplinate dalla legge.

4) Il diritto delle convezioni e dei trattati

Alla radice del diritto convenzionale, dunque, sta un patto approvato all’unanimità (non
quindi secondo il principio di maggioranza) con il quale i destinatari delle regole da esso scaturite si
obbligano a osservarle. Nell’esperienza degli Stati contemporanei, la produzione normativa su base
pattizia o convenzionale si limita a poche ipotesi, per esempio nel caso di trattati internazionali che,
per effetto della ratifica, subiscono la trasformazione in diritto interno. Il diritto pattizio assume
oggi particolare rilevanza per la diffusa incorporazione dello stesso nei diritti nazionali, soprattutto per
ciò che riguarda i trattati a difesa dei diritti umani fondamentali, e per il controllo di convenzionalità,
subordinando a esso il diritto interno. Non di rado sono previsti da norme costituzionali patti,
concordati o intese (generalmente con le confessioni religiose) destinati a essere recepiti dal legge dello
Stato. È inoltre diffusa in molti odierne ordinamenti la contrattazione collettiva in materia di
lavoro, mediante la quale testi normativi redatti dalle parti con una struttura contrattuale
acquistano efficacia erga omnes per effetto di un apposita norma sulla produzione giuridica,
oppure in conseguenza della forza politica dei sindacati.
Particolare rilievo, per il rango loro riconosciuto, assumono le “convenzioni della
Costituzione”: si tratta di accordi, anche taciti, in forza dei quali i titolari di organi costituzionali
osservano regole di comportamento e relazioni reciproche al loro interno per il fatto di essere da

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tutti accettate e condivise, e il limite della loro efficacia normativa è segnato dal venir meno del
consenso. Una posizione di primo piano hanno assunto le convenzioni costituzionali dell’ordinamento
britannico: si tratta di regole di comportamento costituzionale vincolanti gli organi politici di vertice;
esse non derivano dal diritto giurisprudenziale e non sono imposte dagli organi giudiziari. Si tratta di
norme finalizzate a definire l’area della discrezionalità costituzionale; peraltro, devono registrarsi
alcuni tentativi di superare il limite della costituzionalità delle norme convenzionali a opera di alcune
corti. Tra gli esempi più significativi si ricorda la trasformazione della forma di governo britannica da
costituzionale a parlamentare attraverso la mutazione dell’istituto dell’impeachment e l’introduzione del
rapporto fiduciario nonché il meccanismo di nomina del Primo Ministro. Convenzioni o consuetudini
hanno concorso a definire (ma anche a modificare) nel corso dell'Ottocento i poteri del Governo o del
Presidente del Consiglio in Francia e in Italia, oltre che in altri Paesi. Si pensi ad esempio all'obbligo del
Presidente della Repubblica italiana di consultare svariati soggetti politici e istituzionali prima di formare
un nuovo Governo.

5) Il diritto a base religiosa

Il fenomeno religioso interseca e attraversa il sistema delle fonti del diritto sin dalle società
primitive, che ne sono permeate. A ben vedere, le intersezioni del diritto presentano sempre più
frequentemente una spiccata pluralità: lo mette ben in evidenza Menski quando afferma che il diritto
deriva da fonti diverse che, in estrema sintesi, sono riconducibili a tre forme di espressione: statale,
sociale e religiosa. Queste fonti concorrono e interagiscono tra loro in vario modo: il dato che emerge
dall’esperienza è che giuristi, teorici e professionisti tendono a enfatizzare la centralità del diritto statale
e a sottostimare il ruolo delle fonti del diritto non statale (determinismo giuridico); secondo un
approccio plurale alla comprensione del diritto è necessario tenere in considerazione anche le altre
componenti e le loro interazioni.
Il c.d. diritto divino si sostanzia nella manifestazione della volontà di un’autorità
sovrannaturale che si impone ai destinatari delle norme con la minaccia di sanzioni
ultraterrene, con la presenza o meno di sanzioni terrene. Alcune religioni qualificano la rivelazione
divina come fonte del diritto (ebraica, cristiana e musulmana), altri culti religiosi presentano una forte
intersezione con il sistema delle fonti del diritto vigente ma non sono riconducibili alla nozione di
diritto divino in senso stretto e danno luogo a un diritto di ispirazione religiosa e tradizionale (è il caso
della religione indù).

5.1) Diritti di ispirazione religiosa e tradizionale


Il diritto indù non è un diritto divino in senso stretto, bensì un diritto di ispirazione religiosa.
Infatti le norme giuridiche, pur essendo riconducibili a concezioni filosofico-religiose tipiche
del pensiero induista (in particolare alla legge di base del “dover essere”, il Dharma), non
costituiscono una diretta applicazione di precetti religiosi e non trovano la loro origine in un
insieme di fonti scritte. I Veda sono un insieme di inni e canti religiosi in versi, il vero e proprio diritto
Indù viene invece a essere elaborato attraverso commenti o interpretazioni dei Veda.
In Cina, le istanze primarie per la gestione dei rapporti giuridici vengono individuate nei
nuclei sociali di base in cui sono inquadrati gli individui. Tali nuclei (famiglia, clan, villaggi) sono
improntati su una scala di valori, sempre di matrice confuciana, che esalta la dimensione
comunitaria e solidaristica. Emblematica a tal proposito è la posizione nei confronti delle
controversie: ritenute una rottura dell’ordine sociale, queste sono prioritariamente da affrontarsi
all’interno dei circuiti sociali attraverso procedure extragiudiziali di amichevole composizione. Da tali
premesse i confuciani distinguono nettamente due fondamentali dimensioni del diritto: il Fa,
ossia il diritto scritto, espressione autoritaria del potere centralizzato, e il Li, ossia la regola rituale,
convenzionale, radicata a livello sociale. Con il processo di modernizzazione e poi con il Socialismo
questo equilibrio si rompe; tuttavia, gli osservatori lamentano un basso livello di operatività delle nuove

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normative e una patologica refrattarietà del sistema giuridico cinese ad allinearsi agli standard
occidentali.
Prima che il Giappone avviasse il decisivo processo di occidentalizzazione del sistema giuridico
(a partire dalla seconda metà dell’Ottocento), la concezione prevalente poneva il diritto in una
posizione subordinata rispetto alla morale. Nel Medioevo si radica una cultura guerriera e
nazionalista: attraverso il riconoscimento della tradizione assumono rilievo giuridico forme di
produzione giuridica collegate non solo ai costumi, ma anche all’ultraterreno, o paradossalmente a “ciò
che c’è di più terreno”, la Madre Terra intesa come essere vivente. Così pure va ricordata
l'incorporazione per via giurisprudenziale dell'Ubuntu, il complesso delle tradizioni africane nel diritto
costituzionale sudafricano.

5.1.1) In particolare, il diritto indù e indiano


L’India rappresenta un esempio formidabile di pluralismo giuridico; la storia del paese ha
determinato una stratificazione nel tempo di norme di varia natura e origine che hanno dato vita
a un sistema di sistemi giuridici fra il diritto classico dell’India e il diritto brahmanico . Si tratta
di un complesso molto articolato di regole di origine religiosa e sociale; la nozione di diritto si compone
di due elementi: il Dharma, cioè l’insieme di diritti e dei doveri di un uomo, princìpi di natura
religiosa e etica; il Vyavahara, il diritto positivo, il diritto civile e le regole procedurali per la
risoluzione delle controversie. Le fonti antiche del diritto brahmanico sono rappresentate dai Dharma,
cioè raccolte di aforismi o massime che riportano regole religiose o sociali per acquisire meriti morali,
e dagli Arthasutra, ovvero raccolte di regole di diritto pubblico.
Il 1100 d.C. viene convenzionalmente considerato l’anno di inizio dell’influenza islamica sul
diritto brahmanico; ne derivò un sistema giuridico duale, nel quale regole giuridiche di origine diversa
trovarono il modo di coesistere. In questa fase della storia del diritto indiano il parallelismo tra diritto
brahmanico e diritto islamico si riscontra anche nelle fonti: per il diritto brahmanico, le fonti primarie
erano rappresentate da la rivelazione (Veda), la tradizione (Smrti), le opinioni e le interpretazioni dei
giuristi (Nibandha e commentari); per il diritto islamico le fonti erano costituite dalla rivelazione
(Corano), la tradizione (Sunna), il consenso dei saggi (Ijma) e le interpretazioni dei giuristi (Qiyas).
Questo parallelismo strutturale delle fonti rese possibile diverse forme di compenetrazione tra i
due sistemi giuridici e di influenza reciproca.
Nel 1612 la Compagnia delle Indie orientali pose la sua prima base indiana a Surat: si aprì così
una nuova fase che vide il graduale e deciso innesto del Common Law sul diritto indo-islamico.
Tra il 1612 e il 1858 l’amministrazione civile e giudiziaria delle aree colonizzate fu affidata direttamente
alla Compagnia: i funzionari della stessa esercitavano funzioni pubbliche di governo sulla base delle
diritto inglese, ma nel rispetto del diritto bramanico e islamico con riferimento alle materie più legate
alla tradizione (lo statuto personale).
Nel 1858, in seguito alla rivolta dei Sepoys (le truppe indigene dell’esercito britannico), la
Corona inglese decise di assumere direttamente l’amministrazione della giustizia in India e dispose lo
scioglimento della compagnia delle Indie orientali. Prese così avvio il dominio coloniale britannico,
scomparvero i tribunali religiosi e le Corti inglesi iniziarono a trattare anche le questioni di diritto
islamico. Si determinò così gradualmente una sorta di commistione fra Common Law e diritto
indo-islamico. Nella stessa epoca si avviò un processo di codificazione del complicatissimo diritto
indiano: furono riorganizzate le norme del diritto penale, del diritto civile e quelle relative alla procedura
penale e civile.
Dopo l’indipendenza (1947) e la divisione del paese in due Stati sovrani, l’Unione Indiana a
maggioranza indù e il Pakistan a maggioranza musulmana, il diritto indiano è rimasto
sostanzialmente fedele al modello anglosassone: esso si presenta come un sistema fondato sui
precedenti giurisprudenziali, sulle consuetudini e le tradizioni, integrate da leggi e altri atti normativi
scritti. La complessità del quadro normativo e la pluralità delle fonti ha certamente conosciuto una
rilevante evoluzione, ma non si sono sopite le peculiarità del sistema, in primo luogo il carattere
pluralista.
5.1.2) In particolare, i sistemi giuridici dell’Estremo Oriente: Cina e Giappone

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Secondo una nota affermazione di René David «i popoli orientali, contrariamente a quelli
occidentali, non confidano nel diritto per assicurare la giustizia e l’ordine». Questa idea affonda le sue
ragioni della marcata impronta che il Confucianesimo ha impresso, nel corso di due millenni, allo
sviluppo di quelle società, un’impronta culturale che ha esaltato la visione filosofica e morale della vita
limitando al tempo stesso il margine di azione e di autonomia del diritto. In realtà, l’evoluzione e
l’ammodernamento di quei sistemi, dovuto principalmente agli intensi contatti con il mondo
occidentale, ha gradualmente assegnato al diritto una posizione di tutto rilievo, pur senza
rinnegare le radici filosofiche e moralistiche che sono alla base della convivenza civile. Secondo la
concezione classica del diritto in Cina, esso occupava una posizione sussidiaria rispetto all’etica
confuciana. A questa prospettiva si contrapponeva la scuola dei Legisti (III secolo a.C.) secondo la
quale per assicurare un’ordinata convivenza nell’impero erano necessarie leggi chiare e pene severe.
Queste due visioni trovarono il modo di coesistere: la convivenza civile era assicurata dai precetti
morali; l’individuo privo di virtù, incapace di osservare l’etica sociale, era soggetto alle norme
giuridiche. Le leggi cinesi, dunque, avevano a progetto non tanto la prescrizione di comportamenti,
quanto piuttosto il divieto la repressione di determinate condotte; erano sostanzialmente leggi
penali. Il primato della morale poneva nelle mani del giudice un ampio discrezionalità, mentre le norme
giuridiche si ponevano solo come punto di riferimento non vincolante.
Seppure il sentimento nazionale fosse assai forte, la società giapponese si aprì già dal 400 a.C. al
Confucianesimo che influì sulla religione nazionale, lo Shintoismo; nel 500 d.C. il Giappone si aprì
anche al Buddismo, che si diffuse rapidamente al fianco delle altre due religioni. A partire dal 1200 d.C.
gli Shogun governavano i propri territori in modo autonomo, anche se formalmente soggetti al
potere imperiale. Essi esercitavano in piena autonomia la funzione giurisdizionale e le loro sentenze
finivano così per costituire un corpo normativo; pertanto, il quadro giuridico di riferimento variava
da territorio a territorio. Sotto il dominio della famiglia shogun dei Tokugawa (1603-1867), il
Giappone conobbe un periodo di pace che consentì un processo di riorganizzazione del sistema
giuridico. Anzitutto le corti locali furono assoggettate a un tribunale centrale; furono prodotte
diverse leggi le cui norme erano principalmente di natura penale. Il diritto civile scritto era praticamente
inesistente e i rapporti civili erano regolati principalmente dalle consuetudini.
Intensi rapporti culturali tra la Cina il Giappone sono testimoniati da una comune concezione
del diritto; secondo la visione sino-nipponica il diritto occupava una posizione ancillare rispetto
alla morale. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, i due paesi e le rispettive concezioni del
diritto conoscono tuttavia divaricazione: nel 1870 il Giappone istituisce un apposito ufficio per lo
studio dei sistemi governativi stranieri, rivolgendo in particolare l’attenzione verso la legislazione
francese; parallelamente, i giapponesi rivolsero l’attenzione verso la crescente potenza della Germania di
Bismark. Finalmente, nel corso del XX secolo, il Giappone assume una propria fisionomia
giuridica senza tuttavia mai perdere di vista i diritti stranieri.
Più contorte e articolata e la vicenda del sistema giuridico cinese; ciò che rende difficile la
comprensione del diritto cinese è non soltanto la lingua, la cui traduzione non riesce mai puntualmente
a rimanere fedele all’originale, ma soprattutto il fatto che la divaricazione tra le regole scritte e le
regole applicate assume in Cina una dimensione abnorme. In sintesi, la principale fonte del diritto
scritto durante la dinastia Ch’ing era stato il Codice del 1646 che raccoglieva l’insieme degli usi e delle
norme tradizionalmente vigenti in Cina; alcune sue disposizioni erano ritenute fondamentali, altre
semplicemente accessorie, la materia principalmente trattata era quella penale. Nel 1908 il Codice venne
riformato: pur se l’intento era quello di innovare radicalmente il sistema giuridico cinese, l’impianto
delle tradizioni e soprattutto delle decisioni giurisprudenziali precedenti conservò un rilievo notevole.
Nel 1912 venne proclamata la Repubblica: si apre una fase politicamente assai convulsa che determinò
una forte instabilità istituzionale. Malgrado ciò, continuarono i lavori di codificazione avviati durante
l’ultima fase imperiale. Con l’avvento del governo nazionalistico di Chiang Kai-shek, si pose ancora
mano all’elaborazione dei codici pervenendo, anche sulla base di un intenso lavoro di comparazione
giuridica, alla predisposizione di un unico codice civile e di commercio. Con l’affermazione del
Partito Comunista Cinese (1949) e l’istituzione del regime comunista il ruolo del diritto torna a
essere marginale; l’applicazione delle regole giuridiche è rimessa alla libera interpretazione delle

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autorità politiche. La situazione precipita con la Rivoluzione Culturale (1966-1976): viene esaltato lo
spirito tradizionalista cinese in contrapposizione al formalismo giuridico. Per realizzare pienamente gli
obiettivi del comunismo si ritenne necessario smantellare i tribunali, chiudere le facoltà di
Giurisprudenza, deportare i giudici, gli avvocati e i giuristi del mondo accademico. Occorre attendere
la fine degli anni ‘70 per ritrovare una fase di riconoscimento e rivalutazione del ruolo del
diritto come strumento di governo della società. Furono ripubblicate numerose leggi degli anni
precedenti e si approvarono nuove leggi nel quadro di un fervore legislativo che avviò l’approvazione
della nuova Costituzione del 1982, tuttora vigente.

5.2) Diritto divino


Il diritto divino si caratterizza per il fatto che l’autorità da cui provengono le norme è una
autorità sovrannaturale. Essa si distingue dall’autorità politica, la quale esercita i propri poteri, inclusa
la potestà normativa, per il fatto di esserne investita dall’ordinamento giuridico, il quale dispone di
meccanismi di legittimazione del potere politico. La rivelazione divina si traduce in un sistema di regole
giuridiche per effetto della qualificazione come fonte del diritto operata dall’ordinamento giuridico.
In diversi ordinamenti contemporanei si registra la compresenza di fonti che scaturiscono dalla
autorità divina e dall’autorità politica, o di sovranità divina e di sovranità popolare nel caso di sistemi
democratici. A questo proposito è utile evidenziare che mentre il diritto canonico, in conseguenza del
processo di secolarizzazione affermatosi in Europa a partire dal Medioevo, presenta un ambito di
applicazione principalmente riservato ai fedeli per le questioni spirituali, nonché all’ordine
clericale e all’organizzazione ecclesiastica, il diritto religioso ebraico e quello musulmano mostrano
invece una tendenza a disciplinare ogni aspetto della vita umana, rendendo molto più intricata la
trama delle intersezioni con il diritto secolare.

5.2.1) Diritto canonico


L’ordinamento giuridico della Chiesa Cattolica, detto diritto canonico, affonda le sue radici in
epoche assai antiche. La dottrina è solita distinguere tre fasi della storia del diritto canonico:

1) Decretum Graziani (1139-1148);


2) Concilio di Trento (1545-1563);
3) Codex juris canonici del 1918, ora sostituito dal Codex del 1983.

La parte del diritto canonico di derivazione divina (ius divinum) si compone dello ius divinum positivum,
che risulta dalla rivelazione delle Sacre Scritture e del messaggio evangelico, e dello ius divinum naturalem,
che invece assume a fondamento l’identità tra volontà divina e razionalità. I destinatari del diritto
canonico sono tutti i battezzati: essi sono soggetti all’ordinamento della Chiesa alla cui applicazione
provvedono i tribunali ecclesiastici. Oltre a trovare applicazione nello Stato della Città del Vaticano, il
diritto canonico al giorno d’oggi viene applicato, in alcuni Paesi e limitatamente a taluni rapporti, sulla
base di un regime concordatario.

5.2.2) Diritto ebraico


Il diritto ebraico è costituito dall’insieme dei testi biblici che contengono la Rivelazione
divina (Torah) e dall’interpretazione che di tali testi è stata elaborata dalla dottrina teologica ispirata
dalla divinità (Talmud). Sotto il profilo soggettivo, i destinatari del diritto ebraico non sono coloro
che aderiscono volontariamente alla religione, ma coloro che essendo nati da donna ebrea
appartengono al popolo ebraico. Quanto poi all’ambito di applicazione, il diritto ebraico vige
attualmente nello Stato di Israele come statuto personale degli ebrei e limitatamente ad alcune sfere
della vita privata; esso, peraltro, non è privo di influenza sulla produzione del diritto politico vigente.
Più precisamente, il diritto ebraico e il diritto israeliano rappresentano due sistemi giuridici distinti e
coesistenti.
La contaminazione tra il fattore religioso e il fattore politico non fa dello Stato di Israele
uno stato teocratico, al contrario in esso si afferma la libertà religiosa e si riconosce il pluralismo

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confessionale. Tuttavia, il diritto religioso ebraico, e non altri, rileva all’interno del sistema giuridico
israeliano attraverso i principi fondamentali della tradizione di Israele riconosciuti espressamente nelle
leggi fondamentali, come il ruolo delle Corti religiose. Al di fuori dello Stato di Israele, il diritto ebraico
può trovare applicazione per volontà degli ebrei stessi che, talvolta, al fine di regolare il rapporto con lo
stato di insediamento promuovono forme di intesa giuridicamente vincolanti tramite esso.

5.2.3) Diritto islamico


Il vincolo tra religione e diritto si presenta in modo marcato nel caso del diritto musulmano.
L’Islam ha prodotto un diritto (la Shari’a) che risulta dall’insieme di quattro componenti:

- La Rivelazione divina tramite il profeta Maometto e raccolta nel Corano;


- La Sunna, il complesso delle regole desunte, attraverso l’opera degli interpreti, dalle parole e
dalle azioni del Profeta, nonché dall’approvazione (o disapprovazione) che egli ha dato a
proposito di fatti direttamente o indirettamente conosciuti;
- L’Idjma, vale a dire le regole intorno alle quali si è formato il consenso della dottrina
giuridica e che pertanto si ritengono conformi alla volontà divina;
- Il Qiyas, regole desunte per analogia dalle norme derivanti da altre fonti.

Dunque sulla rivelazione divina è andato a stratificarsi un diritto giurisprudenziale elaborato


prevalentemente tra il VII e il X secolo d.C. e che ancora oggi costituisce il nucleo immodificabile
del diritto musulmano vigente.
Può risultare più agevole comprendere come trovi applicazione in quegli ordinamenti un diritto
cristallizzatosi circa 10 secoli fa se si tiene conto delle seguenti circostanze. La prima: il diritto
musulmano ha per contenuto prevalentemente la materia privatistica e quella penalista; resta
dunque un certo margine di azione per il diritto pubblico. La seconda: la necessità di
modernizzare il diritto musulmano è stata perseguita talvolta attraverso processi di laicizzazione
(Turchia e Stati musulmani dell’ex Unione Sovietica); il più delle volte attraverso sistemi normativi
fondati sulla coesistenza del diritto divino e diritto politico. Naturalmente questa coesistenza non è
di tipo paritetico, così a sistemi nei quali l’adozione di costituzioni, codici e leggi ha consentito la
riduzione della portata del diritto musulmano almeno per via giurisprudenziale (Tunisia, Egitto, Iraq,
Siria) corrispondono altri sistemi ove invece al diritto musulmano è tutt’ora riconosciuta la prevalenza
nel sistema delle fonti (Sudan, Arabia Saudita, Iran, Somalia). Più precisamente, negli Stati islamici
ove generalmente la Costituzione è subordinata alla legge divina l’Islam è proclamato religione
di Stato; in tal senso si parla di Stati confessionali.
Nei casi in cui, in uno Stato confessionale, la massima autorità religiosa coincida con il vertice di
governo dello Stato stesso, il rapporto tra governanti e governati assume le caratteristiche dello Stato
teocratico assoluto o della teocrazia pura. Ne ha rappresentato un’esperienza recente il regime
teocratico instaurato in Afghanistan tra il 1996 e il 2002 quando i Talebani (studenti di teologia
coranica) imposero la legge islamica in termini integralisti. La realtà odierna mostra tuttavia una
funzione che tende a combinare i tratti dello Stato confessionale con gli elementi di spicco del
costituzionalismo.
Tale circostanza ha condotto a delineare una nuova forma di Stato denominata teocrazia
costituzionale. La teocrazia costituzionale realizza una separazione formale tra leadership politica,
autoritaria e religiosa, ma al tempo stesso proclama la religione dominante come religione di
Stato e riconosce in Costituzione (insieme di alcuni principi classici del costituzionalismo quali la
separazione dei poteri e la previsione di forme di judicial review) i testi sacri, le prescrizioni divine e le
loro interpretazioni come fonte del diritto, parametro di riferimento per la legislazione e
l’interpretazione giudiziaria delle leggi. Emblematico il caso della Costituzione Iraniana: nel preambolo
si riconosce la Shari’a come legge suprema dell’origine divina dell’autorità politica e dell’intero sistema
giuridico; al tempo stesso si affida al popolo il governo dello Stato: a esso è riconosciuto il diritto a
eleggere il presidente della Repubblica Iraniana e i membri dei consigli municipali; inoltre, il potere di
revisione della costituzione è affidato al Consiglio dei Guardiani, composto per metà da religiosi e per

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metà da giuristi laici. Si determina così una commistione di fonti tra supremazia religiosa e
sovranità popolare, tra teocrazia e costituzionalismo.

6) Il diritto giurisprudenziale

L’autorità derivante dalla ragione costituisce il fondamento della produzione del diritto per via
giurisprudenziale. Sin dall’antichità, le regole da applicare al caso concreto risultano dal ragionamento
umano volto a ricercare la soluzione al conflitto di interessi privilegiando la forza del diritto rispetto
al diritto della forza (secondo tecniche nazionali). Allo stato attuale, il diritto giurisprudenziale ha un
ruolo di grande rilievo negli ordinamenti contemporanei.

6.1) Interpretazione del Diritto giurisprudenziale


Il tema dell’interpretazione, sviluppato in Europa soprattutto dopo la codificazione, ha trovato
anche il modo di produrre diritti distanti da quello liberale e liberal-democratico, come ad esempio
l’Islam. Nell’ambito dei sistemi occidentali, l’interpretazione si distingue di solito a seconda:

- Del soggetto (ad esempio privato, ufficiale, giudiziale, legislativo);


- Degli argomenti (psicologico o della volontà del legislatore, storico o concreto, apagogico
o ab absurdo, economico, della coerenza, sistematico, basato sui principi, naturalista,
equitativo, analogico, a fortiori, ecc);
- Dell’esito (letterale, estensiva, restrittiva).

Il dibattito ha ricevuto nuova linfa con l’avvento delle moderne costituzioni; le costituzioni rigide,
programmatiche, ideologiche, compromissorie, polisemiche, solo in parte immediatamente precettive,
hanno posto problemi nuovi relativi all’interpretazione non solo di ciascuna costituzione, ma
anche di ciascun ordinamento complessivo, oltre a problemi relativi all’interpretazione di ciascuna
costituzione alla luce delle interpretazioni di altre costituzioni.
Al centro del problema si è posto il ruolo dei diritti nell’attività interpretativa. Il diritto
comparato fornisce lo strumentario per lessici, valori, principi e norme comuni che si assumono a
paradigma interpretativo di diversi testi.

6.2) Diritto dei dotti (diritto romano, islamico, brahmanico)


Il diritto giurisprudenziale non è solo il prodotto e dei giudici, così come modernamente intesi,
ma anche della casta dei giuristi, i dotti. Il diritto dei dotti è un diritto giurisprudenziale che ha avuto e
tuttora ha varie manifestazioni. Nelle famiglie occidentali, la dottrina non rappresenta oggi un
elemento dinamico di produzione giuridica; nel Common Law non lo ha presentato nemmeno
nel passato, e neppure è mai stata molto rilevante quanto a influssi sulla giurisprudenza: il Common Law
inglese, in particolare, è il prodotto dei giudici del re, e il ruolo dei professori/giuristi è stato sempre
costretto in un angolo. Nel continente europeo sin dagli albori del millennio trascorso i professori
sono stati i veri artefici delle grandi costruzioni giuridiche; la codificazione ha loro sottratto il
potere di decidere, che prima avevano, ma non quello di commentare, criticare, sistematizzare,
influire, consigliare; molte volte sono chiamati nei Governi e nei Parlamenti, o nelle corti supreme
ordinarie, amministrative o costituzionali. Le sentenze sono anonime: non sono i singoli giudici a
produrre di diritto, neppure dove sia ammessa l’opinione dissenziente. La frattura non è fra accademia
e formanti dinamici, ma fra le diverse interpretazioni soggettive dei ruoli. Non è sempre stato così nel
passato, né lo è fuori dal diritto occidentale. La dottrina dei giureconsulti romani costituì la base del
diritto vigente per molti secoli; la stessa codificazione giustinianea e l’opera di giuristi nelle università
medievali portò all’edificazione del diritto comune.

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Nel diritto islamico, i principi rivelati dall’Arcangelo Gabriele a Maometto furono codificati nel
libro sacro, il Corano (si tratta del testo fondamentale del diritto islamico classico) e, in quanto
espressione diretta della volontà di Dio, non è suscettibile di essere modificato dall’uomo. La Shari’a,
l’insieme delle regole religiose giuridiche che traggono origine direttamente dal Corano, non può
tuttavia fare a meno dei dotti per operare concretamente nelle società islamiche organizzate. I dotti,
attraverso la loro attività accademica denominata Fikh, esplorano e descrivono la Shari’a; svolgono
dunque un’attività che è in relazione alla Shari’a come la scienza del diritto lo è al diritto.
Anche il diritto indù (brahmanico), di origini arcaiche, nel corso del tempo, in varie fasi di
commistione con la tradizione giuridica islamica e poi britannica, ha conosciuto un rilevante apporto
dai dotti. Si deve infatti a numerosi commentatori l’aver dedotto dalle regole arcaiche di natura religiosa
e sociale norme più idonee a disciplinare la vita della società indiana. Ai giuristi si devono le raccolte
di regole e commenti (Nibandha), considerate interpretazioni autorevoli delle scritture originarie
e che secondo alcuni autori vanno tenute in conto come vere e proprie fonti del diritto.

6.3) Diritto transnazionale e soft law


Sembra potersi ricondurre nell’alveo del diritto giurisprudenziale anche quel fenomeno di
produzione normativa che va sotto il nome di diritto transnazionale. Esso è dato dal complesso di
quei casi in cui la ricerca di soluzioni conduce all’applicazione di regole giuridiche comuni
nell’ambito di ordinamenti diversi da quello di riferimento. Ciò avviene anche senza appositi atti
di resezione di norme estranee, ma generalmente per effetto dello spontaneo e diffuso riconoscimento
del valore comune di quella data regola e della sua attitudine a operare come norma giuridica anche al di
fuori del suo specifico ordinamento.
La globalizzazione dei fattori economici e l’innovazione dei processi produttivi costituiscono
fenomeni che hanno gradualmente disegnato un vero e proprio mercato mondiale dove i protagonisti
non sono tanto più gli Stati, quanto nuovi soggetti transnazionali e gruppi di potere economico
mondiale che scambiano tra loro merci, beni, servizi, capitali secondo regole che sfuggono alla sovranità
degli Stati. Si tratta di un diritto transnazionale delle economie che scaturisce dalla
combinazione tra regolamentazioni dettate dalle istituzioni finanziarie ed economiche
mondiali (WTO, IMF, WB) e “best practices” sperimentate e applicate dai nuovi attori privati
che dominano lo scenario globale e modellano secondo le proprie prospettive la lex mercatoria. Si
tratta di un diritto informe che valica le frontiere degli Stati e si impone in virtù del primato della
massimizzazione del profitto; il retroterra di queste regole è privo di qualunque legittimazione
democratica, si delinea un nuovo impero dematerializzato e informale. Deve però farsi salva una
tendenza a recuperare dal pensiero costituzionalista l’imposizione di limiti alle regole
transnazionali sulla base delle esigenze di tutelare i diritti umani. Questa linea di tendenza viene
qualificata con la formula di costituzionalismo transnazionale.
Può rilevarsi che sul finire dello scorso millennio l’espansione del costituzionalismo si è svolta
lungo due principali direttrici:

- Nell’arena interna degli Stati, attraverso l’avvento di nuove costituzioni e l’intensificarsi


dei processi di revisione costituzionale;
- Nello scenario dell’ordinamento internazionale, soprattutto attraverso l’affermazione di
uno dei principi cardini del costituzionalismo: i diritti fondamentali dell’uomo.

È proprio nell’ambito di questa seconda direttrice che sembra configurarsi quelle che la dottrina
internazionalistica ha chiamato costituzionalizzazione del diritto internazionale, intendendo con ciò una
sorta di prolungamento del costituzionalismo che conosciamo a livello nazionale. La complessità sta
proprio nella circostanza per cui i diritti umani, attraverso i canali e i capillari di interconnessione
propri della globalizzazione, esplicano sempre più pienamente una loro naturale attitudine,
ossia quella di andare oltre gli ordinamenti nazionali e di trascendere i singoli ordinamenti
giuridici.

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Più problematica appare la definizione delle c.d. soft law. L’espressione nasce agli inizi degli
anni ‘70 tra gli studiosi anglosassoni del diritto internazionale per indicare alcuni tipi di atti normativi
caratterizzati dalla mancanza di efficacia immediatamente vincolante. Successivamente
l’espressione è stata utilizzata anche in seno ad altri ordinamenti giuridici per indicare un insieme
disomogeneo di atti e fatti normativi che sotto qualche profilo non poteva essere ricondotto alla
normale tipologia delle fonti del diritto di stampo autoritativo, stante la tenue efficacia giuridica oppure
il carattere partecipativo dell’iter di adozione. Più precisamente, la carenza di efficacia
immediatamente vincolante va intesa in senso lato e non tecnico: gli atti di soft law sono produttivi
solo di alcuni tipi di effetti; si tratta di norme giuridiche incomplete, nel senso che non sono
assistite da strumenti di coazione o da sanzioni che derivano in via diretta della loro inosservanza.
Manca, in altre parole, la struttura tipica della norma giuridica, il comando di stampo autoritativo
corredato di sanzione irrogata della pubblica autorità.
In concreto, gli strumenti di soft law rinvenibili nel diritto internazionale sono riconducibili ai c.d.
accordi non vincolanti (non-binding agreements), nonché alla vasta ed eterogenea produzione di atti da
parte delle organizzazioni internazionali, tra cui in particolare le risoluzioni e raccomandazioni. In
ambito comunitario gli strumenti di soft law sono piuttosto diffusi: si va dagli strumenti di regolazione
delle relazioni tra gli organi dell’Unione Europea (accordi interistituzionali) agli strumenti di
elaborazione delle politiche comunitarie (in particolare i c.d. atti preparatori) che assumono la forma
delle comunicazioni della commissione e che si distinguono comunemente in libri verdi, libri bianchi e
piani d’azione, o ancora le raccomandazioni della Commissione e del Consiglio dei Ministri, le linee
guida e i codici di condotta. Lo stesso diritto transnazionale, di cui si è detto poco sopra, costituisce il
terreno di sviluppo di forme di soft law. In particolare, viene in rilievo l’attività normativa posta in essere
da soggetti privati in piena autonomia (in genere organizzazioni internazionali espressione di
determinati operatori economici ovvero operatori economici di dimensione multinazionale); questa
attività si concretizza in atti di autoregolamentazione la cui efficacia, tuttavia, si estende ben oltre i
soggetti che li hanno volontariamente posti in essere. Sicché, tali atti sono potenzialmente in grado di
incidere nella sfera di altri soggetti che operano nel medesimo settore economico, indipendentemente
dalla loro volontà (ad esempio, le norme autoregolamentari poste da rilevanti operatori economici o
organizzazioni degli stessi che finiscono per operare nei confronti della clientela o dei fornitori di beni e
servizi).

6.4) Common Law


In luogo dell’elaborazione sistematica prodotta dalla dottrina giuridica, il diritto
giurisprudenziale anglosassone ha posto a suo fondamento le argomentazioni razionali dei giudici
chiamati a risolvere i casi concreti. Esso è strutturato come un sistema normativo a strati dove le
norme consolidate nel tempo sono quelle che scaturiscono dalle decisioni giurisprudenziali; il
collante che tiene uniti gli strati e rende possibile la tenuta del sistema è dato da una parte dalla
razionalità e dalla ragionevolezza delle argomentazioni che rendono le decisioni giurisprudenziali
autorevoli, dall’altra dalla regola in base alla quale al precedente giudiziario viene attribuito valore
normativo e dunque vincolante per gli stessi giudici; in tal modo il precedente viene riconosciuto
quale fonte del diritto, mentre nei paesi di Civil Law in genere se ne evidenzia esclusivamente il valore
sul piano dell’interpretazione. Dunque, il Common Law è un sistema giuridico autoctono e
giurisprudenziale, da non confondersi con il jus commune, né da ascrivere alla categoria del diritto
consuetudinario. Il termine, praticamente intraducibile, indica la legge (law) comune (common) a tutto il
Regno (ai sudditi dell’Inghilterra e del Galles) e che ha ad oggetto tutte le materie trattate dalle corti
inglesi.

6.4.1) Le origini e l’assestamento


La formazione e il consolidamento del Common Law risalgono al periodo della storia inglese
compreso tra la conquista normanna con Guglielmo di Normandia nel 1066 e l’avvento della dinastia
Tudor (1485). In questa fase un nuovo sistema giuridico, comune a tutto il regno, si sostituisce
gradualmente alle consuetudini locali. Più in particolare, dal punto di vista strutturale, il primo dato che

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va posto in rilievo è lo stabilirsi in Inghilterra di istituzioni centralizzate, in origine destinate a


svolgere funzioni amministrative e successivamente chiamate ad amministrare la giustizia. In un
sistema medievale, caratterizzato da un ampio pluralismo giuridico e dove le pretese dei baroni e delle
altre autorità locali si traducevano in pretese patrimoniali, si dovette condurre una lotta estenuante per
l’affermazione e la diffusione della giurisdizione della Curia Regis. Il Common Law si presenta in origine
come un diritto regio, comune a tutti i sudditi, amministrato attraverso un sistema giudiziario
direttamente derivato dal Re: i componenti delle corti regie erano infatti i membri della corte scelti
dal Re. Si deve proprio a questa giurisdizione centralizzata, nel corso di almeno cinque secoli, la
formazione di quel diritto giurisprudenziale che nel sistema di Common Law ha assunto una posizione di
prevalenza che ha finito per segnare la più rilevante differenziazione strutturale rispetto al sistema di
Civil Law. L’opera di consolidamento del Common Law fu resa possibile grazie agli scritti di alcuni giuristi
che, specie durante il regno di Enrico II, contribuirono a consolidare il diritto giurisprudenziale
formatosi a opera delle corti regie.
Di fronte alla diffusione di una molteplicità di diritti locali dovuti alla varietà dei costumi e delle
decisioni delle corti locali, il Common Law introduce l’idea del primato della giurisprudenza
come fonte del diritto: un diritto regio, amministrato attraverso una struttura unitaria e centralizzata
che, per opera degli stessi giuristi pratici, tende ad assumere caratteristiche tecniche e di imparzialità al
punto di affrancarsi dalla persona del re, per passare indenne attraverso le guerre civili e i rivolgimenti
storici. Sicché, le lotte tra Riccardo III e i suoi baroni -che pure condussero alla sanzione del carattere
limitato della monarchia con la Magna Charta- non misero in discussione il sistema di Common Law
in quanto oramai legittimato come consuetudine del regno piuttosto che come precetto del principe.
L’efficacia della giustizia regia rispetto alle giurisdizioni locali aveva tra i suoi fondamenti anche
un singolare sistema procedurale: per ottenere l’intervento del re era necessario procurarsi a pagamento
un writ presso la cancelleria; il writ, detto anche brevis, era sostanzialmente un ordine con il quale il re,
rivolgendosi a un suo funzionario locale, disponeva che fosse resa giustizia e che fosse soddisfatto il
diritto di colui che si era procurato il writ stesso. A seconda del petitum e della causa petendi, il writ
assumeva diversa forma e contenuto, così come a seconda del writ variava la competenza della corte e,
soprattutto, diversi erano gli itinerari processuali.
Con l’avvento e il consolidarsi della monarchia parlamentare, le corti regie e la
cancelleria persero la libertà piena di predisporre i writs e dunque di modificare le formule
processuali: questa pratica, infatti, appariva agli occhi del parlamento come una sorta di legiferazione. Si
venne così formando un Register of writs, che raccoglieva le forms of action tassativamente previste per
tutelare, in sede giurisdizionale, determinate pretese; quelle diverse invece restavano nella sfera di
competenza delle corti locali. Una volta ottenuto il rilascio del writ era necessario e sufficiente adeguarsi
minuziosamente alla procedura prescritta per ottenere una decisione della giustizia regia (“Remedies
precede rights” la procedura innanzitutto) e, come è stato opportunamente messo in luce, le forms of actions
sono date e i diritti devono essere da lì dedotti.
Il peso che le forms of actions hanno avuto nelle determinare la mentalità e nel modellare la
struttura del Common Law è in gran parte dovuto all’affermarsi dell’istituto processuale della giuria, vale
a dire un’escussione probatoria fondata sulla testimonianza di un gruppo di persone circa la
veridicità delle affermazioni delle parti. Gradualmente, questo istituto fini per costituire il fulcro del
processo di Common Law e il tipico strumento di self-government, cioè di collaborazione della collettività
nell’esercizio di funzioni pubbliche. I membri delle giurie agivano, limitatamente all’accertamento
dei fatti, come veri e propri giudici esprimendo un giudizio inappellabile. In tal modo, il processo con
giuria (trial by jury) consentiva ai giudici togati di lasciare ad altri l’analisi dell’accertamento dei fatti e di
dedicare la propria attenzione alle questioni di diritto. La netta separazione tra accertamento delle
questioni di fatto e accertamento delle questioni di diritto segna una distinzione di ruoli tra giuria e
corte che non ha eguali nei sistemi di Civil Law.
Va inoltre evidenziato che accanto e parallelamente alle corti si svilupparono sistemi alternativi
di giurisdizione volti principalmente a provvedere laddove le corti di Common Law non erano in grado di
farlo. Tra i sistemi alternativi di giustizia particolare sviluppo conobbe l’equity, tanto da determinare una
bipartizione fondamentale, giunta fino a nostri giorni, tra Common Law ed equity.

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6.4.2) La giurisdizione di equity


Nel tempo in cui, dopo la Magna Charta e la guerra civile, il parlamento bicamerale andava
acquisendo sempre più ampi poteri, la giustizia regia si distaccò dalla persona del Re e dal King’s Council
per articolarsi in tre distinte corti di Common Law:

- King’s Bench;
- Common Pleas;
- Exchequer.

L’affrancarsi delle corti di Common Law dal patronato regio portò con sé l’esclusione della prerogativa di
decidere una questione con i margini richiesti dal caso concreto e in deroga alla Rule of law. A partire dal
XIV secolo, in assenza di margini discrezionali da parte dei giudici, la rigidità di formule e schemi
cominciò a mostrare la sua inadeguatezza nel rendere giustizia in tutti i casi che non erano riconducibili
alle fattispecie consolidate, e se le corti regie non erano in grado di rendere giustizia (coerentemente con
una mentalità di tipo feudale) il re doveva porvi rimedio: apparve così del tutto naturale che le vittime
di decisioni non conformi al senso di giustizia potessero rivolgersi direttamente al sovrano, il
quale soltanto poteva legittimamente staccare le sue decisioni dai protocolli della regola
generale. In tali circostanze il ricorso veniva presentato al cancelliere del re e questi lo sottoponeva al
sovrano in seno al King’s Council; ma già intorno al 1400 il numero di appelli al Re aveva raggiunto un
numero così elevato da indurre il Re stesso e il consiglio a delegare la propria autorità al cancelliere.
Nel corso del XV secolo la Court of Chancery, cioè l'ufficio della cancelleria, divenne una corte
monocratica; la sua procedura seguiva il modello inquisitorio continentale, con pochi formalismi e
una certa speditezza. Si trattava della c.d. procedura romano-canonica, che si svolgeva quasi del
tutto in forma scritta, nota anche come bill procedure dal nome dell'atto di petizione che introduceva il
giudizio. La giurisdizione del cancelliere aveva dunque quei caratteri di discrezionalità propri dell’antica
giustizia regia; potendo egli considerare i caratteri peculiari di ciascuna lead, amministrava giustizia
secondo aequitas. L’equity, in altri termini, era il diritto giurisprudenziale derivato dalle pronunce
della Court of Chancery; ben presto esso si andò formando e consolidando in competizione con il
diritto giurisprudenziale derivato dalle pronunce delle corti di Common Law. Naturalmente le prerogative
della Court of Chancery non erano illimitate: essa non era abilitata a disconoscere i diritti tutelati
dalla Common Law, ma solo ad agire nei riguardi della persona del convenuto. Poteva tuttavia
disporre la sospensione di un giudizio di Common Law quando ne ravvisasse un esito iniquo o viziato
oppure, su istanza del soccombente, disporre la sospensione dell’esecuzione di una sentenza di un
tribunale di Common Law per sostituirla con un rimedio conforme a equità. Dunque
l'amministrazione della giustizia secondo equità sembrava rispondere, almeno in un primo periodo, a
princìpi e criteri giuridici commisti ai princìpi del diritto romano e del diritto canonico.
Sotto Enrico VIII si assistette alla secolarizzazione della cancelleria con il trapasso delle funzioni
giudicanti dai religiosi canonisti ai common lawyers, impreparati rispetto al diritto romano-canonico;
l’equity venne dunque a consolidarsi e a stabilizzarsi in un diritto giurisprudenziale articolato in un
complesso sistema di casi giudiziali e istituti. La storia del diritto inglese testimonia, peraltro, come
questo passaggio non sia stato privo di tensioni e conflitti: protagonisti indiscussi del confronto tra la
sclerotizzata Common Law e l’emergente giurisdizione d’equity furono da un lato Sir Edward Coke,
paladino della rule of law, e dall'altro cancellieri quali Ellesmere e Bacon. Tuttavia, a partire proprio da
Bacon, i cancellieri ritennero di dover esercitare un certo self-restraint nell’esercizio della loro
giurisdizione finché nel 1676 il cancelliere Lord Nottingham stabilì che la coscienza del giudice
d’equity era da considerarsi non interna, ma civile e politica; in sostanza, «equity follows the
law»: il cancelliere tende a decidere non tanto in nome della legge morale, quanto sulla base di
motivazioni giuridicamente rilevanti. Con ciò si posero le fondamenta per una coesistenza tra
Common Law ed equity, la quale ancora oggi rappresenta uno dei connotati delle sistema di Common Law e
gli conferisce una singolare struttura dualistica.

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6.4.3) Circolazione e ramificazioni nel mondo di Common Law


Ragioni politiche, culturali ed economiche hanno determinato la diffusione e la sovrapposizione
fra il diritto inglese e numerosi ordinamenti giuridici in ogni parte del mondo, estendendo la sua
influenza anche verso quei paesi di tradizione romanistica (o di Civil Law) e verso l’area di quelli post-
socialisti. La circolazione del modello di Common Law risulta preminentemente legata a motivi
di natura storico-politica e coincide sostanzialmente con i paesi direttamente esposti all’azione
di influenza del diritto inglese e, in particolare, con quelli colonizzati dall’impero britannico. In tutti i
casi il trapianto del diritto inglese è andato incontro ad adeguamenti e ibridazioni che ne hanno alterato
la struttura dei caratteri originali; ciò nondimeno, quegli ordinamenti sono classificabili all’interno della
famiglia di Common Law.
L’applicazione del diritto inglese si ebbe in Irlanda già a partire dal XII secolo, quando Enrico II
affermò la sua signoria sull’isola; tuttora i giudici irlandesi citano e si adeguano ai precedenti inglesi. Gli
attuali ordinamenti di Canada, Australia e Nuova Zelanda presentano diversi elementi del diritto
inglese, seppure integrati da istituti di matrice codicistica. Nell’area di Common Law sono altresì
annoverati il diritto sudafricano e il diritto indiano e, per certi aspetti, il diritto israeliano. A questi
devono poi aggiungersi tutti quei paesi già facenti parte del Commonwealth i quali, pur divenuti
indipendenti, hanno conservato l’impianto di Common Law. Una nutrita parte di paesi appartenenti alla
famiglia di Common Law rappresenta, poi, il risultato dell’influenza esercitata dall’altro prototipo che ha
conosciuto un ampia diffusione: il diritto degli Stati Uniti (Filippine, Panama, Palau).
Nel panorama internazionale si stagliano dunque due prototipi, due modelli esemplari
all’interno della famiglia di Common Law: il modello inglese e quello statunitense. Queste due
esperienze giuridiche, dopo una lunga fase di sviluppo parallelo e unitario, hanno manifestato evidenti
segnali di divaricazione venendo ad assumere sempre più connotazioni proprie ed esclusive. Mentre sul
versante istituzionale inglese si registra l’indiscussa sovranità del parlamento, la mancanza di una
costituzione scritta e di un correlativo potere di judicial review, l’esistenza di un ordinamento unitario e di
una coerente gerarchia giurisdizionale, su quello statunitense deve invece considerarsi la presenza di
una costituzione rigida, gerarchicamente sovraordinata alle altre fonti, di un rilevante sistema di
controllo di costituzionalità che si accompagna a una ripartizione della funzione giurisdizionale tra sfera
federale e sfera statale, la penetrante e poderosa funzione politica assolta dalla Corte Suprema e gli ampi
poteri dei giudici nell’interpretazione degli statutes e dei precedenti. La stessa regola dello stare decisis
riceve una diversa applicazione nei due sistemi: applicazione letterale in quello inglese; più spregiudicata
nel sistema statunitense.

6.4.4) Il precedente giudiziario


Nei sistemi di Common Law al precedente giudiziario spetta un ruolo di fonte primaria,
contrariamente a quanto avviene nei sistemi di Civil Law. In senso lato, tuttavia, il precedente giudiziario
non è sconosciuto agli ordinamenti di origine romanistica, anzi, la regola secondo cui i casi simili
devono essere decisi applicando la medesima norma giuridica risponde a un principio di giustizia
rinvenibile nella tradizione giuridica occidentale. La vera discriminante nei sistemi di Common
Law sta nel valore vincolante del precedente giudiziario alla luce della regola dello stare decisis.
Essa indica l’obbligo giuridico per il giudice di non disattendere determinati precedenti giudiziari anche
se fossero, a suo giudizio, ingiusti o frutto di una erronea lettura delle norme. La regola dello stare decisis
ha una duplice valenza: orizzontale, nel senso di imporre a una corte di seguire i suoi stessi
precedenti; e verticale, in quanto obbligo per le corti di seguire i precedenti dettati dalle corti
gerarchicamente superiori.
Quanto alla prima accezione, essa non sembra aver mai vincolato la giurisprudenza della Corte
Suprema negli Stati Uniti. La cultura giuridica anglosassone ha fatto ricorso, per dare una ragione del
ruolo svolto dei giudici, alla teoria dichiarativa del Common Law in base alla quale compito del giudice
è jus dicere e non jus dare. Conseguentemente, nel formulare la decisione il giudice non crea diritto, ma
si limita a mettere in luce ciò che il diritto è, vale a dire consuetudine antica e spontanea che vige ab
immemorabilia. Blackstone evidenziò i corollari di tale teoria: da un lato, se è vero che il giudice si limita a

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scoprire l’antica consuetudine, sarebbe errata dunque la decisione che successivamente si discostasse dal
precedente; dall'altro lato, se è vero che la decisione giurisprudenziale ha una mera funzione dichiarativa
-e non creativa- del diritto non può escludersi l'ipotesi che essa sia frutto di una erronea dichiarazione, e
dunque resa ab iniuria. In tal caso non si vede perché il giudice successivo, sulla base di migliori e più
persuasive argomentazioni giuridiche, non possa correggere il precedente. Per cui un mutamento della
giurisprudenza si giustifica solo come correzione di un errore del precedente. Ma deriva che, per
sua stessa natura, la negazione del precedente (overruling) ha efficacia retroattiva. Negare o discostarsi da
un precedente equivale a creare diritto.
Un precedente vincolante può essere revocato da un giudice superiore a quello che lo
ha stabilito nonché, laddove non opera lo stare decisis orizzontale, da un giudice appartenente allo
stesso ufficio di quest'ultimo. La revoca, che è detta overruling, determina l'esclusione retroattiva del
precedente dalla Common Law e la sua sostituzione con il nuovo precedente stabilito dal giudice che
l'ha operata. L'overruling deve essere adeguatamente motivato con riferimento, ad esempio, a una più
approfondita analisi della fattispecie, al mutamento delle circostanze di fatto o all'interesse pubblico.
La vincolatività del precedente può inoltre essere superata con il distinguishing: in
questo caso il giudice esclude l'applicabilità di uno specifico precedente al caso di specie sulla base delle
sottili differenze in fatto che possano marcare una certa distanza fra la fattispecie portata al suo esame e
la fattispecie in passato decisa da altro giudice, sempre che tali differenze si possano considerare
rilevanti per la questione da decidere. In altri termini, con il distinguishing il giudice dimostra che
l'identità tra la fattispecie portata al suo esame e quella del precedente è solo apparente. Il
ricorso a questa tecnica che gioca un ruolo molto importante nei sistemi di Common Law è (a differenza
dell'overruling) possibile anche ai giudici inferiori.

6.4.5) Legge e interpretazione giudiziaria nei sistemi di Common Law (statute)


Nel Common Law lo statute, ancorché promulgato, resta in qualche modo sospeso fino a quando
un giudice non procede alla sua applicazione in un caso concreto. In tal modo, divenuto parte di una
decisione giurisprudenziale, lo statuto entra nel circuito delle case law. Per effetto, dunque, della
prima applicazione giurisprudenziale lo statute assume il ruolo, sostanziale e non solo formale, di fonte
del diritto non in quanto atto legislativo, ma in quanto elemento costitutivo della ratio
decidendi. Di fronte alla produzione legislativa contemporanea, la moderna dottrina di Common Law
permane in una sorta di contraddizione: essa riconosce la supremazia formale degli statutes ma ne
afferma poi la subordinazione sostanziale alle norme di Common Law. La supremazia degli statutes deriva
dalla posizione di assoluta dominanza che il parlamento ha tra le istituzioni di governo inglesi così
come, negli Stati Uniti, gioca a favore l’esistenza di una costituzione scritta (sostanzialmente un atto di
produzione legislativa) quale supreme law. La stessa letteratura, tuttavia, sostiene la subalternità di fatto
degli statutes, i quali entrano a far parte del Common Law per effetto dell’interpretazione e applicazione
loro data dai giudici.
La loro capacità di innovare il diritto vigente è legata alla funzione di mero adeguamento del
diritto giurisprudenziale alle mutate condizioni economiche e sociali, adeguamento che avviene
per effetto del c.d. declaring. L’avvento del Welfare State, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, ha
determinato una sorta di «orgy of statute making» in tema di creazione di nuove istituzioni sociali e di
redistribuzione delle risorse. Questa massiccia produzione legislativa è conseguenza dei limiti strutturali
del diritto giurisprudenziale: le corti non possono infatti né creare istituzioni né ridistribuire ricchezza.
Resta ferma l’idea, tuttavia, che gli statutes mantengano la natura di emendamenti, anche a
contenuto derogatorio, del sistema di Common Law e che, per tale ragione, abbiano carattere
eccezionale. A causa di tale impostazione gli statutes in genere, e in specie le c.d. law reform (leggi di
ampio respiro cui il legislatore, inglese o americano, pone mano per riformare interi settori del diritto in
modo coerente e organico), appaiono oggi, sotto il profilo del drafting, estremamente dettagliati, puntuali
nella formulazione linguistica e, per certi versi, prolissi. Si vorrebbe con ciò contenere il margine di
libertà dei giudici nell’interpretazione degli statutes stessi e, in definitiva, il rischio che sia svuotato nella
sostanza il valore della riforma introdotta tramite tali strumenti.

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7) Il diritto posto dalle autorità politiche

La forma di produzione giuridica definita diritto politico assume una dimensione vestissimo,
considerato che negli Stati contemporanei è di gran lunga la più diffusa. Essa infatti presenta come
carattere identificativo il fatto di promanare da un’autorità politica, generalmente uno o più
organi di vertice dell’ordinamento, la quale sulla base di valutazioni di merito traduce in norme
giuridiche l’indirizzo politico di governo. Si tratta di una categoria dai confini estremamente vasti,
diviene dunque indispensabile procedere a ulteriori distinzioni e classificazioni. Ad esempio, è possibile
rilevare tra le fonti politiche significative differenze a seconda delle varie forme di organizzazione
politica nell’ambito delle quali esse vengono prodotte. Sicché, cospicue diversità derivano dal fatto che
uno stesso tipo di fonte operi in uno stato a struttura centralizzata o in uno stato a struttura pluralistica;
oppure a seconda che la forma di Stato risulti essere autoritaria o democratica e, in quest’ultimo caso, a
seconda del tipo di forma di governo disegnata dalla Costituzione (parlamentare, presidenziale, ecc).
In tale quadro, una particolare posizione deve riconoscersi al diritto ideologico, vale a dire a
quella forma di produzione normativa in cui è profonda l’osmosi tra il diritto e l’ideologia
politica dominante. Il riferimento di maggiore evidenza per questo tipo di fonti è dato dal sistema di
diritto sovietico così come configuratasi tra il 1917 e la fine degli anni ‘80.

7.1) In particolare, il Civil Law dalla grande codificazione alla crisi della legge
Ciò che distingue tali consolidamenti e codificazioni dai codici elaborati sulla base delle idee del
giusnaturalismo razionalista, dell’Illuminismo, del Giuspositivismo non è tanto la fonte, pubblica in
entrambi i casi, né il valore (ufficiale) o il carattere normativo, quanto piuttosto il fatto che esse, ma non
questi ultimi, presuppongono la sopravvivenza dei diritti particolari e dello jus commune.
Dall’Ottocento, in gran parte d’Europa, la legge per antonomasia è dunque il codice: «un libro
di regole giuridiche organizzate secondo un sistema e caratterizzate dall’unità di materia,
vigente per tutto lo Stato, rivolto a tutti i soggetti all’autorità politica statale e da questa voluto
e pubblicato». Le codificazioni francesi, germaniche e svizzere rappresentarono i modelli di una
recezione di portata ecumenica. Lungi dall’esaurirsi la propria influenza nei Paesi già oggetto delle
conquiste napoleoniche (come la Svizzera, l’Italia, i Paesi Bassi, il Belgio) i codici francesi vennero
esportati in ogni altra regione d’Europa e del mondo. Immuni dagli influssi del Common Law, nel XIX
secolo tutti gli Stati latinoamericani che avevano appena raggiunto l’indipendenza si dotarono di codici,
guardando al modello francese. Ai codici francesi si ispirarono anche, nel nord del continente
americano, la Louisiana, il Québec e persino la California e il Dakota; nonché, dopo la colonizzazione,
le ex colonie francesi oltre alla Somalia e l’Etiopia. Nei territori musulmani l’impianto dei codici francesi
non fu così indolore come in America latina. Va prestata attenzione anche alla circolazione dei codici
tedeschi, e in particolare del BGB (Codice civile tedesco), la cui influenza fu notevole in Giappone,
Cina, Brasile, Perù, Ungheria, Jugoslavia, Cecoslovacchia e Grecia.
Il raccordo tra codice e società del suo tempo si incrinò non appena il problema liberistico da
esso espresso si dimostrò insufficiente ad affrontare la nuova missione che lo Stato si proponeva in
campo sociale. La critica ai codici provenne sia da componenti politiche sia dalla Chiesa, dalla dottrina,
dalla giurisprudenza chiamata a interpretare i codici e che giunse a rivendicare un ruolo creativo. Fu
però lo stesso legislatore a infliggere il decisivo colpo al modello codicistico, nel quale lo Stato liberale si
riconosceva. Dalla fine dell’800, e soprattutto dopo la prima guerra mondiale, le legislazioni
lavoristica, assicurativa, previdenziale, sugli alloggi e via dicendo vennero ad affiancarsi e a
sovrapporsi ai codici, formando un corpo di leggi speciali con le quali i parlamenti volevano
soddisfare i bisogni di nuove classi e di particolari gruppi. La legge speciale non si caratterizza solo per
il suo contenuto; la tecnica legislativa si corrompe, e la formulazione degli enunciati non presenta più la
limpidezza di codici; alla legge vengono a mancare le caratteristiche di generalità e di astrattezza; la
natura provvedimentale che essa assume comporta immediate ricadute sull’amministrazione e la
giurisdizione; si fa più denso il filtro degli operatori e degli apparati dell’esecuzione; i magistrati sono

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chiamati a colmare le lacune e a produrre ardite interpretazione di disposizioni che non riescono a
comporsi in sistema.
Nonostante le numerose crisi di rigetto che la codificazione patì sia in Europa sia, più tardi, in
Paesi divenuti indipendenti, il modello codicistico mantenne comunque salde radici accompagnando
l’altro grande movimento coevo: quello della formalizzazione delle costituzioni del quale esso si
dimostra speculare.

7.2) Il diritto codificato degli altri sistemi


Il diritto codificato di origine romanistica non costituisce un fenomeno geograficamente
limitato all’Europa. Più in particolare, merita di essere ricordato che il diritto codificato è fortemente
radicato nella vasta area del diritto russo. Seppure con un minore tasso di diffusione, le iniziative
coloniali olandesi di inizio Ottocento condussero il diritto romano-olandese a sovrapporsi ai costumi
africani in alcuni Stati dell’Africa meridionale. Per non dire poi degli ordinamenti quali quelli vigenti in
Québec, Louisiana e Isole Mauritius, dove sulla matrice del Common Law si sono innestati istituti tipici
del Civil Law.

7.2.1) In particolare, il diritto russo e sovietico


Le origini bizantine del diritto russo sono da ricondurre all’epoca in cui le popolazioni slave, tra
il VI e il VII secolo d.C. si convertirono al Cristianesimo in seguito agli intensi rapporti commerciali
con Bisanzio. Le origini del diritto russo si fanno convenzionalmente risalire ai primi testi
codificati recanti le consuetudini popolari e mercantili: si tratta di raccolte in cui le consuetudini
della tradizione russa si combinano con istituti del diritto romano-bizantino e germanico e con il diritto
canonico della chiesa di Bisanzio (che dopo lo scisma del 1056 diverrà Ortodossa).
Retta del regime dispotico zarista, con l’avvento dello Zar Pietro I il Grande nel 1689 si avvia
un processo di riavvicinamento all’Europa e di ammodernamento dello Stato; tuttavia permane la
posizione marginale del diritto nella cultura russa (i giuristi sono al servizio dello Zar, non elaborano la
dottrina e i magistrati sono funzionari amministrativi). All’inizio del XIX secolo, con lo Zar Alessandro
I, si avvia una fase di nuova codificazione del diritto, un’opera imponente che si concluderà nel 1835 e
che contribuirà a restituire al diritto una sua propria rilevanza, anche attraverso un’opera di ricerca
verso l’Europa e in particolare verso il modello codicistico tedesco.
L’opera di nuova codificazione si arresterà con la rivoluzione bolscevica, ma gli
avvenimenti epocali del 1917 non saranno tali da sradicare il ceppo del diritto romano-bizantino che
segna la matrice comune tra il diritto russo e i diritti dell’Occidente europeo. La rivoluzione dell’ottobre
1917 rappresenta il tentativo di trasfondere sul piano reale l’utopia marxista: per fare ciò si sostiene che
il diritto e lo Stato, essendo sovrastrutture borghesi e strumenti di oppressione delle classi
lavoratrici, dovevano essere aboliti. In definitiva, il diritto sovietico è un diritto sovrastato
dall’ideologia e della politica; nella forma resta fedele al modello codicistico continentale, più in
particolare esso si esprime attraverso norme a contenuto generale e astratto ed è prevalente la tendenza
a raccogliere tali norme giuridiche in codici. Dunque, un sistema delle fonti del diritto di tipo codificato
che, pur confermando sul piano formale la sua matrice comune con il diritto europeo continentale,
rompe con esso sul piano delle finalità politiche e si prefigge il compito di contribuire a realizzare la
società comunista.

7.2.2) In particolare, il diritto dell’America latina


Le radici europee del diritto sudamericano hanno la loro origine nella bolla “Inter coetera” del
Papa Alessandro VI con la quale, nel 1493, si assegnava alla Spagna e al Portogallo la missione di
evangelizzare le vaste regioni dell’America centro-meridionale e il compito di sviluppare i commerci
con quelle terre. Il diritto vigente in queste terre era costituito dal diritto castigliano della
madrepatria (incluso il diritto canonico) integrato dalle disposizioni emanate appositamente per le
colonie. Quest’ultimo complesso di disposizioni normative (leggi specifiche per le colonie) era noto
come “diritto indiano” perché specificamente riferito alle Indie occidentali: esso trovava applicazione
nelle colonie e integrava, ove necessario, il diritto iberico. Le forme del diritto indiano erano quelle della

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tradizione del diritto romano-canonico vigente in Castiglia. Per avere un’idea del pluralismo giuridico
che caratterizzava le colonie spagnole occorre tener conto che la struttura dell’ordinamento si
fondava su tre principali fonti del diritto: il diritto spagnolo, il diritto canonico e il diritto
indigeno. Il diritto spagnolo è articolato in due rami: il diritto castigliano e il diritto indiano.
Con la dichiarazione di indipendenza del Venezuela del 1831 prende avvio il processo di
disgregazione dell’impero coloniale spagnolo che si compirà in un ventennio. Le ragioni che ispirarono i
moti di ribellione vanno ricondotte alle idee della Rivoluzione Francese e all’esempio offerto delle
colonie del Nord America nella lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Le costituzioni
promulgate nei nuovi Stati indipendenti dell’America latina prendono a modello di riferimento
la Costituzione degli Stati Uniti del 1787; il diritto civile rimane ancorato, in una prima fase, al diritto
spagnolo o, in Brasile, portoghese; successivamente si avviano le nuove codificazioni che avranno come
modello ispiratore il code civil (nella prima metà del XIX secolo) e poi il codice tedesco (nel XX secolo).

Sezione III - La struttura delle fonti del diritto

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1) Stato sociale, crisi della legge e rigidità della costituzione

L’analisi delle fonti che segue fa riferimento allo schema seguito dagli ordinamenti occidentali
da fine ‘700 in poi, che si è imposto in gran parte dei Paesi del mondo. Tutti gli ordinamenti statali,
salvo rarissime eccezioni, si sono dotati di una costituzione; tutte le costituzioni disciplinano le fonti,
dando almeno formale preminenza alla legge e prevedendo con diversa estensione e varie modalità il
potere degli esecutivi di emanare atti normativi, spesso anche pariordinati alla legge. Se l’ordinamento è
decentrato, le costituzioni dettano i criteri di distribuzione delle competenze. Ciò che cambia, rispetto
alle diverse forme di stato, non è tanto l’esistenza di atti di volta in volta denominati legge,
regolamenti, decreti, leggi delegate ecc, quanto i rapporti tra essi. Gli ordinamenti occidentali
accolgono l’idea di una scala gerarchica e, al contempo, di una divisione per competenze. Gli intrecci tra
questi criteri possono essere graduati e più o meno lineari.
C’è uno stretto rapporto tra fonti e forme di stato (e anche tra fonti e forme di governo).
Nelle forme di stato che non riconoscono la divisione di poteri, o la riconoscono solo formalmente, le
fonti promananti dal potere esecutivo sono nettamente preminenti, diversamente dagli altri dove la
legge, pur indebolita, continua a sovrastare le altre fonti (eccetto la costituzione). Il sistema delle fonti si
arricchisce di una molteplicità di atti che, in senso stretto, leggi non sono, pur essendo muniti della
forza di resistere all’abrogazione disposta da leggi ordinarie successive (c.d. forza di legge passiva); il
nome legge viene poi utilizzato per designare anche alcuni atti di enti autonomi (leggi delle
comunidades, regioni ecc.).
Il criterio di gerarchia, che le costituzioni flessibili stagliavano nitidamente nel disegno di una
scala composta di tre soli gradini (legge, regolamento, usi) si rivela inidoneo a comporre le antinomie
tra le fonti. In suo luogo, fa breccia e assume un rilievo via via crescente il criterio di competenza.
Quasi sempre alla legge del parlamento viene implicitamente riservata una competenza residuale (la
legge può disporre su tutto ciò che non è lasciato ad altre fonti): ciò che non è più frequente riscontrare
è l’attribuzione alla legge del parlamento di una competenza generale: la sfera di competenza della legge
è determinata dalla costituzione, come lo è quella di ogni altra fonte (leggi degli Stati membri o delle
regioni, leggi da approvare con atti del popolo (referendum o plebiscito), regolamenti parlamentari,
regolamenti comunitari, atti delle Camere in seduta comune, leggi condizionate da pareri e soprattutto
fonti intermedie tra la costituzione e la legge, denominate legge organiche in Francia, in Spagna ecc).
Fissata dalla costituzione la competenza di una fonte, questa a sua volta necessita di disposizioni
attuative di grado inferiore; attenuato a livello costituzionale, il criterio di gerarchia ricompare così
all’interno di microsistemi gerarchici che assumono caratteristiche differenti nei vari ordinamenti e
anche all’interno di ciascun ordinamento, in grovigli sovente inestricabili che tutto assicurano tranne
che certezza del diritto.

2) Legge e princìpi del diritto

L'etimologia di legge (dal latino lex, legis) è dubbia. In senso ampio con il termine legge si
intende l’insieme delle norme in vigore in un ordinamento, a prescindere dalla fonte di produzione,
dunque come sinonimo di diritto. Con l’espressione princìpi del diritto si allude invece a figure
giuridiche che nei vari ordinamenti assumono talvolta altre denominazioni. La dottrina e la
giurisprudenza, specialmente quella costituzionale, muovendo da una ricognizione del tessuto
normativo, giungono alla conclusione che l’elemento essenziale comune a più disposizioni
rappresenta appunto un principio. La locuzione mantiene una larghissima vaghezza semantica. Guastini
ne elenca varie accezioni, utilizzate per indicare di volta in volta norme provviste di un alto grado di
generalità, o di carattere programmatico, o che occupano un rango elevato nella gerarchia delle
fonti, o che rivestono un ruolo reputato fondamentale nel complessivo ordinamento giuridico.
Escludiamo comunque che i princìpi in parole siano principi metafisici o pregiuridici. Generalmente, i
princìpi assolvono a tre funzioni:

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1) Agevolano l’interpretazione della legge, cui tendenzialmente andrebbe ascritto un


significato aderente ai princìpi che la ispirano;
2) Servono a integrare il diritto codificato, come accade ad esempio in Italia ai sensi di
quanto disposto in materia di analogia iuris dall’art. 12 disp. Prel. per c.c.;
3) Limitano talvolta l’ambito di competenza di organi o enti.

Nel diritto costituzionale, i princìpi vengono impiegati in maniera assai ampia dalle corti
e dai tribunali costituzionali, che li assumono a parametro di costituzionalità o, addirittura, di
supercostituzionalità (i principi supremi dell’ordinamento individuati dalla Corte Costituzionale
italiana). Quanto detto sinora non serve a chiarire se i principi generali del diritto siano norme vere e
proprie, come afferma parte della dottrina o mere matrici di norme. Quanto alla loro natura di fonti
del diritto, la tesi che la riconosce o meno è soggetta alle variabili di ciascun ordinamento. Dove
difetti una precisa qualificazione in tal senso, i princìpi producono diritto, ma non sono atti e
tantomeno fatti, in quanto sono costruzioni create o dedotte dalla dottrina e dalla giurisprudenza; e
anche se il legislatore stesso afferma che una disposizione è un principio o un’intera legge è legge di
principio, il carattere di fonte andrebbe assegnato all’atto normativo in questione e non al principio.
Assumendo la definizione larga di fonte (multiforme insieme di processi dai quali deriva il
diritto oggettivamente inteso o “atti e fatti idonei a creare diritto”), pare peraltro preferibile ascrivere
all’elenco delle fonti anche i princìpi generali.

2.1) La riserva di legge


Il concetto di riserva di legge ha un senso solo dove i poteri sono divisi ed esiste una
gerarchia delle fonti. Storicamente, esso si spiega con l’esigenza dei parlamenti di impedire al sovrano
di invadere la loro competenza legislativa mediante i regolamenti elaborati dal suo governo. La riserva
opera dunque, dove è contemplata, non solo a seconda della forma di Stato, ma anche della forma di
governo vigente. Il concetto di riserva di legge ha subito una profonda evoluzione anche negli
ordinamenti di democrazia classica: quando le costituzioni erano flessibili, le riserve rappresentavano un
limite che gravava sulle fonti subordinate oltre che sulla stessa pubblica amministrazione; il potere
legislativo poteva però liberamente derogare alla costituzione, rimuovendo tale limite.
Con l’avvento delle costituzioni rigide, le riserve costituzionalmente disposte
rappresentano invece anche un vincolo per il parlamento, sul quale pesa l’obbligo di attuare la
disciplina solo attraverso la legge, senza possibilità di deroga a favore del regolamento (anche se, a
questo proposito, si suole distinguere le riserve assolute da quelle relative, le quali non ripudiano
un’integrazione della legge da parte di fonti subordinate). Occorre poi distinguere tra riserve materiali1
e riserve formali2: dove operano le seconde occorre una vera e propria legge, non essendo sufficiente
che la materia sia disciplinata da un atto con forza di legge, come una legge delegata o un decreto-legge.

2.2) Leggi provvedimento e leggi formali


Già abbiamo osservato come le leggi munite delle caratteristiche di generalità e di astrattezza
non rappresentano più, come nell’Ottocento, l’unico tipo storico. A esse si aggiungono infatti ora leggi
provvedimento, il cui contenuto è un concreto provvedimento amministrativo; sono tipiche dello
stato sociale, del quale tendono a realizzare le pulsioni verso l’eguaglianza e una più compiuta giustizia
1)
Può essere: 1) Assoluta: la materia deve essere regolata esclusivamente dalla legge, il potere esecutivo non può intervenire; 2) Relativa: i principi sono
regolati dalla legge, il potere esecutivo interviene per dettare la disciplina di dettagli; 3) Rinforzata: può essere relativa o assoluta, la Costituzione stabilisce
dei limiti al potere del legislatori fissando i contenuti che la legge deve avere.

2)
Nella materia può intervenire la legge del parlamento mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi, del
governo (art. 76, art. 77 Cost.). Di fatto, poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea (art. 72.4 Cost.).
La riserva di legge formale è tipica dei casi in cui si vuole riservare al solo parlamento la possibilità di adottare un determinato atto, ed è dunque soprattutto
utilizzata per quanto riguarda gli atti autorizzatori dell'assemblea. Basti pensare alla legge di bilancio, la cui natura autorizzatoria è sottolineata dalla stessa
Costituzione all'art. 81 Cost. La stessa ratio impone di considerare riserva di legge formale la conversione di decreti legge, così come la delega della funzione
legislativa nel caso di adozione di decreti legislativi: infatti, non fosse imposta una simile riserva, si potrebbe in questi casi procedere con atti aventi forza di
legge, falsando in modo inaccettabile la natura dei rapporti tra l'esecutivo e il legislativo.

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sostanziale. Nell’ambito delle leggi meramente formali (ossia prive di contenuto normativo, ad
esempio una legge di approvazione di uno statuto regionale), meritano anche oggi una particolare
attenzione le leggi di bilancio.
L’esigenza di controllare la spesa pubblica, di coordinarla con la finanza locale, di assicurare al
governo la supremazia nella predisposizione dei documenti contabili ha determinato l’introduzione di
normative ad hoc in numerosi testi costituzionali. Alcune costituzioni (Germania, Francia, Spagna,
Italia) hanno introdotto recentemente in costituzione l’obbligo di pareggio del bilancio, una regola che
sembra indicare la tendenza ad abbandonare modelli socialdemocratici di costituzione, a vantaggio di
quello liberista. Con norme spesso dettagliate, si stabiliscono i limiti di indebitamento, le procedure per
derogarvi, i vincoli per i livelli decentrati, le fonti subordinate competenti ecc.

2.3) Il procedimento di formazione della legge


Il procedimento formativo della legge viene disciplinato dalla costituzione, dai regolamenti
parlamentari (nel Regno Unito, da standing orders), da fonti non scritte (prassi, consuetudini,
convenzioni) e, talora, da leggi organiche o più raramente da leggi ordinarie. Di solito , le costituzioni
si limitano a disciplinare gli aspetti più importanti del procedimento legislativo, regolare i
rapporti tra le assemblee dove il parlamento sia bicamerale, a delimitare il ruolo del capo dello Stato e
l’eventuale suo potere di rinvio, la sanzione e/o la promulgazione della legge.
La scelta della fonte competente a disciplinare il procedimento legislativo ha
conseguenze sulla forma di governo e sulla forma di Stato, poiché una minuziosa disciplina
costituzionale perpetua dinamicamente le scelte operate dal potere costituente, rendendo più difficili i
cambiamenti. Per questo motivo, a integrare la più o meno estesa disciplina costituzionale intervengono
regole approvate dalle singole camere, più spesso che la legge.

2.3.1) La fase dell’iniziativa


Il procedimento legislativo viene convenzionalmente scomposto in tre fasi, delle quali la prima
è quella dell’iniziativa. Ovunque essa spetta ai componenti delle Camere (iniziativa parlamentare),
anche se, talora, per attivare il procedimento è sufficiente la semplice proposta di una delibera legislativa
(Italia, Francia, ecc), mentre in altri casi occorre che la Camera di appartenenza faccia proprio l’atto
introduttivo, mediante la c.d. presa in considerazione, che rappresenta dunque un primo filtro delle
iniziative parlamentari (Spagna Olanda ecc). L’iniziativa parlamentare di solito può esercitarsi su
tutte le materie. Esistono tuttavia un limite soggettivo, nel senso che la proposta può essere
depositata nella sola Camera di appartenenza, e un limite oggettivo, giacché vi sono quasi ovunque
particolari riserve di iniziativa a favore del governo riguardo a certe materie (bilancio, trattati). Inoltre, il
favore di cui godono le Camere basse nei sistemi c.d. a bicameralismo imperfetto comporta spesso una
posizione deteriore dei componenti delle Camere alte anche per ciò che riguarda l'esercizio
dell'iniziativa. A volte tale prevalenza si traduce nel fatto che, in materia finanziaria, le Camere alte non
può dare adito ai procedimenti relativi, così come accade negli Stati Uniti, in Spagna, in Australia. Negli
Stati Uniti, è la materia dei trattati a conoscere una competenza esclusiva del Senato, mentre in Belgio è
il Senato a esercitare l'iniziativa.
Mentre negli Stati Uniti d’America l’iniziativa compete solo ai membri della Camera e del
Senato, in virtù del principio di separazione dei poteri voluto dai Padri Fondatori, in altri ordinamenti
presidenziali anche il presidente può esercitarla. Quelli latinoamericani derogano allo schema
statunitense e in genere rafforzano i poteri del presidente anche conferendogli l’iniziativa; così accade
anche in Russia. Nelle forme di governo parlamentari e semipresidenziali essa spetta anche al
governo e spesso anche ad altri soggetti. Anzi, la quantità e il tasso di successo dell’iniziativa
parlamentare sono scarsamente elevati negli ordinamenti caratterizzati dal vincolo fiduciario tra
governo e parlamento poiché, se essa promana dalle opposizioni (assumendo quindi carattere
alternativo alle iniziative del governo) non può contare sui voti necessari per l’approvazione; se invece a
esercitarla sono parlamentari della maggioranza si configura come integrativa di quella dell’esecutivo,
può dunque spiegarsi nella misura in cui si concili con l’indirizzo politico del governo o quantomeno

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verta su tematiche a esso estranee. Ad assicurare la priorità dell’iniziativa governativa sono, di


volta in volta:

- Regole non scritte (come nel Regno Unito);


- Disposizioni dei regolamenti parlamentari (Italia);
- Disposizioni costituzionali (Francia, Spagna), dove è assicurata la priorità di progetti di
legge governativi.

Si aggiunga che solo il governo è in grado di predisporre il bilancio previsionale e le relative leggi
finanziarie, cosicché quasi tutte le costituzioni gli riservano la relativa iniziativa, talora anche quella delle
leggi di piano o di programma; a esso compete poi la conduzione della politica estera e, per questa
ragione, gli è quasi sempre riservata in esclusiva la proposta di ratifica di trattati internazionali, o almeno
dei più importanti fra essi.
Alle costituzioni che configurano in modo rigorosamente diarchico l’iniziativa delle leggi al
governo e ai parlamenti o alle camere se ne contrappongono altre che la estendono al popolo, come
quelle di Spagna, Italia, Austria; più di rado, alle commissioni parlamentari; di frequente, enti territoriali,
o a un’intera camera parlamentare, o ad altri enti o organi statali o, infine, a formazioni sociali, sindacati,
Chiese ecc. (iniziativa pluralista, particolarmente estesa in Polonia e in Venezuela).

2.3.2) La fase costitutiva


Esaurita la fase dell’iniziativa, l’esame del testo legislativo si svolge generalmente ricalcando
l’antico sistema inglese detto “delle tre letture”:

1) La prima si svolge in una aula in forma di annuncio del deposito;


2) La seconda ha luogo nelle competenti commissioni, dove vengono vagliati e/o approvati
eventuali emendamenti;
3) La terza vede di nuovo l’intervento del plenum, chiamato a svolgere l’esame finale del
testo.

L’intervento delle commissioni parlamentari nel procedimento legislativo può essere più o meno
incisivo. Nel parlamento di Westminster è sancito il principio della supremazia dell’aula; presso il
congresso statunitense e buona parte dei parlamenti, invece, il progetto di legge viene immediatamente
sottoposto all’attenzione delle commissioni, competenti non solo a esaminarlo e a riferirne al plenum
mediante uno o più rapporti ma anche a emendarlo e addirittura a respingerlo o ad approvarlo (o a
insabbiarlo). Le commissioni legislative o deliberanti previste in Italia, in Spagna e in pochi altri paesi,
rappresentano tuttavia un’eccezione. In commissione o in aula possono essere presentati emendamenti
al progetto originario.
Anche le modalità del voto sul testo legislativo hanno grande rilievo per la governabilità di
ciascun sistema. Prevalentemente, la regola stabilita è quella della maggioranza dei presenti, ma essa non
è esente da eccezioni. Approvata da una camera, generalmente con votazione articolo per
articolo e poi finale a scrutinio palese, nei parlamenti bicamerali, a meno che la costituzione non
contempli anche la categoria delle leggi monocamerali (come accade in Germania), la delibera
legislativa è trasmessa alla seconda assemblea. Qui essa ripercorre le medesime tappe appena
illustrate. Si registrano tuttavia alcune variabili, a seconda del tipo di bicameralismo. In situazione di
parità fra le due camere (come in Italia), emendamenti possono essere apportati al testo originario da
entrambe le camere. Essendo indispensabile la perfetta concordanza delle due deliberazioni, occorre
procedere a successivi esami, sino a che le delibere sul testo della proposta o del progetto non siano
identiche (si tratta delle cosiddette “navette”); nessun ramo del parlamento prevale, né può superare
l’opposizione dell’altro; quasi ovunque però si registra una prevalenza della camera bassa. La
composizione di eventuali dissidi tra i diversi rami del parlamento è affidata di solito a speciali
commissioni o talora al parlamento in seduta comune.

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2.3.3) L'intervento del Capo dello Stato e la pubblicazione


Salvo eccezioni (ad es. Germania, Spagna), l’intervento del Capo dello Stato nel procedimento
legislativo si registra ancora oggi -oltre che nella fase introduttiva- nella fase perfettiva o integrativa
dell’efficacia, attraverso tre diverse modalità di partecipazione al procedimento legislativo:

1) Il rinvio al parlamento della delibera legislativa;


2) La sanzione;
3) La promulgazione (o il rifiuto di queste ultime).

Il dogma della sovranità popolare non permette più al capo dello Stato monarchico, diversamente che
nel passato, di annullare la volontà delle camere parlamentari. Un potere di veto, o di rinvio
superabile da una nuova deliberazione delle camere, si rinviene invece sia in ordinamenti a
forma di governo presidenziale (o semipresidenziale) sia in quelli parlamentari repubblicani, nei quali
diversa è la legittimazione del capo dello Stato. Talune costituzioni stabiliscono, perché il progetto si
tramuti in legge dopo un intervento negativo del presidente, che è sufficiente la maggioranza semplice
del parlamento (Italia e Francia), altre invece maggioranze assolute o qualificate. Dove si richiedono
maggioranze elevate, come in Russia (2/3), di fatto il presidente diventa l’organo che decide se
una legge possa entrare in vigore oppure no, quasi come nei secoli passati un monarca con la
sanzione. Negli Stati Uniti, la camera che ha proposto il progetto può riapprovarlo a maggioranza di
due terzi e ritrasmetterlo all’altro ramo del congresso, che deve esprimersi con la stessa maggioranza. Il
progetto si ha altresì per approvato se il presidente non lo rinvia entro 10 giorni dalla trasmissione.
Quasi mai le costituzioni specificano se il controllo del capo dello Stato sia circoscritto al
riscontro di giuridica esistenza dell’atto legislativo (soluzione prevalente nelle monarchie parlamentari),
se si estenda alla verifica della legittimità costituzionale, o se possa infine configurarsi quale controllo di
opportunità (come accade di solito nelle repubbliche presidenziali). Numerosi ordinamenti (come
quello statunitense) riconnettono un effetto di assenso al silenzio del Capo dello Stato, cui viene
trasmesso dalle camere il testo della legge; in essi può dunque difettare un esplicito atto di
promulgazione o di sanzione. In tutti gli ordinamenti l’efficacia della legge è infine subordinata
alla sua pubblicazione su un giornale ufficiale, la quale determina una presunzione di conoscenza
da parte dei cittadini, decorso un termine variamente commisurato (di quindici giorni in Italia).

3) Leggi rinforzate o atipiche e leggi organiche

Trattando della crisi della legge abbiamo ricordato che molto spesso atti normativi primari,
pur mantenendo il nome di legge, vengono adottati con procedimenti speciali, dissimili da quelli
tipici. Si riscontrano:

1) Leggi il cui contenuto è predeterminato da pareri costituzionalmente previsti, con


l’innesto nell’iter legis di uno o più subprecedenti: in questo caso tali pareri sono a volte
resi della Corte Costituzionale prima della promulgazione delle leggi su richiesta del
presidente della Repubblica o del primo ministro o dei presidenti delle camere;
2) Leggi per le quali è previsto il parere del popolo, chiamato ad approvare con
referendum un progetto di legge per iniziativa di parte del corpo elettorale oppure di
enti periferici o di organi dello Stato.

Oltre alle leggi adottate con referendum, a volte si prevedono anche:

3) Leggi che non possono essere sottoposte a referendum;

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4) Leggi vincolanti da precedenti accordi, o condizionate da previe intese (ad esempio in


materia di concordato con la Santa Sede);
5) Leggi in materia finanziaria;
6) Leggi che possono essere approvate solo dal plenum di ciascuna camera;
7) Leggi approvate in seduta comune dei due rami del parlamento;
8) Leggi monocamerali;
9) Leggi approvate con maggioranze qualificate;
10) Leggi approvate due volte su richiesta di un determinato quorum di deputati, come
avveniva ai sensi della precedente Costituzione Greca;
11) Leggi che regolano i rapporti tra gruppi linguistici o culturali e i loro poteri;
12) Leggi che disciplinano competenze degli Stati membri o delle regioni o i rapporti tra essi
e lo Stato centrale.

In tutti questi casi, il regime normale della legge viene derogato e una legge ordinaria successiva
non può modificare quella rinforzata precedente; quale che sia il sistema seguito per sottoporre
particolari leggi a un regime diverso da quello ordinario, è però nella costituzione che si deve rinvenire
una preventiva delimitazione delle materie sottratte al regime ordinario. Se è una legge ordinaria a
disporre pro futuro in tal senso, una legge successiva può essere assunta in qualsiasi forma, senza che si
abbia incostituzionalità.
Un discorso a sé, per il loro rilievo comparatistico, meritano infine le leggi organiche,
introdotte per la prima volta nella loro versione moderna della costituzione francese della V
Repubblica. In chiave comparativistica, la definizione di legge organica è quella di una fonte-atto
del parlamento (ma non solo di esso, esistendo in Francia anche ordinanze organiche) assunta con
un procedimento aggravato rispetto all’iter ordinario della legge (maggioranze qualificate o pareri
di organi di giustizia costituzionale) in materie che prevalentemente, ma non in modo esclusivo,
riguardano i pubblici poteri; sono disciplinate nei limiti e secondo i principi stabiliti dalla costituzione
e sono inoltre resistenti all’abrogazione da parte della legge ordinaria che per avventura insista sulla
medesima materia.

4) Leggi delegate, decreti-legge e subordinate legislation

Il dogma della divisione dei poteri tra le camere e l’esecutivo influenzò numerose costituzioni
dell’Ottocento, nelle quali non era prevista la facoltà di derogare al principio che l’unico organo
competente ad approvare, modificare, abrogare le leggi fosse il parlamento. Però, essendo tali
costituzioni flessibili, alle assemblee parlamenti era consentito, pur in difetto di esplicite disposizioni in
tal senso, autorizzare il governo ad assumere atti muniti della stessa forza delle leggi e in qualche caso
anche a rettificare, con effetto retroattivo, deliberazioni assunte dall’esecutivo nella sfera di competenza
della legge. Ciò è precisamente quanto accade tutt’oggi nel Regno Unito, dove sono utilizzati in materia
di c.d. delegated legislation diversi procedimenti, uno dei quali consente al governo di adottare atti che
entrano immediatamente in vigore, a condizione che siano depositati in parlamento.

4.1) La legislazione delegata (Civil Law)


Con le leggi delegate, il parlamento -eventualmente su richiesta del governo- concede una
autorizzazione, un’abilitazione o una delega preventiva a regolare una determinata materia per
decreto, cui è attribuita la forza tipica della legge. Non sempre, comunque, le costituzioni hanno
reputato necessario disciplinare la legislazione delegata, che spesso si è imposta in via di prassi, come
negli Stati Uniti. Alcune costituzioni disciplinano le leggi delegate secondo lo schema trinario
autorizzazione - ordinanza (o decreto) - ratifica, come quelle della Francia. Altre tracciano un iter
binario che, in Italia, si dipana dalla legge di delegazione e si conclude con la c.d. legge delegata,
come accade anche in Germania e in Grecia, dove sono escluse dalla delegazione le materie
assoggettate a riserva d’assemblea. La costituzione spagnola -oltre a escludere dalle materie delegabili

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quelle riservate alle leggi organiche- istituisce un sistema di garanzie, mutuate dall’esperienza italiana:
rigorosa delimitazione dei principi e dei criteri direttivi, termine per l’esercizio della delega, istantaneità
della medesima.
Ciò bene si attaglia alle materie che costituiscono il demanio tradizionale della legislazione
delegata: codici e testi unici rappresentano atti che assemblee numerose come quelle
parlamentari faticano a redigere senza corromperne lo stile e lo stesso disegno organico; ciò è
dovuto alla loro complessità, alla particolare cura redazionale che esigono e al il tecnicismo che ne
caratterizza sovente i contenuti.

4.2) Delegated legislation (Common Law)


Sulla base della delegazione legislativa, il parlamento britannico può conferire ad altri soggetti o
enti il potere di fare norme che, di volta in volta, si chiamano orders, regulations o rules. Nell’area della
delegated (o subordinated) legislation si distinguono alcuni strumenti che hanno in comune il fatto di
conferire al governo la potestà normativa. In particolare i singoli ministri possono adottare statutory
instruments, vale a dire decreti legislativi sulla base di una apposita delega legislativa (o enabling act). Sulla
normazione delegata il parlamento di Westminster esercita un controllo di tipo preventivo o successivo.
Negli Stati Uniti, come avviene in genere nei sistemi di Common Law, gli organi di governo
emanano atti normativi sprovvisti della forza di legge, che si aggiungono agli atti secondari di enti locali
ed enti indipendenti; l’esecutivo adotta anche atti aventi forza di legge nei casi in cui
l’emanazione di tali atti sia dovuta a una delegazione del Congresso. La giurisprudenza ha
sottolineato come la potestà normativa primaria dell’esecutivo rappresenti l’esercizio dei c.d. Implied
Powers (poteri impliciti). Nella stessa area degli Implied Powers, la dottrina e la giurisprudenza fanno
rientrare la c.d. emergency legislation, indispensabile -in date circostanze- all’esercizio delle attività di
governo (stato di guerra, crisi economica o sociale).

4.3) Decreti e ordinanze di necessità


Con i decreti-legge è l’esecutivo ad assumere un atto che poi sottopone al vaglio del
parlamento, invertendo così lo schema seguito per le leggi delegate. Gli schemi seguiti dalle
costituzioni in tema di decreti legge sono tre:

1) Espressamente vietati;
2) La costituzione tace in proposito;
3) Il governo può adottare atti con forza di legge secondo la costituzione.

Se la costituzione proibisce la deroga delle competenze parlamentari, adozione di ordinanze o


decreti con forza di legge può trovare giustificazione solo nella necessità. Nel silenzio della
costituzione, invece, la mancata autorizzazione a favore del governo può di volta in volta significare
un’implicita ammissione delle ordinanze di necessità, oppure un implicito divieto di adottarle. In
particolare manca un’espressa autorizzazione in proposito in quasi tutti gli ordinamenti latinoamericani,
nelle cui costituzioni si rinvengono peraltro circostanziate discipline degli stati di emergenza, di
eccezione, di assedio, dichiarati i quali il presidente o il governo sono abilitati ad assumere qualsiasi
misura, comprese quelle che comportano la deroga alle leggi.
Nei sistemi parlamentari, la prassi si è orientata qualche volta nel senso di consentire al governo
di adottare atti muniti di provvisoria efficacia, sanabili mediante una legge del parlamento. Per
fronteggiare emergenze improvvise, impossibili da affrontare tempestivamente con il normale
procedimento parlamentare, alcune costituzioni hanno espressamente sancito la liceità dei
decreti legge, raggiungendo al contempo l’obiettivo di delimitarne l’uso sia dal punto di vista delle
materie sia da quello delle procedure (Spagna, Italia). Non esiste, nella maggioranza dei casi, una
limitazione dell’ambito materiale di tali fonti, delle quali si dovrebbe fare uso soprattutto per due
finalità: far fronte a situazioni di calamità naturali, o comunque di emergenza, e introdurre misure fiscali
senza dar luogo a speculazioni.

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Di fatto, dove i decreti legge sono consentiti, di essi spesso i governi abusano anche per
introdurre misure prive di reali caratteristiche di urgenza, per sfruttare le c.d. corsie preferenziali cui
godono in Parlamento per la conversione in legge; ciò è evidente ad esempio in Italia e Spagna negli
anni della crisi economica in corso. L’esistenza del requisito dell’urgenza e della necessità viene valutata
o dal parlamento o eventualmente, anche dall’organo di giustizia costituzionale. Ciò che caratterizza le
fonti in discorso è che l’atto munito di forza di legge, emanato dal governo, viene più o meno
immediatamente sottoposto al parlamento perché provveda alla ratifica (o conversione in legge).
La mancata convalida da parte delle camere comporta, a seconda degli ordinamenti considerati, la
perdita della validità o dell'efficacia del decreto.

5) Le fonti degli enti territoriali policentrici

Negli ordinamenti policentrici (federali o regionali), il sistema delle fonti si complica


ulteriormente: oltre alle fonti dello Stato centrale operano infatti quelle delle regioni o degli stati
membri. Alcuni principi accomunano da un lato gli ordinamenti federali di Common Law a quelli di Civil
Law, dall’altro gli ordinamenti federali a quelli regionali. Altro aspetto riguarda le fonti degli ordinamenti
sovrastatali e i loro rapporti con gli ordinamenti statali e le loro eventuali articolazioni territoriali.

5.1) Costituzioni e statuti


Perlopiù, i singoli enti territoriali sono retti da una costituzione (negli Stati federali) o da uno
statuto (in quelli regionali). La prima è sempre un atto dello Stato membro, mentre i secondi sono
sovente recepiti dell’ordinamento centrale. Anche negli stati federali, le costituzioni statali sono
comunque subordinati alla costituzione federale (Germania, Svizzera, Brasile). Costituzioni o
statuti da una parte, e leggi degli ordinamenti decentrati dall’altra, vivono dunque in un rapporto di
gerarchia; al vertice della scala gerarchica si pone sempre la costituzione dell’ordinamento
complessivo, federale o regionale che sia (supremacy clause).

5.2) La ripartizione delle competenze


Il criterio di competenza serve a distinguere le materie legislative e pertinenti all’uno e agli
altri enti. Sono tre le principali tecniche con cui le competenze sono suddivise, come pure diversa è
l’ampiezza delle medesime. Esse sono sostanzialmente le seguenti:

1) Materie enumerate (esclusive) al Centro e residuali alla periferia (Stati Uniti, Australia);
2) Materie residuali al Centro ed enumerate alla periferia (Canada);
3) Triplice elenco, con previsione di materie concorrenti tra Centro e periferia e
residualità a quest’ultima (Germania, Svizzera). Qui basti osservare che la suddivisione
per materie comporta le incertezze determinate dalla vaghezza delle parole che le
individuano.

Negli ordinamenti regionali, dove sia prevista una competenza concorrente, le leggi delle regioni sono
subordinate non solo alla costituzione e allo statuto, ma anche al rispetto di altri limiti, come quelli delle
leggi dello Stato, o dei principi delle leggi statali vigenti.

5.2.1) La ripartizione delle competenze negli ordinamenti federali


Tra gli ordinamenti federali, negli Stati Uniti l’art. I, sez. 8, cost. elenca le materie spettanti al
Congresso, cioè alle leggi dello Stato centrale. Restavano (e restano) affidate all’autonomia degli Stati
membri materie importanti come il diritto civile e quello penale. La costituzione federale pone peraltro
significativi limiti sostanziali alla potestà legislativa del Congresso, come pure a quella degli Stati

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membri. Già nei primi 10 emendamenti del Bill of Rights molti istituti del Common Law posti a tutela dei
diritti e delle libertà individuali vincolavano il legislatore federale, ma col tempo si è registrata una
notevole (anche se oscillante) dilatazione delle competenze dello Stato centrale; infine, gli Implied Powers
desunti dalla lettera costituzionale sembrano confermare questa tendenza.
Il modello statunitense di distribuzione delle competenze non viene imitato in altri ordinamenti
federali di matrice anglosassone. In Messico l’art. 24 della costituzione stabilisce che tutto ciò che non
è espressamente attribuito alla federazione è di competenza degli Stati, rafforzando così (ma solo in
teoria) la corrispondente disposizione del testo statunitense.
Quanto all’Europa, in Germania l’autonomia legislativa dei Lander -il cui ordinamento
costituzionale deve corrispondere ai principi dello Stato di diritto repubblicano, democratico e sociale- è
configurata quale residuale: si spiega cioè nelle materie in cui la legge fondamentale non fondi una
competenza a favore del Bund. Tuttavia, anche le materie in cui quest’ultimo ha competenza esclusiva
tendono a dilatarsi in virtù del principio della competenza centrale per natura dell’oggetto, versione
tedesca della teoria americana degli Implied Powers. A seguito della revisione costituzionale in Germania,
entrata in vigore il 1 settembre 2006, la tipologia della legislazione concorrente si è scomposta in tre
diverse sottospecie:

1) La prima tipologia di leggi concorrenti (c.d. di bisogno) rimane soggetta alla clausola di necessità
dell’intervento legislativo federale;
2) La seconda tipologia (leggi c.d. essenziali) non richiede di giustificare la necessità dell’intervento
legislativo federale;
3) Il terzo tipo di materie concorrenti (c.d. derogabili) riguarda ambiti in cui la disciplina federale è
derogabile in tutto o in parte al legislatore regionale.

In Svizzera, nel 1818, la competenza della Confederazione era limitata agli affari militari e doganali,
ma già nel 1848 essa si estese a un più ampio spettro di materie. Ma l'interferenza del centro nel domaine
cantonale si accrebbe soprattutto con la pratica dei finanziamenti federali alle attività dei Cantoni. La
revisione costituzionale del 2004 ha comunque provato a rilanciare tale federalismo esecutivo a
vantaggio dei Cantoni.
Se, negli ordinamenti sin qui elencati, l’evoluzione del decentramento è stata centripeta,
l'opposto si è registrato in Belgio, dove le riforme costituzionali del decennio 1983-93 hanno
comportato la trasformazione dello Stato da regionale a federale. Ci sono però due particolarità,
rappresentate dalla compresenza di diversi tipi di enti decentrati -le regioni e le comunità- e
dall’asimmetria che caratterizza quell’ordinamento, per cui non tutti gli enti di pari livello sono muniti di
eguali competenze normative e amministrative. In Russia le materie di competenza sono state ripartite
assegnando formalmente quelle residuali ai soggetti territoriali. Le pulsioni però vanno nel senso
dell’accentramento, ostacolando la formazione di partiti locali nelle elezioni, rafforzando i poteri di
esecuzione delle decisioni della corte costituzionale anche in periferia, e forme di concertazione.

5.2.2) La ripartizione delle competenze negli ordinamenti regionali e nel Regno Unito
Anche negli ordinamenti europei qualificati come regionali -cioè l’Italia e la Spagna- i criteri di
ripartizione non sono uniformi. In Italia, il regionalismo differenziato si riverbera anche sulle fonti:
proprio il sistema delle fonti regionali evidenzia le differenze tra regioni speciali e regioni ordinarie. Le
prime sono munite di uno statuto approvato con legge costituzionale; quello delle seconde, viceversa,
viene approvato con duplice votazione a maggioranza assoluta e sottoposto a referendum popolare
eventuale senza alcun intervento del parlamento. Anche dopo la riforma del 2001, diversa è l’estensione
e la tipologia delle competenze legislative: in precedenza, solo le regioni speciali erano munite di
competenza esclusiva, che incontrava pochi limiti (gli obblighi internazionali, le grandi riforme
economiche e sociali, l’interesse nazionale); ai medesimi limiti erano sottoposte le regioni ordinarie,
titolari di una competenza ripartita, che in più si imbattevano nel limite, assai penetrante, rappresentato
dai principi fondamentali della materia. Oggi -dice il testo della riforma- la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti

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dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Gli elenchi delle materie esclusive dello
Stato e di quelle concorrenti sono lunghi e complessi, e si manifestano innumerevoli problemi
interpretativi, in parte risolti dalla Corte Costituzionale.
In Spagna, garantita l’autonomia statutaria, la costituzione elenca le materie di competenza
delle comunità autonome; subito dopo, però, enuncia una sterminata lista di materie o funzioni nelle
quali lo Stato gode di competenza esclusiva.
Il Regno Unito è stato tradizionalmente caratterizzato da una robusta struttura di governo
centralizzato e da una visione centralista della politica nazionale; risalgono agli ultimi trent’anni dello
scorso secolo le iniziative volte ad avviare le prime politiche regionaliste e devolutive. La c.d.
Devolution rappresenta un processo evolutivo avviato con una serie di atti sul finire degli anni ‘90; non si
è però esaurito in quegli atti, ma costituisce un fenomeno in continua graduale evoluzione. La Devolution
ha fino a oggi interessato le aree caratterizzate da una spiccata identità nazionale (Scozia, Galles e
Irlanda del Nord) e da urgenti necessità amministrative. All’istituzione formale degli organi di governo
delle regioni interessate dalla Devolution ha fatto seguito l’elezione degli organi rappresentativi: assemblee
monocamerali dotate di potestà normativa. Quanto alle funzioni normative, solo le assemblee
scozzese e nordirlandese hanno potestà legislativa primaria su una serie di devolved matters, ma è
diverso il criterio di determinazione della sfera di competenza: nel caso scozzese, lo Scotland Act
enumera le materie riservate alla competenza del parlamento centrale, riservando al parlamento
scozzese tutte le altre materie secondo il criterio residuale; diversamente, nel caso gallese il Welsh Act
assegna all’assemblea di Cardiff le materie espressamente enumerate, rimanendo in capo al parlamento
centrale di Londra tutte le altre materie. L’assemblea gallese, a sua volta, esercita una Executive Devolution,
potendo emanare solo degli assembly orders sulla base di una delega del parlamento di Westminster. Per
tutte le autorità devolute vale il principio della Supremacy del parlamento britannico, nonché il rispetto
dei diritti fondamentali proclamati dalla convenzione europea.

5.3) Fonti dell’Unione Europea e leggi nazionali


L’istituzione della Comunità Economica Europea (CEE) sin dall’inizio ha determinato
l’ingresso negli ordinamenti a essa partecipi di due categorie di fonti -le direttive e i
regolamenti- spalancando gravi problemi di coordinamento, via via risolti sia all’interno degli
Stati membri mediante la legislazione e la giurisprudenza, sia a livello comunitario (soprattutto
attraverso le sentenze della corte di giustizia). Il progressivo peso assunto dalla comunità e
l'ampliamento delle sue competenze ha comportato altresì l'esigenza di alcune revisioni costituzionali. Il
trattato di Lisbona, peraltro, ha determinato una nuova classificazione degli atti giuridici dell’UE:

Vincolanti:
- Regolamento;
- Direttive;
- Decisioni.

Non vincolanti:
- Raccomandazioni;
- Parere.

Il trattato di Lisbona ha creato una nuova categoria di atti giuridici, gli atti delegati : il
legislatore delega alla commissione il potere di adottare gli atti che modificano gli elementi non
essenziali di un atto legislativo. In ciascuno Stato dell’unione, i regolamenti comunitari si impongono
per forza propria, sono direttamente applicabili in tutti i loro elementi, vincolando tutte le autorità e i
privati in virtù della forza a essi attribuita dall’ordinamento europeo. Il rapporto tra le leggi e gli altri atti
normativi interni dei singoli Stati da una parte e i regolamenti comunitari dall’altra è un rapporto di
competenza, che si instaura in virtù del trasferimento di competenze statali alla Comunità, ed è tale da
conferire a essi efficacia nella materia disciplinata.

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La distinzione formulata agli albori dell’ordinamento comunitario tra direttive (che


abbisognano di atti interni di applicazione) e regolamenti (direttamente applicativi) non è più assoluta:
alcune direttive (o parti di ciascuna di esse) sono infatti autoapplicative, altre obbligano invece gli organi
statali o decentrati ad assumere atti idonei ad assicurarne la trasposizione nell’ordinamento interno.
D’altro canto, anche regolamenti comunitari esigono talora ulteriori attività interne, ad esempio quando
si prospetta l’esigenza di istituire appositi organi amministrativi.
Quale che sia il nomen iuris dell’atto comunitario, le norme comunitarie direttamente
applicabili o una volta trasposte obbligano il giudice a disapplicare il diritto interno con esse
contrastanti. Il diritto comunitario prevale dunque sulle corrispondenti norme interne precedenti,
precludendone l’applicazione, mentre resiste all’abrogazione a opera della legge o di altri atti interni
successivi. Negli stati decentrati dell’Unione (come Spagna, Germania, Italia, Belgio) anche le
comunidades autonomas, i Lander, le regioni ecc sono chiamati a dare esecuzione alle norme. Anche dove
siano previste competenze regionali esclusive, la preminenza del diritto comunitario e il principio per
cui nessuno Stato può addurre a scusa dei propri inadempimenti la propria organizzazione interna ha
condotto la corte europea a respingere le eccezioni prospettate in tal senso dalle autorità statali.

6) Il regolamento

Anche per l’influenza del credo della Rivoluzione Francese, secondo cui un potere
materialmente legislativo non poteva essere conferito all’esecutivo, le costituzioni approvate a
cavallo tra il ‘700 e l’800 espressero il principio che al governo competesse la sola esecuzione delle leggi,
essendogli precluso modificare o interpretare quelle esistenti. Le vicende successive dimostrano
l’impraticabilità della rigorosa distinzione tra potere legislativo (normativo) e potere esecutivo.
Ma ancor oggi, l’idea che quest’ultimo non possa interpretare, alterare o modificare la legge mediante
regolamenti è espressa da varie costituzioni. Altre tesi costituzionali abbandonando il lessico del
periodo rivoluzionario limitano il potere di fare i regolamenti per l'esecuzione delle leggi (Portogallo,
Giappone) oppure stabiliscono:

- Che il governo eserciti la potestà regolamentare conformemente alla costituzione e alle leggi
(Spagna);
- Che norme amministrative generali possano essere stabilite da decreti reali (Olanda);
- Che il presidente della Repubblica emani i regolamenti (Italia).

Mentre ovunque predomina la dottrina, di origine francese, della prevalenza della legge,
espressione della volontà generale, e della sottoposizione gerarchica del regolamento a essa,
paradossalmente solo in Francia s’è fatta strada con la costituzione della V Repubblica l’idea di una
competenza (domaine) del regolamento separata da quella della legge. Oltre che al governo -o,
formalmente, al capo dello Stato- una potestà regolamentare con efficacia esterna viene talvolta
conferita a singoli ministri, in virtù di espresse disposizioni costituzionali (Bulgaria, Estonia), o anche
legislative (come in Italia), nonché ad amministrazioni separate dello Stato, ad agenzie, ad autorità
indipendenti e soprattutto enti territoriali. Un’ulteriore fonte secondaria di natura regolamentare è
rappresentata dagli statuti degli enti locali, i quali ove contemplati sono sempre subordinati alla
legge, e si distinguono dai regolamenti sia in virtù della competenza a disciplinare l’organizzazione e
l’esercizio delle funzioni dell’ente, sia per la loro superiorità gerarchica rispetto ai secondi, che debbono
a essi conformarsi.
Tra la normazione secondaria del Regno Unito, si segnalano le byelaws: atti normativi secondari
emanati da autorità locali od organismi indipendenti soggetti all’approvazione di un dipartimento
governativo e la cui validità e legittimità formale è controllata dalle corti. Abbiamo infine già ricordato
che negli Stati Uniti e in altri paesi di Common Law gli organi di governo, gli enti locali e quelli
indipendenti possono emanare atti normativi sprovvisti di forza di legge.

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Appartiene poi alla normazione secondaria la c.d. contingency legislation. Essa si basa su una
delibera del congresso con la quale si rinvia a una valutazione del Presidente l’entrata in vigore di un
certo statute, in relazione all’avverarsi di un evento incerto.

7) Fonti-atto residue

Da ultimo occorre fare cenno ai regolamenti parlamentari, alle sentenze di accoglimento delle
corti e dei tribunali costituzionali e al referendum abrogativo.

7.1) Regolamenti parlamentari


A seconda dell’ordinamento, i regolamenti parlamentari possono essere considerati fonti
legali del diritto, oppure regole di natura meramente interna. In ogni caso, va notato che quasi
sempre i regolamenti parlamentari sono chiamati dalla costituzione a disciplinare, tra l’altro, l’iter di
formazione della fonte-atto esterna per eccellenza, e cioè la legge. La loro peculiarità consiste nel
fatto che essi si collocano -diversamente dai regolamenti dell’esecutivo- in posizione immediatamente
sottoposta alla costituzione, sottraendo del tutto o in parte alla legge o alla legge organica la
competenza relativa all’organizzazione e all’esercizio delle funzioni del parlamento. Nel senso
di un riserva di competenza regolamentare si esprimono numerose costituzioni (come quella italiana),
mentre altri operano rinvii o riferimenti ai regolamenti parlamentari (Francia).
Oltre alle procedure per l’approvazione delle leggi, essi comunque disciplinano, di solito, la
struttura delle camere, i loro organi interni, le funzioni non legislative, i raccordi con altri organi
costituzionali. Quasi mai le costituzioni chiariscono però quale è la collocazione dei regolamenti
parlamentari nel sistema delle fonti: la loro posizione viene perlopiù fissata dalla giurisprudenza
delle corti costituzionali. Quali norme interposte tra la costituzione e le leggi, i regolamenti
parlamentari rappresentano un parametro del giudizio di costituzionalità? E possono costituire oggetto
di giudizio qualora vìolino la costituzione? Nel primo caso la soluzione è generalmente negativa, a
meno che insieme alla norma regolamentare non ne sia contemporaneamente violata anche una di
rango costituzionale (in questo senso si esprimono la giurisprudenza costituzionale tedesca italiana e
spagnola); nel secondo caso dipende dalle espresse disposizioni costituzionali od organiche che
ammettono il controllo sui regolamenti (Francia, Spagna) oppure, più spesso, dalla forza che a essi i
tribunali costituzionali attribuiscono di volta in volta di fronte a formulazioni più equivoche.

7.2) Sentenze costituzionali


Tra le fonti del diritto devono essere annoverate le sentenze dei tribunali costituzionali munite
di efficacia erga omnes. Comunque si configuri o venga denominato l'effetto prodotto dalla decisione
che dichiara l'incostituzionalità di una legge o di altro atto normativo vigente (e cioè di abrogazione o di
annullamento), il risultato raggiunto è quello di espungere norme dall’ordinamento giuridico.

7.3) Referendum abrogativo


Tra le fonti del diritto va annoverato infine il referendum abrogativo, non frequente nel diritto
comparato, che conosce una costante applicazione solo in Italia, dove l’indole di fonte è attribuita non
al fatto referendario, bensì all’atto con cui il capo dello Stato recepisce la volontà del popolo di abrogare
una legge.

Capitolo III – Costituzioni e costituzionalismo

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Sezione I – La costituzione

1) Il significato polisenso di costituzione

Non è per niente facile dire cosa sia la Costituzione: ce lo dimostra il fatto che la stessa parola
costituzione, a livello semantico, indichi allo stesso tempo sia la fase del a) costituire, sia b) la
struttura complessiva dell’ordinamento, sia c) le regole di fondo dell’istituzione giuridica. I vari
significati possibili di costituzione si collocano in particolari approcci storici.

1.1) Nozione giuridica di costituzione


D’altronde, se è veramente difficile dare una definizione di Costituzione, l’obiettivo è comunque
quello di darne una nozione esclusivamente giuridica, prendendo come punto di riferimento la
costituzione italiana. Per fare questo è però necessario un breve excursus storico, per comprendere le
radici della nostra costituzioni e delle principali costituzioni europee e degli Usa. Risultano infatti
scontate e poco produttive le definizioni di costituzione come legge fondamentale di un Paese, o come
principio unificante dell’ordinamento (a mo’ di anima del Paese) o come principio della produzione
normativa. Pertanto la nozione di costituzione può essere identificata solo dopo aver posto una
serie di ulteriori nozioni o aver delineato una serie di istituti che la caratterizzano. Le
Costituzioni non sono mai svincolate dalla storia e dagli ambienti sociali e politici in cui vivono.

1.2) La costituzione come legge fondamentale


Innanzitutto per costituzione si intende il complesso delle regole fondamentali di una
determinata organizzazione sociale. Ma d’altra parte, poiché ogni organizzazione ha proprie regole e
alcune di queste non possono non essere fondamentali, ciò significa che ogni organizzazione ha una
propria costituzione, rappresentata da regole che stabiliscono finalità, organi, le relative
competenze, la procedura di nomina degli organi. Tali regole fondamentali sono definiti statuti, atti
costitutivi, atti di fondazione. Così definita, è più corretto dire che la Costituzione è la legge
fondamentale dello Stato, in quanto ne detta le regole essenziali sia di convivenza che di esercizio dei
pubblici poteri. È pero questa una definizione ancora incompleta perché nella nozione di costituzione
confluiscono dati storici, sociologici, ideologici, filosofici, politici, di cui non si può non tener conto.

2) La “legge superiore” nella storia

È necessario un approccio di carattere storico. Le costituzioni del 1700, le costituzioni


piemontesi del 1723 di Vittorio Amedeo II ecc sono tutte corpi organici di leggi. Se guardiamo a cosa la
Costituzione ha significato nel tempo (approccio storico) ci accorgiamo di un secondo attributo
fondamentale di essa: la superiorità di tale legge sulle altre successive manifestazioni dei poteri dello
Stato (sia di ordine normativo che esecutivo che giudiziario).

2.1) Antiche formulazioni


Se la nozione di Costituzione come fonte sovraordinata la si ritrova già in Aristotele o in
Cicerone, tuttavia la costituzione nel senso quale oggi la intendiamo, cioè di legge superiore, emerge
solo in epoca medievale. A tale idea contribuiscono due ragioni:

1) La convinzione, sia di derivazione filosofica che religiosa, della superiorità di leggi che
trovano fondamento in principi transeunti e inviolabili, in quanto espressione della
coincidenza tra leggi umani e leggi di Dio;
2) La superiorità di tali leggi come il risultato di lunghi e complessi “assestamenti” tra i vari
poteri e i vari ceti.

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La superiorità di tal genere di leggi nasce dunque dal principi di rispetto delle leggi divine e da
quello di ossequio alle tradizioni. Nota che queste prime leggi fondamentali, sono tutte consuetudini
non scritte: tra queste, quelle relative all’investitura del sovrano, cioè le consuetudini che regolano la
devoluzione della Corona. La superiorità di queste leggi, tuttavia, era una superiorità meramente
“morale”: non era una superiorità “formale” affermabile attraverso una serie di mezzi giuridici, che
troviamo nelle attuali costituzioni, che non possono essere modificate se non con procedure complesse
e rendono illegittimi atti e comportamenti con esse configgenti.

2.2) La legge superiore nel pensiero politico del XVII e del XVIII secolo e il suo
affermarsi in Inghilterra
La strada verso la formalizzazione e la piena giuridicizzazione della costituzione passa poi
attraverso due grandi medium:

1) I grandi movimenti del pensiero politico del XVII e del XVIII secolo;
2) L’evoluzione delle istituzioni inglesi, che hanno segnato una felice combinazione tra
monarchia aristocrazia e popolo.

La corona inglese nel corso del tempo consentì sempre più intense limitazioni del proprio potere e delle
proprie prerogative.
Soprattutto è l’Illuminismo che contribuisce alla definizione della nozione di costituzione, grazie
alle teorie del contratto sociale e del diritto naturale. Secondo tali teorie l’ordine sociale, lo Stato, la
vita dello Stato in tutti i suoi aspetti trovano origine in un patto con il quale il popolo ha
riconosciuto o istituito un Sovrano e si è impegnato a obbedirgli. Poiché la sovranità appartiene al
popolo, che la delega al Monarca, la costituzione altro non è che la riproduzione pura e semplice dello
stesso “contratto sociale”, e dunque si colloca al di sopra di tutte le autorità pubbliche, che da essa
ricevono il potere: la costituzione ha dunque origine “pattizia”, vale a dire nel mutuo consenso tra
Monarca e sudditi. Tra i tanti pensatori che giocano un ruolo fondamentale, soprattutto per la
teorizzazione dei diritti dell’uomo e della necessità di garantire questi diritti costituzionalmente c’è
sicuramente John Locke, che scrive i suoi due trattati nel clima della Glorious Revolution dalla quale
scaturirà il Bill of rights. Secondo Locke il “contratto” costituisce la matrice legale dello Stato e
delle istituzioni civili, e il potere legislativo, in quanto espressione della sovranità popolare,
rappresenta il “potere supremo”. Va notato però che la legge non è senza limiti e non è espressione di
una volontà onnipotente: essa ha solo la funzione di “positivizzare” i diritti naturali preesistenti
dell’individuo, riconoscendoli e garantendoli contro ogni arbitraria invadenza. Data quindi la natura
derivante dal popolo della legge e soprattutto della Costituzione, ne deriva che nessun potere è
legittimo se non rispetta il patto sociale, e in particolare se non assicura il libero esplicarsi dei diritti
naturali dell’uomo. Locke teorizza così uno Stato limitato e garantista, il cui potere si legittima
solo in funzione della tutela delle libertà civili.
A livello storico è noto che fu la monarchia inglese (ovviamente non in maniera spontanea, ma
a seguito di lotte secolari e sanguinose) a concedere sempre più intense limitazioni dei propri poteri e
delle proprie prerogative. Limitazioni che portarono alla creazione di una democrazia
rappresentativa, attraverso l’evoluzione e l’affermazione di un Parlamento bicamerale. Vennero
solennemente riconosciute le libertà civili (Magna Carta Libertatum 1215, Petition of Rights 1628, Habeas
Corpus 1679, Bill of rights 1689, Act of Settlement 1701); si sviluppò così in Gran Bretagna il principio della
supremazia e sovranità parlamentare: il Bill of Rights è categorico nell’escludere il potere del Re di
sospendere l’esecuzione delle leggi senza il consenso del Parlamento.

2.3) Le costituzioni del Nord America e della Rivoluzione Francese e i loro principi
comuni
Il modello inglese ed eventi come la Gloriosa Rivoluzione cominciano a essere osservati dai
pensatori illuministi, tra cui Montesquieu, Blackstone, Delolme e Rousseau. La costituzione inizia nel

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frattempo a emergere, intesa come insieme di leggi, istituzioni e consuetudini dirette da principi di
ragione e diretti al pubblico bene. La comunità accetta di essere governata: la costituzione non è l’atto
di un governo, ma l’atto di un popolo che crea un governo.
Le costituzioni degli Stati del Nord America scaturiscono da una dichiarazione
d’indipendenza dalla madre patria: testimoniano un’idea di costituzione che nasce dal popolo, come
opera di volontà collettiva, che “codifica” il modo in cui i poteri devono essere organizzati e ripartiti e
si pone come norma sovraordinata all’attività dei poteri previsti dalla costituzione stessa e nel
contempo riconosce e tutela i diritti che, per natura, appartengono al genere umano. Conseguenza di
tale sovraordinazione della costituzione è la tesi per cui i giudici, prima di applicare le leggi, dovrebbero
accertarsi che le leggi che sono chiamati ad applicare si conformino effettivamente ai dettami delle
«leggi naturali dell’ordine sociale e della giustizia». Nascono così le premesse teoriche sia per il
controllo di costituzionalità, sia per la superiorità della costituzione, sia infine per il
riconoscimento e la tutela in costituzione dei diritti fondamentali. Nelle costituzioni degli Stati del Nord
America, nella costituzione degli Stati Uniti e nelle diverse costituzioni della Rivoluzione Francese si
rintracciano una serie di principi comuni:

- La separazione dei poteri;


- La tutela dei diritti;
- La sovranità popolare;
- La superiorità della costituzione rispetto alle altre leggi;
- La solennizzazione della costituzione in un documento scritto.

Le norme costituzionali divengono norme positive, cioè effettivamente contenute in documenti


formali, a differenza di quelle del diritto naturale, e scritte, a differenza di quelle consuetudinarie. La
costituzione non è dunque “descrittiva” di regole nate con il tempo, e pertanto coincidenti con la
struttura dell’ordinamento politico esistente, ma è precettiva, e dunque pone un nuovo ordine politico.

2.4) La normatività della costituzione


In particolare, tra quelle citate nel precedente paragrafo è l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1789 (Rivoluzione francese) che da un lato stabilisce quali sono i poteri
dello Stato e li ripartisce, dall’altro stabilisce i limiti di tali poteri, che sono costituiti soprattutto da
libertà e diritti fondamentali. Non solo: attraverso la stesura della costituzione essa trasforma il potere
esercitato di fatto in un legittimo potere giuridico e la norma, prima meramente giuridica, diviene
norma superiore. Va però detto che la superiorità giuridica della costituzione faticò non poco ad
affermarsi, soprattutto perché i sostenitori della sovranità popolare erano restii a istituire controlli di
costituzionalità sulle leggi approvate dal Parlamento, supremo organo della sovranità popolare stessa.
Va però anche detto come, anche laddove le costituzioni avevano carattere rigido ed erano
dunque dotate di più elevata forza formale rispetto alle altre leggi, per ora tale superiorità operava solo
sul piano politico e morale in quanto mancavano ancora strumenti di controllo effettivi a disposizione
di un potere neutrale. Fu solo con la famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti Marbuty v.
Madison (1803) che si impose il controllo di costituzionalità e che venne stabilito che “the Constitution is
superior to any ordinary act of legislature” e che, pertanto, ogni giudice era tenuto a considerare nulla (e
dunque a non applicare) la legge che non fosse conforme alla costituzione. Va comunque detto che il
principio della superiorità giuridica della costituzione era già affermato nel Federalist: nel brano 78 è
sancito che qualora ci sia contrasto tra la legge ordinaria e quella costituzionale a prevalere deve essere
quella a cui siamo legati da obblighi maggiori: si dovrà dunque preferire la costituzione.

3) Il costituzionalismo
I princìpi che abbiamo ricordato in questi precedenti paragrafi esprimono la nozione di
costituzione secondo il costituzionalismo. Con tale termine si intende il complesso di istituzioni e
di princìpi che si sono sviluppati in via consuetudinaria in Inghilterra, dalle costituzioni della

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Rivoluzione francese e da tutti quegli ordinamenti che a questi si sono ispirati; istituzioni e principi che
si compendiano, prima di tutto, nella separazione dei poteri e nella tutela dei diritti fondamentali
dell’uomo, in contrapposizione con l’assolutismo del passato.

3.1) Costituzionalismo, politica, ideologia


Come abbiamo già avuto implicitamente modo di vedere, “il costituzionalismo” è il risultato di
un processo dialettico tra costituzione inglese (ed evoluzione delle istituzioni inglesi) e costituzione
scritte da un lato e teorie politiche e giuridiche dall’altro (come illuminismo e giusnaturalismo: è
considerabile un processo dialettico perché le prime influenzarono le seconde e viceversa. Ma
soprattutto il costituzionalismo è sinonimo di libertà costituzionali, tendenti all’affermazione in
ogni parte del mondo di principi che rispondono ai valori di solidarietà, di eguaglianza, di libertà.
Come ha sottolineato Matteucci, il costituzionalismo moderno sorge attorno a una serie di
nuclei forti:

- Separazione dei poteri;


- Dichiarazione dei diritti;
- “Costituzione” scritta e fondante;
- Valore di norma giuridica;
- Stato di diritto;
- Potere costituente;
- Controllo di costituzionalità delle leggi (e dunque la superiorità giuridica delle costituzioni e
poi, in seguito e grazie alla costituzione di Weimar del 1919, la tutela dei diritti sociali).

La costituzione, secondo il costituzionalismo, ha trovato collocazione nella storia, ha dietro di


sé teorie giuridiche, politiche, filosofiche, volte a disciplinare l’opera dei governanti e spezzare
l’unitarietà del potere e a imporre il rispetto dei valori fondamentali di dignità dell’uomo, di uguaglianza
di rispetto delle minoranze, di garanzia delle libertà personale, religiosa, di stampa, esercizio diritti
politici, informa di sé ai nostri.

3.2) La forza espansiva del costituzionalismo


Mentre la luce del costituzionalismo rimase sempre accesa negli Stati Uniti, in Europa, il
costituzionalismo stesso, ed in particolare il principio di superiorità della costituzione, tardarono a
lungo ad affermarsi, anche a causa di una lettura totalizzante del principio di sovranità del Parlamento
(come si diceva anche prima), con una fase di stallo anche durante la Restaurazione.
Si dice che in Europa l’avvento e l’evoluzione del costituzionalismo liberale siano stati
caratterizzati da frequenti “fratture” politiche, spesso evidenziate da riforme totali della costituzione.
Dopo la Restaurazione, e quindi l’abbandono di molti principi del costituzionalismo rivoluzionario
francese, si affermano prevalentemente i testi costituzionali a “schema dualista” Re (governo) -
Parlamento (carta francese 1830; costituzione belga 1831 ecc.); quando lo Stato liberale censitario, nel
Vecchio Continente, assume le forme dello Stato liberal-democratico attraverso la progressiva
estensione del suffragio e il consolidamento della base rappresentativa del Parlamento, le vecchie
costituzioni dualiste si trasformano in costituzioni “moniste”, a prevalenza del Parlamento: i poteri del
Sovrano diventano sempre più “cerimoniali” e il Governo è, di fatto, scelto dalla maggioranza
parlamentare, anche se nel testo formale della costituzione di parla di Monarchia costituzionale (ad
esempio, costituzione belga del 1831 e Statuto Albertino del 1848 sono formalmente monarchie
costituzionali). Il Costituzionalismo repubblicano del primo dopoguerra (costituzione di Weimar,
costituzione austriaca, costituzione della II repubblica spagnola del 1931) costituisce la prima vera
rappresentazione dello Stato “pluriclasse”, il cui principale compito è non tanto e solo quello di
delimitare il potere quanto piuttosto quello di “integrare” i gruppi sociali (ormai organizzati in partiti)
nello Stato: i diritti non sono solo le classiche libertà negative, i diritti politici e civili diventano fonte di
integrazione e assumono posizione di preminenza nel testo costituzionale. In tal senso queste
costituzioni cercano e vogliono anche promuovere l’eguaglianza anche “sostanziale” dei cittadini, il loro

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benessere materiale e spirituale: lo Stato non è più “neutrale” in campo economico-sociale, ma


“interventista”. Emergono contestualmente anche altre nozioni che vanno a comporre la disciplina
costituzionale: così le idee di “Stato dei partiti” e di “stato sociale”, che trovano la loro definitiva
consacrazione nei testi costituzionali del secondo dopoguerra.
Queste nuove tendenze del costituzionalismo pervadono anche tutte le recenti costituzioni nate
dal dissolversi dei regimi comunisti (che invece nulla avevano a che vedere con il costituzionalismo),
soprattutto nel caso delle crescenti libertà economiche verificatesi in stati socialisti come la Cina, in cui
la revisione della costituzione del 2004 ha sancito il riconoscimento della proprietà privata e il formale
riconoscimento dei diritti dell’uomo. Stessa cosa è avvenuta in Africa: abbandono del modello
socialista, accoglimento del multipartitismo, divisione dei poteri, tutela dei diritti individuali, rispetto e
valorizzazione culture locali; ci sono quindi tendenze liberaldemocratiche.
Questi processi sembravano poter essere rafforzati dalle Primavere Arabe (2011) in Tunisia,
Algeria, Marocco; tali esperienze hanno avuto esiti molto variegati: la nuova costituzione della Tunisia è
stata il frutto di una rivoluzione democratica, realizzata grazie all’azione delle principali forze politiche e
sociali, in Egitto nel 2014 dopo la svolta autoritaria, la deposizione del presidente eletto ha portato alla
sospensione della costituzione del 2012 e all’approvazione di una nuova costituzione che contiene il
riconoscimento di alcuni diritti e principi fondamentali nonché un coordinamento a opera delle forze
armate sull’esercizio del potere del governo, in Marocco e Bahrein sono stati approvati emendamenti
costituzionali per liberalizzare il sistema politico e rafforzare i poteri dell’istituzione parlamentare, ma
spesso i princìpi del costituzionalismo non sono stati effettivi.
I paesi del centro e del Sud America (influenzati dagli USA) sono stati caratterizzati da discrasia
tra affermazione dei principi liberal-democratici e la loro attuazione. C’è poi il caso del consolidamento
delle democrazia di facciata dei paesi dell’ex blocco socialista (Russia, Bielorussia, Kazakistan,
Uzbekistan) nei quali si è assistito all’approvazioni di costituzioni liberali ma a caratteri autoritari come
mancanza diritti civili, assenza di pluralismo, monopolio dell’informazione. Nigeria, Costa d’Avorio e
Congo sono invece passati da una forma di governo presidenziale a una degenerazione
presidenzialistica.

3.3) Costituzionalismo e interpretazione


È importante dire che tali principi del costituzionalismo devono essere costantemente tenuti presenti
per interpretare le costituzioni. Infatti, scrive Morbidelli, «pur nel moltiplicarsi delle costituzioni e delle
doro diversità, è in atto un processo di omogeinizzazione attorno a principi comuni riconducibili,
appunto, al costituzionalismo». In particolare è in atto una “europeizzazione” delle teorie
costituzionalistiche, tanto che si parla di un “diritto costituzionale europeo”, tra l’altro sancita anche
dall’art. 6 del TUE, che richiama «le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» che «fanno parte
del diritto dell’Unione in quanto principi generali». A tale processo contribuiscono in primo luogo le
Corti europee di Strasburgo (CEDU) e di Lussemburgo (ECJ), ma anche la Carta di Nizza o Carta dei
diritti fondamentali UE, approvata nel 2000 ma divenuta vincolante solo nel 2009 con l’entrata in
vigore del trattato di Lisbona, che ha conferito alla Carta lo “stesso valore giuridico dei Trattati”.
L’affermarsi del costituzionalismo e dei principi che lo ispirano non investe solo le nuove
costituzioni, ma anche tutti i processi di revisione delle costituzioni, che sono continui e necessari, e che
avvengono sia attraverso revisioni formali, sia attraverso consuetudini, sia attraverso interpretazioni
della giurisprudenza costituzionale che del resto influenza le norme costituzionali. Tale fenomeno è
stato definito di “metabolismo intermittente”: la continua riscrittura delle costituzioni è un carattere
essenziale della storia (Haberle). Il costituzionalismo, e con esso i valori di democrazia e di garanzia dei
diritti dell’uomo, si ritrova anche in quella sorta di “costituzione internazionale” che è lo Statuto delle
Nazioni Unite, nonché nell’attività della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, nonché nella
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo promulgata nel 19483: si dice in merito a queste che il
costituzionalismo ha un’aspirazione universalistica. Si può dire quindi che vi è una vera e propria
osmosi, per cui principi e istituti sorti nell’ambito degli ordinamenti per frenare i “poteri” dei
3)
essa fonda la legittimazione della stessa sovranità degli Stati-Nazione in un modo che rompe decisamente con la tradizione giuridico-culturale precedente:
al centro della Dichiarazione sta l’uomo in quanto tale e perciò esso stesso titolare di “diritti umani fondamentali”

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governatori passano nell’ambito internazionale per poi tornare nuovamente, tramite le dichiarazioni e le
convenzioni accettate dagli Stati, a operare nell’ambito interno.
Prendiamo in considerazione l’art.10 c.2 della costituzione spagnola: questo articolo impone la
conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e ai trattati internazionali relativi ai diritti
fondamentali e alle libertà. Spesso le norme internazionali vengono recepite all’interno della
costitutizione: ciò è presente per la costituzione argentina che richiama la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, la Convenzione Americana sui diritti umani, la Dichiarazione americana dei diritti e
dei doveri dell’uomo, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e ambientali.
La costituzione transitoria della Repubblica Democratica del Congo (2003) richiama la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la carta africana e tutti gli strumenti giuridici
adottati dalle NU e dall’UA. Anche nella nuova costituzione congolese, nella Costituzione di Timor Est
vi sono riferimenti agli strumenti di cui sopra. La costituzione del Ruanda richiama la dichiarazione del
48, la carta africana dell’81, la convenzione delle nazioni unite sulla prevenzione e repressione del
genocidio ed altre convenzione (fanciullo, donne ecc). La costituzione afghana del 2004 menziona la
carta delle nu e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 48.

3.4) I cicli del costituzionalismo e le sue evoluzioni


Le costituzioni vengono generalmente classificate per cicli o per modelli. Prima di analizzare tali
classificazioni va comunque detto che questi metodi di comparazioni sono largamente scolastici, perché
le costituzioni hanno spesso più di un modello e le generalizzazioni sono sempre convenzionali.
Quello che invece è incontestabile è che il costituzionalismo, in una visione storica, in quanto
fenomeno dialetticamente storico e ideologico, non è cristallizzabile, ma è in continua evoluzione: ce lo
dimostra il fatto che le costituzioni dapprima (come abbiamo visto) racchiudevano solo i diritti
fondamentali di tradizione giusnaturalista (c.d. libertà negative rispetto a invasioni o divieti dei pubblici
poteri, libertà di opinione, religione, ecc.), poi hanno integrato anche i diritti sociali (a partire da
Weimar) e infine stanno sempre più includendo i diritti “della terza generazione”, come quelli
all’ambiente, alla partecipazione alle decisioni amministrative, alla protezione dei consumatori o altri
diritti che i nuovi costumi e il progresso incessante della scienza e della tecnica proiettano sulla scena
della vita: basti pensare ai diritti connessi alla biogenetica o al c.d. right to die.
In ogni caso veniamo a vedere le due classificazioni per cicli o modelli, cominciando dalla
prima. Per cicli si intende costituzioni inseribili in periodi e contesti storici caratterizzati da costituzioni
rispondenti a valori e obiettivi comuni. Si individuano i seguenti cicli:

1) Costituzioni rivoluzionarie settecentesche: Dich. di indipendenza americana 1776, le


costituzioni degli Stati del Nord America, la costituzione Usa 1878, tutte le varie
costituzioni della Rivoluzione francese (Dichiaraz. Diritti 1789, costituzione monarchica
1791, costituzione girondina 1793 -che non fu applicata perché immediatamente sospesa
per la proclamazione del Comitato di salute pubblica-, Costituzione del direttorio del 1795);
2) Costituzioni napoleoniche, che ebbero larga influenza in Italia, grazie alle vittori delle
armate francesi (cost. repubblica ligure, o la carta della repubblica italiana)
3) Costituzioni della Restaurazione (carta di Luigi XVIII del 1814, costituzioni dei vari stati
tedeschi) che, pur riconoscendo un ruolo primario alla monarchia, in realtà sottoponevano
le monarchie a limitazioni e ponevano il presupposto per la loro trasformazione in
monarchie parlamentari;
4) Costituzioni liberali (carta di Luigi Filippo di Francia del 1830, Belgio 1831 e molte
costituzioni del ‘48, come quella austriaca e lo statuto albertino). Queste si caratterizzano
per la caducazione del legittimismo regio, per il primato del Parlamento, per li
riconoscimento della costituzione come patto;
5) Costituzioni dei Paesi latino-americani, promulgate tra il 1819 e il 1863;
6) Costituzioni democratiche razionalizzate del primo dopoguerra (Weimar ‘19 e Austria
‘20), che a loro volta influenzarono le costituzioni dei Paesi sconfitti o sorti dalla
dissoluzione degli Imperi centrali dopo la prima guerra mondiale;

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7) Costituzioni di tipo democratico-sociale. Sono quelle elaborate dopo la seconda guerra


mondiale, che sviluppano le costituzioni democratiche-razionalizzate, introducono il
controllo di costituzionalità delle leggi, riconoscono il pluralismo.

Per modelli intendiamo paradigmi di costituzioni che si proiettano nel tempo, al di là dei cicli. Sono da
considerarsi costituzioni “modello”, cioè largamente imitate:

1) Quelle degli Stati Uniti (che ha avuto molte riproduzioni, sia sotto il profilo del sistema
presidenziale, che di quello federale e anche sotto il profilo del controllo di costituzionalità
delle leggi e che ha influenzato grandemente le costituzioni passate ed attuali),
2) Le costituzioni della Rivoluzione Francese (in primo luogo la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino);
3) La costituzione spagnola del 1812 (detta “di Cadice”);
4) La carta di Luigi Filippo d’Orleans del 1830;
5) La costituzione belga del 1831;
6) La costituzione di Weimar del 1919;
7) La costituzione austriaca del 1920 (soprattutto per il controllo di costituzionalità);
8) La Legge fondamentale di Bonn del 1949;
9) La nostra costituzione del 1948.

Grande influenza ha avuto ovviamente anche la costituzione non scritta ma consuetudinaria inglese,
verso gli Stati legati alla Gran Bretagna da legami coloniali (Canada, Australia, Sud Africa, Nuova
Zelanda, India, Giamaica, Nigeria). Vi è stato inoltre un forte connubio tra diritti della persona umana e
garanzie costituzionali, oltre a una corposa giurisprudenza delle corti costituzionali in tema di aborto,
che a sua volta è collegato alla libertà di coscienza. Si è affermata nel corso del tempo una nozione
sostanziale dei diritti che ha dato omogeneità alle libertà tradizionali.

3.5) Verso un costituzionalismo globale?


Lo sviluppo delle forme del diritto è legato oltre ai modelli costituzionali e ai principi del
costituzionalismo anche al riconoscimento e alla garanzia dei diritti fondamentali. Un ruolo importante
concerne i processi di transizione verso la democrazia, delineando le categorie delle forme di stato. Si è
assistito all’internalizzazione dei diritti fondamentali attraverso il sistema multilivello di tutela di questi
diritti. A ciò si aggiunge l’interdipendenza tra gli ordinamenti indotti dalle convenzioni internazionali,
che hanno generato un patrimonio costituzionale comune e conseguentemente un costituzionalismo
globale senza limiti geografici e politici caratterizzato da costituzioni infinite; tutto ciò ha portato allo
sviluppo di una governance transnazionale che ha ridimensionato la sovranità degli Stati anche in
relazione all’attività di istituzioni come WTO, BIRS, IMF, ASEAN, NAFTA, ecc. Crescente è il ruolo
assunto dalle sedi informali di cooperazione intergovernativa (G8, G20): tutto ciò è anche collegato con
la governance globale dell’economia. Per concludere, il processo di costruzione di un ordine globale ha
molti problemi ed esiste una difficoltà a radicare i principi del costituzionalismo a causa di vari fattori
(sociali, culturali). Si sta verificando inoltre una mondializzazione dell’Islam, una crescita della influenza
economica delle Tigri Asiatiche, in relazione a ciò bisogna parlare non di un’unica globalizzazione ma di
una pluralità di globalizzazioni e di competizione tra diversi attori della globalizzazione.

4) Altre nozioni di costituzione


L’idea di costituzione che emerge dal costituzionalismo, secondo Morbidelli, non permette però
di afferrare un’altra prospettiva dalla quale spesso la Costituzione viene guardata: la costituzione è
l’insieme delle norme che regolano la produzione di altre norme o, come dicono i tedeschi, la
costituzione è una Grundnorm che si pone come matrice inespressa di tutto l’ordinamento. Tuttavia la
prospettiva del costituzionalismo è importante e non va rigettata perché in molte costituzioni, come
quella italiana, si ritrova la sua principale assunzione: cioè il principio della supremazia normativa della

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costituzione, ovvero la collocazione della costituzione al vertice della gerarchia delle fonti (anche se
questo era già un prodotto del costituzionalismo americano). Vanno invece rigettate le posizioni di chi
identifica la costituzione con l’intera organizzazione della comunità e dunque con tutto il diritto
(comprese consuetudini, sentimento politico, storia) e la tesi di Lassalle, secondo il quale la costituzione
formale di uno Stato è un semplice pezzo di carta, mentre la vera costituzione è data dall’esercito e dai
cannoni di cui il Governo di ogni Paese dispone.

4.1) Costituzione formale e costituzione materiale


Fondamentale è la distinzione tra costituzione formale e costituzione materiale. Per
costituzione formale si intende il testo (generalmente scritto o in una serie di consuetudini accertate)
costituzionale approvato dall’Assemblea costituente o da altro organo a ciò competente, ed
eventualmente modificato secondo le procedure espressamente previste a tal fine. Per costituzione
materiale possiamo invece intendere la definizione data da Mortati, secondo il quale essa sarebbe
identificabile con i fini politici di una comunità e/o con le forze sociali e politiche in essa dominanti.
«La costituzione materiale è quella costituzione che, partendo dalla costituzione formale (e dunque non
disattendendola), la integra con le decisioni politiche fondamentali in cui si riconoscono le forze della
comunità (istituzioni sociali e pubbliche)»: esprime dunque il valore fondamentale che sorregge la
costituzione materiale.
Il concetto di costituzione materiale ha il merito di sollecitare l’analisi giuridica al di là delle
disposizioni formali e scritte delle norme per guardare e capire quali sono le forze reali che determinano
il formarsi e il vivere dell’ordinamento; tuttavia il richiamo alla nozione di “fine politico fondamentale”
(Mortati) potrebbe arrecare instabilità al sistema costituzionale stesso, perché è chiaro che i fini politici
fondamentali cambiano di periodo in periodo storico. La conseguenza da scongiurare sarebbe quella
che le norme della costituzione materiale, in quanto «fini politici fondamentali precisamente collocati
spazio-temporalmente», prevalgano sulle norme della costituzione formale, in quanto in questo senso
propendono le forze politiche dominanti. Del resto basta notare che spesso, di fronte a stravolgimenti
della costituzione o a violazioni della costituzione o anche di fronte a reati (come il finanziamento
illecito ai partiti) ci si è appellati alla costituzione materiale. Il rischio quindi è quello di far prevalere il
fatto sul diritto. Ma ciò non può avvenire: la costituzione materiale non può prevaricare la costituzione
formale, essa al massimo può avere un’importante funzione interpretativa. Si dice che la costituzione
materiale faciliti infatti un’interpretazione evolutiva del dettato costituzionale. Non solo: se la
costituzione materiale altro non è che l’insieme delle decisioni più importanti e della communis opinio delle
forze pubbliche dominanti, allora essa serve anche a individuare i “valori” dominanti, o i
“superprincipi” della costituzione: la costituzione materiale diventa allora il fattore ordinante di una
“gerarchia” all’interno della stessa costituzione. Per esempio la superimportanza dell’ambiente non
nasce da una particolare decisione politica dei nostri Padri Costituenti, che anzi quando nell’art. 9 cost.
intendevano tutelare il paesaggio lo intendevano come pura e semplice “bellezza naturale”: nasce
piuttosto dall’emergere, a causa dello sviluppo industriale, della evoluzione dei consumi, dei mezzi di
trasporto, delle tecniche di produzione, delle conseguenti alterazioni ambientali ecc. Si può pertanto
dire che, nella costituzione formale, la previsione per cui la Repubblica tutela il paesaggio è una
disposizione come tutte le altre, mentre nella costituzione materiale (cioè la costituzione letta anche
secondo le teorie dei valori e le esigenze sociali) è una supernorma che agisce anche sul contenuto del
bene protetto. In conclusione, la costituzione materiale non è dunque un qualcosa di diverso dalla
costituzione formale e tanto meno un qualcosa che passa sopra di essa e la schiaccia sotto il peso di
regole di forza o della mera convivenza politica.

5) Nozione di potere costituente

La nozione di costituzione si precisa e si chiarisce attraverso il suo momento genetico, cioè


come nasce.

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5.1) Definizione e caratteri


La costituzione non si basa su una norma esistente, ma solo su di una volontà politica
dotata di una particolare forza: tale volontà politica è appunto il potere costituente. Una caratteristica
tipica del potere costituente è la sua originarietà, il che significa che si legittima in via di fatto. Che il
potere costituente sia originario significa che ogni decisione successiva presa dopo che il potere
costituente si è esaurito è sempre espressione di potere costituito, anche se riguarda una revisione
totale o parziale della stessa costituzione, e ciò in quanto è una decisione già prevista e regolata dalla
costituzione. Infatti, il potere costituito opera seguendo e interpretando le indicazioni date dal potere
costituente: è dunque un potere soggetto a seguire regole predeterminate, mentre il potere costituente è
libero e non irreggimentato in forme prestabilite.
Nei fatti, a livello storico-empirico, il potere costituente è appartenuto al Sovrano o ad una
oligarchia o ad un potere esterno allo Stato (pensiamo alle costituzioni imposte dagli Stati occupanti in
tempo di guerra). Secondo la teoria del costituzionalismo e il giusnaturalismo, il potere costituente
appartiene al popolo, in quanto espressione di sovranità: tra i primi documenti, è la cost. francese del
1793 che stabilisce il potere costituente a favore del popolo (“Un popolo ha sempre il diritto di
rivedere, riformare e modificare la sua costituzione”); ne consegue che il potere costituente è:

- Inviolabile;
- Irrevocabile;
- Non trasmissibile.

Quando esiste già una costituzione, il potere costituente si esprime sopprimendo la vecchia costituzione
e ponendone una nuova, oppure modificando la vecchia nei suoi principi fondamentali: tali modifiche,
in quanto non previste dalla precedente costituzione (e anzi essendo da essa vietate) non possono
definirsi manifestazione di potere costituito.

5.2) Le matrici ideologiche del potere costituente


Sono strettamente legate alla teoria del potere costituente quella del contratto sociale, quella
della sovranità popolare, quella del diritto di resistenza. Vi sono state diverse letture del potere: chi,
come i padri costituenti americani ha enfatizzato la provenienza popolare, chi l’ha configurato come
particolare espressione della nazione di trasformare il proprio diritto naturale in leggi fondamentali di
composizione del potere politico (Sieyès), chi l’ha visto come espressione della capacità ordinatrice del
popolo , in cui non si conoscono né giudici né leggi (Schmitt). Tutte queste teorie convergono su un
dato: che il potere costituente esprime una situazione fattuale che però si autolegittima in virtù del
proprio affermarsi e che si compendia nella situazione formale per cui il potere stesso non è legale (nel
senso che non è conforme all’ordinamento vigente), ma è legittimo (perché fondato sulla legge
“superiore”).

5.3) Giustificazioni del potere costituente


Ma come si giustifica la manifestazione concreta della sovranità popolare come potere
costituente che, al momento in cui si esprime, è antigiuridica, o comunque non conosce limiti giuridici?
Si giustifica quando il nuovo ordinamento giuridico diviene effettivo, cioè acquisisce riconoscimento e
stabilità presso i consociati. Questo potrebbe avvenire attraverso dei meccanismi di consenso anche
formale, ad esempio il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 in Italia o il referendum di
approvazione della costituzione in Francia nella IV e nella V Repubblica: attraverso questi meccanismi
quello che fino a quel momento era semplicemente un fatto viene giustificato con una formale
decisione del popolo. Invero, proprio perché sorge e si afferma in via di fatto, la volontà costituente del
popolo non è riconducibile a nessun procedimento formale. Per questo la teoria del potere costituente è
stata più volte criticata sotto il profilo giuridico; essa tende a giustificare ciò che non è giustificabile:
secondo alcuni infatti la costituzione, che è regola giuridica fondamentale, non può nascere da
un’attività antigiuridica.

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5.4) Varietà dei procedimenti costituenti


Non è possibile rintracciare un diritto che regoli i vari momenti in cui si svolge l’istaurazione del
nuovo regime. Il potere costituente non presenta forme predeterminate per manifestarsi (Sieyès). A
livello storico, si è visto, che nel procedimento costituente l’iniziativa appartiene a una autorità
straordinaria, che può essere:

- Un organo ad hoc, costituitosi per svolgere tale ruolo (come un’ Assemblea costituente);
- Un organo previsto dalla costituzione vigente ma che, comunque, acquista la natura di
organo straordinario perché elabora ed esprime la decisione politica di mutare, non secondo
forme previste dall’ordinamento, la costituzione.

In entrambi i casi, si verifica un’assunzione, in via di fatto, di poteri che non sono contemplati
dall’ordinamento costituito, cioè dall’ordinamento vigente.
Esempi di organi straordinari sono stati : governo provvisorio che venne formato nel 1848 in
Francia da Ledru-Rollin in un clima di rivolta contro Luigi Filippo d’Orleans, il governo della difesa
nazionale in seguito alla sconfitta nella battaglia di Sédan del 1870, il governo provvisiorio di Ebert in
Germania nel 1918, così come il governo provvisorio della Cecoslovacchia che riunì a Praga un
assemblea nazionale che approvo prima una costituzione provvisoria e poi una definitiva; poi abbiamo
il caso del maresciallo Piłsudski in Polonia con il suo governo provvisorio; in Spagna nel 1931 fu
costituito un governo provvisorio che proclamò la repubblica e la cortes costituente . altri casi più vicini
sono la Romania in seguito alla fine della dittatura di Ceauçescu che ha portato all’affermarsi del
consiglio del fronte di salvezza nazionale. Nel 2006 in Nepal, in seguito all’accordo tra i ribelli maoisti e
il governo centrale è stata formata un’assemblea costituente incaricata di scrivere una nuova
costituzione , approvata dal parlamento nepalese nel 2007. Situazioni analoghe si rinvengono anche nei
processi di peace building, come nel caso di Kosovo e Timor Est, dove l’ONU ha svolto poteri di
governo in vista dell’indipendenza della zona. Può anche avvenire che gli organi del precedente
ordinamento costituzionale decidano di convocare un’Assemblea costituente assumendo il potere
costituzionale. Alcuni casi: Stati Generali nella Francia del 1789 che assumono il nome di assemblea
nazionale e hanno poteri costituenti; Governatore generale della Norvegia nel 1814 che decretò
l’elezione generale per la formazione di una assemblea costituente composta da rappresentanti scelti
direttamente dal popolo; nel 1999 Chavez (Venezuela) ha indetto un referendum consultivo per la
convocazione di un assemblea costituente( ciò non è previsto dalla costituzione). Tra i casi intermedi
abbiamo: Austria 1918, i 210 membri tedeschi della camera dei deputati della vecchia monarchia si
costituiscono come rappresentanti di tutta la nazione tedesca d’Austria, in assemblea nazionale
provvisoria, con il compito di preparare una nuova costituzione da sottoporre all’assemblea costituente.
La costituzione del Sudafrica del 1996 nata da una negoziazione articolata tra governo e organizzazioni
politiche espressione delle etnie.
Altra modalità di modifica costituzionale possono essere anche i vecchi organi, attraverso un loro
radicale rinnovamento, ma seguendo la procedura di revisione “costituita”, a dare luogo a nuove
costituzioni: ad esempio, in tutti i Paesi dell’Est, con l’ eccezione di Romania e Russia, le nuove
costituzioni sono state approvate attraverso le procedure di revisione previste dai precedenti
ordinamenti socialisti. La funzione dell’autorità straordinaria che assume l’iniziativa costituente, di
norma, è quella di preparare l’Assemblea costituente, e dunque predisporre la legislazione o di quanto
necessario per l’elezione di tale Assemblea. Di solito tale assemblea ha solo la funzione costituente, al
massimo si aggiungono (come è avvenuto in Italia nel 1946-47) funzioni accessorie. Nel frattempo il
titolare dell’iniziativa si autoqualifica come Governo provvisorio e accentra nelle sue mani sia il potere
esecutivo in senso stretto sia, in base al principio di necessità e di urgenza, il potere legislativo.
Le regole sulla composizione dell’Assemblea e sulla procedure da seguire sono diverse di volta
in volta, anche se –secondo il principio di sovranità popolare– la composizione deve fondarsi su libere
lezioni a suffragio universale. Come abbiamo già ricordato, non sempre l’approvazione da parte di
un’Assemblea rappresentativa conclude il procedimento costituente: molto diffusa è infatti la “ratifica”

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della costituzione a mezzo di referendum popolare. Ciò avvenne per la prima volta con la costituzione
del Massachusetts del 1780 e poi con le costituzioni francesi della Rivoluzione e alcune napoleoniche.
Anche il Trattato di Lisbona ha richiesto l’approvazione finale da parte dei cittadini di alcuni degli Stati
membri. In generale comunque, l’approvazione di un nuovo testo costituzionale tramite referendum
costituisce una prassi diffusa nei processi di transizione politica post-bellica: ad esempio, la costituzione
irachena del 2005 prevede la propria entrata in vigore a seguito dell’esito favorevole di un referendum
popolare.

5.5) Tendenze verso la giuridicizzazione del potere costituente


Non sempre il “potere costituente” come rottura o discontinuità costituzionale con il
precedente regime è la via usata per la costruzione di un nuovo ordine costituzionale. Alcune
costituzioni disciplinano infatti espressamente la revisione totale della costituzione (Austria,
Bulgaria, Spagna, Svizzera). Non molto diverso dall’istituto della revisione generale era la previsione
della nostra legge costituzionale 1/1993 che introduceva un procedimento costituente ad hoc volto a
revisionare tutta la parte II della costituzione, nonché la legge cost. 1/1997 che istituiva una
“Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”. Queste norme, che prevedono
espressamente la revisione totale della costituzione, tendono a far sì che il potere costituente non si
identifichi come una transizione “dal nulla” o dal mero fatto alle norme giuridico, ma si configuri
piuttosto come un adeguamento della costituzione agli eventuali mutamenti rilevanti sull’identità
culturale della comunità regolato in maniera democratica (Haberle). Se infatti la tesi tradizionale postula
che il potere costituente non incontra limiti giuridici in quanto incontra al massimo solo quei limiti che
il detentore del potere stesso intende osservare, nell’ottica del costituzionalismo, al contrario, il potere
costituente incontra dei limiti rappresentati soprattutto dal rispetto dei diritti fondamentali e dal
principio della sovranità popolare: limiti che tendono ad “imbrigliare” il potere costituente.
Le norme relative alla revisione sono da considerarsi appunto come tali “briglie”. Così, si dice, il
potere costituente si giuridicizza, cioè appunto viene regolato da norme giuridiche. Si tratta di
un’aspirazione “razionale” a prevenire rotture rivoluzionarie e a garantire una continuità istituzionale,
pur nell’ipotesi di rovesciamento dei valori di fondo della costituzione. Secondo Morbidelli è
ragionevole prevedere che il modello delle “revisioni totali” della costituzione abbia una crescente e
rapida diffusione pratica, specie in occidente. Anche quasi tutte le nuove costituzioni degli Stati ex
comunisti sono state il risultato di procedure “legali”, in quanto messe in atto dagli organi istituiti
secondo le precedenti costituzioni. Certo a questo punto sorge spontanea la domanda se, quando la
revisione è prevista in costituzione, si tratti di effettivo potere costituente, in quanto “non riposa sul
mero fatto”. La risposta? Dipende: se si segue la tesi tradizionale per cui li potere costituente si svolge
non secondo le forme previste dall’ordinamento e si prende come punto di riferimento la costituzione
formale, la risposta è negativa; se invece si tiene presente la costituzione materiale come insieme dei
principi di fondo della costituzione ricavabili attraverso la decisione costituente o i valori in cui si
riconoscono le forze politiche e sociali dominanti, la risposta è affermativa. Da qui l’uso polivalente del
concetto di potere costituente, a seconda che si abbia come riferimento la costituzione formale o la
costituzione materiale.

6) Classificazione delle costituzioni

Una prima classificazione delle costituzioni è data dal modo in cui esse vengono formate.

6.1) Secondo il loro formarsi


Le costituzioni possono nascere ovviamente in vari modi. Quando il potere costituente viene
esercitato dal popolo parleremo di costituzioni popolari, in quanto espressione della sovranità popolare
che individua e designa l’autorità costituente (e talvolta conferma anche il risultato della costituente con
referendum). Altre origini delle costituzioni possono essere:

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1) Costituzioni concesse od ottriate: sono quelle frutto di un autolimitazione del Sovrano,


che concede la “costituzione”. La tipica costituzione del genere è lo Statuto Albertino del
1848, ma anche molte delle altre costituzioni concesse nel nostro Paese nello stesso anno;
2) Costituzioni pattizie: si fondano sull’accordo tra Re e Assemblea rappresentativa del
popolo (costituzione francese 1830; Svezia 1809, Prussia 1850).
3) Costituzioni plebiscitarie: si intendono quelle costituzioni approvate dal popolo con un
plebiscito, il che significa da un lato che provengono da un potere estraneo nel senso che
non è direttamente rappresentativo del popolo, e dall’altro che non vi è carenza di dibattito
democratico e di alternativa, per cui la consultazione popolare è ampiamente condizionata
(Iran 1979, Argentina 1976, Grecia 1968, Cile 1980)
4) Costituzioni eteronome, imposte o provenienti da un ordinamento esterno: si hanno a
seguito di eventi bellici o in correlazione con la concessione di indipendenza. Ad esempio le
costituzioni delle Repubbliche giacobine italiane, le cost. delle democrazie popolari del ‘46
che vennero redatte secondo il modello della costituzione staliniana del ‘36, costituzione
giapponese del ‘46 redatta seguendo un modello imposta dalla forza alleata di occupazione,
la Legge Fondamentale tedesca del ‘49, i cui principi fondamentali sono stati dettati dalle
potenze alleate occupanti. Così come possono essere considerate costituzioni imposte
quelle più recenti di Iraq (2005) e Afghanistan (2004). Entrambe queste costituzioni infatti,
mutano la precedente forma di governo dei rispettivi Paesi e introducono elementi di
federalismo e presidenzialismo cari soprattutto alla tradizione politica statunitense (ossia
quella dell’occupante), ma estranea a quella locale. In Iraq a seguito dell’occupazione anglo
americana viene redatta la TAL (Transitional Administrative Law) che era una costituzione
ad interim. La tal è stata sostituita dalla costituzione del 2005, il cui testo è stato adottato da
un organo indirettamente eletto dai cittadini iracheni e approvato mediante referendum.
L’Iraq si caratterizza per molte esperienze di costituzioni provvisorie (1958,64,8,70). La
costituzione del 2004 senza dubbio è stata imposta; anche quella del 2005 ha avuto
interferenze esterne: è stata la TAL a prevedere infatti modi e tempi delle elezioni
parlamentari e l’adozione di un nuovo testo costituzionale, la minoranza sunnita non ha
avuto modo di partecipare alla stesura del nuovo testo che però ha avuto il diritto di
revisione del testo.

Altre volte la costituzione è di derivazione esterna, ma in virtù di accordi internazionali: il caso


classico è quello della costituzione di Cipro, redatta sulla scorta di un Trattato tra UK, Grecia e Turchia.
Infine, diverse dalle costituzioni imposte sono le costituzioni condizionate (o parzialmente imposte):
si tratta di quelle ipotesi in cui la libertà del potere costituente non è illimitata ma è, invece, condizionata
da accordi internazionali (ad esempio la costituzione di Weimar del 1919 doveva tener conto dei vincoli
imposti dal Trattato di Versailles).

6.2) Costituzioni rigide e costituzioni flessibili


Un’ulteriore e classica distinzione è quella tra costituzioni rigide e costituzioni flessibili: si
definiscono rigide quelle costituzioni che per essere modificate richiedono procedure aggravate, cioè
più complesse di quelle che si richiedono per l’approvazione delle leggi ordinarie. Al contrario le
costituzioni flessibili sono quelle modificabili anche con leggi ordinarie. Esempi: è rigida la
costituzione degli USA, così come lo era la costituzione del Belgio del 1831, così come sono rigide tutte
le più importanti costituzioni del XX secolo. Al contrario, costituzioni flessibili sono lo Statuto
Albertino del ‘48 o, attualmente, la costituzione inglese, della Nuova Zelanda, del principato di Monaco,
e, in parte, quella di Israele (che è composta da più leggi fondamentali).
Come abbiamo già avuto modo di dire, la rigidità è una caratteristica del costituzionalismo,
in quanto non solo garantisce durata e stabilità, ma dà una particolare forza al prodotto del potere
costituente, forza che si esprime in primo luogo come superiorità gerarchica rispetto a tutte le altre
fonti. E infatti gli esempi del 1800 di costituzioni flessibili sono la conseguenza di fasi di involuzione
del costituzionalismo, nel seno che si trattava di costituzioni concesse dal Sovrano; non a caso tali

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costituzioni erano solitamente definite “carte” o “statuti” e anche questa terminologia è sintomatica
dell’involuzione rispetto al valore mistico che lo stesso termine “costituzione” aveva assunto sulla
spinta delle ideologie rivoluzionarie. Infine, dice Morbidelli, il fatto che la costituzione inglese sia
flessibile non significa che sia più facilmente modificabile: se si tiene conto del modo in cui la
costituzione inglese si è originata e si è formata, ci si avvede che la costituzione della Gran Bretagna
è più rigida di quelle del continente. Essa infatti, non essendo contenuta in un solo testo scritto ma
in una serie di leggi nate a seguito di conflitti, tensioni e molto sangue popolare versato, per essere
modificata non richiede procedure formali aggravate, ma un largo consenso o, meglio ancora, occorre
che le nuove norme siano acquisite nello spirito nazionale che crede fortemente nelle proprie
istituzioni. «Se la costituzione è frutto di un lungo processo naturale, è evidente che per modificarla
occorre seguire processi della stessa natura». In aggiunta, nella costituzione inglese si ravvisano
principi assolutamente non modificabili rappresentati da leggi come l’Habeas Corpus del 1679 e il Bill
of Rights del 1689, o da consuetudini come il judicial review e la sovranità parlamentare. Ecco perché in
Gran Bretagna non si parla di costituzione rigida e non esiste una Corte costituzionale: perché non si
ritiene di avere bisogno di tali strumenti formali, che stanno a guardia di costituzioni frutto di processi
razionali, e ciò in quanto la costituzione è un “valore” che viene continuamente sentito, praticato,
rispettato. Ma è evidente che anche qui, quando si parla di maggiore rigidità in via di fatto della
costituzione britannica rispetto alle altre costituzioni europee abbandoniamo la nozione di costituzione
in senso formale, e abbracciamo quella di costituzione in senso materiale.
Al contrario, sempre secondo la concezione materiale, le costituzioni degli Stati socialisti, per
quanto sulla carta “rigide”, di fatto non lo erano, data l’egemonia del partito comunista che era in grado
di modificare agevolmente la costituzione.

6.3) Costituzioni scritte e costituzioni consuetudinari


Un’altra distinzione classica è quella tra costituzioni scritte e costituzioni consuetudinarie.
Costituzioni consuetudinarie sono quelle che nascono dal ripetersi e dal consolidarsi di usi e di
tradizioni che a un certo punto sono sentiti come vincolanti e che si amalgamano e integrano con leggi
formali. Esempio tipico è la costituzione britannica, ma nel passato erano molte di più. Come
parzialmente detto la costituzione inglese non è formata solo da consuetudini ma anche da leggi: il Bill
of Rights 1689, l’Act of Settlment del 1701, lo Scotland Act del 1706, il Parliament Act del 1911, lo Statute of
Westminster del 1931, lo Human Rights Act del 1998, lo Scotland Act del 1998, lo House of Lords Act del
1999. È pertanto preferibile classificare la costituzione inglese come costituzione organica o storica o
cumulativa, per evidenziare il suo formarsi tramite l’accumulo graduale di leggi, consuetudini, tradizioni,
atti.
Del resto, va capito che se oggi sembra scontato che la costituzione debba essere scritta a
salvaguardia dei contenuti e della chiarezza della costituzione, così non era in passato: quest’esigenza di
affermò prima negli Stati del Nord America e in Francia quando si avvertiva la necessità di rompere
drasticamente con il passato. Se infatti la costituzione inglese era il frutto della storia, le costituzioni dei
nuovi stati americani non potevano fare propria la storia della madrepatria, che era proprio il Paese dal
quale si distaccavano: potevano sì prendere a modello istituzioni e principi, ma recependoli e
integrandoli in un documento solenne, nascente dalla loro sovranità. In Francia poi la nuova
costituzione significava abolizione dell’ Ancièn Regime. Anche il pensiero illuminista e le sue esigenze di
razionalità, certezza del diritto, eguaglianza e conoscibilità contribuivano ad affermare le costituzioni
scritte. La costituzioni scritta è garanzia delle libertà e delle proprietà, è segno tangibile e positivo delle
garanzie verso lo Stato e i suoi poteri, è frutto di conquista politica e, dunque, il segno di una libertà
dallo Stato. La Costituzione scritta è però anche libertà attraverso lo Stato.

7) Il contenuto delle costituzioni

Un’altra distinzione è quella che riguarda costituzioni brevi e costituzioni lunghe. Brevi sono
le costituzioni che disciplinano le competenze e l’assetto degli organi di vertice dello Sato e al massimo

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si limitano a enunciare le libertà fondamentali che la costituzione garantisce. Un chiaro esempio di


costituzione breve è la Costituzione americana, che comprende solo sette articoli (anche se divisi in
numerose sezioni). Essa non conteneva neanche le disposizioni riguardanti la libertà: furono i dieci
emendamenti del Bill of Rights (da non confondere con quello inglese) del 1791 a inserirle. Molte
costituzioni del 1800, tra cui lo Statuto Albertino, erano costituzioni brevi.
Successivamente, sotto la spinta del pluralismo e dell’inclusione nella vita politica delle nuove
classe sociali, le costituzioni hanno finito con il perdere la struttura sintetica di summa di principi, per
diventare complessi elaborati normativi, che talvolta sfiorano o superano i 300 articoli (costituzione
indiana, portoghese ecc.). Non solo, molte costituzioni, specie degli Stati di più recente indipendenza,
sono intrise di dichiarazioni ideologiche e di programmi, che le rendono ancora più corpose. Alcuni
sostengono che la costituzione breve è una garanzia per i cittadini, che così sono più facilmente in
grado di comprenderla e di portarla con sé; tuttavia si deve contestare l’idea che la costituzione breve
sia più chiara, perché più la costituzione è breve e più può essere sottoponibile a (diverse e talvolta
fuorvianti) interpretazioni. D’altronde nelle attuali società pluralistiche e diversificate, costituzioni brevi
come quella statunitense non sono più concepibili. Da non confondere con la costituzione breve è la
c.d. costituzione piccola, termine con cui si definisce una costituzione che regola i rapporti
fondamentali tra i poteri dello Stato e che anticipa la costituzione vera e propria.

7.1) I diritti fondamentali: categorie e garanzie


Nella ricostruzione della nozione di costituzione assumono un ruolo centrale il riconoscimento
e la tutela dei diritti fondamentali, che nella concezione di fondo del costituzionalismo e in particolare
in quello americano vengono addirittura prima della costituzione, in quanto costituiscono un
patrimonio soggettivo proprio e inalienabile dei cittadini. Anzi, il potere legislativo nascerebbe proprio
dai diritti: le costituzioni, di solito, non stabiliscono i diritti, bensì li riconoscono. Tra i diritti oggetto di
garanzie costituzionali distinguiamo:

- Diritti tradizionali, cioè le libertà negative o libertà “da”, che vengono rispettati quando
lo Stato non impone, limita o vieta alcuni comportamenti. Ad esempio, la libertà personale,
le libertà di religione, di manifestazione del pensiero, di stampa, di sicurezza, ecc. Sono i
diritti del Bill of Rights della costituzione federale americana, che ha largamente influenzato il
costituzionalismo classico. Alcune costituzioni – come la nostra – definiscono tali diritti
“inviolabili”, nel senso che essi non possono essere “svuotati” o “eliminati” da parte dei
pubblici poteri (inviolabilità “negativa”); e hanno anche un’immediata efficacia erga omnes
(inviolabilità positiva);
- Libertà positive (o libertà di) che comprendono l’insieme di quei valori diretti a garantire
l’autonomia dell’individuo nella vita di relazione, cioè lo svolgimento della personalità nei
rapporti politici e in quelli economico-sociali. Rientrano in tale categoria i diritti politici ei
diritti sociali (o diritti “ a prestazioni dello Stato). I diritti sociali sono stati contenuti per
primi dalla costituzione di Weimar del 1919 e poi sono passati nelle costituzioni del secondo
dopoguerra (Italia, Germania federale, Spagna). L’attuazione di tali diritti richiede un
intervengo positivo dello Stato.
- Diritti della terza generazione, o diritti nuovi: all’ambiente, all’informazione, alla tutela
della privacy, all’obiezione di coscienza, alla protezione dei consumatori, alla tutela da
manipolazioni genetiche.

Tutti questi diritti sono gli elementi costitutivi dell’intero quadro costituzionale e rappresentano le
categorie a priori della democrazia pluralistica. Il riconoscimento e la tutela dei diritti dell’uomo stanno
alla base delle costituzioni democratiche moderne. Senza di essi, infatti, la democrazia non solo non
può funzionare, ma non può neppure essere concepita. Ovviamente i diritti non devono solo essere
previsti dalle Costituzioni: sono necessarie vere e proprie garanzie di tutela ed effettività di tali
diritti. Ovviamente le costituzioni odierne, sotto questo profilo, si distaccano e di molto dalle
costituzioni ottocentesche, dove le garanzie dei diritti dell’uomo erano riassunte nella formula dello

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“Stato di diritto”. Lo Stato delle democrazie pluralistiche (cioè lo Stato odierno) è invece uno “Stato
costituzionale” (Haberle).
La carta dei diritti fondamentali dell’UE tutela una serie di diritti fondamentali riconducibili a principi
quali dignità, uguaglianza solidarietà. La carta ha assunto valore direttamente precettivo solo dal
dicembre del 2009 in quanto prima era rafforzativa dei diritti riconosciuti negli ordinamenti degli Stati
dell’UE.
I diritti di cui abbiamo parlato sono alla base della democrazia pluralistica: ciò che conta oltre
all’enunciazione di tali diritti è la garanzia di tutela effettiva. Nelle democrazie ottocentesche le garanzie
dei diritti dell’uomo erano riassunte nella formula “stato di diritto”, ciò consisteva in cinque principi:

- Lo stato deve limitarsi a garantire i cittadini da abusi e torti;


- Le libertà individuali non sono illimitate, i limiti possono essere posti solo dalla
legge;
- I poteri pubblici devono essere tra loro divisi;
- Devono esserci indipendenza, forme di controllo e di bilanciamento fra i poteri;
- I singoli hanno la possibilità di ricorrere a giudici indipendenti per vedersi assicurata
la garanzia costituzionale dei diritti.

Lo stato delle democrazie pluralistiche è uno stato costituzionale. In esso i principi del
costituzionalismo tradizionale sono sottoposti a tutta una serie di “rafforzamenti”: i diritti fondamentali
possono essere limitati dalla legge (principio della riserve di legge), ma la legge non può disporre limiti
che non siano espressamente previsti nella costituzione; in secondo luogo, la divisione dei poteri si
trasforma nella ripartizione della sovranità tra una pluralità di poteri tra loro indipendenti o autonomi;
in terzo luogo, nello “Stato costituzionale” è prevista una giurisdizione costituzionale dei diritti
fondamentali, nel senso che sia l’attività legislativa di limitazione dei diritti, sia l’applicazione di tali limiti
ad opera dei giudici, dovendo essere conformi alla costituzione, sono sottoposte alla possibile verifica di
un giudizio di legittimità costituzionale.
Un ruolo primario nella garanzia dei diritti è svolto dall’interpretazione costituzionale, di cui un
esempio è la corte suprema Usa per quanto riguarda le garanzie sulle libertà fondamentali: va ricordata
l’evoluzione sui temi di uguaglianza raziale, aborto, libertà di stampa, accesso alla giustizia, normativa
antiterrorismo (sentenze del 2004-2006-2008); anche la corte costituzionale gioca un ruolo importante.
Inoltre soprattutto per quanto concerne i diritti sociali è indispensabile un corretto funzionamento
dell’amministrazione e della giurisdizione per avere la garanzia dell’effettività dei diritti.

8) Preamboli e norme programmatiche delle costituzioni


Di norma le Costituzioni contengono, prima delle disposizioni vere e proprie, dei “preamboli”
in cui si esprimono gli obiettivi della costituzioni, i programmi e le ideologie caratterizzanti la
costituzione.

8.1) Preamboli
Esempi di questi preamboli sono nella costituzione statunitense, dove si richiama la derivazione
popolare della costituzione (“Noi popolo degli Stati Uniti…decretiamo e stabiliamo questa costituzione
degli Stati Uniti d’ America”) o in quella di Weimar che richiama la “volontà del popolo tedesco”. Il
preambolo, che sovente si riferisce a dati trascendenti (richiamando ad esempio le divinità), cui si
aggiungono presupposto politici, storici, ideologici ecc. proclama il nuovo ethos statale, cioè i fini
ultimi della costituzione, e perciò si esprime in forma solenne. Vi sono dei preamboli che
stabiliscono, anche se in estrema sintesi, alcuni principi costituzionali e politici: essi possono essere
quindi definiti dei concentrati della costituzione. In ogni caso, è da escludere che i preamboli esprimano
norme precettive, cioè comandi puntuali ed immediatamente eseguibili.

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8.2) Disposizioni programmatiche


I preamboli hanno punti di contatto con le disposizioni programmatiche. All’interno delle
costituzioni distinguiamo tra norme precettive e norme programmatiche: le prime hanno un
contenuto concreto e puntuale, cioè immediatamente applicabile senza necessità di alcuna
interposizione legislativa; le seconde invece (i c.d. “State goals”) si limitano al contrario a porre obiettivi
che devono essere sviluppati dal legislatore e in genere dalle istituzioni. Norma precettiva è nel nostro
ordinamento, l’art. 21, comma 2 della Costituzione: «la stampa non può essere soggetta a limitazioni o
censure. Qualsiasi misura contraria è quindi incostituzionale». Norma programmatica è invece l’art. 4:
«la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono
effettivo questo diritto». È importante dire che, se le norme programmatiche necessitano di
svolgimento, ciò non vuol dire che non abbiano alcuna efficacia: al contrario l’inclusione nel testo
costituzionale ne determina una efficacia cogente verso legislatori, amministratori, giudici, anche se la
precettività non opera direttamente ma in via di riflesso sui soggetti che si vengono a trovare in rapporti
con tali norme.
Per chiarire: i diritti sociali sono definiti condizionati, in quanto presuppongono per il loro
effettivo godimento l’esistenza di strutture organizzatorie indispensabili all’erogazione delle prestazioni
garantite, sicché il come e il quando assicurare in concreto quei diritti è rimesso alla discrezionalità del
legislatore; tuttavia lo Stato costituzionale deve far sì che i diritti possano essere goduti effettivamente da
tutti e non soltanto da pochi privilegiati. In secondo luogo le norme programmatiche sono il veicolo
principale (anche se non l’unico) dell’interpretazione evolutiva della costituzione. Va comunque tenuto
presente che la legislazione contrastante con le norme programmatiche è da ritenersi incostituzionale.
Nella costituzione spagnola (cap. III parte II) vi è uno spazio dedicato ai principi informatori
della politica sociale ed economica: «tutti gli spagnoli hanno diritto di fruire di un’abituazione degna ed
adeguata (art.47)»
I diritti sociali (previsti appunto dalle norme programmatiche) sono da considerare condizionati
in quanto per essere effettivamente goduti hanno bisogno di strutture che garantiscono ciò. Il tribunale
costituzionale tedesco ha messo in luce che la garanzia concreta dei diritti sociali è posta non solo sotto
la riserva del possibile o del ragionevole ma anche sotto la pretesa del reale. Lo stato costituzionale deve
fare si che i diritti possano essere goduti effettivamente da tutti e non soltanto da pochi privilegiati.
Qualora le clausole valvola, cioè quelle norme caratterizzate da un contenuto elastico (es.
solidarietà, partecipazione, fini sociali), siano violate da legislazione contraria, questo comportamento è
da ritenersi incostituzionale: importante è stata la giurisprudenza della Corte Costituzione nel tracciare
questo principio (sentenza 1/1956); questo principio è inoltre positivizzato anche nella costituzione
spagnola art. 53 c. 3.

9) Ulteriori definizioni di costituzione


Altre distinzioni che possono farsi tra le costituzioni sono quelle tra costituzioni contenute in
un unico testo, definite perciò costituzioni documentali o costituzioni unitestuali, e le costituzioni
rappresentate da più testi, cd costituzioni pluritestuali.

9.1) Costituzioni pluritestuali, costituzioni provvisorie, costituzioni instabili


Un esempio di costituzione pluritestuale è la costituzione del Canada, composta sia dalle legge
costituzionale del 1982, sia delle varie leggi indicate in allegato alla stessa legge, tra cui il British North
America Act del 1867, lo Statute of Westminster e numerose leggi e documenti relativi alle varie Province.
Anche le costituzioni di Nuova Zelanda e Israele e della III Repubblica francese (composta da 3 leggi
distinte del 1875) sono pluritestuali. In alcuni ordinamenti, alla costituzione scritta si affiancano una
molteplicità di leggi costituzionali e in questi casi si parla di costituzione frammentata: è il caso di
Austria e Svezia.
Possono esservi poi in via eccezionale costituzioni provvisorie: in genere ciò avviene in vista
di una costituzione più approfondita e completa per la quale i tempi non sono maturi. Ad esempio, il

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decreto legislativo n. 151 del giugno 1944 con cui il Governo italiano stabilì i presupposti e le procedure
per un nuovo assetto costituzionale è stato definito costituzione provvisoria; altri esempi di costituzioni
provvisorie sono state quella del Sud Africa (1993) e RDC (2003), rimasta in vigore fino al 2006.
Provvisoria sono la nuova carta nepalese e la mini costituzione ad interim thailandese (39 articoli,
entrata in vigore nel 2006 e rimasta fino al 2007). Provvisorio è stato il constitutional framework del
Kosovo adottato dall’UNMIK nel 2001 fino all’entrata in vigore della nuova costituzione nel 2008.
Talvolta si parla di costituzioni instabili laddove, soprattutto nei Paesi di recente indipendenza o
di incerta democrazia, lo scontro politico è sempre forte e ciò determina continue modifiche
costituzionali, anche attraverso procedure non legali.

9.2) Costituzione vivente, costituzione in senso sostanziale, costituzione bilancio, costituzione


programma
Molto spesso con la locuzione “costituzione materiale” si intende un significato diverso da
quello corretto, che è quello che si è visto qui in precedenza. Si confonde infatti “costituzione
materiale” con la più corretta espressione di “costituzione vivente”, cioè la costituzione così come
interpretata dalla giurisprudenza prevalente (in primis dalle sentenze della Corte Costituzionale) e come
integrata dalle consuetudini.
Costituzione in senso sostanziale indica invece tutto il complesso delle norme concernenti la
materia costituzionale secondo la tradizione, qualunque sia la fonte di tale materia, e dunque
comprende, oltre che la costituzione, le leggi costituzionali, le consuetudini costituzionali, leggi
ordinarie attinenti alle fonti, alla cittadinanza, al sistema elettorale, ai rapporti con le confessioni
religiose, alla stampa, alla radiotelevisione ecc.
Infine, da un punto di vista strettamente politico, si suole distinguere tra costituzioni bilancio
e costituzioni programma. Le prime sono quelle che rispecchiano e canonizzano la situazione
preesistente, conservano cioè, o al massimo razionalizzano, l’ordinamento esistente e stabilizzato. Le
seconde sono invece quelle che si propongono numerose e radicali trasformazioni e dunque sono
costellate di norme programmatiche.

Sezione II – Le dinamiche della costituzione

1) Il principio della revisionabilità e i suoi limiti

Seppure le costituzioni generalmente recano con sé un carattere di stabilità, tuttavia tale stabilità
non va interpretata come assoluta: la possibilità di revisionare le costituzioni è, anzi, una
caratteristica ineliminabile delle costituzioni stesse: ciò in virtù del principio già stabilito dall’art.
23 della cost. francese del 1793, secondo cui «un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e

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cambiare la propria costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni
future».

1.1) La revisione delle costituzioni flessibili


Ovviamente al revisione si atteggia in maniera diversa se la costituzione è rigida o flessibile.
Nelle costituzioni flessibili la revisione non incontra alcun limite; anzi, di solito in tali costituzioni la
revisione non è neppure regolata. Alcuni hanno sostenuto che tale “silenzio” sulla possibilità di
revisione sia da interpretare nel senso che la riforma della costituzione sarebbe radicalmente vietata,
proprio perché non prevista. Possiamo ricordare tra questi tipi di costituzione: le costituzioni francesi
del 1799, 1814, 1815, 1830, 1852; lo Statuto Albertino, le costituzioni spagnole del 1834, 1837, 1845,
1876. Ma tale interpretazione è insostenibile: le costituzioni devono potersi adattare alle variabili
concezioni politiche e sociali e seguirne il corso. Pertanto, in assenza di norme costituzionali in
proposito, si è dedotto che lo strumento per modificare anche le norme costituzionali si sarebbe dovuto
rinvenire negli organi dello Stato: da qui la revisionabilità attraverso la semplice legge ordinaria del
Parlamento. In Italia nello Statuto Albertino era dichiarato che lo statuto era legge fondamentale,
perpetua e irrevocabile della monarchia: le modifiche allo statuto per mezzo di leggi ordinario era da
considerarsi come prodotto di una consuetudine.

1.2) La revisione delle costituzioni rigide: i limiti sostanziali (di tempo, di circostanza,
di contenuto)
Nelle costituzioni rigide la revisione incontra (o può incontrare) sia limiti procedurali sia limiti
sostanziali. I limiti sostanziali sono di 3 tipi:

1) Di tempo;
2) Di circostanza;
3) Di contenuto.

I limiti temporali sono quelli per cui, per un determinato periodo di tempo è vietata la revisione della
Costituzione. Ad esempio la costituzione irachena del 2005 proibisce la revisione della prima parte del
testo costituzionale prima che siano completati “due cicli parlamentari”, mentre la costituzione serba
prevede un periodo minimo di 12 mesi prima di riproporre una modifica costituzionale
precedentemente respinta. Altri esempio possono essere la costituzione francese che non poteva essere
modificata prima di 10 anni; la costituzione di Cadice prima di 8 anni; casi di questo genere riguardano
anche le costituzioni latino americane (Paraguay 1879, Nicaragua 1911, Ecuador), le revisioni
costituzionali in Grecia non possono avvenire se non a distanza di 5 anni l’una dall’altra.
I limiti circostanziali sono rappresentati da quelle disposizioni della costituzione stesse ce
vietano la revisione in situazioni di emergenza e di tensione (tipo lo stato di guerra o d’assedio).
Disposizione di questo genere si rinvengono nelle costituzioni più vicine a noi (anni 2000)
dell’Afghanistan, della RDC, della Serbia e della Lituania, così come quelle più antiche (es. Francia 1946,
58 e Portogallo 1976)
Infine, la revisione costituzionale può incontrare dei limiti di contenuto: se le costituzioni sono
sempre modificabili (al di là degli appena visti limiti temporali e circostanziali), ciò non significa che
esse sono modificabili in ogni loro parte: ci sono punti delle costituzioni che non sono passibili di
revisione. I limiti di contenuto possono essere espliciti o impliciti: espliciti quando il divieto di revisione
è espressamente sancito dalla costituzione stessa (es: art.139 della nostra costituzione stabilisce che «la
forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»; l’art. 3 della costituzione di
Cuba afferma la “irrevocabilità” del socialismo e del sistema politico e sociale rivoluzionario stabilito
dalla costituzione). Altri esempi: costituzione della Repubblica Ceca nella quale non possono essere
modificate le caratteristiche dello stato di diritto o la costituzione del Brasile che sottrae al potere di
revisione la separazione dei poteri, i diritti e le garanzie individuali, la costituzione della Romania che
non permette di modificare la revisione del carattere unitario, indivisibile e indipendente.

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Per quanto riguarda i limiti impliciti, si ritiene che la costituzione li includa, a meno che non sia
la stessa costituzione a dichiarare espressamente che non c’è alcun limite al potere del Parlamento di
modificare qualsiasi disposizione costituzionale: in questi casi è infatti la stessa costituzione che
riconosce la sua emendabilità senza alcun limite di sorta. Anche quando la costituzione non prevede
espressamente l’immodificabilità di alcune specifiche disposizione, la gran parte degli studiosi ritiene
comunque che la costituzione non sia emendabile nelle sue norme chiave, quelle cioè che
contengono i principi di struttura dell’ordinamento. Tale teoria viene giustificata sulla base del rilievo
che quei principi sono principi “caratterizzanti” o “supremi”, e sono i principi intorno a cui si è
sviluppato il processo costituente (c.d. supercostituzione). Se in Italia si incidesse sul principio di
eguaglianza o sul controllo di costituzionalità delle leggi, per fare degli esempi, si varierebbe in maniera
sostanziale l’identità dell’ordinamento costituzionale.
Nel nostro ordinamento, la teoria dei limiti impliciti ha anche dei riferimenti formali: l’art.2
stabilisce che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali»; d’altra parte lo stesso limite espressamente sancito della forma repubblicana
(art. 139 cost.) non può essere isolato in quanto si inserisce in un complesso di principi
(rappresentatività, partecipazione politica, rigidità costituzione) che con essa formano sistema: non è
cioè un elemento a sé stante e come tale isolabile. Ma se si analizza sistematicamente la costituzione, più
in generale si ricava una “carta di valori” che la costituzione fa propria e protegge con particolare
intensità: così la sovranità popolare (art.1), il principio di solidarietà (2), di eguaglianza (3), il principio
internazionalista (10, 11) ecc. Ovviamente l’identificazione dei limiti impliciti non è così agevole: a ciò
può aiutare, per lo meno nel nostro ordinamento, la giurisprudenza della Corte, che in diverse sentenze
ha riconosciuto l’esistenza di principi supremi dell’ordinamento costituzionale; la Corte ha
affermato che la nostra costituzione contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti
o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi
costituzionali.
In sintesi, il potere di revisione non può toccare il cuore, l’essenza della costituzione: se
lo facesse, sarebbe esercizio del potere costituente e non si potrebbe più parlare di potere costituito.
Anche in altri ordinamenti le corti sono arrivati alle medesime conclusioni viste in Italia (es.
Austria e Svizzera). Singolare è il caso dell’India, dove la corte suprema ha detto che possono essere
modificate le norme concernenti i diritti fondamentali, precisando che serve l’istituzione di una nuova
costituente. Era stata poi nel 1976 introdotta una norma che sanciva il potere emendativo illimitato, tale
disposizione è stata dichiara incostituzionale dalla corte suprema nell’1980. Successivamente la corte
suprema ha individuato alcune disposizione base che non possono essere modificate quali la
supremazia della cost., la forma di governo democratica e repubblicana, la laicità dello stato e la
separazione dei poteri.
Non è comunque facile individuare il contenuto essenziale dei diritti fondamentali. L’esperienza
dell’Ungheria è esemplare per quanto riguarda la rottura rispetto ai principi del costituzionalismo. In
seguito alle vittoria alle elezioni del 2010, la coalizione di Orban deteneva il 2/3 dei seggi guadagnati
grazie al premio di maggioranza del 15% previsto dalla legge elettorale: ciò permetteva la possibilità di
modificare la costituzione e ciò avvenne nel 2011 con la legge fondamentale dell’Ungheria che entrò in
vigore il 1 gennaio del 2012. In questo caso la costituzione è passata da strumento di garanzia per tutti a
strumento a favore delle politiche della maggioranza. In questo contesto molte disposizioni transitorie
poste in essere a favore della maggioranza sono state definite incostituzionali tra cui norme che
limitavano il potere giudiziario, l’informazione pluralistica. A riguardo si è interessato anche il
parlamento europeo con la risoluzione del 3 luglio 2013 che è intervenuta limitando queste criticità.;
permangono in ogni caso problemi relativi all’equilibrio dei poteri e dei diritti delle minoranze.

2) Procedure di revisione

2.1) Le procedure di revisione nelle costituzioni rigide: tipologie principali

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Le costituzioni rigide, come abbiamo detto, sono tali perché per essere modificate hanno
bisogno di procedure aggravate rispetto alle procedure richieste per le ordinarie sedute legislative.
L’aggravamento non ha –come spesso invece si dice– il puro scopo di rendere più difficile la revisione,
bensì quello di ricercare, attraverso la procedura più complessa, un consenso più vasto e/o più meditato
e consolidato. Le procedure di revisione non sono uniformi, anzi se ne rinviene una grande
quantità. Addirittura, all’interno della stessa costituzione si possono avere anche due o tre o più
procedure per modificare diverse norme. Solitamente si distingue tra:

1) Potere di revisione affidato a una assemblea ad hoc che la funzione esclusiva di


procedere alla revisione. Molte costituzioni definiscono espressamente tale organo
assemblea costituente, anche se tale non è, perché non è originario, ma espressione di un
potere costituito;
2) potere di revisione affidato all’ordinaria assemblea legislativa (Parlamento): l’art.138
cost. Italiana (seppur preveda procedure aggravate, rappresentate da magg. qualificate
rispetto a quelle ordinarie) o anche l’articolo 79 della Grundgesetz, la legge fondamentale
tedesca, ai sensi della quale la legge di revisione richiede l’approvazione dei 2/3 dei membri
del Bundestag (camera “bassa” rappresentativa del popolo ed eletta a suffragio universale dal
popolo stesso) e dei 2/3 dei voti del Bundesrat (è la camera alta, o “federale”,
rappresentativa dei lander, i cui componenti sono designati dai governi dei lander stessi).
3) Potere di revisione affidato ancora all’’ordinaria Assemblea legislativa, ma in cui
l’aggravamento consiste (anche) nella necessità di due approvazioni a intervallo di
tempo a opera della stessa assemblea: ancora art.138 costituzione italiana;
4) Potere di revisione affidato a un organo formato nel contesto di organi già esistenti.
Ad esempio, art. 89 comma 3 della Cost. francese, ai sensi del quale il progetto di revisione
viene sottoposto – su richiesta del Presidente della Repubblica, al Parlamento convocato
nella forma di Congresso;
5) Potere di revisione affidato nella fase di iniziativa all’ordinaria assemblea legislativa
cui segue lo scioglimento dell’Assemblea stessa, dopo di che l’approvazione della riforma
è affidata alla nuova assemblea. È un iter diffusissimo: in sostanza il procedimento di
revisione viene scisso in due fasi: legislatura di proposta (talvolta si parla di Assemblea pre-
costituente), e legislature di decisione, cosicché le elezioni che vengono tenute dopo la
proposta di revisione costituiscono uno strumento di verifica popolare semidiretta della
proposta;
6) Revisione –questo è tipico delle costituzioni federali– con partecipazione degli Stati
membri, nel senso che è necessaria l’approvazione da parte di un certo numero degli Stati
membri (Canada, Svizzera, Usa). Tale procedura è la natura conseguenza del principio per
cui la sovranità è ripartita tra il popolo e gli Stati. Nota che tale procedura, comunque, non
è una costante delle costituzioni federali: altre volte la partecipazione degli Stati membri alla
revisione avviene attraverso la seconda Camera, rappresentativa degli Stati;
7) Revisione affidata alle assemblee legislative, ma confermata da referendum
obbligatorio: ad esempio tutti gli Stati degli Usa (tranne il Delaware) per la revisione delle
loro costituzioni prevedono il referendum obbligatorio (talvolta con maggioranza
qualificata): del resto questo metodo è nato proprio negli Stati americani. Così pure il
referendum è previsto in Svizzera per le revisioni delle costituzioni dei Cantoni.
8) Revisione affidata alle Assemblee legislative ma confermata, con referendum eventuale:
ad esempio in Slovenia, l’art. 170 cost. prevede che tale referendum deve tenersi se lo
richiedono almeno 30 parlamentari; il già richiamato art. 138 della costituzione italiana
stabilisce che ove non vi sia la maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti delle
Camere alla seconda votazione, e vi sia la richiesta di referendum da parte di 1/5 dei
membri di una Camera o di 5 Consigli Regionali o di 500.000 elettori;
9) Revisione effettuabile con procedure diverse, nel senso che non è prevista un’unica
modalità, ma non perché si tratta di procedure che si diversificano a un certo punto, ad

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esempio quando non vengono raggiunte determinate maggioranze per cui la procedura si
può arricchire del referendum, ma di procedure diverse ab origine: oltre alla cost. USA,
anche la costituzione estone, che prevede 3 alternative diverse di revisione (con
referendum, attraverso 2 approvazioni successiva a intervallo di tempo; con una sola
approvazione in caso di urgenza);
10) Revisione internazionalmente orientata: emblematico è il caso dell’Armenia, dove
l’originaria costituzione post-sovietica entrata in vigore nel 1995 è stata il frutto di un
processo costituente sostanzialmente autonomo, mentre la successiva revisione avviata nel
1998 e conclusasi nel 2005, è stata effettuata, su richiesta delle stesse autorità armene, in
stretta interazione con la Commissione di Venezia (ovverosia la Commissione per la
democrazia attraverso il diritto) del Consiglio d’Europa, che ha elaborato delle vere e
proprie Basic provisions for the concept of refoming the Constituon of the Republic of Armenia.

Ovviamente queste grandi “famiglie” di modalità di revisione possono intersecarsi e combinarsi


tra loro: ad esempio la costituzione Svizzera prevede che la revisione debba essere accettata sia dalla
maggioranza dei Cantoni che dalla maggioranza dei cittadini che partecipano alla consultazione
referendaria. In tale senso, anche la legge costituzionale 1/1993 che prevedeva, oltre al voto
referendario a conclusione dell’ iter di revisione, che il progetto o i progetti di legge costituzionali
fossero adottati da ciascuna Camera «con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di 3
mesi», e «approvati articolo per articolo dalle Camere senza voto finale su ciascun progetto, ma con
voto unico sul complesso degli articoli di tutti i progetti». In generale, molto comune è la richiesta di
maggioranza qualificata, combinata con uno o più degli aggravamenti già visti (referendum, intervalli
temporali, scioglimento delle Camere ecc). Da aggiungere che spesso la revisione costituzionale si
differenzia dalla legislazione ordinaria anche per quanto riguarda la titolarità del potere di iniziativa,
cioè chi può promuovere il processo di revisione. Infine, vi sono costituzioni che escludono le revisioni
costituzionali dal potere di “sanzione” del Capo dello Stato: questo sul presupposto che si tratti di una
decisione sovrana del Congresso, che esercita la rappresentanza sia del popolo sia degli Stati.

2.2) Le procedure di revisione delle costituzioni a “rigidità variabile”


All’interno della stessa costituzione vi possono essere vari gradi di rigidità, nel senso che la
revisione di alcune norme richiede un aggravamento ancora più intenso. Ad esempio il 1° comma
dell’art.132 della nostra costituzione prevede che la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove
Regioni richiede, oltre alla legge costituzionale (che si traduce in legge di revisione costituzionale
dell’art. 131 che elenca le Regioni), l’iniziativa da parte di Consigli comunali che rappresentino almeno
1/3 della popolazione interessata. Inoltre, tale proposta va approvata con referendum da parte della
maggioranza delle popolazioni interessate. Tali rigidità aggravate, anche chiamate forme di
superaggravamento, di solito sono finalizzate a:

- Tutelare il “patto federale” che ha dato luogo all’istituzione dell’ordinamento


federale (l’art. 5 della costituzione degli USA stabilisce che “nessuno stato senza il
proprio consenso può essere privato dalla parità di rappresentanza nel Senato”; altri
esempi sono l’art. 118 dell’Australia, art.74 sud africa, art.239 della costituzione del
Pakistan, in questo caso la revisione interessante una provincia deve avere l’assenso
di almeno 2/3 dei membri dell’assemblea della provincia interessata);
- Tutelare al meglio alcune materie importanti: in India gli emendamenti devono
essere approvati dalla maggioranza dei membri di ciascuno dei due rami del
parlamento; in Sud Africa la partecipazione delle provincie avviene tramite il national
conuncil of provinces ed è solo relativo a materie quali confini, attribuzioni e poteri delle
provincie.

Nota che la rigidità variabile caratterizza quasi tutte le più recenti costituzioni. Un caso di
particolarmente interessante di “rigidità variabile” è la costituzione canadese, curiosa anche dal punto

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di vista storico: lo Statute of Westminster del 1931, che perfezionava e riconosceva l’indipendenza e la
sovranità del Canada, stabiliva però che ogni revisione al British North America act del 1867 (che all’epoca
era, a tutti gli effetti, la Costituzione del Canada), fosse di competenza del Parlamento britannico (cioè
della vecchia madrepatria): solo così infatti, si riuscì a raggiungere un’intesa tra i delegati canadesi
appartenenti a diverse nazionalità. Poi nel 1949, con il British North America act N.2 si dispose un
“rimpatrio” del potere di revisione costituzionale al Parlamento canadese: rimpatrio che, tuttavia, fu
solo parziale, in quanto, alcune materie, particolarmente delicate soprattutto dal punto di vista politico e
federalistico, rimasero di competenza del Parlamento britannico. Si venne così a creare una costituzione
con rigidità di diverso grado. Tale modulo è stato poi ripreso con la legge costituzionale del 1982, che
prevede ben cinque diverse procedure di revisione. Altro esempio particolare di rigidità variabile è
offerto dalle norme degli statuti speciali della Valle d’Aosta e della Sardegna, approvati con legge
costituzionale e dunque modificabili solo tramite tale fonte, con l’eccezione del c.d. statuto interno.
Altri esempi di rigidità variabile si trovano nelle costituzioni di Malta, Estonia e Lituania.

3) Tipologie delle revisioni

3.1) Le revisioni totali


Un discorso a parte meritano le revisioni totali, quelle cioè, che investono l’intera costituzione
o gran parte di essa. Secondo una parte della dottrina, le revisioni costituzionali totali non sarebbero
ammissibili, perché saremmo di fronte all’esercizio del potere costituente che per definizione non può
svolgersi come potere costituito. Nel dibattito se le revisioni totali costituiscano o meno esercizio del
potere costituente si annida il solito equivoco riguardante l’interpretazione della costituzione: se si
concepisce la costituzione nel senso formale di norma sulle norme, e si vedere il potere costituente solo
come forza politica svincolata dal diritto, è chiaro che questo non è potere costituente; se, invece, per
costituzione si intende quella materiale, cioè un sistema ordinato attraverso un sistema di valore in cui si
riconoscono le forze politiche e sociali prevalenti, è evidente che se tale sistema viene alterato siamo di
fronte ad un procedimento costituente.
L’aspetto essenziale di tale vicenda, infatti, è che il potere costituente originario non si limita
a disciplinare il potere costituito, ma giunge a disciplinare anche le modalità legali di formazione
e di esercizio del potere costituente, per tradizione e per definizione “originario”. Del resto, però, a
livello storico-empirico, al di là delle costituzioni che prevedono espressamente la possibilità di
revisione totale, l’instaurazione di un nuovo ordinamento attraverso la procedura di revisione e in un
quadro di legalità formale è relativamente frequente: ad esempio, così è avvenuto il passaggio dalla IV
alla V Repubblica francese, e anche la vigente costituzione spagnola è stata aggiornata nel pieno rispetto
formale della procedura prevista dall’art. 10 della Ley de sucesiòn; questa impostazione è stata inaugurata
anche nella costituzione cilena con la riforma del 2005 (l’emendamento è avvenuto mediante
l’emendamento da parte di entrambi i rami del parlamento a maggioranza qualificata dei 2/3 secondo il
procedimento disciplinato dall’art. 14 della costituzione del 1980).
Oggi la revisione totale è prevista dalle costituzioni di Svizzera, Romania, Austria, Venezuela,
Olanda, Spagna, federazione Russa. Di solito la revisione totale richiede procedure particolarmente
complesse; altre volte, invece, non si distingue dalle procedure di revisione ordinarie (ad esempio in
Argentina). Complessa è la procedura prevista dalla costituzione spagnola: la quale prevede
l’approvazione della decisione di procedere alla riforma a maggioranza dei 2/3 di ciascuna camera, lo
scioglimento delle camere, le camere elette devono ratificare la decisione di revisione e procedere alla
stesura del nuovo testo costituzionale, che dovrà essere approvato a maggioranza dei 2/3 di ciascuna
camera; dopo l’approvazione da parte delle due camere la revisione dovrà essere approvata con
referendum.
Nella costituzione svizzera del ‘99 la revisione totale prevede: la richiesta di 100 mila cittadini,
oppure la richiesta di uno delle due camere. Se la revisione è d’iniziativa popolare, o una delle due
camere non è d’accordo sulla revisione, la questione viene rimessa a referendum per decidere se la

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revisione totale debba aver luogo: se il referendum ha esito positivo per la revisione le camere vengono
sciolte e le nuove camere provvederanno alla revisione totale; per entrare in vigore la costituzione
revisionata deve essere accettata dalla maggioranza dei cittadini che partecipano votazione referendaria
e dalla maggioranza dei cantoni; il risultato della votazione popolare in ciascun cantone vale come voto
del cantone.
Questione importante è quella riguardante gli eventuali limiti incontrati da una revisione totale:
si può rivedere totalmente tutta la costituzione o alcuni principi di fondo sono, in ogni caso,
immutabili? Chi identifica la revisione totale come potere costituente sostiene che limiti non ve ne
possano essere; del resto diversi giudici costituzionali hanno riconosciuto l’esistenza di limiti espliciti e
impliciti all’esercizio del potere di revisione costituzionale. Negli anni ‘90 il tema della revisione totale
della costituzione ha assunto particolare rilievo in Italia, specie a causa delle diffuse e ampiamente
sentite richieste di profonde revisioni costituzionali di molti articoli della parte II della costituzione: da
parte di molti si è chiesta la convocazione di un’assemblea costituente (a seguito, ovviamente, di una
legge costituzionale ad hoc) eletta con sistema proporzionale. Anche perché -secondo un’autorevole tesi-
la procedura di revisione costituzionale ex. Art. 138 non può investire interi “pacchetti” di riforme, ma
solo singole disposizioni o al massimo gruppi di disposizioni strettamente collegate in quanto il
referendum successivo deve attenersi a un tema omogeneo, altrimenti la volontà popolare in sede di
giudizio referendario verrebbe alterate. Tuttavia, la maggioranza dei costituzionalisti respinge la
soluzione dell’assemblea costituente perché, non essendo prevista dalla costituzione, si configura come
la procedura tipica delle situazioni che emergono a seguito della caduta del sistema costituzionale in
vigore e dunque avrebbe il significato di depotenziare, se non svilire, l’attuale costituzione. Inoltre,
sarebbe singolare la presenza contemporanea di due Assemblee diverse: l’una eletta con sistema
proporzionale e competente a definire le regole del sistema futuro, le altre due (Camera e Senato) elette
con sistema maggioritario, e competenti a gestire, insieme al Governo, il sistema esistente.
Ovviamente tutti questi problemi nascono perché non esiste, nel nostro ordinamento, una
disciplina esplicita sulla revisione totale, tanto che già nell’ XI legislatura, la “Commissione per le
riforme istituzionali” (c.d. De Mita-Iotti), composta da 30 senatori e 30 deputati, formulò un progetto
di legge costituzionale (1/1993) che prevedeva una procedura speciale di revisione della II parte della
costituzione avente il suo fulcro nella c.d. “Commissione bicamerale per le riforme”: in particolare,
istituiva una procedura con carattere temporaneo e derogatorio rispetto all’art. 138 poiché prevedeva la
sottoposizione obbligatoria del futuro progetto al referendum popolare, allontanandosi così dalla lettera
e dallo spirito dell’art. 138 cost. Si trattava insomma di un tentativo di profonda revisione costituzionale
che venne però interrotto dagli eventi politici (lo scioglimento delle camere del ‘94 e la conseguente
riforma del sistema elettorale). Tuttavia, lo spirito della l. cost. del ‘93 fu ripreso con la l. cost. del ’97
che prevedeva un’analoga procedura di revisione della II parte della Costituzione, incentrata sulla
“Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”. Anche in questo caso la procedura di
revisione prevedeva una parziale deroga alle norme procedurali stabilite dalla costituzione e dai
regolamenti parlamentari per l’approvazione di modifiche alla costituzione: in particolare, rispetto alla
procedura stabilita dall’art. 138, tale legge prevedeva il referendum popolare confermatorio sulla legge
di revisione costituzionale non in via eventuale, ma in via necessaria, entro 3 mesi dalla pubblicazione.
Era inoltre richiesta, a differenza di quanto previsto dall’art. 138 cost, non solo la sua approvazione
dalla maggioranza dei voti validi, ma anche la partecipazione al referendum della maggioranza degli
aventi diritto. Tuttavia anche questo progetto era destinato a fallire per il disaccordo delle parti
politiche.

3.2) Le revisioni tacite e le revisioni conseguenti alla ratifica di trattati comportanti


limitazioni di sovranità
Le revisioni fin qui esaminate sono quelle espresse, cioè quelle con le quali formalmente e
secondo procedure costituite viene modificata la costituzione. Le modifiche della costituzione possono
però avvenire anche in via tacita, e in particolare sono considerate tali quelle che avvengono in via di
evoluzione interpretativa. La costituzione infatti, come tutte le leggi, è in continuo divenire, essendo
soggetta come tutte le leggi, e anche molto di più, all’evoluzione dei costumi, del sentire sociale, della

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coscienza giuridica, dei rapporti internazionali, dei rapporti politici e così via. La costituzione è –come
dicono gli americani– ciò che la Corte Suprema dice di essere. Del resto, anche la nostra Corte
Costituzionale più volte ha affermato la necessità di un’interpretazione “evolutiva” del testo
costituzionale. Anche le leggi elettorali a volte hanno incidenze rilevanti sulle forme di governo e quindi
sull’assetto costituzionale. Modifiche tacite sono anche quelle che trovano la loro origine in
consuetudini e convenzioni: ad esempio in Norvegia il sindacato diffuso o decentrato di
costituzionalità è una consuetudine introdottasi pian piano in Costituzione.
Di modifiche tacite della costituzione si può parlare anche con riferimento alla ratifica di
trattati che incidono sulle competenze costituzionalmente costituite: in particolare l’istituzione
della CE e poi dell’UE, grazie all’attribuzione agli organi della UE di funzioni legislative e
giurisdizionali, ha senza dubbio inciso sulla nostra costituzione, in quanto modifica le norme
costituzionali in tema di esercizio della funzione legislativa e di monopolio statale della giurisdizione (e
secondo alcuni modifica anche la forma di Stato dei paesi membri, data la natura “prefderale” dell’UE).
A tal proposito, la Corte Costituzionale italiana, da una parte ha fondato la legittimità del sistema
europeo sulla base dell’art. 11 costituzione, avendo ravvisato nel Trattato di Roma una piena
rispondenza alle finalità indicate da tale norma; d’altro lato ha riservato all’ordinamento interno
(attraverso il sindacato di costituzionalità) la verifica del rispetto da parte delle norme comunitarie dei
principi fondamentali del sistema costituzionale italiano e, in particolare, dei diritti inviolabili della
persona umana. Pertanto secondo la nostra Corte se anche ci sono decisioni o atti normativi che
producono (dall’esterno) una limitazione della sovranità, sovrana resta la nostra costituzione. C’è da dire
però che ultimamente, a seguito delle rilevanti e progressive revisioni sia per il numero degli Stati
aderenti sia per disciplina ed estensione di competenze che hanno investito l’originario Trattato di
Roma (1957), numerosi Stati hanno dato corso a revisioni costituzionali, come la Francia, la Germania,
la Spagna, molti Stati dell’Est ammessi nell’UE, il Portogallo.
Nello specifico, in Francia vi è stata una presa di posizione del consiglio costituzionale secondo
il quale l’autorizzazione a ratificare con legge il trattato di Maastricht richiedeva la previa revisione della
costituzione. In seguito a questa diatriba è stato inserito nella costituzione un nuovo titolo (15)
intitolato “Le comunità europee e l’UE”: in seguito a queste disposizioni la Francia acconsente ai
trasferimenti di competenza necessari per l’istituzione dell’unione economica e monetaria europea.
Anche per quanto riguarda la trasposizione del Trattato di Amsterdam è stato necessaria una revisione
costituzionale , anche se in questo caso il conseil costitutionelle non ha ritenuto necessaria la modifica della
costituzione francese. In merito al trattato di Lisbona invece il Conseil ha ritenuto necessaria una riforma
costituzionale intervenendo nuovamente sul titolo 15.
Per quanto riguarda la rep. Federale tedesca l’integrazione europea non ha inciso in maniera
fondamentale sul controllo di costituzionalità degli atti comunitari e dell’Unione, funzione che la corte
costituzionale tedesca continua a ritenere di sua pertinenza. In spagna la procedura di revisione
costituzionale ha riguardato la sola disciplina dell’eleggibilità dei cittadini comunitari ivi residenti.

4) L’eccesso di costituzionalizzazione

Non esiste una “nozione ontologica” di materia costituzionale, nel senso di materie che sono
riservate alla costituzione, in quanto ciò che la costituzione disciplina è un puro dato storico. Lo
dimostra il fatto che le più svariate materie sono state introdotte in costituzione: dai valori postali
(Weimar) alle imposte sul tabacco e sulla birra (costituzione Svizzera); anche nella nostra costituzione è
rintracciabile un eccesso di costituzionalizzazione, all’art. 111, che giunge a disciplinare (per dare
concretezza al principio del giusto processo) l’interrogatorio di persone che abbiano reso dichiarazioni a
carico della persona accusata di un reato, con prescrizioni dettagliate che sembrano semmai tipiche di
un codice di procedura penale. Pertanto possiamo dire che, non esiste una nozione complessiva di
materia costituzionale tale da identificare tutto ciò che può andare in costituzione; c’è, invece, una
nozione di materia costituzionale minima o obbligatoria, così da identificare ciò che deve andare in
costituzione: i diritti fondamentali e la ripartizione dei poteri costituiscono questa materia tipica

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della costituzione. Nelle costituzioni di questo secolo non si pone mai il problema del non
raggiungimento dello standard minimo di contenuti, ma molto spesso si pone invece proprio il
problema dell’eccesso di materie costituzionalizzate.
Qual è il problema che scaturisce dall’eccesso? Che se determinate maggioranze modificano ad
libitum le materie costituzionali potrebbero cristallizzare e condizionare per lungo tempo le società e le
istituzioni; il pericolo è ancora più grave laddove la revisione avviene senza referendum, cioè senza
ratifica popolare. Per evitare questo rischio, molte costituzioni prevedono che le modifiche o le
integrazioni alla costituzione debbono avvenire in modifiche espresse del testo della Costituzione
stessa, in modo che ogni modifica avviene in pratica su una materia già inserita nella Costituzione, e
dunque non si “costituzionalizzano” altre materie oltre quelle individuate dal potere costituente. In
Italia il problema dell’eccesso di costituzionalizzazione si pone anche perché la costituzione prevede,
accanto alle leggi di revisione costituzionale, la categoria delle leggi costituzionali, che seguono le stesse
procedure delle leggi di revisione. Per quanto la questione sia controversa, comunque, è da ritenere che
le uniche leggi costituzionali ammissibili siano quelle espressamente previste dalla costituzione (vedi ad
esempio artt. 71, 96, 116, 132, 137): in queste materie, vi è infatti, una espressa previsione di riserva di
legge costituzionale; se non v’è tale previsione, il ricorso alle leggi costituzionali si rivela del tutto
irragionevole. D’altra parte, laddove vi è una espressa previsione delle leggi costituzionali, come in
Austria, si è arrivati ad una proliferazione di leggi costituzionali che ha finito per depotenziare la
costituzione.

5) Deroga o rottura della costituzione

5.1) Deroga
La deroga è un istituto di carattere generale in virtù del quale una determinata disposizione
della costituzione non viene applicata, temporaneamente o definitivamente, a causa di
determinate circostanze, dette appunto “derogatorie”. La deroga non determina quindi, come la
revisione, l’abrogazione o la sostituzione di una o più disposizioni costituzionali: la costituzione
rimane integra, solo che determinate disposizioni sono sottratte al regime costituente ordinario e
sottoposte ad un “regime costituente ad hoc”.

5.2) Rottura
Le deroghe alle costituzioni vengono comunemente chiamate, invece che deroghe appunto, con
il termine “rottura”: nota che la connotazione non è negativa, come invece si potrebbe pensare. Nel
nostro ordinamento esempi di “deroga-rottura” sono la l. cost. 2/1989, che in deroga all’art. 75 ha
consentito lo svolgimento di un referendum di tipo consultivo sull’Unione Europea, e le due leggi
costituzionali 1/1993 e 1/1997, che abbiamo già visto, e che in deroga all’art. 138 prevedevano una
particolare procedura di revisione della parte II della costituzione. Poiché la rottura costituisce una
modifica della costituzione (di cui rappresenta una particolare specie) essa si compie con le stesse
procedure della revisione ed è soggetta, tendenzialmente, agli stessi limiti, espressi o taciti, della
revisione, e così ad esempio non può mai giungere a sacrificare i diritti inviolabili, nella misura in cui
non sono sottoponibili a revisione.

5.3) Autorottura e rottura autorizzata


In alcuni casi le stesse costituzioni impongono o permettono espressamente le discipline
derogatorie: parleremo nel primo caso di “autorottura”, nel secondo caso di rotture “autorizzate”.
Esempi: 1) XII e XIII disposizione transitoria e finale della nostra costituzione, che vietano la
riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, in deroga all’art. 49 della
Costituzione («tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con

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metodo democratico a determinare la politica nazionale») e introducono vari limiti al diritto del voto,
all’accesso alle cariche pubbliche, all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale dei membri di casa
Savoia; 2) articolo 116 comma 3 della nostra costituzione che consente di attribuire alle Regioni
ordinarie forme e condizioni particolari di autonomia in determinate materie con leggi approvate dalla
Camera a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata.

5.4) Sospensione
La sospensione della costituzione costituisce una figura molto simile alla rottura, tanto che
talvolta è difficile distinguerle. Tuttavia, le differenze dell’istituto della sospensione rispetto alla rottura
sono rappresentate:

- Dal fatto che la sospensione dev’essere necessariamente temporanea (mentre nella


rottura la temporaneità è solo eventuale, poiché può essere anche definitiva;
- Dal fatto che la sospensione si estenda all’efficacia di tutta o comunque una
buona parte della costituzione.

Si ha infatti sospensione ogniqualvolta l’intera carta costituzionale, o, più frequentemente,


determinate disposizioni costituzionali, concernenti in genere il riparto delle attribuzioni tra i vari organi
e le garanzie delle libertà fondamentali, vengono provvisoriamente rese inefficaci per fronteggiare
situazioni di crisi interna o internazionale (stato di guerra, assedio, di crisi, di emergenza, di eccezione)
mediante l’instaurazione di un ordinamento o regime detto anch’esso di emergenza (o di crisi, di
eccezione ecc). Gli ordinamenti, si dice, prevedono o comunque consentono in via implicita la
temporanea paralisi delle regole ordinarie, in funzione di estrema difesa dello Stato: infatti, anche
quando le carte costituzionali difettano di disposizioni ad hoc, è opinione comune che la situazione di
emergenza legittimi ex se (cioè in via di fatto) l’adozione di misure eccezionali, il cui fine sia quello di
assicurare la conservazione dello Stato, e che appunto mettono da parte la stessa costituzione.
Come si giustifica la sospensione della costituzione? Attraverso il principio di necessità che, in
questo modo, diventa fonte di diritto. La costituzione viene disattesa in nome di se stessa: essa viene
conservata proprio ricorrendo ad un regime eccezionale derogatorio. Si fa cioè richiamo al principio di
conservazione dell’assetto costituzionale. Inutile dire che la “autolegittimazione” del potere
conseguente all’applicazione del principio di necessità e del principio di conservazione comporta rischi
gravissimi per l’ordine costituzionale, che può facilmente degenerare in un colpo di Stato (è quanto è
avvenuto a Weimar). Per questo, la maggior parte delle costituzioni cercano, ovviamente con diverse
modalità, di regolamentare gli stati di emergenza, disciplinando i presupposti, i soggetti istituzionali
competenti, i controlli su di essi, i limiti e le modalità di esercizio dei poteri, gli effetti normativi,
proprio allo scopo di prevenire i pericoli di eversione connessi al regime (o ordinamento) di emergenza;
si parla allora di dittatura costituzionale o commissariale (contrapposta alle c.d. “clausole di
salvaguardia” dell’assolutismo, tipiche delle vecchie costituzioni monarchiche nelle quali, in situazioni di
crisi, era il Sovrano a riappropriarsi dei pieni poteri). Resta però il fatto che le situazioni di emergenza e
di crisi, in ogni caso, sono per definizione imprevedibili nella loro portata, e dunque anche la
razionalizzazione in sede costituzionale delle misure anticrisi non può non avere lacune, di fronte alle
quali si ricorre ancora al principio della conservazione della costituzione e a quello di necessità. Anzi,
l’eccessiva razionalizzazione può avere l’esito opposto di dare carattere di normalità all’emergenza,
come è avvenuto in molti Paesi latino-americani.

6) Lo stato di crisi

È importante dire che, riguardo lo stato di crisi, i vari ordini giuridici devono essere confrontati
non solo tramite le loro costituzioni, ma anche alle altre fonti normative, perché la disciplina dei
regimi di crisi è spesso contenuta in leggi ordinarie. Si può individuare sin da subito una tendenza
comunque comune: dinanzi alla richiesta di governare le situazioni di emergenza, generalmente si tende

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ad affidare i poteri operativi all’organo più attrezzato per capacità decisionali e disponibilità di mezzi a
fornire una risposta adeguata, cioè il Governo.

6.1) Disciplina
Ciò è particolarmente evidente in un ordinamento presidenziale a esecutivo monista come
quello degli Stati Uniti in cui, nonostante la costituzione assegni una specifica competenza al
Congresso in ordine alla dichiarazione di guerra e all’impiego della milizia «per dare esecuzione alle leggi
dell’Unione, per reprimere le insurrezione o per respingere le invasioni», tuttavia si sono lo stesso
affermati il presidential war-making power e gli emergency powers di pertinenza anch’essi del Presidente. Sono
poteri che consentono deroghe temporanee alla costituzione. Particolarmente accentuati sono i poteri
dei presidenti nelle situazioni di crisi nelle costituzioni degli Stati latino-americani, ma il
rafforzamento dei poteri del Capo dello Stato non è comunque esclusivo degli ordinamenti con forma
di governo presidenziale. Negli ordinamenti ad esecutivo dualista (dove ci sono cioè un capo dello
Stato o Re e un governo), tipici delle forme di governo parlamentare e semipresidenziale, il
rafforzamento dell’esecutivo può riguardare tanto il Capo dello Stato quanto il Governo: ad esempio, è
fortemente accentrato sulla figura del Presidente l’ordinamento d’ emergenza disciplinato dalla
costituzione francese della V Repubblica.
In generale comunque, nelle forme di governo parlamentare tende a prevalere la posizione del
Governo, in via esclusiva o con la competenza concorrente del Capo dello Stato (ad intensità
comunque variabile). Paradigmatici sono ad esempio gli articoli 78 e 87 della costituzione italiana
relativi allo stato di guerra, che è deliberato dalle Camere, dichiarato dal presidente della Repubblica e
“gestito” dal Governo. Il controllo del PdR è previsto anche sui decreti leggi a cui può ricorrere il
Governo in casi straordinari di necessità e di urgenza ai sensi dell’art. 77 cost., al quale la dottrina più
autorevole riferisce la disciplina applicabile nei casi di emergenza interna, sino a consentire la
sospensione di alcuni diritti garantiti in costituzione. Peraltro va anche ricordato che sono ancora
formalmente in vigore alcuni articoli del Testo unico di pubblica sicurezza del 1931 che disciplinano lo
stato d’assedio, nelle due figure dello stato di pericolo pubblico e dello stato di guerra interna, e che
prevedono un potere di ordinanza c.d. “libera” (e cioè extra ordinem) del Ministro dell’Interno e
l’assunzione di poteri, anche normativi, da parte dell’autorità militare. Tali disposizioni, scrive però
Morbidelli, sono da ritenersi incostituzionali, quantomeno nelle parti in cui consentono limitazioni a
diritti costituzionalmente garantiti. Un caso a parte è rappresentato dalla Gran Bretagna, nella quale il
Primo ministro, in situazioni di crisi, cumula l’esercizio delle royal prerogatives previste dalla Common Law
con la titolarità degli statutory powers conferitigli con leggi ad hoc del Parlamento.
È da sottolineare come il rafforzamento dei poteri del capo dello stato non è esclusivo degli
ordinamenti a tendenza presidenziale: l’art. 48 della costituzione di Weimar sanciva la possibilità da
parte del Presidente del Reich di avere poteri amplissimi in caso di rischi per l’ordine pubblico.

6.2) Le competenze dei parlamenti in regime di crisi


Nelle costituzioni più recenti, i parlamenti hanno assunto maggiori competenze per regolare le
situazioni di emergenza e di crisi, tanto da avere non solo funzioni di controllo a posteriori sull’attività
del governo, ma un vero e proprio ruolo attivo: ad esempio, in base all’art. 78 cost. il Parlamento
conferisce al governo i poteri necessari; oppure la costituzione spagnola prevede che sia il Parlamento
ad autorizzare il governo a dichiarare lo stato d’eccezione o a deliberare lo stato di assedio. Altri esempi:
art. 116 della costituzione spagnola, art. 103 cost. Paesi Bassi.

6.3) Contenuti e limiti della sospensione in regime di crisi


Quindi, dato per acclarato che o perché la costituzione lo prevede espressamente, o in
applicazione del principio di conservazione della costituzione, è sempre possibile la dichiarazione
dello stato di emergenza e di crisi, con la connessa istituzione di un regime di sospensione o di
affievolimento dei diritti, il problema di fondo è quello di stabilire i limiti di tale regime. La
costituzione portoghese è particolarmente dettagliata sul punto: stabilisce sia i presupposti sia il rispetto
del principio di proporzionalità sia l’obbligo di motivazione della dichiarazione dello stato di crisi e di

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emergenza e infine stabilisce che tale dichiarazione non può, in nessun caso, intaccare i diritti alla vita,
all’integrità personale, all’identità personale, alla capacità civile e alla cittadinanza. Alcune costituzioni,
come quella spagnola, elenca positivamente quali sono i diritti sospendibili quando viene dichiarato lo
stato d’assedio o lo stato di eccezione, altre come quella indiana o brasiliana descrivono
minuziosamente quali sono le misura adottabili durante lo stato di assedio in deroga alle normali
garanzie; di norma però le costituzioni prevedono disposizioni del tutto generiche, oppure rinviano
alla legislazione ordinaria. Ancora più rilevante è il fatto che nell’esperienza più recente molto spesso
non viene neanche espressamente e formalmente dichiarato lo stato di emergenza e di tensione:
tuttavia, si dà lo stesso esecuzione, tramite legge ordinaria, alla limitazione delle garanzie. Significativa,
in tal senso, è l’esperienza degli Stati Uniti. In tale Paese, oltre alla previsioni costituzionali (come l’art.
1, sez. 9 che prevede la sospensione dell’ habeas corpus quando lo esige la sicurezza pubblica in caso di
ribellione o invasione), la legislazione ordinaria ha introdotto notevoli limitazioni ai diritti garantiti in
costituzione. Se le limitazioni introdotte durante le due guerre mondiali hanno però ricevuto l’avallo
della Corte Suprema, la stessa Corte si è invece pronunciata in maniera avversa ai provvedimenti
adottati dal Governo nella c.d. “guerra al terrorismo”, ad esempio gli Usa Patriot Acts, soprattutto per le
ridotte garanzie di difesa e le restrizioni alle libertà personali imposte ai cittadini stranieri e per l’ampia
facoltà di intercettazioni delle comunicazioni. La Corte Suprema ha cercato di limitare in qualche modo
lo strapotere che il Governo e il Presidente si erano autoarrogati. In estrema sintesi, possiamo dire che
in una sentenza del 2008, la stessa Corte si è espressa in favore dell’insospendibilità del d iritto
fondamentale di habeas corpus anche per i prigionieri di Guantanamo (definito uno “strumento
vitale per la protezione delle libertà individuali” e un “meccanismo essenziale nella separazione dei
poteri”). Forti sono anche le limitazioni nell’ordinamento britannico che fino a una celebre sentenza
della House of Lords del 2004 consentiva la detenzione “extragiudiziaria” a tempo indeterminato di
stranieri anche solo sospettati di terrorismo. Ma anche qui, successive sentenze dell’autorità giudiziaria
hanno riequilibrato l’esercizio dei diritti civili da parte degli individui con le esigenze connesse alla
sicurezza dello Stato. Infatti le giustificazione alle limitazioni delle garanzie costituzionali vanno
individuate –in assenza di una espressa previsione costituzionale– nel diritto alla sicurezza, che fa da
contro-limite agli altri diritti: in una sentenza del 2001 la CEDU, relativamente al partito turco Refah
Partisi (ovvero “partito della prosperità”), ha osservato che il diritto di associazione politica è cedevole
di fronte alla sicurezza nazionale e alla sicurezza pubblica.
L’art.37 della costituzione del Sud Africa nel disciplinare lo stato di emergenza elenca i diritti
non derogabili (eguaglianza, dignità umana, vita, libertà dell’individui). Disposizioni simili si rinvengono
anche nella costituzione della RDC, nella costituzione serba e in quella dello Swaziland. La costituzione
spagnola indica invece quali sono i diritti sospendibili quando venga dichiarato lo stato di guerra, la
stessa cosa nella costituzione afghana. In Brasile e in India la descrizione delle misure adottabili è
minima; in India sono state introdotte una serie di deroghe al diritto di difesa e alle garanzie delle libertà
personali ed è stata introdotta la pena di morte.
7) La difesa della costituzione

La rigidità e la tendenziale stabilità della Costituzione hanno, all’interno della Costituzione


stessa, una serie di linee di difesa.

7.1) Premessa di metodo


La più nota (nonché più efficace) è sicuramente quella rappresentata dal controllo di
costituzionalità delle leggi, cui si aggiungono ulteriori forme di controllo costituzionali che svolgono
le Corti (in Italia in caso di conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato). Un’altra forma di difesa è la
richiesta di procedure aggravate di revisione costituzionale. La stessa sospensione della
costituzione ha uno scopo di difesa della costituzione minacciata da gravi pericolo di disgregazione
interna o esterna.
La difesa della costituzione si esprime poi anche attraverso atti tipici affidati ad organi
costituzionali: così in Italia il Presidente della Repubblica, in sede di promulgazione delle leggi o di
emanazione di atti aventi forza di legge o di regolamenti, o le commissioni affari costituzionali di

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Camera e Senato in sede di esame delle proposte di legge, devono fare uno specifico esame di
costituzionalità di tali atti. Ma ciò di cui si deve tener conto è che la difesa della costituzione è un
obbligo che grava su tutti e che coinvolge tutto lo Stato-comunità: in primo luogo tutti i titolari di
funzioni pubbliche devono difendere la costituzione; in secondo luogo, anche i semplici cittadini hanno
il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne costituzione e leggi (art. 54, comma 1 cost.)
Nei paragrafi seguenti si trattano le forme di difesa che non emergono dall’esame dei vari istituti
e principi costituzionali, in particolare due: la difesa svolta dal popolo attraverso il c.d. diritto di
resistenza; i c.d. istituti di democrazia protetta, cioè la difesa della costituzione tramite politiche
specifiche che proteggono i valori della costituzione stessa.

7.2) Il diritto di resistenza


La prima forma classica di difesa della costituzione è il diritto di resistenza di cui dispone il
popolo. Esso veniva espressamente sancito in alcune costituzioni settecentesche, ma è previsto anche
nell’attuale Legge Fondamentale tedesca. Il diritto di resistenza consiste nell’inosservanza dei comandi
che sono incostituzionali, anche se questi provengono da organi costituiti (si parlerà di resistenza
passiva), o anche nella reazione verso comportamenti incostituzionali (resistenza attiva) che può
andare dallo sciopero a pubbliche manifestazioni o anche oltre, sino all’insurrezione. “Quando il
governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più
sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri”, recitava la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino del 1793 . La resistenza vera e propria è quella collettiva, come diritto della gente ad opporsi a
uno Stato tiranno. Come la costituzione nasce dal popolo sovrano attraverso il potere costituente, così
essa viene sempre difesa dallo stesso popolo. Il fondamento giuridico e politico delle dichiarazioni
storiche che sanciscono il diritto di resistenza del popolo (come il Bill of Rights) sta nel contratto sociale
e nella derivazione popolare del potere, cosicché il Governo non può mai distaccarsi dalla regole di tale
contratto di investitura dei governanti.
A livello storico il diritto di resistenza riceve una prima teorizzazione dalla dottrina cristiana, che
in caso di conflitto tra precetti provenienti dal potere civile e precetti provenienti dall’ordine divino
postulava la prevalenza dei secondi; venne poi ripreso dalla dottrina del giusnaturalismo che permeò
ideologicamente la Glorious Revolution; passò poi nelle costituzioni degli Stati del Nord America (ma
non nella costituzione USA) e poi nelle prime costituzioni francesi. Tuttavia, dopo il periodo “aureo”
delle rivoluzioni, il diritto di resistenza entra in una fase di involuzione, contrastato da Kant, dal
positivismo e infine anche dai controlli giurisdizionali di costituzionalità, questo perché nello Stato di
diritto vi sono molteplici strumenti a garanzia dei cittadini. Oggi viene previsto solo in pochissime
costituzioni, come quella tedesca, in alcune costituzioni dei Lander tedeschi e in quella portoghese. La
nostra costituzione, malgrado il diritto di resistenza fosse stato inserito nel progetto di costituzione, non
lo prevede. Nota che il diritto di resistenza comincia laddove ogni rimedio giuridico non è più
consentito.
Il diritto di resistenza è più volte disciplinato sul piano ordinamentale ad esempio nella misura
in cui la resistenza si configura come reato politico, il che impedisce l’espulsione sia dello straniero che
del cittadino.

7.3) La democrazia protetta


Una seconda forma di difesa della costituzione si raggiunge tramite le regole che vietano e
sanzionano i comportamenti volti a scardinare la costituzione stessa: è sin troppo scontato che
qualunque ordinamento sanziona ogni comportamento volto a sovvertire l’ordinamento stesso. Ciò a
cui si fa particolare riferimento in questo paragrafo sono le misure di repressione del dissenso
ideologico e politico. Il problema è che, molto spesso, non è chiaro il confine tra la difesa della
costituzione e la lesione del libero esercizio del diritto di manifestazione del pensiero e di critica o del
diritto di associazione. Così se nei regimi autoritari le norme pongono il divieto di qualunque attività
critica delle istituzioni, al contrario vi sono stati alcuni ordinamenti (come quello belga e quello
svizzero) che hanno previsto atteggiamenti di incondizionata tolleranza e neutralità nei confronti
dell’opposizione “anticostituzionale”, soprattutto perché fino all’inizio del XX secolo, non vi erano veri

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e
propri movimenti politici che combattessero i principi di tali Stati. Tutto il peggio che è successo nel
Novecento e in primis l’affermazione dei totalitarismi hanno però portato all’introduzione, anche in
Paesi a tradizione costituzional-liberale di una specifica disciplina relativa all’opposizione
anticostituzionale. Tale disciplina però è immersa nell’annoso dibattito e conflitto tra due valori
costituzionalmente protetti: il diritto dei cittadini ad associarsi e a manifestare liberamente il proprio
pensiero in materia politica e la difesa delle pubbliche istituzioni da atti tendenzialmente eversivi.
In sintesi si tratta del dibattito sul partito “antisistema”: secondo alcuni, esso può essere
individuato soltanto sulla base di un obiettivo e provato carattere violento della sua azione; secondo
altri, invece, l’affermazione dell’ “antidemocraticità” deve basarsi essenzialmente su un’indagine del
programma politico e, dunque, sull’ideologia.

7.4) Disciplina della “opposizione anticostituzionale”


Sintomatica di questa difficoltà di equilibrio tra diritti e libertà d’espressione e tutela della
sicurezza dello Stato è la legislazione (e la giurisprudenza) emanata negli Stati Uniti nel periodo della
guerra fredda, quando furono adottate leggi (come il Communist Control Act) con cui venivano poste
gravissime restrizioni a carico di un partiti politico e dei suoi membri. Con l’entrata in vigore di questa
normativa, si dice che venne introdotto un ordinamento “protetto”, poiché la determinazione di ciò
che fosse democratico veniva assunta dal legislatore ordinario. D’altra parte, c’è da dire che la
prevalenza della “sicurezza” dello Stato rispetto ai principi della libertà (o principi liberali) ha avuto
negli Stati Uniti una lunga tradizione, che risale a ben prima della guerra fredda. In altre parole, se ogni
ordinamento giuridico possiede strumenti per la repressione delle azioni politiche eversive,
l’ordinamento statunitense ha cercato di prevenire tali attività. Alcuni ordinamenti hanno disciplinato il
problema dei due valori all’interno della costituzione, prevedendo norme espresse volte a predisporre
un vero e proprio sistema di difesa dell’ordine costituzionale in relazione ad attività che, teoricamente,
sono attività concepite come espressione di libertà costituzionali.
Questa disciplina di difesa è presente ad esempio nella Grundgesetz (Legge Fondamentale
tedesca). Tale normativa fa sì che l’ordinamento tedesco sia classificabile tra le cosiddette “democrazie
che si difendono”. I divieti previsti in queste disposizioni sono applicati con ragionevolezza e
proporzionalità: così il Tribunale costituzionale tedesco (a norma dell’articolo 18) ha stabilito che il
disconoscimento dei supremi valori dell’ordinamento democratico e liberale non è sufficiente, ma
all’opposizione “ideologica” si deve aggiungere un vero e proprio comportamento “attivamente
combattivo ed aggressivo nei confronti dell’ordinamento giuridico vigente”. Nella stessa direzione della
Germania si è mossa la Spagna e anche i Paesi ex socialisti con le costituzioni introdotte dopo il 1989,
tendenti a difendere l’ordinamento dai partiti che si richiamano ai passati regimi totalitari. In linea
generale, è stato sottolineato come tutte le costituzioni della “terza ondata”, indipendentemente
dall’area geografica di provenienza, contengano disposizioni di protezione e, in alcuni casi, indichino
espressamente le potenziali minacce al sistema politico da cui proteggersi. Infine, altro esempio di
“democrazia protetta” è rappresentato dalla costituzione irachena del 2005, in cui l’art. 7 bandisce dal
Paese il partito Baath, cioè quello che aveva condotto al potere Saddam Hussein, e ne proibisce
espressamente la rifondazione.

7.5) In Italia
La tematica della democrazia protetta è presente anche nell’ordinamento italiano. La
costituzione italiana conosce uno specifico esempio di “democrazia protetta”, nel senso che le libertà
fondamentali vengono limitate o annullate per proteggere interessi ritenuti vitali per la tenuta della
costituzione; tuttavia tale primazia delle esigenze di protezione è stata recentemente riequilibrata con la
legge del 2006 in materia di reati d’opinione. La protezione dell’ordinamento si realizza, in primis, nella
costituzione italiana mediante la XII disposizione transitoria e finale, che vieta la riorganizzazione
sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista; norma che tra l’altro è imposta a livello
internazionale, in quanto il Trattato di pace obbliga l’Italia a non permettere la rinascita nel suo
territorio di organizzazioni fasciste, siano esse politiche, militari o militarizzate; ma d’altra parte è stata

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una precisa scelta del potere costituente, che in via di fatto ha cominciato a esprimersi subito dopo il 25
luglio ‘43 e la caduta del fascismo in opposizione a esso. Cosicché si può dire che la disposizione in
esame ha carattere addirittura supercostituzionale.
Al di fuori di questa esplicita previsione costituzionale, il difficile rapporto tra i due valori di cui
si è tanto detto sopra, nel nostro ordinamento, viene risolto dalla giurisprudenza, che si trova di fronte
a una contrapposizione tra norme che hanno origine e funzioni contrastanti: da una parte le norme
penali volute dal fascismo per colpire l’opposizione, che ancora esistono, e dall’altra le affermazioni
costituzionali dei diritti di libertà. Le norme penali volute dal fascismo per colpire le opposizioni sono
ad esempio i reati di vilipendio delle istituzioni, di apologia e di propaganda sovversiva, tutti
diretti contro la personalità dello Stato, come quelli di associazione sovversiva e di cospirazione politica,
di istigazione a disobbedire alle leggi, ecc: tutti questi istituti hanno dato luogo a non poche
controversie interpretative, proprio per lo scontro con i principi costituzionali. La materia è stata però
disciplinata ultimamente, con la legge n.85 del 2006, intitolata “Modifiche al codice penale in materia di
reati d’opinione”: tale legge va ad abrogare o modificare alcune disposizioni del codice penale inerenti a
fattispecie di carattere apologetico o di vilipendio alle istituzioni dello Stato. In particolare, gli articoli
riformulati tendono a prevedere una maggiore specificità della condotta incriminata. Essi vanno nella
direzione già individuata dalla giurisprudenza, secondo la quale il requisito della sovversività come reato
penale sussiste quando un’associazione di individui non si limita a propagandare o a perseguire
trasformazioni dell’ordinamento, ma mira a realizzare praticamente un programma di azione politica. Si
avvicina così alla nozione di clear and present danger, e dunque il requisito di “concretezza del pericolo”
elaborato dalla giurisprudenza americana, in base al quale possono essere perseguite quelle
manifestazioni del pensiero idonee a determinare in modo diretto e immediato un’azione penalmente
illecita.

7.6) La protezione della costituzione nelle situazioni di emergenza: il terrorismo internazionale


Molti ordinamenti prevedono l’affievolimento e la sospensione dei diritti e delle garanzie
costituzionali, in funzione protettiva dello stato. Cinque sono i modelli di protezione dell’ordinamento:

- Quello britannico, fondato sula deliberazione del regime di eccezione da parte


dell’esecutivo e con la successiva convalida del Parlamento;
- Quello statunitense, che prevede deroghe di alcuni diritti in caso di ribellione interna
o invasione;
- Modello di Nazioni quali Spagna, Francia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi, Paesi
dell’Est nei quali il presidente, il capo del governo e il parlamento possono imporre
stati di eccezione per periodi limitati;
- Modello di Stati come Italia, Belgio, Svezia, Danimarca nei quali solo lo stato di
guerra può essere considerato come regime di eccezione;
- Sistemi nei quali il parlamento ha la scelta tra limitare alcuni diritti con controllo
affidato al giudice costituzionale o imporre sospensioni e deroghe senza sindacato
giudiziale di costituzionalità(Canada e Irlanda sono due esempi).

Naturalmente eventuali limitazioni devono rispettare i diritti umani e le convezioni disciplinanti questo
ambito ratificato dai vari stati. Anche la partecipazioni di molti stati alla nato spesso cozza con la
compatibilità delle garanzie costituzionali.
Possiamo definire il regime caratterizzato dall’applicazione congiunta di garanzie ed eccezioni
come sistema multilivello. Questo sistema così descritto è frutto dell’emergere di fonti normative
internazionali e sovranazionali. La minaccia del terrorismo internazionale ha portato i paesi a non
dichiarare apertamente lo stato di emergenza, ma li ha portati ad inserire garanzie costituzionali spesso
caratterizzate da una logica rassicurativa. Es: il Patriot Act (USA 2006), ora Patriotic Act II è divenuto
permanente negli ordinamenti interni.
Il diritto alla sicurezza è diventato indispensabile nel costituzionalismo moderno: la sicurezza
può essere considerata dunque valore super primario. Concentriamoci su Stati Uniti e Gran Bretagna: la

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legislazione antiterrorismo introdotta ha derogato molto il diritto di libertà personale (Corte Suprema
2004, corte d’appello UK 2006), il divieto di discriminazione (House of Lords 2004), e il diritto al giusto
processo (Corte Suprema 2006, 2008, High Court 2006). Nel Regno Unito le norme introdotte hanno
allargato le condotte da considerare atti terroristici (prevention of terrorism act 2006, terrorism act, terrorism
prevention and investigation measures act 2011). Sono state ridotte le garanzie di libertà degli individui con
l’allungamento della carcerazione e la creazione di una banca dati contenente informazione sui
sospettati. Lo sviluppo di nuove figure criminali quali i foreign fighters e l’ascesa dello Stato Islamico tra
Siria e Iraq hanno limitato ancora di più le garanzie costituzionali di libertà nell’esigenza di tutelare la
sicurezza.
In Nuova Zelanda nel dicembre 2014 è stato approvato il countering terrorist fighters legislation bill,
che ha introdotto il potere di sorvegliare i sospettati di terrorismo senza mandato e con qualsiasi
mezzo, inoltre è stata prevista la possibilità di ritiro del passaporto. È stata comunque inserita una
clausola per porre fine a queste disposizioni prevista per l’aprile 2017 (sunset clause). In Canada sono stati
inseriti l’anti terrorism act (2001) che prevede espulsioni e detenzione extragiudiziaria; public safety act
(2002) che rafforza la possibilità di controlli e l’arresto senza mandato. Le autorità giudiziaria può
dunque interrogare un individuo sospettato di essere a conoscenza di informazioni, il governo canadese
inoltre può rifiutarsi di rispondere a un’interpellanza dell’autorità giudiziaria che chiedi informazioni
sull’individuazione di tale individuo. Entrambe le disposizioni precedenti sono comunque decadute alla
scadenza della sunset clause (dicembre 2016). La corte suprema canadese in molte sue sentenze ha
precisato la definizione di terrorismo, ha sancito l’incostituzionalità del divieto per le forze di polizia di
rendere pubbliche le proprie tecniche operative, ha stabilito l’incostituzionalità delle misure di
detenzione amministrativa a carico di stranieri in preparazione all’espulsione.
In Germania, la parentesi del terrorismo degli anni ‘70-‘80 ha visto l’emanazione della legge sul
terrorismo del 1977, che prevedeva il divieto di colloquio diretto dell’imputato col proprio difensore, il
quale poteva interagire con il proprio assistito solo mediante una persona di contatto. Per quanto
riguarda il post 11 settembre, non ci sono state grandi novità in ambito penale. La strategia è stata
quella di modificare le normativa preesistente in modo di ottimizzarla e sfruttare le potenzialità già
esistenti. Le leggi che sono state emanate in questo periodo( rispettivamente 2002, 2007 sono il tbg e il
tbeg che hanno portato modifiche e aggiustamenti a leggi preesistenti. Sono stati rafforzati i poteri della
polizia criminale federale e i poteri dell’ufficio federale per la protezione della costituzione, al quale è
stato conferito il diritto di reperire informazioni dalle compagnie di volo, dai servizi di posta, dalle
compagnie bancarie e dai soggetti sospettati di porre in essere condotte contrarie al principio della
comprensione tra i popoli e la pace. Sono stati inoltre potenziati i poteri del servizio di informazione
federale e quello del servizio di difesa militare. Queste norme, nonostante fossero poste in essere per
rimanere in vigore per un arco di tempo determinato, hanno visto le forze politiche inclini a
mantenerle; è stata introdotta una legge sulla banca centrale unificata per la raccolta di informazioni
provenienti dalle autorità di polizia relative agli individui sospetti; sono state inserite norma sulla
sicurezza del traffico aereo. Una riforma costituzionale del 2006 ha portato un forte accentramento
delle competenze in materia di terrorismo internazionale nelle mani del Bund; la federazione è dunque
competente in via esclusiva a legiferare sulla disciplina delle armi esplosive e in maniera di terrorismo
internazionale. Lo Stato ha acquistato anche competenza sulla disciplina dell’uso dell’energia nucleare; si
nota l’eccessività di queste norme, infatti molto spesso il tribunale tedesco è intervenuto censurando
alcune disposizioni introdotte dalla legislazione federale.
In Francia è stata approvata la legge 1062/2001 che ha modellato il reato di terrorismo nel
codice penale francese: la sicurezza nazionale viene definita come diritto fondamentale, sono previste
restrizioni alle garanzie processuali e procedimenti speciali per gli accusati di terrorismo, sono state
inserite altre leggi che rafforzano i poteri investigativi della polizia amministrativa e giudiziaria e che
inaspriscono le pene. Anche nel caso della Francia si è cercato ad opera del conseil constitutionnel di
contemperare l’esigenza di sicurezza e diritti individuali.
La Spagna è un caso limite: essa da sempre ha combattuto il terrorismo basco attraverso
deroghe processuali al regime riguardante reati di terrorismo, è stato creato il centro nazionale per
l’intelligence con funzione di coordinamento delle forze di pubblica sicurezza. A seguito degli attentati a

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Madrid è stata approvata la legge organica n. 4/2005: questa legge punisce le violazioni alla normativa
sul materiale esplosivo o infiammabile, tutelando quindi il diritto alla vita e all’integrità fisica. Celebre in
Spagna è stato il caso Guatemala in seguito al quale è stata riconosciuta la giurisdizione universale dei
tribunali spagnoli nei confronti dei crimini contro l’umanità includendovi il terrorismo.
L’Italia ha reagito alla minaccia terrorismo mediante l’adozione di decreti leggi da parte del
governo. Il più recente è il d.l. 18 febbraio 2015 n.7 convertito in legge il 17 aprile 2015 n.43: questo
riguarda il fenomeno dei foreign fighters, impone misure di prevenzione maggiori quali la sorveglianza
speciale, ritiro del passaporto delle personalità sospettate da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.
Notiamo che la legislazione italiana non incide particolarmente sulle garanzie di libertà individuale e
accesso alla giustizia. Profili di incostituzionalità si potevano notare nei provvedimenti di espulsione
immediata di cittadini stranieri (l. 155/2005 ormai decaduta). Molteplici in questo caso sono stati i
ricorsi al TAR nonostante questi non potevano sospenderne l’efficacia.
Possiamo concludere che in Italia la minaccia del terrorismo non è mai stata trattata attraverso misure
extra ordinem.

Sezione III - Costituzioni senza costituzionalismo

1) Costituzioni senza costituzionalismo


Le esperienze costituzionali moderne hanno mostrato spesso la mancanza di costituzionalismo.
La costituzione, come abbiamo già visto precedentemente, consiste nelle regole giuridiche fondamentali
che stanno alla base dell’ordinamento giuridico statale. Esse delineano l’identità dello stato e la forma di
stato (inteso come rapporto politico e giuridico tra chi governa e chi è governato).
Esistono comunque stati la cui forma è solo apparentemente riconducibile al costituzionalismo. I valori
e i principi del costituzionalismo sono rinvenibili nell’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino (1789 assemblea legislativa francese): «Ogni società nella quale la garanzia dei
diritti non è assicurata, né determinata la separazione dei poteri, non è una costituzione). Dunque una
costituzione che sia prodotto del costituzionalismo deve avere queste caratteristiche:

- Diritti del uomo e loro primato;


- Tutela dei diritti anche nei confronti del potere pubblico;
- Controllo di costituzionalità;
- Separazione dei poteri;

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- Limitazione del potere politico;


- Tutti i poteri devono essere soggetti alla legge;
- Il fondamento dei poteri sovrani dipende dalla legittimazione della nazione e del popolo;
- Principio della maggioranza;
- Laicità dello stato.

La GB presenta una costituzione sostanziale del costituzionalismo pur non essendo scritta. Le
costituzioni senza costituzionalismo presentano le seguenti caratteristiche:

- I diritti fondamentali dell’uomo non sono assistiti dagli strumenti di garanzia;


- Non vi è effettiva separazione dei poteri;
- Non è assicurata l’autonomia della politica dalla religione.

2) I diritti dell’uomo senza costituzionalismo nelle costituzioni dei paesi asiatici


In Asia vive il 60% della popolazione mondiale. I popoli asiatici non hanno né comune
tradizione né tradizione giuridica comune. Le religioni quasi sempre si intrecciano con i sistemi
giuridici; non vi è un sistema giuridico omogeneo che in altri Paesi è stato effetto del dominio coloniale.
Abbiamo detto che l’ambito dei diritti umani è al centro delle caratteristiche del costituzionalismo,
quello che notiamo è che in Asia non esiste un’organizzazione sovranazionale degli Stati asiatici che
abbia sottoscritto una dichiarazione o quant’altro sui diritti umani, né il diritto internazionale è riuscito
ad introdurre omogeneità in questo continente per quanto riguarda i diritti umani. I sistemi giuridici
asiatici risentono sia dell’influenza dei modelli occidentali che di quello indiano, islamico cinese.
Troviamo stati comunisti (Cina, Vietnam, Laos), regimi militari (Birmania), autoritarismo (Singapore),
monarchie, stati in transizione verso le democrazia(Thailandia, Taiwan, Malesia) e democrazie
stabilizzate (giappone); c’è dunque varietà ed eterogeneità delle costituzioni.
Secondo la teoria dei valori asiatici, la concezione prevalente in asia sulla condizione dell’uomo
mal concilierebbe con i diritti umani; la trazione indiana si basa più che altro sui doveri dell’individuo e
non sull’individualismo, in India vi è il primato del collettivismo: famiglia, nazione, comunità. La
conseguenza è che lo sviluppo economico è prevalente rispetto ai diritti civili e politici. Le costituzioni
indiane presentano debolezze nella tutela dei diritti umani: vi sono numerosi limiti ai diritti e molti sono
i doveri verso gli individui, la legge attraverso semplici riserve impone limiti. Gli stessi legislatori
possono imporre limiti, gli strumenti di tutela e garanzia sono molto deboli, e anche in questo caso la
tutela al primato della costituzione, alla proclamazione del principio di rule of law e dell’indipendenza
della magistratura è svolta dalle semplici riserve di legge. Anche nei casi di emergenza in cui sono
attribuiti maggiori poteri non sono presenti controbilanciamenti per la tutela dell’individuo: c’è dunque
una debolezza delle garanzie, proprio ciò ci permette di comprendere la distanza dal costituzionalismo
liberale occidentale. Inoltre tale situazione è ancora di più aggravata da disposizioni quali: rinvio al
legislatore, limitazione diritti proclamati dalla costituzione, meccanismi non adeguati di tutela e garanzia
dei diritti.

3) Costituzione e costituzionalismo a colori cinesi


Nella fase finale della dinastia Ch’ing (1644-1911) la parola costituzione è stata usata nel senso moderno
per indicare la legge fondamentale dello stato. Nel 1908 nel tentativo di salvare la dinastia imperiale
vennero adottati i cd. principi costituzionali; con l’avvento al potere del partito comunista, nel 1949 fu
adottata una costituzione sul modello dell’URSS: Mao Zedong riteneva necessaria una legge
fondamentale nella quale fosse proclamata l’istaurazione di un regime democratico popolare; questa
legge fondamentale sarebbe dovuta essere la costituzione, nella quale veniva tracciate le linee
fondamentali del governo dello stato. Si trattava sostanzialmente di una costituzione-manifesto che

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avrebbe dovuto leggersi in concomitanza con lo statuto del Partito Comunista Cinese e del suo
programma politico. Fu una costituzione caratterizzata da transitorietà in quanto si modificava al
mutare degli orientamenti politici; In seguito a questa costituzione, la RPC ha approvato ben 4
costituzioni, quella tuttora vigente è stata adottata nel 1982 ed è stata emendata 5 volte fino all’ultima
riforma del 2017.
La nuova costituzione è considerata fonte del diritto e presenta le seguenti caratteristiche:
- È legge fondamentale dello stato, riflesso del sistema di governo e della suddivisione in
classi, delinea il bilanciamento tra le diverse forze politiche e infine è il fondamento delle
garanzie dei diritti e delle libertà;
- Definisce le finalità fondamentali in ragione della sua superiorità nei confronti delle altri
leggi;
- È molto rigida: può essere emendata solo dall’assemblea nazionale del popolo, che è
l’organo rappresentativo del potere sovrano.
- Ha natura classista e riflette il contrasto e il bilanciamento tra le diverse classi sociali/forze
politiche/nazionalità ed etnie differenti nell’ottica dell’onnipresente partito comunista (come
sappiamo il partito comunista rappresenta la matrice unitaria e la forza unificante delle
istanze politiche);
- Garantisce i diritti e le libertà fondamentali degli individui.
-
L’esperienza della realtà politico-costituzionale cinese presenta una concezione della costituzione e del
costituzionalismo di marcata colorazione cinese: si tratta di una sorta di dichiarazione nazionale.
Questa costituzione presenta dei problemi: in primo luogo la sua valenza politica e di manifesto
la privano della sua sostanziale forza giuridica, ciò è dato dal fatto che il partito comunista ha il primato
sulla costituzione; sono dunque contemplate violazioni legittime della costituzione. La costituzione
inoltre mostra un pluralismo di facciata rudimentale: c’è sempre ruolo predominante partito comunista,
gli altri 8 partiti infatti riconoscono il primato del partito comunista. Potremmo concludere che il
pluralismo manca del tutto. Ulteriore limite sono le clausole di limitazione rimesse al legislatore
ordinario: le limitazioni delle libertà fondamentali sono rimesse alle forze politiche dominanti, senza
alcuna garanzia costituzionale.
Siamo in presenza dunque di una frattura tra la costituzione cinese formale (riconducibile al
costituzionalismo liberal-democratico) e la costituzione materiale o vivente: l’esempio della cina è un
classico esempio di costituzione senza costituzionalismo. La costituzione del 1982 è una costituzione
ideologica imperniata sul pensiero marxista-leninista e su quello di Mao. Si noti come il sistema
economico è sovraordinato rispetto al diritto; il motivo principale per il quale sono stati inseriti principi
del costituzionalismo occidentale sono essenzialmente di facciata, per poter andar a far parte della
WTO e per poter ospitare le olimpiadi di pechino.

3) Teocrazie costituzionali senza costituzionalismo: Afghanistan e Iran

In questi casi la fede religiosa dominante rappresenta il fondamento del potere temporale: i
precetti religiosi sono la fonte primaria del diritto vigente. Esempi di questi casi sono gli stati islamici
dove la costituzione è subordinata alla Shari’a(legge divina): l’Islam religione di stato si parla di stati
confessionali.
Esempi recenti di regime teocratico sono l’Afghanistan (1996-2002), dove i talebani e i teologi
imposero la legge islamica, e lo stato del Sudan nel XIX secolo. Le esperienze moderne ci fanno parlare
di teocrazia costituzionale: in Afghanistan dopo la sconfitta dei Talebani la grande assemblea
costituzionale ha istaurato uno stato a forte impronta confessionale. L’islam è religione di stato, i titolari
delle massime cariche devono appartenere alla religione islamica, dunque la teocrazia costituzionale
realizza una separazione formale tra leadership politica e autorità religiosa; nonostante ciò la
costituzione è impregnata di precetti islamici. I tratti caratteristici di una teocrazia costituzionale sono:

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- Proclamazione religione dominante come religione di stato;


- Riconoscimento costituzionale della religione;
- Riconoscimento costituzionale di alcuni principi del costituzionalismo moderno:
separazione dei poteri, controllo giurisdizionale, distinzione tra autorità politica e religiosa,
nesso tra organismi religiosi e tribunali.

Esempi di teocrazia costituzionale sono Arabia Saudita, Qatar, Maldive, Afghanistan, Iran, Iraq.
Nella costituzione iraniana la Shari’a è riconosciuta come legge suprema e l’autorità politica è
considerata di natura divina; allo stesso tempo il popolo è titolare del governo dello stato, elegge il
presidente della repubblica e i membri dei consigli comunali; il potere di revisione costituzionale è
affidato al consiglio dei guardiani, composti per metà da religiosi e metà da giuristi laici.
Vediamo quindi in Iran una forte frattura rispetto al costituzionalismo data dal riconoscimento
della supremazia della religione islamica (l’obiettivo è realizzare i valori universali dell’Islam), il vertice
delle fonti è la legge islamica che costituisce anche la legittimazione dei poteri statali. La costituzione
ora vigente, attuata in seguito alla rivoluzione del ‘79, esprime la teoria dello stato elaborata da
Khomeini, in base alla quale la separazione della religione dal governo è estranea all’Islam; in questo
caso la religione dispone i precetti legali, della sfera etica e religiosa. Quello che emerge dunque è uno
stato e una costituzione funzionale all’attuazione dei precetti dell’islam; anche la garanzia dei diritti e
subordinata a quanto dispone la religione. La guida suprema, vertice politico e religioso non è
sottoposta a nessun limite di controllo.

Capitolo IV - Le forme di stato

1) I criteri di classificazione
Il termine forma di Stato indica l’insieme dei principi e delle regole fondamentali che caratterizzano un
ordinamento statale e che disciplinano i rapporti fra lo Stato come apparato legittimato ad usare la
coercizione da un lato, e i cittadini dall’altro. Tale concetto è correlato a quello di regime politico >
caratterizzato dall’individuazione delle finalità di carattere generale che lo stato vuole perseguire,
nonché a quello di costituzione materiale > insieme di principi e valori dominanti che contrassegnano
un ordinamento costituzionale. Fin dall’antichità il pensiero filosofico si è proposto di classificare le
forme di dominio politico, senza distinguere tra forme di stato e di governo. La classificazione
principale è quella fatta da Aristotele che distingue le forme di governo a seconda del numero dei
soggetti titolari della sovranità  proponendo la tripartizione “buona” fra monarchia, aristocrazia e
politeia (rispettivamente governo di uno, di pochi, di molti), quella “degenerata” fra tirannia, oligarchia
e democrazia. Poi vi è la classificazione di Machiavelli tra Principati e Repubbliche e quella di
Montesquieu tra governi monarchici, dispotici e repubblicani (aristocratici e democratici).

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La distinzione tra Monarchia e Repubblica è stata a lungo proposta come criterio fondamentale di
classificazione delle forme di Stato > in quanto poggiava su due principi: quello monarchico (Re che
personificava lo Stato) e quello repubblicano (Capo della Stato come uno degli organi dello stato,
legittimato dal popolo). Per una certa fase storica l’esistenza di un Capo dello Stato monarchico ha
contrassegnato la natura della forma di Stato (monarchia assoluta) o della forma di governo (monarchia
costituzionale). Con la trasformazione delle monarchie europee in monarchie parlamentari, la
distinzione tra monarchia e repubblica non appare più decisiva in quanto si riferisce a forme di Stato o
a forme di governo storicamente superate: l’esistenza di un capo dello Stato monarchico o repubblicano
non modifica la sostanza degli Stati democratici né della forma di governo parlamentare. Fra i criteri
oggi utilizzati  bipartizione delle forme di Stato in due grandi categorie: Stato democratico (titolarità
collettiva e esercizio ripartito del potere, modalità di formazione delle decisioni basata sul consenso
popolare, ideologia liberaldemocratica, struttura pluralista e pluripartitica) e Stato autocratico (titolarità
ristretta e esercizio accentrato del potere, modalità di assunzione e di attuazione delle decisioni basata
sull’imposizione, ideologie antitetiche a quella liberaldemocratica).
Democrazia e autocrazia
La concezione di Stato democratico oggi prevalente è di tipo procedurale (configura la democrazia
come un processo finalizzato ad adottare le decisioni politiche) e formale (insieme di regole procedurali
per assumere le decisioni indipendentemente dal contenuto di queste). Sartori definisce quello
democratico come un sistema pluripartitico nel quale una maggioranza governa nel rispetto dei diritti
delle minoranze. La concezione di democrazia in senso sostanziale (sistema che garantisce i diritti
economico-sociali finalizzata a realizzare una eguaglianza effettiva) oggi non è superata. Tuttavia anche
la sola concezione di democrazia in senso formale non appare sufficiente senza un nucleo minimo
essenziale di principi e valori la cui protezione vada oltre le mere procedure formali: adottando una
concezione solo formale di democrazia si potrebbe arrivare al paradosso per cui l’espressione della
maggioranza del popolo potrebbe portare alla rinuncia al sistema democratico, ad es. affidandosi ad un
dittatore. La democrazia è in definitiva un sistema di regole procedurali e allo stesso tempo un insieme
di principi e di valori in esse incorporati o presupposti, che è sancito a livello costituzionale ed è
condiviso dalla società.
La categoria di Stato autocratico viene ad assumere carattere residuale e negativo in quanto comprende
tutte le esperienze non qualificabili come democratiche (fascismo, stato socialista). Il termine autocrazia
(governo di uno) ricomprende concetti quali dittatura, regime autoritario, regime totalitario, che sono
distinti tra loro. La dittatura è una forma di concentrazione del potere nelle mani di un organo,
solitamente monocratico, e può configurarsi come dittatura commissariale  potere legittimo e
costituito, previsto e disciplinato in costituzione, che ha come presupposto lo stato di necessità.
Caratteristiche essenziali sono la temporaneità della carica e l’eccezionalità dei suoi poteri che possono
anche portare alla sospensione delle garanzie costituzionali. Oppure come dittatura sovrana 
determina la vigenza di una nuova costituzione attraverso l’esercizio di un potere costituente che agisce
in totale rottura col precedente ordinamento costituzionale e quindi si configura come potere illegittimo
e di fatto. Deriva da una crisi di regime e sfocia nell’instaurazione di una nuova forma di Stato o nel
ripristino della costituzione. In entrambi i casi la dittatura non costituisce una forma di Stato a sé, ma è
una forma transitoria che si conclude o con il ritorno al normale funzionamento dell’ordinamento
preesistente o col suo definitivo superamento.
Il regime autoritario (comprende tutte quelle forme di dominio politico che si fondano su una forte
concentrazione del potere, un basso livello di consenso e di mobilitazione popolare, l’uso della forza e
la repressione dell’opposizione) è individuato dai giuristi come la forma di Stato che si è affermata in
Europa tra le due guerre mondiali (massime espressioni sono state il nazionalsocialismo tedesco, il
fascismo, il franchismo spagnolo, il salazarismo portoghese). Una sottospecie di regime autoritario è il
regime totalitario che assume caratteristiche proprie che lo distinguono dal regime genericamente
autoritario: proclamazione di un’ideologia ufficiale dello Stato inculcata mediante la manipolazione della
cultura, dell’informazione e della propaganda; presenza di un partito unico fonte suprema del potere il
cui capo carismatico è la personificazione di questo potere; mobilitazione permanente delle masse
realizzata attraverso un’organizzazione capillare della società e sulla costante ricerca del consenso

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popolare mediante metodi plebiscitari che non consentono reali alternative; alla base vi è una struttura
di tipo poliziesco che prevale su quella militare (nazismo, stalinismo).
L’evoluzione storica: l’ordinamento feudale
Al fine di una classificazione più completa, è necessario utilizzare più criteri che consentono anche di
individuare l’evoluzione storica delle forme di Stato:
1. la natura del rapporto fra lo Stato e la società civile  tra sfera pubblica e privata
2. l’individuazione del titolare del potere politico e del modo di esercizio di tale potere
3. la derivazione del potere, ossia la sua fonte di legittimazione
4. il riconoscimento o meno dei diritti di libertà e delle garanzie della loro effettività
5. l’esistenza o meno di una costituzione
Applicando tali criteri è possibile distinguere tra Stato assoluto, Stato liberale e, nell’ambito dello Stato
contemporaneo, tra Stato democratico, Stato autoritario, Stato socialista. Non è individuabile come
forma di Stato l’ordinamento feudale in quanto di forma di Stato in senso proprio può parlarsi solo con
la nascita degli Stati-nazione che avviene in Europa dalla seconda metà del XIV secolo. L’ordinamento
feudale si fonda su un tessuto sociale costituito da comunità di piccole dimensioni isolate le une dalle
altre e su un’economia agricola autosufficiente basata sullo scambio in natura. Qui non si può parlare di
stato in quanto vi è un’identificazione tra la persona fisica del Signore e la proprietà privata della terra
da un lato e il potere esercitato sulle masse contadine dall’altro. Si è parlato di un ordinamento
patrimoniale-privatistico per sottolineare la mancanza di un fine pubblicistico: l’interesse era solo
l’interesse del Signore ed era fondato su rapporti di tipo privatistico-contrattuale tra di esso e i feudatari.
Importante è il rapporto che si instaura tra il Re e i suoi feudatari > in base al quale questi ultimi
acquisiscono il dominio politico del feudo e si obbligano a procurare al primo la forza armata e le
entrate necessarie alla difesa. Natura pattizia assume la Magna Charta (1215) e natura contrattuale
assume il rapporto tra il feudatario e i contadini (rendita al feudatario). Caratteristiche del sistema:
1. Si è parlato di un ordinamento patrimoniale-privatistico per sottolineare la mancanza di un fine
pubblicistico: l’interesse era solo l’interesse del Signore ed era fondato su rapporti di tipo privatistico-
contrattuale tra di esso e i feudatari.
2. La sovranità del Re è puramente teorica in quanto ogni feudo costituisce un ordinamento autonomo
sotto la giurisdizione di un feudatario; analogo fenomeno può rilevarsi nelle comunità urbane di tipo
comunale (Italia XI sec). Nella società feudale non vi è un unico ordinamento sovrano, ma una pluralità
di ordinamenti autonomi (Chiesa, ceti artigianali, comunità urbane, terre contadine ecc).
3. Nel feudo si riscontra un embrione di potere politico ma difettano elementi essenziali perché si possa
parlare di potere statale > non c’è un apparato militare permanente e l’impersonalità del potere.
4. Nella società feudale non si può parlare di veri e propri diritti di libertà; solo alcune categorie di
persone (uomini liberi, in particolare appartenenti alla nobiltà e al clero) possono solo rivendicare alcuni
privilegi (es: essere giudicati dai propri pari).
5. Non esiste una costituzione feudale intesa come regolamentazione dei poteri pubblici e
riconoscimento dei diritti.
Lo Stato assoluto
Lo Stato assoluto si sviluppa in Europa dalla seconda metà del XIV sec e costituisce storicamente la
prima forma di Stato, in quanto si identifica con la nascita degli Stati-nazione > data dalla progressiva
unificazione sotto il dominio del Re di ampi territori. Alla base dello Stato assoluto vi è un’economia
che unisce all’assetto agricolo lo sviluppo del capitalismo mercantile e manifatturiero. Altre ragioni alla
base di questa nascita sono l’espansione demografica, lo sviluppo di un surplus nella produzione
agricola che incoraggia gli scambi con le comunità, il desiderio del re di riaffermare il dominio politico
sui suoi territori. E’ possibile individuare due fasi nello sviluppo dello Stato assoluto:
1. Assolutismo empirico (tra 500/700)  ancora si parla di uno Stato patrimoniale in quanto forte
l’intreccio tra fine pubblicistico e privatistico.
2. Assolutismo illuminato (fine del 700)  si parla Di Stato di polizia e cioè uno Stato che
persegue il fine pubblicistico di realizzare il benessere dei sudditi.

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Con l’assolutismo nasce uno Stato-apparato che persegue finalità pubblicistiche in nome e per conto del
Re. Gli elementi costitutivi di tale apparato sono un corpo amministrativo-burocratico di funzionari
stipendiati, un esercito permanente, un sistema coordinato di esazione dei tributi. Si opera la distinzione
tra patrimonio privato del Re e patrimonio pubblico.
Si sviluppa il concetto di sovranità come potere assoluto (1576, Bodin), perpetuo e indivisibile, la cui
titolarità spetta al Re o meglio alla Corona. Il potere è accentrato nelle mani del monarca (legibus
solutus) ma non in modo rigido e assoluto: continuano infatti ad operare numerosi ordinamenti
autonomi e di tipo corporativo presenti nella società feudale pur assoggettati al principio di autorità. Il
Re concentra nelle proprie mani il potere esecutivo e quello legislativo. Il potere giudiziario viene
amministrato da corti e tribunali composti da giudici nominati dal Re.
Il potere del Re è di origine divina e si trasmette per via ereditaria. Ridimensionato è il ruolo
rappresentativo delle Assemblee medievali, la rappresentanza si configura come un rapporto di diritto
privato nel quale il rappresentante agisce come mandatario legato a vincoli e direttive da parte dei
rappresentati. Come nell’ordinamento feudale, nello Stato assoluto non si hanno diritti ma solo pretese
di natura privatistico-patrimoniale di cui sono titolari solo coloro che possono vantare un titolo di
proprietà  se questi subiscono danni ingiusti possono rivalersi nei confronti del fisco (fondo
patrimoniale dello stato alimentato dalle entrate tributarie). Si afferma la distinzione tra atti di imperio
(che intervengono in materia pubblicistica e costituiscono esercizio di sovranità) e atti di gestione
(impugnabili in via giurisdizionale qualora violino le situazioni soggettive patrimoniali.
Lo Stato assoluto non è uno Stato costituzionale  gli unici limiti sono rappresentati da supreme leggi
del regno, quelle di successione e quelle di origine divina e naturale. Lo sviluppo dello Stato assoluto
non è unico in Europa: in Inghilterra non si affermerà mai compiutamente il principio assolutistico
mentre nel continente, in particolare in Francia, ciò avverrà determinando una netta frattura sociale e
politica con la borghesia che si ripercuoterà nelle modalità di passaggio allo Stato liberale.
Lo Stato liberale
La crisi dello Stato assoluto è dovuta ad una molteplicità di ragioni: finanziarie, economico-sociali,
politiche (necessità della borghesia di conquistare il potere). La base economica dello Stato liberale è
costituita dal modo di produzione capitalistico, basato sulla proprietà dei mezzi di produzione, sulla
libera concorrenza, sulla ricerca del profitto come fine ultimo dell’attività economica, sulla centralità del
mercato come misura del valore delle merci e della stessa forza lavoro. Lo Stato liberale nasce presto in
Inghilterra in seguito alle due rivoluzioni (1649 e 1688-89) condotte vittoriosamente dal Parlamento
contro la dinastia degli Stuart. Attraverso le leggi del Parlamento la borghesia inglese trasforma gli
antichi privilegi in diritti e pone una serie di limiti al potere del Re. Il passaggio allo Stato liberale
avviene con una certa gradualità senza fortissimi traumi politici e sociali.
Negli USA la costruzione dello Stato liberale avviene in modo del tutto naturale in seguito
all’indipendenza e soprattutto grazie alla costituzione. In Francia il passaggio allo Stato liberale avviene
in forme violente attraverso un aspro conflitto rivoluzionario (borghesia vs clero ed aristocrazia). In
Germania e in Italia la debolezza della borghesia fa sì che lo Stato liberale nasca come frutto di un
compromesso e di una rivoluzione dall’alto (realizzata grazie all’espansione prussiana e del Regno di
Sardegna): fin dall’origine esso assume una connotazione fortemente statalista e centralista. Nonostante
la diversa evoluzione delle singole esperienze, è possibile tuttavia individuare i caratteri istituzionali
essenziali comuni:
1. Nello Stato liberale si ha una netta distinzione tra la sfera pubblica e la sfera privata. Alla base vi è
un’ideologia individualistica che afferma il valore della persona come soggetto in sé. Tale impostazione
determina la soppressione degli ordinamenti corporativi e degli organismi intermedi. Sul piano
economico si parla di uno Stato non interventista > si tende a subordinare il fattore politico a quello
economico. Lo Stato ha il monopolio della forza legale e non esita ad usarla sottoponendo a serie
limitazioni i diritti civili.
2. Titolare della Sovranità è la Nazione intesa come entità unitaria ed indivisibile che trascende la
volontà dei singoli. Il concetto di nazione non comprende l’intero popolo ma solo coloro che
esprimono una comune visione ideale e sociale e quindi la borghesia diventa la classe dominante.

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3. La separazione dei poteri è uno dei principi cardine dello Stato liberale. La tripartizione fra potere
legislativo, esecutivo e giurisdizionale risale a Montesquieu e alla base ha la volontà della borghesia di
spezzare l’assolutismo monarchico. In particolare Montesquieu affermava la necessità che tra i poteri vi
fossero forme di reciproco controllo (checks and balances USA).
4. L’indipendenza del potere giudiziario si impone in maniera naturale nei Paesi di common law. Nei
Paesi di civil law il processo è molto più lento e faticoso in quanto i giudici sono funzionari pubblici
condizionati nella loro organizzazione dal potere esecutivo e nell’esercizio della funzione giurisdizionale
dal potere legislativo.
5. Con lo Stato liberale si afferma anche il principio della rappresentanza politica che si differenzia
nettamente dalla rappresentanza di tipo privatistico tipica delle esperienze precedenti. Le elezioni
diventano lo strumento fondamentale per la scelta dei rappresentanti legittimati ad esprimere una
volontà libera non vincolata a precise direttive dei propri elettori. Viene infatti sancito il divieto del
mandato imperativo: gli eletti rappresentano non solo chi li ha votati ma l’intera Nazione, perseguono
non interessi particolari ma l’interesse generale. Lo Stato liberale è quindi rappresentativo ma
omogeneo o monoclasse, per via del suffragio ristretto, ed è quindi uno Stato oligarchico e non
democratico.
6. Caratteristica dello Stato liberale è il riconoscimento costituzionale dei diritti di libertà che si
identificano con i diritti civili, intesi come diritti della persona considerata nella sua individualità, e come
libertà negative, derivanti dal riconoscimento a ciascun cittadino di una sfera privata che deve restare
libera dalle ingerenze esterne. Lo Stato liberale non è tuttavia pienamente libero: una volta consolidato
esso ostacola l’estensione del riconoscimento dei diritti civili e politici alle classi subalterne. Gli stessi
diritti di libertà e le relative garanzie vengono riconosciuti in maniera diversificata nei vari ordinamenti.
Il loro radicamento è più forte nei Paesi ove si affermano per via consuetudinaria (Inghilterra) o
rivoluzionaria (USA e Francia) in quanto qui vengono teorizzati come diritti naturali preesistenti allo
Stato e fondati su una legge superiore rappresentata dalla costituzione. E’ invece più debole in Italia e in
Germania dove vengono configurati come diritti pubblici soggettivi che nascono attraverso il
riconoscimento da parte dello Stato.
7. Grande conquista dello Stato liberale è la costituzione  atto fondamentale che assicura la garanzia
dei diritti e stabilisce la separazione dei poteri. Si può quindi parlare dello Stato liberale come di uno
Stato legislativo in quanto è la legge l’atto fondamentale che deve garantire un equilibrio fra l’autorità
dello Stato e le libertà dei cittadini. La mancanza della previsione in costituzione di procedure aggravate
per la loro modifica è dovuta alla forte omogeneità politica e ideologica della rappresentanza
parlamentare per cui non sussiste il timore che una maggioranza legislativa possa pregiudicare i principi
e gli interessi comuni.
8. Nello Stato liberale si afferma la concezione di Stato di diritto inteso in senso lato come
sottoposizione degli stessi poteri pubblici ad un insieme di regole astratte e generali predeterminate e
inteso in senso stretto come Stato fondato sul riconoscimento di un nucleo di principio (supremazia
della legge, legalità in senso formale, separazione dei poteri) e sulla garanzia giurisdizionale dei diritti di
libertà. Lo Stato di diritto assume anch’esso caratteristiche diverse nei vari ordinamenti. Nei Paesi
anglosassoni la rule of law comporta la supremazia della legge sugli altri atti dei pubblici poteri ma entro
limiti rappresentati da diritti e garanzie consuetudinarie; in Europa continentale la garanzia dei diritti è
sancita in base al principio di legalità ma non costituisce un limite nei confronti della legge del
Parlamento.
Lo Stato autoritario
Il termine Stato autoritario è stato applicato ai regimi che si sono imposti in Europa tra le due guerre
mondiali ispirati ad un’ideologia di tipo fascista o ultranazionalista di destra. Gli esempi più significativi,
Italia e Germania. Lo Stato autoritario nasce come risposta alla crisi dello Stato liberale ma assume
opposte caratteristiche sociali (la base di massa è soprattutto la piccola borghesia), ideali (assertore di
una ideologia illiberale e antipluralistica) e istituzionali (dà vita ad un sistema di potere autocratico).
Esso anziché allargare la base di massa dello Stato liberale e garantire l’integrazione delle organizzazioni
del movimento operaio, mira a distruggere quest’ultimo e a sopprimere ogni forma di conflitto e di
dissenso. Alcune diversità sussistono tra i regimi italiano e tedesco:

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 Entrambi esaltano il concetto di nazione, ma il fascismo italiano la considera come una unità
morale, politica ed economica, mentre il nazionalsocialismo ne individua il fondamento nella
comunità popolare basata sull’unità di sangue e di razza del popolo tedesco e fin dall’origine
quindi assume connotati apertamente razzisti.
 Per quanto riguarda la natura dei rapporti tra Stato e partito al potere, in Italia si afferma il
principio dell’integrazione del partito nello Stato; in Germania si afferma invece la concezione
tripartitica che sostiene la superiorità dell’elemento “dinamico”, costituito dal partito e dal suo
leader carismatico, sullo Stato (elemento “statico”) e sul popolo (elemento “non politico”).
 Solo il regime nazionalsocialista assume i caratteri del totalitarismo mentre quello fascista può
essere qualificato solo come autoritario, per quanto esistano le premesse di un assetto totalitario
(ideologia ufficiale di Stato, partito unico, ruolo determinante del capo carismatico, ecc) > in
Italia vengono fatte salve la libertà religiosa e quella economica, viene mantenuta l’autonomia
della magistratura ordinaria, permane al vertice dello Stato la Corona, non si realizza la piena
integrazione delle masse nel regime tramite il ricorso a strumenti di tipo plebiscitario (che
vengono rapidamente abbandonati.
Caratteristiche comuni della forma di Stato autoritaria:
1. Si attenua la separazione tra Stato e società in quanto viene attuata una statalizzazione coattiva della
società civile con penetrazione nella sfera privata dei cittadini. Sul terreno economico lo Stato
autoritario è interventista, così come lo è anche in campo sociale ed assistenziale, calato però dall’alto al
quale non corrisponde il riconoscimento di diritti sociali.
2. La concentrazione del potere è fortissima a livello orizzontale e verticale. Nell’organizzazione dello
Stato centrale il potere legislativo è nettamente subordinato a quello esecutivo, una posizione di
assoluto predomino è riconosciuta al Capo del Governo (nella scelta dei Ministri, nella direzione della
politica e nel comando delle forze armate). In Italia va sottolineato il ruolo del gran Consiglio del
fascismo che è titolare di importanti funzioni.
3. Lo Stato autoritario sostituisce alla rappresentanza politica di tipo elettivo una rappresentanza
monopartitica e corporativa. Il Parlamento viene assimilato completamente al regime perdendo la sua
origine elettiva. La natura antidemocratica e antipluralistica del regime autoritario si esprime nel ruolo
del partito unico: il partito al potere, rigidamente gerarchizzato, viene trasformato in ente di diritto
pubblico e gli altri partiti vengono messi fuorilegge. Lo Stato autoritario si caratterizza come
corporativo in nome di un’ideologia che nega il pluralismo e la legittimità del conflitto. (es. lo sciopero
viene punito come reato e i conflitti sono risolti in Italia dalla magistratura del lavoro, si prevede la
costituzione delle Corporazioni quali organismi di diritto pubblico che comprendono per ogni categoria
i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori). In GER l’idea corporativa non viene invece mai
realizzata, vi è la soppressione della contrattazione collettiva nazionale e dei diritti di organizzazione e
azione dei lavoratori.
4. Lo Stato autoritario è illiberale e repressivo in quanto non solo nega i diritti politici ma limita
pesantemente gli stessi diritti civili.
5. La costituzione preesistente rimane formalmente in vigore ma viene progressivamente erosa superata
da un insieme di leggi e di prassi che danno origine ad una costituzione vivente frutto della progressiva
integrazione fra Stato e partito. Dietro l’apparente continuità giuridica con il precedente assetto
costituzionale, vi è invece una rottura che ne modifica i principi e i meccanismi di funzionamento.
Lo Stato socialista
Lo Stato socialista si afferma in Russia in seguito alla rivoluzione del 1917 e dal 1922 si afferma
nell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche; si estende dopo la seconda guerra mondiale in vari
Paesi dell’Europa centro-orientale, dell’Asia e a Cuba. Anche lo Stato socialista nasce in
contrapposizione allo Stato liberale, assumendo alcune caratteristiche istituzionali e politiche simili a
quelle dello Stato autoritario (partito unico, concentrazione e personalizzazione del potere, negazione
dei diritti civili e politici), ma varie sono le differenze sul piano economico e su quello ideologico.
Mentre quello autoritario convive con il mercato capitalistico, in quello socialista si impone un modo di

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produzione collettivistico basato sulla statalizzazione dei mezzi di produzione che sostituisce al mercato
un piano economico quinquennale centralizzato. La Cina negli ultimi anni ha cercato di superare
l’economia pianificata: con la revisione costituzionale del 2004 è stato sancito il principio
dell’inviolabilità della proprietà privata dei cittadini. La forma di Stato socialista ha assunto in Cina
caratteristiche peculiari combinando uno sviluppo economico di tipo capitalistico con un sistema
politico-istituzionale che continua ad ispirarsi al modello sovietico e al potere assoluto del partito e a
reprimere duramente il dissenso politico.
L’ideologia dello Stato socialista è collettivistica, classista e internazionalista, all’opposto di quella dello
Stato autoritario che è individualista, corporativa e nazionalista. Lo Stato è visto come strumento della
dittatura di classe e quindi dittatura del proletariato vista come fase necessaria di passaggio per una
società comunista senza classi (marxismo-leninismo). La statalizzazione determina una netta
preponderanza della politica sull’economia e della sfera pubblica su quella privata. La società è
organizzata in strutture associative collaterali al partito comunista. L’URSS si configura come esempio
di regime totalitario caratterizzato dall’ideologia ufficiale di Stato, presenza di un partito unico e del suo
capo carismatico, organizzazione capillare e mobilitazione permanente delle masse a sostegno del
regime.
Le costituzioni socialiste sanciscono il principio della sovranità popolare ma precisano che questa si
esercita attraverso gli organi del potere statale. Anziché il principio di separazione dei poteri, rifiutato, si
afferma l’opposto principio dell’unità del potere statale che a livello teorico si esprime nella
qualificazione del Parlamento di origine elettiva quale organo superiore o supremo del potere statale. Il
funzionamento dello Stato si basa sul principio della doppia dipendenza ogni organo del potere
statale dipende orizzontalmente dal corpo elettorale e verticalmente dall’organo di livello superiore (al
vertice il Parlamento) e ogni organo dell’amministrazione statale dipende orizzontalmente dal
Parlamento che lo ha eletto e verticalmente dall’organo superiore (al vertice il Governo centrale).
L’organo che finisce per prevalere è la Presidenza collegiale del Parlamento > il quale esercita tramite
decreti il potere legislativo e di nomina e revoca spettanti all’Assemblea quando questa non è in
sessione, di tale organo fanno parte i massimi esponenti del partito.
Dagli anni 30 si adotta via via in tutti i Paesi socialisti il principio della rappresentanza parlamentare
(suffragio universale, diretto e segreto) > però rispetto al modello democratico vi sono differenze:
 La proclamazione del principio del mandato imperativo e della revocabilità degli eletti da parte
dei propri elettori (principio che però rimane solo sulla carta).
 Carattere monolitico e omogeneo della rappresentanza chiamata ad esprimere gli interessi
unitari del popolo. L’elezione del Parlamento non è realmente libera (sistema delle candidature
uniche in collegi uninominali selezionate dal partito, quindi il consenso popolare è di carattere
plebiscitario).
Il ruolo di guida del partito comunista nei confronti dello Stato e della società viene espressamente
riconosciuto in costituzione. Il funzionamento del partito e di tutto l’apparato statale si articola in base
al principio del centralismo democratico  ogni organo è eletto ed è responsabile verso i propri
elettori; le decisioni degli organi superiori sono vincolanti per quelli inferiori; le decisioni approvate
dalla maggioranza devono essere disciplinatamente attuate.
Le costituzioni socialiste contengono una parte relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini: ampio spazio è
riconosciuto ai diritti economico-sociali, ma sono riconosciuti anche diritti civili e politici che però sono
funzionalizzati alla tutela degli interessi dello Stato, della società e della collettività. L’effettività dei
diritti è pregiudicata dall’inesistenza di uno Stato di diritto.
Il principio della legalità socialista che impone il rispetto della costituzione e delle leggi ai cittadini e agli
organi dello Stato, è caratterizzato da finalità di carattere ideologico e soprattutto non è sorretto da un
effettivo sistema di giustizia costituzionale. Non è garantita l’indipendenza della magistratura i giudici
sono eletti spesso dagli organi parlamentari e sono revocabili in qualsiasi momento. Rispondono di
fatto del loro operato ai dirigenti del partito. Vi è poi un potere peculiare rappresentato dalla Procura >
ha il compito di vigilare sul rispetto della legalità socialista.

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Le costituzioni degli Stati socialisti si modificano nel tempo. Inizialmente si caratterizzano come
costituzioni-bilancio brevi e flessibili (si limitano a formalizzare quanto realizzato soprattutto in campo
economico-sociale); in seguito al consolidamento del potere vengono adottate costituzioni
programmatiche lunghe e rigide (contengono i principi e le finalità da perseguire e sono revisionabili
con una maggioranza qualificata del Parlamento). La rigidità di queste costituzioni è però solo di
facciata: in vari Paesi socialisti l’assetto costituzionale risulta poco stabile e si succedono nel tempo
importanti revisioni costituzionali.
La crisi dell’URSS e degli Stati socialisti europei
La crisi dell’Unione sovietica e degli Stati socialisti europei prende avvio dal tentativo di riforma del
sistema avviato nel 1985 da Gorbaciov che mirava ad un’attenuazione del carattere collettivistico e
pianificato dell’economia; al riconoscimento del principio della separazione dei poteri; all’affermazione
del pluralismo politico, dei diritti fondamentali della persona, dell’indipendenza della magistratura; alla
creazione di un organo di giustizia costituzionale. Tali riforme erodono le basi fondamentali dello Stato
socialista e non riescono ad impedire l’esplosione delle sue contraddizioni interne. Nel 1990 l’URSS ha
cessato di esistere e si dà vita ad una Comunità di Stati Indipendenti (Conferenza di Minsk).
Parallelamente si verifica una caduta dei regimi socialisti in tutti i Paesi europei centro-orientali. Nella
maggior parte dei casi si assiste ad una rottura dal punto di vista sostanziale (principi e valori dominanti)
che si accompagna ad una parziale continuità formale (il Parlamento, eletto con nuove regole che
garantiscono il pluralismo, assume di fatto una funzione costituente). In altri Stati il superamento del
regime è traumatico e si verifica a seguito di un colpo di Stato (Romania) o al rischio di una guerra civile
(Albania). Molto travagliato è il processo che porta allo smantellamento della Jugoslavia in sette Stati
diversi.
Entro la fine del secolo scorso tutti gli Stati ex socialisti danno vita a nuove costituzioni (o modificano
profondamente quella esistente, Ungheria) che disegnano una nuova forma di Stato in totale rottura col
passato tendente ad una transazione verso il modello democratico-pluralista. Nella realtà però le
situazioni concrete sono molto diverse da Stato a Stato: emergono in vari Paesi problemi che tendono a
configurarli come semi-democrazie quali mancato o parziale riconoscimento dei diritti a minoranze
nazionali e limitazione dei diritti dell’opposizione, arretratezza economica e politica, accentramento del
potere ed emergere di leadership ultranazionaliste e populiste. La Federazione Russa costituisce il
principale esempio di una democrazia di facciata > la gestione accentrata del potere da parte del
presidente, la debolezza del parlamento, il ruolo importante di gruppi affaristici e criminali, la guerra in
Cecenia, assassinio di giornalisti indipendenti > sono tutti aspetti che sottolineano i problemi del
processo di transizione.
L’evoluzione dello stato socialista in Asia e a Cuba
Corea del Nord  regime totalitario, repressivo dei diritti umani, fondato sul monopartitismo e su un
culto della personalità a vantaggio del Presidente dell’organo esecutivo. Le maggiori trasformazioni
avvengono in Cina > parziale superamento dell’economia statalizzata e pianificata con la creazione di
un’economia di mercato socialista che consente lo sviluppo di un settore economico privato sempre più
consistente. Costituzione del 1982 > successive revisioni > 1988 viene introdotto il riconoscimento
delle imprese privare e del loro carattere complementare rispetto all’economia pubblica socialista. Nel
2004 la protezione dei diritti e degli interessi dell’economia privata ed individuale viene estesa ai settori
non pubblici dell’economia, per i quali la guida dello stato riguarda solo lo sviluppo e non la gestione
delle imprese > il nuovo articolo 13 riconosce il diritto di proprietà, dei mezzi di produzione,
affermandone l’inviolabilità. Viene fatto spazio allo sviluppo economico capitalistico, ma manca il
riconoscimento dei diritti dei lavoratori e vi sono problemi con la garanzia di tutela dei diritti
fondamentali  così l’art. 33 (2004) stabilisce che lo stato rispetta e tutela i diritti umani, la Cina
aderisce poi a Convenzioni intern. sui diritti, ma viene ribadita la prevalenza dei diritti economici su
quelli civili e politici ed il divieto di esercitarli in contrasto con le finalità dello stato socialista. Inoltre il
sistema politico continua ad essere basato sul monopolio del potere del partito comunista. La forma di
stato combina un sistema economico misto, statale-capitalistico, caratterizzato da un assetto autocratico
del potere politico-istituzionale che continua ad ispirarsi al modello vetero-socialista.

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Vietnam  1986 riforme tendenti a creare un’economia socialista di mercato, riconoscendo il ruolo
delle imprese private e della proprietà contadina e stabilendo una parziale liberalizzazione del
commercio con l’estero. Però sia la costituzione del Vietnam che quella del Laos continuano a sancire il
ruolo-guida del partito unico al potere e non prevedono garanzie a tutela dei diritti umani.
Cuba  2008 subentra Raul Castro come presidente del consiglio di stato e capo del governo 
novità: privatizzazione di varie attività commerciali, libertà dei cubani di acquistare case e di poter
espatriare senza sottostare al permesso dello stato. Nel 2014 viene autorizzato l’investimento di capitali
stranieri. La costituzione del 1976 (modificata nel 1992 e 2002) contiene aspetti interessanti come il
riconoscimento come ideologia dello stato del pensiero di Josè Martì (padre dell’indipendenza cubana),
l’ampiezza del catalogo dei diritti ecc Tuttavia il potere rimane monolitico sotto il controllo del partito
comunista e il dissenso viene represso. Normalizzazione dei rapporti con USA.
Lo Stato democratico
Lo Stato democratico nasce dalla crisi dello Stato liberale come risposta alla crescente insicurezza
sociale determinata dallo sviluppo del capitalismo e alle ricorrenti crisi economiche che rendono
necessaria una regolamentazione del mercato e un’attenuazione delle contraddizioni sociali. Si ha uno
sviluppo caratterizzato da continuità con lo Stato liberale in quanto fa propri i principi e gli istituti di
origine liberale; ma si ha anche discontinuità in quanto tali principi e istituti vengono estesi anche a ceti
sociali che in precedenza ne erano esclusi e vengono introdotti valori e istituzioni nuovi. Alla base dello
sviluppo dello Stato democratico vi è l’emergere di contraddizioni sociali che determinano l’esigenza di
un intervento regolatore dello Stato. Si assiste allo sviluppo del movimento operaio e all’affermarsi dei
moderni partiti di massa (caratterizzati da una forte centralizzazione). Si attenua la separazione tra Stato
e società e fra politica ed economia. Si afferma la pari dignità di tutte le persone indipendentemente
dalla loro condizione sociale; il principio personalistico viene a convivere con quello solidaristico e con
quello egualitario. Dall’idea di una libertà dell’individuo dal dominio dello Stato si passa alla
partecipazione dell’individuo al potere dello Stato.
L’economia non costituisce più una sfera separata ma diventa oggetto di decisioni politiche e si
configura come un’economia di mercato sociale nella quale l’intervento del legislatore è volto a
garantire da un lato la libera concorrenza e dall’altro il soddisfacimento di primari interessi sociali e il
rispetto della dignità della persona umana. Lo Stato democratico viene perciò qualificato come Stato
sociale o Stato del benessere (Welfare State) proprio per sottolineare la sua nuova finalità di operare
una redistribuzione del reddito, al fine di ridurre le disuguaglianze, compie investimenti pubblici, eroga
servizi per soddisfare bisogni primari e garantisce assistenza. Sul terreno politico-sociale si sviluppa una
fitta rete di organismi intermedi tra lo Stato e i cittadini; particolare rilievo assumono i partiti politici che
divengono un elemento costitutivo della stessa forma di Stato e del concetto di democrazia tanto che lo
Stato democratico contemporaneo viene qualificato come Stato di partiti.
Il principio costitutivo dello Stato democratico è quello secondo cui la sovranità appartiene al popolo
inteso come l’insieme dei cittadini titolari dei diritti politici. La concezione dominante non è quella di
tipo diretto ma quella rappresentativa che considera la sovranità popolare un principio fondamentale da
esercitare secondo le modalità e con i limiti stabiliti dalla costituzione. La separazione dei poteri subisce
una serie di modificazioni e di adattamenti:
1. Si moltiplicano le funzioni statali non riconducibili alle tre tradizionali (quali ad es. quella di
indirizzo politico o di governo e quella di revisione costituzionale)
2. Si affermano nuovi poteri costituzionali che svolgono funzioni di garanzia, controllo e
intermediazione nei confronti degli organi titolari delle altre funzioni (ad es. Corti costituzionali)
3. Sono riconosciuti a livello legislativo soggetti quali autorità amministrative indipendenti che non
fanno parte di alcuno dei poteri tradizionali ma esercitano funzioni di tipo amministrativo,
normativo e talvolta anche giurisdizionale (ad es. nei settori della concorrenza e della privacy)
4. Si verificano numerose interferenze funzionali fra i poteri tradizionali con un superamento della
concezione della esclusività delle funzioni attribuite a ciascuno
5. Assumono un ruolo determinante soggetti esterni allo Stato-apparato quali i partiti politici

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Diffusione dei centri di potere sia a livello orizzontale (con la partecipazione di più soggetti al processo
decisionale), sia verticale (tramite forme di decentramento politico di potere). Lo Stato democratico è
uno Stato rappresentativo ma a differenza di quello liberale è pluralistico  ciò grazie soprattutto al
riconoscimento del suffragio universale e del principio di eguaglianza del voto. Ne consegue che anche
il principio della rappresentanza politica cambia parzialmente estendendosi ad una pluralità di classi e di
gruppi sociali in precedenza esclusi dalla rappresentanza. Accanto alle elezioni sono previsti altri
meccanismi volti a garantire una consonanza tra gli elettori e gli organi rappresentativi (gli stessi partiti
politici, gli istituti di democrazia diretta). Negli Stati democratici ha prevalso il principio del divieto di
mandato imperativo che deve però essere inteso come garanzia di pluralismo e quindi della necessità di
contemperare e portare a sintesi i diversi interessi manifestati dal corpo sociale.
Il principio del pluralismo significa che l’ordinamento statale riconosce e garantisce l’attività di una
pluralità di gruppi economico-sociali, religiosi, etnici, pluripartitismo ecc. Democrazia pluralistica non
significa solo estensione delle regole a classi sociali in precedenza escluse, ma significa anche diversa
modalità di applicazione di queste regole. Ciò vale in particolare per il principio di maggioranza,
secondo il quale le decisioni parlamentari sono adottate a maggioranza, ma in una democrazia
pluralistica anche le minoranze devono essere salvaguardate per cui si richiede che il principio di
maggioranza sia limitato da vari istituti di garanzia. In generale quindi tutto il processo decisionale
diventa più complesso dovendo prendere in considerazione una pluralità di interessi. Dalla
combinazione tra democrazia e pluralismo scaturiscono le odierne poliarchie  sistemi basati su una
pluralità di gruppi in competizione per la gestione del potere. Accanto ai tradizionali diritti civili, si
affermano nuove categorie di diritti che si configurano come libertà positive in quanto per la loro
realizzazione richiedono un intervento attivo dello Stato Sono tali i diritti politici (diritto di voto,
libertà di associazione politica, ecc.) e i diritti sociali (diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, ecc).
L’uguaglianza viene intesa sotto il duplice aspetto formale (godimento dei diritti) e sostanziale (parità
delle posizioni di partenza ed obbligo del legislatore di rimuovere gli ostacoli al dispiegarsi di essa).
Lo Stato democratico è a pieno titolo uno Stato costituzionale. Le costituzioni democratiche si
configurano come costituzioni aperte che affermano una serie di principi basati su valori condivisi e ne
garantiscono la costante integrazione; si configurano come costituzioni lunghe che incorporano la
dichiarazione dei diritti e disciplinano più ampiamente i rapporti tra i pubblici poteri; si configurano
come costituzioni rigide che prevedono procedimenti aggravati per la propria revisione collocandosi così
in posizione di supremazia rispetto alle altre fonti del diritto. Anche la concezione di Stato di diritto
evolve: alla concezione di legalità in senso formale dello Stato liberale subentra la concezione di legalità
in senso sostanziale, in quanto la legge è chiamata a stabilire anche le finalità e le procedure del
provvedimento amministrativo. Le garanzie giurisdizionali dei diritti conoscono una duplice
espansione: nei confronti degli atti della pubblica amministrazione e nei confronti delle leggi ordinarie
grazie all’attività del giudice costituzionale.
La diffusione del modello democratico e i problemi della democrazia
La diffusione del modello democratico ha conosciuto 4 fasi: immediato dopoguerra con costruzione di
sistemi democratici in Germania, Italia e Giappone; metà degli anni 70 con la caduta dei regimi
autocratici e l’adozione di costituzioni democratiche in Spagna, Portogallo e Grecia; dagli anni 80 la
democratizzazione ha interessato molti PVS; negli anni 90 ha coinvolto tutti i Paesi ex socialisti europei
e quelli facenti parte dell’ex Unione sovietica. Quella che può definirsi la terza ondata della
democratizzazione ha presentato particolari esiti incerti dovuti alle difficoltà di trapiantare modelli
occidentali in realtà caratterizzate da valori talvolta divergenti. Ciò ha portato al fenomeno
dell’emergere di democrazie imperfette o di facciata caratterizzate da un certo scarto tra le
proclamazioni contenute nelle costituzioni adottate e la realtà. Si è poi verificata la crisi dello Stato
democratico-sociale:
 Terreno economico-sociale > in particolare per il fenomeno della globalizzazione dell’economia che
capovolge il rapporto politica-economia con la seconda che tende a prevalere e il rischio di
manifestarsi di una tendenza all’appiattimento della tutela dei diritti economico-sociali. Inoltre si
è verificato un ridimensionamento del ruolo degli Stati-nazione propria per via della

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globalizzazione e della nascita di organismi sopranazionali, come l’UE, che impongono


politiche economiche senza che vi sia una reale diretta legittimazione popolare. Lo Stato sociale
versa quindi in una crisi in quanto sempre meno riesce a far fronte alle domande che il suo
sviluppo ha contribuito a creare.
 Ragioni politiche in particolare per la crisi dei partiti: sul piano ideologico, per la tendenza ad
abbandonare ideali e a diventare meri strumenti di gestione del potere; sul piano funzionale, per
la sempre maggiore difficoltà a svolgere la tradizionale funzione di collegamento tra società e
Stato; sul piano strutturale, per il declino del carattere “di massa” dei partiti.
 Ragioni giuridiche-costituzionali  il voto popolare è sempre più condizionato dall’uso dei mass
media e dalla promessa di vantaggi e contropartite per cui si passa dal voto di opinione o di
appartenenza al voto di scambio; si assiste inoltre ad un declino nella partecipazione al voto.
 Vi è poi una crisi del Parlamento e dello stesso principio della rappresentanza politica e ciò è
dovuto al passaggio nel secolo scorso dallo Stato legislativo allo Stato amministrativo in
particolare per le difficoltà per l’organo parlamentare di dare risposte rapide e soddisfacenti ad
una società sempre più complessa.

La crisi della politica e del principio di rappresentanza politica favoriscono l’ascesa a ruoli di governo di
detentori del potere economico cosa che porta all’intreccio e alla sovrapposizione di potere politico,
economico e mediatico, intreccio con alto potenziale di destrutturazione democratica. Infine la risposta
al terrorismo internazionale sta portando all’adozione di provvedimenti gravemente limitativi delle
libertà civili e delle garanzie giurisdizionali relative.
La forma di stato nei paesi in via di sviluppo
Con il termine Stati in via di sviluppo (circa i 2/3 degli stati dell’ONU) si indicano quegli Stati che
cercano di superare una condizione di cronica arretratezza economica, sociale, politica ed istituzionale
dando vita ad assetti statuali peculiari rispetto a quelli esaminati. Sono la maggior parte dei Paesi
dell’America centrale e meridionale, dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania. Spesso si parla di Paesi del
Terzo Mondo (termine coniato nel 1955) intendendo Paesi non rientranti né nel mondo capitalista né
in quello socialista. Questa categoria assume carattere residuale, raggruppando esperienze molto diverse
tra loro. E’ possibile però individuare alcuni elementi di fondo comuni alla gran parte dei Paesi
rientranti in questa categoria:
1. Il dominio coloniale subito: gran parte dei Paesi africani ed asiatici conoscono l’indipendenza
nel XX secolo e molti solo dopo la seconda guerra mondiale. I Paesi dell’America latina
conquistano l’indipendenza prima (inizio 800) ma stentano a costruire un’identità nazionale
certa e finiscono col subire una colonizzazione indiretta ad opera degli USA sia a livello
economico che politico.
2. Il sottosviluppo prima di tutto economico-sociale (si ha un aumento della ricchezza a vantaggio
di ristretti gruppi privilegiati) ma anche culturale, politico, giuridico-istituzionale.
3. Debolezza dell’identità nazionale: molti di questi Paesi nascono prima che questa sia effettiva e
spesso entro confini arbitrariamente disegnati dalle potenze coloniali.
4. Quasi tutti conoscono un grande pluralismo etnico di tipo tribale (Africa) o con divisione in
caste (India). Ciò spinge l’élite dirigente ad assumere una forte ideologia ultranazionalista
dapprima utilizzata in negativo in contrapposizione al dominio coloniale e poi in positivo come
riscoperta delle proprie tradizioni e strumento per la realizzazione dell’unità nazionale. Spesso
però è utilizzato come copertura ideologica al dominio di un capo o di una fazione etnica o
religiosa o di un partito unico.

Nell’evoluzione costituzionale dei Paesi in via di sviluppo sono state individuati 4 cicli:

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1. Caratterizzato dall’adozione di costituzioni che si ispirano al modello liberaldemocratico, quello


dell’ex potenza coloniale  ciò è dovuto perché spesso l’indipendenza è concessa dalla potenza
coloniale e il ristretto gruppo di dirigenti si è formato nel Paese colonizzatore. Questa fase è
destinata al fallimento poiché troppo diverse sono le condizioni economiche, sociali e culturali.
Si connotano come regimi oligarchici nei quali il potere appartiene ad un gruppo ristretto e
privilegiato e si concentra nelle mani dell’organo di vertice del potere esecutivo. Le due
esperienze più significative del 20 sec sono quella del Messico e dell’India > hanno conosciuto
una fase democratica prolungata (hanno adottato una costituzione democratica che istituiva il
pluralismo ed un sistema federale, ma non superarono la povertà).
2. Il secondo ciclo si produce a seguito dell’instaurazione di regimi autoritari spesso tramite colpi
di Stato militari: forte concentrazione del potere, annullamento delle garanzie costituzionali,
persecuzione degli esponenti dell’opposizione. Nei PVS l’esercito svolge un ruolo
fondamentale: in alcuni casi i militari si limitano a sostenere il governo civile, in altri esercitano
un’influenza determinante sulle decisioni governative, in altri ancora gestiscono il potere o
attraverso governi civili compiacenti o in prima persona.
3. Il terzo ciclo riguarda i Paesi che si definiscono socialisti e sviluppano stretti rapporti con
l’URSS e il campo socialista: alcuni Stati asiatici e Cuba che adottano il modello sovietico
rientrando a pieno titolo nella forma di Stato socialista ma altri Stati, negli anni 60, adottano
sistemi di socialismo nazionale peculiari e non inquadrabili nello Stato socialista: rifiutano il
marxismo-leninismo adottando un’ideologia nazionalista.
4. Il quarto ciclo, apertosi alla fine degli anni 80, vede l’adozione di nuove costituzioni che
prendono a modello quelle democratiche nella maggior parte dei Paesi dell’America latina ma
anche in vari Paesi asiatici e africani. L’esempio più significativo di un Paese passato da un
regime autoritario e razzista a uno democratico è la Repubblica sudafricana (ottiene
l’indipendenza nel 1961) che dalla fine degli anni 80 avvia un processo costituente (1993) che
porterà ad una costituzione che contiene una dettagliata carta dei diritti, la proclamazione dei
fondamentali principi democratici, il riconoscimento di un’ampia autonomia alle Province in cui
è suddiviso il Paese, una forma di governo peculiare (Presidente-capo dell’Esecutivo designato
dal partito di maggioranza e poi votato dal Parlamento). Tuttavia il processo di
democratizzazione ha avviato in vari paesi una fase di transizione dagli esiti incerti, il che fa
riflettere sulla difficoltà di importare la democrazia. Anche in alcuni Paesi dell’America latina
vengono adottate nuove costituzioni che proclamano i principi democratici ma prevedono uno
squilibrio dei poteri nettamente favorevole al Presidente eletto dal popolo. In vari Paesi si
manifestano controtendenze di tipo autoritario: in alcuni avvengono colpi di Stato o si
affermano regimi militari, in altri si producono sanguinosi conflitti interetnici. (es. Venezuela di
Chavez). Il fenomeno più importante di questa tendenza antidemocratica è costituito
dall’estendersi di una forma di Stato tradizionalista che si basa su modalità arcaiche di
organizzazione del potere o sulla riscoperta della religione come fondamento del potere
temporale che dà vita ad uno Stato teocratico il cui esempio più significativo è quello dell’Iran
(nella costituzione del 1979 si costituzionalizzano i principi del Corano e si pongono al vertice
del sistema i massimi esponenti dell’Islam) e dell’Afghanistan (il regime dei Talebani tra il 1996
e il 2002). Da valutare il contemporaneo fenomeno della c.d. primavera araba che fa emergere
germogli di democratizzazione i cui sviluppi però ancora non sono chiari.

Diritti e libertà fondamentali


Introduzione

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Costituzionalismo  complesso di concetti e principi che trovarono la loro espressione maggiore nelle
carte costituzionali. La Dichiarazione dell’uomo e del cittadino (1789) esprime tali principi quando
afferma che una società nella quale non viene assicurata la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri
non possiede una costituzione (art. 16). Lo stato costituzionale fonda la sua legittimazione sul
riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali e inalienabili della persona e sulla codificazione di
istituti e strumenti idonei a porre limiti al potere politico. Non sempre all’atto della loro approvazione,
le costituzioni hanno mostrato le due componenti strutturali (bill of rights e frame of government) >
nei sistemi federali la costituzione è stata all’inizio finalizzata a consacrare il patto tra lo stato federale e
gli stati membri (phoedus). La costituzione americana del 1787 fu poi integrata nel 91 con il Bill of
Rights.
Il Costitution Act della federazione canadese si compone di 2 documenti  il British North American Act
rivolto a disciplinare i rapporti tra la federazione e le province e la Carta canadese dei diritti e delle
libertà (1982).
Il costituzionalismo assegna alle carte costituzionali il compito di garantire i diritti e le libertà
fondamentali della persona > tali diritti sono a fondamento della legittimazione del diritto positivo e
dell’esercizio della pubblica autorità, le disposizioni normative e gli atti di esercizio del pubblico potere
sono legittimi in quanto non lesivi dei diritti e delle libertà fondamentali. L’espressione diritti
fondamentali si riferisce ai diritti proclamati nelle carte costituzionali e riconosciuti come fondamentali
≠ con i diritti umani si evoca un ideale morale universale, si tratta di quelle situazioni giuridiche
soggettive attive riconoscibili a favore di ogni essere umano, indipendentemente dal suo status o
appartenenza giuridico-politica. I diritti umani (DU) assumono una speciale forza normativa per effetto
della loro incorporazione in un ordinamento nazionale o sovranazionale.
Le origini storiche dei diritti e delle libertà fondamentali e la loro evoluzione
L’idea che l’uomo potesse godere di una sfera intangibile di autonomia personale di fronte alla quale la
comunità politica dovesse limitare la sua interferenza, è un’idea che si afferma solo all’inizio dell’età
moderna. Prima mancavano le condizioni per fondare l’idea di libertà giuridica, basata su un sistema di
garanzie capace di assicurare la completa realizzazione della persona nella sua dignità. Vi sono molte
ipotesi per individuare l’origine dei DU. Secondo una parte, la genesi giuridica dei diritti inalienabili
della persona si troverebbe in quelle concezioni di vita e pensiero di carattere umanistico che hanno
caratterizzato il movimento rinascimentale e la Riforma protestante. L’umanesimo introdusse una
nuova visione dei rapporti sociali e della morale. Le grandi trasformazioni e il graduale superamento
delle strutture medioevali (16 e 17 sec) consacrarono la borghesia come classe sociale emergente > essa
reclamò nei confronti dell’autorità politica e del potere statuale il riconoscimento di libertà individuali,
forme di autonomia e di partecipazione politica.
Furono sensibili a tali richieste Gran Bretagna (GB) e Francia (FR). La storia dell’ordinamento giuridico
della GB mostra come i diritti e le libertà fondamentali siano stati concepiti come elemento di struttura
dell’ordinamento collocato su un piano anteriore rispetto al potere costituito. Le prime codificazioni
sono la Magna Charta Libertatum, la Petition og Rights (1628), l’Habeas Corpus Act (1679), il Bill od
Rights (1689) e l’Act of Settlement (1701)  si limitavano a riconoscere o confermare le antiche libertà.
Con la Dichiarazione di indipendenza (1776) si formarono i nuovi stati americani, essi recepirono nei
propri ordinamenti le istanze originarie che riconoscevano l’uomo come portatore di propri diritti e
libertà fondamentali. Le prime Carte dei diritti esprimevano questa concezione che ritroviamo nella
costituzione federale USA (1787), la quale pone a suo fondamento i diritti dell’uomo e la dignità della
persona. Negli stati europei continentali l’evoluzione dei diritti risentì delle concezioni assolutistiche
proprie degli stati monarchici. Bisogna aspettare il pensiero illuminista e la rivoluzione francese per
assistere alla rottura degli equilibri dei sistemi assolutistici.
Nello stato liberale si afferma l’esigenza di garantire i diritti naturali dei singoli, intesi come sfere
inviolabili di libertà individuale > qui i diritti sono considerato come individuali, lo stato si limita ad
amministrare la giustizia e garantire la conservazione sociale. È in questa fase che negli ordinamenti
liberali matura la convinzione che i DU devono essere dotati di uno statuto giuridico. Si afferma la
necessità di positivizzare i diritti fondamentali > conferirgli una formale enunciazione attraverso
l’incorporazione nelle leggi e nelle costituzioni. Nel corso del 20 sec. si compie un processo di

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generalizzazione dei diritti fondamentali (DF)  essi non sono più riservati ai soli appartenenti a
determinate classi sociali, ma a tutti. Questa impostazione trova espressione in seno all’esperienza dello
stato sociale. Esso assume il compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono il
godimento delle libertà fondamentali e la piena affermazione del principio di uguaglianza. Al centro
viene collocata la persona umana e la sua dignità, il riconoscimento delle libertà fondamentali è
finalizzato ad assicura l’affermazione e lo sviluppo della personalità umana. Si assiste poi ad un
fenomeno di internazionalizzazione dei diritti.
Generazioni e classificazioni dei diritti e delle libertà fondamentali
Prima generazione di diritti  (fine Gloriosa rivoluzione e rivoluzione francese e americana, fine700)
 include i diritti di libertà civili, in particolare i diritti economici e politici> diritti riconosciuti ai
cittadini e che si sostanziano nella pretesa verso i pubblici poteri di astenersi dall’intervenire nella sfera
privata del singolo > definite anche libertà negative (così come per il diritto di proprietà, il titolare ha il
potere di escludere altri soggetti dal godimento del bene oggetto di proprietà).
Seconda generazione  qui i diritti politici assumono contorni pieni con l’estensione del suffragio
universale, si affermano le libertà associative che danno vita alle organizzazioni sindacali e ai partiti.
Affermarsi dei diritti sociali > lo stato sociale si pone l’obiettivo di realizzare condizioni di vita tali da
assicurare alla generalità dei cittadini la libertà delle condizioni di soddisfacimento delle aspettative di
sicurezza sociale. I diritti sociali presuppongono un’azione positiva, un intervento nell’arena sociale, essi
non sono equiparabili ai diritti di libertà e civili perché sono affidati dalla costituzione a norme
programmatiche che impegnano lo stato al perseguimento di una finalità attraverso l’azione del
legislatore e degli altri apparati pubblici, ma non pongono per esso un vincolo giuridico. L’avvento dei
diritti sociali ha portato ad un ridimensionamento dei diritti civili.
Terza generazione diritti della personalità (fino agli anni 70/90 si erano affermati solo nella sfera
delle relazioni tra privati, qui assumono rilevanza costituzionale) > es: diritto all’immagine, al nome, alla
riservatezza ecc.. Nello stesso periodo si affermano i diritti culturali e dei gruppi e quelli umanitari o di
solidarietà umana. Questa generazione si è sviluppata lungo 4 direttrici: diritto alla pace; alla
salvaguardia dell’ambiente; diritto per l’individuo e la famiglia alle necessarie condizioni di sviluppo e il
diritto al patrimonio comune dell’umanità.
Quarta generazione  di fronte all’avvento della nuova economia globalizzata si sono configurati i
diritti della società tecnologica, una dimensione particolare occupano i diritti connessi alle biotecnologie
a causa delle implicazioni nella sfera bioetica e della bio-giuridica. Sorgono numeri comitati etici per
esprimere valutazioni da diffondere nell’opinione pubblica sulle nuove questioni bio-giuridiche, bio-
economiche ecc.
La codificazione dei diritti e delle libertà
Sul piano formale possiamo distinguere tra ordinamenti che prevedono la proclamazione dei diritti e
delle libertà nella costituzione (Italia, Spagna) e ordinamenti che contemplano un apposito ed
autonomo documento o carta dei diritti che reca la disciplina della materia (Canda, Sudafrica). Anche
nell’UE si è approvato un documento apposito = Carta dei diritti fondamentali (Nizza, 2000)
successivamente incorporata nel TUE del 2009 (art.6). Si contraddistingue l’esperienza costituzionale
francese che nella costituzione del 1958 non contempla un catalogo di diritti, ma nel preambolo si legge
un richiamo alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Un’altra distinzione è quella tra
costituzioni che riconoscono i diritti e le libertà fondamentali alla generalità degli individui e altre che
precisano se i diritti siano riconosciuti a tutti o a determinate categorie. La Carta di Nizza classifica i
diritti e libertà attraverso il riferimento ad alcuni valori ampiamente condivisi> dignità, libertà,
uguaglianza, cittadinanza, giustizia e solidarietà.
È possibile notare come i cataloghi dei diritti della persona appaiono più dettagliati negli ordinamenti
nati dopo la caduta dei regimi autoritari. In quegli ordinamenti dove le vicende storiche non hanno
segnato rotture significative, la lista ha conosciuto una graduale evoluzione senza alterare il carattere
semplificato della struttura normativa e la dimensione contenuta delle stesse disposizioni. Questo tratto
formale deve ricondursi all’idea che la costituzionalizzazione dei diritti è tanto più efficace quanto più
sono radicati nella coscienza della comunità politica e sociale i valori e i sentimenti che sono a
fondamento del primato della persona umana. GB  all’inizio i diritti furono codificati sotto forma di

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deroghe o privilegi limitati a determinati gruppi di persone > la Magna Charta era un documento solenne
con il quale il re concedeva alcuni privilegi a determinate categorie (clero, baroni ecc). Solo
successivamente la titolarità dei diritti fu estesa a una sfera più ampia di individui, con l’Habeas Corpus
Act furono introdotte alcune delle garanzie a favore degli individui nei confronti delle limitazioni
arbitrarie della libertà personale > nel caso in cui uno fosse arrestato fuori dei casi previsti dalla legge,
questi poteva presentare reclamo al magistrato competente per ottenere la libertà.
Bill of Rights  importanti poteri decisionali vengono trasferiti dalla corona al parlamento e sarà il
primato della sovranità parlamentare a rappresentare un ostacolo alla codificazione formale dei diritti.
In forza dei principi di democrazia rappresentativa il Parlamento ha sempre conservato la piena
disponibilità della materia dei diritti (nel corso dell’800 è intervenuto con atti legislativi per garantire il
godimento dei diritti civili, la rimozione dei limiti al diritto di voto, estensione suffragio). L’idea di
fondo è che il Parlamento non possa essere privato del potere di abrogare o emendare leggi
indipendentemente dalle conseguenze sui diritti dei singoli, diritti e libertà che affonderebbero le radici
nel common law e che sarebbero in grado di resistere anche agli arbitri giudiziari. Per effetto
dell’ingresso nella CEE, la GB si è gradualmente avvicinata all’idea di codificazione  Human Rights act
(1998) ha incorporato la CEDU > nel caso in cui un giudice rilevi l’incompatibilità di una norma
interna con la CEDU, egli non potrà procedere a un controllo di legittimità, né potrà dichiarare
l’incostituzionalità o la disapplicazione della norma interna, resta nelle mani del parlamento la decisione
sull’opportunità di modificare la norma interna incompatibile. La rivoluzione americana segna un
momento storico determinante per l’affermazione dei diritti e delle libertà. Il Pamphlet di Paine
(Common sense) e la Dichiarazione di indipendenza degli USA segnano l’affermazione degli ideali del
costituzionalismo di matrice liberale.
In questa fase la combinazione tra framework of government e bill of rights non è ovunque omogenea,
si registrano diversi modi di intendere le tensioni tra le esigenze di democratizzazione, di conservazione
delle tradizioni e di protezione dell’uomo. Sono numerose le costituzioni approvate dalle ex colonie. Il
primo documento costituzionale sovrastatale americano fu quello recante gli Articles of confederation
(1781) > trattato internazionale tra stati indipendenti che conservavano sovranità, libertà, indipendenza.
La Convenzione di Filadelfia (1787) conferisce al vincolo che lega gli stati americani un carattere solido. La
transizione verso lo stato federale appare il rimedio necessario alle difficoltà di funzionamento della
Confederazione di stati; la Federazione, dotata di una sua sovranità, di un esecutivo, della potestà di
governo dell’economia e della politica estera, di un apparato giudiziario federale nasce sulla base di un
patto tra gli stati americani che viene formalizzato nella costituzione federale del 1789. La costituzione
era in origine dedita a tracciare le linee del frame of government, con attenzione alle relazioni tra stato
federale e stati membri. I primi dieci emendamenti sono destinati a definire i rapporti tra federazione e
cittadini americani (Bill of Rights). Per la prima volta una dichiarazione dei diritti e delle libertà
fondamentali è inserita nel testo di una costituzione rigida.
Nel continente europeo si dettano e si scrivono le parole della Dichiarazione dell’uomo e del cittadino. Nella
visione rivoluzionaria francese, la legge diventa la cerniera di connessione tra i diritti naturali e quelli
positivi. L’Assemblea degli stati generali, assunti i poteri di Assemblea costituente, decide di far
procedere l’adozione di una nuova costituzione dall’emanazione della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino. La prima conseguenza è che la conservazione e tutela dei diritti naturali
dell’uomo deve ritenersi il fine ultimo di ogni associazione politica. Proprio l’avvento del
costituzionalismo moderno segna un passaggio rilevante nell’evoluzione dei sistemi dei diritti e delle
libertà:
 Si consolida un riconoscimento dei diritti e delle libertà a base universale
 Si delinea un armamentario giuridico di strumenti di garanzia, che nel tempo vedrà crescere il
proprio grado di complessità ed efficacia
 I diritti di libertà qualificano l’ordine politico in quanto fine ultimo dello stesso
 Rispetto allo stato, fondano la legittimazione stessa di esso, sia sul piano democratico che sul
piano dell’organizzazione e della disciplina delle sue funzioni.

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L’analisi comparata dei modelli costituzionali di tutela e garanzia dei diritti e delle libertà mette in luce
alcuni dati ricorrenti > il dato quantitativo da registrare è l’espansione del processo di codificazione dei
diritti a livello costituzionale. Da una prospettiva giuridica, la disciplina costituzionale dei diritti di
libertà presenta alcuni caratteri importanti:
1. La diffusa affermazione del principio della rigidità della costituzione produce l’effetto di
sottrarre al legislatore ordinario la disponibilità dei diritti. Questa indisponibilità diventa assoluta
con riferimento al nucleo essenziale delle norme costituzionali alla base del sistema dei diritti.
2. L’indisponibilità è rafforzata dalla previsione del sindacato di costituzionalità delle leggi, istituto
che può essere inteso alla stregua di una giurisdizione di libertà.
3. Tali diritti vengono definiti nell’ambito di un’articolata disciplina costituzionale > che tende a
mantenere un carattere aperto verso quelle nuove situazioni giuridiche soggettive che l’evolversi
delle relazioni sociali e culturali facciano emergere e che risultino meritevoli di tutela
costituzionale.
4. È a livello di disciplina istituzionale che vengono indicati i limiti che possono essere imposti
all’esercizio dei diritti.
5. Il modello costituzionale di tutela dei diritti e libertà presenta 2 tipi di riserva  una riserva di
legge, quanto allo svolgimento e all’attuazione dei principi costituzionali in materia di diritti di
libertà; una riserva di giurisdizione, essendo riservata all’autorità giudiziaria l’applicazione dei
limiti previsti nelle costituzioni in ordine dell’esercizio di questi.

I limiti ai diritti e alle libertà fondamentali


I diritti richiedono un bilanciamento rispetto ad altri principi non meno rilevanti. L’idea che possono
darsi dei diritti assoluti non trova ormai consensi. Nell’ambito degli ordinamenti nazionali, la
problematica della determinazione delle fonti normative idonee a porre limiti ai diritti ha conosciuto un
andamento evolutivo. Sotto l’influenza del pensiero rivoluzionario francese, l’idea dominante era che
questi limiti potessero derivare solo dalla legge. Ma nel corso dell’800, le costituzioni octroyeés che
rimettevano alla legge eventuali limitazioni, finirono per legittimare qualsiasi restrizione. Il
costituzionalismo del secondo dopoguerra tende ad assicurare un costante bilanciamento tra principi,
valori, diritti e libertà > la riserva di legge assume una funzione di garanzia in quanto giustiziabile ad
opera del giudice delle leggi. Spetta ai giudici costituzionali assicurare quel bilanciamento che, nel
riconoscere la relatività dei diritti e delle libertà fondamentali, ne consenta il sacrificio solo di fronte a
principi e valori di ordine superiore. Alcuni criteri di interpretazione sono diffusi:
1. Principio di proporzionalità  occorre determinare un equilibrio tra diritti potenzialmente in
conflitto, richiede che il godimento di un diritto sia tale da non ledere i diritti di altri ( art. 52
Carta dei diritti fondamentali dell’UE). In base a questo principio si verifica che il contenuto
della limitazione e le finalità che si intendono perseguire con esse siano costituzionalmente
legittime, si deve rilevare il nesso funzionale tra il contenuto delle limitazioni e le finalità
perseguite e deve risultare che il limite imposto non sia irragionevole o oppressivo.
2. Necessario rispetto del contenuto essenziale dei diritti che si intendono limitare
3. Criterio del ragionevole accomodamento  si riconosce come legittimo introdurre una deroga
alla regola generale quando ciò sia necessario per contemperare posizioni soggettive
costituzionalmente tutelate e in conflitto tra loro.

I diritti non codificati


L’esperienza costituzionale mostra che attraverso l’opera degli interpreti i cataloghi dei diritti vengono
integrati con il riconoscimento di diritti non espressamente enumerati. Non di rado i legislatori hanno
introdotto nel testo delle costituzioni delle clausole di apertura destinate a favorire l’interpretazione in
senso evolutivo delle disposizioni in materia di diritti e libertà. I diritti e le libertà connessi alla dignità
della persona e al principio di uguaglianza sono per loro stessa natura in profonda evoluzione >

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l’esigenza di aggiornare il catalogo costituisce un fattore di vitalità della costituzione. Una certa
diffusione conoscono quelle clausole che richiamano la centralità della persona (art. 2 cost. ita).
Universalità dei diritti e loro internazionalizzazione
Internazionalizzazione dei DU > la ragione che ha dato vita a questo fenomeno va ricondotta alle
esigenze di salvaguardare l’insieme dei valori relativi alla persona umana anche in una dimensione
interstatale e sovranazionale. La Società delle nazioni ha prodotto un diritto internazionale generale
umanitario, si sono introdotti meccanismi di protezione internazionale dei DU fino ad affermare la
responsabilità penale internazionale dei singoli e degli stati per la violazione dei DU, sono stati
legittimati interventi umanitari anche in violazione della sovranità nazionale. Questa
internazionalizzazione si concretizza nella redazione e ratifica di trattati da cui far derivare la diretta
tutela dei diritti e la realizzazione di meccanismi di garanzia attraverso i quali far valere quella tutela. La
Carta delle Nazioni Unite indica tra gli scopi dell’organizzazione quello di conseguire la cooperazione
inter. nella soluzione dei problemi inter. di carattere economico, sociale, culturale o umanitario, e nel
promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza
distinzioni; conferisce all’Assemblea generale il compito di adottare raccomandazioni e di prestare
assistenza in tema di DU. Questa Carta apre la via all’internazionalizzazione. L’Assemblea generale
avviò subito i lavori per la redazione della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948). 1952 Convenzione
sui diritti politici della donna, Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), Patto sui diritti economici sociali e culturali
(CESCR,1966) e Patto sui diritti civili e politici (CCPR) > questi ultimi due documenti prevedono
meccanismi di monitoraggio basati sui rapporti redatti dagli stati e la previsione di procedure interstatali
di conciliazione. La previsione dell’istituzione di commissioni di vigilanza sul comportamento degli stati
firmatari e sull’attuazione di regole pattizie è diffusa nei trattati che si occupano di DU.
La regionalizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali
Esso è un fenomeno che tenta di coniugare a livello continentale la vocazione universalistica dei DU
con le peculiarità proprie delle singole culture allo scopo di determinare quei meccanismi di garanzia dei
diritti in grado di operare concretamente negli ordinamenti nazionali e sovranazionali. La
regionalizzazione dei diritti postula l’idea che dei diritti universali si possa offrire un’interpretazione
diversa a seconda del contesto geopolitico e culturale nel quale vengono riconosciuti.
La regionalizzazione dei diritti in Europa
1948 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (o Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, CEDU), firmata nell’ambito del Consiglio d’Europa ed entrata in vigore nel 1953.
Legame con la Dichiarazione universale, entrambi i documenti richiamano il diritto alla vita, alla
sicurezza, alla libertà, il divieto alla tortura ecc. Con il trattato di Lisbona la UE ha aderito alla CEDU.
Sul piano dei contenuti tra la CEDU e la Carta di Nizza esiste una sostanziale convergenza. Quanto ai
diritti sociali, la Carta dei diritti fondamentali del 2000 si riferisce a quanto dettato dalla Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (1989). La Carta di Nizza presenta alcune
novità: la particolare catalogazione dei diritti con riferimento a sei valori riconosciuti come appartenenti
al patrimonio morale comune all’Europa; inclusione di diritti estranei ai documenti che l’avevano
preceduta (diritti del bambino, degli anziani ecc) > la previsione di queste particolari posizioni
giuridiche soggettive da tutelare apre quel processo che la dottrina ha qualificato come specificazione
dei diritti (diritti ambientali, genoma umano ecc).
La regionalizzazione dei diritti in America
Conferenza interamericana (Bogotá, 1948) > Carta istitutiva dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA)
+ Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo  precede di poco la carta dell’ONU e pone sul
piano internazionale il tema della tutela dei diritti umani, rappresentando per l’OSA la carta dei valori
comuni alle nazioni del continente americano. Il tratto che contraddistingue la Dichiarazione di Bogotá
è di aver posto sullo stesso piano i diritti e i doveri. Nel 1959 viene istituita la Commissione
interamericana dei diritti umani  organo politico che svolge attività di promozione dei diritti, di
protezione di essi > promuove inchieste e indagini su situazioni particolari di violazione dei diritti sulla
base di petizioni individuali o delle comunicazioni ricevute dai membri, rivolge raccomandazioni agli
stati membri. Nel 1969 il Consiglio permanente dell’OSA approva la Convenzione americana dei diritti
dell’uomo (o Patto di San Josè) ispirandosi alla CEDU, essa intende tradurre sul terreno della realtà

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contemporanea l’effettiva tutela dei DU. Il pensiero che si esprime in questo documento riconosce
un’origine pre-giuridica dei DU. Il regionalismo americano dei DU è segnato da una concezione non
positivistica dei diritti e da un’apertura verso l’idea di una fondazione morale dell’ordine giuridico.
Quanto ai contenuti, si riproducono i diritti civili e politici. I diritti economici e sociali assumeranno
riconoscimento giuridico con il Protocollo aggiuntivo di San Salvador (1988). Un grande rilievo ha
assunto la Corte interamericana dei diritti istituita con il Patto di San Josè con la funzione di proteggere
i DU in relazione agli impegni assunti dagli stati aderenti al Patto. Essa ha iniziato a funzionare nel 1979
ed esercita una funzione consultiva (interpretazione e applicazione della Convenzione) e una
contenziosa (ricorsi presentati da uno stato).
La regionalizzazione dei diritti in Africa
Lo Statuto dell’Organizzazione per l’Unità africana (OUA) non conteneva alcuna disposizione in
materia di tutela dei DU. Solo in seguito alla trasformazione da OUA a UA si parla di promozione e
rispetto dei DU. A seguito di gravi violazioni dei DU in alcuni stati era stato adottato il più importante
trattato regionale: la Carta africana sui diritti umani e dei popoli (carta di Banjul) 1986. La
maggior parte dei diritti in essa contenuti sono uguali a quelli della Dichiarazione universale e dei Patti
inter. dell’ONU, ma ha una maggiore attenzione per i diritti a livello collettivo e infatti esprime
espressamente i diritti di solidarietà + presenza di un capitolo intero dedicato ai doveri dell’individuo. Il
tratto peculiare sta nella valorizzazione delle tradizioni delle comunità africane precoloniali, quindi la
concezione dei diritti non è del tutto in linea di continuità con la tradizione occidentale. La Carta
dichiara il suo intento di voler riconoscere i DU sulla base delle virtù tradizionali degli stati africani, del
riconoscimento dei diritti dei popoli e dell’indissolubile legame tra diritti e doveri. Proprio il tema dei
diritti dei popoli e quello dei doveri mostra la vocazione comunitaria della Carta, essa rivolge la sua
attenzione sulla famiglia, gruppi etnici, proclama i diritti dei popoli, il diritto all’autodeterminazione ecc.
La regionalizzazione dei diritti nell’area di cultura araba
Ciò che caratterizza le proclamazioni arabe è il costante riferimento alla religione. In questo sistema
l’adozione di strumenti a tutela dei DU si è sviluppato nell’ambito di 2 organizzazioni intergovernative:
1. Lega degli stati arabi  Commissione degli stati arabi per i diritti umani. Ha poi adottato
un trattato: la Carta araba dei diritti dell’uomo (adottata nel 1994) > alcune norme di essa
sono incompatibili con i trattati a tutela dei DU, documento più laico, vengono richiamati i
principi sanciti dalla Dichiarazione universale e dai Patti dell’ONU, ma anche quelli della
Dichiarazione del Cairo a proposito dei diritti dell’uomo nell’Islam, e nel preambolo si ha il
riferimento alla Shari’a. questa però non è mai entrata in vigore. Nuova Carta araba dei diritti
dell’uomo  adottata nel 2004 ma entrata in vigore nel 2008 > segna una nuova apertura del
mondo arabo. Contenuti: riferimento al diritto dei popoli > popolo inteso come soggetto
giuridico che può vantare il diritto all’autodeterminazione, alla sovranità nazionale e all’unità
territoriale. Il richiamo alla sovranità nazionale richiederebbe un bilanciamento con l’aspirazione
ad apprestare un sistema di tutela sovra-statale dei DU. Altra peculiarità è l’importanza del
legame sociale, il dato della fratellanza ed il legame indissolubile tra la religione e la politica:
l’Islam si configura come religione, progetto politico e ordinamento giuridico. 4 categorie di
diritti enunciati: diritti individuali, diritti connessi all’amministrazione della giustizia, diritti civili
e politici e diritti economici, sociali e culturali.
2. Organizzazione della conferenza islamica (OCI)  riunisce solo i paesi di fede islamica e
persegue tra i suoi obiettivi la promozione e protezione dei DU, ha istituito una Commissione
permanente e indipendente sui DU > promuove rispetto diritti civili, politici, economici e
sociali. Hanno adottato nel 1990 la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo
(Dichiarazione del Cairo).

Diritti dell’uomo e valori asiatici

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ASEAN > non ha come finalità quella di promuovere a livello regionale i diritti e le libertà
fondamentali. Nel 2009 nasce l’Intergovernmental Commission on Human Rights. Nel continente asiatico al
momento non esistono dichiarazioni regionali dei diritti o strumenti sovranazionali di tutela delle
prerogative individuali. In vista della Conferenza mondiale sui diritti umani del 1993, i paesi asiatici
partecipanti elaborarono un documento = Dichiarazione di Bangkok > nel quale venivano posti in
risalto i valori della cultura asiatica e si sosteneva che maggiore attenzione viene rivolta al bene comune
della collettività piuttosto che ai diritti dell’individuo. La Dichiarazione di Bangkok ha il merito di
offrire una base rilevante al dibattito sul rapporto valori asiatici-DU. Con l’espressione valori asiatici, si
fa riferimento a un sistema gerarchico di valori e finalità primarie che risulta essere lontano
dall’Occidente. Sul piano teorico essi incorporano i cardini del confucianesimo:
 Primato degli interessi collettivi rispetto a quelli individuali
 Necessità di un’armonia sociale anche a costo di sacrificare le aspettative dei singoli
 Prevalenza degli interessi della famiglia, comunità, nazione
 La cura per l’ordine e la stabilità (ecc…)

In Cina l’uomo che vuole coltivare le virtù individuali ha una sola strada > l’adempimento dei doveri
che nascono dalle relazioni con gli altri. Solo con l’adempimento degli obblighi reciprochi che
incombono sui membri della collettività, ogni individuo può realizzarsi a pieno. Combinando tutto ciò
con la mancanza di una tradizione democratica, ne deriva che la coscienza dei propri diritti e libertà
individuali non ha radici nel popolo cinese. La tesi ufficiale in Cina fa leva sulla teoria della priorità dello
sviluppo  il diritto allo sviluppo economico e sociale e quello alla sopravvivenza hanno la priorità sugli
altri diritti. Tutti i DU sono egualmente meritevoli di tutela, tuttavia in paese in cui esistono vaste fasce
della popolazione in condizioni di povertà, il diritto alla sopravvivenza e allo sviluppo va garantito
prioritariamente. In base alla teoria dello sviluppo si giustificano limitazioni e restrizioni alle libertà civili
e ai diritti politici. Non vi è poi diritto che non debba essere bilanciato dai doveri che hanno i cittadini.
2004 > riforma costituzionale cinese > ha introdotto una nuova formulazione dell’art. 33 in base alla
quale lo stato rispetta e protegge i DU. Malgrado ciò, prevale la convinzione per cui i DU non sono
qualificabili come diritti assoluti.
Il principio di uguaglianza quale pre-condizione della garanzia dei diritti e delle libertà
La libertà da ingiustificate discriminazioni o l’uguaglianza di fronte alla legge costituisce un rilevante
strumento di tutela dei diritti inviolabili. Tale principio non esaurisce la sua forza nella sfera delle libertà
fondamentali, ma pervade l’intero ordinamento e rappresenta un limite generale della funzione
legislativa. Il legislatore nel legiferare dovrà procedere a una valutazione secondo ragionevolezza delle
diverse situazioni giuridiche. Il principio di uguaglianza compare nelle costituzioni a partire dal 20 sec, il
tema dell’uguaglianza assume ora il ruolo e la posizione di principio costituzionale. Ne deriva che gli
organi costituzionali e i pubblici poteri sono tenuti a svolgere le proprie funzioni nel rispetto di tale
principio e devono assicurare il mantenimento dell’ordine politico e giuridico democratico. Il principio
di uguaglianza trova attuazione quando la legge e gli atti delle pubbliche autorità trattano in modo
uguale coloro che la costituzione considera uguali (uguaglianza formale). Al tempo stesso, il carattere
democratico e sociale delle costituzioni del 900 imprime al principio di uguaglianza anche una valenza
sostanziale: l’uguaglianza sostanziale richiede che coloro che oggettivamente versano in condizioni
differenti siano trattati diversamente.
Esistono condizioni materiali che determinano oggettivi impedimenti al godimento dei diritti, lo stato
democratico-sociale assume tra i propri compiti quello di rimuovere gli ostacoli che impedisco l’eguale
dignità delle persone. Nella tradizione delle costituzioni di matrice liberale è prevalente l’idea che
sussista une vera presunzione di illegittimità costituzionale delle leggi che determinano differenziazioni
di trattamento. Al tempo stesso, si ritiene che tale presunzione venga meno qualora si dimostri la
ragionevolezza delle differenziazioni previste dal legislatore. Il pericolo che il legislatore introduca
trattamenti differenziati ed arbitrari e irragionevoli, chiama in causa i giudici e la funzione
giurisdizionale; conferisce alla giurisdizione costituzionale di legittimità un ruolo determinante per il
mantenimento dell’ordine democratico e la tutela dei diritti fondamentali attraverso l’applicazione del
principio di uguaglianza.

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La giurisdizione costituzionale delle libertà


In precedenza, i diritti scaturivano dalla legge ed erano nella disponibilità del legislatore > spettava a lui
attribuirli, revocarli o limitarli. Con l’inserimento nelle carte costituzionali rigide, i diritti
costituzionalmente previsti sono divenuti un limite all’azione del legislatore > la legge non può dettare
norme contrarie alla costituzione. I tribunali costituzionali hanno assunto un ruolo determinante nel
sistema di protezione dei DU e anche nella loro affermazione. Non di rado i giudici costituzionali
hanno accompagnato l’opera di instaurazione delle giovani democrazie con un ruolo di supporto
all’interpretazione delle nuove disposizioni costituzionali. I Tribunali costituzionali hanno saputo
rileggere i cataloghi di diritti e libertà allo scopo di reinterpretarli alla luce delle nuove istanze emergenti
dalla società contemporanea. Un ordinamento a costituzione rigida è in grado di offrire una protezione
efficace dei diritti e delle libertà attraverso l’opera dei giudici costituzionali chiamati a garantire
l’inviolabilità della costituzione. Con l’espressione “giurisdizione costituzionale delle libertà” si intende
includere i ricorsi costituzionali diretti a tutela dei DU > si tratta di istituti che muovo dall’esigenza di
garantire il primato della costituzione, i meccanismi processuali predisposti allo scopo intendono
rappresentare un limite agli atti dei pubblici poteri che risultino lesivi dei DU.
Le modalità concrete che hanno dato vita a questo istituto sono varie  i due principali prototipi sono
il juicio de amparo e la beschwerde. Essa viene riconosciuta a tutti coloro che ritengono di aver subito una
lesione nella sfera delle proprie libertà fondamentali, secondo quanto stabilito dalla costituzione. A
costoro possono aggiungersi anche altri soggetti, i quali pur non avendo un motivo di lamentare una
lesione diretta, sono investiti di funzioni pubbliche che prevedono l’attuazione di meccanismi
processuali a tutela di diritti di altri soggetti (es. defensor del pueblo in Spagna). Un secondo profilo di
differenziazione che merita di essere segnalato riguarda l’organo competente a decidere se la lesione
lamentata sia effettivamente prodotta a danno del ricorrente. In alcuni sistemi, i ricorsi sono rilevati
dall’autorità giurisdizionale ordinaria (Cile, Argentina); altri sistemi prevedono che il ricorso sia rivolto
al Tribunale costituzionale. Occorre distinguere a seconda che esso sia chiamato a decidere in via
esclusiva o che decida come giurisdizione di revisione  la prima ipotesi è quella europea (Austria,
Germania), mentre la seconda la ritroviamo in America latina.
In America latina abbiamo un'altra distinzione > la competenza viene talvolta differenziata a seconda
dell’organo da cui proviene l’atto che si assume lesivo dei diritti. Ad esempio, in Guatemala, il tribunale
costituzionale giudica in via esclusiva sui ricorsi presentati contro atti provenienti dal Presidente della
Rep., Parlamento o Corte suprema, per gli atti invece provenienti da altri poteri, il ricorso va presentato
dinanzi ai giudici ordinari. Un terzo aspetto che può essere rilevato attiene all’oggetto del ricorso >
l’atto della pubblica autorità contro il quale viene rivolta l’accusa di aver leso un diritto. Alcuni
ordinamento non prevedono alcuna limitazione (Spagna, Cile); altri escludono alcuni atti dalla
possibilità di essere impugnati per violazione dei diritti (es: decisioni dei giudici in Colombia); altri
ancora contemplano la possibilità che gli atti possano essere non solo quelli provenienti da un pubblico
potere, ma anche quelli posti in essere da un privato (Argentina).
In alcuni paesi di origine socialista (Russia) è possibile ricorrere in via diretta per la tutela dei diritti
anche nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Il procedimento previsto si differenzia
rispetto a quello previsto per il controllo di costituzionalità delle norme primarie. Distinzione tra quei
sistemi che offrono una garanzia generale dei diritti e delle libertà fondamentali tutelati dalla
costituzione e quelli che prevedono una giurisdizione costituzionale limitata a determinati diritti. Hanno
una vocazione generale i sistemi di tutela in Austria o Germania. Costituisce uno strumento particolare
l’habeas corpus  tramite esso possono essere impugnati quegli atti dei pubblici poteri che
arbitrariamente limitano la libertà personale. Alcuni ordinamenti prevedono la possibilità di ricorrere
direttamente al tribunale costituzionale a tutela dei diritti connessi alla rappresentanza politica, agli
interessi diffusi o collettivi, all’autonomia delle comunità territoriali (Germania). In Messico,
l’ordinamento prevede sia lo strumento di tutela generale (amparo costituzionale) sia strumenti
particolari intesi a tutelare speciali situazioni giuridiche soggettive. Anche in Spagna coesistono

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meccanismi di tutela generale e particolare > la costituzione del 1978 prevede il ricorso di habeas
corpus contro le forme illegali di limitazione della libertà personale, l’amparo costitucional, contro gli
atti discriminatori e a tutela della libertà di coscienza e dei diritti fondamentali.
Il juicio de amparo mexicano e la sua diffusione, specialmente in America latina
Il juicio de amparo è rivolto alla protezione diretta dei diritti fondamentali della persona e dei precetti
costituzionali che quei diritti affermano. Le decisioni che concludono il giudizio determinano la
disapplicazione dell’atto lesivo al caso di specie e non un suo annullamento. Si tratta di un rimedio
giurisdizionale diretto che permette ai cittadini di adire le autorità giurisdizionali competenti contro ogni
decisione, atto o omissione illegale o arbitrato posto in essere da poteri dello stato o privati. Sono in
genere esclusi dalla lista degli atti impugnabili le leggi e gli atti normativi dell’esecutivo con forza di
legge essendo questi soggetti al controllo di costituzionalità. I soggetti legittimati a presentare il recurso
de amparo sono i titolari di diritti lesi, persone fisiche o giuridiche, che possono agire individualmente o
collettivamente se i diritti fanno capo a una comunità.
Il recurso de amparo offre una tutela nei confronti della generalità dei diritti e delle libertà
fondamentali, sono previsti degli strumenti particolari quali l’habeas corpus e l’habeas data. Il giudizio
di amparo nasce in Messico con la costituzione dello stato dello Yucatan (1841), viene poi introdotto a
livello federale (1957). Amparo significa protezione. Coloro che rivendicano il ricorso possono adire a
un giudice federale o Corte suprema. L’eventuale accoglimento del ricorso non produce l’annullamento,
quindi l’atto resta in vigore e può essere riapplicato. Per impedirne l’applicazione è necessario
presentare un altro recurso > il recurso mostra un limite e produce una sorta di attenuazione dello
stesso primato della costituzione. L’istituto fu esteso alle violazioni della costituzione in genere
determinando un incremento dei ricorsi. Con la riforma costituzionale del 1994 si stabilì che la
competenza a decidere sui ricorsi spetta ai giudici federali, la Corte suprema può avocare a sé i giudizi di
amparo quando ritenga che sussista un interesse costituzionale che trascende il caso di specie. L’istituto
ha conosciuto una diffusione, in primo luogo in America latina, poi in Europa dove è stato incorporato
in varie costituzioni (Germania, Spagna). Casi isolati di previsione di meccanismi simili a questo si
hanno in Africa e Asia.
Il ricorso diretto a tutela dei diritti in Europa: Svizzera, Germania e Spagna
La costituzione delle Confederazione Svizzera nel 1848 prevedeva che nell’ipotesi dei diritti
costituzionalmente garantiti poteva essere presentato ricorso per la loro tutela. In una prima fase il
ricorso si doveva presentare all’Assemblea federale che valutava se sottoporre la questione al Tribunale
federale. Con la revisione della costituzione nel 1874 il filtro politico fu eliminato e si ammise il ricorso
diretto al Tribunale federale. Anche in Germania alcuni stati avevano previsto il ricorso a tutela dei
diritti seppure attraverso la mediazione di organi politici. Ma è a partire dalla costituzione austriaca del
1920 che si realizza in Europa il primo modello compiuto di ricorso costituzionale a tutela dei diritti. In
Germania il ricorso costituzionale diretto al Tribunale costituzionale federale rappresenta la principale
attività dell’organo di giustizia costituzionale. Contro un atto legislativo, amministrativo o giudiziario,
chiunque può presentare ricorso al tribunale se ritiene che sia stato leso un proprio diritto garantito
dalla costituzione. Nel sistema costituzionale tedesco il ricorso individuale diretto è ritenuto uno
strumento straordinario e sussidiario  ci si può avvalere di questo solo se siano stati esperiti tutti gli
altri rimedi previsti per rimuovere gli effetti della violazione di un diritto fondamentale.
In fase preliminare, il Tribunale verifica l’ammissibilità del ricorso sulla base di 3 criteri: la fondamentale
rilevanza costituzionale della lesione lamentata, il carattere particolarmente rilevante del diritto che si
vuole garantire, il grado di gravità delle conseguenze che potrebbero colpire il ricorrente in caso in cui il
ricorso fosse respinto. La decisione conclusiva produce effetti erga omnes e determina la nullità
(parziale o totale) della legge; l’annullamento dell’atto amministrativo o la sospensione del
provvedimento giudiziario. Merita di essere segnalata la possibilità che i Comuni presentino un ricorso
costituzionale diretto per la tutela del proprio diritto all’autogoverno comunale > si tratta del diritto
riconosciuto dalla costituzione ai Comuni di regolare gli affari della comunità locale.
Anche l’ordinamento spagnolo prevede il controllo di costituzionalità per la tutela dei diritti
fondamentali sanciti dalla costituzione. Contro le violazioni e le lesioni dei diritti proclamati dagli
articoli 14-30 ogni persona, fisica o giuridica, può presentare ricorso di amparo. Il ricorso può essere

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anche presentato dal defensor del pueblo e dal procuratore generale. Per contenere l’abuso di tale
strumento, anche in spagna l’ordinamento dispone che al ricorso di amparo si acceda solo dopo aver
esperito tutti i rimedi interni. Oggetto del ricorso può essere l’atto posto in essere da qualunque
pubblico potere. L’esperienza mostra che la maggioranza dei ricordi si amparo sono rigettati in fase
preliminare di ammissibilità per carenza sostanziale, mancando del fondamento costituzionale della
violazione lamentata.
La costituzione della svizzera prevede la possibilità che molti soggetti possano adire al Tribunale
federale a garanzia dei propri diritti = ricorso in materia costituzionale per la censura delle violazioni dei
diritti costituzionali. L’atto sindacabile può essere di tipo legislativo, amministrativo e giurisdizionale.
Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, le disposizioni costituzionali che riservano al cittadino
una sfera di protezione contro l’invadenza dello stato o che tutelano interessi privati, sono volte a
garantire diritti fondamentali. Il Tribunale federale esercita le sue funzioni di garanzia anche avendo
riguardo ai diritti costituzionali cantonali dei quali si lamenti lesione, nonché ai diritti che derivano dalla
CEDU. Il modello tedesco è stato accolto molto dai paesi dell’Europa centro orientale all’indomani
della caduta del muro di Berlino.
La tutela multilivello dei diritti
Agli stati nazionali sono affiancati livelli di tutela internazionale e sovranazionale che hanno contribuito
a rafforzare la sensibilità universale verso i DU. Se si guarda però alla tutela giurisdizionale dei diritti
affermati la sede principale resta il livello statale. Le norma poste a tutela dei DU si rivolgono agli stati e
sono fonte di obblighi per essi verso la comunità internazionale e pertanto può essere fatta valere la
loro responsabilità per gli atti lesivi dei diritti fondamentali. Le costituzioni degli stati spesso prevedono
l’adeguamento dell’ordinamento interno alle norme internazionali (es. art 11 italia). È compito degli
stati garantire al loro interna la valenza delle dichiarazioni inter., essi conservano una sorta di
monopolio della tutela giurisdizionale dei diritti, mentre hanno perso il monopolio della declaratoria dei
diritti. Il costituzionalismo multilivello si esprime nel fatto che i due livelli costituzionali (nazionale e
sovranazionale) si influenzano reciprocamente dando luogo ad una dinamica costante di interscambio e
interferenze in diversi ambiti, ma specialmente nella tutela dei diritti fondamentali.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la tutela dei diritti
La tutela dei diritti rappresenta un apparato di difesa dei valori comuni della tradizione occidentale, per
questo motivo l’impianto che mira a salvaguardare i diritti della persona poggia su 3 tipi di ordinamenti
giuridici > nazionale, comunitario ed internazionale. La CEDU è un accordo inter. multilaterale a
carattere regionale, spetta agli stati contraenti determinare le modalità ed il grado di tutela da apprestare
a favore dei diritti proclamati, considerato che il fine ultimo delle disposizioni convenzionali è quello di
assicurare l’armonizzazione dei parametri di tutela negli stati. La Convenzione prevede all’art. 19
l’istituzione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Strasburgo)  dinanzi ad essa un privato,
un’ONG o un gruppo di privati può fare ricorso per lamentare la violazione dei diritti riconosciuti nella
Convenzione e nei suoi protocolli. L’accesso diretto alla Corte ha carattere sussidiario  si può far
valere la lesione di un diritto solo dopo aver esperito i rimedi all’interno dell’ordinamento nazionale. Lo
stato può essere convenuto in giudizio dinanzi alla Corte sulla base della impugnativa di atti,
comportamenti o omissioni, che sono espressione dei suoi poteri: atti amministrativi, decisioni
giurisdizionali, atti legislativi, comportamenti omissivi.
Il giudizio della Corte mira a verificare se l’atto o il comportamento risulti lesivo di uno dei diritti sanciti
dalla Convenzione. La Convenzione prevede che gli stati contraenti possano adottare misure in deroga
rispetto agli obblighi previsti. La Corte ha riconosciuto l’esistenza di un margine di apprezzamento agli
stati circa la necessità di introdurre limitazioni dei diritti e delle libertà, si tratta di un apprezzamento
discrezionale che deve contemperare la tutela dei diritti e delle libertà con l’esigenza di assicurare gli
interessi generali fondamentali dello stato. La giurisprudenza della Corte ha mostrato di sapersi avvalere
delle tecniche del bilanciamento tra diritti, diritti e valori o interessi generali della comunità,
all’applicazione del principio di proporzionalità. In quanto organo di un ordinamento intern., privo di una
legittimazione democratica, essa non deve applicare leggi che sono il prodotto della manifestazione
della sovranità popolare, ma interpreta e applica le disposizioni della Convenzione e pertanto la sua
giurisprudenza è destinata a vincolare gli atti e i comportamenti degli stati contraenti.

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La Corte di giustizia europea e la tutela dei diritti


I diritti fondamentali comunitari erano garantiti dalla Corte di giustizia nei confronti degli atti delle
istituzioni comunitarie, sulla base dei principi derivanti dalle costituzioni nazionali degli stati membri e
della CEDU. Le Corti costituzionali degli stati dovevano garantire i diritti sancite dalle loro costituzioni
nei riguardi degli atti delle autorità nazionali, salvo nei casi in cui tali atti dessero attuazione a
disposizioni comunitarie. Questa separazione degli ambiti di intervento non ha retto > si sono
configurati problemi proprio per la sovrapposizione tra le due sfere di tutela dei diritti > ci si riferisce al
tema dei:
1. Controlimiti  problema che scaturì dalla presa di posizione delle Corti costituzionali italiana e
tedesca: per quanto riguarda la giurisprudenza della corte di giustizia di Lussemburgo in tema di
tutela dei diritti fondamentali avesse fatto riferimento alle tradizioni costituzionali comuni agli
stati membri, le Corti in questione hanno affermato che diritti inviolabili tutelati dalle
costituzioni nazionali rappresentano un limite anche per le istituzioni comunitarie. La tutela del
nucleo essenziale dei DU deve restare nelle mani delle Corti costituzionali. In base alla dottrina
dei controlimiti, la giustizia costituzionale nazionale non può osservare il principio della
separazione degli ordinamenti quando gli atti comunitari ledano i diritti fondamentali e i valori
dell’ordinamento costituzionale nazionale. (dottrina che ha mantenuto una valenza teorica)
2. Incorporation  teoria elaborata dalla Corte di giustizia > muovendo dal tema della
sovrapposizione tra tutela nazionale e comunitaria dei diritti, la Corte ha sviluppato una
giurisprudenza di tipo espansivo in ordine al campo di applicazione dei diritti fondamentali
comunitari. Essa ha ritenuto di poter valutare la compatibilità dei diritti fondamentali
comunitari non solo degli atti delle istituzioni comunitarie, ma anche degli atti delle autorità
nazionali in 2 ipotesi: nella prima, quando gli stati pongono in essere atti destinati a fare
attuazione e applicazione al diritto comunitario; nella seconda, quando essi si introducono limiti
all’esercizio delle libertà economiche fondamentali garantite dall’UE, invocando le cause di
giustificazione previste dai trattati. La Corte ha ritenuto di poter esercitare un controllo ai fini
della tutela dei diritti fondamentali anche sugli atti delle autorità nazionali.

Elementi che lasciano intendere come la netta separazione tra i due livelli ordinamentali in tema di
tutela dei diritti sia difficile da preservare. La Corte ha dato un impulso alla tutela dei diritti a livello
sovranazionale, includendo nelle sue azioni anche situazioni giuridiche soggettive non espressamente
contemplate nei trattati. In una prima fase, essa ha tutelato i diritti e le libertà attinenti la sfera
economica, dopo anche gli altri, anche diritti non espressamente tutelati dalla normativa europea
richiamandosi alla CEDU. Con la Carta di Nizza il livello dei diritti che la Corte può assicurare è
superiore rispetto agli standard garantiti dalla CEDU > questo si scontra con la natura limitata
dell’ambito di applicazione della stesa ai sensi dell’art. 51. Il disegno che segna emergere affida la tutela
dei dritti a un sistema di protezione multilivello basato su quella osmosi che nel tempo si è venuta
determinando tra l’ordinamento sovranazionale e nazionale. La Corte non solo ha in genere
interpretato in senso restrittivo le condizioni di ammissibilità del ricorso, ma soprattutto non sembra
interpretare il ruolo di una corte dei diritti. Appare che il fine ultimo della Corte non è tanto quello di
apprestare una tutela dei dritti in quanto tali, ma l’affermazione del primato del diritto dell’UE.
La tutela giurisdizionale sovranazionale dei diritti in America e in Africa
1959 Commissione interamericana dei diritti umani  organo politico che svolge l’attività di
promozione dei diritti e anche di protezione > promuove inchieste e indagini su situazioni particolari di
violazione dei diritti sulla base di petizioni individuali o comunicazioni statali e rivolge
raccomandazione agli stati. 1969 Corte interamericana dei diritti  istituita con la funzione di
proteggere i DU in relazione agli impegni assunti dagli stati aderenti al Patto. Essa esercita una funzione
consultiva (sull’interpretazione ed applicazione della Convenzione) e l’altra contenziosa (sui ricorsi
presentati da uno stato per far valere la responsabilità di un altro per violazione dei diritti). Il sistema

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regionale americano presenta un’asimmetria  l’apparato di protezione dei diritti fa leva su un organo
politico, la Commissione interamericana, dinanzi alla quale l’individuo può portare la propria istanza
senza particolari condizioni > la Convenzione di San Josè considera il ricorso individuale come lo
strumento principale di attivazione delle funzioni della Convenzione, mentre quello interstatale è
ritenuto eccezionale. La stessa apertura non si registra per la Corte interamericana, alla quale si possono
rivolgere la Commissione, gli stati, ma non i singoli o i gruppi di individui.
La Carta di Banjul africana fa perno su 2 istituzioni:
1. La Commissione africana dei diritti dell’uomo  (1955) organo politico con il compito di
promuovere i DU e i diritti dei popoli, secondo la concezione africana; garantire la protezione
di essi e fornire pareri sull’interpretazione delle disposizioni della Carta. Oltre alla
predisposizione periodica di rapporti sullo stato di attuazione delle disposizioni convenzionali,
essa può avviare procedure di inchiesta sulla violazione dei diritti sulla base di istanze presentate
dagli stati, individui o ONG. Tuttavia le risoluzioni adottate dalla Commissione non hanno
efficacia vincolante per gli stati.
2. La Corte africana dei diritti dell’uomo  (2006) può essere adita dalla Commissione, da uno
stato membro o dai singoli individui e ONG. La possibilità che essa si pronunci su un’istanza
proveniente da un individuo o ONG è subordinato alla condizioni che lo stato imputato di aver
violato i diritti abbia ammesso questa possibilità. La possibilità di ricorrere alla Corte è
subordinata dall’esaurimento dei rimedi giurisdizionali interi.

Con il protocollo di Maputo l’UA ha nel 2003 istituito una corte parallela: la Corte di giustizia
dell’Unione Africana > per interpretare e applicare l’atto istitutivo dell’UA e di tutte le altre disposizioni
di diritto inter. Il protocollo di Malabo (2014) ha stabilito che la Corte di giustizia assorba le funzioni
della Corte africana dei diritti umani con la cessazione di quest’ultima. Il quadro complessivo appare
disorganico.

La distribuZione territoriale dei poteri: tipi di stato e UE (cap 6)


Stato unitario e stato composto
Uno dei criteri utili a distinguere le forme di stato è quello dell’esistenza o meno di una separazione tra i
poteri collocati al vertice dello stato. Accanto a questa separazione orizzontale, ce ne è una verticale che
intercorre tra stato centrale ed enti territoriali decentrati. La prima distinzione è tra Stato unitario (il
potere viene attribuito al solo Stato centrale o a soggetti periferici da esso dipendenti. Caso di
decentramento burocratico o funzionale> in quanto i soggetti fanno parte dell’organizzazione dello
stato) e Stato composto (il potere viene distribuito fra lo Stato centrale ed enti territoriali titolari di
poteri propri. Caso di decentramento politico o istituzionale > sono istituzioni distinte). Nello Stato
unitario è assente qualsiasi forma di distribuzione del potere e di autonomia. Gli Stati centrali sono di
due tipi, Stato regionale e Stato federale, e si caratterizzano per un vario grado di decentramento.
All’estremo opposto allo Stato unitario si trova la Confederazione di Stati (es: USA 1777-87, Germania
1815-67) per le quali non si parla più di autonomia ma di sovranità qui Stati indipendenti e sovrani
danno vita ad un’organizzazione comune finalizzata al perseguimento di obiettivi e interessi comuni,
soprattutto questioni di carattere economico e militare. Quest’unione non dà vita ad un nuovo tipo di
Stato in quanto si fonda su un patto di diritto internazionale liberamente sottoscritto e in ogni
momento revocabile. Le caratteristiche essenziali di una Confederazione sono esistenza di una
organizzazione comune semplificata che prevede un organo rappresentativo dei vari Stati titolare di
alcuni poteri; pariteticità della rappresentanza degli Stati all’interno di tale organo; unanimità
nell’adozione delle principali decisioni; carattere vincolante di queste nei confronti degli Stati e non

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direttamente dei rispettivi cittadini. Si riscontra storicamente la tendenza per le Confederazioni a


trasformarsi in Stati federali.
Lo stato federale
Il federalismo si configura sia come una teoria politico-filosofica, sia come categoria giuridica. Lo stato
federale costituisce l’espressione tipica del federalismo come categoria giuridica. Esso costituisce il
modello originario di Stato composto. Nasce storicamente per associazione o integrazione di
Stati indipendenti, anche Stati che si danno un assetto federale fin dal momento della conquista
dell’indipendenza nazionale (Canada e Australia), o anche Stati federali che si costituiscono per
dissociazione di un precedente Stato unitario (Argentina, Brasile, Germania). I caratteri giuridici comuni
sono:
1. Esistenza di un ordinamento statale federale, fondato su una costituzione scritta e superiore (clausola
dei poteri impliciti e supremacy clause), che riconosce l’autonomia di enti politici territoriali, i quali
hanno proprie costituzioni subordinate a quella federale.
2. La previsione nella costituzione federale della ripartizione delle competenze tra lo Stato centrale e gli
enti territoriali che di solito riguardano i tre poteri fondamentali dello Stato.
3. Assetto bicamerale del Parlamento. Una Camera espressione dell’intero corpo elettorale nazionale; l’altra
rappresentativa degli stati membri. La configurazione di quest’ultima varia notevolmente sia per
composizione che per funzioni svolte può essere composta in base a un criterio paritetico (attribuisce a
ogni entità federata lo stesso numero di rappresentanti) o differenziale (a seconda della popolazione degli
Stati membri); i membri possono essere eletti o designati dai Parlamenti statali o nominati dai Governi
stati o dall’Esecutivo federale. Dal punto di vista funzionale due sono i modelli: quello molto più
frequente del Senato (i senatori esprimono il proprio voto individualmente senza vincolo di mandato) e
quello del Consiglio (tipico dell’esperienza tedesca nel quale i consiglieri esprimono un voto unico come
delegazione dei Land e sono soggetti alle direttive politiche del rispettivo Governo).
4. Una composizione del Governo rappresentativa della natura composita dello Stato (prevista
costituzionalmente o affermatasi come prassi o come criterio condizionante la nomina dei Ministri)
5. La partecipazione degli Stati membri al procedimento di revisione costituzionale che può esercitarsi
direttamente o indirettamente oppure con voto diretto del corpo elettorale.
6. L’istituzione di un organo federale di tipo giurisdizionale al quale è attribuito il potere di risolvere i
conflitti tra Stato federale e Stati membri.
Le teorie sulla natura giuridica dello Stato federale
In base al criterio dell’individuazione del soggetto titolare della sovranità (teorie statiche che si
propongono di individuare una nozione di Stato federale valida in assoluto, oggi superate in quanto
inadeguate a descrivere le differenze tra Stato federale e regionale in quanto l’elemento sovranità non è
più distintivo e descrittivo; oggi gli elementi determinanti sono l’autonomia e la partecipazione delle
entità alle decisioni dello Stato centrale).
Teoria che ritiene che la sovranità sia ripartita tra Stato centrale e Stati membri e quindi configura lo
Statofederale come Stato di Stati
Una seconda teoria ritiene che titolari della sovranità siano gli Stati membri ma il suo accoglimento
avrebbe come conseguenza la piena assimilazione dello Stato federale alla Confederazione di Stati
Teoria che attribuisce la sovranità allo Stato federale sulla base di argomenti tratti da previsioni contenute
nelle costituzioni federali (superiorità della costituzione federale su quella statale, l’attribuzione allo stato
federale della competenza sulle competenze ecc) ne deriva che gli Stati membri sono da considerarsi
enti non sovrani ma autonomi
Teorie basate sullo schema tripartito che considerano lo Stato federale come l’insieme di tre diversi
ordinamenti giuridici: quello degli Stati membri, quello dello Stato centrale, quello totale o complessivo
che deriva dalla sintesi dei primi due (teoria che non trova riscontro nella realtà)
Un altro gruppo di teorie prende le mosse dal riconoscimento della supremazia dello stato federale e
della natura non statale delle diverse entità federate che ne fanno parte. I principi che regolano i

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rapporti tra i vari livelli di governo vengono individuati nel principio di autonomia costituzionale (o
residua) > distingue gli stati membri sia dalle Regioni che dagli enti locali dotati di autarchia; e in quello
di partecipazione (esistenza di una seconda Camera rappresentativa degli stati e necessità di consenso
della maggioranza degli stati alla revisione costituzionale). Queste teorie sono dinamiche, considerano
lo Stato federale come un fenomeno evolutivo. Punto di riferimento comune è la teoria empirica
del federalizing process di Friederich > si propone di andare oltre le concezioni dei giuristi e il concetto
di stato che viene sostituito da quello più ampio di comunità politica.
A una concezione dinamica si rifanno varie teorie le quali collocano i processi federativi lungo una linea
continua, i cui estremi sono lo stato unitario e l’unione sovranazionale di stati. L’approccio realista
giunge a sottolineare il carattere dinamico dei processi federativi che si manifesta nel corso
dell’evoluzione dello stato federale, decisivo è il passaggio dallo stato federale liberale allo stato federale
sociale nel primo viene perseguita la libertà dei privati e del mercato che è incentivata dalla sottrazione
agli stati membri delle competenze in materia economica, nel secondo i valori perseguiti sono quelli
della partecipazione della collettività locale alle scelte politiche, dell’articolazione della classe politica in
modo da impedire la concentrazione oligarchica del potere, dell’avvicinamento delle decisioni ai bisogni
dei cittadini. Nell’epoca contemporanea vi è un rapporto stretto tra federalismo e democrazia
pluralistica > l’attribuzione ai diversi gruppi sociali di forme di autonomia e partecipazione alla volontà
dello stato incentiva il riconoscimento di strutture di autogoverno di tipo territoriale.
L’evoluzione degli stati federali
La distinzione principale è quella tra modello anglosassone ed europeo o fra quello statunitense e quello
tedesco. Essa riguarda il riparto delle competenze legislative nel primo modello vi è la tendenza a
distinguere formalmente le attribuzioni esclusive del governo centrale e di quelli periferici (con l’elenco
delle materie di rispettiva competenza e l’attribuzione di poteri residui agli stati). Al di fuori degli USA
vi è stata la tendenza verso un federalismo di tipo cooperativo, anche mediante la previsione di una
competenza legislativa concorrente. Anche negli stati europei federali la clausola dei poteri residui è
disposta a vantaggio degli stati membri, ma in Germania e in Svizzera è costituzionalmente prevista
un’ampia fascia di competenze legislative concorrenti, nella quale lo stato fissa i principi, ma in alcune
materie può intervenire anche con normative di dettaglio. La differenza si riflette sul riparto delle
funzioni amministrative, infatti, mentre nei paesi anglosassoni e latino-americani queste seguono le
competenze legislative; in Germania e svizzera il federalismo si configura come un federalismo di
esecuzione nel quale al predominio federale nella legislazione corrisponde l’intervento preponderante
dei Lander e dei Cantoni nell’amministrazione e quindi nell’attuazione delle scelte normative. Peculiare
è poi lo Stato federale in Belgio = federalismo di sovrapposizione, asimmetrico e di dissociazione. Con
l’affermarsi dello Stato sociale gli Stati federali mostrano alcune tendenze comuni:
1. Si rafforza il ruolo dello Stato centrale che si concretizza soprattutto nell’ampliamento delle
competenze esercitate a livello federale varie ragioni sono la causa di ciò: sociali (affermarsi di diritti
sociali e cittadinanza comune), politiche (ruolo di unificazione della politica svolto dai partiti di massa),
economiche (crescente intervento regolatore dello stato) e militari (necessità di garantire la gestione
centralizzata della forza militare).
2. Tendenze di tipo centrifugo
3. Affermarsi del federalismo cooperativo in sostituzione dell’originario dual federalism tipico dell’epoca
liberale.Il federalismo cooperativo è caratterizzato dall’affermarsi di tre principi fondamentali: principio
di sussidiarietà (1)= gli interventi di livello superiore di governo sono giustificati solo quando non
possano essere efficacemente compiuti dal livello inferiore o qualora si tratti di interesse nazionale o di
esigenza di disciplina uniforme della materia (sussidiarietà verticale); secondo una portata più ampia è
posto a tutela delle autonomie sociali ed individuali nei confronti del potere pubblico (sussidiarietà

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orizzontale), federalismo fiscale (2) ogni livello di governo deve procurarsi autonomamente risorse
adeguate all’esercizio delle proprie competenze (è lontana dalla realtà l’idea che negli stati federali ogni
entità sia in grado di garantirsi l’autosufficienza finanziaria attraverso la piena autonomia
nell’impostazione e nella riscossione dei tributi > lo stato centrale non solo gestisce una quota non
irrilevante delle risorse finanziarie, ma predetermina l’assetto dei sistemi locali di prelievo fiscale e incide
sulla distribuzione delle risorse attraverso degli interventi di vario tipo), principio di
collaborazione (3) = gestione ottimale delle risorse rende indispensabili accordi e cooperazione fra
i diversi livelli di governo, sia orizzontali (riguardano entità federate) che verticali (intercorrono
tra governo centrale e periferico). La cooperazione può essere istituzionalizzata o spontanea a seconda che
si basi su strutture e procedure fissate normativamente o che sia lasciata alla libera iniziativa dei diversi
livelli di governo. La cooperazione può avere ad oggetto l’attività normativa o, più spesso, l’attività
amministrativa e in particolare l’esecuzione delle norme federali.
In linea generale si può affermare che gli stati federali contemporanei sono caratterizzati dalla vigenza di
una costituzione rigida che prevede accanto ad un governo centrale collocato in posizione preminente,
l’esistenza di governi locali dotati di autonomia politica e che partecipano in vario modo, ma per lo più
in posizione subordinata, alla determinazione dell’indirizzo politico-amministrativo nazionale.
Lo Stato regionale
Regionalismo = teoria che propugna la suddivisione di uno Stato precedentemente centralizzato in
entità autonome con specificità economiche, culturali, geografiche, etniche > esso precede la
formazione degli stati regionali. Il movimento regionalistico si differenzia da impostazioni di tipo
federalistico in quanto concepisce l’ente Regione o Comunità autonoma come un livello di governo
collocato tra lo stato e gli enti locali territoriali, al quale si dà vita per far fronte ad esigenze economiche
e etniche peculiari di certe zone geografiche. È evidente la diversa origine storica dello stato regionale
rispetto a quello federale, lo stato regionale non solo è più recente, ma deriva dalla suddivisione in
nuove entità territoriali autonome di stati caratterizzati da una forte tradizione centralistica. Caratteri
che distinguono lo Stato regionale da quello federale:
Riconoscimento nella costituzione statale di enti territoriali autonomi dotati di propri statuti che devono
essere approvati con legge dello Stato (Regioni o Comunità autonome). (N.B. In Italia non
piùapprovazione con legge statale).
Attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze normative e amministrative.
Esistenza di un Senato non rappresentativo delle Regioni,ma solo eletto a base regionale (art. 57 Ita) o con
una rappresentanza limitata delle Comunità autonome.
Partecipazione limitata all’esercizio delle funzioni statali e a quella di revisione costituzionale.
Attribuzione alla Corte costituzionale del potere di risolvere i conflitti fra lo Stato e le Regioni garantendo
la preminenza degli interessi nazionali anche nelle materie di competenza regionale.
All’interno delle esperienze di regionalismo si riscontrano differenze:
si può parlare di Stato regionale solo quando l’ente “Regione” è previsto in costituzione. A tale proposito,
si riscontra una differenza tra la modalità di formazione italiana, creazione top-down e cioè con le
Regioni elencate e imposte dalla costituzione, e quella spagnola, creazione bottom-up e cioè previsione
costituzionale delle sole procedure per la creazione delle Comunità autonome che sono state istituite dal
basso.
Lo stesso termine “Regione” può assumere almeno tre significati: semplice circoscrizione o ufficio di
decentramento burocratico (Regno Unito); Regione amministrativa e cioè ente territoriale dotato di
autarchia (autonomia amministrativa ma non politica); Regione politica, basata sull’elettività dei titolari
degli organi di governo e, nelle materie di competenza, dotate della libertà di determinare un indirizzo
politico-amministrativo e di esercitare la potestà legislativa.
Vi può essere una regionalizzazione omogenea o differenziata. Nel primo caso si ha una disciplina
uniforme dell’ente regionale; nel secondo caso, molto più diffuso, si prevede che alle diverse Regioni sia
attribuito un livello di autonomia differenziato o asimmetrico. In questo caso vi è un’ulteriore

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differenziazione Regioni alle quali sono attribuite condizioni particolari di autonomia, per motivazioni
derivanti dalle loro peculiarità etniche, economiche o storico-culturali, ma che non assumono natura
giuridica differenziata rispetto alle altre; Regioni aventi natura giuridica differenziata prevista in
costituzione.
Differenze sussistono in merito alle competenze attribuite alle Regioni. Criterio dominante in passato in
merito al riparto delle competenze legislative era di tipo separatista(previsto un elenco di quelle
regionali e la competenza residuale attribuita allo Stato) però in Italia, con la riforma del 2001, è stato
ribaltato prevedendo la potestà legislativa regionale nelle materie non espressamente riservate allo Stato;
in Spagna vi è una doppia elencazione delle materie che però lascia agli statuti la possibilità di attribuire
le competenze non riservate allo Stato alle Comunità autonome.
Altre differenze vi sono in merito alle funzioni regolamentari e amministrative. In passato era dominante il
principio del parallelismo delle funzioni (di regola le Regioni intervengono nelle stesse materie nelle
quali hanno competenza legislativa). Eccezioni: in Italia attribuzione alle Regioni della potestà
regolamentare in tutte le materie non riservate allo Stato e principio di sussidiarietà a favore dei Comuni
per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni amministrative (riforma del Titolo V).
In definitiva si può parlare di Stato regionale in senso proprio solo quando le Regioni sono previste in
costituzione, sono enti politici autonomi dotati di competenze legislative, ricoprono l’intero territorio
nazionale. Solo Italia e Spagna rientrano pienamente in tale categoria mentre per Portogallo e UK si
può parlare di uno Stato parzialmente regionalizzato. La Francia appare come uno Stato in via di
regionalizzazione.
Le teorie sulla natura giuridica dello Stato regionale
Le teorie possono essere ricondotte a tre filoni principali, a seconda che lo stato sia considerato
come species dello stato unitario, come stato intermedio tra l’unitario e il federale o come stato
decentrato assimilabile a quello federale:
1. Teorie che considerano lo Stato regionale come sottospecie di quello unitario: Regioni non diverse
qualitativamente dagli enti locali, qualificate come enti autarchici aventi mera potestà amministrativa
caratteristica appunto degli enti locali di uno Stato unitario decentrato, che entrano a far
parte dell’ordinamento statale con la stessa natura ed efficacia di quelli dello stato. Altri, pur non
negando la natura di enti autonomi delle Regioni, ritengono che la differenza nei confronti degli enti
locali sia solo quantitativa, basata sulla maggiore o minore ampiezza delle funzioni attribuite.
2. Teorie che considerano lo Stato regionale come un tipo di Stato intermedio tra lo Stato federale e
quello unitario il merito di queste teorie sta nell’aver sostituito al concetto tradizionale di sovranità
quello più attuale di autonomia.
3. Teorie che configurano lo Stato regionale al pari dello Stato federale come un tipo di Stato
decentrato distinto dallo Stato unitario le Regioni come gli Stati membri sono enti non sovrani ma
autonomi. Nessuna differenza qualitativa sussiste tra i due tipi di Stato> in entrambi i casi si tratta di
autonomia non solo amministrativa ma anche legislativa garantita da disposizioni costituzionali. Le
differenze che permangono tra i due tipi di Stato riguardano la forma di governo (es. la partecipazione
degli Stati membri alla funzione di revisione costituzionale e alla formazione del Parlamento nazionale),
le questioni relative al numero e all’importanza delle funzioni decentrate.
L’evoluzione degli stati regionali
Due tendenze nell’evoluzione degli Stati regionali:
1. Tendenza di tipo centrifugo consistente nel rafforzamento delle condizioni di autonomia e dei poteri
delle Regioni Spagna contenuto del nuovo stato della Catalogna (2006) > riconosce l’identità nazionale
della Comunità e ne rafforza i diritti e l’autonomia finanziaria. D’altro alto il Tribunale costituzionale
con la sentenza n. 31/2010 ha ridimensionato la portata normativa dello statuto della Catalogna,
dichiarando incostituzionali 14 disposizioni e subordinando la legittimità di altre 27 ad

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un’interpretazione conforme a costituzione. Nel 2013/14 le autorità di governo catalane hanno tentato
di far pronunciare il popolo sull’indipendenza della Catalogna > bocciata. Poi si è svolta una consulta
volontaria priva di valore giuridico > la maggior parte dei cittadini vogliono la Catalogna
indipendente. Regno Unito volontà indipendentista della Scozia. Italia revisione del Titolo V parte II
della costituzione > contiene aspetti di tipo federale (ribaltamento del criterio di ripartizione delle
competenze legislative a favore delle regioni, l’affermazione del principio di sussidiarietà, attribuzione
alle regioni ordinarie del potere di adottare lo statuto con una legge regionale rinforzata, il
riconoscimento alle autonomie territoriali di un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa basata su
tributi ed entrate proprie, l’equiparazione tra regioni e stato per l’impugnazione delle leggi di fronte la
Corte costituzionale); dall’altro lato non si può qualificare l’ordinamento italiano come federale.
2. Tendenza consistente nello sviluppo del regionalismo cooperativo che si realizza o attraverso la
partecipazione delle Regioni alla formazione dell’indirizzo politico statale o mediante il favorire
l’integrazione tra sfere di attività statali e regionali non più rigidamente separate. Occorre sottolineare
che è in corso un’evoluzione degli enti locali che rende meno agevole la distinzione tra questi e le
Regioni: spesso gli enti locali sono anch’essi riconosciuti in costituzione; vi sono disposizioni
costituzionali che li definiscono enti autonomi e quindi non solo autarchici. Tuttavia: le Regioni sono
dotate di autonomia legislativa; sono titolari di strumenti di partecipazione alla determinazione
dell’indirizzo politico dello Stato; possiedono competenze che incidono sull’ordinamento e sul
funzionamento degli enti locali.
Stati federali e Stati regionali
Dal confronto tra le esperienze federali e regionali emerge come elemento unificante il concetto di
autonomia, che determina una linea di continuità tra i vari processi di decentramento politico,
delimitata ai due estremi dalla Confederazione di Stati e dallo Stato unitario a decentramento
burocratico. Ciò non significa che non vi siano differenze tra i vari processi di decentramento
politico > fra lo stato regionale e federale vi sono diversità di origine storica e di natura
terminologico-simbolica. Sotto un profilo giuridico, i due concetti intorno ai quali ruotano tutte le
possibili differenziazioni tra i due sono quelli di autonomia e partecipazione. Vari autori ritengono
che solo gli stati membri siano dotati di autonomia costituzionale > tuttavia nessuno dei significati
che a tale espressione vengono attribuiti vale a stabilire differenze di tipo qualitativo. Intanto
autonomia costituzionale non può significare originarietà > che si ha quando un ordinamento si
autolegittima e quindi la sua fondazione non deriva da un altro ordinamento. Quanto all’autonomia
intesa come garanzia costituzionale, questa sussiste nei confronti del legislatore ordinario anche per
le regioni. Inoltre esse sono garantite costituzionalmente anche nel senso che in vari stati regionali il
principio autonomistico costituisce uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale e
quindi si pone come limite materiale alla stessa revisione della costituzione.
Per quel che riguarda le competenze, il loro riparto è stabilito nella costituzione dello stato centrale e
il criterio dei poteri residui gioca in modo differenziato all’interno sia degli stati federali sia di quelli
regionali. Quindi le differenze su questo terreno riguardano il merito delle competenze decentrate, in
particolare l’attribuzione ai soli stati membri di competenze di tipo giurisdizionale e in materia di
ordine pubblico, che di regola non sono riconosciute alle regioni. Tale differenza non comporta che
gli enti decentrati abbiano nei due casi una diversa natura giuridica, in quanto essi non rivestono la
qualità di veri e propri stati. Ciò è confermato dall’esistenza di stati federali nei quali alle entità
federate sono attribuiti poteri in materia giurisdizionale. Anche per quel che riguarda il principio
della partecipazione alla formazione della volontà politica dello stato, esistono differenze
significative. La diversità più rilevante deriva dal fatto che negli stati regionali non esiste una Camera
rappresentativa delle regioni quale momento di compensazione tra l’interesse nazionale e le esigenze

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degli enti federati. Anche la partecipazione al procedimento di revisione costituzionale degli enti
decentrati risulta più limitata negli stati regionali.
In entrambi i modelli vi è una comune tendenza verso un modello di tipo cooperativo. In definitiva
stato federale e regionale non costituiscono tipi di stato distinti e inconciliabili, ma sono 2
manifestazioni dei processi di decentramento politico che caratterizzano molti stati democratici
contemporanei. La natura democratica della forma di stato costituisce oggi una pre-condizione per il
pieno dispiegarsi di processi di autentico decentramento politico. Soprattutto nell’ambito della forma
di stato democratico-pluralistico, si possono distinguere 2 diversi tipi di stato a seconda della diversa
articolazione del potere sul territorio quello unitario (basato su un decentramento di tipo
burocratico o istituzionale ma principalmente amministrativo) e decentrato (si fonda su un
decentramento istituzionale di tipo politico). All’interno dello stato decentrato la distinzione tra
federalismo e regionalismo incide sull’assetto e sul funzionamento degli organi di governo dello
stato, ma anche sulla distribuzione dei poteri tra stato centrale e autonomie territoriali e quindi tra le
esperienze più significative di tipo federale e regionale continua ad esserci importanti differenze.

OrganiZZAZioni sovranAZionali: l’Unione Europea


Organizzazioni internazionali, transnazionali, regionali e sovranazionali
Le organizzazioni internazionali nascono da accordi tra stati sovrani che danno vita a soggetti le cui
decisioni sono vincolanti solo per gli stati membri. Ne deriva chela loro attuazione dipende dalla
volontà degli stati e che esse si impongono ai loro cittadini solo nel momento in cui gli stati le
traducono in propri atti normativi interni. L’ONU (193 membri) ha dato un contributo importante
alla creazione di un diritto costituzionale internazionale. L’azione trasversale di questi organismi è al
contempo l’effetto e un’ulteriore causa della crisi degli stati-nazione, i quali non riescono più a
governare adeguatamente i principali processi economici e politici, che assumono una dimensione
sovranazionale. Tuttavia la nascita di un diritto transazionale del mercato non garantisce il governo
mondiale dei processi globalizzazione e presenta un deficit di legittimazione democratica. Un altro
fenomeno è la diffusione di organizzazioni regionali > riuniscono stati appartenenti ad un intero
continente o caratterizzati da comuni interessi economico-sociali (OAS, MERCOSUR, UA,
Consiglio d’Europa). Nascita di organizzazioni sovranazionali che adottano decisioni che sono
direttamente valide ed esecutive all’interno degli stati membri.
Origine ed evoluzione dell’Unione Europea
Bel dopoguerra appariva difficile costruire un’unità politica di tipo federativo (“Stati Uniti
d’Europa”) e seguendo le idee di Monnet e Schuman si è fatto ricorso al metodo funzionalista >
trasferimento a istituzioni europee di funzioni specifiche in settori economici determinati, attraverso
la successiva creazione di apposite Comunità. Nel 1951 nasce la Comunità europea del carbone e
dell’acciaio (CECA) (FR, GER, ITA, Benelux). Nel 1957 con i Trattati di Roma nasce la Comunità
economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica(EURATOM) la prima aveva
lo scopo di instaurare un mercato comune non limitato ai soli settori del carbone e dell’acciaio,
superando le barriere doganali, libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali e
l’attuazione di politiche economiche comuni in alcuni settori. La seconda si proponeva di creare un
mercato e regole comuni per l’approvvigionamento e l’uso dell’energia nucleare. Le 3 comunità
avevamo ognuna un proprio organo esecutivo e uno intergovernativo. Nel 1965 Trattato di

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Bruxelles unificazione degli organi con la creazione di una sola Commissione e di un unico
Consiglio. La struttura della CEE diventa:
✓ Parlamento componenti eletti dal popolo secondo la rispettiva legge elettorale, che dal 1969 sostituisce
l’Assemblea parlamentare, è un organo rappresentativo di secondo grado, composto da delegati
designati dai Parlamenti nazionali.
✓ Consiglio composto da un ministri per stato membro, è titolare della potestà normativa e delibera
all’unanimità.
✓ Commissione composta da membri designati di comune accordo dai Governi degli stati, è l’organo
esecutivo chiamato a tutelare l’interesse comunitario e delibera a maggioranza assoluta.
✓ Corte di giustizia giudici nominati di comune accordo dai Governi degli stati, è incaricata di assicurare il
rispetto del diritto nell’applicazione del trattato.
1986 Atto unico eliminazione degli ostacoli alla realizzazione del mercato unico entro il 1992,
riconoscimento del ruolo del Consiglio europeo (comprende i capi di stato o governo e il presidente
della Commissione, è l’organo che stabilisce gli indirizzi politici della CEE). Trattato di
Maastricht 1992 le tre comunità vengono unificate nella Comunità europea e viene istituita l’UE essa è
un’organizzazione politica basata su 3 pilastri > le Comunità, la politica estera e di sicurezza comune
(PESC) e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (GAI). Il primo pilastro è
regolato col metodo comunitario (iniziativa della Commissione, delibere del Consiglio a maggioranza
qualificata, attribuzione del ruolo di co-legislatore al Parlamento, adozione di atti direttamente efficaci
negli ordinamenti statali). Gli altri 2 sono assoggettati al metodo intergovernativo (fondato sulla regola
dell’unanimità per le decisioni del Consiglio, ruolo consultivo del Parlamento, non sindacabilità degli
atti da parte della Corte).
Cittadinanza europea > ha natura derivata, viene attribuita ai cittadini degli stati membri, comprende il
diritto di circolare e soggiornare nel territorio dell’UE, di avere l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni
comunali e in quelle europee nello stato di residenza, di godere della protezione delle autorità
diplomatiche e consolari di ogni stato, di presentare petizioni, rivolgersi al Mediatore europeo
(nominato dal Parlamento). Rilevante è l’affermazione che l’UE si fonda sui principi di libertà e
democrazia comuni agli stati membri e rispetta i diritti garantiti dalla CEDU. Novità di tipo
organizzativo viene sancita la natura del Consiglio europeo di istituzione, sono estese a nuovi settori le
procedure di co-decisione tra Consiglio e Parlamento, vengono istituiti organi con funzioni consultive
(Comitato economico e sociale), viene prevista l’instaurazione di una moneta unica e sono stabiliti i
criteri relativi al debito pubblico. L’evoluzione verso l’UE si accompagna al progressivo ingresso di
nuovi stati che si impegnano a rispettare l’acquis comunitario.
Trattato di Amsterdam (1997) viene istituito l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza
comune, carica attribuita al segretario generale del Consiglio e viene previsto il sistema della
“cooperazione rafforzata”, che consente ad alcuni stati di compiere altri passi sulla via dell’integrazione,
ma nel rispetto di regole volte ad evitare che siano intaccatele competenze esclusive dell’UE o che ne
siano ostacolati gli obiettivi. Il progetto di unificazione monetaria previsto a Maastricht sfocia
nell’istituzione della Banca centrale europea (1998), 1999 euro > messo in circolazione nel 2002.
Dell’Eurozona fanno parte oggi 19/28 stati. La BCE decide la politica monetaria e di cambio in
maniera indipendente ed ha una struttura con 3 organi: Consiglio direttivo (governatori delle banche
centrale e membri del Comitato esecutivo, adotta gli indirizzi generali), il Comitato esecutivo (6 membri
nominati dai governi degli stati, dà attuazione alle decisioni del Consiglio), e il Presidente (nominato dai
governi tra i membri del Comitato esecutivo, svolge una funzione di direzione ed esecuzione delle
decisioni del Consiglio. Trattato di Nizza(2001) riduce i casi in cui il Consiglio deve deliberare

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all’unanimità e modifica la composizione del Parlamento e della Commissione nella prospettiva


dell’allargamento dell’UE.
Dalla “costituzione europea” al Trattato di Lisbona
L’evoluzione dell’UE da organizzazione economica a (anche) politica, pone il problema di una
costituzionalizzazione (ma mancano un popolo, uno stato e una dialettica pluralistica tra forze politico
sociali strutturate). L’idea della costituzione europea viene concepito come presupposto storico e
come costruzione di un quadro politico e istituzionale entro il quale possano svilupparsi gli elementi
costitutivi della statualità. Un primo passo è rappresentato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE il
metodo seguito per la sua elaborazione è innovativo > viene investita del compito una Convenzione
(composta da delegati dei Capi di Stato o Governo, dal Presidente della Commissione e da
rappresentanti del Parlamento e dei Parlamenti nazionali). vi fu il tentativo del Consiglio europeo di
dare vita ad un testo costituzionale europeo che sostituisca i due trattati esistenti e dia riconoscimento a
questa carta dei diritti > viene seguita la via della Convenzione mista. Nel 2004 il progetto viene
sottoposto alla ratifica degli stati ma non entra in vigore (esiti negativi in FR e Paesi Bassi).
Il progetto di “Trattato che adotta una costituzione per l’Europa” pone già nella sua formulazione il
dubbio se si tratti di un accordo di diritto intern. o di un testo costituzionale. Nella prima direzione va il
procedimento di revisione, che richiede la ratifica di tutti gli stati, e il riconoscimento del diritto ad essi
di recesso. D’altro lato, le prime due parti del trattato, la prima relativa a natura, obiettivi, principi e
istituzioni, la seconda che recepisce la Carta dei diritti, disegnano contenuti tipici di una costituzione.
Dopo il fallimento del progetto, nel 2007 il Consiglio europeo di Bruxelles incarica la Conferenza
intergovernativa di predisporre un trattato riformato senza riferimenti alla costituzione europea
= Trattato di Lisbona(entra in vigore nel 2009) > comprende il Trattato sull’UE (TUE) e il Trattato sul
funzionamento dell’UE (TFUE). Novità:
✓ Affermazione di importanti valori fondativi, che sono alla base dell’adesione di nuovi stati e la cui
violazione può determinare la sospensione di alcuni diritti.
✓ Venir meno della CE sostituita dall’UE.
✓ Attribuzione all’UE della personalità giuridica.
✓ Assegnazione alla Carta dei diritti fondamentali dello stesso valore giuridico dei trattati e previsione che
l’UE aderisca alla CEDU.
✓ Previsione del diritto di iniziativa popolare a livello europeo > consiste nell’invito rivolto alla
Commissione a presentare una proposta su materie per le quali i cittadini ritengono necessario un atto
giuridico dell’UE.
✓ Superamento dei 3 pilastri e del metodo funzionalista e individuazione delle competenze esclusive e
concorrenti dell’UE.
✓ Varie modifiche istituzionali attribuzione al Parlamento di un potere di co-decisione sulla formazione
legislativa e su quella di bilancio e del potere di eleggere a maggioranza assoluta il presidente della
Commissione, di approvare la Commissione nella sua collegialità e di votare una mozione di censura
collettiva nei suoi confronti; riconoscimento formale del Consiglio europeo come organo e permanenza
in carica per 2 anni e mezzo del suo presidente; elezione da parte del Consiglio europeo dell’Alto
rappresentante; riconoscimento ai Parlamenti nazionali di diritti di informazione e di poteri di
partecipazione alle procedure di revisione dei trattati, alla determinazione di politiche dell’UE e alla loro
valutazione.
Gli organi dell’Unione Europea: la forma di governo
- Parlamento europeo (750 deputati + Presidente eletti per 5 anni a suffragio universale dai popoli
degli stati con sistema elettorale proporzionale, la cui formula è stabilita da ogni stato, e con una
ripartizione dei seggi che tiene conto della popolazione dei paesi). La carica parlamentare è

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incompatibile con quella di parlamentare nazionale. Svolge funzioni consultive e decisionali, contitolare
assieme al Consiglio della funzione legislativa e di bilancio; dà il “parere conforme” sull’adesione di
nuovi membri e sulle sanzioni a carico degli stati in caso di violazioni. Elegge il Presidente della
Commissione ed esercita funzioni di controllo sulla Commissione (può approvare a maggioranza dei
2/3 una mozione di censura nei suoi confronti che determina le dimissioni collettive dei suoi membri).
Disciplina lo statuto dei partiti politici europei, costituisce commissioni temporanee di inchiesta sulle
denunce di infrazione o cattiva applicazione del diritto comunitario. Adotta atti su specifiche questioni
politiche.
- Consiglio europeo (Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri) Funzione di indirizzo politico,
definisce gli orientamenti politici generali. Si riunisce 2 volte a semestre convocato dal presidente (eletto
a maggioranza qualificata, mandato di 2 anni e mezzo e rinnovabile 1 volta). Nomina a maggioranza
qualificata l’Alto rappresentante (dirige la politica estera e di sicurezza, presiede il consiglio Affari esteri
e partecipa alle riunioni del Consiglio europeo).
- Commissione europea (organo esecutivo, in carica 5 anni) designati a rotazione, poteri di iniziativa
in materia normativa, di esecuzione delle politiche comunitarie e del bilancio, di vigilanza
sull’applicazione dei trattati e del diritto comunitario. Il presidente in accordo con il Consiglio individua
le personalità che propone quali membri della Commissione. La Commissione è nominata dal Consiglio
europeo a maggioranza qualificata dopo approvazione del Parlamento.
- Consiglio (o Consiglio dei Ministri) è composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro
secondo una formazione variabile (ministri competenti nella materia oggetto di delibera), principale
istanza decisionale e di governo dell’UE, contitolare della funzione legislativa e del bilancio, titolare di
funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. Consiste nel Consiglio Affari
generali (assicura la coerenza del lavoro delle varie formazioni del Consiglio e ne prepara le riunioni) e
Consiglio Affari esteri (elabora l’azione esterna dell’UE).
- Corte di giustizia dell’UE (Lussemburgo) comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e Tribunali
specializzati. Giudici nominati dai Governi, competenza di decidere su conflitti riguardanti
l’interpretazione e l’applicazione del diritto comunitario e assicura il rispetto dell’applicazione di esso, si
pronuncia in via pregiudiziale sui ricorsi dei giudici nazionali in materia di interpretazione del diritto
comunitario. Il Tribunale (1988) ha competenze limitate ad alcune categorie di ricorsi e le sue decisioni
sono impugnabili di fronte alla Corte per motivi di legittimità. I Tribunali specializzati sono competenti
a giudicare su categorie di ricorsi proposti in materie specifiche determinate dallo statuto della Corte.
La forma di governo risulta peculiare e difficilmente inquadrabile > da un lato si può dire che essa si sia
andata orientando verso un assetto di tipo parlamentare; dall’altro lato il Parlamento non può essere
qualificato come l’organo legislativo dell’UE.
Le competenze e gli atti giuridici dell’UE
Il quadro delle competenze è stabilito dagli art. 2-6 del TFUE. Alla UE sono attribuite competenze
esclusive, dove l’UE può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti nei seguenti settori:
o Unione doganale
o Definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno
o Politica monetaria
o Conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca
o Politica commerciale comune

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Competenza concorrente > sia l’UE che gli stati possono legiferare e adottare atti giuridicamente
vincolanti. Tuttavia gli stati esercitano la loro competenza nella misura in cui l’UE non ha esercitato la
propria. Settori:
o Mercato interno
o Politica sociale, per gli aspetti definiti nel trattato
o Coesione economica, sociale e territoriale
o Agricoltura e pesca
o Ambiente, energia e trasporti
o Protezione dei consumatori
o Reti transeuropee
o Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
o Problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per gli aspetti definiti nel trattato
Un protocollo aggiuntivo precisa che quando l’UE agisce in un settore, il suo intervento copre non
l’intero settore, ma solo gli elementi disciplinati nel proprio atto, per cui gli stati possono legiferare nella
parte non regolamentata. Per la politica estera e di sicurezza comune e per quelle economiche e
occupazionali è previsto un coordinamento tra le politiche degli stati e l’UE. Infine in settori di
competenza degli stati, l’UE può svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione
degli stati. In base all’art. 5 TUE, l’UE in quanto soggetto derivato di diritto inter., agisce solo nei limiti
delle competenze che le sono attribuite dagli stati. L’esercizio delle competenze si fonda su:
1. Principio di sussidiarietà nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’UE, questa interviene
solo se ricorrono alcune condizioni > insufficienza dell’intervento degli stati, la presunzione che il
migliore conseguimento degli obiettivi possa essere da lei garantito e la dimensione europea della
portata e degli effetti dell’azione. Clausola della flessibilità > quando un’azione dell’UE appare
necessaria per realizzare uno degli obiettivi stabiliti dai trattati, ma questi non prevedono i poteri
relativi, il Consiglio all’unanimità, su proposta della Commissione e previa approvazione del
Parlamento, adotta disposizioni appropriate.
2. Principio di proporzionalità impone la proporzionalità tra i mezzi e fini e che gli interventi dell’UE, nel
contenuto e nella forma, debbano limitarsi a quel che è necessario per conseguire gli obiettivi dei
trattati.
Atti giuridici dell’UE:
o Regolamenti atti generali ed astratti, obbligatori in tutti i propri elementi per i destinatari e direttamente
applicabili in ciascuno degli stati membri. Acquistano efficacia senza che vi sia bisogno di alcun atto di
ricezione o di adattamento da parte degli stati, i quali non possono adottare misure modificative.
o Direttive vincolano lo stato per quanto riguarda il risultato da raggiungere, facendo salva la competenza
degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi necessari. Lo stato deve dare attuazione alla
direttiva con propri atti normativi interni entro il termine in essa fissato e se non lo fa, commette una
violazione che può dare luogo al ricorso della Commissione alla Corte. Nella prassi si è sviluppato il
ricorso alle direttive dettagliate che contengono disposizioni puntuali di dettaglio e sono ritenute
direttamente applicabili dalla Corte.
o Decisioni sono obbligatorie in tutti i loro elementi, se designano i destinatari, sono obbligatorie solo nei
confronti di questi. Si distinguono le decisioni generali, che hanno natura legislativa, e quelle particolari
che, designando i destinatari ai quali sono rivolte, non hanno natura legislativa.
o Raccomandazioni e pareri non sono vincolanti e non assumono natura legislativa. Le prime hanno lo
scopo di sollecitare i destinatari ad un certo comportamento e sono adottate dal Consiglio. I pareri, di
competenza del Parlamento, indicano il suo punto di vista su questioni specifiche.
I rapporti tra il diritto dell’Unione e il diritto degli stati membri
La maggioranza degli stati ha riconosciuto il ruolo dell’UE e disciplinato procedure per l’adozione dei
trattati e per la loro revisione. In altri paesi l’UE non è nominata nella costituzione, solo in 2 stati

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l’adesione all’UE è avvenuta con legge. I rapporti tra i due diritti sono condizionati da due principi
affermati dalla Corte:
1. Diretta efficacia o effetto diretto degli atti comporta che le norme contenute in atti comunitari creino
obblighi e diritti a favore dei privati, ai quali corrispondono gli impegni dello stato di provvedere entro
il termine stabilito per la ricezione dell’atto nell’ordinamento interno. L’effetto diretto non riguarda gli
atti, ma le norme. È ovvio che le norme contenute nei regolamenti sono direttamente efficaci negli
ordinamenti statali. Diverso è il discorso per le norme contenute nelle disposizioni dei trattati, delle
direttive e decisioni, per le quali è stata la giurisprudenza della Corte a individuare specifiche
disposizioni dei trattati a efficacia diretta e le condizioni che rendono direttamente efficaci le direttive e
le decisioni.
2. Principio del primato del diritto dell’UE in caso di contrasto tra norme dell’UE e nazionali, le prime
prevalgono. Esso è stato sancito nella Dichiarazione 17 allegata ai trattati e viene oggi riconosciuto nelle
costituzioni degli stati. Il giudice nazionale deve disapplicare qualsiasi disposizione legislativa nazionale
che contrasti con la norma comunitaria, se la disposizione suddetta è suscettibile di interpretazioni, il
giudice deve scegliere quella che la rende conforme alla normativa comunitaria. Qualora egli avesse un
dubbio deve riferirsi alla Corte.
Questione del rapporto tra il diritto dell’UE e le costituzioni degli stati molte costituzioni prevedono il
trasferimento di poteri sovrani all’UE in deroga al quadro delle competenze attribuite agli organi
costituzionali interni. In alcuni di questi (FR, Spagna) l’adozione di trattati che contengano previsioni
contrarie alla costituzione deve essere preceduta da una revisione delle disposizioni costituzionali
interessate. In altre costituzioni (Ita) sono posti dei controlimiti al primato del diritto della UE, costituiti
dai principi e dai diritti fondamentali contenuti nelle costituzioni che non possono essere violati dalla
normativa comunitaria.
La natura giuridica dell’UE
Per alcuni aspetti è assimilabile ad una Confederazione, per altri ad uno Stato federale. Come una
Confederazione, l’UE nasce in base ad un trattato di diritto internazionale, gli Stati mantengono
il diritto di recesso, è richiesto il consenso unanime per la revisionedei Trattati. Sembra che la struttura
istituzionale dell’UE non sia tale da configurare l’esistenza di uno stato, in quanto risulta priva di un
livello di governo distino e sovraordinato rispetto a quello degli stati membri ed in grado di esprimere
un proprio indirizzo politico. Problema poi del deficit democratico. Come uno Stato federale, l’UE ha
come soggetti di diritto non solo gli Stati ma anche i cittadini, il primato del diritto comunitario su
quello interno nei settori di competenza dell’UE comporta una sottrazione di ampi spazi di sovranità
agli Stati, l’ordinamento comunitario è dotato di autonomi poteri normativi, amministrativi e
giurisdizionali aventi un’effettività nei confronti dei cittadini.Accanto alla componente intergovernativa
vi è quella comunitaria, rappresentata dal raccordo tra Commissione e Parlamento. L’UE appare ad oggi
difficilmente inquadrabile nelle categorie tradizionali, si tratta di un fenomeno di tipo dinamico anche se
già oggi può affermarsi che l’ordinamento dell’UE si configura come un ordinamento federativo dotato
di una struttura costituzionale propria.
L’Unione Europea di fronte alla crisi: problemi e prospettive
Crisi del 2008 > conseguenze economiche e anche sul funzionamento dell’UE. L’irrigidimento dei
parametri di Maastricht, che si era già verificato nel 1997 con l’adozione del Patto di stabilità e crescita,
costituito da una risoluzione e da 3 regolamenti, è stato accentuato con l’approvazione nel 2001
del Six Pack, che comprendeva 5 regolamenti e una direttiva, infine è sfociato nel 2013 nel trattato sulla
stabilità, coordinamento e governance nell’UE (Fiscal Compact) sottoscritto da tutti tranne GB e
Repubblica Ceca. Sintetizzandolo:

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o Impegno a medio termine di un disavanzo strutturale dello 0,5% del Pil, che può salire all’1% per gli stati
il cui debito pubblico è inferiore al 60% del Pil.
o Obbligo per gli stati il cui debito pubblico supera il 60& del Pil di rientrare entro tale soglia.
o Impegno di recepire il pareggio di bilancio nel proprio ordinamento giuridico.
o Obbligo di mantenere il deficit pubblico sotto il 3% del Pil.
o Obbligo di presentare un documento programmatico di bilancio per l’anno successivo alla
Commissione.
Gli obblighi imposti hanno determinato una politica di austerità che ha colpito i paesi più indebitati.
L’obbligo del pareggio di bilancio impedisce alle istituzioni democratiche di usare la leva finanziaria, e di
fare ricorso a un disavanzo controllato per adottare misure anticicliche e redistributive. La politica
dell’UE di fronte alla crisi ha portato alla luce i limiti e i problemi di essa viene in considerazione la
discrasia che si è determinata tra l’attribuzione all’UE della politica monetaria e il mantenimento in capo
agli stati della politica fiscale e di bilancio ciò ha prodotto l’inesistenza di una politica fiscale comune e
le difficoltà di concepire un debito condiviso. Poi vi è la questione del deficit democratico >
progressivo predominio assunto dalle componenti intergovernative dell’UE dai governi degli stati più
forti. Il problema di fondo è la mancanza di un demos, un popolo europeo caratterizzato da una
comune identità e dalla debolezza a livello europeo di soggetti politico-sociali dotati di una visione
d’insieme.

CAPITOLO VII - Giustizia costituzionale

Questioni definitorie
Le parole giustizia costituzionale si riferiscono al riscontro da parte di un organo giurisdizionale,
che opera dunque in una posizione di terzietà, tra costituzione e norme ad essa subordinate: cioè, ad
ogni verifica tra norme costituzionali, o considerate tali, e altre norme. Si è soliti distinguere tra:
giustizia costituzionale giurisdizionale, svolta da organi neutrali o terzi, né coinvolti nel processo formativo
della legge, né portatori di interessi politici;
giustizia costituzionale politica e cioè ogni forma di controllo esercitato in assenza di tali requisiti
precedentemente menzionati.

Antichi precedenti:dal diritti attico al Bonham's case


L'impostazione della giustizia costituzionale vanta una longeva tradizione la quale, soggetta nel
tempo a una lenta evoluzione, ha progressivamente portato a stabilire specifiche azioni giudiziarie tese a
presidiare quelle norme che denomineremo “costituzionali”. Aristotele teorizzava la superiorità della
politéia (l'ordinamento complessivo, la costituzione) rispetto ai nòmoi (le leggi) e la necessità di ricorrere a
uno specifico precedimento, il grafè paranòmon, in virtù del quale assicurare che nel diritto attico i decreti
dell'Assemblea cittadina fossero conformi ai nòmoi. Nel diritto romano, Cicerone affermava la
superiorità dello jus civile, rispetto ad altre forme di produzione giuridica, con riferimento alla teoria
della legge superiore. Il precedente più immediato al quale possiamo ricondurre la genesi del moderno
controllo di costituzionalità delle leggi si fa risalire al caso Bonham, discusso davanti al tribunale dei
Common Pleas, nel 1610. In tale occasione il magistrato sir Edward Coke sostenne la sottoposizione
del Monarca alla lex terrae ed espose la propria definizione di legge fondamentale, identificandola con i
principi di common law. Proprio tale diritto comune, la common law, monopolio del potere giudiziario,
rappresentava, secondo Coke, e la legge fondamentale e l'incarnazione della ragione. Secondo quanto
espresso da Coke, in Inghilterra, il conflitto tra potere giudiziario e potere legislativo avrebbe dovuto
risolversi in favore del primo, cosicché la volontà delle Assemblee rappresentative potesse esser
sottoposta alle decisioni dei giudici. Tuttavia, tale principio fu abbandonato e, al suo posto, attecchì
l'idea dell'onnipotenza del Parlamento1: il judicial review nacque, perciò, in Inghilterra, ma non vi
attecchì. Anche la Francia manifestò una certa renitenza a introdurre il controllo di costituzionalità delle

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leggi: da un lato le teorie di Montesquieu e Rousseau, sostenendo il ruolo eminentemente dichiarativo


dei giudici, precludevano ogni tentativo di affidare loro il controllo delle leggi, dall'altra, le dottrine figlie
del secolo dei Lumi sostenevano la logica secondo la quale la divisione dei poteri e la tutela della libertà
venivano proprio garantite dalla costituzione. Un controllo, dunque, doveva essere effettuato, tuttavia,
non dai giudici, ma piuttosto dallo stesso potere legislativo o da organi competenti ad agire all'interno
del procedimento legislativo.

Il controllo giurisdizionale: la genesi del judicial review of legislation negli Stati Uniti
d'America
Mentre in Inghilterra e in Francia il judicial review faceva fatica a metter radici, negli Stati Uniti,
sin dalla seconda metà del '700, James Otis e John Adams, sostenevano che “una legge contraria alla
costituzione è nulla”. Negli Stati Uniti l'affermazione del sindacato di legittimità, operato dai giudici,
cominciò progressivamente ad affermarsi, poiché vi erano i presupposti necessari: l'idea di legge
superiore, il concetto di costituzione rigida, idonea a essere assunta dai giudici quale parametro di
legittimità delle leggi ordinarie, il fatto che le costituzioni delle 13 colonie fossero, appunto, rigide e che
talune di esse disciplinassero istituti simili alle moderne Corti costituzionali: parlare di judicial review of
legislation, all'interno dell'Assemblea costituente di Filadelfia, fu la logica conseguenza di quanto appena
detto. L'istituto del sindacato di legittimità costituzionale delle leggi non è espressamente ed
esplicitamente previsto nel testo costituzionale degli Stati Uniti, tuttavia, quest'ultimo lo riconosce
implicitamente:
• stabilendo una gerarchia delle fonti normative, al vertice del quale è posta la costituzione, come
suprema legge del paese;
• attribuendo la funzione giudiziaria federale alle Corte Suprema e alle altre Corti.
Il controllo di legittimità costituzionale si è potuto affermare in giurisprudenza nel noto caso Marbury
vs Madison, deciso nel 1803, dalla Corte Suprema presieduta dal Chief Justice John Marshall. Secondo
quest'ultimo, essendo compito di ogni giudice procedere all'interpretazione della legge, al fine di
decidere le controversie a lui sottoposte, ed essendo la Costituzione una legge, allora la Corte Suprema
dovrebbe interpretarla al fine di risolvere ogni eventuale antinomia o conflitto tra le norme. Inoltre,
poiché la costituzione pone essa stessa all'apice della scala gerarchica delle norme, allora la Corte
Suprema ha altresì il compito di verificare se una legge sia conforme o meno alla Costituzione, prima di
applicarla: in caso contrario, la Corte non può far altro che dichiararla nulla e inefficace. Il giudice
Marshall riuscì ad affermare il judicial review anche nei confronti della legge degli stati membri, tuttavia
l'istituto raccolse i suoi maggiori frutti solo dopo la guerra civile e l'approvazione dei civil war
amemdments. Con tali emendamenti fece il suo ingresso, nel diritto costituzionale nordamericano, la
teoria della incorporation, tale per cui anche i legislatori locali avrebbero dovuto rispettare i prinicipi
costituzionali, posti dal Bill of Rights, in materia di diritti individuali. In particolare, il XIV
emendamento:
• proibiva che gli Stati ponessero in essere leggi che negassero i privilegi o le immunità godute dai
cittadini degli Stati Uniti,
• vietava ai medesimi di privare alcuna persona della vita, delle libertà o delle sue proprietà, senza due
process of law;
• vietava di rifiutare la equal protection of the laws.
Tale emendamento, attraverso il judicial review esercitato da tutte le corti, si configurava come uno
strumento atto ad imporre agli Stati il rispetto della costituzione federale, in materia di diritti e di
uguaglianza. A questo punto, va sottolineato il carattere diffuso del judicial review praticato negli Stati
Uniti e secondo il quale ciascun giudice è abilitato a sindacare la conformità delle leggi alla costituzione,
nell'esercizio della sua ordinaria attività giudicante: la Corte Suprema, cioè, non detiene il monopolio del
controllo di legittimità costituzionale, ma la esercita come organo di vertice del sistema giudiziario degli
Stati Uniti. La costituzione attribuisce in maniera tassativa la giurisdizionale ordinaria alla Corte
Suprema; essa, cioè, giudica in primo e ultimo grado una serie circoscritta di casi, relativi ad
ambasciatori, consoli e altri rappresentanti democratici, mentre nelle altre fattispecie, la Corte Suprema
si pronuncia come giudice di ultima istanza, o tramite writ of certiori o mediante certification of questions, su

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ricorsi che provengono dalle Corti distrettuali e dalle Corti federali2. Di rado le Corti Federali inferiori,
in caso di incertezza giurisprudenziale, chiedono alla Corte Suprema di pronunciarsi tramite
certification. Sin dagli albori della propria attività, invece, la Corte Suprema ha rifiutato di svolgere
attività di mera consulenza in materia costituzionale, fin quando poi le advisory opinions furono
ufficialmente bandite nel 1911, con la sentenza Muskrat vs United States. Consapevole della propria
natura di organo giurisdizionale, la Corte Suprema si è anche data delle autolimitazioni:
• ricorrendo al self restraint, essa ha circoscritto la portata delle sue sentenze ai casi di specie;
• i giudici costituzionali americani hanno sempre rifiutato l'esame delle political questions, problematiche
non giustiziabili, poiché collegate alle competenze di indirizzo politico spettanti al potere
legislativo o all'esecutivo.
L'efficacia delle sentenze emesse dalla Corte è, inoltre, in linea di massima, limitata alle parti in causa:
tuttavia, il sistema del precedente prevede che le Corti debbano ritenersi vincolate alle pronunzie dei
giudici superiori.

Un modello euristico: la Verfassungsgerichtsbarkeit kelseniana e la costituzione


austriaca del 1920
Se prima abbiamo analizzato il prototipo di giustizia costituzionale proposto negli Stati Uniti,
adesso procediamo ad analizzare un secondo prototipo la cui teorizzazione è da ricondursi ad Hans
Kelsen e che trovò concreta applicazione nella costituzione austriaca del 1920. Innanzitutto precisiamo
che anche il pensiero del giurista austriaco prendeva le mosse dal concetto di una costituzione superiore
a tutte le altre norme e dall'idea di un principio supremo che determina l'intero ordinamento statale.
Kelsen formulava la sua teoria cercando di rispondere a una serie di interrogativi:
• Chi deve essere il custode della Costituzione?
• La verifica di conformità delle leggi alla costituzione deve essere operata da un organo avente la
forma di tribunale, la cui indipendenza sia garantita dalla inamovibilità dei giudici;
• In quale forma va svolto il controllo?
• Viene esclusa la forma della garanzia preventiva; dunque tale controllo non potrebbe essere che
repressivo.
• A chi compete attivarlo?
• Il controllo di costituzionalità potrebbe essere attivato mediante un'azione popolare che, tuttavia, lo
studioso sconsiglia, poiché facilmente fonte di abusi, oppure potrebbe essere preferibilmente
attribuito a tutte le pubbliche autorità, chiamate ad applicare una legge che presumono essere
incostituzionale, un potere di sospendere il procedimento in corso (durante il quale è emersa la
vigenza di una norma che sembra essere incostituzionale e che, contemporaneamente, è
funzionale alla conclusione del procedimento in corso) e di investire della questione il Tribunale
Costituzionale. Nulla vieta, però, che il potere in questione possa essere esercitato solo da talune
autorità superiori (Ministri e Corti Supreme) o dai tribunali. Kelsen non esclude nemmeno la
possibilità di riconoscere la titolarità di un diritto di ricorso anche a una minoranza qualificata
del Parlamento, come pure un intervento d'ufficio del Tribunale costituzionale stesso.
• In relazione a quali atti dovrebbe essere esercitato il controllo di legittimità costituzionale?
• Ogetto del giudizio divrebbero essere, oltre alle leggi, i regolamenti forniti di forza di legge (decreti
legge e ordinanze di necessità), ma anche i semplici regolamenti di esecuzione, gli atti normativi
generali e i trattati internazionali.
Qualora il Tribunale costituzionale riscontri un vizio di forma, relativo al procedimento di formazione
dell'atto, o un vizio di sostanza, dettato dal contrasto tra il suo contenuto e quello della costituzione,
allora tale Tribunale deve procedere mediante annullamento della legge in questione o delle sue singole
disposizioni, con efficacia pro-futuro. Le tesi di Kelsen trovarono concreta applicazione nella
costituzione austriaca, datata 1 ottobre 1920. Nell'ordinamento federale austriaco le competenze erano,
e sono tutt'oggi, ripartite tra Bund e Lander: al fine di garantire il rispetto della costituzione federale e
delle competenze di Bund e Lander, venne istituito un Tribunale costituzionale federale
(Verfassungsgerichtshof), i cui membri erano eletti per metà dalla Camera rappresentativa e per l'altra
metà dal Consiglio federale. Suo compito era:

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giudicare sulla costituzionalità delle leggi e dei regolamenti;
• conoscere i ricorsi individuali per violazione di diritti costituzionalmente garantiti e lesi da atti assunti
in diretta violazione della costituzione.
Legittimati al ricorso erano:
• il Governo federale;
• ciascun governo dei Lander.
Lo stesso Tribunale poteva, tuttavia, sollevare d'ufficio un incidente di costituzionalità, ogni qualvolta si
imbattesse in leggi che costituivano il presupposto della sua pronuncia. Una volta esser stato riscontrato
tale vizio si procedeva con l'annullamento, avente effetto pro-futuro, tranne che per i regolamenti, della
norma in questione. Il modello kelseniano ha riscosso successo anche in altri paesi.

Evoluzione del controllo di costituzionalità in Francia


Come abbiamo evidenziato precedentemente, il controllo di legittimità costituzionale faceva
fatica ad attecchire in territorio francese; il cambio di rotta c'è stato con l'entrata in vigore della
costituzione della IV Repubblica. Nel 1946, il controllo si costituzionalità venne affidato al Comité
constitutionnel, tuttavia, era circoscritto in merito all'oggetto3 e alle modalità di accesso4, ma, soprattutto,
era esercitato preventivamente e, per di più, da un organo le cui garanzie di indipendenza e terzietà
erano piuttosto labili. La Costituzione del 1946, infatti, stabiliva una composizione essenzialmente
politica del Comité constitutionnel, per cui al suo vertice c'era il Presidente della Repubblica ed era
composto da:
• sette membri eletti dall'Assemblea nazionale all'inizio di ogni sessione annuale;
• tre membri eletti dal Consiglio della Repubblica (la Camera Alta).
Il Comité era chiamato ad esercitare le sue funzioni, su richiesta congiunta del Presidente della
Repubblica e del Presidente del Consiglio della Repubblica, e previa delibera a maggioranza assoluta del
Consiglio della Repubblica, decretando se le leggi votate dall'Assemblea nazionale necessitassero di una
revisione costituzionale5. Dall'esperienza maturata durante la IV Repubblica, la Costituzione della V
Repubblica ha recepito l'idea guida: il controllo è da svolgersi durante il procedimento di approvazione
della legge, prima della sua promulgazione. D'altro canto le differenze maturate con il sistema
promosso dalla costituzione furono notevoli. L'organo chiamato a giudicare della costituzionalità delle
leggi, oggi definito Conseil constitutionnel, è composto da nove membri, il cui mandato, non
rinnovabile, dura nove anni (il più lungo degli incarichi di qualsiasi altro organo costituzionale): ciò ha
come obiettivo garantire quella indipendenza, quanto meno parziale, che il precedente Comitè non era
in grado di garantire. Tuttavia, anche la composizione del Conseil continua ad essere politica6:
• tre componenti sono nominati dal Presidente della Repubblica;
• tre dall'Assemblea nazionale;
• tre dal Presidente del Senato;
• a questi nove membri si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica;
• Il Presidente è nominato dal Presidente della Repubblica.

Il Conseil constitutionnel svolge le seguenti funzioni:


• vigila sulla correttezza dell'esecuzione delle elezioni del Presidente della Repubblica, dei deputati e dei
senatori, delle operazioni di referendum;
• fornisce il proprio parere sull'assunzione dei poteri eccezionali da parte del Presidente della
Repubblica;
• svolge il controllo preventivo obbligatorio sulle leggi organiche e sui regolamenti parlamentari;
• svolge il controllo , sempre preventivo, ma facoltativo, su leggi e trattati.
Inizialmente la decisione di costituzionalità poteva esser promossa solo dal Presidente della Repubblica,
dal Primo Ministro, dai Presidenti dei due rami del Parlamento: ciò era all'origine di una chiara
strozzatura nell'accesso. Non a caso, fino al 1974, il controllo esercitato dal Conseil constitutionnel sulle
leggi fu esercitato solo di rado7. Un radicale cambio di rotta si verificò negli anni '70: innanzitutto il
Conseil incorporò nel bloc de constitutionnalité, e cioè nei parametri alla luce dei quali formulare il giudizio,

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il
preambolo della costituzione: ne conseguì che le leggi in via di formulazione (ricordiamoci che il controllo
continuava a essere preventivo) avrebbero dovuto essere conformi non solo alle disposizioni della
costituzione del 1958, ma anche alle disposizioni del preambolo del medesimo testo. Inoltre, facendo il
preambolo riferimento esplicito alle disposizioni del preambolo della costituzione del 1946 e alla
Dichiarazione del 1978, allora, tra i parametri erano venivano ad essere compresi anche questi ultimi: il
Conseil si trasformò, così, in giudice pieno della costituzionalità delle leggi. Con legge costituzionale del
29 ottobre 1974, il potere di adire il Conseil fu riconosciuto anche a circa 60 deputati o a 60 senatori8.
Infine, un altro tratto caratteristico dell'originaria forma assunta dal controllo di costituzionalità
francese fu modificato: il dogma dell'inviolabilità della legge9 fu spazzato via da una riforma dell'art. 74
cost. che abilitava le Collettività d'Oltremare10 a modificare leggi, in contrasto con il loro statuto, se il
Conseil ne avesse verificato la violazione delle competenze. Nel 2008 una revisione costituzionale ha
affidato anche alla Corte di Cassazione e al Consiglio di Stato il potere di proporre questione di
incostituzionalità rispetto a leggi già efficaci, assunte in violazione di diritti e libertà costituzionali.
Attenzione, siamo di fronte alla modifica di uno degli aspetti più peculiari del controllo di
costituzionalità: il potere di proporre questione di incostituzionalità viene, infatti, riconosciuto rispetto a
leggi già entrate in vigore il cui procedimento di formazione è terminato11. Alla luce della portata delle
modifiche apportate all'istituto del controllo di costituzionalità francese, possiamo affermare che, oggi,
anche la Francia si inscrive nel novero degli ordinamenti misti.

L'ibridazione dei modelli più antichi: il controllo incidentale di costituzionalità


Secondo la distinzione fin'ora tratteggiata, il sistema statunitense del judicial review viene
contrapposto alla Verfassungsgerichtsbarkeit austriaca. A partire dal secondo dopoguerra, tuttavia, i
giuristi sono soliti ampliare tale sistema dicotomico mediante l'introduzione di un terzo modello che
mescola alcuni tratti tipicamente statunitensi (un certo grado di diffusione della giustizia costituzionale,
tale per cui non soltanto la Supreme Court è competente a sindacare la conformità delle leggi alla
costituzione, ma bensì ciascun giudice) ad altri presi in prestito dalla costruzione kelseniana
(accentramento delle decisioni in un organo giurisdizionale ed efficacia erga omnes delle sentenze). La
via intermedia consiste in ciò:
• l'organo titolare ad esercitare la giustizia costituzionale è unico e specializzato (come in Austria);
• ciascun giudice è interessato all'esercizio del controllo di costituzionalità (come negli USA): egli è
tenuto a operare un preliminare giudizio circa la conformità alla costituzione della legge da
applicare in un caso concreto (la legge la cui applicazione è necessaria per la risoluzione del caso
che il giudice è stato chiamato a risolvere) e solo qualora abbia il dubbio, o la ragionevole
certezza, che vi sia un contrasto, allora investe la Corte costituzionale della questione.

Ad essere misto non è, tuttavia, solo il modello, ma anche i sistemi all'interno dei quali questo modello
trova collocazione. L'introduzione del controllo accidentale in Italia, nella Repubblica federale tedesca e in
Spagna non ha comportato il ripudio del sistema basato sul ricorso diretto: piuttosto, l'esigenza di
ricomporre le fratture tra centro e periferia ha suggerito di affiancare all'accesso incidentale quello
diretto, su ricorso delle autorità governative, delle Regioni, dei Lander o delle Communidades
Autònomas.
Italia: l'art. 134 cost. Prevede che la Corte costituzionale “giudica sulle controversie relative alla
legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni”. Il
sistema italiano può, dunque, essere considerato misto poiché contempla tanto l'ipotesi di accesso
diretto, quanto l'ipotesi di accesso incidentale. Quest'ultimo, che resta quello prevalente, prevede che
qualsiasi giudice, ordinario o amministrativo, qualora abbia il dubbio che una legge, che è chiamato ad
applicare al fine di risolvere una controversia, sia incostituzionale, può e deve sospendere il processo e
investire della questione la Corte costituzionale. Qualora l'incidente sia sollevato dalle parti, e non
d'ufficio, allora è il giudice, e non la Corte costituzionale, a decidere sulla questione di costituzionalità, al
fine di evitare che le parti facciano ricorso in maniera inappropriata all'istituto dell'incidente di
costituzionalità quale espediente per dilazionare i tempi del processo. Nel giudizio in via incidentale,

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invece, l'efficacia delle decisioni della Corte varia a seconda del tipo di sentenza: le sentenze di
incostituzionalità operano erga omnes, mentre quelle di rigetto operano inter partes. Germania: il
controllo di costituzionalità sulle leggi è di due tipi. Il controllo concreto, che ha per oggetto una
norma individuata da un giudice nel corso di un giudizio nel quale sono in discussione gli interessi di
più soggetti, verte sull'interpretazione della Legge fondamentale in seguito a controversie sulla portata
dei diritti e doveri di un organo supremo federale o di altri interessati. Ogni qualvolta un tribunale
reputi che una legge , dalla cui validità dipende l'esito della decisione da formularsi nel processo in
questione, sia incostituzionale, sospende il processo stesso e la questione di costituzionalità viene
deferita al Tribunale costituzionale del Land o al tribunale federale. Il controllo astratto non ha origine
da un procedimento giudiziario (non ha origine dalla ipotetica incostituzionalità di una legge rilevata
durante un processo ai cui fini è necessaria l'applicazione della legge della cui costituzionalità si
sospetta) e mira a un mero raffronto tra disposizioni di grado diverso, onde venga valutata
oggettivamente la conformità di quelle inferiori alla superiore. Spagna: al Tribunale costituzionale,
interprete supremo della costituzione, le cui interpretazioni sono vincolanti nei confronti di qualsiasi
potere, compreso quello del Tribunale supremo, spetta giudicare sull'incostituzionalità di leggi e
disposizioni aventi forza dei legge, sottopostegli con tre modalità diverse:
1. mediante accesso incidentale che si realizza quando un organo giudiziario ritiene, nel corso di un
processo, che una norma con forza di legge applicabile al caso, possa essere contraria alla
costituzione;
2. mediante accesso diretto, presentato dal Presidente del Governo, dal Defensor del Pueblo, da 50
deputati o senatori, dagli organi collegiali ed esecutivi delle Comunità autonome (la prassi ha
fatto sì che tale ricorso venisse privilegiato);
3. mediante recurso de amparo che prevede che ciascuna persona fisica o giuridica, nonché il
Defensor del Pueblo e il Pubblico Ministero, possano adire il Tribunale costituzionale e
denunciare la violazione di gran parte dei diritti o libertà fondamentali disciplinati dalla
costituzione.
È da sottolineare come in Spagna, al pari dell'Italia e degli Stati U+iti il controllo sia successivo alla
pubblicazione della legge. Tuttavia, l'esperienza spagnola suscita l'interesse dei comparatisti, poiché il
controllo a priori (Francia) o il ricorso incidentale (Italia e USA) hanno comunque attecchito poco o
nulla: ad essersi compiutamente affermato è il ricorso d'amparo. Infine, va ribadito che anche la Francia
si inscrive oggi nel novero dei sistemi ibridi: accanto al controllo preventivo, infatti, opera anche quello
successivo e incidentale, anche se sono solo le magistrature di vertice ad esser titolari del potere di
proporre la question.

Un quartum genus?
Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato un terzium genus di giustizia costituzionale nato
dalla commistione tra alcuni elementi tipici del modello americano e di quello austriaco. Ci accingiamo
ora ad analizzare un quartum genus di giustizia costituzionale in cui l'ibridazione tra modello
statunitense e modello austriaco si dipana in modo diverso: accanto al controllo diffuso da parte delle
Corti, vengono assegnate competenze speciali ad appositi organi centralizzati, chiamati a esercitare il
sindacato di costituzionalità. Tale soluzione trova applicazione all'interno dei sistemi di civil law, in cui:
• le pronunce dei giudici ordinari non sono valide erga omnes;
• il precedente giudiziario non vincola le Corti inferiori.

Fuori dall'area della common law, un controllo parzialmente diffuso si ha in Portogallo. La


costituzione portoghese, da un lato, vieta ai giudici di applicare norme che violino disposizioni della
costituzione o principi in essa contenuti, dall'altro, istituisce un Tribunal Constitucional competente a
conoscere l'incostituzionalità delle leggi e di altri atti , in via preventiva o successiva. La costituzione
russa impone ai giudici di applicare direttamente la costituzione, qualora sorga un contrasto con la
legge; tuttavia, la legge sulla Corte costituzionale riconosce loro il diritto, ma anche l'obbligo, di
investire della questione la Corte stessa. In Estonia “le corti dichiarano incostituzionale ogni legge,
altro atto giuridico o procedura che violino i diritti e le libertà dei cittadini stabiliti dalla costituzione o

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che siano in conflitto con la costituzione”. La costituzione precisa, altresì, che nel corso dei processi le
Corti disapplicano la legge o gli altri atti incostituzionali, mentre è compito della Corte nazionale
dichiararne la nullità. In Sudafrica la common law si mescola alla boera roman dutch law. Mentre le
costituzioni del 1964 e del 1983 stabilivano che i giudici fossero competenti ad esercitare il judicial
review, il Constitution of the Republic of South Africa Act ha conferito a una corte suprema la
competenza esclusiva su tutte le materie relative all'interpretazione, alla tutela e all'attuazione della
costituzione. Venendo a ordinamenti privi di un Tribunale costituzionale specializzato, l'ordinamento
greco prevede che “i Tribunali sono tenuti a non applicare la legge il cui contenuto sia contrario alla
costituzione”. In alcuni ordinamenti dell'America Latina, accanto al controllo diffuso, è stato previsto
un controllo concentrato nelle amni di un organo istituito ad hoc, mentre in altri il controllo di
costituzionalità è affidato a salas specializzate della Corte Suprema. Conclusioni: mentre solo nella
costituzione brasiliana e in quella portoghese è possibile rintracciare la sicura influenza del sistema
statunitense, per ciò che riguarda la completa introduzione del controllo diffuso, negli ordinamenti
latino americani è stato recepito lo spirito del modello statunitense, ma non le caratteristiche
intrinseche. Le costituzioni del Nord Europa o della Grecia, invece, hanno poco a che vedere con la
giurisprudenza statunitense. Il costituzionalismo più recente fa affiorare l'esigenza di uniformizzazione
e specializzazione del controllo di costituzionalità.

Esportazione e circolazione dei modelli


Fin ora abbiamo analizzato alcune caratteristiche dei vari modelli, puri o ibridi, di giustizia
costituzionale; abbiamo appurato come questi si differenzino l'uno dall'altro o in merito alla fase in cui
si colloca il giudizio di costituzionalità (prima della promulgazione oppure successivamente alla sua
entrata in vigore) o a seconda che il sindacato di costituzionalità sia diffuso o accentrato. Nell'analizzare
questi elementi caratteristici, abbiamo fatto riferimento agli Stati Uniti e all'Austria come casi
paradigmatici di modelli puri. Tuttavia, abbiamo anche evidenziato l'esistenza di diverse soluzioni
ibride, le quali si registrano:
• sia dove i giudici possono/debbono sollevare incidente di costituzionalità;
• sia dove convivono svariate modalità di accesso;
• sia dove il sindacato diffuso è temperato dall'introduzione di una corte costituzionale centrale a
competenza specializzata.
Molti ordinamenti hanno attinto all'uno o all'altro modello per configurare i propri istituti di giustizia
costituzionale.

Diffusione del controllo preventivo


Come abbiamo precedentemente detto, i vari modelli di giustizia costituzionale possono
distinguersi, l'uno dall'altro, anche in merito alla fase in cui si colloca il controllo di legittimità
costituzionale. Il controllo a priori non ha incontrato molta fortuna, se non in Francia e in quei paesi
che hanno subito una qualche influenza, ad esempio coloniale, dalla Francia stessa esercitata (Congo,
Chad, Mali, Togo). Piuttosto, è possibile trovare modelli misti in cui un controllo a priori convive con
forme di sindacato successivo: un esempio ne è il Portogallo, dove la costituzione conferisce al
Presidente della Repubblica il potere di richiedere un parere di costituzionalità su trattati, accordi
internazionali e progetti di legge deliberativi. Anche in Romania, dove il controllo previo si affianca a
quello preventivo, la costituzione stabilisce che la Corte costituzionale “si pronuncia sulla
costituzionalità delle leggi prima della loro promulgazione”. A questo punto spontaneo domandarsi
perchè preferire un controllo successivo a un controllo a priori, dato che quest'ultimo permette di
modificare un atto prima che lo stesso, poiché incostituzionale, entri in vigore e circoli
nell'ordinamento. Il controllo successivo risulta essere più vantaggioso poiché:
• consente ai giudici di salvare la vigenza di disposizioni che altrimenti, in via preventiva, potrebbero
essere colpite da una pronuncia di incostituzionalità: un controllo a priori, infatti, giudicherebbe
la costituzionalità di un atto solo alla luce di un unico significato che a questo potrebbe essere
attribuito12;
• evita che questioni astratte , che non toccano interessi giustiziabili, vengano portati davanti alla Corte

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costituzionale e, allo stesso tempo, evita che altre interpretazioni, incostituzionali, sfuggano al
controllo della Corte.

Il punto della questione


Un controllo a priori si fonda su un'unica e primaria interpretazione che alla norma in questione viene attribuita: in
realtà, come sappiamo, un atto potrebbe essere passibile, nel tempo, di ulteriori interpretazioni13, dunque potrebbero
verificarsi due circostanze:
• che l'atto, in virtù di quell'unica e primaria interpretazione, venga considerato a priori incostituzionale, quando poi
nella realtà dei fatti, tale interpretazione sarebbe sostituita da interpretazioni altre, costituzionalmente legittime;
• viceversa.

Circolazione del controllo diffuso


Passiamo ora ad analizzare la circolazione dei modelli di sindacato giurisdizionale, muovendo
da quello più antico: quello diffuso, di matrice statunitense. Tra gli ordinamenti di common law più
significati che adottano tale modello annoveriamo il Canada e l'Australia. Canada: la Corte suprema
non detiene il monopolio del controllo di costituzionalità, il quale compete a ciascun giudice. I giudici
sono nominati dal Governatore generale, restano in caria fino al settantacinquesimo anno di età e
possono essere rimossi solo dal Governatore, su istanza del Senato o della Camera dei Comuni.
Austalia: il grado di accentramento del controllo di costituzionalità appare maggiormente accentuato,
anche in virtù dei poteri conferiti all'Alta Corte d'Australia, la quale può essere adita in quanto ultimo
grado della giurisdizionale ordinaria o in quanto primo grado competente rispetto a certe questioni
(controversie tra stati o loro residenti, controversie che coinvolgano rappresentanti esteri o trattati). Il
procuratore generale dello Stato o il procuratore generale della Federazione sono competenti a
esercitare la propria azione, rispettivamente, in merito a leggi federali che invadono competenze
legislative statali e leggi statali che travalicano i confini delle materie riservate esclusivamente alla
Federazione stessa. La codificazione in testi costituzionali/legislativi di tali istituti/procedure tipiche del
judicial review statunitense sono individuabili anche in qualche paese dell'Africa o dell'Asia, soggetti al
dominio coloniale inglese (Kenya, Uganda, Nigeria). Negli ordinamenti appena menzionati, ciascun
giudice disapplica la legge incostituzionale ed è la corte collocata al vertice dell'apparato giudiziario che
esprime l'ultima parola in termini di judicial review. Il dogma dell'inesportabilità del modello americano
nei sistemi di civil law opera soprattutto in virtù della renitenza di alcuni giuristi nel considerare il
progressivo avvicinamento delle famiglie di common law e quelle di civil law e nel prender atto della
notevole flessibilità della giustizia costituzionale.

La circolazione dei modelli di controllo accentrato: pluralità di istituzioni


Nonostante l'esistenza di diversi modelli di giustizia costituzionale, i quali si distinguono anche
in merito al carattere accentrato o diffuso del controllo, non possiamo negare che il controllo di
costituzionalità resta nella mani di un organo centrale, mentre l'elemento di diffusione è presente nella
fase introduttiva al processo, non in quella decisoria14. Nei sistemi giuridici a base codicistica, nel corso
degli ultimi anni, sono diventati più numerosi gli ordinamenti che, piuttosto che affidare a ciascun
giudice il sindacato di costituzionalità, o suddividere le competenze tre giudici ordinari e tribunale
costituzionale specializzato, preferiscono istituire un tribunale costituzionale ad hoc, chiamato a
esercitare in via esclusiva, compiti di controllo sulle leggi e sugli altri atti. È nel continente europeo che
il modello di controllo accentrato, specializzato, successivo ed esclusivo ha riscosso più successo:
l'organo è istituito ad hoc, nel senso che è specificatamente creato al fine di esercitare la sua
competenza di controllo di costituzionalità rispetto a leggi o altri atti normativi (oltre che per svolgere
altre funzioni tipiche delle Corti costituzionali). Se esistono modelli accentrati, non esistono, tuttavia,
modelli accentrati unitari: a distinguere una variante dall'altra sono soprattutto le modalità di accesso
alla Corte. Confederazione elvetica: il Tribunale Federale è composto da un numero di membri che va
dai 30 ai 45, i quali sono eletti per sei anni, e sono costantemente rieletti, per prassi, fino al compimento
del settantesimo anno di età. La costituzione non prevede che esso possa esercitare il proprio controllo
rispetto a leggi e decreti generale della federazione, ma piuttosto, prevede che gli atti vagliati dal

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Tribunale siano i decreti non soggetti a referendum, alcune ordinanze del Consiglio federale e qualche
altro. In particolare, il Tribunale si occupa soprattutto di redimere i conflitti di attribuzione di
competenze tra una Confederazione e i Cantoni, o tra Cantoni e Cantoni. Belgio: la giustizia
costituzionale si occupa soprattutto di redimere le questioni sorte in ordine al riparto delle competenze
tra Stato, Regioni e Comunità. La costituzione prevede, inoltre, che la Cour Constitutionnelle deliberi:
• sui conflitti tra leggi, decreti, norme relative alle competenze regionali;
• sulla violazione dei diritti delle minoranze, del principio di uguaglianza e della libertà di
insegnamento;
• sulla violazione di ogni diritto e libertà enunciato nel Titolo II della costituzione (I belgi e i loro
diritti).
Il ricorso può essere presentato da chiunque vi abbia interesse, dalle autorità indicate dalla legge e da
qualsiasi organo giurisdizionale.

Il Capo dello Stato quale “custode della costituzione” e il controllo di costituzionalità


“interno”
Se il controllo di legittimità costituzionale, di cui abbiamo fin ora a lungo parlato, e di cui
abbiamo analizzato le diverse declinazioni, si configura come lo strumento principe attraverso cui
assicurare l'integrità della costituzione, dunque la conformità ad essa degli altri atti di cui si popola
l'ordinamento in questione, è necessario sottolineare che esistono anche altre forme apocrife di
sindacato delle leggi, altre procedure, cioè, attraverso le quali si approda alla medesima forma di
controllo. Esempi: l'attribuzione al Capo dello Stato di funzioni relative al controllo di costituzionalità
e varie dorme di controllo interne al Parlamento. Per quanto riguarda la forma di controllo esercitata
dal Capo dello Stato, gli ordinamenti liberal-democratici sono soliti attribuire al Capo dello Stato il
compito di difendere la costituzione dagli attentati perpetrati da leggi/altri atti con essa in conflitto.
Questi svolge tale funzione, non solo ricorrendo alla Corte costituzionale o richiedendone un parere o
una decisione, ma anche attraverso l'esercizio del potere di messaggio, mediante il quale richiama il
legislatore o gli altri poteri dello Stato al rispetto della costituzione, e soprattutto, in sede di
promulgazione-sanzione di una legge: il Capo dello Stato, chiamato a promulgare il testo di legge,
potrebbe opporre la propria volontà a quella del Parlamento (anche) per ragioni di costituzionalità15.
Un altro espediente tramite cui assicurare la conformità degli atti alla costituzione è quello adottato in
Italia e secondo il quale è necessario controllare la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza dei
decreti legge (in Italia tale compito è attribuito dai regolamenti delle Camere alle commissioni affari
costituzionali e/o all'aula). Nei paesi socialisti, invece, si verifica una circostanza diversa: i vari
ordinamenti, invece che prefigurare diversi strumenti attraverso cui assicurare la conformità degli atti
alla costituzione, sono restii all'introduzione di un controllo giurisdizionale vero e proprio. Tale
atteggiamento è da spiegarsi alla luce della convinzione radicata in tali ordinamenti e secondo la quale il
potere statale, unico e indivisibile, è concentrato nelle mani dei soviet; dunque, l'introduzione di corti
costituzionali non è considerata coerente con le idee guida che ispirano tali ordinamenti. Piuttosto, si
reputa che una tale funzione dovrebbe essere esercitata dall'Assemblea rappresentativa stessa: in tal
senso disponevano le costituzioni socialiste, oggi abrogate, in Romania, Bulgaria, Repubblica
democratica tedesca, Ungheria, Albania (e dispongono oggi le costituzioni cinesi e cubane). L'esercizio
di controllo veniva, invece, demandato a una Corte solo in Polonia, Cecoslovacchia e Yugoslavia e, tra
l'altro, con esiti deludenti.

Le Corti europee
Obiettivo di questo paragrafo sarà cercare di capire se le Corti europee possono essere
propriamente considerate delle vere e corti costituzionali. Parlando di Corti europee si fa riferimento
alla Corte di giustiZia delle Comunità europee, avente sede a Lussemburgo, e la Corte europea dei
diritti dell'uomo, avente sede a Strasburgo. Si tratta di due istanze giurisdizionali, la prima a
carattere sovranazionale e la seconda a carattere internazionale che svolgono funzioni materialmente
costituzionali all'interno dei propri ordinamenti e, sempre più, all'interno degli ordinamenti dei singoli
Stati membri.

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La Corte di giustizia delle comunità europee, oltre adoperare come giurisdizione internazionale, politica
e amministrativa, opera anche come giurisdizione costituzionale:
• assicura il rispetto del diritto del Trattato, tanto in termini di interpretazione, quanto in termini di
applicazione, in particolare servendosi del meccanismo del rinvio di giudizio, in virtù del quale, in
caso di dubbio circa l'interpretazione di una norma di diritto comunitario, il giudice interni può
sospendere il giudizio e rinviare la questione alla Corte di giustizia;
• giudica dei conflitti di competenze fra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie;
• vigila sul rispetto del principio di attribuzione e separazione dei poteri;
• può decidere della compatibilità di un accordo internazionale con i Trattati istitutivi.
Tale Corte si compone di 27 giudici e 8 avvocati generali, nominati di comune accordo dagli Stati
membri, con un giudice per ciascuno stato; la Corte può riunirsi in seduta plenaria oppure dividersi in
sezioni. La Corte di giustizia può essere affiancata da un Tribunale di prima istanZa, composto da 27
membri; mentre, sia la Corte sia il Tribunale, possono essere, a loro volta, affiancati dalle camere
giurisdiZionali, competenti a giudicare alcuni contenziosi specifici. Il quadro giurisdizionale
comunitario è completato dal Tribunale della funZione pubblica che si occupa di risolvere
contenziosi sorti in merito al lavoro dei funzionari delle Istituzioni. La Corte di giustizia ha assunto un
ruolo di primaria importanza nel processo di costruzione dell'ordinamento costituzionale europeo,
affermando il principio della diretta applicabilità del diritto comunitario negli Stati membri e la
prevalenza di questo stesso diritto rispetto a qualsiasi disposizione di diritto interno, riconoscendo
l'effetto utile del diritto comunitario e il conseguente obbligo di disapplicazione del diritto interno
contrastante. La Corte europea dei diritti umani ha come finalità la tutela giurisdizionale dei diritti
umani, come previsto dall'art. 19 della ConvenZione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale Convenzione, denominata dalla Corte “carta
costituzionale dell'ordine europeo”, ha dato origine alla Corte stessa e funge da costituzione del
Consiglio d'Europa: ciò significa che solamente uno stato membro di tale organizzazione può essere
parte della Convenzione europea e che la fuoriuscita dal Consiglio implica anche la fuoriuscita, de jure,
dal regime della Convenzione. La Corte europea dei diritti umani si compone di un numero di giudici
pari al numero degli stati contraenti (attualmente 47); i giudici sono eletti per sei anni dall'Assemblea del
Consiglio d'Europa, a maggioranza dei voti espressi, sulla base di una lista di tre candidati per ciascuno
Stato membro; il loro mandato è rinnovabile e si esaurisce al compimento del settantesimo anno di età;
per tutta la durata del mandato i giudici non possono esercitare altre attività incompatibili con le
esigenze di indipendenza e imparzialità dettate dal loro status; la Corte decide a maggioranza.
L'adesione alla Convenzione europea comporta l'accettazione automatica della competenza obbligatoria
della Corte europea dei diritti umani in ordine a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e
l'applicazione della Convenzione stessa e dei suoi protocolli addizionali. La Corte può essere, allora,
investita:
• di un ricorso interstatale, qualora uno Stato membro imputi a un altro Stato membro l'inosservanza
di una qualsiasi disposizione della Convenzione o di uno dei suoi protocolli;
• di un ricorso individuale, qualora una persona fisica/organizzazione non governativa/gruppo di
privati affermi di esser stata vittima della violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o
dai suoi protocolli.
La Corte può essere adita solo dopo esser stati esauriti tutti i rimedi giurisdizionali interni degli Stati
membri ed entro un margine di tempo pari a sei mesi che cominciano a decorrere a partire dalla data
della decisione interna definitiva. Le sentenze della Corte:
• sono obbligatorie
• sono definitive;
• hanno carattere per lo più dichiarativo;
• producono effetti inter partes.
La Corte non giudica in astratto la conformità di una norma interna di uno Stato membro rispetto alla
Convenzione, piuttosto, valuta l'applicazione concreta della norma interna nei confronti del ricorrente,
obbligando lo Stato e rimediare alla ipotetica violazione del caso di specie con mezzi adeguati (obbligo
della restitutio in integrum). Inoltre, qualora la violazione derivi dalle norme dello Stato, e non da

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provvedimenti individuali presi sulla base di questi, allora la sentenza produce effetti che travalicano il
caso di specie, imponendo la modifica della legislazione viziata e l'analoga modifica da parte di altri Stati
membri i cui ordinamenti contengano disposizioni normative simili (processo di armonizzazione delle
legislazioni e delle giurisprudenze nazionali con la giurisprudenza della Corte). Conclusione: risulta
complesso includere le Corti europee nel novero delle Corti costituzionali nazionali non tanto in virtù
della loro composizione o delle procedure da loro seguite, ma piuttosto dalla peculiare natura dei
parametri da loro utilizzati per valutare il rispetto di un atto rispetto alla normativa comunitaria,
dall'oggetto dei loro giudizi e dai destinatari delle loro decisioni. Per quanto riguarda la Corte di giustizia
delle Comunità europee, queste da un parte svolgono un controllo materialmente costituzionale rispetto
ai trattati istitutivi e all'interpretazione del diritto comunitario, dall'altra, invece, suscita una certa
perplessità:
• la mancanza di specializzazione, essendo il giudice comunitario competente a pronunciarsi rispetto a
questioni riguardanti ogni branca del diritto comunitario;
• il parametro su cui si fondano le sue decisioni (i Trattati istitutivi e, cioè, il diritto comunitario
primario);
• l'oggetto delle sue decisioni (il diritto comunitario secondario).
La logica stessa su cui si fonda l'ordinamento comunitario, e alla luce della quale questo si percepisce
come un ordinamento di “nuovo genere”, impedisce di leggere il rapporto tra Corte di giustizia e Corti
costituzionali interne alla stregua di un rapporto gerarchico.
Per quanto riguarda la Corte europea dei diritti umani, invece, risulta difficile una sua completa
assimilazione a una vera e propria Corte costituzionale, poiché:
• rimane essenzialmente un'istanza giurisdizionale internazionale;
• si colloca in una posizione sussidaria rispetto ai rimedi giurisdizionali interni agli Stati membri;
• dipende interamente dagli Stati membri per l'esecuzione delle sue sentenze;
• i destinatari delle sue sentenza sono gli Stati membri e, solo indirettamente, i privati.
Il rapporto tra le Corti europee e le Corti costituzionali nazionali subirà un notevole cambiamento,
soprattutto se dovesse trovare concreta applicazione il sincretismo giurisdizionale tra le Corti europee,
già sancito dal Trattato sull'Unione europea e confermato nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza.

Modalità organizzative: la selezione dei giudici delle Corti supreme


Come abbiamo precisato all'inizio, quando ci accingevamo a dare la definizione di giustizia
costituzionale, tale giustizia si definisce giurisdizionale (altrimenti, può esser definita politica) qualora sia
posta in essere da organi di cui si garantisce l'imparzialità e l'indipendenza. Abbiamo poi aggiunto che
tale giustizia può essere esercitata in maniera accentrata o diffusa: dove questa venga esercitata in
maniera diffusa, come ad esempio accade negli USA, le garanzie di indipendenza e imparzialità degli
organi deputati ad esercitare tale funzione vengono a coincidere con quelle proprie della magistratura.
Qui, i giudici della Corte Suprema e delle altre Corti federali sono nominati a vita dal Presidente. Per
essere eletto membro della Corte Suprema non è richiesta la laurea in giurisprudenza e le categoria da
cui si attinge per eleggere tali membri sono:
• le alte cariche dello Stato;
• le Corti inferiori federali;
• le Corti statali;
• le facoltà di giurisprudenza.
Nell'effettuare tali nomine il Presidente deve tener conto del criterio:
• geografico (nella Corte dovranno sedere giudici del Nord, del Sud, dell'Est e dell'Ovest);
• sessuale;
• etnico (almeno un giudice deve essere di colore);
• religioso (giudici cattolici);
• ma non politico (ciascun Presidente, se ne ha la forza, cercherà di eleggere dei giudici in grado di
perorare la propria dottrina, poiché ideologicamente vicini a lui).

Negli Stati Uniti l'indipendenza dei giudici è garantita, innanzitutto, dalla mancanza di aspettative dei

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giudici rispetto al potere politico e, in secondo luogo, dal fatto che la Corte può essere o meno dello
stesso orientamento del Presidente/della maggioranza parlamentare. Se fin ora abbiamo spiegato come
l'indipendenza dei giudici, caratteristica alla luce della quale la giustizia costituzionale è definita
giurisdizionale, è garantita negli Stati Uniti, adesso cerchiamo di fornire la stessa spiegazione facendo
però riferimento ad altri ordinamenti. In altri ordinamenti, dove il sindacato di legittimità costituzionale
è esercitato da un tribunale ordinario (Canada, Australia, Irlanda, India, Filippine e alcuni paesi Latino-
Americani), l'indipendenza della Corte Suprema è garantita:
• dalla nomina dei giudici da parte del Governatore generale o del Presidente;
• dal divieto di rimozione da parte del Parlamento, se non in caso di comportamento disdicevole o
incapacità.
Singolare è la procedura adottata in Giappone: i giudici della Corte Suprema sono nominati a vita dal
Gabinetto, ma in concomitanza con la prima elezione generale della Camera dei deputati, per essere
poi, ogni 10 anni, il corpo elettorale chiamato a confermarli o meno. Nella Confederazione elvetica,
invece, i giudici del Tribunale federale sono eletti dall'Assemblea federale tra i cittadini eleggibili al
Consiglio nazionale e le nomine sono decise dai partiti; la rappresentanza si ancora a criteri geografici,
etnico-linguistici e politici. Anche per gli ultimi due casi concreti analizzati, Giappone e Confederazione elvetica,
abbiamo indagato le modalità di selezione dei componenti delle rispettive Corti Supreme: modalità finalizzate a
garantirne, tra l'altro, l'indipendenza e l'autonomia (Ricorda che stiamo parlando di controllo costituzionale
giurisdizionale, di cui l'indipendenza e l'autonomia dei giudici sono le caratteristiche principali...ecco perchè ci preme capire
in che modo tali criteri di selezione garantiscano tale indipendenza e autonomia!)

Criteri di nomina o d'elezione nelle Corti costituzionali ad hoc


Analizziamo ora le soluzioni escogitate al fine di garantire l'indipendenza e l'autonomia dei
Tribunali costituzionali istituiti ad hoc. È necessario, innanzitutto, che si assicuri un certo distacco dal
potere politico: a tal fine fattori significativi sono le modalità di selezione dei giudici, la durata del loro
mandato e il divieto di essere rieletti. Generalmente le costituzioni richiedono che i candidati vantino
un'adeguata preparazione giuridica e che siano giuristi di chiara fama. In Italia, l'Assemblea costituente
ha provveduto alla costituzione di un organo apposito, collegato con il Parlamento e con il Presidente
della Repubblica, chiamati ad eleggere due terzi dei 15 componenti, lasciano il restante terzo nelle mani
delle supreme magistrature ordinaria e amministrativa. La durata in carica di ciascun giudice di 9 anni
(inizialmente erano 12) e il divieto di rielezione ne assicurano l'indipendenza di cui stiamo cercando di
spiegare le ragioni in questo paragrafo. Un meccanismo analogo è adottato in Spagna, dove la Corte
costituzionale è composta in modo tale da assicurare un adeguato equilibrio tra membri di nomina
parlamentare, governativa e giudiziaria; rispetto all'Italia c'è, però, un maggiore sbilanciamento in favore
dell'esecutivo e che va a scapito della magistratura. Tuttavia, anche in Spagna, come in Italia, garanzie
all'indipendenza dei membri della Corte, sono l'impossibilità di rielezione per il mandato
immediatamente successivo e la lunga durata del mandato stesso. Oltre chi in Spagna, tale modello
opera anche in Lituania, Bulgaria, Mali e in altre ex colonie francesi. In altri ordinamenti, invece, i criteri
alla luce dei quali sono nominati i membri della Corte costituzionale non solo sono finalizzati a
garantire la loro l'indipendenza, ma hanno anche come ulteriore obiettivo fornire un'adeguata e paritaria
rappresentanza del centro e della periferia. Così, il Tribunale costituzionale tedesco si compone di 16
membri, 8 dei quali sono eletti dal Bundestag e altri 8 dal Bundesrat. Se tale criterio mira a garantire la
paritaria rappresentanza del centro e della periferia, l'autonomia dal potere politico è, ancora una volta,
garantita dalla lunga durata della carica (12 anni), dal divieto di rielezione e dalle incompatibilità con
cariche parlamentari e governative. Sovente, l'indipendenza degli organi di giustizia costituzionale è
garantita dalla costituzione stessa, mediante un adeguato potere di autoregolamentazione.

L'accesso alle Corti costituzionali; in particolare, il ricorso diretto


Mentre nei due paragrafi precedenti abbiamo trattato la composizione degli organi di giustizia
costituzionale (in particolare, i criteri alla luce della quale sono eletti i rispettivi componenti e gli
obiettivi che tali criteri cercano di assicurare), in questo paragrafo tratteremo il tema dell'accesso alle
Corte costituzionali, soffermandoci ad analizzare la procedura ricorso diretto. Solitamente sappiamo

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che le modalità di accesso si integrano tra loro; negli ordinamenti decentrati il ricorso da parte degli
organi periferici è contemplato quasi ovunque. Meno frequente è, invece, il conferimento di un analogo
diritto agli enti territoriali minori, ad esclusione dei cadi della costituzione polacca e della LOTC
spagnola. Ad ogni modo, a prescindere da come si configura l'ordinamento in questione, dal punto di
vista del decentramento, è di solito il Presidente della Repubblica l'organo più frequentemente abilitato
a bloccare preventivamente una legge o a impugnarla successivamente. La possibilità di impugnare una
legge è, talvolta, riconosciuta anche al Governo, al Primo Ministro, o ai singoli Ministri. In qualche
ordinamento, anche le Assemblee parlamentari, o i loro presidenti, sono autorizzati a impugnare le
delibere legislative, prima della loro promulgazione, o a promuoverne il ricorso di costituzionalità, dopo
l'entrata in vigore. Ormai molto diffusa è l'attribuzione del potere di adire la Corte costituzionale alle
minoranze parlamentari, sia in via preventiva (Francia, Russia Romania), sia in via successiva (Spagna,
Portogallo, Repubblica slovacca, Russia), sia con entrambe le modalità (Algeria). Un caso a parte è
rappresentato dalla possibilità concessa dalla costituzione tedesca a un membro dei terzi del Bundestag
di adire il Tribunale costituzionale per controversie che contrappongano Bund e Lander. Vi sono, poi,
altri ordinamenti i quali conferiscono a organi altri il potere di adire la Corte costituzionale. Tra tali
organi altri ricordiamo:
• il Defensor del Pueblo/organi corrispondenti;
• un numero predeterminato di cittadini;
• partiti rappresentati in Parlamento;
• il Procuratore generale.
In Polonia, la varietà di tali organi è notevole: hanno accesso alla corte, infatti, i sindacati, gli organi
rappresentativi delle categorie economiche, la Chiesa e le organizzazioni religiose.

La tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini: amparo e Verfassungsbeschwerde


La giustizia costituzionale prevede anche che ciascun cittadino possa rivolgersi a un giudice
lamentandola lesione di diritti costituzionalmente protetti: tale istituto ha due luoghi, lontani, e due
date, vicine tra loro, a cui ricondurre la sua nascita. Per la prima volta esse venne elaborato e tradotto in
pratica in America Latina, nello Yucatan, nel 1841: poi si propagandò, arricchendosi si varianti
significative. Tuttavia, un istituto analogo era già contemplato nella costituzione del Baden e della
Baviera del 1818, da dove poi si trasfuse in quella del 1919, nella costituzione austriaca del 1920 e,
infine, nel Grundgesetz tedesco. Il ricorso al quale stiamo facendo riferimento, e che prende il nome di
amparo, non sempre trae il suo fondamento da espresse disposizioni costituzionali; in Argenina, ad
esempio, esso nasce per via giurisprudenziale, per poi venir codificato assai più tardi nella legislazione e,
solo nel 1994, nella costituzione. Se molti sono gli ordinamenti i quali prevedono più o meno
esplicitamente la tutela diretta di libertà e diritti costituzionali, diverse sino le tipologie degli atti
impugnabili. Sono impugnabili:
• atti amministrativi;
• atti giurisdizionali;
• atti di soggetti privati.
La lesione di diritti o interessi può essere determinata, oltre che da disposizioni o atti giuridici, anche da
meri comportamenti dei poteri pubblici dello Stato, delle Comunità autonome e di altri enti pubblici. In
Austria la costituzione consente l'impugnazione di regolamenti di autorità amministrative
• assunti in violazione di diritti costituzionalmente garantiti/di diritti della persona;
• o in base a un'ordinanza illegale, a una legge incostituzionale, un trattato illegittimo;
• una volta esser stato esperito ogni altro rimedio.
Nella Repubblica federale tedesca, la Verfassungsbeschwerde può eavere per oggetto:
• atti amministrativi;
• atti giurisdizionali;
• atti legislativi;
• una volta esser stati esaurite le vie giudiziarie.
Tuttavia, il Tribunale può decidere immediatamente, senza, cioè, che vengano esperiti gli altri rimedi

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messi a disposizione dall'ordinamento, qualora al ricorrente possa derivare un danno grave e inevitabile
o qualora tale ricorso sia di interesse generale. Esso può esse presentato da chiunque reputi di esser
stato leso in uno dei suoi diritti fondamentali o in altri diritti previsti dalla costituzione. Il Tribunale
tedesco, dovendo fare i conti con decine di migliaia di ricorsi individuali, ha deciso di operare una
scelta, sulla base del principio di sussidiarietà: l'azione dirette è esperibile solo se non esistono altri
rimedi giurisdizionali e se essa è considerata indispensabile per prevenire o eliminare una ipotetica
violazione dei diritti poc'anzi enunciati.

Tipologia e forza delle decisioni di costituzionalità; le sentenze costituzionali quali fonti


del diritto
Facendo brevemente il punto della situazione: dove il controllo è accentrato, una volta esser
stato riscontrato un vizio di costituzionalità, il Tribunale costituzionale annulla la legge incostituzionale,
espungendola dall'ordinamento in questione. Dove, invece, il controllo è diffuso il giudice disapplica la
legge nella causa sottoposta al suo esame: il precedente vincola tutti i giudici di grado inferiore. Qualora,
invece, sempre in presenza di un sindacato diffuso, l'incostituzionalità sia decretata dal giudice di grado
più elevato, allora, tale pronuncia vincola tutti i giudici di grado inferiore che sono tenuti a disapplicare
la legge dichiarata incostituzionale. Di fatto,anche negli ordinamenti dove il sindacato è diffuso, la
sentenza opera con efficacia erga omnes. Come abbiamo più volte specificato, le varie modalità di
controllo costituzionale si distinguono non solo in virtù del loro carattere accentrato e diffuso ma,
anche, a seconda della fase in cui tale incostituzionalità viene fatta valere: il controllo costituzionale a
priori presenta delle caratteristiche del tutto particolari anche sotto il profilo dell'efficacia delle
pronunce. Tale controllo, come sappiamo, si svolge rispetto a un atto in itinere; dunque, l'effetto della
decisione assunta dal Tribunale o dalla Corte costituzionale, i quali dichiarano incostituzionale la
deliberazione parlamentare, destinata a divenire legge, e sottoposta alla loro attenzione, è precluderne
l'entrata in vigore. L'ostacolo si configura come definitivo e al legislativo non spetta altro che
modificare l'atto, secondo i desiderate del Tribunale,o, qualora gli competa il potere di revisione
costituzionale, modificare la costituzione. Ricordiamo che una sentenza è composta dalla motivazione,
che spiega le ragioni della decisione, e da un dispositivo, che decide concretamente la vertenza.
All'interno della motivazione la ratio decidendi, sorta di filo logico del ragionamento, assume un maggior
rilievo rispetto agli obiter dicter, considerazioni accessorie. Nei sistemi a controllo accentrato, la
distinzione tra dispositivo e motivazione non è trascendentale, poiché è il dispositivo a decretare
l'annullamento della legge; mentre, nei sistemi a controllo diffuso (più precisamente, nei sistemi di
common law), il valore di precedente abbraccia l'intera ratio decidendi della motivazione. Quanto detto
finora suscita il problema delle sentenze costituzionali, quali fonti del diritto, dunque l'ulteriore
interrogativo se a rivestire il carattere di fonte del diritto sia l'intera sentenza o solo il dispositivo della
medesima. Poiché negli ordinamenti di common law il precedente giudiziario fa fonte del diritto, e
poiché mai possono essere considerate tali le decisioni assunte dalle Corti costituzionali in sede di
controllo preventivo, allora, appare fondata la tesi secondo la quale anche nei sistemi di civil law tra le
fonti del diritto possono essere annoverate le sentenze dei Tribunali costituzionali, munite di efficacia
erga omnes. La sentenza che dichiara l'incostituzionalità di una legge ha come effetto espungere
dall'ordinamento tale norma, ma anche di introdurne delle nuove: l'ablazione del discorso del legislatore
da un lato determina un vuoto, ma dall'altra, crea diritto, poiché in tale vuoto si riversano le norme
applicabili per analogia o ricavate dai principi generali del diritto. Infine, la dichiarazione di
incostituzionalità di una disposizione che enuncia un divieto/un obbligo introduce una facoltà o un
diritto, mentre la dichiarazione di incostituzionalità di una disposizione che dichiara una facoltà o un
diritto introduce un divieto.

Sentenze di accoglimento, sentenze di rigetto e altri tipi di pronunce


Le pronunce delle Corti costituzionali non possono essere riassunte nel binomio kelseniano
“accoglimento-rigetto”; piuttosto, sarebbe necessario elaborare modelli intermedi, come d'altronde la
giurisprudenza ha provveduto a fare. Innanzitutto, sin dall'inizio, è apparso evidente che tali pronunce
fossero abilitate ad annullare non soltanto l'intero testo della legge in questione, ma anche singole

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disposizioni, salvando così la parte restante della legge, non affetta da alcun vizio: le sentenze parziali
sono, oggi, la regola in ogni ordinamento. Inoltre, poiché una stessa disposizione può essere passibile di
più interpretazioni, dunque è in grado di generare più norme, qualora venga decretata
l'incostituzionalità di una legge, è necessario capire a quale norma ricavabile da tale testo di legge si stia
facendo riferimento: è probabile, infatti, che altre norme ricavabili da tale disposizione non siano
incostituzionali. Dunque, è necessario ricorrere a delle sentenze interpretative. Negli Stati Uniti, in
Canada, in Germani e in Spagna, i giudici tengono conto dell'interpretazione corrente di una disposizione;
in Italia, in virtù della stessa logica, si parla di giurisprudenza ancorata al diritto vivente. Se da un lato le
Corti tendono sempre più ad esercitare il loro sindacato in nome di un'interpretazione corrente,
dall'altra, tale orientamento, confligge con il principio dell'interpretazione conforme alla costituzione e tale per
cui i Tribunali costituzionali, nell'esercitare il sindacato, dovrebbero cercare di far propria
quell'interpretazione che consenta loro di non dichiarare una disposizione incostituzionale; tuttavia, ciò
non vuol dire fornire delle interpretazioni astruse al solo fine di far salva la disposizione. Ci sono poi
sentenze additive e manipolative che dichiarano l'incostituzionalità di una legge, rispettivamente, nella
parte in cui questa non prevede nulla o nella parte in cui prevede una cosa anziché un'altra.
Annoveriamo, inoltre, le pronunce di incostituzionalità per omissione, previste ad esempio in
Portogallo, e secondo le quali il Tribunale costituzionale esamina e verifica le lesione che potrebbero
essere prodotte alla costituzione in virtù di una qualche mancanza all'interno della legislazione.
Concludiamo affermando che anche una pura e semplice pronuncia di annullamento contiene un quid
di innovatività; tuttavia, in tale attività creativa del diritto, sono frenati da alcuni limiti, ad esempio è
sempre precluso lo svolgimento di attività politiche. A questo punto i Tribunali decidono di far salva la
legge e invitano il Parlamento a modificarla; si parla a tal proposito di sentenze ottative, frequenti nella
giurisprudenza delle Corti tedesca, italiana, spagnola e portoghese (il dialogo con il legislatore è previsto
anche dalle pronunce delle Corti che operano nei sistemi di common law).

Giudici e Parlamento di fronte al vincolo delle sentenze


In questo paragrafo cercheremo di capire chi debba ritenersi vincolato, e in che misura, dalle
sentenze emesse dalla Corte costituzionale; tale indagine dovrà tenere conto della distinzione tra
sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto (che, perciò, dichiarano la costituzionalità/non
incostituzionalità di un atto). Tale distinzione, infatti, ha negli ordinamenti a controllo accentrato un
rilievo diverso da quello assunto negli ordinamenti a sindacato è diffuso. Nei sistemi accentrati,
appurato che una sentenza di accoglimento abbia come effetto espungere una norma dall'ordinamento
in questione, e che tali effetti abbiano portata generale, se la Corte emana una sentenza di rigetto, quali
soggetto dovranno reputarsi vincolati? In caso di decisione contraria, decisione cioè che dichiara
costituzionale/non incostituzionale una legge (oppure altri atti), la pronuncia vincola solo le parti: ciò
significa che casi analoghi, o addirittura identici, possono essere sottoposti al giudice delle leggi, al quale
potrà anche essere chiesto di (ri)decidere dulla costituzionalità di atti già esaminati. Perchè? Perchè
l'ordinamento cambia quotidianamente, dunque, è probabile che un atto dichiarato oggi costituzionale
possa essere considerato domani incostituzionale, in virtù di cambiamenti verificatisi nelle situazioni
giuridiche o fattuali. In altri paesi, tuttavia, anche le sentenze di rigetto sono considerate aventi valenza
erga omnes: ciò accade in Belgio, qualora il giudizio sia proposto con ricorso. Fatta eccezione per gli
ordinamenti di common law, la maggior parte delle costituzioni si adoperano a dettare disposizioni
disciplinanti l'efficacia delle sentenze16: di solito, però, le formule con cui le costituzioni si esprimono a
tal proposito sono tali da autorizzare le più varie interpretazioni. Altre costituzioni, invece, si esprimono
solo in merito agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative dell'incostituzionalità di una legge o di un
atto, non in merito agli effetti prodotti da quelle di rigetto. Qualcuna prevede che sia la legge a stabilire
gli effetti delle sentenze diverse da quelle di annullamento/accoglimento, mentre si danno solo
sporadicamente discipline dettagliate e differenziate degli effetti. Qualora il sindacato di costituzionalità
sia esercitato da un organo ad hoc, e vi si acceda anche per via incidentale (Germania Itali, Spagna),
allora, qualche volta, la costituzione o le leggi dichiarano espressamente che la sentenza ha effetto di
giudicato, e che in quanti tale è intangibile: ciò si riferisce soprattutto agli effetti prodotti tra le parti.
Avendo cercato di fare ordine in merito agli effetti prodotti dai vari tipi di sentenze emanante dalla

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Corte costituzionale, poniamo un'altra questione: dato che da una medesima disposizione si possono
trarre più norme, davvero quello prescelto dalla Corte costituzionale è vincolane per i giudici? In
Spagna, la legge organica sul Tribunal constitucional, ha riconosciuto il valore giuridico della ratio
decidendi, dunque, ha disposto che la giurisprudenza dei tribunali debba ritenersi modificata dalla
proprio dalla ratio caratterizzante le sentenze emanate dal Tribunale costituzionale stesso. In Italia, la
Corte costituzionale ha stabilito che le proprie sentenze avessero forza di legge. Un'ultima questione
riguarda la necessità di spiegare la misura in cui il legislatore17 debba ritenersi vincolato dalle sentenze
della Corte; cioè, cosa accade se il potere legislativo approva una legge identica, o sostanzialmente
analoga, ad altra legge, già dichiarata incostituzionale? Solitamente, gli ordinamenti attribuiscono
definitività, o addirittura forza di legge, alle sentenze costituzionali: ciò significa autorizzare il legislatore
ad approvare una legge che abroghi la normativa risultante dalla sentenza della Corte costituzionale, in
virtù del principio di inesauribilità del potere legislativo. Tale soluzione sembrerebbe vanificare i risultati
raggiunti attraverso le pronunce della Corte costituzionale: che senso ha permettere al legislatore di
approvare una legge che abroghi quanto precedentemente decretato dalla Corte costituzionale? In
realtà, è questa la soluzione migliore: la soluzione alternativa sarebbe, infatti, attribuire alle sentenze
della Corte forza di legge costituzionale, il che equivarrebbe a cristallizzarle per sempre, o almeno fino a
quando non si operi una revisione della costituzione (è da precisare, tuttavia, che in Cile e in Colombia
optano per questa seconda soluzione).

L'efficacia temporale delle pronunce


Se nel paragrafo precedente abbiamo cercato di distinguere i diversi effetti prodotti dalle
sentenze emanate dalla Corte, a seconda che queste fossero di accoglimento o di rigetto, e come tali
effetti si differenziassero ulteriormente in ordine alle categorie di destinatari prese in considerazione, in
questo paragrafo analizziamo l'efficacia temporale di tali pronunce. A prescindere dal tipo di
ordinamento, le pronunce con cui le Corti costituzionali/i giudici decretano l'incostituzionalità di un
atto, determinano di regola l'effetto di espellerla dall'ordinamento. Qualora il controllo sia preventivo, la
decisione preclude l'entrata in vigore dell'atto in questione e, se mai, impone l'obbligo o conferisce la
facoltà, all'organo interessato, di riconsiderare l'atto viziato. Qualora, invece, il controllo sia successivo,
gli effetti temporali non sono univoci: in particola modo, cambia l'efficacia delle sentenze, in termini
temporali, e il potere delle Corti di sospendere per un periodo determinato l'efficacia della pronuncia.
Generalmente, le sentenza di incostituzionalità producono i loro effetti a partire dalla data di
pubblicazione della decisione, o dopo una breve vacatio legis, o dal giorno stesso in cui è assunta la
decisione; una certa irretroattività è, però, inevitabile. Nei sistemi a sindacato diffuso, infatti, la
decisione della Corte produce effetti retroattivi: ciò significa che gli altri giudici, di grado inferiore o
uguale, i quali stiano risolvendo un'altra controversia ai cui fini sia necessaria l'applicazione di tale atto,
devono ritenersi vincolati al precedente. Parimenti, nei sistemi accentrati, la retroazione si registra non
solo nei confronti dei contendenti, ma anche nei confronti di rapporti giuridici altri non ancora esauriti.
Se così non fosse, infatti, nessuno avrebbe interesse a sollevare una questione di costituzionalità; d'altro
canto, ragioni d'uguaglianza precludono che, dichiarata incostituzionale una legge, essa venga
disapplicata solo all'interno del processo durante il quale la questione è stata sollevata, continuando,
cioè, ad essere applicata a tutti gli altri soggetti. La retroattività delle sentenze si arresta, per lo più, di
fronte alla sentenze passate in giudicato. Una volta essere dichiarata incostituzionale una legge, questa
viene espulsa dall'ordinamento in questione, dunque, si origina un vuoto: inopportuno è cercare di
colmarli tempestivamente, magari ricorrendo a blande normative di raccordo con il potere legislativo,
affinché la sentenza venga trasmessa al Parlamento (Italia, Colombia). Risulta essere più opportuno,
infatti, differire l'efficacia della sentenza, in modo tale da dare al legislatore il tempo necessario per
procedere a colmare il vuoto creatosi in seguito all'emanazione di una sentenza di accoglimento che ha
dettato l'espulsione di una legge dall'ordinamento. La costituzione austriaca stabilisce che “la
dichiarazione di incostituzionalità acquista efficacia dal giorno della pubblicazione, se il Tribunale
costituzionale non ha stabilito un termine. Tale termine non può essere superiore a 18 mesi”. Nelle più
recenti costituzioni, conferire un'efficacia differita alla pronuncia rappresenta la regola e non
l'eccezione. I tribunali costituzionali non solo possono posticipare la produzione degli effetto delle

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sentenze emesse, senza limiti di tempo (Repubblica Ceca), o entro un anno (Austria e Turchia), ma, a
volte, la vacatio delle sentenze opera de jure, dove talune disposizioni normative cessano di essere
efficaci solo sei mesi dopo la dichiarazione di incostituzionalità, qualora gli organo competenti non
abbiano provveduto a decretare il termine a partire dal quale tale sentenza avrebbe dovuto cominciare a
produrre i suoi effetti.

Il “discorso” delle Corti e il loro “uditorio”; processi di decisione (o di “invenzione”) e


processi di giustificazione (o di “validazione”)
Il modo in cui le Corti giungono a formulare la loro decisione attiene al contesto di decisione o di
invenzione, mentre il modo attraverso cui le Corti giustificano tali scelte attiene al contesto di
giustificazione o di validazione. Per quanto riguarda il primo contesto, le modalità di reclutamento, i
requisiti richiesti e le garanzie di indipendenza assicurate ai singoli e al collegio concorrono a
differenziare il procedimento tramite cui i giudici costituzionali approdano alla formulazione delle loro
decisioni, da quello seguito da altri giudici. Crescendo l'autonomia del processo decisionale, cresce
anche il grado di libertà
• nella selezione dei materiali giudici;
• nella valutazione delle conseguenze;
• nei valori privilegiati (sono le stesse Corti a decretare cosa rappresenti un valore meritevole di tutela o
una posizione privilegiata rispetto ad altre, in virtù di un'interpretazione della realtà che non
sempre coincide con quella che hanno altri organi o soggetti politici).
Venendo, invece, al contesto di giustificazione, quanto detto sinora circa il grado di autonomia
decisionale che contraddistingue l'operato dei giudizi costituzionali, non significa che quest'ultimi, nel
formulare le loro decisioni, non siano sottoposti ad alcun tipo di vincolo. La dottrina nordamericana,
per esempio, usa il termine costituency per indicare l'insieme di soggetti, piuttosto variegato e cospicuo,
alla cui verifica è sottoposta una decisione. Il legame che c'è tra le due dimensioni, quella attinente
all'invenzione e quella attinente alla validazione, è sintetizzato dal concetto di uditorio, colui o coloro ai
quali un'argomentazione è rivolta: ciascun giudice delle leggi, nel formulare la sua decisione, da un alto,
è condizionato da quelli che sono i desiderata della propria costituency, dall'altro, è costretto a
notificare, sia a uditori specifici, sia ad un uditorio generico (chiunque legga la sentenza), quelle che
sono state le ragioni della sua decisione. La collegialità rappresenta una caratteristica costante
dell'organo chiamato a giudicare della costituzionalità delle leggi: dunque, i processi formativi delle
decisioni, sovente, sono difficili da analizzare, nella misura in cui manifestare opinioni individuali,
dissenzienti (quando un giudice dissente sia dalla motivazione che dal dispositivo) e concorrenti
(quando un giudice è in disaccordo solo sulla motivazione) è altrettanto difficile. Nell'argomentare le
Corti hanno come obiettivo convincere un uditorio più vasto possibile, sottoponendosi al confronto
con il pubblico, in modo tale da ricavarne una sorta di legittimazione ex post facto: è in vista del
raggiungimento di questo obiettivo che le corti, nel motivare le loro sentenze, non si limitano a
descrivere i nessi logici del loro percorso, piuttosto, si avvalgono di tutti gli strumenti della retorica,
fanno ampi riferimenti ai precedenti, si richiamano al diritto comparato e alla giurisprudenza di altre
Corti, operano excursus storici di istituti e discipline.

Limiti all'attività delle Corti


Come abbiamo precisato poc'anzi, se da un lato le Corti dispongono di un certo margine di
autonomia nel formulare le loro sentenze, dall'altra, questi vedono il loro operato, altresì, sottoposto a
una serie di limiti di varia natura: linguistici, giuridico-istituzionali e politici. Innanzitutto, le Corti
devono confrontarsi con i condizionamenti dei testi e dei contesti linguistici ed extralinguistici in cui si
trovano a operare: esse, cioè, rielaborano gli enunciati della legge e/o assegnano loro nuovi significati.
Oltre che ai condizionamenti linguistici, le Corti, in quanto alla loro composizione e al loro
funzionamento, devono sottostare alle disposizioni della costituzione e della legislazione
implementativa. Il modo in cui le “meta-norme” sulle Corti sono distribuite tra le varie fonti di un
ordinamento varia da un sistema all'altro: ad esempio, la costituzione statunitense, non si pronuncia in
merito alla composizione della Corte Suprema, poiché a farlo è la legge. Ciò significa che qualora la

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Corte mostri una certa ostilità rispetto al Parlamento, questo può minacciare la corte stessa di
modificarne la composizione, favorendo l'ingresso di giudici il cui orientamento è più conforme a
quello del Parlamento stesso: è quando accadde quando il Presidente F.D. Roosevelt si trovò a dover
fronteggiare l'accanita resistenza della Corte Suprema al new deal. Ulteriori restrizioni giuridiche sono le
seguenti:
• il principio del precedente giudiziario;
• le garanzie di indipendenza;
• i sistemi di accesso ai Tribunali costituzionali;
• l'estensione del parametro su cui si fondano le decisioni dei Tribunali costituzionali;
• l'efficacia delle sentenze.
Parlando di limiti è necessario precisare che le Corti sono solite anche autolimitarsi spontaneamente: si
tratta del self-restaint, al quale, però, seguono ciclicamente periodi di attivismo.

Dalla regolazione delle competenze negli ordinamenti policentrici alla giurisdizione


delle libertà e dell'uguaglianza
L'esercizio del moderno sindacato di costituzionalità presuppone l'esistenza di elementi
concreti:
• la vigenza di una costituzione rigida che ne tuteli le regole in esse stabilite;
• lo svolgimento del controllo da parte di un organo non direttamente interessato alle controversie.
L'interrogativo che ci poniamo è se esista una sorta di legame tra la genesi e lo svilluppo della giustizia
costituzionale e la struttura policentrica dello Stato: la risposta sembra essere positiva, poiché all'inizio,
solo dove lo Stato era organizzato su base federale, la giustizia costituzionale andò assumendo i tratti
tipicamente moderni. Negli Stati Uniti, ad esempio, la cui organizzazione è sicuramente di tipo federale,
prima del caso Marbury vs Madison18, il judicial view of legislation era stato teorizzato in alcuni saggi
del Federalist da Hamilton e Madison, proprio in connessione all'esigenza, avvertita dagli stati federali,
di tutelarsi. In tale raccolta si reputava che:
• solo le leggi federali fossero obbligatorie per gli Stati membri;
• i divieti posti dalla costituzione a carico degli Stati non potessero essere rispettati in assenza di un
potere centrale che freni le infrazioni;
• non è conveniente affidare il giudizio alla stessa Assemblea che ha approvato la legge in questione,
bensì al giudiziario e, in definitiva, alla Corte Suprema.
L'esistenza di un legame tra giustizia costituzionale e decentramento è andata affermandosi anche in
Europa: è la struttura federale della Confederazione tedesca del 1815 che costituisce un terreno fertile
in cui la giustizia costituzionale possa attecchire. Tale impostazione venne poi recepita dalla
costituzione svizzera dal 1874, da quella di Weimar del 1919 e, infine, da quella austriaca del 1920, il cui
nucleo centrale riguarda proprio la regolamentazione delle competenze tra Bund e Lander. Possiamo,
perciò, concludere affermando che esiste una relazione per cui lo sviluppo della giustizia costituzionale
è favorito dall'organizzazione dello stato in senso federale, mentre, lì dove gli ordinamenti si
configurano come accentrati, si rileva una certa renitenza ad introdurre un pieno controllo
giurisdizionale di costituzionalità sulle leggi (questo si è verificati per lo più in Francia e in Gran
Bretagna, dove le cose sono cambiate solo a partire dal momento in cui gli ordinamenti si sono prestati
a un processo di decentralizzazione).

Le “altre funzioni” delle Corti costituzionali


La caratteristica tipica degli organi deputati a svolgere il sindacato di legittimità costituzionale, e
cioè la loro posizione di terzietà, ha fatto sì che venissero attribuite loro anche funzioni altre, le quali
richiedono, appunto, una certa neutralità. Le costituzioni (e le rispettive legislazioni di attuazione) che
maggiormente arricchiscono il novero delle funzioni attribuite alla Corte costituzionale sono quella
tedesca, italiana e spagnola. Tra le competenze speciali riconosciute dalla costituzione tedesca,
compaiono:
• la dichiarazione della perdita dei diritti fondamentali in capo a tutto quei soggetti che ne abusino la
fine di combattere l'ordinamento fondamentale, democratico e liberale;

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la dichiarazione di incostituzionalità di partiti politici che si prefiggono di danneggiare/sopprimere
l'ordinamento fondamentale, democratico e liberale;
• risoluzione delle controversie tra organi, in merito alle rispettive competenze;
• risoluzione delle controversie tra Bund e Lander;
• verifica delle elezioni.
L'art. 134 della costituzione italiana, invece, prevede che spetti alla Corte giudicare:
• sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato;
• sui conflitti tra lo Stato e le Regioni, nonché tra le Regioni;
• le accuse promosse contro il Presidente della Repubblica e, sino alla revisione costituzionale datata
1989, i Ministri;
• il giudizio sull'ammissibilità del referendum abrogativo (ex art. 75 cost.).
Tra le attribuzioni previste, invece, dalla costituzione spagnola ricordiamo:
• i giudizi sui conflitti di competenza tra Stato e Comunità autonome, nonché tra Comunità stesse;
• i conflitti tra organi supremi dello Stato (Governo, Congresso, Senato, Consiglio generale del potere
giudiziario) che, positivi o negativi, si concludono con una decisione che stabilisca chi sia
titolare a svolgere la competenza in questione.

Altri ordinamenti hanno, a volte, caricato/sovraccaricato il proprio Tribunale costituzionale di altre


funzioni che hanno contribuito a bilanciare/sbilanciare a loro favore/sfavore i rapporti con gli altri
organi costituzionali. Ad ogni modo, tali ulteriori funzioni possono essere distinte a seconda che si
riferiscano alla forma di Stato, alla forma di Governo o a antrambe.
Funzioni connesse alla forma di Stato:
• assumere decisioni in merito ai comportamenti illeciti di partiti e associazioni anticostituzionali e alle
rispettive sanzioni da adottarsi;
• controllare i bilanci dei partiti.
Funzioni connesse alla forma di Governo:
• risolvere i conflitti tra organi o poteri dello Stato (costituzione bulgara, croata, sudafricana, russa,
boliviana, senegalese, cipriota...).
Spesso le Corti costituzionali sono, poi, interessate alle procedure di impeachment nei confronti del
Presidente della Repubblica e/o dei Ministri, dei parlamentari, dei giudici e di altri funzionari: qualche
volta il giudizio è emesso dal Tribunale costituzionale, investito della questione da latri organi
costituzionali, oppure tale Tribunale è semplicemente chiamato a esprimere un parere o a garantire la
corretta osservanza delle procedure.
In qualche ordinamento, spetta alle Corti:
• il compito di accertare l'impedimento del Presidente della Repubblica, temporaneo o definitivo;
• lo svolgimento di funzioni di consulenza nei confronti di vari organi dello Stato (Guatemala, Bolivia,
India);
• la competenza di accertare le circostanze dello scioglimento presidenziale, di verificare le
incompatibilità dei Ministri e di pronunciarsi sulle candidature presidenziali.
Funzioni connesse alla forma di Stato e di Governo:
• vigilare sulle operazioni elettorali;
• sovraintendere alla regolarità delle procedure referendarie o all'ammissibilità della relativa richiesta
(Italia);
• rendere pareri sulla proclamazione delle misure di emergenza (Francia).

Anche nello svolgere queste ulteriori funzioni le Corti assumono delle decisioni caratterizzate da un
elevato grado di politicità: ciò è particolarmente evidente nei paesi in cui le Corti sono chiamate a
intervenire nel processo di revisione costituzionale, o per espressa disposizione costituzionale, o per
propria giurisprudenza (Sudafrica, Angola, Cile, Turchia, Romania, Costa Rica, Bolivia, Moldavia...),
oppure a fornire l'interpretazione ufficiale delle leggi e della costituzione.

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Modelli e ordinamenti attuali


Appurato che esistano svariate declinazioni dell'esercizio del sindacato di legittimità, affermiamo
che la semplice bipartizione dicotomica tra modello statunitense e modello austriaco non è più
sufficiente per sintetizzare le svariate tipologie di giustizia costituzionale oggigiorno esistenti: è
necessario, cioè, formulare ulteriori tipologie che tengano contro di criteri ulteriori. In relazione al
contesto strutturale, coma già sappiamo, possiamo distinguere tra sistemi unitari/a controllo
accentrato/monopolistici, in cui la sola Corte costituzionale esercita il sindacato di legittimità
costituzionale, e sistemi plurali/a controllo diffuso, in cui altri soggetti, insieme alla corte, concorrono
allo svolgimento di tale funzione. L'indole monopolista o concorrenziale si può apprezzare anche a
seconda della presenZa o meno di più livelli di giustiZia costituZionale: negli ordinamenti federali,
alla Federazione si affiancano gli enti decentrati che, in parte, sottraggono parte delle competenze
esercitate dalla prima (Germania, Austria, Russia, Stati Uniti, Canada, Australia, India, Messico).
Incrociando queste due variabili, distinguiamo tra sistemi:
• unitari integralmente accentrati, dove un'unica Corte/Tribunale esercita tutte le competenze di
giustizia costituzionale (Spagna, Italia, Belgio, Francia, Romania;
• plurali parzialmente accentrati, dove ciascun livello territoriale ha un solo organo abilitato a svolgere
funzioni di giustizia costituzionale, ma all'interno dell'interno ordinamento convivono, con
competenze diverse, più Tribunali costituzionali (Germania e Austria);
• plurali parzialmente decentrati, in cui la funzione è distribuita tra i vari giudici e una Corte Suprema,
ma non c'è alcuna sovrapposizione tra i livelli (ordinamenti di common law non federali);
• plurali integralmente decentrati (ordinamenti di common law federali, Stati Uniti e la Russia).
In merito alle funZioni svolte, abbiamo sistemi monofunzionali e plurifunzionali: nei primi le Corti
svolgono funzioni sostanzialmente tradizionali (sistemi di common law), mentre nei secondi le Corti
vedono attribuirsi un novero di funzioni molto più cospicuo (Germania, Italia, Spagna). A seconda del
parametro di costituZionalità adottato, ai fini del controllo, distinguiamo sistemi limitati ed estesi: i
primi si rifanno solo alla costituzione nel formulare la loro sentenza, mentre i secondi si rifanno anche
ai trattati internazionali, alle convenzioni in materia di diritti e, in Europa, alle fonti del diritto
comunitario.
In riferimento all'oggetto, distinguiamo tra sistemi integrali (Bolivia, Moldavia, Angola, Turchia e Italia),
dove le Corti valutano la legittimità delle leggi, degli atti amministrativi, politici, dei trattati e, persino,
delle leggi di revisione, e sistemi parziali, in cui le Corti valutano solo la costituzionalità delle leggi e,
sovente, degli atti amministrativi. Anche le modalità di accesso costituiscono un parametro alla luce
dei quali distinguere le varie forme di controllo costituzionale: distinguiamo ordinamenti puri, che
utilizzano un unico sistema di accesso (incidentale, come negli Stati Uniti/preventivo, come in Francia/
diretto, come in Austria fino al 1929) e ordinamenti misti che utilizzano, contestualmente, più modalità
(maggioranza dei Paesi). Infine, a seconda dei soggetti coinvolti, abbiamo: ordinamenti chiusi, in cui
sono coinvolti solo enti/organi dello Stato, e ordinamenti aperti, in cui il controllo ha per protagonisti
anche i giudici e, perfino, persone fisiche (a volte anche giuridiche)19.

Cap 8 Organizzazione costituzionale


Sezione 1 – Organizzazione dello stato e organi costituzionali

Il termine stato definisce un’entità immateriale che non esiste in natura, ma è una volontà umana, che
fornisce a questa la qualità di personalità giuridica (alcuni stati non riconoscono questa come la Gran
Bretagna, dove il ruolo della corona è fondamentale); la dottrina tedesca ha elaborato un nuovo
modello poi copiato da tutte le Democrazie, dove gli Organi dello stato sono i soggetti che agiscono
in nome e per conto di questo e che gli atti sono imputabili direttamente allo Stato-persona giuridica.
Quindi lo stato è responsabile degli atti posti in essere dai propri organi. Vi sono organi definiti
costituzionali che si collocano al vertice dell’organizzazione dello stato e sono gerarchicamente
superiori a tutti gli altri.

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Sono costituzionali gli organi che in ciascun ordinamento costituzionale caratterizzano la forma di stato
e sono di solito: il parlamento, il governo e il capo dello stato, le corti costituzionali e il corpo elettorale
(che molto spesso è incluso come organo costituzionale, nelle democrazie dove vige il principio della
sovranità popolare).

Sezione 2 – Il popolo

1 Democrazia rappresentativa e democrazia diretta


Democrazia rappresentativa: il popolo governa tramite i propri rappresentanti (democrazia dei
moderni)
Democrazia diretta: il popolo prende attivamente decisioni di governo (democrazia degli antichi).
La Democrazia diretta viene considerata come l’unica vera forma di democrazia, rispetto a quella
imperfetta di rappresentanza. Un esempio di questa sono le città-Stato greche dove le decisioni erano
prese dall’assemblea dei cittadini, oggi questa la possiamo trovare solo nei Cantoni svizzeri; nella teoria
questa fa risalire al contratto sociale di Rosseau, che sostiene l’impossibilità di sostenere la volontà
generale e quindi sarà il popolo a esprimersi sulle leggi; altra teoria quella di Schmitt sul principio di
rappresentanza fondato sulla legalità.
Quindi profonde differenze con il sistema rappresentativo che organizza il potere e media tra interessi
contrastanti.

2 Sistemi elettorali
si intente l’insieme delle regole che disciplinano e precedono lo svolgimento delle elezioni, mentre la
formula elettorale è il meccanismo impiegato per trasformare i voti in seggi.
La distinzione è tra Formule maggioritarie e formule proporzionali, le prime attribuiscono i seggi a
chi ha ottenuto la maggioranza, i secondi li distribuiscono proporzionalmente al numero dei voti. Di
solito le formule maggioritarie sono praticate in collegi uninominali (un unico seggio), quelle
proporzionali in collegi plurinominali (distribuiscono più seggi). Tuttavia troviamo eccezioni come
sistemi maggioritari in collegi plurinominali (USA elezioni nei singoli Stati degli elettori presidenziali) o,
sistemi proporzionali in collegi uninominali (Bundestag in Germania per metà).
Troviamo altri fattori che influenzano il sistema elettorale: Il carattere categorico o ordinale del voto
ossia quando l’elettore ha più libertà di un voto di preferenza tra candidati di una lista o anche a favore
di lista diversa o quando ha libertà ridotta potendo votare solo il candidato designato; la delimitazioni
dei collegi elettorali se sono equi o iniqui; Altro fattore è l’ampiezza dei collegi ossia il numero dei
seggi attribuita a ciascuno, se sono ampi con minore percentuale di voti si ottiene un seggio e viceversa.
Le formule maggioritarie – richiedono la maggioranza assoluta dei suffragi validamente espressi (metà
più 1) per l’attribuzione dei seggi; queste operano in collegi uninominali nei quali viene eletto solo un
deputato, ma in pratica non si ricorre spesso a questa formula in quanto può provocare situazioni di
stallo qualora non si raggiunga la maggioranza assoluta dei voti, il più noto correttivo è l’introduzione di
un secondo turno di ballottaggio che può essere ristretta ai soli due candidati che al primo turno hanno
avuto maggiore percentuale di voti (Francia V repubblica, candidati 12,5% voti); altro correttivo è il
voto alternativo (camera dei rappresentanti australiana); il sistema first-past the post, sacrifica la
rappresentatività, penalizzando i partiti minori al fine di raggiungere maggiore governabilità.
Le formule proporzionali – sono le più presenti a livello mondiale e assicurano a ciascun partito un
numero di seggi rapportato alla sua forza politica e alla distribuzione degli elettori sul territorio
nazionale; quindi consento una proporzionata rappresentanza che i sistemi maggioritari penalizzano; le
formule proporzionali sono utilizzate in circoscrizioni plurinominali, la determinazione del quoziente
elettorale e la distribuzione dei resti costituiscono la operazione di distribuzione dei seggi, che possono
essere:
- Formula d’Hondt o della media più alta – usata in Belgio (dove fu inventata) Austria, Ger,
Olanda, Svizzera, e che consiste nel dividere i voti ottenuti da ciascun partito per 1,2,3,4 fino al
numero dei seggi assegnati al collegio; I seggi in palio vengono distribuiti ai quozienti più alti.

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- Formula Sainte-Lague – variante della formula precedente dove i divisori sono diversi (1,4;3;5;7
etc) introdotta nei paesi scandinavi dagli anni 50, e di solito più favorevole alle liste minori.
- Formula Hare o voto singolo trasferibile – usatto da Eire, Australia e Sud Africa per le elezioni
del senato. Dove elettori indicano in modo decrescente le proprie preferenze di candidati della
propria circoscrizione, e i candidati che raggiungono il quoziente con le prime preferenze sono
eletti.
- Formula del quoziente – dove quoziente elettorale è raggiunto dalla divisione del totale dei voti
validi per il numero dei seggi. Cosi i voti in un partito vengono divisi per il quoziente, dando
numero ai seggi. Usato Paesi bassi.
- Formule miste – compromesso tra elementi proporzionali e maggioritari nella composizione di
assemblee rappresentative. Come in Germania dove una parte dei seggi data con circoscrizioni
uninominali a un turno e l’altra parte proporzionalmente per compensare.

3 Istituti di democrazia diretta


la democrazia diretta storicamente è stata la forma iniziale di democrazia affermatasi nella storia
dell’umanità, ad Atene tra 461 e il 322 a.C.; gli stati moderni accolgono la formula della democrazia
rappresentativa (delega).
Gli istituti di democrazia moderna rappresentano gli strumenti con i quali il popolo, in condizioni
particolari e momenti particolari, si riappropria dell’esercizio delle proprie attribuzioni sovrane
partecipando direttamente alle scelte politiche dello Stato, scavalcando il ruolo del Parlamento.
Tali strumenti sono:
- L’azione del popolo
- Il diritto di petizione popolare
- Il diritto di iniziativa legislativa popolare
- La revoca degli eletti
- Il referendum
Il particolare con l’azione popolare il singolo cittadino si sostituisce nella rappresentanza legale di un
ente per l’esercizio di un diritto o interesse, per agire nei confronti dell’autorità.
Mediante la petizione popolare i cittadini portano a conoscenza dell’assemblea legislativa determinate
esigenze, affinché provveda.
Con l’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare il popolo si inserisce nel procedimento legislativo
proponendolo al parlamento (che è tenuto a prenderlo in considerazione) un determinato progetto di
legge.
Avvalendosi della revoca degli eletti il popolo sottrae il mandato ai propri rappresentanti in
Parlamento o all’interno di un organo legislativo. Gli USA revoca può riguardare un singolo
parlamentare.
Referendum è la richiesta fatta al corpo elettorale di pronunziarsi si un atto normativo; questo si
distingue in:
- Propositivo - quando la pronuncia del popolo riguarda un atto normativo;
- Consultivo – quando il popolo è chiamato a esprimere un mero parere;
- Sospensivo – quando la pronuncia del popolo è in grado di interrompere un inter normativo
già avviato;
- Confermativo – finalizzato a confermare un atto;
- Abrogativo – finalizzato all’abrogazione di una norma vigente.

Sezione III Il Parlamento

Il Parlamento è, insieme, organo assembleare, permanente, pluralista, rappresentativo e democratico. La


sua presenza è una condizione necessaria per una democrazia in cui cioè le decisioni politiche
corrispondano alla volontà e alle aspettative dei cittadini che in esso sono rappresentate.

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È con le rivoluzioni inglesi che si afferma il Parlamento titolare di poteri legislativi e di controllo
sull’esecutivo, e nel 1789 in Francia con la trasformazione del Terzo Stato il Assemblea Nazionale che
sancì la nascita del Parlamento nel continente, fino a quel momento questi erano solo organi che
amministravano lo stato.
Originariamente il Parlamento esercitava un’assoluta preminenza, i fattori che successivamente hanno
ridimensionato questa sono:
- L’avvento delle costituzioni rigide;
- Il crescente intervento del Governo nell’economia e nella vita sociale;
- Lo sviluppo di una democrazia diretta (referendum) (sindacati);
- La nascita di assemblee regionali dotate di potestà legislativa autonoma.
La crescente complessità delle questioni che oggi lo Stato si trova ad affrontare hanno contribuito al
ridimensionamento del Parlamento.
Dal punto di vista strutturale, l’affermarsi di sistemi parlamentari bicamerali è dovuta a interessi
differenti (ING Camera Lord e Camera Comuni); la scelta monocamerale invece per una autorità
indivisibile. Attualmente il bicameralismo non assolve più la funzione di rappresentare più classi e
vediamo infatti come vi è una predominanza della camera bassa, esempi di bicameralismo perfetto sono
pochi tra questi troviamo l’Italia.

2 Autonomia. Continuità e organizzazione interna


ogni Camera è soggetta al principio di auto-organizzazione:
a� Regolamenti parlamentari – adottati da ciascuna Camera, e danno esecuzione ai principi
costituzionali e che hanno portato molti ordinamenti a introdurre organi per il controllo sulla
costituzionalità.
b� Il Parlamento gode di autonomia finanziaria, nel rispetto dei principi di costituzionali, piena
autonomia di bilancio, senza escludere un controllo esterno; autonomia amministrativa senza
interferenze esterne, mentre in Germania non è autonoma ma parte dell’amministrazione
federale.
c� Il principio di continuità del Parlamento, per garantire autonomia e indipendenza e in base al
quale questo ha una durata prestabilita alla cui scadenza è prevista una nuova elezione. La
durata può essere estesa per cause eccezionali come lo stato di guerra.

La presidenza è l’organano direttivo che può agire come organo individuale o coadiuvato da un
organo collegiale denominato Ufficio di presidenza. Il presidente può essere espressione della
maggioranza, secondo il modello dello Speaker americano, o accettato sia da maggioranza che
minoranza che non prende parte ai dibattiti e di solito non vota.
Gruppi parlamentari sono strutture in cui vengono raggruppati i membri delle camere per affiliazione
di partito, dove i capi-gruppo ne rappresentano la voce, hanno un ruolo impo tra ordinamento
parlamentare e sistema dei partiti.
Le commissioni, nei Parlamenti si è decentrato la maggior parte del lavoro ad organi assembleari più
ristetti, le commissioni. Composte da parlamentari scelti per le loro conoscenze tecniche specifiche e
sono divise in.
- Permanenti quando sono create per tutta la durata della legislatura;
- Speciali istituite per determinati affari, fino alla fine propri lavori;
- Bicamerali o miste istituite nei Parlamenti bicamerali da un eguale numero di rappresentanti
per camera, per la risoluzione di controversi tra le due.

Il principio fondamentale che regola l’attività del Parlamento è la Programmazione dei Lavori, molto
impo per fissare l’ordine del giorno. Negli ordinamenti anglosassoni questo è istituito dal Governo.

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La disciplina dei Lavori, i dibattiti sono disciplinati dai regolamenti parlamentari, La validità delle
sedute è di norma condizionata dalla presenza di un certo numero di parlamentari; Le delibere sono
assunte a maggioranza dei presenti, tranne se sono previste maggioranze qualificate (decisione
dichiarazione di guerra); le delibere possono essere assunte a voto palese (appello nominale) o segreto
(voto elettronico) di solito questo per nomine, mentre quello palese è per la fiducia o sull’indirizzo
politico.
L’ostruzionismo consiste in una serie di tecniche adottate dai membri dell’opposizione per ritardare i
lavori parlamentari, tra questi:
- Il filibustering, prolungamento interventi e nell’iscrizione parlamentare;
- Il ricorso a proporre, discutere questioni che allungano i tempi;
- La presentazione di un alto numero di emendamenti;
- L’abbandono strategico dell’aula.
Per ridurre questi gli ordinamenti prevedono rimedi come:
- La Guillotte che predetermina la votazione e il giorno e l’ora finale;
- Il Kangaroo, che consente di selezionare gli emendamenti;
- La tecnica della Seduta a fiume che prolunga questa
- Ecc..

3 status dei parlamentari


Lo status di parlamentare prevede alcune prerogative, tra cui l’immunità parlamentare.
È di due tipi:
-insindacabilità, definita anche irresponsabilità, si applica alle opinioni espresse nell’esercizio delle
funzioni di parlamentare; riguarda qualsiasi tipo di responsabilità giuridica; è permanente (perdura
anche dopo il termine del mandato)
-immunità penale, definita anche inviolabilità, ha natura temporanea e consente al parlamentare di
essere sottoposto ad una responsabilità penale speciale, derogatoria rispetto al regime normale, anche
per atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle funzioni.Nella disciplina delle immunità si distingue tra:
-modello anglosassone: l’insindacabilità vale solo per le opinioni espresse in parlamento o nel corso dei
lavori parlamentari e l’inviolabilità tutela la libertà personale del parlamentare.

I parlamentari sono soggetti ai poteri disciplinari e spesso anche penali esercitati dal parlamento
-modello europeo continentale: l’insindacabilità è riferita non al luogo ma alle funzioni esercitate.
Assume quindi rilievo l’interpretazione più o meno estensiva di tale dizione. Un’interpretazione
restrittiva si è affermata soprattutto grazie alla giurisprudenza delle corti costituzionali (copre solo le
opinioni che siano legate da un nesso funzionale all’attività parlamentare e non qualsiasi dichiarazione
politica). Per quanto riguarda l’inviolabilità, generalmente è prevista la necessità di un’autorizzazione
parlamentare per le limitazioni alla libertà personale. È anche generalmente richiesta un’autorizzazione a
procedere per l’avvio dell’azione penale.

4 Funzioni
Funzioni del parlamento: due principalmente, legislativa e di controllo.Il controllo si esplica sull’attività
del governo e vi è la possibilità di far valere la responsabilità politica di questo che si può concretizzare
nella rimozione dalla carica o nella modificazione delle linee politiche.Nell’ambito del controllo vi sono
anche le funzioni conoscitiva (quando la ricerca di informazioni non ha carattere autoritativo, come le
udienze) e ispettiva (quando comporta vincoli e obblighi nei confronti di coloro che vi sono sottoposti,
come l’obbligo del Governo di presentarsi almeno una volta l’anno di fronte le camere, le interrogazioni
con le quali il Parlamento chiede spiegazioni etc..).
Esistono funzioni che non rientrano nelle due principali: funzioni di revisione costituzionale, di
indirizzo politico, di tipo giurisdizionale (es. autodichia), di tipo elettorale (elezione del capo dello stato,
dei componenti di corti).

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5 Rapporto di fiducia
Rapporto di fiducia, nelle forme di governo parlamentare e semipresidenziale è il canale attraverso il
quale parlamento e governo concordano l’indirizzo politico e si impegnano a realizzarlo.
Solo in alcuni ordinamenti è richiesto un voto di fiducia iniziale, nella maggior parte la fiducia è
presunta. In questo caso è possibile la formazione di governi di minoranza.
La responsabilità politica è istituzionale in quando un organo può, attraverso procedure, rimuoverne un
altro organo dalla carica; questo strumento è la di sfiducia o censura che può essere prevista dalla
costituzione o essere una norma consuetudinaria, costringendo il Governo alle dimissioni. La mozione
di sfiducia è spesso sottoposta a condizioni:
- numero minimo di firmatari,
- termine minimo di decorrenza tra la presentazione della mozione e la votazione,
- maggioranza assoluta per l’approvazione della mozione (anche se in alcuni ordinamenti è
sufficiente la maggioranza semplice),
in caso di mancata approvazione non è possibile ripresentarne un’altra per un certo periodo di tempo,
voto palese.
In alcuni ordinamenti la mozione ha una natura costruttiva: deve essere obbligatoriamente indicato il
nuovo primo ministro (Germania).In alcuni ordinamenti la sfiducia può riguardare anche un singolo
ministro (USA).

6 Atti di indirizzo e di controllo


Attraverso la funzione legislativa il Parlamento compie scelte che incidono sull’indirizzo politico. Che
possono chiamarsi leggi di Indirizzo che contengono decisioni politiche essenziali. In alcuni
ordinamenti il Governo può assumere la pienezza dei poteri solo dopo l’investitura del Parlamento. In
materia di finanza la regola dominante è quella che prevede l’approvazione parlamentare del bilancio
di previsione ossia un documento contabile dove sono indicate entrate e uscite di solito annuale; con
questo il Parlamento autorizza il Governo ad utilizzare le entrate ( in alcuni Gov non si può accrescere
le spese Canada, o accrescere le entrate GB). Tra il 2019 e il 2012 su pressione UE e BCE sono state
approvate revisioni costituzionali che introducono un vincolo del pareggio di bilancio (Ger, Ita, Spa e
Fra).
Anche la politica estera è un settore dove il Parlamento ha rivendicato poteri, senza però aver mai
intaccato il potere esecutivo. In particolare per i Trattati Internazionali alcuni ordinamenti non
prevedono l’intervento del Parlamento (New Zeland, Australia) la maggior parte invece richiede
un’approvazione preventiva o autorizzazione.

Sezione IV – Il Governo

1 Origini e struttura
il Governo è quel complesso di organi sia politici che amministrativi al vertice del potere esecutivo con
compiti di formazione e attuazione dell’indirizzo politico e di direzione dell’attività della pubblica
amministrazione.
In alcuni ordinamenti la funzione di governo è attribuita a due organi entrambi facenti parte del potere
esecutivo (esecutivo dualistico tipico delle forme di Governo semipresidenziale) anziché ad un unico
organo (esecutivo monistico), qui si distinguono le ipotesi in cui l’organo di vertice sia monocratico
(forme di Governo presidenziale) da quella in cui sia collegiale.Di solito il governo è un organo
complesso, è cioè formato da più organi individuali o collegiali. Alcuni di questi sono direttamente
previsti dalla costituzione e sono definiti necessari, altri sono eventuali, disciplinati da leggi ordinarie o
affermatisi per via consuetudinaria o convenzionale.La direzione del governo è solitamente affidata ad
un organo monocratico (presidente della repubblica (presidenziale) o primo ministro (parlamentare,
semi parlamentare e semipresidenziale). Eccezione la Svizzera ove il presidente si limita a svolgere le
funzioni di presidenza dell’organo collegiale.

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Molto importatati sono le funzioni assegnate al governo e al primo ministro di formare una struttura
organizzativa che affianca il primo ministro con funzioni informative, consultive e preparatorie delle
sue decisioni.Nell’ambito del governo i ministri assumono una duplice veste: membri dell’organo
collegiale (contribuiscono alla determinazione dell’indirizzo politico) e titolari di un dipartimento
(curano l’attuazione dell’indirizzo nell’ambito del settore di propria competenza). Talvolta
l’organizzazione dei ministeri e l’attribuzione delle competenze rientra nel potere di auto organizzazione
del governo. Altre volte è prevista dalla costituzione una riserva di legge.
La riunione dei ministri forma il consiglio dei ministri, Il modello usato da GB e Australia è diverso:
l’organo collegiale è il gabinetto numero ristretto di ministri scelti dal primo ministro.

2 Status dei membri del Governo


In vari ordinamenti esiste una normativa volta a evitare il conflitto di interessi che si verifica quando
un titolare di carica elettiva o pubblica gestisce un interesse privato che può influenzare l’esercizio dei
suoi doveri pubblici, l’ordinamento dove più di altri è prevista una disciplina in merito sono gli USA >
Le misure più significative riguardano l’obbligo di astenersi su qualsiasi questione sulle quali si abbia:
- un interesse finanziario,
- divieto di assumere incarichi o utilizzare notizie nei settori dove ha operato,
- obbligo del trasferimento della gestione del patrimonio di un pubblico ufficiale ad un
amministratore esterno e indipendente,
- obbligo di alienare alcuni beni indicati entro un determinato termine.

Anche nel Regno Unito sono previste misure analoghe.

In Europa continentale è più frequente l’esistenza di previsioni costituzionali relative all’incompatibilità


dei membri del governo, In Ger il Ministro non può assumere nessun ruolo remunerativo senza
l’approvazione del Bundestag.

Dello Status dei membri del governoÈ previsto in alcuni ordinamenti un regime speciale di
responsabilità dei ministri e del primo ministro per reati commessi nell’esercizio delle proprie
funzioni, questo è stato il canale attraverso il quale si è affermato il rapporto di fiducia per cui tale
responsabilità di fronte al Parlamento tende ad essere ormai recessiva e in vari ordinamenti non è
previsto alcun trattamento differenziato per i reati commessi dai ministri che, qualora siano
parlamentari, godono solo delle prerogative stabilite per questi. Negli ordinamenti che prevedono una
responsabilità penale speciale dei ministri, questa riguarda i reati compiuti nell’esercizio delle funzioni.

3 Formazione del governo


Di solito è un procedimento complesso disciplinato da norme costituzionali ma soprattutto da regole
consuetudinarie e convenzionali, di solito le norme costituzionali disciplinano sola la fase finale
(elezione, nomina, giuramento).
Circa la derivazione giuridica del Governo, si possono distinguere tre ipotesi: l’organo competente
può essere il corpo elettorale, dal Parlamento o dal capo dello stato. L’elezione da parte dell’organo
elettorale del vertice del potere esecutivo ricorre nei Governi Presidenziali per il Presidente, lo stesso è
per quelli semi-presidenziali ma è significativo quando è il Presidente a essere davvero il capo di stato e
non il Primo Ministro. Nelle forme di Governo parlamentari solo Israele da 96 al 2001 ha attuato
l’elezione diretta del Primo Ministro da parte del corpo elettorale.
L’elezione parlamentare del Primo Ministro o del Governo avviene su iniziativa dello stesso Parlamento
(Jap, Fin, Eire, Svezia, Svizzera) o su proposta Capo di Stato (Ger, Spa, Russia e Stati ex socialisti).
Più complessa è l’ipotesi della nomina del Primo Ministro da parte del Capo di Stato, nelle forme di
Governo semi-presidenziali europee, tranne che in (Eire, Austria, Fra, Islanda e Portogallo e nella
maggioranza monarchie parlamentari, Danimarca, Paesi Bassi, Lux, Norvegia, Regno Unito) il capo
dello stato grazie all’investitura popolare e alla prerogativa che deriva dalla tradizione monarchica
procede alla nomina senza un voto di fiducia obbligatoria del Parlamento.

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Invece alcune forme di Governo (Belgio, Ita, Gre, Turchia) alla nomina da parte del Capo di Stato deve
seguire un voto di fiducia del Parlamento.
La distinzione è fortemente condizionata da sistema politico e elettorale, nelle democrazie maggioritarie
l’indicazione della formula di governo viene compiuta dal corpo elettorale che attribuisce la
maggioranza dei seggi a un partito quindi sono obbligati dalla regola alcune volte contenuta anche nella
costituzione che impone di nominare il leader di quel partito; ovviamente la scelta del corpo elettorale
non è diretta ma avviene attraverso il l’elezione del Parlamento.
Nelle democrazie non maggioritarie fondate su un sistema multipolare e su un sistema elettorale poco
selettivo, tranne nei casi dove le elezioni dia un risultato chiaro (48 ITA) la scelta di solito del Primo
Ministro è frutto di un accordo post elettorale.

La formazione del Governo è una procedura semplice automatico e immediato nel caso del
bipartitismo o complesso nel caso del multipartitismo. In quest’ultima ipotesi la nomina del Presidente,
se nessun partito ha la maggioranza, viene disciplinata dalla costituzione e dalla consuetudine, si articola
in 3 fasi: preparatoria, costitutiva, integrativa dell’efficacia:
- preparatoria – la candidatura alla carica del Primo Ministro è automatica nelle forme di governo
maggioritarie, del leader politico del partito di maggioranza; nelle forme di governo non
maggioritarie qual ora nessun partito raggiunga la maggioranza assoluta la guida del governo
può essere data anche a soggetti non leader o a leader di partiti minori capaci pero di aggregare
una coalizione di maggioranza. Il metodo delle Primarie Usa è usato per la scelta dei delegati alle
convezioni nazionali dei due partiti che devono designare i candidati alla presidenza e alla vice
presidenza.
- Fase costitutiva – sfocia nella formazione dei Governi e di solito è disciplinata da costituzione,
di solito l’investitura riguarda solo il Primo Ministro ma talvolta è anche previsto che stili un
programma da far esaminare al voto del Parlamento con una lista dei ministri.
- Ultima fase è quella integrativa dell’efficacia che comprende di solito il giuramento dei
componenti di fronte al capo dello stato o al parlamento. In alcuni ordinamenti il governo deve
presentarsi innanzi al parlamento per ottenere il voto di fiducia

Per quel che riguarda la nomina dei ministri nei Governi presidenziali il Capo dello stato nomina e
revoca, in quelli semi-presidenziali la nomina e revoca spetta al Presidente della Repubblica, nei governi
parlamentari questa può spettare al Capo di Stato su proposta Primo Ministro (Spa, Ita) o formalmente
al Capo di Stato ma in realtà al Primo Ministro (ING) o direttamente al Primo Ministro (SVE).

4 Crisi di governo
si distinguere, nelle forme di governo caratterizzate dall’esistenza del rapporto di fiducia, tra crisi
parlamentari (determinate da un voto di sfiducia del parlamento) e crisi extraparlamentari.
Le crisi extraparlamentari possono essere suddivise in quattro ipotesi:
-quelle determinate da ragioni non politiche (morte, impedimento o dimissioni non derivanti da ragioni
politiche del primo ministro)
-quelle derivanti da nuove elezioni parlamentari (solitamente il governo presenta le dimissioni
nell’ipotesi di rinnovo del parlamento; non è escluso che venga riconfermato il precedente governo) --
quelle dovute al presidente della repubblica
-quelle derivanti da ragioni di partito (qualora il partito di maggioranza metta in discussione la
leadership del primo ministro.

5 Rapporti infragovernativi
Negli ordinamenti democratici ove vi sia una coesistenza al vertice dell’esecutivo di un organo
monocratico e di uno collegiale, si pone il problema della supremazia politica. Nei Governi di tipo
maggioritario vi è una netta preminenza del primo ministro. Nei Gov che hanno un funzionamento di

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tipo non maggioritario la formazione di governi di coalizione fra partiti riduce il primo ministro a
fungere da mediatore.

V Sezione Il capo dello stato

1 Natura e ruolo
Capo dello statoRappresenta l’unità nazionale sia all’interno che nei rapporti con gli altri stati.
Solitamente è un organo monocratico; è un organo collegiale solo in Svizzera.
In circa 2/3 degli ordinamenti il capo dello stato è il presidente della repubblica; negli altri è un
monarca.
Varie teorie sul ruolo del capo dello stato.
Una prima concezione lo considera capo del potere esecutivo, questo avviene nelle forme di Gov
presidenziale; in quelle semipresidenziali il suo ruolo è variabile a seconda del rapporto che si instaura
tra esso e la maggioranza parlamentare e quindi con il primo ministro.
Una seconda concezione lo vede come il garante della legittimità e della permanenza dell’unità statale,
ciò comporta che in caso di situazioni di crisi sia legittimato a proclamare lo stato di crisi e ad adottare
misure eccezionali in deroga alle previsioni costituzionali assumendo in prima persona la direzione
politica del paese.
Una terza concezione lo vede come potere neutro, un potere super partes e distinto dai tre tradizionali,
con il compito di moderarne i rapporti e risolvere gli eventuali conflitti. Nell’ambito di tale visione vi
sono varie teorie che hanno dato diverse letture alla neutralità: Capo dello stato come mera istanza
simbolica o come garante del rispetto della costituzione o con potere di intermediazione.

2 Derivazione e durata in carica


Circa la derivazione del capo dello stato, si distinguono tre ipotesi:
-nei sistemi monarchici l’ascesa al trono avviene per via ereditaria nel rispetto di norme costituzionali o
consuetudinarie che disciplinano la successione dinastica.
-nelle fdg presidenziali o semipresidenziali il capo dello stato è eletto dal corpo elettorale in modo
indiretto (solo USA) o diretto. In questo caso solo in Islanda e Slovenia è adottato il sistema
maggioritario a turno unico e a maggioranza relativa. Negli altri casi è adottato un sistema maggioritario
a doppio turno (con maggioranza assoluta al primo turno e relativa al secondo fra i due candidati più
votati)
-nelle repubbliche parlamentari il capo dello stato viene eletto dal parlamento o da un’apposita
assemblea federale. Nelle prime due votazioni è richiesta una maggioranza qualificata o assoluta, mentre
dalla terza o si riduce il numero di candidati o è sufficiente una maggioranza inferiore rispetto alle prime
due.

Mentre la carica dei capi di stato monarchici è vitalizia, quella dei presidenti della repubblica ha una
durata determinata. Nella maggioranza dei casi la durata del mandato presidenziale è superiore a quella
del parlamento in modo da garantire l’indipendenza del capo dello stato. Solitamente nelle costituzioni
sono stabiliti limiti alla rieleggibilità (limite dei due mandati che assume carattere assoluto solo in USA
mentre in altri riguarda solo quello successivo ai due già espletati). Pochi sono gli ordinamenti nei quali
non è previsto alcun limite alla rieleggibilità.
Per quel che riguarda la cessazione dalla carica, nelle monarchie questa si verifica in principio solo perla
morte del re il quale può però anche abdicare. Vi possono essere circostanze nelle quali la reggenza è
affidata in via provvisoria ad un reggente (erede al trono minorenne, vacanza del trono, impedimento o
rinuncia temporanea al trono). Il reggente può essere eletto dal parlamento o può salire al trono di
diritto. Nelle repubbliche il capo dello stato cessa dalla carica di regola alla scadenza del mandato. Può
esservi una cessazione anticipata per cause sopravvenute: morte, dimissioni, destituzione (può derivare
solitamente dalla sua messa in stato d’accusa da parte del parlamento o dalla sua condanna),
impedimento permanente (l’impedimento è previsto dalla maggioranza delle costituzioni repubblicane o

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senza alcuna specificazione o come incapacità o impossibilità di adempiere ai propri doveri o distinta in
permanente e temporanea. Alcune costituzioni individuano l’organo competente a dichiarare
l’impedimento: può provvedere la corte costituzionale o la corte suprema o il parlamento a
maggioranza qualificata).

La vacanza della carica prima della scadenza del mandato può dare origine a due ipotesi: negli
ordinamenti presidenziali insieme al presidente viene eletto un vice presidente che lo sostituisce fino al
termine del mandato; la seconda ipotesi è quella dell’elezione entro breve termine di un nuovo
presidente e nel frattempo si pone in essere l’istituto della supplenza che è diverso nei vari ordinamenti.
Nella maggioranza dei casi la supplenza è affidata al presidente del parlamento monocamerale o di una
delle due camere; più raramente viene assunta dal primo ministro; infine talvolta viene istituito un
apposito organo collegiale. Di solito i poteri del supplente sono limitati.

3 Poteri
Nei Gov presidenziali, il capo dello stato oltre ai poteri tipici di questo ruolo è anche titolare del potere
esecutivo.Nella maggioranza degli ordinamenti gli vengono attribuiti poteri di rappresentanza dello
stato e dell’unità nazionale, di garanzia del rispetto della costituzione, di iniziativa e di controllo nei
confronti degli altri organi costituzionali. In pratica gli atti del capo dello stato possono assumere natura
sostanziale (da lui effettivamente decisi) o meramente formale (limitandosi egli a sancire la volontà
espressa da un altro organo). Vi è poi il caso dell’istituto della controfirma ministeriale: negli
ordinamenti monarchici la controfirma è necessaria come contropartita dell’irresponsabilità del re.

Negli ordinamenti repubblicani si possono distinguere due ipotesi: la controfirma è prevista per tutti gli
atti del presidente; la controfirma non è prevista. I poteri del capo dello stato vanno valutati anche alla
luce del loro effettivo esercizio che dipende sia dai rapporti che si istituiscono tra gli organi
costituzionali sia dalla situazione politico-istituzionale.
Fra i poteri del capo dello stato particolarmente importanti sono la nomina del governo e lo
scioglimento anticipato del parlamento.
In alcuni ordinamenti il potere di scioglimento è un potere proprio del presidente che lo esercita senza
controfirma; in altri ordinamenti la titolarità sostanziale del potere è però generalmente del governo; in
alcuni casi assume natura di atto complesso (frutto della concorde volontà di capo dello stato e primo
ministro). Nelle costituzioni più recenti vi è la tendenza a indicare in modo rigoroso i presupposti
giustificativi dello scioglimento. Spesso nelle costituzioni sono previsti limiti di tempo per cui vi è
nell’ambito della legislatura un termine iniziale (prima del quale non è consentito lo scioglimento) o
finale (dopo il quale non è consentito); oppure deve decorrere un lasso di tempo da un precedente
scioglimento prima di procedere a uno nuovo; oppure divieto di scioglimento nell’ultima fase del
mandato presidenziale. Numerose costituzioni vietano lo scioglimento durante lo stato di guerra o di
crisi. In vari ordinamenti il soggetto titolare del potere deve chiedere pareri preventivi non vincolanti a
vari soggetti (parlamento, primo ministro, organo di garanzia, partiti, gruppi parlamentari).

In base sia alle previsioni costituzionali è possibile distinguere vari tipi di scioglimento:
- scioglimento maggioritario: deciso dal governo o dalla maggioranza parlamentare al fine di scegliere il
momento più favorevole per andare a nuove elezioni
- scioglimento funzionale: previsto di solito quando il parlamento non è in grado di garantire la
formazione di un governo
- scioglimento arbitrato: deriva dal conflitto tra parlamento e un altro organo costituzionale -
scioglimento di consultazione automatico: consegue in alcuni ordinamenti in caso di progetto di
revisione costituzionale
-scioglimento di consultazione libero: originato dalla volontà di sottoporre al corpo elettorale un
importante questione.

4 Responsabilità

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Occorre distinguere tra:


- -capi dello stato monarchici, per i quali vige una irresponsabilità personale, assoluta e
permanente che deriva dal fatto che i poteri di cui sono formalmente titolari spettano nella
sostanza ad altri soggetti
- -capi di stato repubblicani, per i quali il tipo di responsabilità si differenzia nei vari ordinamenti.
In primo luogo si differenzia la responsabilità giuridica (che si ha quando il comportamento è
valutabile in base a criteri giuridici predeterminati e può comportare sanzioni di tipo giuridico) e
responsabilità politica (che ricorre quando il comportamento venga valutato in base a criteri di
opportunità non oggettivamente predeterminati e può sfociare in sanzioni di tipo politico) che a
sua volta si differenzia in istituzionale e diffusa.

I presidenti sono soggetti a responsabilità politica istituzionale che può essere fatta valere dal titolare del
potere di elezione (parlamento o corpo elettorale) al termine del mandato mediante la non rielezione.
Tale responsabilità è configurabile soprattutto nelle forme di Gov presidenziale e semipresidenziale. In
alcuni ordinamenti dove è eletto a suffragio universale è prevista la possibilità di rimozione dalla carica
nel corso del mandato per decisione del corpo elettorale su iniziativa del parlamento.
Un’ipotesi intermedia tra responsabilità politica e giuridica è quella dell’impeachment in USA: il
presidente è giudicato da un organo politico e la sanzione è di natura politica ma tale procedura non
esclude che il presidente sia sottoposto per gli stessi reati al giudizio anche del giudice.
Per quanto riguarda la responsabilità giuridica, occorre distinguere tra atti compiuti nell’esercizio delle
funzioni o meno, per i primi viene generalmente il principio di irresponsabilità che non vale però per
alcuni reati per i quali il presidente è soggetto ad una responsabilità penale speciale (a seconda
dell’ordinamento: attentato alla costituzione, violazione di leggi, alto tradimento, gravi reati, azioni
scorrette o condotta incompatibile con la carica), l’iniziativa proviene di solito da una minoranza
qualificata del parlamento e la messa in stato d’accusa viene deliberata a maggioranza assoluta o
qualificata da un organo parlamentare. Il soggetto competente a giudicare può essere un organo
parlamentare, l’organo supremo della magistratura ordinaria, un giudice speciale o più frequentemente
la corte costituzionale. La sanzione può essere la sola destituzione dalla carica mentre in altri
ordinamenti vi può essere una sanzione di tipo penale. Per gli atti extra-funzione, nella maggioranza
degli ordinamenti democratici non è prevista alcuna immunità. In alcuni
ordinamenti è richiesta l’autorizzazione a procedere da parte del parlamento. In altri è prevista da una
disposizione costituzionale l’improcedibilità fino al termine del mandato.

Cap 9 GIUSTIZIA COSTITUZIONALE

1. Questioni definitorie
Per “giustizia costituzionale” si intende quel riscontro, da parte di un organo giurisdizionale, tra
costituzione e norme a essa subordinate, riscontro assistito dal potere di espellere le norme
contrastanti dall’ordinamento giuridico, dichiarandone la nullità o rendendole inefficaci.
Si usa distinguere fra giustizia costituzionale giurisdizionale, quella svolta da organi terzi, non coinvolti
nel processo formativo della legge, non portatori di interessi politici, e giustizia costituzionale politica,
ogni forma di controllo priva di questi requisiti.

2. Antichi precedenti: dal diritto attico al Bonham’s case


Aristotele fu il primo a teorizzare la superiorità della costituzione rispetto alle leggi.
Il precedente immediato del moderno controllo di costituzionalità si fa risalire al caso Bonham, in cui il
magistrato inglese sir Cock sostenne la sottoposizione del monarca alla lex terrae, esponendo la
propria nozione di legge fondamentale, identificandola con i principi della common law. Ma
successivamente tale concezione venne abbandonata in seguito ad una vittoria del potere legislativo su
quello giudiziario.
In Francia si arrivò ad affermare che dovesse esserci un controllo costituzionale, ma questo non fu
attribuito ai giudici, ma allo stesso potere legislativo, o ad organi agenti all’interno del procedimento

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legislativo.

3. Il controllo giurisdizionale: genesi del judicial review of legislation negli USA e caratteri del
controllo di costituzionalità
Nel ‘700 James Otis e John Adams sostennero che una legge contraria alla costituzione è nulla.
Negli USA, anche se non è previsto dal testo costituzionale, il sindacato di costituzionalità è da esso
riconosciuto implicitamente, stavilendo una gerarchia delle fonti normative, al vertice della quale è posta
la costituzione, come suprema legge del paese. Compete quindi alla Corte suprema verificare se una
legge è conforme alla costituzione, prima di ritenerla applicabile al caso concreto (Infatti il controllo di
costituzionalità si afferma anche in giurisprudenza, grazie al noto caso Marbury vs. Madison). Tale
controllo americano ha carattere diffuso, per cui ciascun giudice è abilitato a sindacare la conformità
delle leggi, che non è quindi di monopolio della corte suprema, alla quale però la costituzione
attribuisce la giurisdizione originaria (qui giudica in primo e unico grado una serie circoscritta di casi
relativi ad ambasciatori, consoli e altri rappresentanti diplomatici). Negli ultimi anni la corte suprema si
è trasformata in una vera e propria corte costituzionale, rifiutando però di svolgere attività di mera
consulenza in materia costituzionale. Si è però anche data cospicue autolimitazioni, utilizzando il self
restraint, circoscrivendo cioè l'efficacia delle sue sentenze, che è limitata alle parti in causa.

4. Un modello euristico: la Verfassungsgerichtsbarkeit kelseniana e la costituzione austriaca del


1920
Altro prototipo di giustizia costituzionale è quello elaborato da Kelsen, che lo tradusse in pratica nella
costituzione austriaca del 1920. Egli partì dal concetto di costituzione come norma superiore a tutte le
altre. Ritenne che la verifica di conformità dovesse essere esercitata da un organo organizzato in
tribunale. Il controllo potrebbe essere in effetti anche sollecitato dal popolo, ma per Kelsen questa
soluzione è sconsigliabile, dato che si presterebbe facilmente ad abusi. Sarebbe invece preferibile
attribuire a tutte le pubbliche autorità, il potere di sospendere il procedimento e di investire della
questione il tribunale costituzionale.
Oggetto del giudizio, oltre alle leggi, dovrebbero essere i regolamenti, gli atti normativi generali e i
trattati internazionali.
Quando il tribunale riscontri un vizio annulla la legge o sue disposizioni con efficacia pro futuro,
tranne un limitato effetto retroattivo.
Nell'ordinamento federale austriaco, con lo scopo di garantire il rispetto della costituzione, venne
istituito un Tribunale costituzionale federale.

5. Evoluzione del controllo di costituzionalità in Francia


Nella IV Repubblica francese il controllo di costituzionalità venne assegnato al Comitè
constitutionnel. Tale controllo era però circoscritto riguardo all’oggetto, e veniva esercitato
preventivamente, e per di più da un organo le cui garanzie di terzietà erano labili (aveva infatti una
composizione per lo più politica).
Dall'esperienza precedente, la V Repubblica capì che il controllo andava svolto prima della
promulgazione, nell'ambito dell'approvazione della legge. Il Conseil Constitutinnel si compone di 9
membri e il mandato è di 9 anni, e il fatto che questo sia più lungo di ogni altro incarico costituzionale
garantisce un profilo di parziale indipendenza, anche se oggi la provenienza dei membri è ancora
marcatamente politica.
Tale consiglio svolge il controllo preventivo sulle leggi. Un cambio di rotta si ebbe quando negli anni 70
il Conseil incorporò ai parametri del giudizio (bloc de constitutionnalitè) il preambolo della costituzione,
per cui le leggi dovevano essere conformi non solo alla costituzione del 1958, ma anche a quelle
precedenti (conseguentemente ai richiami operati ai testi precedenti nel preambolo).
Nel 1974 il potere di adire il Conseil venne assegnato anche a 60 deputati o a 60 senatori.
Dal 2008 il potere di proporre questione di incostituzionalità fu attribuito anche alla Corte di
cassazione e al Consiglio di Stato.

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6. L’ibridazione dei modelli più antichi: il controllo incidentale di costituzionalità


Il modello intermedio fra quello statunitense e quello kelseniano vede un organo costituzionale
unico e specializzato (come in Austria), ma, come negli USA, ogni giudice è interessato all’esercizio
del controllo di costituzionalità. Un giudice deve operare un preliminare giudizio di conformità sulla
questione, e qualora avesse un dubbio dovrà investire della questione la Corte costituzionale (per questo
si chiama incidentale).
In Italia si configura un modello che può essere considerato misto, in quanto fonde diffusione e
accentramento, e inoltre prevede ipotesi di accesso diretto, anche se quello prevalente resta quello
incidentale. È da notare che qualora l’incidente sia sollevato dalle parti, lo stesso giudice può statuire
definitivamente sulla questione di costituzionalità, se decide che essa è manifestamente infondata.
In Germania il controllo di costituzionalità è svolto dal tribunale costituzionale, e se ne distinguono 2
tipi. Uno è concreto, e ha per oggetto una norma individuata dal giudice nel corso di un giudizio, e non
una disposizione da interpretare. L’altro è astratto, quando non si origina da un procedimento
giudiziario, ma mira ad un raffronto tra disposizioni di diverso grado.
In Spagna si è privilegiato l'accesso diretto, e il Tribunale costituzionale giudica sull'incostituzionalità
delle leggi sottopostegli con 3 diverse modalità:
 l'accesso in via incidentale
 Il ricorso diretto, presentato dal presidente del governo, o da 50 deputati o senatori, dal
Defensor del Pueblo
 Il recurso de amparo, il piu usato, con cui ciascuna persona fisica o giuridica denuncia la
violazione di diritti o libertà fondamentali.
Il controllo di costituzionalità è successivo, con termine posto a tre mesi dalla pubblicazione della
legge. Era stato introdotto un controllo preventivo, ma è stato soppresso.

7. Un quartum genus? Sindacato diffuso e concentrazione del controllo in alcuni ordinamenti


europei e latino-americani
In alcuni ordinamenti, accanto al controllo diffuso, vengono assegnate competenze speciali, inerenti al
sindacato di costituzionalità, ad appositi organi centralizzati, ma l’anomalia sta nel fatto che ciò accade
negli ordinamenti di civil law, dove le pronunce dei giudici ordinari non sono efficaci erga omnes.
Un controllo parzialmente diffuso si ha in Portogallo, ove è data la possibilità di adire il Tribunal
Constitucional contro la decisione del giudice che disapplica la legge.
In Grecia invece i tribunali non possono applicare una legge il cui contenuto sia contrario alla
costituzione.
In Russia i giudici applicano direttamente la costituzione in caso di contrasto con la legge.
In tutti i casi menzionati il costituzionalismo più recente fa affiorare un’esigenza di uniformizzazione
del controllo di costituzionalità.

8. Esportazione e circolazione dei modelli


Ci sono modelli di giustizia costituzionale (come quello diffuso o accentrato) da cui altri ordinamenti
hanno attinto, nei lavori preparatori delle loro costituzioni, nel configurare i loro istituti di giustizia
costituzionale.

9. Diffusione del controllo preventivo


Circa la fase in cui si colloca il sindacato, il sistema più seguito nel mondo è quello successivo, situato
cioè dopo l’entrata in vigore della legge. Il controllo a priori invece non ha incontrato molta fortuna.
In Portogallo si ha sia un controllo preventivo che uno successivo.
Perché si preferisce colpire la legge incostituzionale dopo che essa ha prodotto i suoi guasti? Una
principale ragione si connette all’esigenza di sottoporre le disposizioni legislative alla prova
dell’interpretazione. Il controllo successivo risulta infatti assai più vantaggioso, poiché consente ai
giudici di salvare disposizioni che se non interpretate potrebbero in via preventiva essere colpite da
incostituzionalità.

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10. Circolazione del controllo diffuso


In Canada il controllo di costituzionalità compete a ciascun giudice, ma vi è anche una Corte suprema.
In Australia il grado di accentramento appare più accentuato, per l'esistenza dell' Alta Corte
d’Australia, che può essere adita quale ultimo grado di giurisdizione ordinaria, ed esercita giurisdizione
di primo grado sopra ad alcune questioni.
Negli ordinamenti sopra indicati ciascun giudice può disapplicare la legge incostituzionale, ma è la corte
al vertice a esprimere l'ultima parola e l'unica ad avere effetto vincolante delle proprie decisioni.

11. La circolazione dei modelli di controllo accentrato: pluralità di soluzioni


Sono sempre più gli ordinamenti in cui, anziché affidare a ciascun giudice il sindacato di
costituzionalità, si ha l’istituzione di un tribunale costituzionale ad hoc, che deve svolgere i compiti
di controllo sulle leggi. Ci sono molti stati in cui questo modello trova applicazione, e l’organo è sempre
ad hoc, nel senso che gli compete solo il controllo di costituzionalità di leggi e atti normativi. Non
esiste però un modello accentrato unitario, ma trova diverse forme all’interno dei vari Paesi.

12. Il Capo dello Stato quale “custode della costituzione” e il controllo di costituzionalità
“interno”
Oltre al controllo giurisdizionale di costituzionalità ci sono altre forme di sindacato sulle leggi.
 Un primo esempio si ha con l'attribuzione al Capo dello Stato di funzioni di controllo di
costituzionalità, o comunque egli è legittimato a ricorrere alla Corte costituzionale, o gli è
attribuito il potere di messaggio, con cui richiama il legislatore o altri al rispetto della
costituzione. Altra sua funzione è quella che si ha in sede di promulgazione-sanzione, dove egli
può opporre, per ragioni di costituzionalità, la propria volonta al Parlamento.
 Un altro esempio può essere quello della Francia, dove il Governo può opporre l'irricevibilità di
leggi o emendamenti incostituzionali.
 Oppure in Italia, con le commissioni affari costituzionali che controllano i requisiti di urgenza
dei decreti legge
 In Russia il Presidente può annullare i decreti e le ordinanze del governo.

13. Le Corti europee


Le corti europee (la Corte di giustizia delle Comunità europee e la Corte europea dei diritti
dell’uomo), sono 2 istanze giurisdizionali, la prima a carattere sovranazionale, la seconda a carattere
internazionale, che svolgono una funzione materialmente costituzionale all’interno dei rispettivi
ordinamenti.
La corte di giustizia delle comunità europee opera anche come giurisdizione costituzionale, e
attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale per cui in caso di dubbio per l'interpretazione di una
norma comunitaria il giudice interno sospende il giudizio e la rimanda ad essa. Questa corte si compone
di un giudice per ciascuno stato e 8 avvocati generali nominati dagli stti membri. È affiancato da un
Tribunale di prima istanza. Tale Corte “impone” il principio dell'applicabilità diretta del diritto
comunitario negli stati membri, e della disapplicazione del diritto interno con cui è in contrasto,
rilevando inoltre la responsabilità degli stati membri per inadempienza rispetto agli ordini comunitari,
e per mancata trasposizione di una direttiva.
La corte europea dei diritti umani è istituita dall’ art.19 della ConvenZione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che funge da costituzione del
Consiglio d'Europa. Tale corte si compone di un numero di giudici pari agli stati contraenti, eletti per 6
anni e il cui mandato si esaurisce ai 70 anni, godendo di autonomia regolamentare e decidendo a
maggioranza allegando però ognuno la propria opinione individuale.
L'adesione alla convenzione comporta l'accettazione della competenza obbligatoria della corte per
l'interpretazione della convenzione. Può essere investita di un ricorso interstatale, quando uno stato
membro imputi ad un altro l'inosservanza della convenzione, o anche un ricorso di tipo individuale,
quando un soggetto si reputi leso dalla violazione della Convenzione da uno dei firmatari.

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La corte può essere adita solo dopo che sono stati esauriti tutti i rimedi giurisdizionali interni, e le sue
sentenze sono obbligatorie, definitive e producono effetti inter partes, ma se la violazione dipenda da
norme interne dello stato si impone la modifica della legislazione viziata.

14. Modalità organizzative: la selezione dei giudici delle Corti supreme


Il controllo di costituzionalità si definisce giurisdizionale quando viene posto in essere da un organo del
quale siano assicurate l’autonomia e l’indipendenza.
nel modello diffuso (come in USA) le garanzie vengono a coincidere con quelle proprie della
magistratura. I giudici della corte suprema e delle altre corti federali sono nominati a vita dal presidente
e non devono necessariamente essere laureati in giurisprudenza, ma far parte delle alte cariche dello
stato, delle corti inferiori federali e statali o della facoltà di giurisprudenza, e bisogna anche tenere conto
dei criteri geografico etnici.
Altro criterio di indipendenza è la mancanza di aspettative dei giudici nei confronti del potere politico.
Altro criterio potrebbe essere il divieto di rimozione al parlamento, e dal divieto di diminuire il
trattamento economico.
In Giappone sono nominati a vita dal Gabinetto, e però all'elezione della camera dei deputati il corpo
elettorale deve confermarli (ogni 10 anni). Sono inamovibili, salvo impeachment o se diventano
giudizialmente incapaci.

15. Criteri di nomina o d’elezione nelle Corti costituzionali ad hoc


Nei tribunali ad hoc i giudici devono avere un'adeguata preparazione giuridica, per cui possono essere
solo giuristi di chiara fama. Solo il Belgio è un'eccezione perchè i giudici sono per metà politici e per
metà giuristi.
In italia si ha un organo apposito (la Corte costituzionale), collegato con il parlamento e con il
presidente della repubblica, che eleggono i 2/3 dei componenti ed il restante 1/3 è eletto dalle supreme
magistrature ordinarie, per un totale di 15 giudici. La durata è di 9 anni, e vi è divieto di rielezione per
assicurarne l'autonomia insieme alle guarantigie.
In alcuni casi i criteri di nomina si basano sull’esigenza di rappresentare pariteticamente il centro e la
periferia. Il Tribunale costituzionale tedesco infatti è composto da 16 giudici, 8 eletti dalla camera dei
deputati (Bundestag) e 8 dal Senato (Bundesrat).

16. L’accesso alle Corti costituzionali; in particolare, il ricorso diretto


Negli ordinamenti decentrati (federali o regionali) il ricorso degli enti periferici è quasi sempre
contemplato, meno frequente è quello dei minori enti territoriali.
Ma è il Presidente della Repubblica l'organo più frequentemente abilitato a bloccare preventivamente
una legge o ad impugnarla successivamente. Altri soggetti adibiti a ciò sono il Governo, le Assemblee
parlamentari, i loro Presidenti, minoranze parlamentari, il Defensor del Pueblo in Spagna, i sindacati o le
chiese.

17. La tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini: amparo e Verfassungsbeschwerde
L'idea che ciascun cittadino possa rivolgersi ad un giudice, lamentando la lesione di propri diritti
costituzionalmente protetti da parte di atti o comportamenti di autorità amministrative, si afferma in
molti ordinamenti.
Ad esempio in Spagna, dove è previsto il recurso de amparo, tramite il quale sono impugnabili atti
amministrativi e giurisdizionali, ma anche atti di soggetti privati.
Nella Repubblica federale tedesca, la Verfassungsbeschwerde può avere ad oggetto atti
amministrativi, giurisdizionali e legislativi. Il ricorso deve essere presentato dopo l'esaurimento delle vie
giudiziarie. L'azione diretta è esperibile solo se non esistono altri rimedi giurisdizionali, e se è
considerata indispensabile per eliminare o prevenire una violazione di diritti.

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18. Tipologia e forza delle decisioni di costituzionalità; le sentenze costituzionali come fonti del
diritto
Nei sistemi accentrati, il tribunale costituzionale che trova un vizio annulla la legge, mentre dove il
sindacato è diffuso il giudice disapplica la legge, ed il precedente vincola tutti i giudici di grado
inferiore. Di fatto quindi anche negli ordinamenti a sindacato diffuso la sentenza opera con efficacia
erga omnes.
Ricordiamo che una sentenza è composta dalla motivazione, che spiega la ragione della decisone, e da
un dispositivo, con il quale il giudice decide sulla vertenza. Nei sistemi a controllo accentrato è il
dispositivo a provocare l'annullamento della legge, nei modelli a sindacato diffuso, invece, il valore del
precedente abbraccia l'intera motivazione.
Proprio per questa loro forza vincolante si ricomprendono le sentenze in questione fra le fonti del
diritto, in quanto in ogni caso il risultato raggiunto è quello sì di espungere norme dall’ordinamento, ma
anche di crearne di nuove. Si crea diritto, nel senso che nel vuoto creatosi in seguito all’annullamento si
riversano le norme applicabili per analogia o quelle ricavate dai principi generali del diritto.

19. Sentenze di accoglimento, sentenze di rigetto e altri tipi di pronunce


L'alternativa secca tra accoglimento-rigetto di Kelsen ha mostrato i suoi limiti, e per cui si è arrivato a
sentenze
 Parziali, per annullare solo parte di una legge
 Interpretative, poiché un significato può essere conforme alla costituzione e un altro no, e per
cui si deve tenere conto del diritto vivente ma, allo stesso tempo senza rendere interpretazioni
cervellotiche per fare salva la legge.
 Additive, per l'incostituzionalità di una disposizione nella parte in cui non preveda alcunché
 Manipolative, nella parte in cui prevede una cosa anzi che un altra
 Ottative, che servono per far salva una legge invitando però il parlamento a modificarla.

20. Giudici e Parlamento di fronte al vincolo delle sentenze


La decisione che espunge una norma dall’ordinamento spiega effetti generali, quali soggetti risultano
vincolati dalle decisioni contrarie?
In numerosi ordinamenti la pronuncia del tribunale vincola solo le parti, comportando che un atto
oggi costituzionale può essere considerato incostituzionale in seguito.
Nella Repubblica federale tedesca alcune decisioni del tribunale hanno forza di legge, mentre in Spagna
si è assegnato valore giuridico alla ratio decidendi, e in Italia si è data forza di legge alle sentenze della
Corte costituzionale. Ciò significa autorizzare indirettamente il legislatore ad approvare una legge che
abroga la normativa insita nella sentenza della corte.

21. L’efficacia temporale delle pronunce


Se il controllo è preventivo si preclude l'entrata in vigore dell'atto. Dove opera il sindacato successivo
la disciplina degli effetti temporali non è univoca: a volte le sentenze hanno efficacia pro futuro, o si
possono rivolgere anche al passato.
Le sentenze di incostituzionalità operano dalla data di pubblicazione della decisione, oppure dopo una
breve vacatio. Nei sistemi a sindacato diffuso gli altri giudici sono vincolati al precedente, e nei sistemi
accentrati la retroazione si ha in relazione ai rapporti giuridici non ancora esauriti, e si arresta difronte
alle sentenze passate in giudicato.
Alcune volte però si differisce l'efficacia della sentenza per dare il tempo al legislatore di apprestare le
adeguate misure, per cui ad esempio in Austria l'incostituzionalità acquista efficacia dal giorno della
pubblicazione, che ha un termine non superiore a 18 mesi.
Nelle più recenti costituzioni l'efficacia differita è la regola, come nella Repubblica slovacca, dove le
disposizioni normative cessano di avere efficacia 6 mesi dopo la dichiarazione di incostituzionalità.

22. Il “discorso” delle corti e il loro “uditorio”, processi di decisione(invenzione) e processi di


giustificazione (validazione)

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In che modo giungono le corti ad assumere le proprie decisioni? Come giungono i loro componenti a
stabilire che una disposizione è incostituzionale? Tutto ciò attiene al contesto di decisione
(invenzione). E come giustificano le proprie scelte? Ciò attiene ai contesti di giustificazione
(validazione).
E a mano a mano che cresce l'autonomia del processo decisionale lievita anche il grado di libertà nella
selezione dei materiali giuridici, nella valutazione delle conseguenze della sentenza e nei valori da
privilegiare.
In ogni caso le decisioni dei giudici costituzionali sono sottoposte a verifica da parte di una cerchia di
soggetti, indicata col vocabolo “costituency”, che comprende l’artefice della nomina, la comunità di
giuristi e l’uditorio, cioè l’opinione pubblica. Sicuramente ciascun giudice è nella sua scelta condizionato
da quelli che ritiene possano essere i desiderata della propria constituency.
La collegialità è una caratteristica dell'organo che giudica le leggi e i processi formativi delle decisioni
sono difficili da analizzare, soprattutto dove non sia possibile manifestare opinioni individuali,
dissenzienti o concorrenti.

23. Limiti all’attività delle Corti


Le Corti costituzionali hanno però anche dei limiti di varia natura: linguistica, giuridico-istituzionale,
politica.
 Innanzitutto devono confrontarsi con i condizionamenti dei testi e dei contesti linguistici
ed extra linguistici (ovviamente non possono stabilire che “libertà di circolazione” voglia dire
“libertà di riunione”).
 Sono anche condizionate dalle disposizioni della costituzione e dalla legislazione
implementativa, la quale stabilisce quali limiti siano invalicabili.
 Devono tener conto anche dei precedenti giudiziari.
Raramente vi sono freni di indole politica. Ma le corti si possono anche autolimitare (c.d. Self restraint),
o rifiutare di dare pareri ad altri organi (c.d. advisory opinions)
la Corte suprema (USA) infine ha dichiarato che una proposta per essere sottoposta a giudizio deve
presentare una reale controversia.

24. Dalla regolazione delle competenze negli ordinamenti policentrici alla giurisdizione delle
libertà e dell’uguaglianza
Sicuramente vi è un rapporto tra struttura policentrica dello stato e genesi della giustizia costituzionale.
Il legame tra decentramento e giustizia costituzionale, oltre che in America, è stretto anche in Europa
nelle costituzioni degli stati tedeschi, e una delle funzioni di maggiore spicco svolte dal tribunale
costituzionale è proprio la soluzione dei conflitti legislativi.

25. Le altre funzioni delle Corti costituzionali


Altre funzioni delle corti costituzionali sono, ad esempio in Germania:
 la dichiarazione della perdita di diritti fondamentali per chi ne abusa
 la dichiarazione di incostituzionalità di partiti politici
 le decisioni su controversie tra organi, o tra Bund e Länder
 la verifica delle elezioni.
In Italia l'art.134 dice che spetta alla corte giudicare:
 Sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato
 i conflitti fra stato e regioni e tra regioni
 le accuse contro il presidente della repubblica
 sull'ammissibilità del referendum abrogativo.
Svariati ordinamenti hanno poi attribuito alla Corte altre svariate funzioni, come ad esempio quella di
accertare l’impedimento del Capo dello Stato.

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26.Modelli e ordinamenti attuali


Abbiamo visto come esistano vari modelli di controllo giurisdizionale, e come si sia palesata
l’insufficienza della dicotomia modello americano-modello austriaco. Dunque bisogna affiancarvi
ulteriori tipologie.
Possiamo parlare di sistemi unitari o sistemi plurali, a seconda che la Corte occupi una posizione
monopolista, o sia in “concorrenza” con altri soggetti (questa classificazione fa leva sulla classica
dicotomia fra controllo diffuso e controllo accentrato).
A seconda delle funzioni svolte distinguiamo fra sistemi monofunzionali e plurifunzionali.
A seconda dell’ ampiezza del parametro distinguiamo fra sistemi limitati, in cui come parametro si
ha solo la costituzione, e sistemi estesi, dove oltre la costituzione si considerano anche trattati
internazionali o convenzioni.
Per quanto riguarda l’oggetto, vi sono modelli con oggetto integrale per cui le corti possono
conoscere l'illegittimità delle leggi ,di atti amministrativi, di atti politici, di trattati, oppure parziali.

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