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Diritto pubblico comparato (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido
Carli)
1) Premessa
La storia del Diritto Comparato è legata al diritto occidentale, quindi per una comparazione
migliore bisogna anche tenere conto di termini come “amae” (armonia) del diritto giapponese, “fa” e “li”
nel diritto cinese, di “dharma” nel diritto hindu ecc.
Il Diritto Comparato studia le costituzioni anche nei paesi dove “non c’è” come il Regno
Unito; finalità principale della comparazione è produrre conoscenza. La comparazione organizza
sistematicamente la conoscenza attraverso l’operare raffronti per analogie e differenze, andando a
costruire modelli e classificazioni.Oggetto di questa comparazione “pura” sono i diversi diritti positivi
Hdnd
(ad es. fonti, diritti, giustizia costituzionale, decentramento dello Stato, organizzazione del potere ecc).
2) Comparazioni
1) Elementi determinanti;
2) Elementi fungibili;
3) Interrelazione tra elementi.
- Metodo casistico (case method): dal particolare al generale, dal concreto all’astratto.
Utilizzato dagli studiosi anglosassoni, ha come finalità la ricerca nel case law delle soluzioni
concrete al fine di estrarre la norma generale.
Importante per il comparatista è anche l’effettività delle norme oltre al dato testuale e quindi
svolgere indagini anche sull’esistenza di norme giuridiche quali consuetudini e convenzioni
costituzionali, tenendo conto anche dei contesti culturali, sociali, economici, politici in cui tutti ciò vive.
Il diritto comparato non corrisponde allo studio del diritto straniero anche se la comparazione
presuppone lo studio dei diritti stranieri ma tale studio è strumentale al confronto.
7) Macrocomparazione e microcomparazone
8) Classificazioni
1) Premessa
Le carte costituzionali riflettono (in tutto o in parte) i tratti caratterizzanti il sistema giuridico nel
contesto del quale si pongono come parametro supremo di riferimento. Le idee e i valori che ispirano
l’avvento di una costituzione mutano rispetto al vecchio regime; tuttavia, la costituzione nuova deve
necessariamente inserirsi in un quadro giuridico di rapporti, vincoli, facoltà, libertà,
obbligazioni ecc, che in genere sopravvivono alla nascita della nuova costituzione. La
costituzione disegna i rapporti tra autorità e libertà; detta gli aspetti organizzativi fondamentali
dell’assetto delle autorità pubbliche e formula i principi e i criteri a salvaguardia delle libertà dei singoli.
In questa sezione si prenderanno in esame le teorie sulla base delle quali si sono distinti i sistemi
giuridici secondo una classificazione degli stessi in famiglie giuridiche. Per la famiglia giuridica si
intende una classe omogenea entro cui raggruppare per finalità euristica ordinamenti giuridici
che presentano rilevanti tratti comuni. Con l’espressione sistema giuridico può intendersi
l’ordinamento giuridico in senso stretto oppure l’ordinamento giuridico in senso lato, comprensivo cioè
di quei fattori che fanno sistema con l’impianto più propriamente normativo e
interagiscono/interferiscono con il medesimo (fattori sociali, politici, economici, storici, culturali,
religiosi, ecc). In queste pagine utilizzeremo questa espressione nel suo significato più ampio.
- Romanistico;
- Germanistico;
- Anglosassone;
- Slavo;
- Islamico.
sulla base del criterio della originalità dell'ordinamento giuridico e della sua storia.
Circa vent’anni dopo Henri Lévy Ullman, basando la sua classificazione sul diverso valore
delle fonti del diritto all’interno dell’ordinamento, distingueva:
- Gruppo continentale;
- Gruppo di paesi anglofoni;
- Gruppo di paesi islamici.
Un approccio antropologico, invece, si rinviene nel tentativo operato all’inizio del 1900 da
Georges Sauser-Hall di distinguere gli ordinamenti giuridici sulla base della razza umana; esso
distingueva quindi:
All’interno della prima famiglia egli proponeva ulteriori sottogruppi: induista, iraniano, celtico, greco-
latino, germanico, anglosassone e lettone-slavo.
Negli anni ‘50 contestano il ricorso a criteri esterni di classificazione Pierre Arminjon, Baron
Boris Nolde e Martin Wolff i quali, al contrario, prospettano una classificazione basata sui criteri
intrinseci agli ordinamenti giuridici, tralasciando fattori non direttamente qualificabili come
giuridici quali la razza o la geografia. Conseguentemente, giungono a prospettare una classificazione
in sette gruppi:
- Francese;
- Germanico;
- Scandinavo;
- Inglese;
- Russo;
- Islamico;
- Induista.
La posizione di René David critica le dottrine precedenti per il fatto che non offrono criteri
classificatori veramente persuasivi. Gli unici elementi che a suo avviso possono essere utilizzati per una
classificazione in famiglie giuridiche sono il criterio ideologico e quello tecnico-giuridico. Il primo
criterio tiene conto del fattore religioso e filosofico proprio di ogni ordinamento, oltre che della
struttura sociale, politica ed economica; il secondo guarda aspetti più tipicamente giuridici.
David considera il primo criterio come quello determinante; sulla base di quest’ordine di idee, David
distingue in un primo tempo cinque famiglie giuridiche (diritti occidentali, diritti sovietici, diritto
musulmano, diritto induista e diritto cinese), successivamente restringe le classi a quattro:
Più recentemente (1984), Konrad Zweigert e Hein Kötz hanno rilevato che nella
identificazione dei diversi ordinamenti nel mondo contemporaneo devono tenersi presente due
principi: il principio della relatività per materie e il principio della relatività temporale. In base al
primo, la validità delle classificazioni dei raggruppamenti in famiglie non può che essere riferita alle
diverse branche del diritto, per cui se si guarda al diritto privato di un dato ordinamento esso può essere
inserito in una data famiglia giuridica, mentre se la prospettiva si riferisce al diritto costituzionale la
collocazione classificatoria potrebbe essere diversa. Il principio della relatività temporale, per parte sua,
implica la necessità di considerare il contesto storico, per cui un certo ordinamento potrebbe mutare la
sua collocazione da questa a quella famiglia in relazione al tempo e alle circostanze storiche che lo
attraversano.
In altri termini, Zweigert e Kötz affermano la necessità di relativizzare ogni classificazione
in famiglie giuridiche, svuotandole di pretese assolutistiche e assiologiche. Quanto poi alla
classificazione, essi ritengono che si debba far leva sugli stili giuridici di ciascun ordinamento e che lo
studio del diritto comparato avrebbe come oggetto precipuo l’individuazione dello stile giuridico di
questo o quell’ordinamento. Il concetto di stile si concretizza attraverso alcuni fattori rilevabili in
ciascun ordinamento. I fattori determinanti, secondo Zweigert e Kötz, sono cinque:
Sulla base di questi fattori, viene prospettata una classificazione in otto famiglie giuridiche:
famiglia romanistica, famiglia germanica, famiglia scandinava, famiglia di Common Law, famiglia
socialista, famiglia dell’estremo oriente, famiglie islamiche, famiglia induista. A queste famiglie
andrebbero poi aggiunti diversi sistemi ibridi, non classificabili, quali Québec, Louisiana, Scozia, Israele
ecc.
Ugo Mattei, intorno alla metà degli anni ‘90, disegna una nuova ipotesi di classificazione per
famiglie giuridiche sulla base delle recenti acquisizioni della scienza del diritto comparato. Egli muove
dall’assunto per cui ogni organizzazione sociale, ancorché primitiva, è una organizzazione
giuridica: il carattere della giuridicità infatti prescinde dall’esistenza della scrittura, dell’esistenza del
legislatore, del giudice o del giurista. Inoltre sottolinea la necessità di abbandonare una visione
eurocentrica degli ordinamenti e di riconoscere la diversità tra le organizzazioni sociali senza alcun
predominio delle concezioni occidentali.
L’ipotesi che Mattei propone prevede che i sistemi giuridici possono essere raggruppati in
tre principali famiglie giuridiche:
2) Premessa
L’analisi delle fonti che svolgeremo si basa sul criterio prevalente di produzione. In nessun
ordinamento, statuale o meno, esiste un modo esclusivo per produrre diritto. I vari tipi di fonte
si mescolano tra loro, e le norme giuridiche a volte si sovrappongono a regole non definite “giuridiche”,
come quelle religiose. Nel tempo e nello spazio, non esiste una concezione comune di diritto. Il
massimo grado di legittimazione si ha quando una regola consuetudinaria si fonda «su una tendenza
istintiva e su una pacifica norma etica, sponsorizzata dal soprannaturale» (Gianola), ricevendo l’avallo di
una regola politica.
3) Le consuetudini
Il diritto tradizionale permea tutt’oggi larga parte della produzione giuridica del mondo, anche
se viene normalmente svalutato dai costituzionalisti. La sensibilità del diritto privato comparato è
stata maggiore per i diritti consuetudinario, tribale, religioso. Non manca tuttavia, anche sul versante
pubblicistico, chi tenta di conciliare il diritto consuetudinario (tribale) e il diritto costituzionale. Sembra
possibile un diritto costituzionale altruista, ancorato alle tradizioni e quindi a base consuetudinaria. La
tradizione è un’opera di rappresentazione del reale basata su un insieme di dati appresi in
precedenza, il diritto tradizionale/consuetudinario sta alla base di uno schema teorico che permette di
valutare le riforme chiamando in calce i concetti di tradizione e di pluralismo giuridico. Dentro le
tradizioni il diritto consuetudinario rappresenta una base importante anche se non esclusiva: vi
concorrono infatti anche il diritto religioso, l’animismo, nonché altri tipi di regole.
In occidente, la definizione di consuetudine affonda le sue radici in un’elaborazione teorica
sviluppatesi dell’antichità; i requisiti che determinano l’affermarsi di una norma consuetudinaria
sono l’usus e l’opinio iuris, vale a dire la ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e
pubbliche di un dato comportamento (usus), cui si aggiunge la consapevolezza, in chi tiene in quel dato
comportamento, di un dovere giuridico di conformarsi all’uso (opinio iuris). La nozione di
consuetudine viene frequentemente riferita agli ordinamenti giuridici delle società primitive, siano esse
risalenti all’antichità o giuridicamente involuti. In genere, prevale in quelle società l’idea che i
comportamenti stabiliti dagli antenati, o dagli anziani, siano doverosi e non suscettibili di modifica.
Diversi testi che hanno costituito le basi di riferimento del moderno diritto sono stati il risultato
di un processo di codificazione o compilazione di consuetudini preesistenti (dal Corano alla Bibbia ai
Veda), ma queste fonti hanno conservato notevole importanza anche in Occidente, almeno sino al
definitivo affermarsi del diritto giurisprudenziale da una parte e del diritto codicistico dall’altra . Oggi le
consuetudini dimostrano la loro inadeguatezza di fronte a più sofisticati modi di produzione
giuridica e vengono prevalentemente relegate in un ruolo marginale. In particolare, il diritto
tradizionale viene oggi riscoperto in alcuni ordinamenti che lo incorporano nel diritto costituzionale,
addirittura parametrizzandolo ai fini del controllo di costituzionalità.
Il diritto consuetudinario svolge un’importante funzione anche nell’ordinamento
internazionale. In tale contesto, mancando un organo cui possano essere riconosciuti poteri
normativi formali, la principale se non l'unica fonte del diritto internazionale finisce per essere
l'insieme dei comportamenti tenuti dagli Stati e da essi accettati come giuridicamente rilevanti. Gli stessi
trattati assumono un ruolo di rilevatori di norme piuttosto che di creatori delle stesse.
Negli ordinamenti statali moderni la legge si impone sempre sulla consuetudine, in
ossequio a una consolidata concezione giuspositivista (salvo rarissime eccezioni). La consuetudine
abrogatrice è generalmente esclusa negli ordinamenti liberal-democratici per il primato conferito alle
fonti-atto. Nel diritto occidentale contemporaneo, dunque, la sfera di operatività delle consuetudini
si limita a quei casi in cui la stessa legge fa rinvio alla norma (consuetudo secundum legem), mentre
presenta tuttora soluzioni diversificate l'atteggiamento degli ordinamenti verso le consuetudini praeter
legem, relative cioè a materie non disciplinate dalla legge.
Alla radice del diritto convenzionale, dunque, sta un patto approvato all’unanimità (non
quindi secondo il principio di maggioranza) con il quale i destinatari delle regole da esso scaturite si
obbligano a osservarle. Nell’esperienza degli Stati contemporanei, la produzione normativa su base
pattizia o convenzionale si limita a poche ipotesi, per esempio nel caso di trattati internazionali che,
per effetto della ratifica, subiscono la trasformazione in diritto interno. Il diritto pattizio assume
oggi particolare rilevanza per la diffusa incorporazione dello stesso nei diritti nazionali, soprattutto per
ciò che riguarda i trattati a difesa dei diritti umani fondamentali, e per il controllo di convenzionalità,
subordinando a esso il diritto interno. Non di rado sono previsti da norme costituzionali patti,
concordati o intese (generalmente con le confessioni religiose) destinati a essere recepiti dal legge dello
Stato. È inoltre diffusa in molti odierne ordinamenti la contrattazione collettiva in materia di
lavoro, mediante la quale testi normativi redatti dalle parti con una struttura contrattuale
acquistano efficacia erga omnes per effetto di un apposita norma sulla produzione giuridica,
oppure in conseguenza della forza politica dei sindacati.
Particolare rilievo, per il rango loro riconosciuto, assumono le “convenzioni della
Costituzione”: si tratta di accordi, anche taciti, in forza dei quali i titolari di organi costituzionali
osservano regole di comportamento e relazioni reciproche al loro interno per il fatto di essere da
tutti accettate e condivise, e il limite della loro efficacia normativa è segnato dal venir meno del
consenso. Una posizione di primo piano hanno assunto le convenzioni costituzionali dell’ordinamento
britannico: si tratta di regole di comportamento costituzionale vincolanti gli organi politici di vertice;
esse non derivano dal diritto giurisprudenziale e non sono imposte dagli organi giudiziari. Si tratta di
norme finalizzate a definire l’area della discrezionalità costituzionale; peraltro, devono registrarsi
alcuni tentativi di superare il limite della costituzionalità delle norme convenzionali a opera di alcune
corti. Tra gli esempi più significativi si ricorda la trasformazione della forma di governo britannica da
costituzionale a parlamentare attraverso la mutazione dell’istituto dell’impeachment e l’introduzione del
rapporto fiduciario nonché il meccanismo di nomina del Primo Ministro. Convenzioni o consuetudini
hanno concorso a definire (ma anche a modificare) nel corso dell'Ottocento i poteri del Governo o del
Presidente del Consiglio in Francia e in Italia, oltre che in altri Paesi. Si pensi ad esempio all'obbligo del
Presidente della Repubblica italiana di consultare svariati soggetti politici e istituzionali prima di formare
un nuovo Governo.
Il fenomeno religioso interseca e attraversa il sistema delle fonti del diritto sin dalle società
primitive, che ne sono permeate. A ben vedere, le intersezioni del diritto presentano sempre più
frequentemente una spiccata pluralità: lo mette ben in evidenza Menski quando afferma che il diritto
deriva da fonti diverse che, in estrema sintesi, sono riconducibili a tre forme di espressione: statale,
sociale e religiosa. Queste fonti concorrono e interagiscono tra loro in vario modo: il dato che emerge
dall’esperienza è che giuristi, teorici e professionisti tendono a enfatizzare la centralità del diritto statale
e a sottostimare il ruolo delle fonti del diritto non statale (determinismo giuridico); secondo un
approccio plurale alla comprensione del diritto è necessario tenere in considerazione anche le altre
componenti e le loro interazioni.
Il c.d. diritto divino si sostanzia nella manifestazione della volontà di un’autorità
sovrannaturale che si impone ai destinatari delle norme con la minaccia di sanzioni
ultraterrene, con la presenza o meno di sanzioni terrene. Alcune religioni qualificano la rivelazione
divina come fonte del diritto (ebraica, cristiana e musulmana), altri culti religiosi presentano una forte
intersezione con il sistema delle fonti del diritto vigente ma non sono riconducibili alla nozione di
diritto divino in senso stretto e danno luogo a un diritto di ispirazione religiosa e tradizionale (è il caso
della religione indù).
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normative e una patologica refrattarietà del sistema giuridico cinese ad allinearsi agli standard
occidentali.
Prima che il Giappone avviasse il decisivo processo di occidentalizzazione del sistema giuridico
(a partire dalla seconda metà dell’Ottocento), la concezione prevalente poneva il diritto in una
posizione subordinata rispetto alla morale. Nel Medioevo si radica una cultura guerriera e
nazionalista: attraverso il riconoscimento della tradizione assumono rilievo giuridico forme di
produzione giuridica collegate non solo ai costumi, ma anche all’ultraterreno, o paradossalmente a “ciò
che c’è di più terreno”, la Madre Terra intesa come essere vivente. Così pure va ricordata
l'incorporazione per via giurisprudenziale dell'Ubuntu, il complesso delle tradizioni africane nel diritto
costituzionale sudafricano.
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Secondo una nota affermazione di René David «i popoli orientali, contrariamente a quelli
occidentali, non confidano nel diritto per assicurare la giustizia e l’ordine». Questa idea affonda le sue
ragioni della marcata impronta che il Confucianesimo ha impresso, nel corso di due millenni, allo
sviluppo di quelle società, un’impronta culturale che ha esaltato la visione filosofica e morale della vita
limitando al tempo stesso il margine di azione e di autonomia del diritto. In realtà, l’evoluzione e
l’ammodernamento di quei sistemi, dovuto principalmente agli intensi contatti con il mondo
occidentale, ha gradualmente assegnato al diritto una posizione di tutto rilievo, pur senza
rinnegare le radici filosofiche e moralistiche che sono alla base della convivenza civile. Secondo la
concezione classica del diritto in Cina, esso occupava una posizione sussidiaria rispetto all’etica
confuciana. A questa prospettiva si contrapponeva la scuola dei Legisti (III secolo a.C.) secondo la
quale per assicurare un’ordinata convivenza nell’impero erano necessarie leggi chiare e pene severe.
Queste due visioni trovarono il modo di coesistere: la convivenza civile era assicurata dai precetti
morali; l’individuo privo di virtù, incapace di osservare l’etica sociale, era soggetto alle norme
giuridiche. Le leggi cinesi, dunque, avevano a progetto non tanto la prescrizione di comportamenti,
quanto piuttosto il divieto la repressione di determinate condotte; erano sostanzialmente leggi
penali. Il primato della morale poneva nelle mani del giudice un ampio discrezionalità, mentre le norme
giuridiche si ponevano solo come punto di riferimento non vincolante.
Seppure il sentimento nazionale fosse assai forte, la società giapponese si aprì già dal 400 a.C. al
Confucianesimo che influì sulla religione nazionale, lo Shintoismo; nel 500 d.C. il Giappone si aprì
anche al Buddismo, che si diffuse rapidamente al fianco delle altre due religioni. A partire dal 1200 d.C.
gli Shogun governavano i propri territori in modo autonomo, anche se formalmente soggetti al
potere imperiale. Essi esercitavano in piena autonomia la funzione giurisdizionale e le loro sentenze
finivano così per costituire un corpo normativo; pertanto, il quadro giuridico di riferimento variava
da territorio a territorio. Sotto il dominio della famiglia shogun dei Tokugawa (1603-1867), il
Giappone conobbe un periodo di pace che consentì un processo di riorganizzazione del sistema
giuridico. Anzitutto le corti locali furono assoggettate a un tribunale centrale; furono prodotte
diverse leggi le cui norme erano principalmente di natura penale. Il diritto civile scritto era praticamente
inesistente e i rapporti civili erano regolati principalmente dalle consuetudini.
Intensi rapporti culturali tra la Cina il Giappone sono testimoniati da una comune concezione
del diritto; secondo la visione sino-nipponica il diritto occupava una posizione ancillare rispetto
alla morale. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, i due paesi e le rispettive concezioni del
diritto conoscono tuttavia divaricazione: nel 1870 il Giappone istituisce un apposito ufficio per lo
studio dei sistemi governativi stranieri, rivolgendo in particolare l’attenzione verso la legislazione
francese; parallelamente, i giapponesi rivolsero l’attenzione verso la crescente potenza della Germania di
Bismark. Finalmente, nel corso del XX secolo, il Giappone assume una propria fisionomia
giuridica senza tuttavia mai perdere di vista i diritti stranieri.
Più contorte e articolata e la vicenda del sistema giuridico cinese; ciò che rende difficile la
comprensione del diritto cinese è non soltanto la lingua, la cui traduzione non riesce mai puntualmente
a rimanere fedele all’originale, ma soprattutto il fatto che la divaricazione tra le regole scritte e le
regole applicate assume in Cina una dimensione abnorme. In sintesi, la principale fonte del diritto
scritto durante la dinastia Ch’ing era stato il Codice del 1646 che raccoglieva l’insieme degli usi e delle
norme tradizionalmente vigenti in Cina; alcune sue disposizioni erano ritenute fondamentali, altre
semplicemente accessorie, la materia principalmente trattata era quella penale. Nel 1908 il Codice venne
riformato: pur se l’intento era quello di innovare radicalmente il sistema giuridico cinese, l’impianto
delle tradizioni e soprattutto delle decisioni giurisprudenziali precedenti conservò un rilievo notevole.
Nel 1912 venne proclamata la Repubblica: si apre una fase politicamente assai convulsa che determinò
una forte instabilità istituzionale. Malgrado ciò, continuarono i lavori di codificazione avviati durante
l’ultima fase imperiale. Con l’avvento del governo nazionalistico di Chiang Kai-shek, si pose ancora
mano all’elaborazione dei codici pervenendo, anche sulla base di un intenso lavoro di comparazione
giuridica, alla predisposizione di un unico codice civile e di commercio. Con l’affermazione del
Partito Comunista Cinese (1949) e l’istituzione del regime comunista il ruolo del diritto torna a
essere marginale; l’applicazione delle regole giuridiche è rimessa alla libera interpretazione delle
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autorità politiche. La situazione precipita con la Rivoluzione Culturale (1966-1976): viene esaltato lo
spirito tradizionalista cinese in contrapposizione al formalismo giuridico. Per realizzare pienamente gli
obiettivi del comunismo si ritenne necessario smantellare i tribunali, chiudere le facoltà di
Giurisprudenza, deportare i giudici, gli avvocati e i giuristi del mondo accademico. Occorre attendere
la fine degli anni ‘70 per ritrovare una fase di riconoscimento e rivalutazione del ruolo del
diritto come strumento di governo della società. Furono ripubblicate numerose leggi degli anni
precedenti e si approvarono nuove leggi nel quadro di un fervore legislativo che avviò l’approvazione
della nuova Costituzione del 1982, tuttora vigente.
La parte del diritto canonico di derivazione divina (ius divinum) si compone dello ius divinum positivum,
che risulta dalla rivelazione delle Sacre Scritture e del messaggio evangelico, e dello ius divinum naturalem,
che invece assume a fondamento l’identità tra volontà divina e razionalità. I destinatari del diritto
canonico sono tutti i battezzati: essi sono soggetti all’ordinamento della Chiesa alla cui applicazione
provvedono i tribunali ecclesiastici. Oltre a trovare applicazione nello Stato della Città del Vaticano, il
diritto canonico al giorno d’oggi viene applicato, in alcuni Paesi e limitatamente a taluni rapporti, sulla
base di un regime concordatario.
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confessionale. Tuttavia, il diritto religioso ebraico, e non altri, rileva all’interno del sistema giuridico
israeliano attraverso i principi fondamentali della tradizione di Israele riconosciuti espressamente nelle
leggi fondamentali, come il ruolo delle Corti religiose. Al di fuori dello Stato di Israele, il diritto ebraico
può trovare applicazione per volontà degli ebrei stessi che, talvolta, al fine di regolare il rapporto con lo
stato di insediamento promuovono forme di intesa giuridicamente vincolanti tramite esso.
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metà da giuristi laici. Si determina così una commistione di fonti tra supremazia religiosa e
sovranità popolare, tra teocrazia e costituzionalismo.
6) Il diritto giurisprudenziale
L’autorità derivante dalla ragione costituisce il fondamento della produzione del diritto per via
giurisprudenziale. Sin dall’antichità, le regole da applicare al caso concreto risultano dal ragionamento
umano volto a ricercare la soluzione al conflitto di interessi privilegiando la forza del diritto rispetto
al diritto della forza (secondo tecniche nazionali). Allo stato attuale, il diritto giurisprudenziale ha un
ruolo di grande rilievo negli ordinamenti contemporanei.
Il dibattito ha ricevuto nuova linfa con l’avvento delle moderne costituzioni; le costituzioni rigide,
programmatiche, ideologiche, compromissorie, polisemiche, solo in parte immediatamente precettive,
hanno posto problemi nuovi relativi all’interpretazione non solo di ciascuna costituzione, ma
anche di ciascun ordinamento complessivo, oltre a problemi relativi all’interpretazione di ciascuna
costituzione alla luce delle interpretazioni di altre costituzioni.
Al centro del problema si è posto il ruolo dei diritti nell’attività interpretativa. Il diritto
comparato fornisce lo strumentario per lessici, valori, principi e norme comuni che si assumono a
paradigma interpretativo di diversi testi.
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Nel diritto islamico, i principi rivelati dall’Arcangelo Gabriele a Maometto furono codificati nel
libro sacro, il Corano (si tratta del testo fondamentale del diritto islamico classico) e, in quanto
espressione diretta della volontà di Dio, non è suscettibile di essere modificato dall’uomo. La Shari’a,
l’insieme delle regole religiose giuridiche che traggono origine direttamente dal Corano, non può
tuttavia fare a meno dei dotti per operare concretamente nelle società islamiche organizzate. I dotti,
attraverso la loro attività accademica denominata Fikh, esplorano e descrivono la Shari’a; svolgono
dunque un’attività che è in relazione alla Shari’a come la scienza del diritto lo è al diritto.
Anche il diritto indù (brahmanico), di origini arcaiche, nel corso del tempo, in varie fasi di
commistione con la tradizione giuridica islamica e poi britannica, ha conosciuto un rilevante apporto
dai dotti. Si deve infatti a numerosi commentatori l’aver dedotto dalle regole arcaiche di natura religiosa
e sociale norme più idonee a disciplinare la vita della società indiana. Ai giuristi si devono le raccolte
di regole e commenti (Nibandha), considerate interpretazioni autorevoli delle scritture originarie
e che secondo alcuni autori vanno tenute in conto come vere e proprie fonti del diritto.
È proprio nell’ambito di questa seconda direttrice che sembra configurarsi quelle che la dottrina
internazionalistica ha chiamato costituzionalizzazione del diritto internazionale, intendendo con ciò una
sorta di prolungamento del costituzionalismo che conosciamo a livello nazionale. La complessità sta
proprio nella circostanza per cui i diritti umani, attraverso i canali e i capillari di interconnessione
propri della globalizzazione, esplicano sempre più pienamente una loro naturale attitudine,
ossia quella di andare oltre gli ordinamenti nazionali e di trascendere i singoli ordinamenti
giuridici.
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Più problematica appare la definizione delle c.d. soft law. L’espressione nasce agli inizi degli
anni ‘70 tra gli studiosi anglosassoni del diritto internazionale per indicare alcuni tipi di atti normativi
caratterizzati dalla mancanza di efficacia immediatamente vincolante. Successivamente
l’espressione è stata utilizzata anche in seno ad altri ordinamenti giuridici per indicare un insieme
disomogeneo di atti e fatti normativi che sotto qualche profilo non poteva essere ricondotto alla
normale tipologia delle fonti del diritto di stampo autoritativo, stante la tenue efficacia giuridica oppure
il carattere partecipativo dell’iter di adozione. Più precisamente, la carenza di efficacia
immediatamente vincolante va intesa in senso lato e non tecnico: gli atti di soft law sono produttivi
solo di alcuni tipi di effetti; si tratta di norme giuridiche incomplete, nel senso che non sono
assistite da strumenti di coazione o da sanzioni che derivano in via diretta della loro inosservanza.
Manca, in altre parole, la struttura tipica della norma giuridica, il comando di stampo autoritativo
corredato di sanzione irrogata della pubblica autorità.
In concreto, gli strumenti di soft law rinvenibili nel diritto internazionale sono riconducibili ai c.d.
accordi non vincolanti (non-binding agreements), nonché alla vasta ed eterogenea produzione di atti da
parte delle organizzazioni internazionali, tra cui in particolare le risoluzioni e raccomandazioni. In
ambito comunitario gli strumenti di soft law sono piuttosto diffusi: si va dagli strumenti di regolazione
delle relazioni tra gli organi dell’Unione Europea (accordi interistituzionali) agli strumenti di
elaborazione delle politiche comunitarie (in particolare i c.d. atti preparatori) che assumono la forma
delle comunicazioni della commissione e che si distinguono comunemente in libri verdi, libri bianchi e
piani d’azione, o ancora le raccomandazioni della Commissione e del Consiglio dei Ministri, le linee
guida e i codici di condotta. Lo stesso diritto transnazionale, di cui si è detto poco sopra, costituisce il
terreno di sviluppo di forme di soft law. In particolare, viene in rilievo l’attività normativa posta in essere
da soggetti privati in piena autonomia (in genere organizzazioni internazionali espressione di
determinati operatori economici ovvero operatori economici di dimensione multinazionale); questa
attività si concretizza in atti di autoregolamentazione la cui efficacia, tuttavia, si estende ben oltre i
soggetti che li hanno volontariamente posti in essere. Sicché, tali atti sono potenzialmente in grado di
incidere nella sfera di altri soggetti che operano nel medesimo settore economico, indipendentemente
dalla loro volontà (ad esempio, le norme autoregolamentari poste da rilevanti operatori economici o
organizzazioni degli stessi che finiscono per operare nei confronti della clientela o dei fornitori di beni e
servizi).
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- King’s Bench;
- Common Pleas;
- Exchequer.
L’affrancarsi delle corti di Common Law dal patronato regio portò con sé l’esclusione della prerogativa di
decidere una questione con i margini richiesti dal caso concreto e in deroga alla Rule of law. A partire dal
XIV secolo, in assenza di margini discrezionali da parte dei giudici, la rigidità di formule e schemi
cominciò a mostrare la sua inadeguatezza nel rendere giustizia in tutti i casi che non erano riconducibili
alle fattispecie consolidate, e se le corti regie non erano in grado di rendere giustizia (coerentemente con
una mentalità di tipo feudale) il re doveva porvi rimedio: apparve così del tutto naturale che le vittime
di decisioni non conformi al senso di giustizia potessero rivolgersi direttamente al sovrano, il
quale soltanto poteva legittimamente staccare le sue decisioni dai protocolli della regola
generale. In tali circostanze il ricorso veniva presentato al cancelliere del re e questi lo sottoponeva al
sovrano in seno al King’s Council; ma già intorno al 1400 il numero di appelli al Re aveva raggiunto un
numero così elevato da indurre il Re stesso e il consiglio a delegare la propria autorità al cancelliere.
Nel corso del XV secolo la Court of Chancery, cioè l'ufficio della cancelleria, divenne una corte
monocratica; la sua procedura seguiva il modello inquisitorio continentale, con pochi formalismi e
una certa speditezza. Si trattava della c.d. procedura romano-canonica, che si svolgeva quasi del
tutto in forma scritta, nota anche come bill procedure dal nome dell'atto di petizione che introduceva il
giudizio. La giurisdizione del cancelliere aveva dunque quei caratteri di discrezionalità propri dell’antica
giustizia regia; potendo egli considerare i caratteri peculiari di ciascuna lead, amministrava giustizia
secondo aequitas. L’equity, in altri termini, era il diritto giurisprudenziale derivato dalle pronunce
della Court of Chancery; ben presto esso si andò formando e consolidando in competizione con il
diritto giurisprudenziale derivato dalle pronunce delle corti di Common Law. Naturalmente le prerogative
della Court of Chancery non erano illimitate: essa non era abilitata a disconoscere i diritti tutelati
dalla Common Law, ma solo ad agire nei riguardi della persona del convenuto. Poteva tuttavia
disporre la sospensione di un giudizio di Common Law quando ne ravvisasse un esito iniquo o viziato
oppure, su istanza del soccombente, disporre la sospensione dell’esecuzione di una sentenza di un
tribunale di Common Law per sostituirla con un rimedio conforme a equità. Dunque
l'amministrazione della giustizia secondo equità sembrava rispondere, almeno in un primo periodo, a
princìpi e criteri giuridici commisti ai princìpi del diritto romano e del diritto canonico.
Sotto Enrico VIII si assistette alla secolarizzazione della cancelleria con il trapasso delle funzioni
giudicanti dai religiosi canonisti ai common lawyers, impreparati rispetto al diritto romano-canonico;
l’equity venne dunque a consolidarsi e a stabilizzarsi in un diritto giurisprudenziale articolato in un
complesso sistema di casi giudiziali e istituti. La storia del diritto inglese testimonia, peraltro, come
questo passaggio non sia stato privo di tensioni e conflitti: protagonisti indiscussi del confronto tra la
sclerotizzata Common Law e l’emergente giurisdizione d’equity furono da un lato Sir Edward Coke,
paladino della rule of law, e dall'altro cancellieri quali Ellesmere e Bacon. Tuttavia, a partire proprio da
Bacon, i cancellieri ritennero di dover esercitare un certo self-restraint nell’esercizio della loro
giurisdizione finché nel 1676 il cancelliere Lord Nottingham stabilì che la coscienza del giudice
d’equity era da considerarsi non interna, ma civile e politica; in sostanza, «equity follows the
law»: il cancelliere tende a decidere non tanto in nome della legge morale, quanto sulla base di
motivazioni giuridicamente rilevanti. Con ciò si posero le fondamenta per una coesistenza tra
Common Law ed equity, la quale ancora oggi rappresenta uno dei connotati delle sistema di Common Law e
gli conferisce una singolare struttura dualistica.
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scoprire l’antica consuetudine, sarebbe errata dunque la decisione che successivamente si discostasse dal
precedente; dall'altro lato, se è vero che la decisione giurisprudenziale ha una mera funzione dichiarativa
-e non creativa- del diritto non può escludersi l'ipotesi che essa sia frutto di una erronea dichiarazione, e
dunque resa ab iniuria. In tal caso non si vede perché il giudice successivo, sulla base di migliori e più
persuasive argomentazioni giuridiche, non possa correggere il precedente. Per cui un mutamento della
giurisprudenza si giustifica solo come correzione di un errore del precedente. Ma deriva che, per
sua stessa natura, la negazione del precedente (overruling) ha efficacia retroattiva. Negare o discostarsi da
un precedente equivale a creare diritto.
Un precedente vincolante può essere revocato da un giudice superiore a quello che lo
ha stabilito nonché, laddove non opera lo stare decisis orizzontale, da un giudice appartenente allo
stesso ufficio di quest'ultimo. La revoca, che è detta overruling, determina l'esclusione retroattiva del
precedente dalla Common Law e la sua sostituzione con il nuovo precedente stabilito dal giudice che
l'ha operata. L'overruling deve essere adeguatamente motivato con riferimento, ad esempio, a una più
approfondita analisi della fattispecie, al mutamento delle circostanze di fatto o all'interesse pubblico.
La vincolatività del precedente può inoltre essere superata con il distinguishing: in
questo caso il giudice esclude l'applicabilità di uno specifico precedente al caso di specie sulla base delle
sottili differenze in fatto che possano marcare una certa distanza fra la fattispecie portata al suo esame e
la fattispecie in passato decisa da altro giudice, sempre che tali differenze si possano considerare
rilevanti per la questione da decidere. In altri termini, con il distinguishing il giudice dimostra che
l'identità tra la fattispecie portata al suo esame e quella del precedente è solo apparente. Il
ricorso a questa tecnica che gioca un ruolo molto importante nei sistemi di Common Law è (a differenza
dell'overruling) possibile anche ai giudici inferiori.
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La forma di produzione giuridica definita diritto politico assume una dimensione vestissimo,
considerato che negli Stati contemporanei è di gran lunga la più diffusa. Essa infatti presenta come
carattere identificativo il fatto di promanare da un’autorità politica, generalmente uno o più
organi di vertice dell’ordinamento, la quale sulla base di valutazioni di merito traduce in norme
giuridiche l’indirizzo politico di governo. Si tratta di una categoria dai confini estremamente vasti,
diviene dunque indispensabile procedere a ulteriori distinzioni e classificazioni. Ad esempio, è possibile
rilevare tra le fonti politiche significative differenze a seconda delle varie forme di organizzazione
politica nell’ambito delle quali esse vengono prodotte. Sicché, cospicue diversità derivano dal fatto che
uno stesso tipo di fonte operi in uno stato a struttura centralizzata o in uno stato a struttura pluralistica;
oppure a seconda che la forma di Stato risulti essere autoritaria o democratica e, in quest’ultimo caso, a
seconda del tipo di forma di governo disegnata dalla Costituzione (parlamentare, presidenziale, ecc).
In tale quadro, una particolare posizione deve riconoscersi al diritto ideologico, vale a dire a
quella forma di produzione normativa in cui è profonda l’osmosi tra il diritto e l’ideologia
politica dominante. Il riferimento di maggiore evidenza per questo tipo di fonti è dato dal sistema di
diritto sovietico così come configuratasi tra il 1917 e la fine degli anni ‘80.
7.1) In particolare, il Civil Law dalla grande codificazione alla crisi della legge
Ciò che distingue tali consolidamenti e codificazioni dai codici elaborati sulla base delle idee del
giusnaturalismo razionalista, dell’Illuminismo, del Giuspositivismo non è tanto la fonte, pubblica in
entrambi i casi, né il valore (ufficiale) o il carattere normativo, quanto piuttosto il fatto che esse, ma non
questi ultimi, presuppongono la sopravvivenza dei diritti particolari e dello jus commune.
Dall’Ottocento, in gran parte d’Europa, la legge per antonomasia è dunque il codice: «un libro
di regole giuridiche organizzate secondo un sistema e caratterizzate dall’unità di materia,
vigente per tutto lo Stato, rivolto a tutti i soggetti all’autorità politica statale e da questa voluto
e pubblicato». Le codificazioni francesi, germaniche e svizzere rappresentarono i modelli di una
recezione di portata ecumenica. Lungi dall’esaurirsi la propria influenza nei Paesi già oggetto delle
conquiste napoleoniche (come la Svizzera, l’Italia, i Paesi Bassi, il Belgio) i codici francesi vennero
esportati in ogni altra regione d’Europa e del mondo. Immuni dagli influssi del Common Law, nel XIX
secolo tutti gli Stati latinoamericani che avevano appena raggiunto l’indipendenza si dotarono di codici,
guardando al modello francese. Ai codici francesi si ispirarono anche, nel nord del continente
americano, la Louisiana, il Québec e persino la California e il Dakota; nonché, dopo la colonizzazione,
le ex colonie francesi oltre alla Somalia e l’Etiopia. Nei territori musulmani l’impianto dei codici francesi
non fu così indolore come in America latina. Va prestata attenzione anche alla circolazione dei codici
tedeschi, e in particolare del BGB (Codice civile tedesco), la cui influenza fu notevole in Giappone,
Cina, Brasile, Perù, Ungheria, Jugoslavia, Cecoslovacchia e Grecia.
Il raccordo tra codice e società del suo tempo si incrinò non appena il problema liberistico da
esso espresso si dimostrò insufficiente ad affrontare la nuova missione che lo Stato si proponeva in
campo sociale. La critica ai codici provenne sia da componenti politiche sia dalla Chiesa, dalla dottrina,
dalla giurisprudenza chiamata a interpretare i codici e che giunse a rivendicare un ruolo creativo. Fu
però lo stesso legislatore a infliggere il decisivo colpo al modello codicistico, nel quale lo Stato liberale si
riconosceva. Dalla fine dell’800, e soprattutto dopo la prima guerra mondiale, le legislazioni
lavoristica, assicurativa, previdenziale, sugli alloggi e via dicendo vennero ad affiancarsi e a
sovrapporsi ai codici, formando un corpo di leggi speciali con le quali i parlamenti volevano
soddisfare i bisogni di nuove classi e di particolari gruppi. La legge speciale non si caratterizza solo per
il suo contenuto; la tecnica legislativa si corrompe, e la formulazione degli enunciati non presenta più la
limpidezza di codici; alla legge vengono a mancare le caratteristiche di generalità e di astrattezza; la
natura provvedimentale che essa assume comporta immediate ricadute sull’amministrazione e la
giurisdizione; si fa più denso il filtro degli operatori e degli apparati dell’esecuzione; i magistrati sono
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chiamati a colmare le lacune e a produrre ardite interpretazione di disposizioni che non riescono a
comporsi in sistema.
Nonostante le numerose crisi di rigetto che la codificazione patì sia in Europa sia, più tardi, in
Paesi divenuti indipendenti, il modello codicistico mantenne comunque salde radici accompagnando
l’altro grande movimento coevo: quello della formalizzazione delle costituzioni del quale esso si
dimostra speculare.
23
tradizione del diritto romano-canonico vigente in Castiglia. Per avere un’idea del pluralismo giuridico
che caratterizzava le colonie spagnole occorre tener conto che la struttura dell’ordinamento si
fondava su tre principali fonti del diritto: il diritto spagnolo, il diritto canonico e il diritto
indigeno. Il diritto spagnolo è articolato in due rami: il diritto castigliano e il diritto indiano.
Con la dichiarazione di indipendenza del Venezuela del 1831 prende avvio il processo di
disgregazione dell’impero coloniale spagnolo che si compirà in un ventennio. Le ragioni che ispirarono i
moti di ribellione vanno ricondotte alle idee della Rivoluzione Francese e all’esempio offerto delle
colonie del Nord America nella lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Le costituzioni
promulgate nei nuovi Stati indipendenti dell’America latina prendono a modello di riferimento
la Costituzione degli Stati Uniti del 1787; il diritto civile rimane ancorato, in una prima fase, al diritto
spagnolo o, in Brasile, portoghese; successivamente si avviano le nuove codificazioni che avranno come
modello ispiratore il code civil (nella prima metà del XIX secolo) e poi il codice tedesco (nel XX secolo).
24
L’analisi delle fonti che segue fa riferimento allo schema seguito dagli ordinamenti occidentali
da fine ‘700 in poi, che si è imposto in gran parte dei Paesi del mondo. Tutti gli ordinamenti statali,
salvo rarissime eccezioni, si sono dotati di una costituzione; tutte le costituzioni disciplinano le fonti,
dando almeno formale preminenza alla legge e prevedendo con diversa estensione e varie modalità il
potere degli esecutivi di emanare atti normativi, spesso anche pariordinati alla legge. Se l’ordinamento è
decentrato, le costituzioni dettano i criteri di distribuzione delle competenze. Ciò che cambia, rispetto
alle diverse forme di stato, non è tanto l’esistenza di atti di volta in volta denominati legge,
regolamenti, decreti, leggi delegate ecc, quanto i rapporti tra essi. Gli ordinamenti occidentali
accolgono l’idea di una scala gerarchica e, al contempo, di una divisione per competenze. Gli intrecci tra
questi criteri possono essere graduati e più o meno lineari.
C’è uno stretto rapporto tra fonti e forme di stato (e anche tra fonti e forme di governo).
Nelle forme di stato che non riconoscono la divisione di poteri, o la riconoscono solo formalmente, le
fonti promananti dal potere esecutivo sono nettamente preminenti, diversamente dagli altri dove la
legge, pur indebolita, continua a sovrastare le altre fonti (eccetto la costituzione). Il sistema delle fonti si
arricchisce di una molteplicità di atti che, in senso stretto, leggi non sono, pur essendo muniti della
forza di resistere all’abrogazione disposta da leggi ordinarie successive (c.d. forza di legge passiva); il
nome legge viene poi utilizzato per designare anche alcuni atti di enti autonomi (leggi delle
comunidades, regioni ecc.).
Il criterio di gerarchia, che le costituzioni flessibili stagliavano nitidamente nel disegno di una
scala composta di tre soli gradini (legge, regolamento, usi) si rivela inidoneo a comporre le antinomie
tra le fonti. In suo luogo, fa breccia e assume un rilievo via via crescente il criterio di competenza.
Quasi sempre alla legge del parlamento viene implicitamente riservata una competenza residuale (la
legge può disporre su tutto ciò che non è lasciato ad altre fonti): ciò che non è più frequente riscontrare
è l’attribuzione alla legge del parlamento di una competenza generale: la sfera di competenza della legge
è determinata dalla costituzione, come lo è quella di ogni altra fonte (leggi degli Stati membri o delle
regioni, leggi da approvare con atti del popolo (referendum o plebiscito), regolamenti parlamentari,
regolamenti comunitari, atti delle Camere in seduta comune, leggi condizionate da pareri e soprattutto
fonti intermedie tra la costituzione e la legge, denominate legge organiche in Francia, in Spagna ecc).
Fissata dalla costituzione la competenza di una fonte, questa a sua volta necessita di disposizioni
attuative di grado inferiore; attenuato a livello costituzionale, il criterio di gerarchia ricompare così
all’interno di microsistemi gerarchici che assumono caratteristiche differenti nei vari ordinamenti e
anche all’interno di ciascun ordinamento, in grovigli sovente inestricabili che tutto assicurano tranne
che certezza del diritto.
L'etimologia di legge (dal latino lex, legis) è dubbia. In senso ampio con il termine legge si
intende l’insieme delle norme in vigore in un ordinamento, a prescindere dalla fonte di produzione,
dunque come sinonimo di diritto. Con l’espressione princìpi del diritto si allude invece a figure
giuridiche che nei vari ordinamenti assumono talvolta altre denominazioni. La dottrina e la
giurisprudenza, specialmente quella costituzionale, muovendo da una ricognizione del tessuto
normativo, giungono alla conclusione che l’elemento essenziale comune a più disposizioni
rappresenta appunto un principio. La locuzione mantiene una larghissima vaghezza semantica. Guastini
ne elenca varie accezioni, utilizzate per indicare di volta in volta norme provviste di un alto grado di
generalità, o di carattere programmatico, o che occupano un rango elevato nella gerarchia delle
fonti, o che rivestono un ruolo reputato fondamentale nel complessivo ordinamento giuridico.
Escludiamo comunque che i princìpi in parole siano principi metafisici o pregiuridici. Generalmente, i
princìpi assolvono a tre funzioni:
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Nel diritto costituzionale, i princìpi vengono impiegati in maniera assai ampia dalle corti
e dai tribunali costituzionali, che li assumono a parametro di costituzionalità o, addirittura, di
supercostituzionalità (i principi supremi dell’ordinamento individuati dalla Corte Costituzionale
italiana). Quanto detto sinora non serve a chiarire se i principi generali del diritto siano norme vere e
proprie, come afferma parte della dottrina o mere matrici di norme. Quanto alla loro natura di fonti
del diritto, la tesi che la riconosce o meno è soggetta alle variabili di ciascun ordinamento. Dove
difetti una precisa qualificazione in tal senso, i princìpi producono diritto, ma non sono atti e
tantomeno fatti, in quanto sono costruzioni create o dedotte dalla dottrina e dalla giurisprudenza; e
anche se il legislatore stesso afferma che una disposizione è un principio o un’intera legge è legge di
principio, il carattere di fonte andrebbe assegnato all’atto normativo in questione e non al principio.
Assumendo la definizione larga di fonte (multiforme insieme di processi dai quali deriva il
diritto oggettivamente inteso o “atti e fatti idonei a creare diritto”), pare peraltro preferibile ascrivere
all’elenco delle fonti anche i princìpi generali.
2)
Nella materia può intervenire la legge del parlamento mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi, del
governo (art. 76, art. 77 Cost.). Di fatto, poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea (art. 72.4 Cost.).
La riserva di legge formale è tipica dei casi in cui si vuole riservare al solo parlamento la possibilità di adottare un determinato atto, ed è dunque soprattutto
utilizzata per quanto riguarda gli atti autorizzatori dell'assemblea. Basti pensare alla legge di bilancio, la cui natura autorizzatoria è sottolineata dalla stessa
Costituzione all'art. 81 Cost. La stessa ratio impone di considerare riserva di legge formale la conversione di decreti legge, così come la delega della funzione
legislativa nel caso di adozione di decreti legislativi: infatti, non fosse imposta una simile riserva, si potrebbe in questi casi procedere con atti aventi forza di
legge, falsando in modo inaccettabile la natura dei rapporti tra l'esecutivo e il legislativo.
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sostanziale. Nell’ambito delle leggi meramente formali (ossia prive di contenuto normativo, ad
esempio una legge di approvazione di uno statuto regionale), meritano anche oggi una particolare
attenzione le leggi di bilancio.
L’esigenza di controllare la spesa pubblica, di coordinarla con la finanza locale, di assicurare al
governo la supremazia nella predisposizione dei documenti contabili ha determinato l’introduzione di
normative ad hoc in numerosi testi costituzionali. Alcune costituzioni (Germania, Francia, Spagna,
Italia) hanno introdotto recentemente in costituzione l’obbligo di pareggio del bilancio, una regola che
sembra indicare la tendenza ad abbandonare modelli socialdemocratici di costituzione, a vantaggio di
quello liberista. Con norme spesso dettagliate, si stabiliscono i limiti di indebitamento, le procedure per
derogarvi, i vincoli per i livelli decentrati, le fonti subordinate competenti ecc.
27
Si aggiunga che solo il governo è in grado di predisporre il bilancio previsionale e le relative leggi
finanziarie, cosicché quasi tutte le costituzioni gli riservano la relativa iniziativa, talora anche quella delle
leggi di piano o di programma; a esso compete poi la conduzione della politica estera e, per questa
ragione, gli è quasi sempre riservata in esclusiva la proposta di ratifica di trattati internazionali, o almeno
dei più importanti fra essi.
Alle costituzioni che configurano in modo rigorosamente diarchico l’iniziativa delle leggi al
governo e ai parlamenti o alle camere se ne contrappongono altre che la estendono al popolo, come
quelle di Spagna, Italia, Austria; più di rado, alle commissioni parlamentari; di frequente, enti territoriali,
o a un’intera camera parlamentare, o ad altri enti o organi statali o, infine, a formazioni sociali, sindacati,
Chiese ecc. (iniziativa pluralista, particolarmente estesa in Polonia e in Venezuela).
L’intervento delle commissioni parlamentari nel procedimento legislativo può essere più o meno
incisivo. Nel parlamento di Westminster è sancito il principio della supremazia dell’aula; presso il
congresso statunitense e buona parte dei parlamenti, invece, il progetto di legge viene immediatamente
sottoposto all’attenzione delle commissioni, competenti non solo a esaminarlo e a riferirne al plenum
mediante uno o più rapporti ma anche a emendarlo e addirittura a respingerlo o ad approvarlo (o a
insabbiarlo). Le commissioni legislative o deliberanti previste in Italia, in Spagna e in pochi altri paesi,
rappresentano tuttavia un’eccezione. In commissione o in aula possono essere presentati emendamenti
al progetto originario.
Anche le modalità del voto sul testo legislativo hanno grande rilievo per la governabilità di
ciascun sistema. Prevalentemente, la regola stabilita è quella della maggioranza dei presenti, ma essa non
è esente da eccezioni. Approvata da una camera, generalmente con votazione articolo per
articolo e poi finale a scrutinio palese, nei parlamenti bicamerali, a meno che la costituzione non
contempli anche la categoria delle leggi monocamerali (come accade in Germania), la delibera
legislativa è trasmessa alla seconda assemblea. Qui essa ripercorre le medesime tappe appena
illustrate. Si registrano tuttavia alcune variabili, a seconda del tipo di bicameralismo. In situazione di
parità fra le due camere (come in Italia), emendamenti possono essere apportati al testo originario da
entrambe le camere. Essendo indispensabile la perfetta concordanza delle due deliberazioni, occorre
procedere a successivi esami, sino a che le delibere sul testo della proposta o del progetto non siano
identiche (si tratta delle cosiddette “navette”); nessun ramo del parlamento prevale, né può superare
l’opposizione dell’altro; quasi ovunque però si registra una prevalenza della camera bassa. La
composizione di eventuali dissidi tra i diversi rami del parlamento è affidata di solito a speciali
commissioni o talora al parlamento in seduta comune.
28
Il dogma della sovranità popolare non permette più al capo dello Stato monarchico, diversamente che
nel passato, di annullare la volontà delle camere parlamentari. Un potere di veto, o di rinvio
superabile da una nuova deliberazione delle camere, si rinviene invece sia in ordinamenti a
forma di governo presidenziale (o semipresidenziale) sia in quelli parlamentari repubblicani, nei quali
diversa è la legittimazione del capo dello Stato. Talune costituzioni stabiliscono, perché il progetto si
tramuti in legge dopo un intervento negativo del presidente, che è sufficiente la maggioranza semplice
del parlamento (Italia e Francia), altre invece maggioranze assolute o qualificate. Dove si richiedono
maggioranze elevate, come in Russia (2/3), di fatto il presidente diventa l’organo che decide se
una legge possa entrare in vigore oppure no, quasi come nei secoli passati un monarca con la
sanzione. Negli Stati Uniti, la camera che ha proposto il progetto può riapprovarlo a maggioranza di
due terzi e ritrasmetterlo all’altro ramo del congresso, che deve esprimersi con la stessa maggioranza. Il
progetto si ha altresì per approvato se il presidente non lo rinvia entro 10 giorni dalla trasmissione.
Quasi mai le costituzioni specificano se il controllo del capo dello Stato sia circoscritto al
riscontro di giuridica esistenza dell’atto legislativo (soluzione prevalente nelle monarchie parlamentari),
se si estenda alla verifica della legittimità costituzionale, o se possa infine configurarsi quale controllo di
opportunità (come accade di solito nelle repubbliche presidenziali). Numerosi ordinamenti (come
quello statunitense) riconnettono un effetto di assenso al silenzio del Capo dello Stato, cui viene
trasmesso dalle camere il testo della legge; in essi può dunque difettare un esplicito atto di
promulgazione o di sanzione. In tutti gli ordinamenti l’efficacia della legge è infine subordinata
alla sua pubblicazione su un giornale ufficiale, la quale determina una presunzione di conoscenza
da parte dei cittadini, decorso un termine variamente commisurato (di quindici giorni in Italia).
Trattando della crisi della legge abbiamo ricordato che molto spesso atti normativi primari,
pur mantenendo il nome di legge, vengono adottati con procedimenti speciali, dissimili da quelli
tipici. Si riscontrano:
29
In tutti questi casi, il regime normale della legge viene derogato e una legge ordinaria successiva
non può modificare quella rinforzata precedente; quale che sia il sistema seguito per sottoporre
particolari leggi a un regime diverso da quello ordinario, è però nella costituzione che si deve rinvenire
una preventiva delimitazione delle materie sottratte al regime ordinario. Se è una legge ordinaria a
disporre pro futuro in tal senso, una legge successiva può essere assunta in qualsiasi forma, senza che si
abbia incostituzionalità.
Un discorso a sé, per il loro rilievo comparatistico, meritano infine le leggi organiche,
introdotte per la prima volta nella loro versione moderna della costituzione francese della V
Repubblica. In chiave comparativistica, la definizione di legge organica è quella di una fonte-atto
del parlamento (ma non solo di esso, esistendo in Francia anche ordinanze organiche) assunta con
un procedimento aggravato rispetto all’iter ordinario della legge (maggioranze qualificate o pareri
di organi di giustizia costituzionale) in materie che prevalentemente, ma non in modo esclusivo,
riguardano i pubblici poteri; sono disciplinate nei limiti e secondo i principi stabiliti dalla costituzione
e sono inoltre resistenti all’abrogazione da parte della legge ordinaria che per avventura insista sulla
medesima materia.
Il dogma della divisione dei poteri tra le camere e l’esecutivo influenzò numerose costituzioni
dell’Ottocento, nelle quali non era prevista la facoltà di derogare al principio che l’unico organo
competente ad approvare, modificare, abrogare le leggi fosse il parlamento. Però, essendo tali
costituzioni flessibili, alle assemblee parlamenti era consentito, pur in difetto di esplicite disposizioni in
tal senso, autorizzare il governo ad assumere atti muniti della stessa forza delle leggi e in qualche caso
anche a rettificare, con effetto retroattivo, deliberazioni assunte dall’esecutivo nella sfera di competenza
della legge. Ciò è precisamente quanto accade tutt’oggi nel Regno Unito, dove sono utilizzati in materia
di c.d. delegated legislation diversi procedimenti, uno dei quali consente al governo di adottare atti che
entrano immediatamente in vigore, a condizione che siano depositati in parlamento.
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quelle riservate alle leggi organiche- istituisce un sistema di garanzie, mutuate dall’esperienza italiana:
rigorosa delimitazione dei principi e dei criteri direttivi, termine per l’esercizio della delega, istantaneità
della medesima.
Ciò bene si attaglia alle materie che costituiscono il demanio tradizionale della legislazione
delegata: codici e testi unici rappresentano atti che assemblee numerose come quelle
parlamentari faticano a redigere senza corromperne lo stile e lo stesso disegno organico; ciò è
dovuto alla loro complessità, alla particolare cura redazionale che esigono e al il tecnicismo che ne
caratterizza sovente i contenuti.
1) Espressamente vietati;
2) La costituzione tace in proposito;
3) Il governo può adottare atti con forza di legge secondo la costituzione.
31
Di fatto, dove i decreti legge sono consentiti, di essi spesso i governi abusano anche per
introdurre misure prive di reali caratteristiche di urgenza, per sfruttare le c.d. corsie preferenziali cui
godono in Parlamento per la conversione in legge; ciò è evidente ad esempio in Italia e Spagna negli
anni della crisi economica in corso. L’esistenza del requisito dell’urgenza e della necessità viene valutata
o dal parlamento o eventualmente, anche dall’organo di giustizia costituzionale. Ciò che caratterizza le
fonti in discorso è che l’atto munito di forza di legge, emanato dal governo, viene più o meno
immediatamente sottoposto al parlamento perché provveda alla ratifica (o conversione in legge).
La mancata convalida da parte delle camere comporta, a seconda degli ordinamenti considerati, la
perdita della validità o dell'efficacia del decreto.
1) Materie enumerate (esclusive) al Centro e residuali alla periferia (Stati Uniti, Australia);
2) Materie residuali al Centro ed enumerate alla periferia (Canada);
3) Triplice elenco, con previsione di materie concorrenti tra Centro e periferia e
residualità a quest’ultima (Germania, Svizzera). Qui basti osservare che la suddivisione
per materie comporta le incertezze determinate dalla vaghezza delle parole che le
individuano.
Negli ordinamenti regionali, dove sia prevista una competenza concorrente, le leggi delle regioni sono
subordinate non solo alla costituzione e allo statuto, ma anche al rispetto di altri limiti, come quelli delle
leggi dello Stato, o dei principi delle leggi statali vigenti.
32
membri. Già nei primi 10 emendamenti del Bill of Rights molti istituti del Common Law posti a tutela dei
diritti e delle libertà individuali vincolavano il legislatore federale, ma col tempo si è registrata una
notevole (anche se oscillante) dilatazione delle competenze dello Stato centrale; infine, gli Implied Powers
desunti dalla lettera costituzionale sembrano confermare questa tendenza.
Il modello statunitense di distribuzione delle competenze non viene imitato in altri ordinamenti
federali di matrice anglosassone. In Messico l’art. 24 della costituzione stabilisce che tutto ciò che non
è espressamente attribuito alla federazione è di competenza degli Stati, rafforzando così (ma solo in
teoria) la corrispondente disposizione del testo statunitense.
Quanto all’Europa, in Germania l’autonomia legislativa dei Lander -il cui ordinamento
costituzionale deve corrispondere ai principi dello Stato di diritto repubblicano, democratico e sociale- è
configurata quale residuale: si spiega cioè nelle materie in cui la legge fondamentale non fondi una
competenza a favore del Bund. Tuttavia, anche le materie in cui quest’ultimo ha competenza esclusiva
tendono a dilatarsi in virtù del principio della competenza centrale per natura dell’oggetto, versione
tedesca della teoria americana degli Implied Powers. A seguito della revisione costituzionale in Germania,
entrata in vigore il 1 settembre 2006, la tipologia della legislazione concorrente si è scomposta in tre
diverse sottospecie:
1) La prima tipologia di leggi concorrenti (c.d. di bisogno) rimane soggetta alla clausola di necessità
dell’intervento legislativo federale;
2) La seconda tipologia (leggi c.d. essenziali) non richiede di giustificare la necessità dell’intervento
legislativo federale;
3) Il terzo tipo di materie concorrenti (c.d. derogabili) riguarda ambiti in cui la disciplina federale è
derogabile in tutto o in parte al legislatore regionale.
In Svizzera, nel 1818, la competenza della Confederazione era limitata agli affari militari e doganali,
ma già nel 1848 essa si estese a un più ampio spettro di materie. Ma l'interferenza del centro nel domaine
cantonale si accrebbe soprattutto con la pratica dei finanziamenti federali alle attività dei Cantoni. La
revisione costituzionale del 2004 ha comunque provato a rilanciare tale federalismo esecutivo a
vantaggio dei Cantoni.
Se, negli ordinamenti sin qui elencati, l’evoluzione del decentramento è stata centripeta,
l'opposto si è registrato in Belgio, dove le riforme costituzionali del decennio 1983-93 hanno
comportato la trasformazione dello Stato da regionale a federale. Ci sono però due particolarità,
rappresentate dalla compresenza di diversi tipi di enti decentrati -le regioni e le comunità- e
dall’asimmetria che caratterizza quell’ordinamento, per cui non tutti gli enti di pari livello sono muniti di
eguali competenze normative e amministrative. In Russia le materie di competenza sono state ripartite
assegnando formalmente quelle residuali ai soggetti territoriali. Le pulsioni però vanno nel senso
dell’accentramento, ostacolando la formazione di partiti locali nelle elezioni, rafforzando i poteri di
esecuzione delle decisioni della corte costituzionale anche in periferia, e forme di concertazione.
5.2.2) La ripartizione delle competenze negli ordinamenti regionali e nel Regno Unito
Anche negli ordinamenti europei qualificati come regionali -cioè l’Italia e la Spagna- i criteri di
ripartizione non sono uniformi. In Italia, il regionalismo differenziato si riverbera anche sulle fonti:
proprio il sistema delle fonti regionali evidenzia le differenze tra regioni speciali e regioni ordinarie. Le
prime sono munite di uno statuto approvato con legge costituzionale; quello delle seconde, viceversa,
viene approvato con duplice votazione a maggioranza assoluta e sottoposto a referendum popolare
eventuale senza alcun intervento del parlamento. Anche dopo la riforma del 2001, diversa è l’estensione
e la tipologia delle competenze legislative: in precedenza, solo le regioni speciali erano munite di
competenza esclusiva, che incontrava pochi limiti (gli obblighi internazionali, le grandi riforme
economiche e sociali, l’interesse nazionale); ai medesimi limiti erano sottoposte le regioni ordinarie,
titolari di una competenza ripartita, che in più si imbattevano nel limite, assai penetrante, rappresentato
dai principi fondamentali della materia. Oggi -dice il testo della riforma- la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
33
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Gli elenchi delle materie esclusive dello
Stato e di quelle concorrenti sono lunghi e complessi, e si manifestano innumerevoli problemi
interpretativi, in parte risolti dalla Corte Costituzionale.
In Spagna, garantita l’autonomia statutaria, la costituzione elenca le materie di competenza
delle comunità autonome; subito dopo, però, enuncia una sterminata lista di materie o funzioni nelle
quali lo Stato gode di competenza esclusiva.
Il Regno Unito è stato tradizionalmente caratterizzato da una robusta struttura di governo
centralizzato e da una visione centralista della politica nazionale; risalgono agli ultimi trent’anni dello
scorso secolo le iniziative volte ad avviare le prime politiche regionaliste e devolutive. La c.d.
Devolution rappresenta un processo evolutivo avviato con una serie di atti sul finire degli anni ‘90; non si
è però esaurito in quegli atti, ma costituisce un fenomeno in continua graduale evoluzione. La Devolution
ha fino a oggi interessato le aree caratterizzate da una spiccata identità nazionale (Scozia, Galles e
Irlanda del Nord) e da urgenti necessità amministrative. All’istituzione formale degli organi di governo
delle regioni interessate dalla Devolution ha fatto seguito l’elezione degli organi rappresentativi: assemblee
monocamerali dotate di potestà normativa. Quanto alle funzioni normative, solo le assemblee
scozzese e nordirlandese hanno potestà legislativa primaria su una serie di devolved matters, ma è
diverso il criterio di determinazione della sfera di competenza: nel caso scozzese, lo Scotland Act
enumera le materie riservate alla competenza del parlamento centrale, riservando al parlamento
scozzese tutte le altre materie secondo il criterio residuale; diversamente, nel caso gallese il Welsh Act
assegna all’assemblea di Cardiff le materie espressamente enumerate, rimanendo in capo al parlamento
centrale di Londra tutte le altre materie. L’assemblea gallese, a sua volta, esercita una Executive Devolution,
potendo emanare solo degli assembly orders sulla base di una delega del parlamento di Westminster. Per
tutte le autorità devolute vale il principio della Supremacy del parlamento britannico, nonché il rispetto
dei diritti fondamentali proclamati dalla convenzione europea.
Vincolanti:
- Regolamento;
- Direttive;
- Decisioni.
Non vincolanti:
- Raccomandazioni;
- Parere.
Il trattato di Lisbona ha creato una nuova categoria di atti giuridici, gli atti delegati : il
legislatore delega alla commissione il potere di adottare gli atti che modificano gli elementi non
essenziali di un atto legislativo. In ciascuno Stato dell’unione, i regolamenti comunitari si impongono
per forza propria, sono direttamente applicabili in tutti i loro elementi, vincolando tutte le autorità e i
privati in virtù della forza a essi attribuita dall’ordinamento europeo. Il rapporto tra le leggi e gli altri atti
normativi interni dei singoli Stati da una parte e i regolamenti comunitari dall’altra è un rapporto di
competenza, che si instaura in virtù del trasferimento di competenze statali alla Comunità, ed è tale da
conferire a essi efficacia nella materia disciplinata.
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6) Il regolamento
Anche per l’influenza del credo della Rivoluzione Francese, secondo cui un potere
materialmente legislativo non poteva essere conferito all’esecutivo, le costituzioni approvate a
cavallo tra il ‘700 e l’800 espressero il principio che al governo competesse la sola esecuzione delle leggi,
essendogli precluso modificare o interpretare quelle esistenti. Le vicende successive dimostrano
l’impraticabilità della rigorosa distinzione tra potere legislativo (normativo) e potere esecutivo.
Ma ancor oggi, l’idea che quest’ultimo non possa interpretare, alterare o modificare la legge mediante
regolamenti è espressa da varie costituzioni. Altre tesi costituzionali abbandonando il lessico del
periodo rivoluzionario limitano il potere di fare i regolamenti per l'esecuzione delle leggi (Portogallo,
Giappone) oppure stabiliscono:
- Che il governo eserciti la potestà regolamentare conformemente alla costituzione e alle leggi
(Spagna);
- Che norme amministrative generali possano essere stabilite da decreti reali (Olanda);
- Che il presidente della Repubblica emani i regolamenti (Italia).
Mentre ovunque predomina la dottrina, di origine francese, della prevalenza della legge,
espressione della volontà generale, e della sottoposizione gerarchica del regolamento a essa,
paradossalmente solo in Francia s’è fatta strada con la costituzione della V Repubblica l’idea di una
competenza (domaine) del regolamento separata da quella della legge. Oltre che al governo -o,
formalmente, al capo dello Stato- una potestà regolamentare con efficacia esterna viene talvolta
conferita a singoli ministri, in virtù di espresse disposizioni costituzionali (Bulgaria, Estonia), o anche
legislative (come in Italia), nonché ad amministrazioni separate dello Stato, ad agenzie, ad autorità
indipendenti e soprattutto enti territoriali. Un’ulteriore fonte secondaria di natura regolamentare è
rappresentata dagli statuti degli enti locali, i quali ove contemplati sono sempre subordinati alla
legge, e si distinguono dai regolamenti sia in virtù della competenza a disciplinare l’organizzazione e
l’esercizio delle funzioni dell’ente, sia per la loro superiorità gerarchica rispetto ai secondi, che debbono
a essi conformarsi.
Tra la normazione secondaria del Regno Unito, si segnalano le byelaws: atti normativi secondari
emanati da autorità locali od organismi indipendenti soggetti all’approvazione di un dipartimento
governativo e la cui validità e legittimità formale è controllata dalle corti. Abbiamo infine già ricordato
che negli Stati Uniti e in altri paesi di Common Law gli organi di governo, gli enti locali e quelli
indipendenti possono emanare atti normativi sprovvisti di forza di legge.
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Appartiene poi alla normazione secondaria la c.d. contingency legislation. Essa si basa su una
delibera del congresso con la quale si rinvia a una valutazione del Presidente l’entrata in vigore di un
certo statute, in relazione all’avverarsi di un evento incerto.
7) Fonti-atto residue
Da ultimo occorre fare cenno ai regolamenti parlamentari, alle sentenze di accoglimento delle
corti e dei tribunali costituzionali e al referendum abrogativo.
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Sezione I – La costituzione
Non è per niente facile dire cosa sia la Costituzione: ce lo dimostra il fatto che la stessa parola
costituzione, a livello semantico, indichi allo stesso tempo sia la fase del a) costituire, sia b) la
struttura complessiva dell’ordinamento, sia c) le regole di fondo dell’istituzione giuridica. I vari
significati possibili di costituzione si collocano in particolari approcci storici.
1) La convinzione, sia di derivazione filosofica che religiosa, della superiorità di leggi che
trovano fondamento in principi transeunti e inviolabili, in quanto espressione della
coincidenza tra leggi umani e leggi di Dio;
2) La superiorità di tali leggi come il risultato di lunghi e complessi “assestamenti” tra i vari
poteri e i vari ceti.
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La superiorità di tal genere di leggi nasce dunque dal principi di rispetto delle leggi divine e da
quello di ossequio alle tradizioni. Nota che queste prime leggi fondamentali, sono tutte consuetudini
non scritte: tra queste, quelle relative all’investitura del sovrano, cioè le consuetudini che regolano la
devoluzione della Corona. La superiorità di queste leggi, tuttavia, era una superiorità meramente
“morale”: non era una superiorità “formale” affermabile attraverso una serie di mezzi giuridici, che
troviamo nelle attuali costituzioni, che non possono essere modificate se non con procedure complesse
e rendono illegittimi atti e comportamenti con esse configgenti.
2.2) La legge superiore nel pensiero politico del XVII e del XVIII secolo e il suo
affermarsi in Inghilterra
La strada verso la formalizzazione e la piena giuridicizzazione della costituzione passa poi
attraverso due grandi medium:
1) I grandi movimenti del pensiero politico del XVII e del XVIII secolo;
2) L’evoluzione delle istituzioni inglesi, che hanno segnato una felice combinazione tra
monarchia aristocrazia e popolo.
La corona inglese nel corso del tempo consentì sempre più intense limitazioni del proprio potere e delle
proprie prerogative.
Soprattutto è l’Illuminismo che contribuisce alla definizione della nozione di costituzione, grazie
alle teorie del contratto sociale e del diritto naturale. Secondo tali teorie l’ordine sociale, lo Stato, la
vita dello Stato in tutti i suoi aspetti trovano origine in un patto con il quale il popolo ha
riconosciuto o istituito un Sovrano e si è impegnato a obbedirgli. Poiché la sovranità appartiene al
popolo, che la delega al Monarca, la costituzione altro non è che la riproduzione pura e semplice dello
stesso “contratto sociale”, e dunque si colloca al di sopra di tutte le autorità pubbliche, che da essa
ricevono il potere: la costituzione ha dunque origine “pattizia”, vale a dire nel mutuo consenso tra
Monarca e sudditi. Tra i tanti pensatori che giocano un ruolo fondamentale, soprattutto per la
teorizzazione dei diritti dell’uomo e della necessità di garantire questi diritti costituzionalmente c’è
sicuramente John Locke, che scrive i suoi due trattati nel clima della Glorious Revolution dalla quale
scaturirà il Bill of rights. Secondo Locke il “contratto” costituisce la matrice legale dello Stato e
delle istituzioni civili, e il potere legislativo, in quanto espressione della sovranità popolare,
rappresenta il “potere supremo”. Va notato però che la legge non è senza limiti e non è espressione di
una volontà onnipotente: essa ha solo la funzione di “positivizzare” i diritti naturali preesistenti
dell’individuo, riconoscendoli e garantendoli contro ogni arbitraria invadenza. Data quindi la natura
derivante dal popolo della legge e soprattutto della Costituzione, ne deriva che nessun potere è
legittimo se non rispetta il patto sociale, e in particolare se non assicura il libero esplicarsi dei diritti
naturali dell’uomo. Locke teorizza così uno Stato limitato e garantista, il cui potere si legittima
solo in funzione della tutela delle libertà civili.
A livello storico è noto che fu la monarchia inglese (ovviamente non in maniera spontanea, ma
a seguito di lotte secolari e sanguinose) a concedere sempre più intense limitazioni dei propri poteri e
delle proprie prerogative. Limitazioni che portarono alla creazione di una democrazia
rappresentativa, attraverso l’evoluzione e l’affermazione di un Parlamento bicamerale. Vennero
solennemente riconosciute le libertà civili (Magna Carta Libertatum 1215, Petition of Rights 1628, Habeas
Corpus 1679, Bill of rights 1689, Act of Settlement 1701); si sviluppò così in Gran Bretagna il principio della
supremazia e sovranità parlamentare: il Bill of Rights è categorico nell’escludere il potere del Re di
sospendere l’esecuzione delle leggi senza il consenso del Parlamento.
2.3) Le costituzioni del Nord America e della Rivoluzione Francese e i loro principi
comuni
Il modello inglese ed eventi come la Gloriosa Rivoluzione cominciano a essere osservati dai
pensatori illuministi, tra cui Montesquieu, Blackstone, Delolme e Rousseau. La costituzione inizia nel
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frattempo a emergere, intesa come insieme di leggi, istituzioni e consuetudini dirette da principi di
ragione e diretti al pubblico bene. La comunità accetta di essere governata: la costituzione non è l’atto
di un governo, ma l’atto di un popolo che crea un governo.
Le costituzioni degli Stati del Nord America scaturiscono da una dichiarazione
d’indipendenza dalla madre patria: testimoniano un’idea di costituzione che nasce dal popolo, come
opera di volontà collettiva, che “codifica” il modo in cui i poteri devono essere organizzati e ripartiti e
si pone come norma sovraordinata all’attività dei poteri previsti dalla costituzione stessa e nel
contempo riconosce e tutela i diritti che, per natura, appartengono al genere umano. Conseguenza di
tale sovraordinazione della costituzione è la tesi per cui i giudici, prima di applicare le leggi, dovrebbero
accertarsi che le leggi che sono chiamati ad applicare si conformino effettivamente ai dettami delle
«leggi naturali dell’ordine sociale e della giustizia». Nascono così le premesse teoriche sia per il
controllo di costituzionalità, sia per la superiorità della costituzione, sia infine per il
riconoscimento e la tutela in costituzione dei diritti fondamentali. Nelle costituzioni degli Stati del Nord
America, nella costituzione degli Stati Uniti e nelle diverse costituzioni della Rivoluzione Francese si
rintracciano una serie di principi comuni:
3) Il costituzionalismo
I princìpi che abbiamo ricordato in questi precedenti paragrafi esprimono la nozione di
costituzione secondo il costituzionalismo. Con tale termine si intende il complesso di istituzioni e
di princìpi che si sono sviluppati in via consuetudinaria in Inghilterra, dalle costituzioni della
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Rivoluzione francese e da tutti quegli ordinamenti che a questi si sono ispirati; istituzioni e principi che
si compendiano, prima di tutto, nella separazione dei poteri e nella tutela dei diritti fondamentali
dell’uomo, in contrapposizione con l’assolutismo del passato.
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governatori passano nell’ambito internazionale per poi tornare nuovamente, tramite le dichiarazioni e le
convenzioni accettate dagli Stati, a operare nell’ambito interno.
Prendiamo in considerazione l’art.10 c.2 della costituzione spagnola: questo articolo impone la
conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e ai trattati internazionali relativi ai diritti
fondamentali e alle libertà. Spesso le norme internazionali vengono recepite all’interno della
costitutizione: ciò è presente per la costituzione argentina che richiama la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, la Convenzione Americana sui diritti umani, la Dichiarazione americana dei diritti e
dei doveri dell’uomo, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e ambientali.
La costituzione transitoria della Repubblica Democratica del Congo (2003) richiama la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la carta africana e tutti gli strumenti giuridici
adottati dalle NU e dall’UA. Anche nella nuova costituzione congolese, nella Costituzione di Timor Est
vi sono riferimenti agli strumenti di cui sopra. La costituzione del Ruanda richiama la dichiarazione del
48, la carta africana dell’81, la convenzione delle nazioni unite sulla prevenzione e repressione del
genocidio ed altre convenzione (fanciullo, donne ecc). La costituzione afghana del 2004 menziona la
carta delle nu e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 48.
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Per modelli intendiamo paradigmi di costituzioni che si proiettano nel tempo, al di là dei cicli. Sono da
considerarsi costituzioni “modello”, cioè largamente imitate:
1) Quelle degli Stati Uniti (che ha avuto molte riproduzioni, sia sotto il profilo del sistema
presidenziale, che di quello federale e anche sotto il profilo del controllo di costituzionalità
delle leggi e che ha influenzato grandemente le costituzioni passate ed attuali),
2) Le costituzioni della Rivoluzione Francese (in primo luogo la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino);
3) La costituzione spagnola del 1812 (detta “di Cadice”);
4) La carta di Luigi Filippo d’Orleans del 1830;
5) La costituzione belga del 1831;
6) La costituzione di Weimar del 1919;
7) La costituzione austriaca del 1920 (soprattutto per il controllo di costituzionalità);
8) La Legge fondamentale di Bonn del 1949;
9) La nostra costituzione del 1948.
Grande influenza ha avuto ovviamente anche la costituzione non scritta ma consuetudinaria inglese,
verso gli Stati legati alla Gran Bretagna da legami coloniali (Canada, Australia, Sud Africa, Nuova
Zelanda, India, Giamaica, Nigeria). Vi è stato inoltre un forte connubio tra diritti della persona umana e
garanzie costituzionali, oltre a una corposa giurisprudenza delle corti costituzionali in tema di aborto,
che a sua volta è collegato alla libertà di coscienza. Si è affermata nel corso del tempo una nozione
sostanziale dei diritti che ha dato omogeneità alle libertà tradizionali.
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costituzione, ovvero la collocazione della costituzione al vertice della gerarchia delle fonti (anche se
questo era già un prodotto del costituzionalismo americano). Vanno invece rigettate le posizioni di chi
identifica la costituzione con l’intera organizzazione della comunità e dunque con tutto il diritto
(comprese consuetudini, sentimento politico, storia) e la tesi di Lassalle, secondo il quale la costituzione
formale di uno Stato è un semplice pezzo di carta, mentre la vera costituzione è data dall’esercito e dai
cannoni di cui il Governo di ogni Paese dispone.
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- Inviolabile;
- Irrevocabile;
- Non trasmissibile.
Quando esiste già una costituzione, il potere costituente si esprime sopprimendo la vecchia costituzione
e ponendone una nuova, oppure modificando la vecchia nei suoi principi fondamentali: tali modifiche,
in quanto non previste dalla precedente costituzione (e anzi essendo da essa vietate) non possono
definirsi manifestazione di potere costituito.
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- Un organo ad hoc, costituitosi per svolgere tale ruolo (come un’ Assemblea costituente);
- Un organo previsto dalla costituzione vigente ma che, comunque, acquista la natura di
organo straordinario perché elabora ed esprime la decisione politica di mutare, non secondo
forme previste dall’ordinamento, la costituzione.
In entrambi i casi, si verifica un’assunzione, in via di fatto, di poteri che non sono contemplati
dall’ordinamento costituito, cioè dall’ordinamento vigente.
Esempi di organi straordinari sono stati : governo provvisorio che venne formato nel 1848 in
Francia da Ledru-Rollin in un clima di rivolta contro Luigi Filippo d’Orleans, il governo della difesa
nazionale in seguito alla sconfitta nella battaglia di Sédan del 1870, il governo provvisiorio di Ebert in
Germania nel 1918, così come il governo provvisorio della Cecoslovacchia che riunì a Praga un
assemblea nazionale che approvo prima una costituzione provvisoria e poi una definitiva; poi abbiamo
il caso del maresciallo Piłsudski in Polonia con il suo governo provvisorio; in Spagna nel 1931 fu
costituito un governo provvisorio che proclamò la repubblica e la cortes costituente . altri casi più vicini
sono la Romania in seguito alla fine della dittatura di Ceauçescu che ha portato all’affermarsi del
consiglio del fronte di salvezza nazionale. Nel 2006 in Nepal, in seguito all’accordo tra i ribelli maoisti e
il governo centrale è stata formata un’assemblea costituente incaricata di scrivere una nuova
costituzione , approvata dal parlamento nepalese nel 2007. Situazioni analoghe si rinvengono anche nei
processi di peace building, come nel caso di Kosovo e Timor Est, dove l’ONU ha svolto poteri di
governo in vista dell’indipendenza della zona. Può anche avvenire che gli organi del precedente
ordinamento costituzionale decidano di convocare un’Assemblea costituente assumendo il potere
costituzionale. Alcuni casi: Stati Generali nella Francia del 1789 che assumono il nome di assemblea
nazionale e hanno poteri costituenti; Governatore generale della Norvegia nel 1814 che decretò
l’elezione generale per la formazione di una assemblea costituente composta da rappresentanti scelti
direttamente dal popolo; nel 1999 Chavez (Venezuela) ha indetto un referendum consultivo per la
convocazione di un assemblea costituente( ciò non è previsto dalla costituzione). Tra i casi intermedi
abbiamo: Austria 1918, i 210 membri tedeschi della camera dei deputati della vecchia monarchia si
costituiscono come rappresentanti di tutta la nazione tedesca d’Austria, in assemblea nazionale
provvisoria, con il compito di preparare una nuova costituzione da sottoporre all’assemblea costituente.
La costituzione del Sudafrica del 1996 nata da una negoziazione articolata tra governo e organizzazioni
politiche espressione delle etnie.
Altra modalità di modifica costituzionale possono essere anche i vecchi organi, attraverso un loro
radicale rinnovamento, ma seguendo la procedura di revisione “costituita”, a dare luogo a nuove
costituzioni: ad esempio, in tutti i Paesi dell’Est, con l’ eccezione di Romania e Russia, le nuove
costituzioni sono state approvate attraverso le procedure di revisione previste dai precedenti
ordinamenti socialisti. La funzione dell’autorità straordinaria che assume l’iniziativa costituente, di
norma, è quella di preparare l’Assemblea costituente, e dunque predisporre la legislazione o di quanto
necessario per l’elezione di tale Assemblea. Di solito tale assemblea ha solo la funzione costituente, al
massimo si aggiungono (come è avvenuto in Italia nel 1946-47) funzioni accessorie. Nel frattempo il
titolare dell’iniziativa si autoqualifica come Governo provvisorio e accentra nelle sue mani sia il potere
esecutivo in senso stretto sia, in base al principio di necessità e di urgenza, il potere legislativo.
Le regole sulla composizione dell’Assemblea e sulla procedure da seguire sono diverse di volta
in volta, anche se –secondo il principio di sovranità popolare– la composizione deve fondarsi su libere
lezioni a suffragio universale. Come abbiamo già ricordato, non sempre l’approvazione da parte di
un’Assemblea rappresentativa conclude il procedimento costituente: molto diffusa è infatti la “ratifica”
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della costituzione a mezzo di referendum popolare. Ciò avvenne per la prima volta con la costituzione
del Massachusetts del 1780 e poi con le costituzioni francesi della Rivoluzione e alcune napoleoniche.
Anche il Trattato di Lisbona ha richiesto l’approvazione finale da parte dei cittadini di alcuni degli Stati
membri. In generale comunque, l’approvazione di un nuovo testo costituzionale tramite referendum
costituisce una prassi diffusa nei processi di transizione politica post-bellica: ad esempio, la costituzione
irachena del 2005 prevede la propria entrata in vigore a seguito dell’esito favorevole di un referendum
popolare.
Una prima classificazione delle costituzioni è data dal modo in cui esse vengono formate.
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costituzioni erano solitamente definite “carte” o “statuti” e anche questa terminologia è sintomatica
dell’involuzione rispetto al valore mistico che lo stesso termine “costituzione” aveva assunto sulla
spinta delle ideologie rivoluzionarie. Infine, dice Morbidelli, il fatto che la costituzione inglese sia
flessibile non significa che sia più facilmente modificabile: se si tiene conto del modo in cui la
costituzione inglese si è originata e si è formata, ci si avvede che la costituzione della Gran Bretagna
è più rigida di quelle del continente. Essa infatti, non essendo contenuta in un solo testo scritto ma
in una serie di leggi nate a seguito di conflitti, tensioni e molto sangue popolare versato, per essere
modificata non richiede procedure formali aggravate, ma un largo consenso o, meglio ancora, occorre
che le nuove norme siano acquisite nello spirito nazionale che crede fortemente nelle proprie
istituzioni. «Se la costituzione è frutto di un lungo processo naturale, è evidente che per modificarla
occorre seguire processi della stessa natura». In aggiunta, nella costituzione inglese si ravvisano
principi assolutamente non modificabili rappresentati da leggi come l’Habeas Corpus del 1679 e il Bill
of Rights del 1689, o da consuetudini come il judicial review e la sovranità parlamentare. Ecco perché in
Gran Bretagna non si parla di costituzione rigida e non esiste una Corte costituzionale: perché non si
ritiene di avere bisogno di tali strumenti formali, che stanno a guardia di costituzioni frutto di processi
razionali, e ciò in quanto la costituzione è un “valore” che viene continuamente sentito, praticato,
rispettato. Ma è evidente che anche qui, quando si parla di maggiore rigidità in via di fatto della
costituzione britannica rispetto alle altre costituzioni europee abbandoniamo la nozione di costituzione
in senso formale, e abbracciamo quella di costituzione in senso materiale.
Al contrario, sempre secondo la concezione materiale, le costituzioni degli Stati socialisti, per
quanto sulla carta “rigide”, di fatto non lo erano, data l’egemonia del partito comunista che era in grado
di modificare agevolmente la costituzione.
Un’altra distinzione è quella che riguarda costituzioni brevi e costituzioni lunghe. Brevi sono
le costituzioni che disciplinano le competenze e l’assetto degli organi di vertice dello Sato e al massimo
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- Diritti tradizionali, cioè le libertà negative o libertà “da”, che vengono rispettati quando
lo Stato non impone, limita o vieta alcuni comportamenti. Ad esempio, la libertà personale,
le libertà di religione, di manifestazione del pensiero, di stampa, di sicurezza, ecc. Sono i
diritti del Bill of Rights della costituzione federale americana, che ha largamente influenzato il
costituzionalismo classico. Alcune costituzioni – come la nostra – definiscono tali diritti
“inviolabili”, nel senso che essi non possono essere “svuotati” o “eliminati” da parte dei
pubblici poteri (inviolabilità “negativa”); e hanno anche un’immediata efficacia erga omnes
(inviolabilità positiva);
- Libertà positive (o libertà di) che comprendono l’insieme di quei valori diretti a garantire
l’autonomia dell’individuo nella vita di relazione, cioè lo svolgimento della personalità nei
rapporti politici e in quelli economico-sociali. Rientrano in tale categoria i diritti politici ei
diritti sociali (o diritti “ a prestazioni dello Stato). I diritti sociali sono stati contenuti per
primi dalla costituzione di Weimar del 1919 e poi sono passati nelle costituzioni del secondo
dopoguerra (Italia, Germania federale, Spagna). L’attuazione di tali diritti richiede un
intervengo positivo dello Stato.
- Diritti della terza generazione, o diritti nuovi: all’ambiente, all’informazione, alla tutela
della privacy, all’obiezione di coscienza, alla protezione dei consumatori, alla tutela da
manipolazioni genetiche.
Tutti questi diritti sono gli elementi costitutivi dell’intero quadro costituzionale e rappresentano le
categorie a priori della democrazia pluralistica. Il riconoscimento e la tutela dei diritti dell’uomo stanno
alla base delle costituzioni democratiche moderne. Senza di essi, infatti, la democrazia non solo non
può funzionare, ma non può neppure essere concepita. Ovviamente i diritti non devono solo essere
previsti dalle Costituzioni: sono necessarie vere e proprie garanzie di tutela ed effettività di tali
diritti. Ovviamente le costituzioni odierne, sotto questo profilo, si distaccano e di molto dalle
costituzioni ottocentesche, dove le garanzie dei diritti dell’uomo erano riassunte nella formula dello
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“Stato di diritto”. Lo Stato delle democrazie pluralistiche (cioè lo Stato odierno) è invece uno “Stato
costituzionale” (Haberle).
La carta dei diritti fondamentali dell’UE tutela una serie di diritti fondamentali riconducibili a principi
quali dignità, uguaglianza solidarietà. La carta ha assunto valore direttamente precettivo solo dal
dicembre del 2009 in quanto prima era rafforzativa dei diritti riconosciuti negli ordinamenti degli Stati
dell’UE.
I diritti di cui abbiamo parlato sono alla base della democrazia pluralistica: ciò che conta oltre
all’enunciazione di tali diritti è la garanzia di tutela effettiva. Nelle democrazie ottocentesche le garanzie
dei diritti dell’uomo erano riassunte nella formula “stato di diritto”, ciò consisteva in cinque principi:
Lo stato delle democrazie pluralistiche è uno stato costituzionale. In esso i principi del
costituzionalismo tradizionale sono sottoposti a tutta una serie di “rafforzamenti”: i diritti fondamentali
possono essere limitati dalla legge (principio della riserve di legge), ma la legge non può disporre limiti
che non siano espressamente previsti nella costituzione; in secondo luogo, la divisione dei poteri si
trasforma nella ripartizione della sovranità tra una pluralità di poteri tra loro indipendenti o autonomi;
in terzo luogo, nello “Stato costituzionale” è prevista una giurisdizione costituzionale dei diritti
fondamentali, nel senso che sia l’attività legislativa di limitazione dei diritti, sia l’applicazione di tali limiti
ad opera dei giudici, dovendo essere conformi alla costituzione, sono sottoposte alla possibile verifica di
un giudizio di legittimità costituzionale.
Un ruolo primario nella garanzia dei diritti è svolto dall’interpretazione costituzionale, di cui un
esempio è la corte suprema Usa per quanto riguarda le garanzie sulle libertà fondamentali: va ricordata
l’evoluzione sui temi di uguaglianza raziale, aborto, libertà di stampa, accesso alla giustizia, normativa
antiterrorismo (sentenze del 2004-2006-2008); anche la corte costituzionale gioca un ruolo importante.
Inoltre soprattutto per quanto concerne i diritti sociali è indispensabile un corretto funzionamento
dell’amministrazione e della giurisdizione per avere la garanzia dell’effettività dei diritti.
8.1) Preamboli
Esempi di questi preamboli sono nella costituzione statunitense, dove si richiama la derivazione
popolare della costituzione (“Noi popolo degli Stati Uniti…decretiamo e stabiliamo questa costituzione
degli Stati Uniti d’ America”) o in quella di Weimar che richiama la “volontà del popolo tedesco”. Il
preambolo, che sovente si riferisce a dati trascendenti (richiamando ad esempio le divinità), cui si
aggiungono presupposto politici, storici, ideologici ecc. proclama il nuovo ethos statale, cioè i fini
ultimi della costituzione, e perciò si esprime in forma solenne. Vi sono dei preamboli che
stabiliscono, anche se in estrema sintesi, alcuni principi costituzionali e politici: essi possono essere
quindi definiti dei concentrati della costituzione. In ogni caso, è da escludere che i preamboli esprimano
norme precettive, cioè comandi puntuali ed immediatamente eseguibili.
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decreto legislativo n. 151 del giugno 1944 con cui il Governo italiano stabilì i presupposti e le procedure
per un nuovo assetto costituzionale è stato definito costituzione provvisoria; altri esempi di costituzioni
provvisorie sono state quella del Sud Africa (1993) e RDC (2003), rimasta in vigore fino al 2006.
Provvisoria sono la nuova carta nepalese e la mini costituzione ad interim thailandese (39 articoli,
entrata in vigore nel 2006 e rimasta fino al 2007). Provvisorio è stato il constitutional framework del
Kosovo adottato dall’UNMIK nel 2001 fino all’entrata in vigore della nuova costituzione nel 2008.
Talvolta si parla di costituzioni instabili laddove, soprattutto nei Paesi di recente indipendenza o
di incerta democrazia, lo scontro politico è sempre forte e ciò determina continue modifiche
costituzionali, anche attraverso procedure non legali.
Seppure le costituzioni generalmente recano con sé un carattere di stabilità, tuttavia tale stabilità
non va interpretata come assoluta: la possibilità di revisionare le costituzioni è, anzi, una
caratteristica ineliminabile delle costituzioni stesse: ciò in virtù del principio già stabilito dall’art.
23 della cost. francese del 1793, secondo cui «un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e
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cambiare la propria costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni
future».
1.2) La revisione delle costituzioni rigide: i limiti sostanziali (di tempo, di circostanza,
di contenuto)
Nelle costituzioni rigide la revisione incontra (o può incontrare) sia limiti procedurali sia limiti
sostanziali. I limiti sostanziali sono di 3 tipi:
1) Di tempo;
2) Di circostanza;
3) Di contenuto.
I limiti temporali sono quelli per cui, per un determinato periodo di tempo è vietata la revisione della
Costituzione. Ad esempio la costituzione irachena del 2005 proibisce la revisione della prima parte del
testo costituzionale prima che siano completati “due cicli parlamentari”, mentre la costituzione serba
prevede un periodo minimo di 12 mesi prima di riproporre una modifica costituzionale
precedentemente respinta. Altri esempio possono essere la costituzione francese che non poteva essere
modificata prima di 10 anni; la costituzione di Cadice prima di 8 anni; casi di questo genere riguardano
anche le costituzioni latino americane (Paraguay 1879, Nicaragua 1911, Ecuador), le revisioni
costituzionali in Grecia non possono avvenire se non a distanza di 5 anni l’una dall’altra.
I limiti circostanziali sono rappresentati da quelle disposizioni della costituzione stesse ce
vietano la revisione in situazioni di emergenza e di tensione (tipo lo stato di guerra o d’assedio).
Disposizione di questo genere si rinvengono nelle costituzioni più vicine a noi (anni 2000)
dell’Afghanistan, della RDC, della Serbia e della Lituania, così come quelle più antiche (es. Francia 1946,
58 e Portogallo 1976)
Infine, la revisione costituzionale può incontrare dei limiti di contenuto: se le costituzioni sono
sempre modificabili (al di là degli appena visti limiti temporali e circostanziali), ciò non significa che
esse sono modificabili in ogni loro parte: ci sono punti delle costituzioni che non sono passibili di
revisione. I limiti di contenuto possono essere espliciti o impliciti: espliciti quando il divieto di revisione
è espressamente sancito dalla costituzione stessa (es: art.139 della nostra costituzione stabilisce che «la
forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»; l’art. 3 della costituzione di
Cuba afferma la “irrevocabilità” del socialismo e del sistema politico e sociale rivoluzionario stabilito
dalla costituzione). Altri esempi: costituzione della Repubblica Ceca nella quale non possono essere
modificate le caratteristiche dello stato di diritto o la costituzione del Brasile che sottrae al potere di
revisione la separazione dei poteri, i diritti e le garanzie individuali, la costituzione della Romania che
non permette di modificare la revisione del carattere unitario, indivisibile e indipendente.
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Per quanto riguarda i limiti impliciti, si ritiene che la costituzione li includa, a meno che non sia
la stessa costituzione a dichiarare espressamente che non c’è alcun limite al potere del Parlamento di
modificare qualsiasi disposizione costituzionale: in questi casi è infatti la stessa costituzione che
riconosce la sua emendabilità senza alcun limite di sorta. Anche quando la costituzione non prevede
espressamente l’immodificabilità di alcune specifiche disposizione, la gran parte degli studiosi ritiene
comunque che la costituzione non sia emendabile nelle sue norme chiave, quelle cioè che
contengono i principi di struttura dell’ordinamento. Tale teoria viene giustificata sulla base del rilievo
che quei principi sono principi “caratterizzanti” o “supremi”, e sono i principi intorno a cui si è
sviluppato il processo costituente (c.d. supercostituzione). Se in Italia si incidesse sul principio di
eguaglianza o sul controllo di costituzionalità delle leggi, per fare degli esempi, si varierebbe in maniera
sostanziale l’identità dell’ordinamento costituzionale.
Nel nostro ordinamento, la teoria dei limiti impliciti ha anche dei riferimenti formali: l’art.2
stabilisce che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali»; d’altra parte lo stesso limite espressamente sancito della forma repubblicana
(art. 139 cost.) non può essere isolato in quanto si inserisce in un complesso di principi
(rappresentatività, partecipazione politica, rigidità costituzione) che con essa formano sistema: non è
cioè un elemento a sé stante e come tale isolabile. Ma se si analizza sistematicamente la costituzione, più
in generale si ricava una “carta di valori” che la costituzione fa propria e protegge con particolare
intensità: così la sovranità popolare (art.1), il principio di solidarietà (2), di eguaglianza (3), il principio
internazionalista (10, 11) ecc. Ovviamente l’identificazione dei limiti impliciti non è così agevole: a ciò
può aiutare, per lo meno nel nostro ordinamento, la giurisprudenza della Corte, che in diverse sentenze
ha riconosciuto l’esistenza di principi supremi dell’ordinamento costituzionale; la Corte ha
affermato che la nostra costituzione contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti
o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi
costituzionali.
In sintesi, il potere di revisione non può toccare il cuore, l’essenza della costituzione: se
lo facesse, sarebbe esercizio del potere costituente e non si potrebbe più parlare di potere costituito.
Anche in altri ordinamenti le corti sono arrivati alle medesime conclusioni viste in Italia (es.
Austria e Svizzera). Singolare è il caso dell’India, dove la corte suprema ha detto che possono essere
modificate le norme concernenti i diritti fondamentali, precisando che serve l’istituzione di una nuova
costituente. Era stata poi nel 1976 introdotta una norma che sanciva il potere emendativo illimitato, tale
disposizione è stata dichiara incostituzionale dalla corte suprema nell’1980. Successivamente la corte
suprema ha individuato alcune disposizione base che non possono essere modificate quali la
supremazia della cost., la forma di governo democratica e repubblicana, la laicità dello stato e la
separazione dei poteri.
Non è comunque facile individuare il contenuto essenziale dei diritti fondamentali. L’esperienza
dell’Ungheria è esemplare per quanto riguarda la rottura rispetto ai principi del costituzionalismo. In
seguito alle vittoria alle elezioni del 2010, la coalizione di Orban deteneva il 2/3 dei seggi guadagnati
grazie al premio di maggioranza del 15% previsto dalla legge elettorale: ciò permetteva la possibilità di
modificare la costituzione e ciò avvenne nel 2011 con la legge fondamentale dell’Ungheria che entrò in
vigore il 1 gennaio del 2012. In questo caso la costituzione è passata da strumento di garanzia per tutti a
strumento a favore delle politiche della maggioranza. In questo contesto molte disposizioni transitorie
poste in essere a favore della maggioranza sono state definite incostituzionali tra cui norme che
limitavano il potere giudiziario, l’informazione pluralistica. A riguardo si è interessato anche il
parlamento europeo con la risoluzione del 3 luglio 2013 che è intervenuta limitando queste criticità.;
permangono in ogni caso problemi relativi all’equilibrio dei poteri e dei diritti delle minoranze.
2) Procedure di revisione
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Le costituzioni rigide, come abbiamo detto, sono tali perché per essere modificate hanno
bisogno di procedure aggravate rispetto alle procedure richieste per le ordinarie sedute legislative.
L’aggravamento non ha –come spesso invece si dice– il puro scopo di rendere più difficile la revisione,
bensì quello di ricercare, attraverso la procedura più complessa, un consenso più vasto e/o più meditato
e consolidato. Le procedure di revisione non sono uniformi, anzi se ne rinviene una grande
quantità. Addirittura, all’interno della stessa costituzione si possono avere anche due o tre o più
procedure per modificare diverse norme. Solitamente si distingue tra:
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esempio quando non vengono raggiunte determinate maggioranze per cui la procedura si
può arricchire del referendum, ma di procedure diverse ab origine: oltre alla cost. USA,
anche la costituzione estone, che prevede 3 alternative diverse di revisione (con
referendum, attraverso 2 approvazioni successiva a intervallo di tempo; con una sola
approvazione in caso di urgenza);
10) Revisione internazionalmente orientata: emblematico è il caso dell’Armenia, dove
l’originaria costituzione post-sovietica entrata in vigore nel 1995 è stata il frutto di un
processo costituente sostanzialmente autonomo, mentre la successiva revisione avviata nel
1998 e conclusasi nel 2005, è stata effettuata, su richiesta delle stesse autorità armene, in
stretta interazione con la Commissione di Venezia (ovverosia la Commissione per la
democrazia attraverso il diritto) del Consiglio d’Europa, che ha elaborato delle vere e
proprie Basic provisions for the concept of refoming the Constituon of the Republic of Armenia.
Nota che la rigidità variabile caratterizza quasi tutte le più recenti costituzioni. Un caso di
particolarmente interessante di “rigidità variabile” è la costituzione canadese, curiosa anche dal punto
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di vista storico: lo Statute of Westminster del 1931, che perfezionava e riconosceva l’indipendenza e la
sovranità del Canada, stabiliva però che ogni revisione al British North America act del 1867 (che all’epoca
era, a tutti gli effetti, la Costituzione del Canada), fosse di competenza del Parlamento britannico (cioè
della vecchia madrepatria): solo così infatti, si riuscì a raggiungere un’intesa tra i delegati canadesi
appartenenti a diverse nazionalità. Poi nel 1949, con il British North America act N.2 si dispose un
“rimpatrio” del potere di revisione costituzionale al Parlamento canadese: rimpatrio che, tuttavia, fu
solo parziale, in quanto, alcune materie, particolarmente delicate soprattutto dal punto di vista politico e
federalistico, rimasero di competenza del Parlamento britannico. Si venne così a creare una costituzione
con rigidità di diverso grado. Tale modulo è stato poi ripreso con la legge costituzionale del 1982, che
prevede ben cinque diverse procedure di revisione. Altro esempio particolare di rigidità variabile è
offerto dalle norme degli statuti speciali della Valle d’Aosta e della Sardegna, approvati con legge
costituzionale e dunque modificabili solo tramite tale fonte, con l’eccezione del c.d. statuto interno.
Altri esempi di rigidità variabile si trovano nelle costituzioni di Malta, Estonia e Lituania.
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revisione totale debba aver luogo: se il referendum ha esito positivo per la revisione le camere vengono
sciolte e le nuove camere provvederanno alla revisione totale; per entrare in vigore la costituzione
revisionata deve essere accettata dalla maggioranza dei cittadini che partecipano votazione referendaria
e dalla maggioranza dei cantoni; il risultato della votazione popolare in ciascun cantone vale come voto
del cantone.
Questione importante è quella riguardante gli eventuali limiti incontrati da una revisione totale:
si può rivedere totalmente tutta la costituzione o alcuni principi di fondo sono, in ogni caso,
immutabili? Chi identifica la revisione totale come potere costituente sostiene che limiti non ve ne
possano essere; del resto diversi giudici costituzionali hanno riconosciuto l’esistenza di limiti espliciti e
impliciti all’esercizio del potere di revisione costituzionale. Negli anni ‘90 il tema della revisione totale
della costituzione ha assunto particolare rilievo in Italia, specie a causa delle diffuse e ampiamente
sentite richieste di profonde revisioni costituzionali di molti articoli della parte II della costituzione: da
parte di molti si è chiesta la convocazione di un’assemblea costituente (a seguito, ovviamente, di una
legge costituzionale ad hoc) eletta con sistema proporzionale. Anche perché -secondo un’autorevole tesi-
la procedura di revisione costituzionale ex. Art. 138 non può investire interi “pacchetti” di riforme, ma
solo singole disposizioni o al massimo gruppi di disposizioni strettamente collegate in quanto il
referendum successivo deve attenersi a un tema omogeneo, altrimenti la volontà popolare in sede di
giudizio referendario verrebbe alterate. Tuttavia, la maggioranza dei costituzionalisti respinge la
soluzione dell’assemblea costituente perché, non essendo prevista dalla costituzione, si configura come
la procedura tipica delle situazioni che emergono a seguito della caduta del sistema costituzionale in
vigore e dunque avrebbe il significato di depotenziare, se non svilire, l’attuale costituzione. Inoltre,
sarebbe singolare la presenza contemporanea di due Assemblee diverse: l’una eletta con sistema
proporzionale e competente a definire le regole del sistema futuro, le altre due (Camera e Senato) elette
con sistema maggioritario, e competenti a gestire, insieme al Governo, il sistema esistente.
Ovviamente tutti questi problemi nascono perché non esiste, nel nostro ordinamento, una
disciplina esplicita sulla revisione totale, tanto che già nell’ XI legislatura, la “Commissione per le
riforme istituzionali” (c.d. De Mita-Iotti), composta da 30 senatori e 30 deputati, formulò un progetto
di legge costituzionale (1/1993) che prevedeva una procedura speciale di revisione della II parte della
costituzione avente il suo fulcro nella c.d. “Commissione bicamerale per le riforme”: in particolare,
istituiva una procedura con carattere temporaneo e derogatorio rispetto all’art. 138 poiché prevedeva la
sottoposizione obbligatoria del futuro progetto al referendum popolare, allontanandosi così dalla lettera
e dallo spirito dell’art. 138 cost. Si trattava insomma di un tentativo di profonda revisione costituzionale
che venne però interrotto dagli eventi politici (lo scioglimento delle camere del ‘94 e la conseguente
riforma del sistema elettorale). Tuttavia, lo spirito della l. cost. del ‘93 fu ripreso con la l. cost. del ’97
che prevedeva un’analoga procedura di revisione della II parte della Costituzione, incentrata sulla
“Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”. Anche in questo caso la procedura di
revisione prevedeva una parziale deroga alle norme procedurali stabilite dalla costituzione e dai
regolamenti parlamentari per l’approvazione di modifiche alla costituzione: in particolare, rispetto alla
procedura stabilita dall’art. 138, tale legge prevedeva il referendum popolare confermatorio sulla legge
di revisione costituzionale non in via eventuale, ma in via necessaria, entro 3 mesi dalla pubblicazione.
Era inoltre richiesta, a differenza di quanto previsto dall’art. 138 cost, non solo la sua approvazione
dalla maggioranza dei voti validi, ma anche la partecipazione al referendum della maggioranza degli
aventi diritto. Tuttavia anche questo progetto era destinato a fallire per il disaccordo delle parti
politiche.
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coscienza giuridica, dei rapporti internazionali, dei rapporti politici e così via. La costituzione è –come
dicono gli americani– ciò che la Corte Suprema dice di essere. Del resto, anche la nostra Corte
Costituzionale più volte ha affermato la necessità di un’interpretazione “evolutiva” del testo
costituzionale. Anche le leggi elettorali a volte hanno incidenze rilevanti sulle forme di governo e quindi
sull’assetto costituzionale. Modifiche tacite sono anche quelle che trovano la loro origine in
consuetudini e convenzioni: ad esempio in Norvegia il sindacato diffuso o decentrato di
costituzionalità è una consuetudine introdottasi pian piano in Costituzione.
Di modifiche tacite della costituzione si può parlare anche con riferimento alla ratifica di
trattati che incidono sulle competenze costituzionalmente costituite: in particolare l’istituzione
della CE e poi dell’UE, grazie all’attribuzione agli organi della UE di funzioni legislative e
giurisdizionali, ha senza dubbio inciso sulla nostra costituzione, in quanto modifica le norme
costituzionali in tema di esercizio della funzione legislativa e di monopolio statale della giurisdizione (e
secondo alcuni modifica anche la forma di Stato dei paesi membri, data la natura “prefderale” dell’UE).
A tal proposito, la Corte Costituzionale italiana, da una parte ha fondato la legittimità del sistema
europeo sulla base dell’art. 11 costituzione, avendo ravvisato nel Trattato di Roma una piena
rispondenza alle finalità indicate da tale norma; d’altro lato ha riservato all’ordinamento interno
(attraverso il sindacato di costituzionalità) la verifica del rispetto da parte delle norme comunitarie dei
principi fondamentali del sistema costituzionale italiano e, in particolare, dei diritti inviolabili della
persona umana. Pertanto secondo la nostra Corte se anche ci sono decisioni o atti normativi che
producono (dall’esterno) una limitazione della sovranità, sovrana resta la nostra costituzione. C’è da dire
però che ultimamente, a seguito delle rilevanti e progressive revisioni sia per il numero degli Stati
aderenti sia per disciplina ed estensione di competenze che hanno investito l’originario Trattato di
Roma (1957), numerosi Stati hanno dato corso a revisioni costituzionali, come la Francia, la Germania,
la Spagna, molti Stati dell’Est ammessi nell’UE, il Portogallo.
Nello specifico, in Francia vi è stata una presa di posizione del consiglio costituzionale secondo
il quale l’autorizzazione a ratificare con legge il trattato di Maastricht richiedeva la previa revisione della
costituzione. In seguito a questa diatriba è stato inserito nella costituzione un nuovo titolo (15)
intitolato “Le comunità europee e l’UE”: in seguito a queste disposizioni la Francia acconsente ai
trasferimenti di competenza necessari per l’istituzione dell’unione economica e monetaria europea.
Anche per quanto riguarda la trasposizione del Trattato di Amsterdam è stato necessaria una revisione
costituzionale , anche se in questo caso il conseil costitutionelle non ha ritenuto necessaria la modifica della
costituzione francese. In merito al trattato di Lisbona invece il Conseil ha ritenuto necessaria una riforma
costituzionale intervenendo nuovamente sul titolo 15.
Per quanto riguarda la rep. Federale tedesca l’integrazione europea non ha inciso in maniera
fondamentale sul controllo di costituzionalità degli atti comunitari e dell’Unione, funzione che la corte
costituzionale tedesca continua a ritenere di sua pertinenza. In spagna la procedura di revisione
costituzionale ha riguardato la sola disciplina dell’eleggibilità dei cittadini comunitari ivi residenti.
4) L’eccesso di costituzionalizzazione
Non esiste una “nozione ontologica” di materia costituzionale, nel senso di materie che sono
riservate alla costituzione, in quanto ciò che la costituzione disciplina è un puro dato storico. Lo
dimostra il fatto che le più svariate materie sono state introdotte in costituzione: dai valori postali
(Weimar) alle imposte sul tabacco e sulla birra (costituzione Svizzera); anche nella nostra costituzione è
rintracciabile un eccesso di costituzionalizzazione, all’art. 111, che giunge a disciplinare (per dare
concretezza al principio del giusto processo) l’interrogatorio di persone che abbiano reso dichiarazioni a
carico della persona accusata di un reato, con prescrizioni dettagliate che sembrano semmai tipiche di
un codice di procedura penale. Pertanto possiamo dire che, non esiste una nozione complessiva di
materia costituzionale tale da identificare tutto ciò che può andare in costituzione; c’è, invece, una
nozione di materia costituzionale minima o obbligatoria, così da identificare ciò che deve andare in
costituzione: i diritti fondamentali e la ripartizione dei poteri costituiscono questa materia tipica
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della costituzione. Nelle costituzioni di questo secolo non si pone mai il problema del non
raggiungimento dello standard minimo di contenuti, ma molto spesso si pone invece proprio il
problema dell’eccesso di materie costituzionalizzate.
Qual è il problema che scaturisce dall’eccesso? Che se determinate maggioranze modificano ad
libitum le materie costituzionali potrebbero cristallizzare e condizionare per lungo tempo le società e le
istituzioni; il pericolo è ancora più grave laddove la revisione avviene senza referendum, cioè senza
ratifica popolare. Per evitare questo rischio, molte costituzioni prevedono che le modifiche o le
integrazioni alla costituzione debbono avvenire in modifiche espresse del testo della Costituzione
stessa, in modo che ogni modifica avviene in pratica su una materia già inserita nella Costituzione, e
dunque non si “costituzionalizzano” altre materie oltre quelle individuate dal potere costituente. In
Italia il problema dell’eccesso di costituzionalizzazione si pone anche perché la costituzione prevede,
accanto alle leggi di revisione costituzionale, la categoria delle leggi costituzionali, che seguono le stesse
procedure delle leggi di revisione. Per quanto la questione sia controversa, comunque, è da ritenere che
le uniche leggi costituzionali ammissibili siano quelle espressamente previste dalla costituzione (vedi ad
esempio artt. 71, 96, 116, 132, 137): in queste materie, vi è infatti, una espressa previsione di riserva di
legge costituzionale; se non v’è tale previsione, il ricorso alle leggi costituzionali si rivela del tutto
irragionevole. D’altra parte, laddove vi è una espressa previsione delle leggi costituzionali, come in
Austria, si è arrivati ad una proliferazione di leggi costituzionali che ha finito per depotenziare la
costituzione.
5.1) Deroga
La deroga è un istituto di carattere generale in virtù del quale una determinata disposizione
della costituzione non viene applicata, temporaneamente o definitivamente, a causa di
determinate circostanze, dette appunto “derogatorie”. La deroga non determina quindi, come la
revisione, l’abrogazione o la sostituzione di una o più disposizioni costituzionali: la costituzione
rimane integra, solo che determinate disposizioni sono sottratte al regime costituente ordinario e
sottoposte ad un “regime costituente ad hoc”.
5.2) Rottura
Le deroghe alle costituzioni vengono comunemente chiamate, invece che deroghe appunto, con
il termine “rottura”: nota che la connotazione non è negativa, come invece si potrebbe pensare. Nel
nostro ordinamento esempi di “deroga-rottura” sono la l. cost. 2/1989, che in deroga all’art. 75 ha
consentito lo svolgimento di un referendum di tipo consultivo sull’Unione Europea, e le due leggi
costituzionali 1/1993 e 1/1997, che abbiamo già visto, e che in deroga all’art. 138 prevedevano una
particolare procedura di revisione della parte II della costituzione. Poiché la rottura costituisce una
modifica della costituzione (di cui rappresenta una particolare specie) essa si compie con le stesse
procedure della revisione ed è soggetta, tendenzialmente, agli stessi limiti, espressi o taciti, della
revisione, e così ad esempio non può mai giungere a sacrificare i diritti inviolabili, nella misura in cui
non sono sottoponibili a revisione.
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metodo democratico a determinare la politica nazionale») e introducono vari limiti al diritto del voto,
all’accesso alle cariche pubbliche, all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale dei membri di casa
Savoia; 2) articolo 116 comma 3 della nostra costituzione che consente di attribuire alle Regioni
ordinarie forme e condizioni particolari di autonomia in determinate materie con leggi approvate dalla
Camera a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata.
5.4) Sospensione
La sospensione della costituzione costituisce una figura molto simile alla rottura, tanto che
talvolta è difficile distinguerle. Tuttavia, le differenze dell’istituto della sospensione rispetto alla rottura
sono rappresentate:
6) Lo stato di crisi
È importante dire che, riguardo lo stato di crisi, i vari ordini giuridici devono essere confrontati
non solo tramite le loro costituzioni, ma anche alle altre fonti normative, perché la disciplina dei
regimi di crisi è spesso contenuta in leggi ordinarie. Si può individuare sin da subito una tendenza
comunque comune: dinanzi alla richiesta di governare le situazioni di emergenza, generalmente si tende
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ad affidare i poteri operativi all’organo più attrezzato per capacità decisionali e disponibilità di mezzi a
fornire una risposta adeguata, cioè il Governo.
6.1) Disciplina
Ciò è particolarmente evidente in un ordinamento presidenziale a esecutivo monista come
quello degli Stati Uniti in cui, nonostante la costituzione assegni una specifica competenza al
Congresso in ordine alla dichiarazione di guerra e all’impiego della milizia «per dare esecuzione alle leggi
dell’Unione, per reprimere le insurrezione o per respingere le invasioni», tuttavia si sono lo stesso
affermati il presidential war-making power e gli emergency powers di pertinenza anch’essi del Presidente. Sono
poteri che consentono deroghe temporanee alla costituzione. Particolarmente accentuati sono i poteri
dei presidenti nelle situazioni di crisi nelle costituzioni degli Stati latino-americani, ma il
rafforzamento dei poteri del Capo dello Stato non è comunque esclusivo degli ordinamenti con forma
di governo presidenziale. Negli ordinamenti ad esecutivo dualista (dove ci sono cioè un capo dello
Stato o Re e un governo), tipici delle forme di governo parlamentare e semipresidenziale, il
rafforzamento dell’esecutivo può riguardare tanto il Capo dello Stato quanto il Governo: ad esempio, è
fortemente accentrato sulla figura del Presidente l’ordinamento d’ emergenza disciplinato dalla
costituzione francese della V Repubblica.
In generale comunque, nelle forme di governo parlamentare tende a prevalere la posizione del
Governo, in via esclusiva o con la competenza concorrente del Capo dello Stato (ad intensità
comunque variabile). Paradigmatici sono ad esempio gli articoli 78 e 87 della costituzione italiana
relativi allo stato di guerra, che è deliberato dalle Camere, dichiarato dal presidente della Repubblica e
“gestito” dal Governo. Il controllo del PdR è previsto anche sui decreti leggi a cui può ricorrere il
Governo in casi straordinari di necessità e di urgenza ai sensi dell’art. 77 cost., al quale la dottrina più
autorevole riferisce la disciplina applicabile nei casi di emergenza interna, sino a consentire la
sospensione di alcuni diritti garantiti in costituzione. Peraltro va anche ricordato che sono ancora
formalmente in vigore alcuni articoli del Testo unico di pubblica sicurezza del 1931 che disciplinano lo
stato d’assedio, nelle due figure dello stato di pericolo pubblico e dello stato di guerra interna, e che
prevedono un potere di ordinanza c.d. “libera” (e cioè extra ordinem) del Ministro dell’Interno e
l’assunzione di poteri, anche normativi, da parte dell’autorità militare. Tali disposizioni, scrive però
Morbidelli, sono da ritenersi incostituzionali, quantomeno nelle parti in cui consentono limitazioni a
diritti costituzionalmente garantiti. Un caso a parte è rappresentato dalla Gran Bretagna, nella quale il
Primo ministro, in situazioni di crisi, cumula l’esercizio delle royal prerogatives previste dalla Common Law
con la titolarità degli statutory powers conferitigli con leggi ad hoc del Parlamento.
È da sottolineare come il rafforzamento dei poteri del capo dello stato non è esclusivo degli
ordinamenti a tendenza presidenziale: l’art. 48 della costituzione di Weimar sanciva la possibilità da
parte del Presidente del Reich di avere poteri amplissimi in caso di rischi per l’ordine pubblico.
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emergenza e infine stabilisce che tale dichiarazione non può, in nessun caso, intaccare i diritti alla vita,
all’integrità personale, all’identità personale, alla capacità civile e alla cittadinanza. Alcune costituzioni,
come quella spagnola, elenca positivamente quali sono i diritti sospendibili quando viene dichiarato lo
stato d’assedio o lo stato di eccezione, altre come quella indiana o brasiliana descrivono
minuziosamente quali sono le misura adottabili durante lo stato di assedio in deroga alle normali
garanzie; di norma però le costituzioni prevedono disposizioni del tutto generiche, oppure rinviano
alla legislazione ordinaria. Ancora più rilevante è il fatto che nell’esperienza più recente molto spesso
non viene neanche espressamente e formalmente dichiarato lo stato di emergenza e di tensione:
tuttavia, si dà lo stesso esecuzione, tramite legge ordinaria, alla limitazione delle garanzie. Significativa,
in tal senso, è l’esperienza degli Stati Uniti. In tale Paese, oltre alla previsioni costituzionali (come l’art.
1, sez. 9 che prevede la sospensione dell’ habeas corpus quando lo esige la sicurezza pubblica in caso di
ribellione o invasione), la legislazione ordinaria ha introdotto notevoli limitazioni ai diritti garantiti in
costituzione. Se le limitazioni introdotte durante le due guerre mondiali hanno però ricevuto l’avallo
della Corte Suprema, la stessa Corte si è invece pronunciata in maniera avversa ai provvedimenti
adottati dal Governo nella c.d. “guerra al terrorismo”, ad esempio gli Usa Patriot Acts, soprattutto per le
ridotte garanzie di difesa e le restrizioni alle libertà personali imposte ai cittadini stranieri e per l’ampia
facoltà di intercettazioni delle comunicazioni. La Corte Suprema ha cercato di limitare in qualche modo
lo strapotere che il Governo e il Presidente si erano autoarrogati. In estrema sintesi, possiamo dire che
in una sentenza del 2008, la stessa Corte si è espressa in favore dell’insospendibilità del d iritto
fondamentale di habeas corpus anche per i prigionieri di Guantanamo (definito uno “strumento
vitale per la protezione delle libertà individuali” e un “meccanismo essenziale nella separazione dei
poteri”). Forti sono anche le limitazioni nell’ordinamento britannico che fino a una celebre sentenza
della House of Lords del 2004 consentiva la detenzione “extragiudiziaria” a tempo indeterminato di
stranieri anche solo sospettati di terrorismo. Ma anche qui, successive sentenze dell’autorità giudiziaria
hanno riequilibrato l’esercizio dei diritti civili da parte degli individui con le esigenze connesse alla
sicurezza dello Stato. Infatti le giustificazione alle limitazioni delle garanzie costituzionali vanno
individuate –in assenza di una espressa previsione costituzionale– nel diritto alla sicurezza, che fa da
contro-limite agli altri diritti: in una sentenza del 2001 la CEDU, relativamente al partito turco Refah
Partisi (ovvero “partito della prosperità”), ha osservato che il diritto di associazione politica è cedevole
di fronte alla sicurezza nazionale e alla sicurezza pubblica.
L’art.37 della costituzione del Sud Africa nel disciplinare lo stato di emergenza elenca i diritti
non derogabili (eguaglianza, dignità umana, vita, libertà dell’individui). Disposizioni simili si rinvengono
anche nella costituzione della RDC, nella costituzione serba e in quella dello Swaziland. La costituzione
spagnola indica invece quali sono i diritti sospendibili quando venga dichiarato lo stato di guerra, la
stessa cosa nella costituzione afghana. In Brasile e in India la descrizione delle misure adottabili è
minima; in India sono state introdotte una serie di deroghe al diritto di difesa e alle garanzie delle libertà
personali ed è stata introdotta la pena di morte.
7) La difesa della costituzione
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Camera e Senato in sede di esame delle proposte di legge, devono fare uno specifico esame di
costituzionalità di tali atti. Ma ciò di cui si deve tener conto è che la difesa della costituzione è un
obbligo che grava su tutti e che coinvolge tutto lo Stato-comunità: in primo luogo tutti i titolari di
funzioni pubbliche devono difendere la costituzione; in secondo luogo, anche i semplici cittadini hanno
il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne costituzione e leggi (art. 54, comma 1 cost.)
Nei paragrafi seguenti si trattano le forme di difesa che non emergono dall’esame dei vari istituti
e principi costituzionali, in particolare due: la difesa svolta dal popolo attraverso il c.d. diritto di
resistenza; i c.d. istituti di democrazia protetta, cioè la difesa della costituzione tramite politiche
specifiche che proteggono i valori della costituzione stessa.
65
e
propri movimenti politici che combattessero i principi di tali Stati. Tutto il peggio che è successo nel
Novecento e in primis l’affermazione dei totalitarismi hanno però portato all’introduzione, anche in
Paesi a tradizione costituzional-liberale di una specifica disciplina relativa all’opposizione
anticostituzionale. Tale disciplina però è immersa nell’annoso dibattito e conflitto tra due valori
costituzionalmente protetti: il diritto dei cittadini ad associarsi e a manifestare liberamente il proprio
pensiero in materia politica e la difesa delle pubbliche istituzioni da atti tendenzialmente eversivi.
In sintesi si tratta del dibattito sul partito “antisistema”: secondo alcuni, esso può essere
individuato soltanto sulla base di un obiettivo e provato carattere violento della sua azione; secondo
altri, invece, l’affermazione dell’ “antidemocraticità” deve basarsi essenzialmente su un’indagine del
programma politico e, dunque, sull’ideologia.
7.5) In Italia
La tematica della democrazia protetta è presente anche nell’ordinamento italiano. La
costituzione italiana conosce uno specifico esempio di “democrazia protetta”, nel senso che le libertà
fondamentali vengono limitate o annullate per proteggere interessi ritenuti vitali per la tenuta della
costituzione; tuttavia tale primazia delle esigenze di protezione è stata recentemente riequilibrata con la
legge del 2006 in materia di reati d’opinione. La protezione dell’ordinamento si realizza, in primis, nella
costituzione italiana mediante la XII disposizione transitoria e finale, che vieta la riorganizzazione
sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista; norma che tra l’altro è imposta a livello
internazionale, in quanto il Trattato di pace obbliga l’Italia a non permettere la rinascita nel suo
territorio di organizzazioni fasciste, siano esse politiche, militari o militarizzate; ma d’altra parte è stata
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una precisa scelta del potere costituente, che in via di fatto ha cominciato a esprimersi subito dopo il 25
luglio ‘43 e la caduta del fascismo in opposizione a esso. Cosicché si può dire che la disposizione in
esame ha carattere addirittura supercostituzionale.
Al di fuori di questa esplicita previsione costituzionale, il difficile rapporto tra i due valori di cui
si è tanto detto sopra, nel nostro ordinamento, viene risolto dalla giurisprudenza, che si trova di fronte
a una contrapposizione tra norme che hanno origine e funzioni contrastanti: da una parte le norme
penali volute dal fascismo per colpire l’opposizione, che ancora esistono, e dall’altra le affermazioni
costituzionali dei diritti di libertà. Le norme penali volute dal fascismo per colpire le opposizioni sono
ad esempio i reati di vilipendio delle istituzioni, di apologia e di propaganda sovversiva, tutti
diretti contro la personalità dello Stato, come quelli di associazione sovversiva e di cospirazione politica,
di istigazione a disobbedire alle leggi, ecc: tutti questi istituti hanno dato luogo a non poche
controversie interpretative, proprio per lo scontro con i principi costituzionali. La materia è stata però
disciplinata ultimamente, con la legge n.85 del 2006, intitolata “Modifiche al codice penale in materia di
reati d’opinione”: tale legge va ad abrogare o modificare alcune disposizioni del codice penale inerenti a
fattispecie di carattere apologetico o di vilipendio alle istituzioni dello Stato. In particolare, gli articoli
riformulati tendono a prevedere una maggiore specificità della condotta incriminata. Essi vanno nella
direzione già individuata dalla giurisprudenza, secondo la quale il requisito della sovversività come reato
penale sussiste quando un’associazione di individui non si limita a propagandare o a perseguire
trasformazioni dell’ordinamento, ma mira a realizzare praticamente un programma di azione politica. Si
avvicina così alla nozione di clear and present danger, e dunque il requisito di “concretezza del pericolo”
elaborato dalla giurisprudenza americana, in base al quale possono essere perseguite quelle
manifestazioni del pensiero idonee a determinare in modo diretto e immediato un’azione penalmente
illecita.
Naturalmente eventuali limitazioni devono rispettare i diritti umani e le convezioni disciplinanti questo
ambito ratificato dai vari stati. Anche la partecipazioni di molti stati alla nato spesso cozza con la
compatibilità delle garanzie costituzionali.
Possiamo definire il regime caratterizzato dall’applicazione congiunta di garanzie ed eccezioni
come sistema multilivello. Questo sistema così descritto è frutto dell’emergere di fonti normative
internazionali e sovranazionali. La minaccia del terrorismo internazionale ha portato i paesi a non
dichiarare apertamente lo stato di emergenza, ma li ha portati ad inserire garanzie costituzionali spesso
caratterizzate da una logica rassicurativa. Es: il Patriot Act (USA 2006), ora Patriotic Act II è divenuto
permanente negli ordinamenti interni.
Il diritto alla sicurezza è diventato indispensabile nel costituzionalismo moderno: la sicurezza
può essere considerata dunque valore super primario. Concentriamoci su Stati Uniti e Gran Bretagna: la
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legislazione antiterrorismo introdotta ha derogato molto il diritto di libertà personale (Corte Suprema
2004, corte d’appello UK 2006), il divieto di discriminazione (House of Lords 2004), e il diritto al giusto
processo (Corte Suprema 2006, 2008, High Court 2006). Nel Regno Unito le norme introdotte hanno
allargato le condotte da considerare atti terroristici (prevention of terrorism act 2006, terrorism act, terrorism
prevention and investigation measures act 2011). Sono state ridotte le garanzie di libertà degli individui con
l’allungamento della carcerazione e la creazione di una banca dati contenente informazione sui
sospettati. Lo sviluppo di nuove figure criminali quali i foreign fighters e l’ascesa dello Stato Islamico tra
Siria e Iraq hanno limitato ancora di più le garanzie costituzionali di libertà nell’esigenza di tutelare la
sicurezza.
In Nuova Zelanda nel dicembre 2014 è stato approvato il countering terrorist fighters legislation bill,
che ha introdotto il potere di sorvegliare i sospettati di terrorismo senza mandato e con qualsiasi
mezzo, inoltre è stata prevista la possibilità di ritiro del passaporto. È stata comunque inserita una
clausola per porre fine a queste disposizioni prevista per l’aprile 2017 (sunset clause). In Canada sono stati
inseriti l’anti terrorism act (2001) che prevede espulsioni e detenzione extragiudiziaria; public safety act
(2002) che rafforza la possibilità di controlli e l’arresto senza mandato. Le autorità giudiziaria può
dunque interrogare un individuo sospettato di essere a conoscenza di informazioni, il governo canadese
inoltre può rifiutarsi di rispondere a un’interpellanza dell’autorità giudiziaria che chiedi informazioni
sull’individuazione di tale individuo. Entrambe le disposizioni precedenti sono comunque decadute alla
scadenza della sunset clause (dicembre 2016). La corte suprema canadese in molte sue sentenze ha
precisato la definizione di terrorismo, ha sancito l’incostituzionalità del divieto per le forze di polizia di
rendere pubbliche le proprie tecniche operative, ha stabilito l’incostituzionalità delle misure di
detenzione amministrativa a carico di stranieri in preparazione all’espulsione.
In Germania, la parentesi del terrorismo degli anni ‘70-‘80 ha visto l’emanazione della legge sul
terrorismo del 1977, che prevedeva il divieto di colloquio diretto dell’imputato col proprio difensore, il
quale poteva interagire con il proprio assistito solo mediante una persona di contatto. Per quanto
riguarda il post 11 settembre, non ci sono state grandi novità in ambito penale. La strategia è stata
quella di modificare le normativa preesistente in modo di ottimizzarla e sfruttare le potenzialità già
esistenti. Le leggi che sono state emanate in questo periodo( rispettivamente 2002, 2007 sono il tbg e il
tbeg che hanno portato modifiche e aggiustamenti a leggi preesistenti. Sono stati rafforzati i poteri della
polizia criminale federale e i poteri dell’ufficio federale per la protezione della costituzione, al quale è
stato conferito il diritto di reperire informazioni dalle compagnie di volo, dai servizi di posta, dalle
compagnie bancarie e dai soggetti sospettati di porre in essere condotte contrarie al principio della
comprensione tra i popoli e la pace. Sono stati inoltre potenziati i poteri del servizio di informazione
federale e quello del servizio di difesa militare. Queste norme, nonostante fossero poste in essere per
rimanere in vigore per un arco di tempo determinato, hanno visto le forze politiche inclini a
mantenerle; è stata introdotta una legge sulla banca centrale unificata per la raccolta di informazioni
provenienti dalle autorità di polizia relative agli individui sospetti; sono state inserite norma sulla
sicurezza del traffico aereo. Una riforma costituzionale del 2006 ha portato un forte accentramento
delle competenze in materia di terrorismo internazionale nelle mani del Bund; la federazione è dunque
competente in via esclusiva a legiferare sulla disciplina delle armi esplosive e in maniera di terrorismo
internazionale. Lo Stato ha acquistato anche competenza sulla disciplina dell’uso dell’energia nucleare; si
nota l’eccessività di queste norme, infatti molto spesso il tribunale tedesco è intervenuto censurando
alcune disposizioni introdotte dalla legislazione federale.
In Francia è stata approvata la legge 1062/2001 che ha modellato il reato di terrorismo nel
codice penale francese: la sicurezza nazionale viene definita come diritto fondamentale, sono previste
restrizioni alle garanzie processuali e procedimenti speciali per gli accusati di terrorismo, sono state
inserite altre leggi che rafforzano i poteri investigativi della polizia amministrativa e giudiziaria e che
inaspriscono le pene. Anche nel caso della Francia si è cercato ad opera del conseil constitutionnel di
contemperare l’esigenza di sicurezza e diritti individuali.
La Spagna è un caso limite: essa da sempre ha combattuto il terrorismo basco attraverso
deroghe processuali al regime riguardante reati di terrorismo, è stato creato il centro nazionale per
l’intelligence con funzione di coordinamento delle forze di pubblica sicurezza. A seguito degli attentati a
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Madrid è stata approvata la legge organica n. 4/2005: questa legge punisce le violazioni alla normativa
sul materiale esplosivo o infiammabile, tutelando quindi il diritto alla vita e all’integrità fisica. Celebre in
Spagna è stato il caso Guatemala in seguito al quale è stata riconosciuta la giurisdizione universale dei
tribunali spagnoli nei confronti dei crimini contro l’umanità includendovi il terrorismo.
L’Italia ha reagito alla minaccia terrorismo mediante l’adozione di decreti leggi da parte del
governo. Il più recente è il d.l. 18 febbraio 2015 n.7 convertito in legge il 17 aprile 2015 n.43: questo
riguarda il fenomeno dei foreign fighters, impone misure di prevenzione maggiori quali la sorveglianza
speciale, ritiro del passaporto delle personalità sospettate da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.
Notiamo che la legislazione italiana non incide particolarmente sulle garanzie di libertà individuale e
accesso alla giustizia. Profili di incostituzionalità si potevano notare nei provvedimenti di espulsione
immediata di cittadini stranieri (l. 155/2005 ormai decaduta). Molteplici in questo caso sono stati i
ricorsi al TAR nonostante questi non potevano sospenderne l’efficacia.
Possiamo concludere che in Italia la minaccia del terrorismo non è mai stata trattata attraverso misure
extra ordinem.
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La GB presenta una costituzione sostanziale del costituzionalismo pur non essendo scritta. Le
costituzioni senza costituzionalismo presentano le seguenti caratteristiche:
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avrebbe dovuto leggersi in concomitanza con lo statuto del Partito Comunista Cinese e del suo
programma politico. Fu una costituzione caratterizzata da transitorietà in quanto si modificava al
mutare degli orientamenti politici; In seguito a questa costituzione, la RPC ha approvato ben 4
costituzioni, quella tuttora vigente è stata adottata nel 1982 ed è stata emendata 5 volte fino all’ultima
riforma del 2017.
La nuova costituzione è considerata fonte del diritto e presenta le seguenti caratteristiche:
- È legge fondamentale dello stato, riflesso del sistema di governo e della suddivisione in
classi, delinea il bilanciamento tra le diverse forze politiche e infine è il fondamento delle
garanzie dei diritti e delle libertà;
- Definisce le finalità fondamentali in ragione della sua superiorità nei confronti delle altri
leggi;
- È molto rigida: può essere emendata solo dall’assemblea nazionale del popolo, che è
l’organo rappresentativo del potere sovrano.
- Ha natura classista e riflette il contrasto e il bilanciamento tra le diverse classi sociali/forze
politiche/nazionalità ed etnie differenti nell’ottica dell’onnipresente partito comunista (come
sappiamo il partito comunista rappresenta la matrice unitaria e la forza unificante delle
istanze politiche);
- Garantisce i diritti e le libertà fondamentali degli individui.
-
L’esperienza della realtà politico-costituzionale cinese presenta una concezione della costituzione e del
costituzionalismo di marcata colorazione cinese: si tratta di una sorta di dichiarazione nazionale.
Questa costituzione presenta dei problemi: in primo luogo la sua valenza politica e di manifesto
la privano della sua sostanziale forza giuridica, ciò è dato dal fatto che il partito comunista ha il primato
sulla costituzione; sono dunque contemplate violazioni legittime della costituzione. La costituzione
inoltre mostra un pluralismo di facciata rudimentale: c’è sempre ruolo predominante partito comunista,
gli altri 8 partiti infatti riconoscono il primato del partito comunista. Potremmo concludere che il
pluralismo manca del tutto. Ulteriore limite sono le clausole di limitazione rimesse al legislatore
ordinario: le limitazioni delle libertà fondamentali sono rimesse alle forze politiche dominanti, senza
alcuna garanzia costituzionale.
Siamo in presenza dunque di una frattura tra la costituzione cinese formale (riconducibile al
costituzionalismo liberal-democratico) e la costituzione materiale o vivente: l’esempio della cina è un
classico esempio di costituzione senza costituzionalismo. La costituzione del 1982 è una costituzione
ideologica imperniata sul pensiero marxista-leninista e su quello di Mao. Si noti come il sistema
economico è sovraordinato rispetto al diritto; il motivo principale per il quale sono stati inseriti principi
del costituzionalismo occidentale sono essenzialmente di facciata, per poter andar a far parte della
WTO e per poter ospitare le olimpiadi di pechino.
In questi casi la fede religiosa dominante rappresenta il fondamento del potere temporale: i
precetti religiosi sono la fonte primaria del diritto vigente. Esempi di questi casi sono gli stati islamici
dove la costituzione è subordinata alla Shari’a(legge divina): l’Islam religione di stato si parla di stati
confessionali.
Esempi recenti di regime teocratico sono l’Afghanistan (1996-2002), dove i talebani e i teologi
imposero la legge islamica, e lo stato del Sudan nel XIX secolo. Le esperienze moderne ci fanno parlare
di teocrazia costituzionale: in Afghanistan dopo la sconfitta dei Talebani la grande assemblea
costituzionale ha istaurato uno stato a forte impronta confessionale. L’islam è religione di stato, i titolari
delle massime cariche devono appartenere alla religione islamica, dunque la teocrazia costituzionale
realizza una separazione formale tra leadership politica e autorità religiosa; nonostante ciò la
costituzione è impregnata di precetti islamici. I tratti caratteristici di una teocrazia costituzionale sono:
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Esempi di teocrazia costituzionale sono Arabia Saudita, Qatar, Maldive, Afghanistan, Iran, Iraq.
Nella costituzione iraniana la Shari’a è riconosciuta come legge suprema e l’autorità politica è
considerata di natura divina; allo stesso tempo il popolo è titolare del governo dello stato, elegge il
presidente della repubblica e i membri dei consigli comunali; il potere di revisione costituzionale è
affidato al consiglio dei guardiani, composti per metà da religiosi e metà da giuristi laici.
Vediamo quindi in Iran una forte frattura rispetto al costituzionalismo data dal riconoscimento
della supremazia della religione islamica (l’obiettivo è realizzare i valori universali dell’Islam), il vertice
delle fonti è la legge islamica che costituisce anche la legittimazione dei poteri statali. La costituzione
ora vigente, attuata in seguito alla rivoluzione del ‘79, esprime la teoria dello stato elaborata da
Khomeini, in base alla quale la separazione della religione dal governo è estranea all’Islam; in questo
caso la religione dispone i precetti legali, della sfera etica e religiosa. Quello che emerge dunque è uno
stato e una costituzione funzionale all’attuazione dei precetti dell’islam; anche la garanzia dei diritti e
subordinata a quanto dispone la religione. La guida suprema, vertice politico e religioso non è
sottoposta a nessun limite di controllo.
1) I criteri di classificazione
Il termine forma di Stato indica l’insieme dei principi e delle regole fondamentali che caratterizzano un
ordinamento statale e che disciplinano i rapporti fra lo Stato come apparato legittimato ad usare la
coercizione da un lato, e i cittadini dall’altro. Tale concetto è correlato a quello di regime politico >
caratterizzato dall’individuazione delle finalità di carattere generale che lo stato vuole perseguire,
nonché a quello di costituzione materiale > insieme di principi e valori dominanti che contrassegnano
un ordinamento costituzionale. Fin dall’antichità il pensiero filosofico si è proposto di classificare le
forme di dominio politico, senza distinguere tra forme di stato e di governo. La classificazione
principale è quella fatta da Aristotele che distingue le forme di governo a seconda del numero dei
soggetti titolari della sovranità proponendo la tripartizione “buona” fra monarchia, aristocrazia e
politeia (rispettivamente governo di uno, di pochi, di molti), quella “degenerata” fra tirannia, oligarchia
e democrazia. Poi vi è la classificazione di Machiavelli tra Principati e Repubbliche e quella di
Montesquieu tra governi monarchici, dispotici e repubblicani (aristocratici e democratici).
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La distinzione tra Monarchia e Repubblica è stata a lungo proposta come criterio fondamentale di
classificazione delle forme di Stato > in quanto poggiava su due principi: quello monarchico (Re che
personificava lo Stato) e quello repubblicano (Capo della Stato come uno degli organi dello stato,
legittimato dal popolo). Per una certa fase storica l’esistenza di un Capo dello Stato monarchico ha
contrassegnato la natura della forma di Stato (monarchia assoluta) o della forma di governo (monarchia
costituzionale). Con la trasformazione delle monarchie europee in monarchie parlamentari, la
distinzione tra monarchia e repubblica non appare più decisiva in quanto si riferisce a forme di Stato o
a forme di governo storicamente superate: l’esistenza di un capo dello Stato monarchico o repubblicano
non modifica la sostanza degli Stati democratici né della forma di governo parlamentare. Fra i criteri
oggi utilizzati bipartizione delle forme di Stato in due grandi categorie: Stato democratico (titolarità
collettiva e esercizio ripartito del potere, modalità di formazione delle decisioni basata sul consenso
popolare, ideologia liberaldemocratica, struttura pluralista e pluripartitica) e Stato autocratico (titolarità
ristretta e esercizio accentrato del potere, modalità di assunzione e di attuazione delle decisioni basata
sull’imposizione, ideologie antitetiche a quella liberaldemocratica).
Democrazia e autocrazia
La concezione di Stato democratico oggi prevalente è di tipo procedurale (configura la democrazia
come un processo finalizzato ad adottare le decisioni politiche) e formale (insieme di regole procedurali
per assumere le decisioni indipendentemente dal contenuto di queste). Sartori definisce quello
democratico come un sistema pluripartitico nel quale una maggioranza governa nel rispetto dei diritti
delle minoranze. La concezione di democrazia in senso sostanziale (sistema che garantisce i diritti
economico-sociali finalizzata a realizzare una eguaglianza effettiva) oggi non è superata. Tuttavia anche
la sola concezione di democrazia in senso formale non appare sufficiente senza un nucleo minimo
essenziale di principi e valori la cui protezione vada oltre le mere procedure formali: adottando una
concezione solo formale di democrazia si potrebbe arrivare al paradosso per cui l’espressione della
maggioranza del popolo potrebbe portare alla rinuncia al sistema democratico, ad es. affidandosi ad un
dittatore. La democrazia è in definitiva un sistema di regole procedurali e allo stesso tempo un insieme
di principi e di valori in esse incorporati o presupposti, che è sancito a livello costituzionale ed è
condiviso dalla società.
La categoria di Stato autocratico viene ad assumere carattere residuale e negativo in quanto comprende
tutte le esperienze non qualificabili come democratiche (fascismo, stato socialista). Il termine autocrazia
(governo di uno) ricomprende concetti quali dittatura, regime autoritario, regime totalitario, che sono
distinti tra loro. La dittatura è una forma di concentrazione del potere nelle mani di un organo,
solitamente monocratico, e può configurarsi come dittatura commissariale potere legittimo e
costituito, previsto e disciplinato in costituzione, che ha come presupposto lo stato di necessità.
Caratteristiche essenziali sono la temporaneità della carica e l’eccezionalità dei suoi poteri che possono
anche portare alla sospensione delle garanzie costituzionali. Oppure come dittatura sovrana
determina la vigenza di una nuova costituzione attraverso l’esercizio di un potere costituente che agisce
in totale rottura col precedente ordinamento costituzionale e quindi si configura come potere illegittimo
e di fatto. Deriva da una crisi di regime e sfocia nell’instaurazione di una nuova forma di Stato o nel
ripristino della costituzione. In entrambi i casi la dittatura non costituisce una forma di Stato a sé, ma è
una forma transitoria che si conclude o con il ritorno al normale funzionamento dell’ordinamento
preesistente o col suo definitivo superamento.
Il regime autoritario (comprende tutte quelle forme di dominio politico che si fondano su una forte
concentrazione del potere, un basso livello di consenso e di mobilitazione popolare, l’uso della forza e
la repressione dell’opposizione) è individuato dai giuristi come la forma di Stato che si è affermata in
Europa tra le due guerre mondiali (massime espressioni sono state il nazionalsocialismo tedesco, il
fascismo, il franchismo spagnolo, il salazarismo portoghese). Una sottospecie di regime autoritario è il
regime totalitario che assume caratteristiche proprie che lo distinguono dal regime genericamente
autoritario: proclamazione di un’ideologia ufficiale dello Stato inculcata mediante la manipolazione della
cultura, dell’informazione e della propaganda; presenza di un partito unico fonte suprema del potere il
cui capo carismatico è la personificazione di questo potere; mobilitazione permanente delle masse
realizzata attraverso un’organizzazione capillare della società e sulla costante ricerca del consenso
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popolare mediante metodi plebiscitari che non consentono reali alternative; alla base vi è una struttura
di tipo poliziesco che prevale su quella militare (nazismo, stalinismo).
L’evoluzione storica: l’ordinamento feudale
Al fine di una classificazione più completa, è necessario utilizzare più criteri che consentono anche di
individuare l’evoluzione storica delle forme di Stato:
1. la natura del rapporto fra lo Stato e la società civile tra sfera pubblica e privata
2. l’individuazione del titolare del potere politico e del modo di esercizio di tale potere
3. la derivazione del potere, ossia la sua fonte di legittimazione
4. il riconoscimento o meno dei diritti di libertà e delle garanzie della loro effettività
5. l’esistenza o meno di una costituzione
Applicando tali criteri è possibile distinguere tra Stato assoluto, Stato liberale e, nell’ambito dello Stato
contemporaneo, tra Stato democratico, Stato autoritario, Stato socialista. Non è individuabile come
forma di Stato l’ordinamento feudale in quanto di forma di Stato in senso proprio può parlarsi solo con
la nascita degli Stati-nazione che avviene in Europa dalla seconda metà del XIV secolo. L’ordinamento
feudale si fonda su un tessuto sociale costituito da comunità di piccole dimensioni isolate le une dalle
altre e su un’economia agricola autosufficiente basata sullo scambio in natura. Qui non si può parlare di
stato in quanto vi è un’identificazione tra la persona fisica del Signore e la proprietà privata della terra
da un lato e il potere esercitato sulle masse contadine dall’altro. Si è parlato di un ordinamento
patrimoniale-privatistico per sottolineare la mancanza di un fine pubblicistico: l’interesse era solo
l’interesse del Signore ed era fondato su rapporti di tipo privatistico-contrattuale tra di esso e i feudatari.
Importante è il rapporto che si instaura tra il Re e i suoi feudatari > in base al quale questi ultimi
acquisiscono il dominio politico del feudo e si obbligano a procurare al primo la forza armata e le
entrate necessarie alla difesa. Natura pattizia assume la Magna Charta (1215) e natura contrattuale
assume il rapporto tra il feudatario e i contadini (rendita al feudatario). Caratteristiche del sistema:
1. Si è parlato di un ordinamento patrimoniale-privatistico per sottolineare la mancanza di un fine
pubblicistico: l’interesse era solo l’interesse del Signore ed era fondato su rapporti di tipo privatistico-
contrattuale tra di esso e i feudatari.
2. La sovranità del Re è puramente teorica in quanto ogni feudo costituisce un ordinamento autonomo
sotto la giurisdizione di un feudatario; analogo fenomeno può rilevarsi nelle comunità urbane di tipo
comunale (Italia XI sec). Nella società feudale non vi è un unico ordinamento sovrano, ma una pluralità
di ordinamenti autonomi (Chiesa, ceti artigianali, comunità urbane, terre contadine ecc).
3. Nel feudo si riscontra un embrione di potere politico ma difettano elementi essenziali perché si possa
parlare di potere statale > non c’è un apparato militare permanente e l’impersonalità del potere.
4. Nella società feudale non si può parlare di veri e propri diritti di libertà; solo alcune categorie di
persone (uomini liberi, in particolare appartenenti alla nobiltà e al clero) possono solo rivendicare alcuni
privilegi (es: essere giudicati dai propri pari).
5. Non esiste una costituzione feudale intesa come regolamentazione dei poteri pubblici e
riconoscimento dei diritti.
Lo Stato assoluto
Lo Stato assoluto si sviluppa in Europa dalla seconda metà del XIV sec e costituisce storicamente la
prima forma di Stato, in quanto si identifica con la nascita degli Stati-nazione > data dalla progressiva
unificazione sotto il dominio del Re di ampi territori. Alla base dello Stato assoluto vi è un’economia
che unisce all’assetto agricolo lo sviluppo del capitalismo mercantile e manifatturiero. Altre ragioni alla
base di questa nascita sono l’espansione demografica, lo sviluppo di un surplus nella produzione
agricola che incoraggia gli scambi con le comunità, il desiderio del re di riaffermare il dominio politico
sui suoi territori. E’ possibile individuare due fasi nello sviluppo dello Stato assoluto:
1. Assolutismo empirico (tra 500/700) ancora si parla di uno Stato patrimoniale in quanto forte
l’intreccio tra fine pubblicistico e privatistico.
2. Assolutismo illuminato (fine del 700) si parla Di Stato di polizia e cioè uno Stato che
persegue il fine pubblicistico di realizzare il benessere dei sudditi.
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Con l’assolutismo nasce uno Stato-apparato che persegue finalità pubblicistiche in nome e per conto del
Re. Gli elementi costitutivi di tale apparato sono un corpo amministrativo-burocratico di funzionari
stipendiati, un esercito permanente, un sistema coordinato di esazione dei tributi. Si opera la distinzione
tra patrimonio privato del Re e patrimonio pubblico.
Si sviluppa il concetto di sovranità come potere assoluto (1576, Bodin), perpetuo e indivisibile, la cui
titolarità spetta al Re o meglio alla Corona. Il potere è accentrato nelle mani del monarca (legibus
solutus) ma non in modo rigido e assoluto: continuano infatti ad operare numerosi ordinamenti
autonomi e di tipo corporativo presenti nella società feudale pur assoggettati al principio di autorità. Il
Re concentra nelle proprie mani il potere esecutivo e quello legislativo. Il potere giudiziario viene
amministrato da corti e tribunali composti da giudici nominati dal Re.
Il potere del Re è di origine divina e si trasmette per via ereditaria. Ridimensionato è il ruolo
rappresentativo delle Assemblee medievali, la rappresentanza si configura come un rapporto di diritto
privato nel quale il rappresentante agisce come mandatario legato a vincoli e direttive da parte dei
rappresentati. Come nell’ordinamento feudale, nello Stato assoluto non si hanno diritti ma solo pretese
di natura privatistico-patrimoniale di cui sono titolari solo coloro che possono vantare un titolo di
proprietà se questi subiscono danni ingiusti possono rivalersi nei confronti del fisco (fondo
patrimoniale dello stato alimentato dalle entrate tributarie). Si afferma la distinzione tra atti di imperio
(che intervengono in materia pubblicistica e costituiscono esercizio di sovranità) e atti di gestione
(impugnabili in via giurisdizionale qualora violino le situazioni soggettive patrimoniali.
Lo Stato assoluto non è uno Stato costituzionale gli unici limiti sono rappresentati da supreme leggi
del regno, quelle di successione e quelle di origine divina e naturale. Lo sviluppo dello Stato assoluto
non è unico in Europa: in Inghilterra non si affermerà mai compiutamente il principio assolutistico
mentre nel continente, in particolare in Francia, ciò avverrà determinando una netta frattura sociale e
politica con la borghesia che si ripercuoterà nelle modalità di passaggio allo Stato liberale.
Lo Stato liberale
La crisi dello Stato assoluto è dovuta ad una molteplicità di ragioni: finanziarie, economico-sociali,
politiche (necessità della borghesia di conquistare il potere). La base economica dello Stato liberale è
costituita dal modo di produzione capitalistico, basato sulla proprietà dei mezzi di produzione, sulla
libera concorrenza, sulla ricerca del profitto come fine ultimo dell’attività economica, sulla centralità del
mercato come misura del valore delle merci e della stessa forza lavoro. Lo Stato liberale nasce presto in
Inghilterra in seguito alle due rivoluzioni (1649 e 1688-89) condotte vittoriosamente dal Parlamento
contro la dinastia degli Stuart. Attraverso le leggi del Parlamento la borghesia inglese trasforma gli
antichi privilegi in diritti e pone una serie di limiti al potere del Re. Il passaggio allo Stato liberale
avviene con una certa gradualità senza fortissimi traumi politici e sociali.
Negli USA la costruzione dello Stato liberale avviene in modo del tutto naturale in seguito
all’indipendenza e soprattutto grazie alla costituzione. In Francia il passaggio allo Stato liberale avviene
in forme violente attraverso un aspro conflitto rivoluzionario (borghesia vs clero ed aristocrazia). In
Germania e in Italia la debolezza della borghesia fa sì che lo Stato liberale nasca come frutto di un
compromesso e di una rivoluzione dall’alto (realizzata grazie all’espansione prussiana e del Regno di
Sardegna): fin dall’origine esso assume una connotazione fortemente statalista e centralista. Nonostante
la diversa evoluzione delle singole esperienze, è possibile tuttavia individuare i caratteri istituzionali
essenziali comuni:
1. Nello Stato liberale si ha una netta distinzione tra la sfera pubblica e la sfera privata. Alla base vi è
un’ideologia individualistica che afferma il valore della persona come soggetto in sé. Tale impostazione
determina la soppressione degli ordinamenti corporativi e degli organismi intermedi. Sul piano
economico si parla di uno Stato non interventista > si tende a subordinare il fattore politico a quello
economico. Lo Stato ha il monopolio della forza legale e non esita ad usarla sottoponendo a serie
limitazioni i diritti civili.
2. Titolare della Sovranità è la Nazione intesa come entità unitaria ed indivisibile che trascende la
volontà dei singoli. Il concetto di nazione non comprende l’intero popolo ma solo coloro che
esprimono una comune visione ideale e sociale e quindi la borghesia diventa la classe dominante.
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3. La separazione dei poteri è uno dei principi cardine dello Stato liberale. La tripartizione fra potere
legislativo, esecutivo e giurisdizionale risale a Montesquieu e alla base ha la volontà della borghesia di
spezzare l’assolutismo monarchico. In particolare Montesquieu affermava la necessità che tra i poteri vi
fossero forme di reciproco controllo (checks and balances USA).
4. L’indipendenza del potere giudiziario si impone in maniera naturale nei Paesi di common law. Nei
Paesi di civil law il processo è molto più lento e faticoso in quanto i giudici sono funzionari pubblici
condizionati nella loro organizzazione dal potere esecutivo e nell’esercizio della funzione giurisdizionale
dal potere legislativo.
5. Con lo Stato liberale si afferma anche il principio della rappresentanza politica che si differenzia
nettamente dalla rappresentanza di tipo privatistico tipica delle esperienze precedenti. Le elezioni
diventano lo strumento fondamentale per la scelta dei rappresentanti legittimati ad esprimere una
volontà libera non vincolata a precise direttive dei propri elettori. Viene infatti sancito il divieto del
mandato imperativo: gli eletti rappresentano non solo chi li ha votati ma l’intera Nazione, perseguono
non interessi particolari ma l’interesse generale. Lo Stato liberale è quindi rappresentativo ma
omogeneo o monoclasse, per via del suffragio ristretto, ed è quindi uno Stato oligarchico e non
democratico.
6. Caratteristica dello Stato liberale è il riconoscimento costituzionale dei diritti di libertà che si
identificano con i diritti civili, intesi come diritti della persona considerata nella sua individualità, e come
libertà negative, derivanti dal riconoscimento a ciascun cittadino di una sfera privata che deve restare
libera dalle ingerenze esterne. Lo Stato liberale non è tuttavia pienamente libero: una volta consolidato
esso ostacola l’estensione del riconoscimento dei diritti civili e politici alle classi subalterne. Gli stessi
diritti di libertà e le relative garanzie vengono riconosciuti in maniera diversificata nei vari ordinamenti.
Il loro radicamento è più forte nei Paesi ove si affermano per via consuetudinaria (Inghilterra) o
rivoluzionaria (USA e Francia) in quanto qui vengono teorizzati come diritti naturali preesistenti allo
Stato e fondati su una legge superiore rappresentata dalla costituzione. E’ invece più debole in Italia e in
Germania dove vengono configurati come diritti pubblici soggettivi che nascono attraverso il
riconoscimento da parte dello Stato.
7. Grande conquista dello Stato liberale è la costituzione atto fondamentale che assicura la garanzia
dei diritti e stabilisce la separazione dei poteri. Si può quindi parlare dello Stato liberale come di uno
Stato legislativo in quanto è la legge l’atto fondamentale che deve garantire un equilibrio fra l’autorità
dello Stato e le libertà dei cittadini. La mancanza della previsione in costituzione di procedure aggravate
per la loro modifica è dovuta alla forte omogeneità politica e ideologica della rappresentanza
parlamentare per cui non sussiste il timore che una maggioranza legislativa possa pregiudicare i principi
e gli interessi comuni.
8. Nello Stato liberale si afferma la concezione di Stato di diritto inteso in senso lato come
sottoposizione degli stessi poteri pubblici ad un insieme di regole astratte e generali predeterminate e
inteso in senso stretto come Stato fondato sul riconoscimento di un nucleo di principio (supremazia
della legge, legalità in senso formale, separazione dei poteri) e sulla garanzia giurisdizionale dei diritti di
libertà. Lo Stato di diritto assume anch’esso caratteristiche diverse nei vari ordinamenti. Nei Paesi
anglosassoni la rule of law comporta la supremazia della legge sugli altri atti dei pubblici poteri ma entro
limiti rappresentati da diritti e garanzie consuetudinarie; in Europa continentale la garanzia dei diritti è
sancita in base al principio di legalità ma non costituisce un limite nei confronti della legge del
Parlamento.
Lo Stato autoritario
Il termine Stato autoritario è stato applicato ai regimi che si sono imposti in Europa tra le due guerre
mondiali ispirati ad un’ideologia di tipo fascista o ultranazionalista di destra. Gli esempi più significativi,
Italia e Germania. Lo Stato autoritario nasce come risposta alla crisi dello Stato liberale ma assume
opposte caratteristiche sociali (la base di massa è soprattutto la piccola borghesia), ideali (assertore di
una ideologia illiberale e antipluralistica) e istituzionali (dà vita ad un sistema di potere autocratico).
Esso anziché allargare la base di massa dello Stato liberale e garantire l’integrazione delle organizzazioni
del movimento operaio, mira a distruggere quest’ultimo e a sopprimere ogni forma di conflitto e di
dissenso. Alcune diversità sussistono tra i regimi italiano e tedesco:
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Entrambi esaltano il concetto di nazione, ma il fascismo italiano la considera come una unità
morale, politica ed economica, mentre il nazionalsocialismo ne individua il fondamento nella
comunità popolare basata sull’unità di sangue e di razza del popolo tedesco e fin dall’origine
quindi assume connotati apertamente razzisti.
Per quanto riguarda la natura dei rapporti tra Stato e partito al potere, in Italia si afferma il
principio dell’integrazione del partito nello Stato; in Germania si afferma invece la concezione
tripartitica che sostiene la superiorità dell’elemento “dinamico”, costituito dal partito e dal suo
leader carismatico, sullo Stato (elemento “statico”) e sul popolo (elemento “non politico”).
Solo il regime nazionalsocialista assume i caratteri del totalitarismo mentre quello fascista può
essere qualificato solo come autoritario, per quanto esistano le premesse di un assetto totalitario
(ideologia ufficiale di Stato, partito unico, ruolo determinante del capo carismatico, ecc) > in
Italia vengono fatte salve la libertà religiosa e quella economica, viene mantenuta l’autonomia
della magistratura ordinaria, permane al vertice dello Stato la Corona, non si realizza la piena
integrazione delle masse nel regime tramite il ricorso a strumenti di tipo plebiscitario (che
vengono rapidamente abbandonati.
Caratteristiche comuni della forma di Stato autoritaria:
1. Si attenua la separazione tra Stato e società in quanto viene attuata una statalizzazione coattiva della
società civile con penetrazione nella sfera privata dei cittadini. Sul terreno economico lo Stato
autoritario è interventista, così come lo è anche in campo sociale ed assistenziale, calato però dall’alto al
quale non corrisponde il riconoscimento di diritti sociali.
2. La concentrazione del potere è fortissima a livello orizzontale e verticale. Nell’organizzazione dello
Stato centrale il potere legislativo è nettamente subordinato a quello esecutivo, una posizione di
assoluto predomino è riconosciuta al Capo del Governo (nella scelta dei Ministri, nella direzione della
politica e nel comando delle forze armate). In Italia va sottolineato il ruolo del gran Consiglio del
fascismo che è titolare di importanti funzioni.
3. Lo Stato autoritario sostituisce alla rappresentanza politica di tipo elettivo una rappresentanza
monopartitica e corporativa. Il Parlamento viene assimilato completamente al regime perdendo la sua
origine elettiva. La natura antidemocratica e antipluralistica del regime autoritario si esprime nel ruolo
del partito unico: il partito al potere, rigidamente gerarchizzato, viene trasformato in ente di diritto
pubblico e gli altri partiti vengono messi fuorilegge. Lo Stato autoritario si caratterizza come
corporativo in nome di un’ideologia che nega il pluralismo e la legittimità del conflitto. (es. lo sciopero
viene punito come reato e i conflitti sono risolti in Italia dalla magistratura del lavoro, si prevede la
costituzione delle Corporazioni quali organismi di diritto pubblico che comprendono per ogni categoria
i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori). In GER l’idea corporativa non viene invece mai
realizzata, vi è la soppressione della contrattazione collettiva nazionale e dei diritti di organizzazione e
azione dei lavoratori.
4. Lo Stato autoritario è illiberale e repressivo in quanto non solo nega i diritti politici ma limita
pesantemente gli stessi diritti civili.
5. La costituzione preesistente rimane formalmente in vigore ma viene progressivamente erosa superata
da un insieme di leggi e di prassi che danno origine ad una costituzione vivente frutto della progressiva
integrazione fra Stato e partito. Dietro l’apparente continuità giuridica con il precedente assetto
costituzionale, vi è invece una rottura che ne modifica i principi e i meccanismi di funzionamento.
Lo Stato socialista
Lo Stato socialista si afferma in Russia in seguito alla rivoluzione del 1917 e dal 1922 si afferma
nell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche; si estende dopo la seconda guerra mondiale in vari
Paesi dell’Europa centro-orientale, dell’Asia e a Cuba. Anche lo Stato socialista nasce in
contrapposizione allo Stato liberale, assumendo alcune caratteristiche istituzionali e politiche simili a
quelle dello Stato autoritario (partito unico, concentrazione e personalizzazione del potere, negazione
dei diritti civili e politici), ma varie sono le differenze sul piano economico e su quello ideologico.
Mentre quello autoritario convive con il mercato capitalistico, in quello socialista si impone un modo di
77
produzione collettivistico basato sulla statalizzazione dei mezzi di produzione che sostituisce al mercato
un piano economico quinquennale centralizzato. La Cina negli ultimi anni ha cercato di superare
l’economia pianificata: con la revisione costituzionale del 2004 è stato sancito il principio
dell’inviolabilità della proprietà privata dei cittadini. La forma di Stato socialista ha assunto in Cina
caratteristiche peculiari combinando uno sviluppo economico di tipo capitalistico con un sistema
politico-istituzionale che continua ad ispirarsi al modello sovietico e al potere assoluto del partito e a
reprimere duramente il dissenso politico.
L’ideologia dello Stato socialista è collettivistica, classista e internazionalista, all’opposto di quella dello
Stato autoritario che è individualista, corporativa e nazionalista. Lo Stato è visto come strumento della
dittatura di classe e quindi dittatura del proletariato vista come fase necessaria di passaggio per una
società comunista senza classi (marxismo-leninismo). La statalizzazione determina una netta
preponderanza della politica sull’economia e della sfera pubblica su quella privata. La società è
organizzata in strutture associative collaterali al partito comunista. L’URSS si configura come esempio
di regime totalitario caratterizzato dall’ideologia ufficiale di Stato, presenza di un partito unico e del suo
capo carismatico, organizzazione capillare e mobilitazione permanente delle masse a sostegno del
regime.
Le costituzioni socialiste sanciscono il principio della sovranità popolare ma precisano che questa si
esercita attraverso gli organi del potere statale. Anziché il principio di separazione dei poteri, rifiutato, si
afferma l’opposto principio dell’unità del potere statale che a livello teorico si esprime nella
qualificazione del Parlamento di origine elettiva quale organo superiore o supremo del potere statale. Il
funzionamento dello Stato si basa sul principio della doppia dipendenza ogni organo del potere
statale dipende orizzontalmente dal corpo elettorale e verticalmente dall’organo di livello superiore (al
vertice il Parlamento) e ogni organo dell’amministrazione statale dipende orizzontalmente dal
Parlamento che lo ha eletto e verticalmente dall’organo superiore (al vertice il Governo centrale).
L’organo che finisce per prevalere è la Presidenza collegiale del Parlamento > il quale esercita tramite
decreti il potere legislativo e di nomina e revoca spettanti all’Assemblea quando questa non è in
sessione, di tale organo fanno parte i massimi esponenti del partito.
Dagli anni 30 si adotta via via in tutti i Paesi socialisti il principio della rappresentanza parlamentare
(suffragio universale, diretto e segreto) > però rispetto al modello democratico vi sono differenze:
La proclamazione del principio del mandato imperativo e della revocabilità degli eletti da parte
dei propri elettori (principio che però rimane solo sulla carta).
Carattere monolitico e omogeneo della rappresentanza chiamata ad esprimere gli interessi
unitari del popolo. L’elezione del Parlamento non è realmente libera (sistema delle candidature
uniche in collegi uninominali selezionate dal partito, quindi il consenso popolare è di carattere
plebiscitario).
Il ruolo di guida del partito comunista nei confronti dello Stato e della società viene espressamente
riconosciuto in costituzione. Il funzionamento del partito e di tutto l’apparato statale si articola in base
al principio del centralismo democratico ogni organo è eletto ed è responsabile verso i propri
elettori; le decisioni degli organi superiori sono vincolanti per quelli inferiori; le decisioni approvate
dalla maggioranza devono essere disciplinatamente attuate.
Le costituzioni socialiste contengono una parte relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini: ampio spazio è
riconosciuto ai diritti economico-sociali, ma sono riconosciuti anche diritti civili e politici che però sono
funzionalizzati alla tutela degli interessi dello Stato, della società e della collettività. L’effettività dei
diritti è pregiudicata dall’inesistenza di uno Stato di diritto.
Il principio della legalità socialista che impone il rispetto della costituzione e delle leggi ai cittadini e agli
organi dello Stato, è caratterizzato da finalità di carattere ideologico e soprattutto non è sorretto da un
effettivo sistema di giustizia costituzionale. Non è garantita l’indipendenza della magistratura i giudici
sono eletti spesso dagli organi parlamentari e sono revocabili in qualsiasi momento. Rispondono di
fatto del loro operato ai dirigenti del partito. Vi è poi un potere peculiare rappresentato dalla Procura >
ha il compito di vigilare sul rispetto della legalità socialista.
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Le costituzioni degli Stati socialisti si modificano nel tempo. Inizialmente si caratterizzano come
costituzioni-bilancio brevi e flessibili (si limitano a formalizzare quanto realizzato soprattutto in campo
economico-sociale); in seguito al consolidamento del potere vengono adottate costituzioni
programmatiche lunghe e rigide (contengono i principi e le finalità da perseguire e sono revisionabili
con una maggioranza qualificata del Parlamento). La rigidità di queste costituzioni è però solo di
facciata: in vari Paesi socialisti l’assetto costituzionale risulta poco stabile e si succedono nel tempo
importanti revisioni costituzionali.
La crisi dell’URSS e degli Stati socialisti europei
La crisi dell’Unione sovietica e degli Stati socialisti europei prende avvio dal tentativo di riforma del
sistema avviato nel 1985 da Gorbaciov che mirava ad un’attenuazione del carattere collettivistico e
pianificato dell’economia; al riconoscimento del principio della separazione dei poteri; all’affermazione
del pluralismo politico, dei diritti fondamentali della persona, dell’indipendenza della magistratura; alla
creazione di un organo di giustizia costituzionale. Tali riforme erodono le basi fondamentali dello Stato
socialista e non riescono ad impedire l’esplosione delle sue contraddizioni interne. Nel 1990 l’URSS ha
cessato di esistere e si dà vita ad una Comunità di Stati Indipendenti (Conferenza di Minsk).
Parallelamente si verifica una caduta dei regimi socialisti in tutti i Paesi europei centro-orientali. Nella
maggior parte dei casi si assiste ad una rottura dal punto di vista sostanziale (principi e valori dominanti)
che si accompagna ad una parziale continuità formale (il Parlamento, eletto con nuove regole che
garantiscono il pluralismo, assume di fatto una funzione costituente). In altri Stati il superamento del
regime è traumatico e si verifica a seguito di un colpo di Stato (Romania) o al rischio di una guerra civile
(Albania). Molto travagliato è il processo che porta allo smantellamento della Jugoslavia in sette Stati
diversi.
Entro la fine del secolo scorso tutti gli Stati ex socialisti danno vita a nuove costituzioni (o modificano
profondamente quella esistente, Ungheria) che disegnano una nuova forma di Stato in totale rottura col
passato tendente ad una transazione verso il modello democratico-pluralista. Nella realtà però le
situazioni concrete sono molto diverse da Stato a Stato: emergono in vari Paesi problemi che tendono a
configurarli come semi-democrazie quali mancato o parziale riconoscimento dei diritti a minoranze
nazionali e limitazione dei diritti dell’opposizione, arretratezza economica e politica, accentramento del
potere ed emergere di leadership ultranazionaliste e populiste. La Federazione Russa costituisce il
principale esempio di una democrazia di facciata > la gestione accentrata del potere da parte del
presidente, la debolezza del parlamento, il ruolo importante di gruppi affaristici e criminali, la guerra in
Cecenia, assassinio di giornalisti indipendenti > sono tutti aspetti che sottolineano i problemi del
processo di transizione.
L’evoluzione dello stato socialista in Asia e a Cuba
Corea del Nord regime totalitario, repressivo dei diritti umani, fondato sul monopartitismo e su un
culto della personalità a vantaggio del Presidente dell’organo esecutivo. Le maggiori trasformazioni
avvengono in Cina > parziale superamento dell’economia statalizzata e pianificata con la creazione di
un’economia di mercato socialista che consente lo sviluppo di un settore economico privato sempre più
consistente. Costituzione del 1982 > successive revisioni > 1988 viene introdotto il riconoscimento
delle imprese privare e del loro carattere complementare rispetto all’economia pubblica socialista. Nel
2004 la protezione dei diritti e degli interessi dell’economia privata ed individuale viene estesa ai settori
non pubblici dell’economia, per i quali la guida dello stato riguarda solo lo sviluppo e non la gestione
delle imprese > il nuovo articolo 13 riconosce il diritto di proprietà, dei mezzi di produzione,
affermandone l’inviolabilità. Viene fatto spazio allo sviluppo economico capitalistico, ma manca il
riconoscimento dei diritti dei lavoratori e vi sono problemi con la garanzia di tutela dei diritti
fondamentali così l’art. 33 (2004) stabilisce che lo stato rispetta e tutela i diritti umani, la Cina
aderisce poi a Convenzioni intern. sui diritti, ma viene ribadita la prevalenza dei diritti economici su
quelli civili e politici ed il divieto di esercitarli in contrasto con le finalità dello stato socialista. Inoltre il
sistema politico continua ad essere basato sul monopolio del potere del partito comunista. La forma di
stato combina un sistema economico misto, statale-capitalistico, caratterizzato da un assetto autocratico
del potere politico-istituzionale che continua ad ispirarsi al modello vetero-socialista.
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Vietnam 1986 riforme tendenti a creare un’economia socialista di mercato, riconoscendo il ruolo
delle imprese private e della proprietà contadina e stabilendo una parziale liberalizzazione del
commercio con l’estero. Però sia la costituzione del Vietnam che quella del Laos continuano a sancire il
ruolo-guida del partito unico al potere e non prevedono garanzie a tutela dei diritti umani.
Cuba 2008 subentra Raul Castro come presidente del consiglio di stato e capo del governo
novità: privatizzazione di varie attività commerciali, libertà dei cubani di acquistare case e di poter
espatriare senza sottostare al permesso dello stato. Nel 2014 viene autorizzato l’investimento di capitali
stranieri. La costituzione del 1976 (modificata nel 1992 e 2002) contiene aspetti interessanti come il
riconoscimento come ideologia dello stato del pensiero di Josè Martì (padre dell’indipendenza cubana),
l’ampiezza del catalogo dei diritti ecc Tuttavia il potere rimane monolitico sotto il controllo del partito
comunista e il dissenso viene represso. Normalizzazione dei rapporti con USA.
Lo Stato democratico
Lo Stato democratico nasce dalla crisi dello Stato liberale come risposta alla crescente insicurezza
sociale determinata dallo sviluppo del capitalismo e alle ricorrenti crisi economiche che rendono
necessaria una regolamentazione del mercato e un’attenuazione delle contraddizioni sociali. Si ha uno
sviluppo caratterizzato da continuità con lo Stato liberale in quanto fa propri i principi e gli istituti di
origine liberale; ma si ha anche discontinuità in quanto tali principi e istituti vengono estesi anche a ceti
sociali che in precedenza ne erano esclusi e vengono introdotti valori e istituzioni nuovi. Alla base dello
sviluppo dello Stato democratico vi è l’emergere di contraddizioni sociali che determinano l’esigenza di
un intervento regolatore dello Stato. Si assiste allo sviluppo del movimento operaio e all’affermarsi dei
moderni partiti di massa (caratterizzati da una forte centralizzazione). Si attenua la separazione tra Stato
e società e fra politica ed economia. Si afferma la pari dignità di tutte le persone indipendentemente
dalla loro condizione sociale; il principio personalistico viene a convivere con quello solidaristico e con
quello egualitario. Dall’idea di una libertà dell’individuo dal dominio dello Stato si passa alla
partecipazione dell’individuo al potere dello Stato.
L’economia non costituisce più una sfera separata ma diventa oggetto di decisioni politiche e si
configura come un’economia di mercato sociale nella quale l’intervento del legislatore è volto a
garantire da un lato la libera concorrenza e dall’altro il soddisfacimento di primari interessi sociali e il
rispetto della dignità della persona umana. Lo Stato democratico viene perciò qualificato come Stato
sociale o Stato del benessere (Welfare State) proprio per sottolineare la sua nuova finalità di operare
una redistribuzione del reddito, al fine di ridurre le disuguaglianze, compie investimenti pubblici, eroga
servizi per soddisfare bisogni primari e garantisce assistenza. Sul terreno politico-sociale si sviluppa una
fitta rete di organismi intermedi tra lo Stato e i cittadini; particolare rilievo assumono i partiti politici che
divengono un elemento costitutivo della stessa forma di Stato e del concetto di democrazia tanto che lo
Stato democratico contemporaneo viene qualificato come Stato di partiti.
Il principio costitutivo dello Stato democratico è quello secondo cui la sovranità appartiene al popolo
inteso come l’insieme dei cittadini titolari dei diritti politici. La concezione dominante non è quella di
tipo diretto ma quella rappresentativa che considera la sovranità popolare un principio fondamentale da
esercitare secondo le modalità e con i limiti stabiliti dalla costituzione. La separazione dei poteri subisce
una serie di modificazioni e di adattamenti:
1. Si moltiplicano le funzioni statali non riconducibili alle tre tradizionali (quali ad es. quella di
indirizzo politico o di governo e quella di revisione costituzionale)
2. Si affermano nuovi poteri costituzionali che svolgono funzioni di garanzia, controllo e
intermediazione nei confronti degli organi titolari delle altre funzioni (ad es. Corti costituzionali)
3. Sono riconosciuti a livello legislativo soggetti quali autorità amministrative indipendenti che non
fanno parte di alcuno dei poteri tradizionali ma esercitano funzioni di tipo amministrativo,
normativo e talvolta anche giurisdizionale (ad es. nei settori della concorrenza e della privacy)
4. Si verificano numerose interferenze funzionali fra i poteri tradizionali con un superamento della
concezione della esclusività delle funzioni attribuite a ciascuno
5. Assumono un ruolo determinante soggetti esterni allo Stato-apparato quali i partiti politici
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Diffusione dei centri di potere sia a livello orizzontale (con la partecipazione di più soggetti al processo
decisionale), sia verticale (tramite forme di decentramento politico di potere). Lo Stato democratico è
uno Stato rappresentativo ma a differenza di quello liberale è pluralistico ciò grazie soprattutto al
riconoscimento del suffragio universale e del principio di eguaglianza del voto. Ne consegue che anche
il principio della rappresentanza politica cambia parzialmente estendendosi ad una pluralità di classi e di
gruppi sociali in precedenza esclusi dalla rappresentanza. Accanto alle elezioni sono previsti altri
meccanismi volti a garantire una consonanza tra gli elettori e gli organi rappresentativi (gli stessi partiti
politici, gli istituti di democrazia diretta). Negli Stati democratici ha prevalso il principio del divieto di
mandato imperativo che deve però essere inteso come garanzia di pluralismo e quindi della necessità di
contemperare e portare a sintesi i diversi interessi manifestati dal corpo sociale.
Il principio del pluralismo significa che l’ordinamento statale riconosce e garantisce l’attività di una
pluralità di gruppi economico-sociali, religiosi, etnici, pluripartitismo ecc. Democrazia pluralistica non
significa solo estensione delle regole a classi sociali in precedenza escluse, ma significa anche diversa
modalità di applicazione di queste regole. Ciò vale in particolare per il principio di maggioranza,
secondo il quale le decisioni parlamentari sono adottate a maggioranza, ma in una democrazia
pluralistica anche le minoranze devono essere salvaguardate per cui si richiede che il principio di
maggioranza sia limitato da vari istituti di garanzia. In generale quindi tutto il processo decisionale
diventa più complesso dovendo prendere in considerazione una pluralità di interessi. Dalla
combinazione tra democrazia e pluralismo scaturiscono le odierne poliarchie sistemi basati su una
pluralità di gruppi in competizione per la gestione del potere. Accanto ai tradizionali diritti civili, si
affermano nuove categorie di diritti che si configurano come libertà positive in quanto per la loro
realizzazione richiedono un intervento attivo dello Stato Sono tali i diritti politici (diritto di voto,
libertà di associazione politica, ecc.) e i diritti sociali (diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, ecc).
L’uguaglianza viene intesa sotto il duplice aspetto formale (godimento dei diritti) e sostanziale (parità
delle posizioni di partenza ed obbligo del legislatore di rimuovere gli ostacoli al dispiegarsi di essa).
Lo Stato democratico è a pieno titolo uno Stato costituzionale. Le costituzioni democratiche si
configurano come costituzioni aperte che affermano una serie di principi basati su valori condivisi e ne
garantiscono la costante integrazione; si configurano come costituzioni lunghe che incorporano la
dichiarazione dei diritti e disciplinano più ampiamente i rapporti tra i pubblici poteri; si configurano
come costituzioni rigide che prevedono procedimenti aggravati per la propria revisione collocandosi così
in posizione di supremazia rispetto alle altre fonti del diritto. Anche la concezione di Stato di diritto
evolve: alla concezione di legalità in senso formale dello Stato liberale subentra la concezione di legalità
in senso sostanziale, in quanto la legge è chiamata a stabilire anche le finalità e le procedure del
provvedimento amministrativo. Le garanzie giurisdizionali dei diritti conoscono una duplice
espansione: nei confronti degli atti della pubblica amministrazione e nei confronti delle leggi ordinarie
grazie all’attività del giudice costituzionale.
La diffusione del modello democratico e i problemi della democrazia
La diffusione del modello democratico ha conosciuto 4 fasi: immediato dopoguerra con costruzione di
sistemi democratici in Germania, Italia e Giappone; metà degli anni 70 con la caduta dei regimi
autocratici e l’adozione di costituzioni democratiche in Spagna, Portogallo e Grecia; dagli anni 80 la
democratizzazione ha interessato molti PVS; negli anni 90 ha coinvolto tutti i Paesi ex socialisti europei
e quelli facenti parte dell’ex Unione sovietica. Quella che può definirsi la terza ondata della
democratizzazione ha presentato particolari esiti incerti dovuti alle difficoltà di trapiantare modelli
occidentali in realtà caratterizzate da valori talvolta divergenti. Ciò ha portato al fenomeno
dell’emergere di democrazie imperfette o di facciata caratterizzate da un certo scarto tra le
proclamazioni contenute nelle costituzioni adottate e la realtà. Si è poi verificata la crisi dello Stato
democratico-sociale:
Terreno economico-sociale > in particolare per il fenomeno della globalizzazione dell’economia che
capovolge il rapporto politica-economia con la seconda che tende a prevalere e il rischio di
manifestarsi di una tendenza all’appiattimento della tutela dei diritti economico-sociali. Inoltre si
è verificato un ridimensionamento del ruolo degli Stati-nazione propria per via della
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La crisi della politica e del principio di rappresentanza politica favoriscono l’ascesa a ruoli di governo di
detentori del potere economico cosa che porta all’intreccio e alla sovrapposizione di potere politico,
economico e mediatico, intreccio con alto potenziale di destrutturazione democratica. Infine la risposta
al terrorismo internazionale sta portando all’adozione di provvedimenti gravemente limitativi delle
libertà civili e delle garanzie giurisdizionali relative.
La forma di stato nei paesi in via di sviluppo
Con il termine Stati in via di sviluppo (circa i 2/3 degli stati dell’ONU) si indicano quegli Stati che
cercano di superare una condizione di cronica arretratezza economica, sociale, politica ed istituzionale
dando vita ad assetti statuali peculiari rispetto a quelli esaminati. Sono la maggior parte dei Paesi
dell’America centrale e meridionale, dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania. Spesso si parla di Paesi del
Terzo Mondo (termine coniato nel 1955) intendendo Paesi non rientranti né nel mondo capitalista né
in quello socialista. Questa categoria assume carattere residuale, raggruppando esperienze molto diverse
tra loro. E’ possibile però individuare alcuni elementi di fondo comuni alla gran parte dei Paesi
rientranti in questa categoria:
1. Il dominio coloniale subito: gran parte dei Paesi africani ed asiatici conoscono l’indipendenza
nel XX secolo e molti solo dopo la seconda guerra mondiale. I Paesi dell’America latina
conquistano l’indipendenza prima (inizio 800) ma stentano a costruire un’identità nazionale
certa e finiscono col subire una colonizzazione indiretta ad opera degli USA sia a livello
economico che politico.
2. Il sottosviluppo prima di tutto economico-sociale (si ha un aumento della ricchezza a vantaggio
di ristretti gruppi privilegiati) ma anche culturale, politico, giuridico-istituzionale.
3. Debolezza dell’identità nazionale: molti di questi Paesi nascono prima che questa sia effettiva e
spesso entro confini arbitrariamente disegnati dalle potenze coloniali.
4. Quasi tutti conoscono un grande pluralismo etnico di tipo tribale (Africa) o con divisione in
caste (India). Ciò spinge l’élite dirigente ad assumere una forte ideologia ultranazionalista
dapprima utilizzata in negativo in contrapposizione al dominio coloniale e poi in positivo come
riscoperta delle proprie tradizioni e strumento per la realizzazione dell’unità nazionale. Spesso
però è utilizzato come copertura ideologica al dominio di un capo o di una fazione etnica o
religiosa o di un partito unico.
Nell’evoluzione costituzionale dei Paesi in via di sviluppo sono state individuati 4 cicli:
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Costituzionalismo complesso di concetti e principi che trovarono la loro espressione maggiore nelle
carte costituzionali. La Dichiarazione dell’uomo e del cittadino (1789) esprime tali principi quando
afferma che una società nella quale non viene assicurata la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri
non possiede una costituzione (art. 16). Lo stato costituzionale fonda la sua legittimazione sul
riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali e inalienabili della persona e sulla codificazione di
istituti e strumenti idonei a porre limiti al potere politico. Non sempre all’atto della loro approvazione,
le costituzioni hanno mostrato le due componenti strutturali (bill of rights e frame of government) >
nei sistemi federali la costituzione è stata all’inizio finalizzata a consacrare il patto tra lo stato federale e
gli stati membri (phoedus). La costituzione americana del 1787 fu poi integrata nel 91 con il Bill of
Rights.
Il Costitution Act della federazione canadese si compone di 2 documenti il British North American Act
rivolto a disciplinare i rapporti tra la federazione e le province e la Carta canadese dei diritti e delle
libertà (1982).
Il costituzionalismo assegna alle carte costituzionali il compito di garantire i diritti e le libertà
fondamentali della persona > tali diritti sono a fondamento della legittimazione del diritto positivo e
dell’esercizio della pubblica autorità, le disposizioni normative e gli atti di esercizio del pubblico potere
sono legittimi in quanto non lesivi dei diritti e delle libertà fondamentali. L’espressione diritti
fondamentali si riferisce ai diritti proclamati nelle carte costituzionali e riconosciuti come fondamentali
≠ con i diritti umani si evoca un ideale morale universale, si tratta di quelle situazioni giuridiche
soggettive attive riconoscibili a favore di ogni essere umano, indipendentemente dal suo status o
appartenenza giuridico-politica. I diritti umani (DU) assumono una speciale forza normativa per effetto
della loro incorporazione in un ordinamento nazionale o sovranazionale.
Le origini storiche dei diritti e delle libertà fondamentali e la loro evoluzione
L’idea che l’uomo potesse godere di una sfera intangibile di autonomia personale di fronte alla quale la
comunità politica dovesse limitare la sua interferenza, è un’idea che si afferma solo all’inizio dell’età
moderna. Prima mancavano le condizioni per fondare l’idea di libertà giuridica, basata su un sistema di
garanzie capace di assicurare la completa realizzazione della persona nella sua dignità. Vi sono molte
ipotesi per individuare l’origine dei DU. Secondo una parte, la genesi giuridica dei diritti inalienabili
della persona si troverebbe in quelle concezioni di vita e pensiero di carattere umanistico che hanno
caratterizzato il movimento rinascimentale e la Riforma protestante. L’umanesimo introdusse una
nuova visione dei rapporti sociali e della morale. Le grandi trasformazioni e il graduale superamento
delle strutture medioevali (16 e 17 sec) consacrarono la borghesia come classe sociale emergente > essa
reclamò nei confronti dell’autorità politica e del potere statuale il riconoscimento di libertà individuali,
forme di autonomia e di partecipazione politica.
Furono sensibili a tali richieste Gran Bretagna (GB) e Francia (FR). La storia dell’ordinamento giuridico
della GB mostra come i diritti e le libertà fondamentali siano stati concepiti come elemento di struttura
dell’ordinamento collocato su un piano anteriore rispetto al potere costituito. Le prime codificazioni
sono la Magna Charta Libertatum, la Petition og Rights (1628), l’Habeas Corpus Act (1679), il Bill od
Rights (1689) e l’Act of Settlement (1701) si limitavano a riconoscere o confermare le antiche libertà.
Con la Dichiarazione di indipendenza (1776) si formarono i nuovi stati americani, essi recepirono nei
propri ordinamenti le istanze originarie che riconoscevano l’uomo come portatore di propri diritti e
libertà fondamentali. Le prime Carte dei diritti esprimevano questa concezione che ritroviamo nella
costituzione federale USA (1787), la quale pone a suo fondamento i diritti dell’uomo e la dignità della
persona. Negli stati europei continentali l’evoluzione dei diritti risentì delle concezioni assolutistiche
proprie degli stati monarchici. Bisogna aspettare il pensiero illuminista e la rivoluzione francese per
assistere alla rottura degli equilibri dei sistemi assolutistici.
Nello stato liberale si afferma l’esigenza di garantire i diritti naturali dei singoli, intesi come sfere
inviolabili di libertà individuale > qui i diritti sono considerato come individuali, lo stato si limita ad
amministrare la giustizia e garantire la conservazione sociale. È in questa fase che negli ordinamenti
liberali matura la convinzione che i DU devono essere dotati di uno statuto giuridico. Si afferma la
necessità di positivizzare i diritti fondamentali > conferirgli una formale enunciazione attraverso
l’incorporazione nelle leggi e nelle costituzioni. Nel corso del 20 sec. si compie un processo di
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generalizzazione dei diritti fondamentali (DF) essi non sono più riservati ai soli appartenenti a
determinate classi sociali, ma a tutti. Questa impostazione trova espressione in seno all’esperienza dello
stato sociale. Esso assume il compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono il
godimento delle libertà fondamentali e la piena affermazione del principio di uguaglianza. Al centro
viene collocata la persona umana e la sua dignità, il riconoscimento delle libertà fondamentali è
finalizzato ad assicura l’affermazione e lo sviluppo della personalità umana. Si assiste poi ad un
fenomeno di internazionalizzazione dei diritti.
Generazioni e classificazioni dei diritti e delle libertà fondamentali
Prima generazione di diritti (fine Gloriosa rivoluzione e rivoluzione francese e americana, fine700)
include i diritti di libertà civili, in particolare i diritti economici e politici> diritti riconosciuti ai
cittadini e che si sostanziano nella pretesa verso i pubblici poteri di astenersi dall’intervenire nella sfera
privata del singolo > definite anche libertà negative (così come per il diritto di proprietà, il titolare ha il
potere di escludere altri soggetti dal godimento del bene oggetto di proprietà).
Seconda generazione qui i diritti politici assumono contorni pieni con l’estensione del suffragio
universale, si affermano le libertà associative che danno vita alle organizzazioni sindacali e ai partiti.
Affermarsi dei diritti sociali > lo stato sociale si pone l’obiettivo di realizzare condizioni di vita tali da
assicurare alla generalità dei cittadini la libertà delle condizioni di soddisfacimento delle aspettative di
sicurezza sociale. I diritti sociali presuppongono un’azione positiva, un intervento nell’arena sociale, essi
non sono equiparabili ai diritti di libertà e civili perché sono affidati dalla costituzione a norme
programmatiche che impegnano lo stato al perseguimento di una finalità attraverso l’azione del
legislatore e degli altri apparati pubblici, ma non pongono per esso un vincolo giuridico. L’avvento dei
diritti sociali ha portato ad un ridimensionamento dei diritti civili.
Terza generazione diritti della personalità (fino agli anni 70/90 si erano affermati solo nella sfera
delle relazioni tra privati, qui assumono rilevanza costituzionale) > es: diritto all’immagine, al nome, alla
riservatezza ecc.. Nello stesso periodo si affermano i diritti culturali e dei gruppi e quelli umanitari o di
solidarietà umana. Questa generazione si è sviluppata lungo 4 direttrici: diritto alla pace; alla
salvaguardia dell’ambiente; diritto per l’individuo e la famiglia alle necessarie condizioni di sviluppo e il
diritto al patrimonio comune dell’umanità.
Quarta generazione di fronte all’avvento della nuova economia globalizzata si sono configurati i
diritti della società tecnologica, una dimensione particolare occupano i diritti connessi alle biotecnologie
a causa delle implicazioni nella sfera bioetica e della bio-giuridica. Sorgono numeri comitati etici per
esprimere valutazioni da diffondere nell’opinione pubblica sulle nuove questioni bio-giuridiche, bio-
economiche ecc.
La codificazione dei diritti e delle libertà
Sul piano formale possiamo distinguere tra ordinamenti che prevedono la proclamazione dei diritti e
delle libertà nella costituzione (Italia, Spagna) e ordinamenti che contemplano un apposito ed
autonomo documento o carta dei diritti che reca la disciplina della materia (Canda, Sudafrica). Anche
nell’UE si è approvato un documento apposito = Carta dei diritti fondamentali (Nizza, 2000)
successivamente incorporata nel TUE del 2009 (art.6). Si contraddistingue l’esperienza costituzionale
francese che nella costituzione del 1958 non contempla un catalogo di diritti, ma nel preambolo si legge
un richiamo alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Un’altra distinzione è quella tra
costituzioni che riconoscono i diritti e le libertà fondamentali alla generalità degli individui e altre che
precisano se i diritti siano riconosciuti a tutti o a determinate categorie. La Carta di Nizza classifica i
diritti e libertà attraverso il riferimento ad alcuni valori ampiamente condivisi> dignità, libertà,
uguaglianza, cittadinanza, giustizia e solidarietà.
È possibile notare come i cataloghi dei diritti della persona appaiono più dettagliati negli ordinamenti
nati dopo la caduta dei regimi autoritari. In quegli ordinamenti dove le vicende storiche non hanno
segnato rotture significative, la lista ha conosciuto una graduale evoluzione senza alterare il carattere
semplificato della struttura normativa e la dimensione contenuta delle stesse disposizioni. Questo tratto
formale deve ricondursi all’idea che la costituzionalizzazione dei diritti è tanto più efficace quanto più
sono radicati nella coscienza della comunità politica e sociale i valori e i sentimenti che sono a
fondamento del primato della persona umana. GB all’inizio i diritti furono codificati sotto forma di
85
deroghe o privilegi limitati a determinati gruppi di persone > la Magna Charta era un documento solenne
con il quale il re concedeva alcuni privilegi a determinate categorie (clero, baroni ecc). Solo
successivamente la titolarità dei diritti fu estesa a una sfera più ampia di individui, con l’Habeas Corpus
Act furono introdotte alcune delle garanzie a favore degli individui nei confronti delle limitazioni
arbitrarie della libertà personale > nel caso in cui uno fosse arrestato fuori dei casi previsti dalla legge,
questi poteva presentare reclamo al magistrato competente per ottenere la libertà.
Bill of Rights importanti poteri decisionali vengono trasferiti dalla corona al parlamento e sarà il
primato della sovranità parlamentare a rappresentare un ostacolo alla codificazione formale dei diritti.
In forza dei principi di democrazia rappresentativa il Parlamento ha sempre conservato la piena
disponibilità della materia dei diritti (nel corso dell’800 è intervenuto con atti legislativi per garantire il
godimento dei diritti civili, la rimozione dei limiti al diritto di voto, estensione suffragio). L’idea di
fondo è che il Parlamento non possa essere privato del potere di abrogare o emendare leggi
indipendentemente dalle conseguenze sui diritti dei singoli, diritti e libertà che affonderebbero le radici
nel common law e che sarebbero in grado di resistere anche agli arbitri giudiziari. Per effetto
dell’ingresso nella CEE, la GB si è gradualmente avvicinata all’idea di codificazione Human Rights act
(1998) ha incorporato la CEDU > nel caso in cui un giudice rilevi l’incompatibilità di una norma
interna con la CEDU, egli non potrà procedere a un controllo di legittimità, né potrà dichiarare
l’incostituzionalità o la disapplicazione della norma interna, resta nelle mani del parlamento la decisione
sull’opportunità di modificare la norma interna incompatibile. La rivoluzione americana segna un
momento storico determinante per l’affermazione dei diritti e delle libertà. Il Pamphlet di Paine
(Common sense) e la Dichiarazione di indipendenza degli USA segnano l’affermazione degli ideali del
costituzionalismo di matrice liberale.
In questa fase la combinazione tra framework of government e bill of rights non è ovunque omogenea,
si registrano diversi modi di intendere le tensioni tra le esigenze di democratizzazione, di conservazione
delle tradizioni e di protezione dell’uomo. Sono numerose le costituzioni approvate dalle ex colonie. Il
primo documento costituzionale sovrastatale americano fu quello recante gli Articles of confederation
(1781) > trattato internazionale tra stati indipendenti che conservavano sovranità, libertà, indipendenza.
La Convenzione di Filadelfia (1787) conferisce al vincolo che lega gli stati americani un carattere solido. La
transizione verso lo stato federale appare il rimedio necessario alle difficoltà di funzionamento della
Confederazione di stati; la Federazione, dotata di una sua sovranità, di un esecutivo, della potestà di
governo dell’economia e della politica estera, di un apparato giudiziario federale nasce sulla base di un
patto tra gli stati americani che viene formalizzato nella costituzione federale del 1789. La costituzione
era in origine dedita a tracciare le linee del frame of government, con attenzione alle relazioni tra stato
federale e stati membri. I primi dieci emendamenti sono destinati a definire i rapporti tra federazione e
cittadini americani (Bill of Rights). Per la prima volta una dichiarazione dei diritti e delle libertà
fondamentali è inserita nel testo di una costituzione rigida.
Nel continente europeo si dettano e si scrivono le parole della Dichiarazione dell’uomo e del cittadino. Nella
visione rivoluzionaria francese, la legge diventa la cerniera di connessione tra i diritti naturali e quelli
positivi. L’Assemblea degli stati generali, assunti i poteri di Assemblea costituente, decide di far
procedere l’adozione di una nuova costituzione dall’emanazione della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino. La prima conseguenza è che la conservazione e tutela dei diritti naturali
dell’uomo deve ritenersi il fine ultimo di ogni associazione politica. Proprio l’avvento del
costituzionalismo moderno segna un passaggio rilevante nell’evoluzione dei sistemi dei diritti e delle
libertà:
Si consolida un riconoscimento dei diritti e delle libertà a base universale
Si delinea un armamentario giuridico di strumenti di garanzia, che nel tempo vedrà crescere il
proprio grado di complessità ed efficacia
I diritti di libertà qualificano l’ordine politico in quanto fine ultimo dello stesso
Rispetto allo stato, fondano la legittimazione stessa di esso, sia sul piano democratico che sul
piano dell’organizzazione e della disciplina delle sue funzioni.
86
L’analisi comparata dei modelli costituzionali di tutela e garanzia dei diritti e delle libertà mette in luce
alcuni dati ricorrenti > il dato quantitativo da registrare è l’espansione del processo di codificazione dei
diritti a livello costituzionale. Da una prospettiva giuridica, la disciplina costituzionale dei diritti di
libertà presenta alcuni caratteri importanti:
1. La diffusa affermazione del principio della rigidità della costituzione produce l’effetto di
sottrarre al legislatore ordinario la disponibilità dei diritti. Questa indisponibilità diventa assoluta
con riferimento al nucleo essenziale delle norme costituzionali alla base del sistema dei diritti.
2. L’indisponibilità è rafforzata dalla previsione del sindacato di costituzionalità delle leggi, istituto
che può essere inteso alla stregua di una giurisdizione di libertà.
3. Tali diritti vengono definiti nell’ambito di un’articolata disciplina costituzionale > che tende a
mantenere un carattere aperto verso quelle nuove situazioni giuridiche soggettive che l’evolversi
delle relazioni sociali e culturali facciano emergere e che risultino meritevoli di tutela
costituzionale.
4. È a livello di disciplina istituzionale che vengono indicati i limiti che possono essere imposti
all’esercizio dei diritti.
5. Il modello costituzionale di tutela dei diritti e libertà presenta 2 tipi di riserva una riserva di
legge, quanto allo svolgimento e all’attuazione dei principi costituzionali in materia di diritti di
libertà; una riserva di giurisdizione, essendo riservata all’autorità giudiziaria l’applicazione dei
limiti previsti nelle costituzioni in ordine dell’esercizio di questi.
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l’esigenza di aggiornare il catalogo costituisce un fattore di vitalità della costituzione. Una certa
diffusione conoscono quelle clausole che richiamano la centralità della persona (art. 2 cost. ita).
Universalità dei diritti e loro internazionalizzazione
Internazionalizzazione dei DU > la ragione che ha dato vita a questo fenomeno va ricondotta alle
esigenze di salvaguardare l’insieme dei valori relativi alla persona umana anche in una dimensione
interstatale e sovranazionale. La Società delle nazioni ha prodotto un diritto internazionale generale
umanitario, si sono introdotti meccanismi di protezione internazionale dei DU fino ad affermare la
responsabilità penale internazionale dei singoli e degli stati per la violazione dei DU, sono stati
legittimati interventi umanitari anche in violazione della sovranità nazionale. Questa
internazionalizzazione si concretizza nella redazione e ratifica di trattati da cui far derivare la diretta
tutela dei diritti e la realizzazione di meccanismi di garanzia attraverso i quali far valere quella tutela. La
Carta delle Nazioni Unite indica tra gli scopi dell’organizzazione quello di conseguire la cooperazione
inter. nella soluzione dei problemi inter. di carattere economico, sociale, culturale o umanitario, e nel
promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza
distinzioni; conferisce all’Assemblea generale il compito di adottare raccomandazioni e di prestare
assistenza in tema di DU. Questa Carta apre la via all’internazionalizzazione. L’Assemblea generale
avviò subito i lavori per la redazione della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948). 1952 Convenzione
sui diritti politici della donna, Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), Patto sui diritti economici sociali e culturali
(CESCR,1966) e Patto sui diritti civili e politici (CCPR) > questi ultimi due documenti prevedono
meccanismi di monitoraggio basati sui rapporti redatti dagli stati e la previsione di procedure interstatali
di conciliazione. La previsione dell’istituzione di commissioni di vigilanza sul comportamento degli stati
firmatari e sull’attuazione di regole pattizie è diffusa nei trattati che si occupano di DU.
La regionalizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali
Esso è un fenomeno che tenta di coniugare a livello continentale la vocazione universalistica dei DU
con le peculiarità proprie delle singole culture allo scopo di determinare quei meccanismi di garanzia dei
diritti in grado di operare concretamente negli ordinamenti nazionali e sovranazionali. La
regionalizzazione dei diritti postula l’idea che dei diritti universali si possa offrire un’interpretazione
diversa a seconda del contesto geopolitico e culturale nel quale vengono riconosciuti.
La regionalizzazione dei diritti in Europa
1948 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (o Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, CEDU), firmata nell’ambito del Consiglio d’Europa ed entrata in vigore nel 1953.
Legame con la Dichiarazione universale, entrambi i documenti richiamano il diritto alla vita, alla
sicurezza, alla libertà, il divieto alla tortura ecc. Con il trattato di Lisbona la UE ha aderito alla CEDU.
Sul piano dei contenuti tra la CEDU e la Carta di Nizza esiste una sostanziale convergenza. Quanto ai
diritti sociali, la Carta dei diritti fondamentali del 2000 si riferisce a quanto dettato dalla Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (1989). La Carta di Nizza presenta alcune
novità: la particolare catalogazione dei diritti con riferimento a sei valori riconosciuti come appartenenti
al patrimonio morale comune all’Europa; inclusione di diritti estranei ai documenti che l’avevano
preceduta (diritti del bambino, degli anziani ecc) > la previsione di queste particolari posizioni
giuridiche soggettive da tutelare apre quel processo che la dottrina ha qualificato come specificazione
dei diritti (diritti ambientali, genoma umano ecc).
La regionalizzazione dei diritti in America
Conferenza interamericana (Bogotá, 1948) > Carta istitutiva dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA)
+ Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo precede di poco la carta dell’ONU e pone sul
piano internazionale il tema della tutela dei diritti umani, rappresentando per l’OSA la carta dei valori
comuni alle nazioni del continente americano. Il tratto che contraddistingue la Dichiarazione di Bogotá
è di aver posto sullo stesso piano i diritti e i doveri. Nel 1959 viene istituita la Commissione
interamericana dei diritti umani organo politico che svolge attività di promozione dei diritti, di
protezione di essi > promuove inchieste e indagini su situazioni particolari di violazione dei diritti sulla
base di petizioni individuali o delle comunicazioni ricevute dai membri, rivolge raccomandazioni agli
stati membri. Nel 1969 il Consiglio permanente dell’OSA approva la Convenzione americana dei diritti
dell’uomo (o Patto di San Josè) ispirandosi alla CEDU, essa intende tradurre sul terreno della realtà
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contemporanea l’effettiva tutela dei DU. Il pensiero che si esprime in questo documento riconosce
un’origine pre-giuridica dei DU. Il regionalismo americano dei DU è segnato da una concezione non
positivistica dei diritti e da un’apertura verso l’idea di una fondazione morale dell’ordine giuridico.
Quanto ai contenuti, si riproducono i diritti civili e politici. I diritti economici e sociali assumeranno
riconoscimento giuridico con il Protocollo aggiuntivo di San Salvador (1988). Un grande rilievo ha
assunto la Corte interamericana dei diritti istituita con il Patto di San Josè con la funzione di proteggere
i DU in relazione agli impegni assunti dagli stati aderenti al Patto. Essa ha iniziato a funzionare nel 1979
ed esercita una funzione consultiva (interpretazione e applicazione della Convenzione) e una
contenziosa (ricorsi presentati da uno stato).
La regionalizzazione dei diritti in Africa
Lo Statuto dell’Organizzazione per l’Unità africana (OUA) non conteneva alcuna disposizione in
materia di tutela dei DU. Solo in seguito alla trasformazione da OUA a UA si parla di promozione e
rispetto dei DU. A seguito di gravi violazioni dei DU in alcuni stati era stato adottato il più importante
trattato regionale: la Carta africana sui diritti umani e dei popoli (carta di Banjul) 1986. La
maggior parte dei diritti in essa contenuti sono uguali a quelli della Dichiarazione universale e dei Patti
inter. dell’ONU, ma ha una maggiore attenzione per i diritti a livello collettivo e infatti esprime
espressamente i diritti di solidarietà + presenza di un capitolo intero dedicato ai doveri dell’individuo. Il
tratto peculiare sta nella valorizzazione delle tradizioni delle comunità africane precoloniali, quindi la
concezione dei diritti non è del tutto in linea di continuità con la tradizione occidentale. La Carta
dichiara il suo intento di voler riconoscere i DU sulla base delle virtù tradizionali degli stati africani, del
riconoscimento dei diritti dei popoli e dell’indissolubile legame tra diritti e doveri. Proprio il tema dei
diritti dei popoli e quello dei doveri mostra la vocazione comunitaria della Carta, essa rivolge la sua
attenzione sulla famiglia, gruppi etnici, proclama i diritti dei popoli, il diritto all’autodeterminazione ecc.
La regionalizzazione dei diritti nell’area di cultura araba
Ciò che caratterizza le proclamazioni arabe è il costante riferimento alla religione. In questo sistema
l’adozione di strumenti a tutela dei DU si è sviluppato nell’ambito di 2 organizzazioni intergovernative:
1. Lega degli stati arabi Commissione degli stati arabi per i diritti umani. Ha poi adottato
un trattato: la Carta araba dei diritti dell’uomo (adottata nel 1994) > alcune norme di essa
sono incompatibili con i trattati a tutela dei DU, documento più laico, vengono richiamati i
principi sanciti dalla Dichiarazione universale e dai Patti dell’ONU, ma anche quelli della
Dichiarazione del Cairo a proposito dei diritti dell’uomo nell’Islam, e nel preambolo si ha il
riferimento alla Shari’a. questa però non è mai entrata in vigore. Nuova Carta araba dei diritti
dell’uomo adottata nel 2004 ma entrata in vigore nel 2008 > segna una nuova apertura del
mondo arabo. Contenuti: riferimento al diritto dei popoli > popolo inteso come soggetto
giuridico che può vantare il diritto all’autodeterminazione, alla sovranità nazionale e all’unità
territoriale. Il richiamo alla sovranità nazionale richiederebbe un bilanciamento con l’aspirazione
ad apprestare un sistema di tutela sovra-statale dei DU. Altra peculiarità è l’importanza del
legame sociale, il dato della fratellanza ed il legame indissolubile tra la religione e la politica:
l’Islam si configura come religione, progetto politico e ordinamento giuridico. 4 categorie di
diritti enunciati: diritti individuali, diritti connessi all’amministrazione della giustizia, diritti civili
e politici e diritti economici, sociali e culturali.
2. Organizzazione della conferenza islamica (OCI) riunisce solo i paesi di fede islamica e
persegue tra i suoi obiettivi la promozione e protezione dei DU, ha istituito una Commissione
permanente e indipendente sui DU > promuove rispetto diritti civili, politici, economici e
sociali. Hanno adottato nel 1990 la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo
(Dichiarazione del Cairo).
89
ASEAN > non ha come finalità quella di promuovere a livello regionale i diritti e le libertà
fondamentali. Nel 2009 nasce l’Intergovernmental Commission on Human Rights. Nel continente asiatico al
momento non esistono dichiarazioni regionali dei diritti o strumenti sovranazionali di tutela delle
prerogative individuali. In vista della Conferenza mondiale sui diritti umani del 1993, i paesi asiatici
partecipanti elaborarono un documento = Dichiarazione di Bangkok > nel quale venivano posti in
risalto i valori della cultura asiatica e si sosteneva che maggiore attenzione viene rivolta al bene comune
della collettività piuttosto che ai diritti dell’individuo. La Dichiarazione di Bangkok ha il merito di
offrire una base rilevante al dibattito sul rapporto valori asiatici-DU. Con l’espressione valori asiatici, si
fa riferimento a un sistema gerarchico di valori e finalità primarie che risulta essere lontano
dall’Occidente. Sul piano teorico essi incorporano i cardini del confucianesimo:
Primato degli interessi collettivi rispetto a quelli individuali
Necessità di un’armonia sociale anche a costo di sacrificare le aspettative dei singoli
Prevalenza degli interessi della famiglia, comunità, nazione
La cura per l’ordine e la stabilità (ecc…)
In Cina l’uomo che vuole coltivare le virtù individuali ha una sola strada > l’adempimento dei doveri
che nascono dalle relazioni con gli altri. Solo con l’adempimento degli obblighi reciprochi che
incombono sui membri della collettività, ogni individuo può realizzarsi a pieno. Combinando tutto ciò
con la mancanza di una tradizione democratica, ne deriva che la coscienza dei propri diritti e libertà
individuali non ha radici nel popolo cinese. La tesi ufficiale in Cina fa leva sulla teoria della priorità dello
sviluppo il diritto allo sviluppo economico e sociale e quello alla sopravvivenza hanno la priorità sugli
altri diritti. Tutti i DU sono egualmente meritevoli di tutela, tuttavia in paese in cui esistono vaste fasce
della popolazione in condizioni di povertà, il diritto alla sopravvivenza e allo sviluppo va garantito
prioritariamente. In base alla teoria dello sviluppo si giustificano limitazioni e restrizioni alle libertà civili
e ai diritti politici. Non vi è poi diritto che non debba essere bilanciato dai doveri che hanno i cittadini.
2004 > riforma costituzionale cinese > ha introdotto una nuova formulazione dell’art. 33 in base alla
quale lo stato rispetta e protegge i DU. Malgrado ciò, prevale la convinzione per cui i DU non sono
qualificabili come diritti assoluti.
Il principio di uguaglianza quale pre-condizione della garanzia dei diritti e delle libertà
La libertà da ingiustificate discriminazioni o l’uguaglianza di fronte alla legge costituisce un rilevante
strumento di tutela dei diritti inviolabili. Tale principio non esaurisce la sua forza nella sfera delle libertà
fondamentali, ma pervade l’intero ordinamento e rappresenta un limite generale della funzione
legislativa. Il legislatore nel legiferare dovrà procedere a una valutazione secondo ragionevolezza delle
diverse situazioni giuridiche. Il principio di uguaglianza compare nelle costituzioni a partire dal 20 sec, il
tema dell’uguaglianza assume ora il ruolo e la posizione di principio costituzionale. Ne deriva che gli
organi costituzionali e i pubblici poteri sono tenuti a svolgere le proprie funzioni nel rispetto di tale
principio e devono assicurare il mantenimento dell’ordine politico e giuridico democratico. Il principio
di uguaglianza trova attuazione quando la legge e gli atti delle pubbliche autorità trattano in modo
uguale coloro che la costituzione considera uguali (uguaglianza formale). Al tempo stesso, il carattere
democratico e sociale delle costituzioni del 900 imprime al principio di uguaglianza anche una valenza
sostanziale: l’uguaglianza sostanziale richiede che coloro che oggettivamente versano in condizioni
differenti siano trattati diversamente.
Esistono condizioni materiali che determinano oggettivi impedimenti al godimento dei diritti, lo stato
democratico-sociale assume tra i propri compiti quello di rimuovere gli ostacoli che impedisco l’eguale
dignità delle persone. Nella tradizione delle costituzioni di matrice liberale è prevalente l’idea che
sussista une vera presunzione di illegittimità costituzionale delle leggi che determinano differenziazioni
di trattamento. Al tempo stesso, si ritiene che tale presunzione venga meno qualora si dimostri la
ragionevolezza delle differenziazioni previste dal legislatore. Il pericolo che il legislatore introduca
trattamenti differenziati ed arbitrari e irragionevoli, chiama in causa i giudici e la funzione
giurisdizionale; conferisce alla giurisdizione costituzionale di legittimità un ruolo determinante per il
mantenimento dell’ordine democratico e la tutela dei diritti fondamentali attraverso l’applicazione del
principio di uguaglianza.
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91
meccanismi di tutela generale e particolare > la costituzione del 1978 prevede il ricorso di habeas
corpus contro le forme illegali di limitazione della libertà personale, l’amparo costitucional, contro gli
atti discriminatori e a tutela della libertà di coscienza e dei diritti fondamentali.
Il juicio de amparo mexicano e la sua diffusione, specialmente in America latina
Il juicio de amparo è rivolto alla protezione diretta dei diritti fondamentali della persona e dei precetti
costituzionali che quei diritti affermano. Le decisioni che concludono il giudizio determinano la
disapplicazione dell’atto lesivo al caso di specie e non un suo annullamento. Si tratta di un rimedio
giurisdizionale diretto che permette ai cittadini di adire le autorità giurisdizionali competenti contro ogni
decisione, atto o omissione illegale o arbitrato posto in essere da poteri dello stato o privati. Sono in
genere esclusi dalla lista degli atti impugnabili le leggi e gli atti normativi dell’esecutivo con forza di
legge essendo questi soggetti al controllo di costituzionalità. I soggetti legittimati a presentare il recurso
de amparo sono i titolari di diritti lesi, persone fisiche o giuridiche, che possono agire individualmente o
collettivamente se i diritti fanno capo a una comunità.
Il recurso de amparo offre una tutela nei confronti della generalità dei diritti e delle libertà
fondamentali, sono previsti degli strumenti particolari quali l’habeas corpus e l’habeas data. Il giudizio
di amparo nasce in Messico con la costituzione dello stato dello Yucatan (1841), viene poi introdotto a
livello federale (1957). Amparo significa protezione. Coloro che rivendicano il ricorso possono adire a
un giudice federale o Corte suprema. L’eventuale accoglimento del ricorso non produce l’annullamento,
quindi l’atto resta in vigore e può essere riapplicato. Per impedirne l’applicazione è necessario
presentare un altro recurso > il recurso mostra un limite e produce una sorta di attenuazione dello
stesso primato della costituzione. L’istituto fu esteso alle violazioni della costituzione in genere
determinando un incremento dei ricorsi. Con la riforma costituzionale del 1994 si stabilì che la
competenza a decidere sui ricorsi spetta ai giudici federali, la Corte suprema può avocare a sé i giudizi di
amparo quando ritenga che sussista un interesse costituzionale che trascende il caso di specie. L’istituto
ha conosciuto una diffusione, in primo luogo in America latina, poi in Europa dove è stato incorporato
in varie costituzioni (Germania, Spagna). Casi isolati di previsione di meccanismi simili a questo si
hanno in Africa e Asia.
Il ricorso diretto a tutela dei diritti in Europa: Svizzera, Germania e Spagna
La costituzione delle Confederazione Svizzera nel 1848 prevedeva che nell’ipotesi dei diritti
costituzionalmente garantiti poteva essere presentato ricorso per la loro tutela. In una prima fase il
ricorso si doveva presentare all’Assemblea federale che valutava se sottoporre la questione al Tribunale
federale. Con la revisione della costituzione nel 1874 il filtro politico fu eliminato e si ammise il ricorso
diretto al Tribunale federale. Anche in Germania alcuni stati avevano previsto il ricorso a tutela dei
diritti seppure attraverso la mediazione di organi politici. Ma è a partire dalla costituzione austriaca del
1920 che si realizza in Europa il primo modello compiuto di ricorso costituzionale a tutela dei diritti. In
Germania il ricorso costituzionale diretto al Tribunale costituzionale federale rappresenta la principale
attività dell’organo di giustizia costituzionale. Contro un atto legislativo, amministrativo o giudiziario,
chiunque può presentare ricorso al tribunale se ritiene che sia stato leso un proprio diritto garantito
dalla costituzione. Nel sistema costituzionale tedesco il ricorso individuale diretto è ritenuto uno
strumento straordinario e sussidiario ci si può avvalere di questo solo se siano stati esperiti tutti gli
altri rimedi previsti per rimuovere gli effetti della violazione di un diritto fondamentale.
In fase preliminare, il Tribunale verifica l’ammissibilità del ricorso sulla base di 3 criteri: la fondamentale
rilevanza costituzionale della lesione lamentata, il carattere particolarmente rilevante del diritto che si
vuole garantire, il grado di gravità delle conseguenze che potrebbero colpire il ricorrente in caso in cui il
ricorso fosse respinto. La decisione conclusiva produce effetti erga omnes e determina la nullità
(parziale o totale) della legge; l’annullamento dell’atto amministrativo o la sospensione del
provvedimento giudiziario. Merita di essere segnalata la possibilità che i Comuni presentino un ricorso
costituzionale diretto per la tutela del proprio diritto all’autogoverno comunale > si tratta del diritto
riconosciuto dalla costituzione ai Comuni di regolare gli affari della comunità locale.
Anche l’ordinamento spagnolo prevede il controllo di costituzionalità per la tutela dei diritti
fondamentali sanciti dalla costituzione. Contro le violazioni e le lesioni dei diritti proclamati dagli
articoli 14-30 ogni persona, fisica o giuridica, può presentare ricorso di amparo. Il ricorso può essere
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anche presentato dal defensor del pueblo e dal procuratore generale. Per contenere l’abuso di tale
strumento, anche in spagna l’ordinamento dispone che al ricorso di amparo si acceda solo dopo aver
esperito tutti i rimedi interni. Oggetto del ricorso può essere l’atto posto in essere da qualunque
pubblico potere. L’esperienza mostra che la maggioranza dei ricordi si amparo sono rigettati in fase
preliminare di ammissibilità per carenza sostanziale, mancando del fondamento costituzionale della
violazione lamentata.
La costituzione della svizzera prevede la possibilità che molti soggetti possano adire al Tribunale
federale a garanzia dei propri diritti = ricorso in materia costituzionale per la censura delle violazioni dei
diritti costituzionali. L’atto sindacabile può essere di tipo legislativo, amministrativo e giurisdizionale.
Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, le disposizioni costituzionali che riservano al cittadino
una sfera di protezione contro l’invadenza dello stato o che tutelano interessi privati, sono volte a
garantire diritti fondamentali. Il Tribunale federale esercita le sue funzioni di garanzia anche avendo
riguardo ai diritti costituzionali cantonali dei quali si lamenti lesione, nonché ai diritti che derivano dalla
CEDU. Il modello tedesco è stato accolto molto dai paesi dell’Europa centro orientale all’indomani
della caduta del muro di Berlino.
La tutela multilivello dei diritti
Agli stati nazionali sono affiancati livelli di tutela internazionale e sovranazionale che hanno contribuito
a rafforzare la sensibilità universale verso i DU. Se si guarda però alla tutela giurisdizionale dei diritti
affermati la sede principale resta il livello statale. Le norma poste a tutela dei DU si rivolgono agli stati e
sono fonte di obblighi per essi verso la comunità internazionale e pertanto può essere fatta valere la
loro responsabilità per gli atti lesivi dei diritti fondamentali. Le costituzioni degli stati spesso prevedono
l’adeguamento dell’ordinamento interno alle norme internazionali (es. art 11 italia). È compito degli
stati garantire al loro interna la valenza delle dichiarazioni inter., essi conservano una sorta di
monopolio della tutela giurisdizionale dei diritti, mentre hanno perso il monopolio della declaratoria dei
diritti. Il costituzionalismo multilivello si esprime nel fatto che i due livelli costituzionali (nazionale e
sovranazionale) si influenzano reciprocamente dando luogo ad una dinamica costante di interscambio e
interferenze in diversi ambiti, ma specialmente nella tutela dei diritti fondamentali.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la tutela dei diritti
La tutela dei diritti rappresenta un apparato di difesa dei valori comuni della tradizione occidentale, per
questo motivo l’impianto che mira a salvaguardare i diritti della persona poggia su 3 tipi di ordinamenti
giuridici > nazionale, comunitario ed internazionale. La CEDU è un accordo inter. multilaterale a
carattere regionale, spetta agli stati contraenti determinare le modalità ed il grado di tutela da apprestare
a favore dei diritti proclamati, considerato che il fine ultimo delle disposizioni convenzionali è quello di
assicurare l’armonizzazione dei parametri di tutela negli stati. La Convenzione prevede all’art. 19
l’istituzione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Strasburgo) dinanzi ad essa un privato,
un’ONG o un gruppo di privati può fare ricorso per lamentare la violazione dei diritti riconosciuti nella
Convenzione e nei suoi protocolli. L’accesso diretto alla Corte ha carattere sussidiario si può far
valere la lesione di un diritto solo dopo aver esperito i rimedi all’interno dell’ordinamento nazionale. Lo
stato può essere convenuto in giudizio dinanzi alla Corte sulla base della impugnativa di atti,
comportamenti o omissioni, che sono espressione dei suoi poteri: atti amministrativi, decisioni
giurisdizionali, atti legislativi, comportamenti omissivi.
Il giudizio della Corte mira a verificare se l’atto o il comportamento risulti lesivo di uno dei diritti sanciti
dalla Convenzione. La Convenzione prevede che gli stati contraenti possano adottare misure in deroga
rispetto agli obblighi previsti. La Corte ha riconosciuto l’esistenza di un margine di apprezzamento agli
stati circa la necessità di introdurre limitazioni dei diritti e delle libertà, si tratta di un apprezzamento
discrezionale che deve contemperare la tutela dei diritti e delle libertà con l’esigenza di assicurare gli
interessi generali fondamentali dello stato. La giurisprudenza della Corte ha mostrato di sapersi avvalere
delle tecniche del bilanciamento tra diritti, diritti e valori o interessi generali della comunità,
all’applicazione del principio di proporzionalità. In quanto organo di un ordinamento intern., privo di una
legittimazione democratica, essa non deve applicare leggi che sono il prodotto della manifestazione
della sovranità popolare, ma interpreta e applica le disposizioni della Convenzione e pertanto la sua
giurisprudenza è destinata a vincolare gli atti e i comportamenti degli stati contraenti.
93
Elementi che lasciano intendere come la netta separazione tra i due livelli ordinamentali in tema di
tutela dei diritti sia difficile da preservare. La Corte ha dato un impulso alla tutela dei diritti a livello
sovranazionale, includendo nelle sue azioni anche situazioni giuridiche soggettive non espressamente
contemplate nei trattati. In una prima fase, essa ha tutelato i diritti e le libertà attinenti la sfera
economica, dopo anche gli altri, anche diritti non espressamente tutelati dalla normativa europea
richiamandosi alla CEDU. Con la Carta di Nizza il livello dei diritti che la Corte può assicurare è
superiore rispetto agli standard garantiti dalla CEDU > questo si scontra con la natura limitata
dell’ambito di applicazione della stesa ai sensi dell’art. 51. Il disegno che segna emergere affida la tutela
dei dritti a un sistema di protezione multilivello basato su quella osmosi che nel tempo si è venuta
determinando tra l’ordinamento sovranazionale e nazionale. La Corte non solo ha in genere
interpretato in senso restrittivo le condizioni di ammissibilità del ricorso, ma soprattutto non sembra
interpretare il ruolo di una corte dei diritti. Appare che il fine ultimo della Corte non è tanto quello di
apprestare una tutela dei dritti in quanto tali, ma l’affermazione del primato del diritto dell’UE.
La tutela giurisdizionale sovranazionale dei diritti in America e in Africa
1959 Commissione interamericana dei diritti umani organo politico che svolge l’attività di
promozione dei diritti e anche di protezione > promuove inchieste e indagini su situazioni particolari di
violazione dei diritti sulla base di petizioni individuali o comunicazioni statali e rivolge
raccomandazione agli stati. 1969 Corte interamericana dei diritti istituita con la funzione di
proteggere i DU in relazione agli impegni assunti dagli stati aderenti al Patto. Essa esercita una funzione
consultiva (sull’interpretazione ed applicazione della Convenzione) e l’altra contenziosa (sui ricorsi
presentati da uno stato per far valere la responsabilità di un altro per violazione dei diritti). Il sistema
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regionale americano presenta un’asimmetria l’apparato di protezione dei diritti fa leva su un organo
politico, la Commissione interamericana, dinanzi alla quale l’individuo può portare la propria istanza
senza particolari condizioni > la Convenzione di San Josè considera il ricorso individuale come lo
strumento principale di attivazione delle funzioni della Convenzione, mentre quello interstatale è
ritenuto eccezionale. La stessa apertura non si registra per la Corte interamericana, alla quale si possono
rivolgere la Commissione, gli stati, ma non i singoli o i gruppi di individui.
La Carta di Banjul africana fa perno su 2 istituzioni:
1. La Commissione africana dei diritti dell’uomo (1955) organo politico con il compito di
promuovere i DU e i diritti dei popoli, secondo la concezione africana; garantire la protezione
di essi e fornire pareri sull’interpretazione delle disposizioni della Carta. Oltre alla
predisposizione periodica di rapporti sullo stato di attuazione delle disposizioni convenzionali,
essa può avviare procedure di inchiesta sulla violazione dei diritti sulla base di istanze presentate
dagli stati, individui o ONG. Tuttavia le risoluzioni adottate dalla Commissione non hanno
efficacia vincolante per gli stati.
2. La Corte africana dei diritti dell’uomo (2006) può essere adita dalla Commissione, da uno
stato membro o dai singoli individui e ONG. La possibilità che essa si pronunci su un’istanza
proveniente da un individuo o ONG è subordinato alla condizioni che lo stato imputato di aver
violato i diritti abbia ammesso questa possibilità. La possibilità di ricorrere alla Corte è
subordinata dall’esaurimento dei rimedi giurisdizionali interi.
Con il protocollo di Maputo l’UA ha nel 2003 istituito una corte parallela: la Corte di giustizia
dell’Unione Africana > per interpretare e applicare l’atto istitutivo dell’UA e di tutte le altre disposizioni
di diritto inter. Il protocollo di Malabo (2014) ha stabilito che la Corte di giustizia assorba le funzioni
della Corte africana dei diritti umani con la cessazione di quest’ultima. Il quadro complessivo appare
disorganico.
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rapporti tra i vari livelli di governo vengono individuati nel principio di autonomia costituzionale (o
residua) > distingue gli stati membri sia dalle Regioni che dagli enti locali dotati di autarchia; e in quello
di partecipazione (esistenza di una seconda Camera rappresentativa degli stati e necessità di consenso
della maggioranza degli stati alla revisione costituzionale). Queste teorie sono dinamiche, considerano
lo Stato federale come un fenomeno evolutivo. Punto di riferimento comune è la teoria empirica
del federalizing process di Friederich > si propone di andare oltre le concezioni dei giuristi e il concetto
di stato che viene sostituito da quello più ampio di comunità politica.
A una concezione dinamica si rifanno varie teorie le quali collocano i processi federativi lungo una linea
continua, i cui estremi sono lo stato unitario e l’unione sovranazionale di stati. L’approccio realista
giunge a sottolineare il carattere dinamico dei processi federativi che si manifesta nel corso
dell’evoluzione dello stato federale, decisivo è il passaggio dallo stato federale liberale allo stato federale
sociale nel primo viene perseguita la libertà dei privati e del mercato che è incentivata dalla sottrazione
agli stati membri delle competenze in materia economica, nel secondo i valori perseguiti sono quelli
della partecipazione della collettività locale alle scelte politiche, dell’articolazione della classe politica in
modo da impedire la concentrazione oligarchica del potere, dell’avvicinamento delle decisioni ai bisogni
dei cittadini. Nell’epoca contemporanea vi è un rapporto stretto tra federalismo e democrazia
pluralistica > l’attribuzione ai diversi gruppi sociali di forme di autonomia e partecipazione alla volontà
dello stato incentiva il riconoscimento di strutture di autogoverno di tipo territoriale.
L’evoluzione degli stati federali
La distinzione principale è quella tra modello anglosassone ed europeo o fra quello statunitense e quello
tedesco. Essa riguarda il riparto delle competenze legislative nel primo modello vi è la tendenza a
distinguere formalmente le attribuzioni esclusive del governo centrale e di quelli periferici (con l’elenco
delle materie di rispettiva competenza e l’attribuzione di poteri residui agli stati). Al di fuori degli USA
vi è stata la tendenza verso un federalismo di tipo cooperativo, anche mediante la previsione di una
competenza legislativa concorrente. Anche negli stati europei federali la clausola dei poteri residui è
disposta a vantaggio degli stati membri, ma in Germania e in Svizzera è costituzionalmente prevista
un’ampia fascia di competenze legislative concorrenti, nella quale lo stato fissa i principi, ma in alcune
materie può intervenire anche con normative di dettaglio. La differenza si riflette sul riparto delle
funzioni amministrative, infatti, mentre nei paesi anglosassoni e latino-americani queste seguono le
competenze legislative; in Germania e svizzera il federalismo si configura come un federalismo di
esecuzione nel quale al predominio federale nella legislazione corrisponde l’intervento preponderante
dei Lander e dei Cantoni nell’amministrazione e quindi nell’attuazione delle scelte normative. Peculiare
è poi lo Stato federale in Belgio = federalismo di sovrapposizione, asimmetrico e di dissociazione. Con
l’affermarsi dello Stato sociale gli Stati federali mostrano alcune tendenze comuni:
1. Si rafforza il ruolo dello Stato centrale che si concretizza soprattutto nell’ampliamento delle
competenze esercitate a livello federale varie ragioni sono la causa di ciò: sociali (affermarsi di diritti
sociali e cittadinanza comune), politiche (ruolo di unificazione della politica svolto dai partiti di massa),
economiche (crescente intervento regolatore dello stato) e militari (necessità di garantire la gestione
centralizzata della forza militare).
2. Tendenze di tipo centrifugo
3. Affermarsi del federalismo cooperativo in sostituzione dell’originario dual federalism tipico dell’epoca
liberale.Il federalismo cooperativo è caratterizzato dall’affermarsi di tre principi fondamentali: principio
di sussidiarietà (1)= gli interventi di livello superiore di governo sono giustificati solo quando non
possano essere efficacemente compiuti dal livello inferiore o qualora si tratti di interesse nazionale o di
esigenza di disciplina uniforme della materia (sussidiarietà verticale); secondo una portata più ampia è
posto a tutela delle autonomie sociali ed individuali nei confronti del potere pubblico (sussidiarietà
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orizzontale), federalismo fiscale (2) ogni livello di governo deve procurarsi autonomamente risorse
adeguate all’esercizio delle proprie competenze (è lontana dalla realtà l’idea che negli stati federali ogni
entità sia in grado di garantirsi l’autosufficienza finanziaria attraverso la piena autonomia
nell’impostazione e nella riscossione dei tributi > lo stato centrale non solo gestisce una quota non
irrilevante delle risorse finanziarie, ma predetermina l’assetto dei sistemi locali di prelievo fiscale e incide
sulla distribuzione delle risorse attraverso degli interventi di vario tipo), principio di
collaborazione (3) = gestione ottimale delle risorse rende indispensabili accordi e cooperazione fra
i diversi livelli di governo, sia orizzontali (riguardano entità federate) che verticali (intercorrono
tra governo centrale e periferico). La cooperazione può essere istituzionalizzata o spontanea a seconda che
si basi su strutture e procedure fissate normativamente o che sia lasciata alla libera iniziativa dei diversi
livelli di governo. La cooperazione può avere ad oggetto l’attività normativa o, più spesso, l’attività
amministrativa e in particolare l’esecuzione delle norme federali.
In linea generale si può affermare che gli stati federali contemporanei sono caratterizzati dalla vigenza di
una costituzione rigida che prevede accanto ad un governo centrale collocato in posizione preminente,
l’esistenza di governi locali dotati di autonomia politica e che partecipano in vario modo, ma per lo più
in posizione subordinata, alla determinazione dell’indirizzo politico-amministrativo nazionale.
Lo Stato regionale
Regionalismo = teoria che propugna la suddivisione di uno Stato precedentemente centralizzato in
entità autonome con specificità economiche, culturali, geografiche, etniche > esso precede la
formazione degli stati regionali. Il movimento regionalistico si differenzia da impostazioni di tipo
federalistico in quanto concepisce l’ente Regione o Comunità autonoma come un livello di governo
collocato tra lo stato e gli enti locali territoriali, al quale si dà vita per far fronte ad esigenze economiche
e etniche peculiari di certe zone geografiche. È evidente la diversa origine storica dello stato regionale
rispetto a quello federale, lo stato regionale non solo è più recente, ma deriva dalla suddivisione in
nuove entità territoriali autonome di stati caratterizzati da una forte tradizione centralistica. Caratteri
che distinguono lo Stato regionale da quello federale:
Riconoscimento nella costituzione statale di enti territoriali autonomi dotati di propri statuti che devono
essere approvati con legge dello Stato (Regioni o Comunità autonome). (N.B. In Italia non
piùapprovazione con legge statale).
Attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze normative e amministrative.
Esistenza di un Senato non rappresentativo delle Regioni,ma solo eletto a base regionale (art. 57 Ita) o con
una rappresentanza limitata delle Comunità autonome.
Partecipazione limitata all’esercizio delle funzioni statali e a quella di revisione costituzionale.
Attribuzione alla Corte costituzionale del potere di risolvere i conflitti fra lo Stato e le Regioni garantendo
la preminenza degli interessi nazionali anche nelle materie di competenza regionale.
All’interno delle esperienze di regionalismo si riscontrano differenze:
si può parlare di Stato regionale solo quando l’ente “Regione” è previsto in costituzione. A tale proposito,
si riscontra una differenza tra la modalità di formazione italiana, creazione top-down e cioè con le
Regioni elencate e imposte dalla costituzione, e quella spagnola, creazione bottom-up e cioè previsione
costituzionale delle sole procedure per la creazione delle Comunità autonome che sono state istituite dal
basso.
Lo stesso termine “Regione” può assumere almeno tre significati: semplice circoscrizione o ufficio di
decentramento burocratico (Regno Unito); Regione amministrativa e cioè ente territoriale dotato di
autarchia (autonomia amministrativa ma non politica); Regione politica, basata sull’elettività dei titolari
degli organi di governo e, nelle materie di competenza, dotate della libertà di determinare un indirizzo
politico-amministrativo e di esercitare la potestà legislativa.
Vi può essere una regionalizzazione omogenea o differenziata. Nel primo caso si ha una disciplina
uniforme dell’ente regionale; nel secondo caso, molto più diffuso, si prevede che alle diverse Regioni sia
attribuito un livello di autonomia differenziato o asimmetrico. In questo caso vi è un’ulteriore
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differenziazione Regioni alle quali sono attribuite condizioni particolari di autonomia, per motivazioni
derivanti dalle loro peculiarità etniche, economiche o storico-culturali, ma che non assumono natura
giuridica differenziata rispetto alle altre; Regioni aventi natura giuridica differenziata prevista in
costituzione.
Differenze sussistono in merito alle competenze attribuite alle Regioni. Criterio dominante in passato in
merito al riparto delle competenze legislative era di tipo separatista(previsto un elenco di quelle
regionali e la competenza residuale attribuita allo Stato) però in Italia, con la riforma del 2001, è stato
ribaltato prevedendo la potestà legislativa regionale nelle materie non espressamente riservate allo Stato;
in Spagna vi è una doppia elencazione delle materie che però lascia agli statuti la possibilità di attribuire
le competenze non riservate allo Stato alle Comunità autonome.
Altre differenze vi sono in merito alle funzioni regolamentari e amministrative. In passato era dominante il
principio del parallelismo delle funzioni (di regola le Regioni intervengono nelle stesse materie nelle
quali hanno competenza legislativa). Eccezioni: in Italia attribuzione alle Regioni della potestà
regolamentare in tutte le materie non riservate allo Stato e principio di sussidiarietà a favore dei Comuni
per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni amministrative (riforma del Titolo V).
In definitiva si può parlare di Stato regionale in senso proprio solo quando le Regioni sono previste in
costituzione, sono enti politici autonomi dotati di competenze legislative, ricoprono l’intero territorio
nazionale. Solo Italia e Spagna rientrano pienamente in tale categoria mentre per Portogallo e UK si
può parlare di uno Stato parzialmente regionalizzato. La Francia appare come uno Stato in via di
regionalizzazione.
Le teorie sulla natura giuridica dello Stato regionale
Le teorie possono essere ricondotte a tre filoni principali, a seconda che lo stato sia considerato
come species dello stato unitario, come stato intermedio tra l’unitario e il federale o come stato
decentrato assimilabile a quello federale:
1. Teorie che considerano lo Stato regionale come sottospecie di quello unitario: Regioni non diverse
qualitativamente dagli enti locali, qualificate come enti autarchici aventi mera potestà amministrativa
caratteristica appunto degli enti locali di uno Stato unitario decentrato, che entrano a far
parte dell’ordinamento statale con la stessa natura ed efficacia di quelli dello stato. Altri, pur non
negando la natura di enti autonomi delle Regioni, ritengono che la differenza nei confronti degli enti
locali sia solo quantitativa, basata sulla maggiore o minore ampiezza delle funzioni attribuite.
2. Teorie che considerano lo Stato regionale come un tipo di Stato intermedio tra lo Stato federale e
quello unitario il merito di queste teorie sta nell’aver sostituito al concetto tradizionale di sovranità
quello più attuale di autonomia.
3. Teorie che configurano lo Stato regionale al pari dello Stato federale come un tipo di Stato
decentrato distinto dallo Stato unitario le Regioni come gli Stati membri sono enti non sovrani ma
autonomi. Nessuna differenza qualitativa sussiste tra i due tipi di Stato> in entrambi i casi si tratta di
autonomia non solo amministrativa ma anche legislativa garantita da disposizioni costituzionali. Le
differenze che permangono tra i due tipi di Stato riguardano la forma di governo (es. la partecipazione
degli Stati membri alla funzione di revisione costituzionale e alla formazione del Parlamento nazionale),
le questioni relative al numero e all’importanza delle funzioni decentrate.
L’evoluzione degli stati regionali
Due tendenze nell’evoluzione degli Stati regionali:
1. Tendenza di tipo centrifugo consistente nel rafforzamento delle condizioni di autonomia e dei poteri
delle Regioni Spagna contenuto del nuovo stato della Catalogna (2006) > riconosce l’identità nazionale
della Comunità e ne rafforza i diritti e l’autonomia finanziaria. D’altro alto il Tribunale costituzionale
con la sentenza n. 31/2010 ha ridimensionato la portata normativa dello statuto della Catalogna,
dichiarando incostituzionali 14 disposizioni e subordinando la legittimità di altre 27 ad
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un’interpretazione conforme a costituzione. Nel 2013/14 le autorità di governo catalane hanno tentato
di far pronunciare il popolo sull’indipendenza della Catalogna > bocciata. Poi si è svolta una consulta
volontaria priva di valore giuridico > la maggior parte dei cittadini vogliono la Catalogna
indipendente. Regno Unito volontà indipendentista della Scozia. Italia revisione del Titolo V parte II
della costituzione > contiene aspetti di tipo federale (ribaltamento del criterio di ripartizione delle
competenze legislative a favore delle regioni, l’affermazione del principio di sussidiarietà, attribuzione
alle regioni ordinarie del potere di adottare lo statuto con una legge regionale rinforzata, il
riconoscimento alle autonomie territoriali di un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa basata su
tributi ed entrate proprie, l’equiparazione tra regioni e stato per l’impugnazione delle leggi di fronte la
Corte costituzionale); dall’altro lato non si può qualificare l’ordinamento italiano come federale.
2. Tendenza consistente nello sviluppo del regionalismo cooperativo che si realizza o attraverso la
partecipazione delle Regioni alla formazione dell’indirizzo politico statale o mediante il favorire
l’integrazione tra sfere di attività statali e regionali non più rigidamente separate. Occorre sottolineare
che è in corso un’evoluzione degli enti locali che rende meno agevole la distinzione tra questi e le
Regioni: spesso gli enti locali sono anch’essi riconosciuti in costituzione; vi sono disposizioni
costituzionali che li definiscono enti autonomi e quindi non solo autarchici. Tuttavia: le Regioni sono
dotate di autonomia legislativa; sono titolari di strumenti di partecipazione alla determinazione
dell’indirizzo politico dello Stato; possiedono competenze che incidono sull’ordinamento e sul
funzionamento degli enti locali.
Stati federali e Stati regionali
Dal confronto tra le esperienze federali e regionali emerge come elemento unificante il concetto di
autonomia, che determina una linea di continuità tra i vari processi di decentramento politico,
delimitata ai due estremi dalla Confederazione di Stati e dallo Stato unitario a decentramento
burocratico. Ciò non significa che non vi siano differenze tra i vari processi di decentramento
politico > fra lo stato regionale e federale vi sono diversità di origine storica e di natura
terminologico-simbolica. Sotto un profilo giuridico, i due concetti intorno ai quali ruotano tutte le
possibili differenziazioni tra i due sono quelli di autonomia e partecipazione. Vari autori ritengono
che solo gli stati membri siano dotati di autonomia costituzionale > tuttavia nessuno dei significati
che a tale espressione vengono attribuiti vale a stabilire differenze di tipo qualitativo. Intanto
autonomia costituzionale non può significare originarietà > che si ha quando un ordinamento si
autolegittima e quindi la sua fondazione non deriva da un altro ordinamento. Quanto all’autonomia
intesa come garanzia costituzionale, questa sussiste nei confronti del legislatore ordinario anche per
le regioni. Inoltre esse sono garantite costituzionalmente anche nel senso che in vari stati regionali il
principio autonomistico costituisce uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale e
quindi si pone come limite materiale alla stessa revisione della costituzione.
Per quel che riguarda le competenze, il loro riparto è stabilito nella costituzione dello stato centrale e
il criterio dei poteri residui gioca in modo differenziato all’interno sia degli stati federali sia di quelli
regionali. Quindi le differenze su questo terreno riguardano il merito delle competenze decentrate, in
particolare l’attribuzione ai soli stati membri di competenze di tipo giurisdizionale e in materia di
ordine pubblico, che di regola non sono riconosciute alle regioni. Tale differenza non comporta che
gli enti decentrati abbiano nei due casi una diversa natura giuridica, in quanto essi non rivestono la
qualità di veri e propri stati. Ciò è confermato dall’esistenza di stati federali nei quali alle entità
federate sono attribuiti poteri in materia giurisdizionale. Anche per quel che riguarda il principio
della partecipazione alla formazione della volontà politica dello stato, esistono differenze
significative. La diversità più rilevante deriva dal fatto che negli stati regionali non esiste una Camera
rappresentativa delle regioni quale momento di compensazione tra l’interesse nazionale e le esigenze
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degli enti federati. Anche la partecipazione al procedimento di revisione costituzionale degli enti
decentrati risulta più limitata negli stati regionali.
In entrambi i modelli vi è una comune tendenza verso un modello di tipo cooperativo. In definitiva
stato federale e regionale non costituiscono tipi di stato distinti e inconciliabili, ma sono 2
manifestazioni dei processi di decentramento politico che caratterizzano molti stati democratici
contemporanei. La natura democratica della forma di stato costituisce oggi una pre-condizione per il
pieno dispiegarsi di processi di autentico decentramento politico. Soprattutto nell’ambito della forma
di stato democratico-pluralistico, si possono distinguere 2 diversi tipi di stato a seconda della diversa
articolazione del potere sul territorio quello unitario (basato su un decentramento di tipo
burocratico o istituzionale ma principalmente amministrativo) e decentrato (si fonda su un
decentramento istituzionale di tipo politico). All’interno dello stato decentrato la distinzione tra
federalismo e regionalismo incide sull’assetto e sul funzionamento degli organi di governo dello
stato, ma anche sulla distribuzione dei poteri tra stato centrale e autonomie territoriali e quindi tra le
esperienze più significative di tipo federale e regionale continua ad esserci importanti differenze.
101
Bruxelles unificazione degli organi con la creazione di una sola Commissione e di un unico
Consiglio. La struttura della CEE diventa:
✓ Parlamento componenti eletti dal popolo secondo la rispettiva legge elettorale, che dal 1969 sostituisce
l’Assemblea parlamentare, è un organo rappresentativo di secondo grado, composto da delegati
designati dai Parlamenti nazionali.
✓ Consiglio composto da un ministri per stato membro, è titolare della potestà normativa e delibera
all’unanimità.
✓ Commissione composta da membri designati di comune accordo dai Governi degli stati, è l’organo
esecutivo chiamato a tutelare l’interesse comunitario e delibera a maggioranza assoluta.
✓ Corte di giustizia giudici nominati di comune accordo dai Governi degli stati, è incaricata di assicurare il
rispetto del diritto nell’applicazione del trattato.
1986 Atto unico eliminazione degli ostacoli alla realizzazione del mercato unico entro il 1992,
riconoscimento del ruolo del Consiglio europeo (comprende i capi di stato o governo e il presidente
della Commissione, è l’organo che stabilisce gli indirizzi politici della CEE). Trattato di
Maastricht 1992 le tre comunità vengono unificate nella Comunità europea e viene istituita l’UE essa è
un’organizzazione politica basata su 3 pilastri > le Comunità, la politica estera e di sicurezza comune
(PESC) e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (GAI). Il primo pilastro è
regolato col metodo comunitario (iniziativa della Commissione, delibere del Consiglio a maggioranza
qualificata, attribuzione del ruolo di co-legislatore al Parlamento, adozione di atti direttamente efficaci
negli ordinamenti statali). Gli altri 2 sono assoggettati al metodo intergovernativo (fondato sulla regola
dell’unanimità per le decisioni del Consiglio, ruolo consultivo del Parlamento, non sindacabilità degli
atti da parte della Corte).
Cittadinanza europea > ha natura derivata, viene attribuita ai cittadini degli stati membri, comprende il
diritto di circolare e soggiornare nel territorio dell’UE, di avere l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni
comunali e in quelle europee nello stato di residenza, di godere della protezione delle autorità
diplomatiche e consolari di ogni stato, di presentare petizioni, rivolgersi al Mediatore europeo
(nominato dal Parlamento). Rilevante è l’affermazione che l’UE si fonda sui principi di libertà e
democrazia comuni agli stati membri e rispetta i diritti garantiti dalla CEDU. Novità di tipo
organizzativo viene sancita la natura del Consiglio europeo di istituzione, sono estese a nuovi settori le
procedure di co-decisione tra Consiglio e Parlamento, vengono istituiti organi con funzioni consultive
(Comitato economico e sociale), viene prevista l’instaurazione di una moneta unica e sono stabiliti i
criteri relativi al debito pubblico. L’evoluzione verso l’UE si accompagna al progressivo ingresso di
nuovi stati che si impegnano a rispettare l’acquis comunitario.
Trattato di Amsterdam (1997) viene istituito l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza
comune, carica attribuita al segretario generale del Consiglio e viene previsto il sistema della
“cooperazione rafforzata”, che consente ad alcuni stati di compiere altri passi sulla via dell’integrazione,
ma nel rispetto di regole volte ad evitare che siano intaccatele competenze esclusive dell’UE o che ne
siano ostacolati gli obiettivi. Il progetto di unificazione monetaria previsto a Maastricht sfocia
nell’istituzione della Banca centrale europea (1998), 1999 euro > messo in circolazione nel 2002.
Dell’Eurozona fanno parte oggi 19/28 stati. La BCE decide la politica monetaria e di cambio in
maniera indipendente ed ha una struttura con 3 organi: Consiglio direttivo (governatori delle banche
centrale e membri del Comitato esecutivo, adotta gli indirizzi generali), il Comitato esecutivo (6 membri
nominati dai governi degli stati, dà attuazione alle decisioni del Consiglio), e il Presidente (nominato dai
governi tra i membri del Comitato esecutivo, svolge una funzione di direzione ed esecuzione delle
decisioni del Consiglio. Trattato di Nizza(2001) riduce i casi in cui il Consiglio deve deliberare
102
103
incompatibile con quella di parlamentare nazionale. Svolge funzioni consultive e decisionali, contitolare
assieme al Consiglio della funzione legislativa e di bilancio; dà il “parere conforme” sull’adesione di
nuovi membri e sulle sanzioni a carico degli stati in caso di violazioni. Elegge il Presidente della
Commissione ed esercita funzioni di controllo sulla Commissione (può approvare a maggioranza dei
2/3 una mozione di censura nei suoi confronti che determina le dimissioni collettive dei suoi membri).
Disciplina lo statuto dei partiti politici europei, costituisce commissioni temporanee di inchiesta sulle
denunce di infrazione o cattiva applicazione del diritto comunitario. Adotta atti su specifiche questioni
politiche.
- Consiglio europeo (Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri) Funzione di indirizzo politico,
definisce gli orientamenti politici generali. Si riunisce 2 volte a semestre convocato dal presidente (eletto
a maggioranza qualificata, mandato di 2 anni e mezzo e rinnovabile 1 volta). Nomina a maggioranza
qualificata l’Alto rappresentante (dirige la politica estera e di sicurezza, presiede il consiglio Affari esteri
e partecipa alle riunioni del Consiglio europeo).
- Commissione europea (organo esecutivo, in carica 5 anni) designati a rotazione, poteri di iniziativa
in materia normativa, di esecuzione delle politiche comunitarie e del bilancio, di vigilanza
sull’applicazione dei trattati e del diritto comunitario. Il presidente in accordo con il Consiglio individua
le personalità che propone quali membri della Commissione. La Commissione è nominata dal Consiglio
europeo a maggioranza qualificata dopo approvazione del Parlamento.
- Consiglio (o Consiglio dei Ministri) è composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro
secondo una formazione variabile (ministri competenti nella materia oggetto di delibera), principale
istanza decisionale e di governo dell’UE, contitolare della funzione legislativa e del bilancio, titolare di
funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. Consiste nel Consiglio Affari
generali (assicura la coerenza del lavoro delle varie formazioni del Consiglio e ne prepara le riunioni) e
Consiglio Affari esteri (elabora l’azione esterna dell’UE).
- Corte di giustizia dell’UE (Lussemburgo) comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e Tribunali
specializzati. Giudici nominati dai Governi, competenza di decidere su conflitti riguardanti
l’interpretazione e l’applicazione del diritto comunitario e assicura il rispetto dell’applicazione di esso, si
pronuncia in via pregiudiziale sui ricorsi dei giudici nazionali in materia di interpretazione del diritto
comunitario. Il Tribunale (1988) ha competenze limitate ad alcune categorie di ricorsi e le sue decisioni
sono impugnabili di fronte alla Corte per motivi di legittimità. I Tribunali specializzati sono competenti
a giudicare su categorie di ricorsi proposti in materie specifiche determinate dallo statuto della Corte.
La forma di governo risulta peculiare e difficilmente inquadrabile > da un lato si può dire che essa si sia
andata orientando verso un assetto di tipo parlamentare; dall’altro lato il Parlamento non può essere
qualificato come l’organo legislativo dell’UE.
Le competenze e gli atti giuridici dell’UE
Il quadro delle competenze è stabilito dagli art. 2-6 del TFUE. Alla UE sono attribuite competenze
esclusive, dove l’UE può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti nei seguenti settori:
o Unione doganale
o Definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno
o Politica monetaria
o Conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca
o Politica commerciale comune
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Competenza concorrente > sia l’UE che gli stati possono legiferare e adottare atti giuridicamente
vincolanti. Tuttavia gli stati esercitano la loro competenza nella misura in cui l’UE non ha esercitato la
propria. Settori:
o Mercato interno
o Politica sociale, per gli aspetti definiti nel trattato
o Coesione economica, sociale e territoriale
o Agricoltura e pesca
o Ambiente, energia e trasporti
o Protezione dei consumatori
o Reti transeuropee
o Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
o Problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per gli aspetti definiti nel trattato
Un protocollo aggiuntivo precisa che quando l’UE agisce in un settore, il suo intervento copre non
l’intero settore, ma solo gli elementi disciplinati nel proprio atto, per cui gli stati possono legiferare nella
parte non regolamentata. Per la politica estera e di sicurezza comune e per quelle economiche e
occupazionali è previsto un coordinamento tra le politiche degli stati e l’UE. Infine in settori di
competenza degli stati, l’UE può svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione
degli stati. In base all’art. 5 TUE, l’UE in quanto soggetto derivato di diritto inter., agisce solo nei limiti
delle competenze che le sono attribuite dagli stati. L’esercizio delle competenze si fonda su:
1. Principio di sussidiarietà nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’UE, questa interviene
solo se ricorrono alcune condizioni > insufficienza dell’intervento degli stati, la presunzione che il
migliore conseguimento degli obiettivi possa essere da lei garantito e la dimensione europea della
portata e degli effetti dell’azione. Clausola della flessibilità > quando un’azione dell’UE appare
necessaria per realizzare uno degli obiettivi stabiliti dai trattati, ma questi non prevedono i poteri
relativi, il Consiglio all’unanimità, su proposta della Commissione e previa approvazione del
Parlamento, adotta disposizioni appropriate.
2. Principio di proporzionalità impone la proporzionalità tra i mezzi e fini e che gli interventi dell’UE, nel
contenuto e nella forma, debbano limitarsi a quel che è necessario per conseguire gli obiettivi dei
trattati.
Atti giuridici dell’UE:
o Regolamenti atti generali ed astratti, obbligatori in tutti i propri elementi per i destinatari e direttamente
applicabili in ciascuno degli stati membri. Acquistano efficacia senza che vi sia bisogno di alcun atto di
ricezione o di adattamento da parte degli stati, i quali non possono adottare misure modificative.
o Direttive vincolano lo stato per quanto riguarda il risultato da raggiungere, facendo salva la competenza
degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi necessari. Lo stato deve dare attuazione alla
direttiva con propri atti normativi interni entro il termine in essa fissato e se non lo fa, commette una
violazione che può dare luogo al ricorso della Commissione alla Corte. Nella prassi si è sviluppato il
ricorso alle direttive dettagliate che contengono disposizioni puntuali di dettaglio e sono ritenute
direttamente applicabili dalla Corte.
o Decisioni sono obbligatorie in tutti i loro elementi, se designano i destinatari, sono obbligatorie solo nei
confronti di questi. Si distinguono le decisioni generali, che hanno natura legislativa, e quelle particolari
che, designando i destinatari ai quali sono rivolte, non hanno natura legislativa.
o Raccomandazioni e pareri non sono vincolanti e non assumono natura legislativa. Le prime hanno lo
scopo di sollecitare i destinatari ad un certo comportamento e sono adottate dal Consiglio. I pareri, di
competenza del Parlamento, indicano il suo punto di vista su questioni specifiche.
I rapporti tra il diritto dell’Unione e il diritto degli stati membri
La maggioranza degli stati ha riconosciuto il ruolo dell’UE e disciplinato procedure per l’adozione dei
trattati e per la loro revisione. In altri paesi l’UE non è nominata nella costituzione, solo in 2 stati
105
l’adesione all’UE è avvenuta con legge. I rapporti tra i due diritti sono condizionati da due principi
affermati dalla Corte:
1. Diretta efficacia o effetto diretto degli atti comporta che le norme contenute in atti comunitari creino
obblighi e diritti a favore dei privati, ai quali corrispondono gli impegni dello stato di provvedere entro
il termine stabilito per la ricezione dell’atto nell’ordinamento interno. L’effetto diretto non riguarda gli
atti, ma le norme. È ovvio che le norme contenute nei regolamenti sono direttamente efficaci negli
ordinamenti statali. Diverso è il discorso per le norme contenute nelle disposizioni dei trattati, delle
direttive e decisioni, per le quali è stata la giurisprudenza della Corte a individuare specifiche
disposizioni dei trattati a efficacia diretta e le condizioni che rendono direttamente efficaci le direttive e
le decisioni.
2. Principio del primato del diritto dell’UE in caso di contrasto tra norme dell’UE e nazionali, le prime
prevalgono. Esso è stato sancito nella Dichiarazione 17 allegata ai trattati e viene oggi riconosciuto nelle
costituzioni degli stati. Il giudice nazionale deve disapplicare qualsiasi disposizione legislativa nazionale
che contrasti con la norma comunitaria, se la disposizione suddetta è suscettibile di interpretazioni, il
giudice deve scegliere quella che la rende conforme alla normativa comunitaria. Qualora egli avesse un
dubbio deve riferirsi alla Corte.
Questione del rapporto tra il diritto dell’UE e le costituzioni degli stati molte costituzioni prevedono il
trasferimento di poteri sovrani all’UE in deroga al quadro delle competenze attribuite agli organi
costituzionali interni. In alcuni di questi (FR, Spagna) l’adozione di trattati che contengano previsioni
contrarie alla costituzione deve essere preceduta da una revisione delle disposizioni costituzionali
interessate. In altre costituzioni (Ita) sono posti dei controlimiti al primato del diritto della UE, costituiti
dai principi e dai diritti fondamentali contenuti nelle costituzioni che non possono essere violati dalla
normativa comunitaria.
La natura giuridica dell’UE
Per alcuni aspetti è assimilabile ad una Confederazione, per altri ad uno Stato federale. Come una
Confederazione, l’UE nasce in base ad un trattato di diritto internazionale, gli Stati mantengono
il diritto di recesso, è richiesto il consenso unanime per la revisionedei Trattati. Sembra che la struttura
istituzionale dell’UE non sia tale da configurare l’esistenza di uno stato, in quanto risulta priva di un
livello di governo distino e sovraordinato rispetto a quello degli stati membri ed in grado di esprimere
un proprio indirizzo politico. Problema poi del deficit democratico. Come uno Stato federale, l’UE ha
come soggetti di diritto non solo gli Stati ma anche i cittadini, il primato del diritto comunitario su
quello interno nei settori di competenza dell’UE comporta una sottrazione di ampi spazi di sovranità
agli Stati, l’ordinamento comunitario è dotato di autonomi poteri normativi, amministrativi e
giurisdizionali aventi un’effettività nei confronti dei cittadini.Accanto alla componente intergovernativa
vi è quella comunitaria, rappresentata dal raccordo tra Commissione e Parlamento. L’UE appare ad oggi
difficilmente inquadrabile nelle categorie tradizionali, si tratta di un fenomeno di tipo dinamico anche se
già oggi può affermarsi che l’ordinamento dell’UE si configura come un ordinamento federativo dotato
di una struttura costituzionale propria.
L’Unione Europea di fronte alla crisi: problemi e prospettive
Crisi del 2008 > conseguenze economiche e anche sul funzionamento dell’UE. L’irrigidimento dei
parametri di Maastricht, che si era già verificato nel 1997 con l’adozione del Patto di stabilità e crescita,
costituito da una risoluzione e da 3 regolamenti, è stato accentuato con l’approvazione nel 2001
del Six Pack, che comprendeva 5 regolamenti e una direttiva, infine è sfociato nel 2013 nel trattato sulla
stabilità, coordinamento e governance nell’UE (Fiscal Compact) sottoscritto da tutti tranne GB e
Repubblica Ceca. Sintetizzandolo:
106
o Impegno a medio termine di un disavanzo strutturale dello 0,5% del Pil, che può salire all’1% per gli stati
il cui debito pubblico è inferiore al 60% del Pil.
o Obbligo per gli stati il cui debito pubblico supera il 60& del Pil di rientrare entro tale soglia.
o Impegno di recepire il pareggio di bilancio nel proprio ordinamento giuridico.
o Obbligo di mantenere il deficit pubblico sotto il 3% del Pil.
o Obbligo di presentare un documento programmatico di bilancio per l’anno successivo alla
Commissione.
Gli obblighi imposti hanno determinato una politica di austerità che ha colpito i paesi più indebitati.
L’obbligo del pareggio di bilancio impedisce alle istituzioni democratiche di usare la leva finanziaria, e di
fare ricorso a un disavanzo controllato per adottare misure anticicliche e redistributive. La politica
dell’UE di fronte alla crisi ha portato alla luce i limiti e i problemi di essa viene in considerazione la
discrasia che si è determinata tra l’attribuzione all’UE della politica monetaria e il mantenimento in capo
agli stati della politica fiscale e di bilancio ciò ha prodotto l’inesistenza di una politica fiscale comune e
le difficoltà di concepire un debito condiviso. Poi vi è la questione del deficit democratico >
progressivo predominio assunto dalle componenti intergovernative dell’UE dai governi degli stati più
forti. Il problema di fondo è la mancanza di un demos, un popolo europeo caratterizzato da una
comune identità e dalla debolezza a livello europeo di soggetti politico-sociali dotati di una visione
d’insieme.
Questioni definitorie
Le parole giustizia costituzionale si riferiscono al riscontro da parte di un organo giurisdizionale,
che opera dunque in una posizione di terzietà, tra costituzione e norme ad essa subordinate: cioè, ad
ogni verifica tra norme costituzionali, o considerate tali, e altre norme. Si è soliti distinguere tra:
giustizia costituzionale giurisdizionale, svolta da organi neutrali o terzi, né coinvolti nel processo formativo
della legge, né portatori di interessi politici;
giustizia costituzionale politica e cioè ogni forma di controllo esercitato in assenza di tali requisiti
precedentemente menzionati.
107
Il controllo giurisdizionale: la genesi del judicial review of legislation negli Stati Uniti
d'America
Mentre in Inghilterra e in Francia il judicial review faceva fatica a metter radici, negli Stati Uniti,
sin dalla seconda metà del '700, James Otis e John Adams, sostenevano che “una legge contraria alla
costituzione è nulla”. Negli Stati Uniti l'affermazione del sindacato di legittimità, operato dai giudici,
cominciò progressivamente ad affermarsi, poiché vi erano i presupposti necessari: l'idea di legge
superiore, il concetto di costituzione rigida, idonea a essere assunta dai giudici quale parametro di
legittimità delle leggi ordinarie, il fatto che le costituzioni delle 13 colonie fossero, appunto, rigide e che
talune di esse disciplinassero istituti simili alle moderne Corti costituzionali: parlare di judicial review of
legislation, all'interno dell'Assemblea costituente di Filadelfia, fu la logica conseguenza di quanto appena
detto. L'istituto del sindacato di legittimità costituzionale delle leggi non è espressamente ed
esplicitamente previsto nel testo costituzionale degli Stati Uniti, tuttavia, quest'ultimo lo riconosce
implicitamente:
• stabilendo una gerarchia delle fonti normative, al vertice del quale è posta la costituzione, come
suprema legge del paese;
• attribuendo la funzione giudiziaria federale alle Corte Suprema e alle altre Corti.
Il controllo di legittimità costituzionale si è potuto affermare in giurisprudenza nel noto caso Marbury
vs Madison, deciso nel 1803, dalla Corte Suprema presieduta dal Chief Justice John Marshall. Secondo
quest'ultimo, essendo compito di ogni giudice procedere all'interpretazione della legge, al fine di
decidere le controversie a lui sottoposte, ed essendo la Costituzione una legge, allora la Corte Suprema
dovrebbe interpretarla al fine di risolvere ogni eventuale antinomia o conflitto tra le norme. Inoltre,
poiché la costituzione pone essa stessa all'apice della scala gerarchica delle norme, allora la Corte
Suprema ha altresì il compito di verificare se una legge sia conforme o meno alla Costituzione, prima di
applicarla: in caso contrario, la Corte non può far altro che dichiararla nulla e inefficace. Il giudice
Marshall riuscì ad affermare il judicial review anche nei confronti della legge degli stati membri, tuttavia
l'istituto raccolse i suoi maggiori frutti solo dopo la guerra civile e l'approvazione dei civil war
amemdments. Con tali emendamenti fece il suo ingresso, nel diritto costituzionale nordamericano, la
teoria della incorporation, tale per cui anche i legislatori locali avrebbero dovuto rispettare i prinicipi
costituzionali, posti dal Bill of Rights, in materia di diritti individuali. In particolare, il XIV
emendamento:
• proibiva che gli Stati ponessero in essere leggi che negassero i privilegi o le immunità godute dai
cittadini degli Stati Uniti,
• vietava ai medesimi di privare alcuna persona della vita, delle libertà o delle sue proprietà, senza due
process of law;
• vietava di rifiutare la equal protection of the laws.
Tale emendamento, attraverso il judicial review esercitato da tutte le corti, si configurava come uno
strumento atto ad imporre agli Stati il rispetto della costituzione federale, in materia di diritti e di
uguaglianza. A questo punto, va sottolineato il carattere diffuso del judicial review praticato negli Stati
Uniti e secondo il quale ciascun giudice è abilitato a sindacare la conformità delle leggi alla costituzione,
nell'esercizio della sua ordinaria attività giudicante: la Corte Suprema, cioè, non detiene il monopolio del
controllo di legittimità costituzionale, ma la esercita come organo di vertice del sistema giudiziario degli
Stati Uniti. La costituzione attribuisce in maniera tassativa la giurisdizionale ordinaria alla Corte
Suprema; essa, cioè, giudica in primo e ultimo grado una serie circoscritta di casi, relativi ad
ambasciatori, consoli e altri rappresentanti democratici, mentre nelle altre fattispecie, la Corte Suprema
si pronuncia come giudice di ultima istanza, o tramite writ of certiori o mediante certification of questions, su
108
ricorsi che provengono dalle Corti distrettuali e dalle Corti federali2. Di rado le Corti Federali inferiori,
in caso di incertezza giurisprudenziale, chiedono alla Corte Suprema di pronunciarsi tramite
certification. Sin dagli albori della propria attività, invece, la Corte Suprema ha rifiutato di svolgere
attività di mera consulenza in materia costituzionale, fin quando poi le advisory opinions furono
ufficialmente bandite nel 1911, con la sentenza Muskrat vs United States. Consapevole della propria
natura di organo giurisdizionale, la Corte Suprema si è anche data delle autolimitazioni:
• ricorrendo al self restraint, essa ha circoscritto la portata delle sue sentenze ai casi di specie;
• i giudici costituzionali americani hanno sempre rifiutato l'esame delle political questions, problematiche
non giustiziabili, poiché collegate alle competenze di indirizzo politico spettanti al potere
legislativo o all'esecutivo.
L'efficacia delle sentenze emesse dalla Corte è, inoltre, in linea di massima, limitata alle parti in causa:
tuttavia, il sistema del precedente prevede che le Corti debbano ritenersi vincolate alle pronunzie dei
giudici superiori.
109
•
giudicare sulla costituzionalità delle leggi e dei regolamenti;
• conoscere i ricorsi individuali per violazione di diritti costituzionalmente garantiti e lesi da atti assunti
in diretta violazione della costituzione.
Legittimati al ricorso erano:
• il Governo federale;
• ciascun governo dei Lander.
Lo stesso Tribunale poteva, tuttavia, sollevare d'ufficio un incidente di costituzionalità, ogni qualvolta si
imbattesse in leggi che costituivano il presupposto della sua pronuncia. Una volta esser stato riscontrato
tale vizio si procedeva con l'annullamento, avente effetto pro-futuro, tranne che per i regolamenti, della
norma in questione. Il modello kelseniano ha riscosso successo anche in altri paesi.
110
il
preambolo della costituzione: ne conseguì che le leggi in via di formulazione (ricordiamoci che il controllo
continuava a essere preventivo) avrebbero dovuto essere conformi non solo alle disposizioni della
costituzione del 1958, ma anche alle disposizioni del preambolo del medesimo testo. Inoltre, facendo il
preambolo riferimento esplicito alle disposizioni del preambolo della costituzione del 1946 e alla
Dichiarazione del 1978, allora, tra i parametri erano venivano ad essere compresi anche questi ultimi: il
Conseil si trasformò, così, in giudice pieno della costituzionalità delle leggi. Con legge costituzionale del
29 ottobre 1974, il potere di adire il Conseil fu riconosciuto anche a circa 60 deputati o a 60 senatori8.
Infine, un altro tratto caratteristico dell'originaria forma assunta dal controllo di costituzionalità
francese fu modificato: il dogma dell'inviolabilità della legge9 fu spazzato via da una riforma dell'art. 74
cost. che abilitava le Collettività d'Oltremare10 a modificare leggi, in contrasto con il loro statuto, se il
Conseil ne avesse verificato la violazione delle competenze. Nel 2008 una revisione costituzionale ha
affidato anche alla Corte di Cassazione e al Consiglio di Stato il potere di proporre questione di
incostituzionalità rispetto a leggi già efficaci, assunte in violazione di diritti e libertà costituzionali.
Attenzione, siamo di fronte alla modifica di uno degli aspetti più peculiari del controllo di
costituzionalità: il potere di proporre questione di incostituzionalità viene, infatti, riconosciuto rispetto a
leggi già entrate in vigore il cui procedimento di formazione è terminato11. Alla luce della portata delle
modifiche apportate all'istituto del controllo di costituzionalità francese, possiamo affermare che, oggi,
anche la Francia si inscrive nel novero degli ordinamenti misti.
Ad essere misto non è, tuttavia, solo il modello, ma anche i sistemi all'interno dei quali questo modello
trova collocazione. L'introduzione del controllo accidentale in Italia, nella Repubblica federale tedesca e in
Spagna non ha comportato il ripudio del sistema basato sul ricorso diretto: piuttosto, l'esigenza di
ricomporre le fratture tra centro e periferia ha suggerito di affiancare all'accesso incidentale quello
diretto, su ricorso delle autorità governative, delle Regioni, dei Lander o delle Communidades
Autònomas.
Italia: l'art. 134 cost. Prevede che la Corte costituzionale “giudica sulle controversie relative alla
legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni”. Il
sistema italiano può, dunque, essere considerato misto poiché contempla tanto l'ipotesi di accesso
diretto, quanto l'ipotesi di accesso incidentale. Quest'ultimo, che resta quello prevalente, prevede che
qualsiasi giudice, ordinario o amministrativo, qualora abbia il dubbio che una legge, che è chiamato ad
applicare al fine di risolvere una controversia, sia incostituzionale, può e deve sospendere il processo e
investire della questione la Corte costituzionale. Qualora l'incidente sia sollevato dalle parti, e non
d'ufficio, allora è il giudice, e non la Corte costituzionale, a decidere sulla questione di costituzionalità, al
fine di evitare che le parti facciano ricorso in maniera inappropriata all'istituto dell'incidente di
costituzionalità quale espediente per dilazionare i tempi del processo. Nel giudizio in via incidentale,
111
invece, l'efficacia delle decisioni della Corte varia a seconda del tipo di sentenza: le sentenze di
incostituzionalità operano erga omnes, mentre quelle di rigetto operano inter partes. Germania: il
controllo di costituzionalità sulle leggi è di due tipi. Il controllo concreto, che ha per oggetto una
norma individuata da un giudice nel corso di un giudizio nel quale sono in discussione gli interessi di
più soggetti, verte sull'interpretazione della Legge fondamentale in seguito a controversie sulla portata
dei diritti e doveri di un organo supremo federale o di altri interessati. Ogni qualvolta un tribunale
reputi che una legge , dalla cui validità dipende l'esito della decisione da formularsi nel processo in
questione, sia incostituzionale, sospende il processo stesso e la questione di costituzionalità viene
deferita al Tribunale costituzionale del Land o al tribunale federale. Il controllo astratto non ha origine
da un procedimento giudiziario (non ha origine dalla ipotetica incostituzionalità di una legge rilevata
durante un processo ai cui fini è necessaria l'applicazione della legge della cui costituzionalità si
sospetta) e mira a un mero raffronto tra disposizioni di grado diverso, onde venga valutata
oggettivamente la conformità di quelle inferiori alla superiore. Spagna: al Tribunale costituzionale,
interprete supremo della costituzione, le cui interpretazioni sono vincolanti nei confronti di qualsiasi
potere, compreso quello del Tribunale supremo, spetta giudicare sull'incostituzionalità di leggi e
disposizioni aventi forza dei legge, sottopostegli con tre modalità diverse:
1. mediante accesso incidentale che si realizza quando un organo giudiziario ritiene, nel corso di un
processo, che una norma con forza di legge applicabile al caso, possa essere contraria alla
costituzione;
2. mediante accesso diretto, presentato dal Presidente del Governo, dal Defensor del Pueblo, da 50
deputati o senatori, dagli organi collegiali ed esecutivi delle Comunità autonome (la prassi ha
fatto sì che tale ricorso venisse privilegiato);
3. mediante recurso de amparo che prevede che ciascuna persona fisica o giuridica, nonché il
Defensor del Pueblo e il Pubblico Ministero, possano adire il Tribunale costituzionale e
denunciare la violazione di gran parte dei diritti o libertà fondamentali disciplinati dalla
costituzione.
È da sottolineare come in Spagna, al pari dell'Italia e degli Stati U+iti il controllo sia successivo alla
pubblicazione della legge. Tuttavia, l'esperienza spagnola suscita l'interesse dei comparatisti, poiché il
controllo a priori (Francia) o il ricorso incidentale (Italia e USA) hanno comunque attecchito poco o
nulla: ad essersi compiutamente affermato è il ricorso d'amparo. Infine, va ribadito che anche la Francia
si inscrive oggi nel novero dei sistemi ibridi: accanto al controllo preventivo, infatti, opera anche quello
successivo e incidentale, anche se sono solo le magistrature di vertice ad esser titolari del potere di
proporre la question.
Un quartum genus?
Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato un terzium genus di giustizia costituzionale nato
dalla commistione tra alcuni elementi tipici del modello americano e di quello austriaco. Ci accingiamo
ora ad analizzare un quartum genus di giustizia costituzionale in cui l'ibridazione tra modello
statunitense e modello austriaco si dipana in modo diverso: accanto al controllo diffuso da parte delle
Corti, vengono assegnate competenze speciali ad appositi organi centralizzati, chiamati a esercitare il
sindacato di costituzionalità. Tale soluzione trova applicazione all'interno dei sistemi di civil law, in cui:
• le pronunce dei giudici ordinari non sono valide erga omnes;
• il precedente giudiziario non vincola le Corti inferiori.
112
che siano in conflitto con la costituzione”. La costituzione precisa, altresì, che nel corso dei processi le
Corti disapplicano la legge o gli altri atti incostituzionali, mentre è compito della Corte nazionale
dichiararne la nullità. In Sudafrica la common law si mescola alla boera roman dutch law. Mentre le
costituzioni del 1964 e del 1983 stabilivano che i giudici fossero competenti ad esercitare il judicial
review, il Constitution of the Republic of South Africa Act ha conferito a una corte suprema la
competenza esclusiva su tutte le materie relative all'interpretazione, alla tutela e all'attuazione della
costituzione. Venendo a ordinamenti privi di un Tribunale costituzionale specializzato, l'ordinamento
greco prevede che “i Tribunali sono tenuti a non applicare la legge il cui contenuto sia contrario alla
costituzione”. In alcuni ordinamenti dell'America Latina, accanto al controllo diffuso, è stato previsto
un controllo concentrato nelle amni di un organo istituito ad hoc, mentre in altri il controllo di
costituzionalità è affidato a salas specializzate della Corte Suprema. Conclusioni: mentre solo nella
costituzione brasiliana e in quella portoghese è possibile rintracciare la sicura influenza del sistema
statunitense, per ciò che riguarda la completa introduzione del controllo diffuso, negli ordinamenti
latino americani è stato recepito lo spirito del modello statunitense, ma non le caratteristiche
intrinseche. Le costituzioni del Nord Europa o della Grecia, invece, hanno poco a che vedere con la
giurisprudenza statunitense. Il costituzionalismo più recente fa affiorare l'esigenza di uniformizzazione
e specializzazione del controllo di costituzionalità.
113
costituzionale e, allo stesso tempo, evita che altre interpretazioni, incostituzionali, sfuggano al
controllo della Corte.
114
Tribunale siano i decreti non soggetti a referendum, alcune ordinanze del Consiglio federale e qualche
altro. In particolare, il Tribunale si occupa soprattutto di redimere i conflitti di attribuzione di
competenze tra una Confederazione e i Cantoni, o tra Cantoni e Cantoni. Belgio: la giustizia
costituzionale si occupa soprattutto di redimere le questioni sorte in ordine al riparto delle competenze
tra Stato, Regioni e Comunità. La costituzione prevede, inoltre, che la Cour Constitutionnelle deliberi:
• sui conflitti tra leggi, decreti, norme relative alle competenze regionali;
• sulla violazione dei diritti delle minoranze, del principio di uguaglianza e della libertà di
insegnamento;
• sulla violazione di ogni diritto e libertà enunciato nel Titolo II della costituzione (I belgi e i loro
diritti).
Il ricorso può essere presentato da chiunque vi abbia interesse, dalle autorità indicate dalla legge e da
qualsiasi organo giurisdizionale.
Le Corti europee
Obiettivo di questo paragrafo sarà cercare di capire se le Corti europee possono essere
propriamente considerate delle vere e corti costituzionali. Parlando di Corti europee si fa riferimento
alla Corte di giustiZia delle Comunità europee, avente sede a Lussemburgo, e la Corte europea dei
diritti dell'uomo, avente sede a Strasburgo. Si tratta di due istanze giurisdizionali, la prima a
carattere sovranazionale e la seconda a carattere internazionale che svolgono funzioni materialmente
costituzionali all'interno dei propri ordinamenti e, sempre più, all'interno degli ordinamenti dei singoli
Stati membri.
115
La Corte di giustizia delle comunità europee, oltre adoperare come giurisdizione internazionale, politica
e amministrativa, opera anche come giurisdizione costituzionale:
• assicura il rispetto del diritto del Trattato, tanto in termini di interpretazione, quanto in termini di
applicazione, in particolare servendosi del meccanismo del rinvio di giudizio, in virtù del quale, in
caso di dubbio circa l'interpretazione di una norma di diritto comunitario, il giudice interni può
sospendere il giudizio e rinviare la questione alla Corte di giustizia;
• giudica dei conflitti di competenze fra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie;
• vigila sul rispetto del principio di attribuzione e separazione dei poteri;
• può decidere della compatibilità di un accordo internazionale con i Trattati istitutivi.
Tale Corte si compone di 27 giudici e 8 avvocati generali, nominati di comune accordo dagli Stati
membri, con un giudice per ciascuno stato; la Corte può riunirsi in seduta plenaria oppure dividersi in
sezioni. La Corte di giustizia può essere affiancata da un Tribunale di prima istanZa, composto da 27
membri; mentre, sia la Corte sia il Tribunale, possono essere, a loro volta, affiancati dalle camere
giurisdiZionali, competenti a giudicare alcuni contenziosi specifici. Il quadro giurisdizionale
comunitario è completato dal Tribunale della funZione pubblica che si occupa di risolvere
contenziosi sorti in merito al lavoro dei funzionari delle Istituzioni. La Corte di giustizia ha assunto un
ruolo di primaria importanza nel processo di costruzione dell'ordinamento costituzionale europeo,
affermando il principio della diretta applicabilità del diritto comunitario negli Stati membri e la
prevalenza di questo stesso diritto rispetto a qualsiasi disposizione di diritto interno, riconoscendo
l'effetto utile del diritto comunitario e il conseguente obbligo di disapplicazione del diritto interno
contrastante. La Corte europea dei diritti umani ha come finalità la tutela giurisdizionale dei diritti
umani, come previsto dall'art. 19 della ConvenZione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale Convenzione, denominata dalla Corte “carta
costituzionale dell'ordine europeo”, ha dato origine alla Corte stessa e funge da costituzione del
Consiglio d'Europa: ciò significa che solamente uno stato membro di tale organizzazione può essere
parte della Convenzione europea e che la fuoriuscita dal Consiglio implica anche la fuoriuscita, de jure,
dal regime della Convenzione. La Corte europea dei diritti umani si compone di un numero di giudici
pari al numero degli stati contraenti (attualmente 47); i giudici sono eletti per sei anni dall'Assemblea del
Consiglio d'Europa, a maggioranza dei voti espressi, sulla base di una lista di tre candidati per ciascuno
Stato membro; il loro mandato è rinnovabile e si esaurisce al compimento del settantesimo anno di età;
per tutta la durata del mandato i giudici non possono esercitare altre attività incompatibili con le
esigenze di indipendenza e imparzialità dettate dal loro status; la Corte decide a maggioranza.
L'adesione alla Convenzione europea comporta l'accettazione automatica della competenza obbligatoria
della Corte europea dei diritti umani in ordine a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e
l'applicazione della Convenzione stessa e dei suoi protocolli addizionali. La Corte può essere, allora,
investita:
• di un ricorso interstatale, qualora uno Stato membro imputi a un altro Stato membro l'inosservanza
di una qualsiasi disposizione della Convenzione o di uno dei suoi protocolli;
• di un ricorso individuale, qualora una persona fisica/organizzazione non governativa/gruppo di
privati affermi di esser stata vittima della violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o
dai suoi protocolli.
La Corte può essere adita solo dopo esser stati esauriti tutti i rimedi giurisdizionali interni degli Stati
membri ed entro un margine di tempo pari a sei mesi che cominciano a decorrere a partire dalla data
della decisione interna definitiva. Le sentenze della Corte:
• sono obbligatorie
• sono definitive;
• hanno carattere per lo più dichiarativo;
• producono effetti inter partes.
La Corte non giudica in astratto la conformità di una norma interna di uno Stato membro rispetto alla
Convenzione, piuttosto, valuta l'applicazione concreta della norma interna nei confronti del ricorrente,
obbligando lo Stato e rimediare alla ipotetica violazione del caso di specie con mezzi adeguati (obbligo
della restitutio in integrum). Inoltre, qualora la violazione derivi dalle norme dello Stato, e non da
116
provvedimenti individuali presi sulla base di questi, allora la sentenza produce effetti che travalicano il
caso di specie, imponendo la modifica della legislazione viziata e l'analoga modifica da parte di altri Stati
membri i cui ordinamenti contengano disposizioni normative simili (processo di armonizzazione delle
legislazioni e delle giurisprudenze nazionali con la giurisprudenza della Corte). Conclusione: risulta
complesso includere le Corti europee nel novero delle Corti costituzionali nazionali non tanto in virtù
della loro composizione o delle procedure da loro seguite, ma piuttosto dalla peculiare natura dei
parametri da loro utilizzati per valutare il rispetto di un atto rispetto alla normativa comunitaria,
dall'oggetto dei loro giudizi e dai destinatari delle loro decisioni. Per quanto riguarda la Corte di giustizia
delle Comunità europee, queste da un parte svolgono un controllo materialmente costituzionale rispetto
ai trattati istitutivi e all'interpretazione del diritto comunitario, dall'altra, invece, suscita una certa
perplessità:
• la mancanza di specializzazione, essendo il giudice comunitario competente a pronunciarsi rispetto a
questioni riguardanti ogni branca del diritto comunitario;
• il parametro su cui si fondano le sue decisioni (i Trattati istitutivi e, cioè, il diritto comunitario
primario);
• l'oggetto delle sue decisioni (il diritto comunitario secondario).
La logica stessa su cui si fonda l'ordinamento comunitario, e alla luce della quale questo si percepisce
come un ordinamento di “nuovo genere”, impedisce di leggere il rapporto tra Corte di giustizia e Corti
costituzionali interne alla stregua di un rapporto gerarchico.
Per quanto riguarda la Corte europea dei diritti umani, invece, risulta difficile una sua completa
assimilazione a una vera e propria Corte costituzionale, poiché:
• rimane essenzialmente un'istanza giurisdizionale internazionale;
• si colloca in una posizione sussidaria rispetto ai rimedi giurisdizionali interni agli Stati membri;
• dipende interamente dagli Stati membri per l'esecuzione delle sue sentenze;
• i destinatari delle sue sentenza sono gli Stati membri e, solo indirettamente, i privati.
Il rapporto tra le Corti europee e le Corti costituzionali nazionali subirà un notevole cambiamento,
soprattutto se dovesse trovare concreta applicazione il sincretismo giurisdizionale tra le Corti europee,
già sancito dal Trattato sull'Unione europea e confermato nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza.
Negli Stati Uniti l'indipendenza dei giudici è garantita, innanzitutto, dalla mancanza di aspettative dei
117
giudici rispetto al potere politico e, in secondo luogo, dal fatto che la Corte può essere o meno dello
stesso orientamento del Presidente/della maggioranza parlamentare. Se fin ora abbiamo spiegato come
l'indipendenza dei giudici, caratteristica alla luce della quale la giustizia costituzionale è definita
giurisdizionale, è garantita negli Stati Uniti, adesso cerchiamo di fornire la stessa spiegazione facendo
però riferimento ad altri ordinamenti. In altri ordinamenti, dove il sindacato di legittimità costituzionale
è esercitato da un tribunale ordinario (Canada, Australia, Irlanda, India, Filippine e alcuni paesi Latino-
Americani), l'indipendenza della Corte Suprema è garantita:
• dalla nomina dei giudici da parte del Governatore generale o del Presidente;
• dal divieto di rimozione da parte del Parlamento, se non in caso di comportamento disdicevole o
incapacità.
Singolare è la procedura adottata in Giappone: i giudici della Corte Suprema sono nominati a vita dal
Gabinetto, ma in concomitanza con la prima elezione generale della Camera dei deputati, per essere
poi, ogni 10 anni, il corpo elettorale chiamato a confermarli o meno. Nella Confederazione elvetica,
invece, i giudici del Tribunale federale sono eletti dall'Assemblea federale tra i cittadini eleggibili al
Consiglio nazionale e le nomine sono decise dai partiti; la rappresentanza si ancora a criteri geografici,
etnico-linguistici e politici. Anche per gli ultimi due casi concreti analizzati, Giappone e Confederazione elvetica,
abbiamo indagato le modalità di selezione dei componenti delle rispettive Corti Supreme: modalità finalizzate a
garantirne, tra l'altro, l'indipendenza e l'autonomia (Ricorda che stiamo parlando di controllo costituzionale
giurisdizionale, di cui l'indipendenza e l'autonomia dei giudici sono le caratteristiche principali...ecco perchè ci preme capire
in che modo tali criteri di selezione garantiscano tale indipendenza e autonomia!)
118
che le modalità di accesso si integrano tra loro; negli ordinamenti decentrati il ricorso da parte degli
organi periferici è contemplato quasi ovunque. Meno frequente è, invece, il conferimento di un analogo
diritto agli enti territoriali minori, ad esclusione dei cadi della costituzione polacca e della LOTC
spagnola. Ad ogni modo, a prescindere da come si configura l'ordinamento in questione, dal punto di
vista del decentramento, è di solito il Presidente della Repubblica l'organo più frequentemente abilitato
a bloccare preventivamente una legge o a impugnarla successivamente. La possibilità di impugnare una
legge è, talvolta, riconosciuta anche al Governo, al Primo Ministro, o ai singoli Ministri. In qualche
ordinamento, anche le Assemblee parlamentari, o i loro presidenti, sono autorizzati a impugnare le
delibere legislative, prima della loro promulgazione, o a promuoverne il ricorso di costituzionalità, dopo
l'entrata in vigore. Ormai molto diffusa è l'attribuzione del potere di adire la Corte costituzionale alle
minoranze parlamentari, sia in via preventiva (Francia, Russia Romania), sia in via successiva (Spagna,
Portogallo, Repubblica slovacca, Russia), sia con entrambe le modalità (Algeria). Un caso a parte è
rappresentato dalla possibilità concessa dalla costituzione tedesca a un membro dei terzi del Bundestag
di adire il Tribunale costituzionale per controversie che contrappongano Bund e Lander. Vi sono, poi,
altri ordinamenti i quali conferiscono a organi altri il potere di adire la Corte costituzionale. Tra tali
organi altri ricordiamo:
• il Defensor del Pueblo/organi corrispondenti;
• un numero predeterminato di cittadini;
• partiti rappresentati in Parlamento;
• il Procuratore generale.
In Polonia, la varietà di tali organi è notevole: hanno accesso alla corte, infatti, i sindacati, gli organi
rappresentativi delle categorie economiche, la Chiesa e le organizzazioni religiose.
119
messi a disposizione dall'ordinamento, qualora al ricorrente possa derivare un danno grave e inevitabile
o qualora tale ricorso sia di interesse generale. Esso può esse presentato da chiunque reputi di esser
stato leso in uno dei suoi diritti fondamentali o in altri diritti previsti dalla costituzione. Il Tribunale
tedesco, dovendo fare i conti con decine di migliaia di ricorsi individuali, ha deciso di operare una
scelta, sulla base del principio di sussidiarietà: l'azione dirette è esperibile solo se non esistono altri
rimedi giurisdizionali e se essa è considerata indispensabile per prevenire o eliminare una ipotetica
violazione dei diritti poc'anzi enunciati.
120
disposizioni, salvando così la parte restante della legge, non affetta da alcun vizio: le sentenze parziali
sono, oggi, la regola in ogni ordinamento. Inoltre, poiché una stessa disposizione può essere passibile di
più interpretazioni, dunque è in grado di generare più norme, qualora venga decretata
l'incostituzionalità di una legge, è necessario capire a quale norma ricavabile da tale testo di legge si stia
facendo riferimento: è probabile, infatti, che altre norme ricavabili da tale disposizione non siano
incostituzionali. Dunque, è necessario ricorrere a delle sentenze interpretative. Negli Stati Uniti, in
Canada, in Germani e in Spagna, i giudici tengono conto dell'interpretazione corrente di una disposizione;
in Italia, in virtù della stessa logica, si parla di giurisprudenza ancorata al diritto vivente. Se da un lato le
Corti tendono sempre più ad esercitare il loro sindacato in nome di un'interpretazione corrente,
dall'altra, tale orientamento, confligge con il principio dell'interpretazione conforme alla costituzione e tale per
cui i Tribunali costituzionali, nell'esercitare il sindacato, dovrebbero cercare di far propria
quell'interpretazione che consenta loro di non dichiarare una disposizione incostituzionale; tuttavia, ciò
non vuol dire fornire delle interpretazioni astruse al solo fine di far salva la disposizione. Ci sono poi
sentenze additive e manipolative che dichiarano l'incostituzionalità di una legge, rispettivamente, nella
parte in cui questa non prevede nulla o nella parte in cui prevede una cosa anziché un'altra.
Annoveriamo, inoltre, le pronunce di incostituzionalità per omissione, previste ad esempio in
Portogallo, e secondo le quali il Tribunale costituzionale esamina e verifica le lesione che potrebbero
essere prodotte alla costituzione in virtù di una qualche mancanza all'interno della legislazione.
Concludiamo affermando che anche una pura e semplice pronuncia di annullamento contiene un quid
di innovatività; tuttavia, in tale attività creativa del diritto, sono frenati da alcuni limiti, ad esempio è
sempre precluso lo svolgimento di attività politiche. A questo punto i Tribunali decidono di far salva la
legge e invitano il Parlamento a modificarla; si parla a tal proposito di sentenze ottative, frequenti nella
giurisprudenza delle Corti tedesca, italiana, spagnola e portoghese (il dialogo con il legislatore è previsto
anche dalle pronunce delle Corti che operano nei sistemi di common law).
121
Corte costituzionale, poniamo un'altra questione: dato che da una medesima disposizione si possono
trarre più norme, davvero quello prescelto dalla Corte costituzionale è vincolane per i giudici? In
Spagna, la legge organica sul Tribunal constitucional, ha riconosciuto il valore giuridico della ratio
decidendi, dunque, ha disposto che la giurisprudenza dei tribunali debba ritenersi modificata dalla
proprio dalla ratio caratterizzante le sentenze emanate dal Tribunale costituzionale stesso. In Italia, la
Corte costituzionale ha stabilito che le proprie sentenze avessero forza di legge. Un'ultima questione
riguarda la necessità di spiegare la misura in cui il legislatore17 debba ritenersi vincolato dalle sentenze
della Corte; cioè, cosa accade se il potere legislativo approva una legge identica, o sostanzialmente
analoga, ad altra legge, già dichiarata incostituzionale? Solitamente, gli ordinamenti attribuiscono
definitività, o addirittura forza di legge, alle sentenze costituzionali: ciò significa autorizzare il legislatore
ad approvare una legge che abroghi la normativa risultante dalla sentenza della Corte costituzionale, in
virtù del principio di inesauribilità del potere legislativo. Tale soluzione sembrerebbe vanificare i risultati
raggiunti attraverso le pronunce della Corte costituzionale: che senso ha permettere al legislatore di
approvare una legge che abroghi quanto precedentemente decretato dalla Corte costituzionale? In
realtà, è questa la soluzione migliore: la soluzione alternativa sarebbe, infatti, attribuire alle sentenze
della Corte forza di legge costituzionale, il che equivarrebbe a cristallizzarle per sempre, o almeno fino a
quando non si operi una revisione della costituzione (è da precisare, tuttavia, che in Cile e in Colombia
optano per questa seconda soluzione).
122
sentenze emesse, senza limiti di tempo (Repubblica Ceca), o entro un anno (Austria e Turchia), ma, a
volte, la vacatio delle sentenze opera de jure, dove talune disposizioni normative cessano di essere
efficaci solo sei mesi dopo la dichiarazione di incostituzionalità, qualora gli organo competenti non
abbiano provveduto a decretare il termine a partire dal quale tale sentenza avrebbe dovuto cominciare a
produrre i suoi effetti.
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Corte mostri una certa ostilità rispetto al Parlamento, questo può minacciare la corte stessa di
modificarne la composizione, favorendo l'ingresso di giudici il cui orientamento è più conforme a
quello del Parlamento stesso: è quando accadde quando il Presidente F.D. Roosevelt si trovò a dover
fronteggiare l'accanita resistenza della Corte Suprema al new deal. Ulteriori restrizioni giuridiche sono le
seguenti:
• il principio del precedente giudiziario;
• le garanzie di indipendenza;
• i sistemi di accesso ai Tribunali costituzionali;
• l'estensione del parametro su cui si fondano le decisioni dei Tribunali costituzionali;
• l'efficacia delle sentenze.
Parlando di limiti è necessario precisare che le Corti sono solite anche autolimitarsi spontaneamente: si
tratta del self-restaint, al quale, però, seguono ciclicamente periodi di attivismo.
124
•
la dichiarazione di incostituzionalità di partiti politici che si prefiggono di danneggiare/sopprimere
l'ordinamento fondamentale, democratico e liberale;
• risoluzione delle controversie tra organi, in merito alle rispettive competenze;
• risoluzione delle controversie tra Bund e Lander;
• verifica delle elezioni.
L'art. 134 della costituzione italiana, invece, prevede che spetti alla Corte giudicare:
• sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato;
• sui conflitti tra lo Stato e le Regioni, nonché tra le Regioni;
• le accuse promosse contro il Presidente della Repubblica e, sino alla revisione costituzionale datata
1989, i Ministri;
• il giudizio sull'ammissibilità del referendum abrogativo (ex art. 75 cost.).
Tra le attribuzioni previste, invece, dalla costituzione spagnola ricordiamo:
• i giudizi sui conflitti di competenza tra Stato e Comunità autonome, nonché tra Comunità stesse;
• i conflitti tra organi supremi dello Stato (Governo, Congresso, Senato, Consiglio generale del potere
giudiziario) che, positivi o negativi, si concludono con una decisione che stabilisca chi sia
titolare a svolgere la competenza in questione.
Anche nello svolgere queste ulteriori funzioni le Corti assumono delle decisioni caratterizzate da un
elevato grado di politicità: ciò è particolarmente evidente nei paesi in cui le Corti sono chiamate a
intervenire nel processo di revisione costituzionale, o per espressa disposizione costituzionale, o per
propria giurisprudenza (Sudafrica, Angola, Cile, Turchia, Romania, Costa Rica, Bolivia, Moldavia...),
oppure a fornire l'interpretazione ufficiale delle leggi e della costituzione.
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Il termine stato definisce un’entità immateriale che non esiste in natura, ma è una volontà umana, che
fornisce a questa la qualità di personalità giuridica (alcuni stati non riconoscono questa come la Gran
Bretagna, dove il ruolo della corona è fondamentale); la dottrina tedesca ha elaborato un nuovo
modello poi copiato da tutte le Democrazie, dove gli Organi dello stato sono i soggetti che agiscono
in nome e per conto di questo e che gli atti sono imputabili direttamente allo Stato-persona giuridica.
Quindi lo stato è responsabile degli atti posti in essere dai propri organi. Vi sono organi definiti
costituzionali che si collocano al vertice dell’organizzazione dello stato e sono gerarchicamente
superiori a tutti gli altri.
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Sono costituzionali gli organi che in ciascun ordinamento costituzionale caratterizzano la forma di stato
e sono di solito: il parlamento, il governo e il capo dello stato, le corti costituzionali e il corpo elettorale
(che molto spesso è incluso come organo costituzionale, nelle democrazie dove vige il principio della
sovranità popolare).
Sezione 2 – Il popolo
2 Sistemi elettorali
si intente l’insieme delle regole che disciplinano e precedono lo svolgimento delle elezioni, mentre la
formula elettorale è il meccanismo impiegato per trasformare i voti in seggi.
La distinzione è tra Formule maggioritarie e formule proporzionali, le prime attribuiscono i seggi a
chi ha ottenuto la maggioranza, i secondi li distribuiscono proporzionalmente al numero dei voti. Di
solito le formule maggioritarie sono praticate in collegi uninominali (un unico seggio), quelle
proporzionali in collegi plurinominali (distribuiscono più seggi). Tuttavia troviamo eccezioni come
sistemi maggioritari in collegi plurinominali (USA elezioni nei singoli Stati degli elettori presidenziali) o,
sistemi proporzionali in collegi uninominali (Bundestag in Germania per metà).
Troviamo altri fattori che influenzano il sistema elettorale: Il carattere categorico o ordinale del voto
ossia quando l’elettore ha più libertà di un voto di preferenza tra candidati di una lista o anche a favore
di lista diversa o quando ha libertà ridotta potendo votare solo il candidato designato; la delimitazioni
dei collegi elettorali se sono equi o iniqui; Altro fattore è l’ampiezza dei collegi ossia il numero dei
seggi attribuita a ciascuno, se sono ampi con minore percentuale di voti si ottiene un seggio e viceversa.
Le formule maggioritarie – richiedono la maggioranza assoluta dei suffragi validamente espressi (metà
più 1) per l’attribuzione dei seggi; queste operano in collegi uninominali nei quali viene eletto solo un
deputato, ma in pratica non si ricorre spesso a questa formula in quanto può provocare situazioni di
stallo qualora non si raggiunga la maggioranza assoluta dei voti, il più noto correttivo è l’introduzione di
un secondo turno di ballottaggio che può essere ristretta ai soli due candidati che al primo turno hanno
avuto maggiore percentuale di voti (Francia V repubblica, candidati 12,5% voti); altro correttivo è il
voto alternativo (camera dei rappresentanti australiana); il sistema first-past the post, sacrifica la
rappresentatività, penalizzando i partiti minori al fine di raggiungere maggiore governabilità.
Le formule proporzionali – sono le più presenti a livello mondiale e assicurano a ciascun partito un
numero di seggi rapportato alla sua forza politica e alla distribuzione degli elettori sul territorio
nazionale; quindi consento una proporzionata rappresentanza che i sistemi maggioritari penalizzano; le
formule proporzionali sono utilizzate in circoscrizioni plurinominali, la determinazione del quoziente
elettorale e la distribuzione dei resti costituiscono la operazione di distribuzione dei seggi, che possono
essere:
- Formula d’Hondt o della media più alta – usata in Belgio (dove fu inventata) Austria, Ger,
Olanda, Svizzera, e che consiste nel dividere i voti ottenuti da ciascun partito per 1,2,3,4 fino al
numero dei seggi assegnati al collegio; I seggi in palio vengono distribuiti ai quozienti più alti.
127
- Formula Sainte-Lague – variante della formula precedente dove i divisori sono diversi (1,4;3;5;7
etc) introdotta nei paesi scandinavi dagli anni 50, e di solito più favorevole alle liste minori.
- Formula Hare o voto singolo trasferibile – usatto da Eire, Australia e Sud Africa per le elezioni
del senato. Dove elettori indicano in modo decrescente le proprie preferenze di candidati della
propria circoscrizione, e i candidati che raggiungono il quoziente con le prime preferenze sono
eletti.
- Formula del quoziente – dove quoziente elettorale è raggiunto dalla divisione del totale dei voti
validi per il numero dei seggi. Cosi i voti in un partito vengono divisi per il quoziente, dando
numero ai seggi. Usato Paesi bassi.
- Formule miste – compromesso tra elementi proporzionali e maggioritari nella composizione di
assemblee rappresentative. Come in Germania dove una parte dei seggi data con circoscrizioni
uninominali a un turno e l’altra parte proporzionalmente per compensare.
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È con le rivoluzioni inglesi che si afferma il Parlamento titolare di poteri legislativi e di controllo
sull’esecutivo, e nel 1789 in Francia con la trasformazione del Terzo Stato il Assemblea Nazionale che
sancì la nascita del Parlamento nel continente, fino a quel momento questi erano solo organi che
amministravano lo stato.
Originariamente il Parlamento esercitava un’assoluta preminenza, i fattori che successivamente hanno
ridimensionato questa sono:
- L’avvento delle costituzioni rigide;
- Il crescente intervento del Governo nell’economia e nella vita sociale;
- Lo sviluppo di una democrazia diretta (referendum) (sindacati);
- La nascita di assemblee regionali dotate di potestà legislativa autonoma.
La crescente complessità delle questioni che oggi lo Stato si trova ad affrontare hanno contribuito al
ridimensionamento del Parlamento.
Dal punto di vista strutturale, l’affermarsi di sistemi parlamentari bicamerali è dovuta a interessi
differenti (ING Camera Lord e Camera Comuni); la scelta monocamerale invece per una autorità
indivisibile. Attualmente il bicameralismo non assolve più la funzione di rappresentare più classi e
vediamo infatti come vi è una predominanza della camera bassa, esempi di bicameralismo perfetto sono
pochi tra questi troviamo l’Italia.
La presidenza è l’organano direttivo che può agire come organo individuale o coadiuvato da un
organo collegiale denominato Ufficio di presidenza. Il presidente può essere espressione della
maggioranza, secondo il modello dello Speaker americano, o accettato sia da maggioranza che
minoranza che non prende parte ai dibattiti e di solito non vota.
Gruppi parlamentari sono strutture in cui vengono raggruppati i membri delle camere per affiliazione
di partito, dove i capi-gruppo ne rappresentano la voce, hanno un ruolo impo tra ordinamento
parlamentare e sistema dei partiti.
Le commissioni, nei Parlamenti si è decentrato la maggior parte del lavoro ad organi assembleari più
ristetti, le commissioni. Composte da parlamentari scelti per le loro conoscenze tecniche specifiche e
sono divise in.
- Permanenti quando sono create per tutta la durata della legislatura;
- Speciali istituite per determinati affari, fino alla fine propri lavori;
- Bicamerali o miste istituite nei Parlamenti bicamerali da un eguale numero di rappresentanti
per camera, per la risoluzione di controversi tra le due.
Il principio fondamentale che regola l’attività del Parlamento è la Programmazione dei Lavori, molto
impo per fissare l’ordine del giorno. Negli ordinamenti anglosassoni questo è istituito dal Governo.
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La disciplina dei Lavori, i dibattiti sono disciplinati dai regolamenti parlamentari, La validità delle
sedute è di norma condizionata dalla presenza di un certo numero di parlamentari; Le delibere sono
assunte a maggioranza dei presenti, tranne se sono previste maggioranze qualificate (decisione
dichiarazione di guerra); le delibere possono essere assunte a voto palese (appello nominale) o segreto
(voto elettronico) di solito questo per nomine, mentre quello palese è per la fiducia o sull’indirizzo
politico.
L’ostruzionismo consiste in una serie di tecniche adottate dai membri dell’opposizione per ritardare i
lavori parlamentari, tra questi:
- Il filibustering, prolungamento interventi e nell’iscrizione parlamentare;
- Il ricorso a proporre, discutere questioni che allungano i tempi;
- La presentazione di un alto numero di emendamenti;
- L’abbandono strategico dell’aula.
Per ridurre questi gli ordinamenti prevedono rimedi come:
- La Guillotte che predetermina la votazione e il giorno e l’ora finale;
- Il Kangaroo, che consente di selezionare gli emendamenti;
- La tecnica della Seduta a fiume che prolunga questa
- Ecc..
I parlamentari sono soggetti ai poteri disciplinari e spesso anche penali esercitati dal parlamento
-modello europeo continentale: l’insindacabilità è riferita non al luogo ma alle funzioni esercitate.
Assume quindi rilievo l’interpretazione più o meno estensiva di tale dizione. Un’interpretazione
restrittiva si è affermata soprattutto grazie alla giurisprudenza delle corti costituzionali (copre solo le
opinioni che siano legate da un nesso funzionale all’attività parlamentare e non qualsiasi dichiarazione
politica). Per quanto riguarda l’inviolabilità, generalmente è prevista la necessità di un’autorizzazione
parlamentare per le limitazioni alla libertà personale. È anche generalmente richiesta un’autorizzazione a
procedere per l’avvio dell’azione penale.
4 Funzioni
Funzioni del parlamento: due principalmente, legislativa e di controllo.Il controllo si esplica sull’attività
del governo e vi è la possibilità di far valere la responsabilità politica di questo che si può concretizzare
nella rimozione dalla carica o nella modificazione delle linee politiche.Nell’ambito del controllo vi sono
anche le funzioni conoscitiva (quando la ricerca di informazioni non ha carattere autoritativo, come le
udienze) e ispettiva (quando comporta vincoli e obblighi nei confronti di coloro che vi sono sottoposti,
come l’obbligo del Governo di presentarsi almeno una volta l’anno di fronte le camere, le interrogazioni
con le quali il Parlamento chiede spiegazioni etc..).
Esistono funzioni che non rientrano nelle due principali: funzioni di revisione costituzionale, di
indirizzo politico, di tipo giurisdizionale (es. autodichia), di tipo elettorale (elezione del capo dello stato,
dei componenti di corti).
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5 Rapporto di fiducia
Rapporto di fiducia, nelle forme di governo parlamentare e semipresidenziale è il canale attraverso il
quale parlamento e governo concordano l’indirizzo politico e si impegnano a realizzarlo.
Solo in alcuni ordinamenti è richiesto un voto di fiducia iniziale, nella maggior parte la fiducia è
presunta. In questo caso è possibile la formazione di governi di minoranza.
La responsabilità politica è istituzionale in quando un organo può, attraverso procedure, rimuoverne un
altro organo dalla carica; questo strumento è la di sfiducia o censura che può essere prevista dalla
costituzione o essere una norma consuetudinaria, costringendo il Governo alle dimissioni. La mozione
di sfiducia è spesso sottoposta a condizioni:
- numero minimo di firmatari,
- termine minimo di decorrenza tra la presentazione della mozione e la votazione,
- maggioranza assoluta per l’approvazione della mozione (anche se in alcuni ordinamenti è
sufficiente la maggioranza semplice),
in caso di mancata approvazione non è possibile ripresentarne un’altra per un certo periodo di tempo,
voto palese.
In alcuni ordinamenti la mozione ha una natura costruttiva: deve essere obbligatoriamente indicato il
nuovo primo ministro (Germania).In alcuni ordinamenti la sfiducia può riguardare anche un singolo
ministro (USA).
Sezione IV – Il Governo
1 Origini e struttura
il Governo è quel complesso di organi sia politici che amministrativi al vertice del potere esecutivo con
compiti di formazione e attuazione dell’indirizzo politico e di direzione dell’attività della pubblica
amministrazione.
In alcuni ordinamenti la funzione di governo è attribuita a due organi entrambi facenti parte del potere
esecutivo (esecutivo dualistico tipico delle forme di Governo semipresidenziale) anziché ad un unico
organo (esecutivo monistico), qui si distinguono le ipotesi in cui l’organo di vertice sia monocratico
(forme di Governo presidenziale) da quella in cui sia collegiale.Di solito il governo è un organo
complesso, è cioè formato da più organi individuali o collegiali. Alcuni di questi sono direttamente
previsti dalla costituzione e sono definiti necessari, altri sono eventuali, disciplinati da leggi ordinarie o
affermatisi per via consuetudinaria o convenzionale.La direzione del governo è solitamente affidata ad
un organo monocratico (presidente della repubblica (presidenziale) o primo ministro (parlamentare,
semi parlamentare e semipresidenziale). Eccezione la Svizzera ove il presidente si limita a svolgere le
funzioni di presidenza dell’organo collegiale.
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Molto importatati sono le funzioni assegnate al governo e al primo ministro di formare una struttura
organizzativa che affianca il primo ministro con funzioni informative, consultive e preparatorie delle
sue decisioni.Nell’ambito del governo i ministri assumono una duplice veste: membri dell’organo
collegiale (contribuiscono alla determinazione dell’indirizzo politico) e titolari di un dipartimento
(curano l’attuazione dell’indirizzo nell’ambito del settore di propria competenza). Talvolta
l’organizzazione dei ministeri e l’attribuzione delle competenze rientra nel potere di auto organizzazione
del governo. Altre volte è prevista dalla costituzione una riserva di legge.
La riunione dei ministri forma il consiglio dei ministri, Il modello usato da GB e Australia è diverso:
l’organo collegiale è il gabinetto numero ristretto di ministri scelti dal primo ministro.
Dello Status dei membri del governoÈ previsto in alcuni ordinamenti un regime speciale di
responsabilità dei ministri e del primo ministro per reati commessi nell’esercizio delle proprie
funzioni, questo è stato il canale attraverso il quale si è affermato il rapporto di fiducia per cui tale
responsabilità di fronte al Parlamento tende ad essere ormai recessiva e in vari ordinamenti non è
previsto alcun trattamento differenziato per i reati commessi dai ministri che, qualora siano
parlamentari, godono solo delle prerogative stabilite per questi. Negli ordinamenti che prevedono una
responsabilità penale speciale dei ministri, questa riguarda i reati compiuti nell’esercizio delle funzioni.
132
Invece alcune forme di Governo (Belgio, Ita, Gre, Turchia) alla nomina da parte del Capo di Stato deve
seguire un voto di fiducia del Parlamento.
La distinzione è fortemente condizionata da sistema politico e elettorale, nelle democrazie maggioritarie
l’indicazione della formula di governo viene compiuta dal corpo elettorale che attribuisce la
maggioranza dei seggi a un partito quindi sono obbligati dalla regola alcune volte contenuta anche nella
costituzione che impone di nominare il leader di quel partito; ovviamente la scelta del corpo elettorale
non è diretta ma avviene attraverso il l’elezione del Parlamento.
Nelle democrazie non maggioritarie fondate su un sistema multipolare e su un sistema elettorale poco
selettivo, tranne nei casi dove le elezioni dia un risultato chiaro (48 ITA) la scelta di solito del Primo
Ministro è frutto di un accordo post elettorale.
La formazione del Governo è una procedura semplice automatico e immediato nel caso del
bipartitismo o complesso nel caso del multipartitismo. In quest’ultima ipotesi la nomina del Presidente,
se nessun partito ha la maggioranza, viene disciplinata dalla costituzione e dalla consuetudine, si articola
in 3 fasi: preparatoria, costitutiva, integrativa dell’efficacia:
- preparatoria – la candidatura alla carica del Primo Ministro è automatica nelle forme di governo
maggioritarie, del leader politico del partito di maggioranza; nelle forme di governo non
maggioritarie qual ora nessun partito raggiunga la maggioranza assoluta la guida del governo
può essere data anche a soggetti non leader o a leader di partiti minori capaci pero di aggregare
una coalizione di maggioranza. Il metodo delle Primarie Usa è usato per la scelta dei delegati alle
convezioni nazionali dei due partiti che devono designare i candidati alla presidenza e alla vice
presidenza.
- Fase costitutiva – sfocia nella formazione dei Governi e di solito è disciplinata da costituzione,
di solito l’investitura riguarda solo il Primo Ministro ma talvolta è anche previsto che stili un
programma da far esaminare al voto del Parlamento con una lista dei ministri.
- Ultima fase è quella integrativa dell’efficacia che comprende di solito il giuramento dei
componenti di fronte al capo dello stato o al parlamento. In alcuni ordinamenti il governo deve
presentarsi innanzi al parlamento per ottenere il voto di fiducia
Per quel che riguarda la nomina dei ministri nei Governi presidenziali il Capo dello stato nomina e
revoca, in quelli semi-presidenziali la nomina e revoca spetta al Presidente della Repubblica, nei governi
parlamentari questa può spettare al Capo di Stato su proposta Primo Ministro (Spa, Ita) o formalmente
al Capo di Stato ma in realtà al Primo Ministro (ING) o direttamente al Primo Ministro (SVE).
4 Crisi di governo
si distinguere, nelle forme di governo caratterizzate dall’esistenza del rapporto di fiducia, tra crisi
parlamentari (determinate da un voto di sfiducia del parlamento) e crisi extraparlamentari.
Le crisi extraparlamentari possono essere suddivise in quattro ipotesi:
-quelle determinate da ragioni non politiche (morte, impedimento o dimissioni non derivanti da ragioni
politiche del primo ministro)
-quelle derivanti da nuove elezioni parlamentari (solitamente il governo presenta le dimissioni
nell’ipotesi di rinnovo del parlamento; non è escluso che venga riconfermato il precedente governo) --
quelle dovute al presidente della repubblica
-quelle derivanti da ragioni di partito (qualora il partito di maggioranza metta in discussione la
leadership del primo ministro.
5 Rapporti infragovernativi
Negli ordinamenti democratici ove vi sia una coesistenza al vertice dell’esecutivo di un organo
monocratico e di uno collegiale, si pone il problema della supremazia politica. Nei Governi di tipo
maggioritario vi è una netta preminenza del primo ministro. Nei Gov che hanno un funzionamento di
133
tipo non maggioritario la formazione di governi di coalizione fra partiti riduce il primo ministro a
fungere da mediatore.
1 Natura e ruolo
Capo dello statoRappresenta l’unità nazionale sia all’interno che nei rapporti con gli altri stati.
Solitamente è un organo monocratico; è un organo collegiale solo in Svizzera.
In circa 2/3 degli ordinamenti il capo dello stato è il presidente della repubblica; negli altri è un
monarca.
Varie teorie sul ruolo del capo dello stato.
Una prima concezione lo considera capo del potere esecutivo, questo avviene nelle forme di Gov
presidenziale; in quelle semipresidenziali il suo ruolo è variabile a seconda del rapporto che si instaura
tra esso e la maggioranza parlamentare e quindi con il primo ministro.
Una seconda concezione lo vede come il garante della legittimità e della permanenza dell’unità statale,
ciò comporta che in caso di situazioni di crisi sia legittimato a proclamare lo stato di crisi e ad adottare
misure eccezionali in deroga alle previsioni costituzionali assumendo in prima persona la direzione
politica del paese.
Una terza concezione lo vede come potere neutro, un potere super partes e distinto dai tre tradizionali,
con il compito di moderarne i rapporti e risolvere gli eventuali conflitti. Nell’ambito di tale visione vi
sono varie teorie che hanno dato diverse letture alla neutralità: Capo dello stato come mera istanza
simbolica o come garante del rispetto della costituzione o con potere di intermediazione.
Mentre la carica dei capi di stato monarchici è vitalizia, quella dei presidenti della repubblica ha una
durata determinata. Nella maggioranza dei casi la durata del mandato presidenziale è superiore a quella
del parlamento in modo da garantire l’indipendenza del capo dello stato. Solitamente nelle costituzioni
sono stabiliti limiti alla rieleggibilità (limite dei due mandati che assume carattere assoluto solo in USA
mentre in altri riguarda solo quello successivo ai due già espletati). Pochi sono gli ordinamenti nei quali
non è previsto alcun limite alla rieleggibilità.
Per quel che riguarda la cessazione dalla carica, nelle monarchie questa si verifica in principio solo perla
morte del re il quale può però anche abdicare. Vi possono essere circostanze nelle quali la reggenza è
affidata in via provvisoria ad un reggente (erede al trono minorenne, vacanza del trono, impedimento o
rinuncia temporanea al trono). Il reggente può essere eletto dal parlamento o può salire al trono di
diritto. Nelle repubbliche il capo dello stato cessa dalla carica di regola alla scadenza del mandato. Può
esservi una cessazione anticipata per cause sopravvenute: morte, dimissioni, destituzione (può derivare
solitamente dalla sua messa in stato d’accusa da parte del parlamento o dalla sua condanna),
impedimento permanente (l’impedimento è previsto dalla maggioranza delle costituzioni repubblicane o
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senza alcuna specificazione o come incapacità o impossibilità di adempiere ai propri doveri o distinta in
permanente e temporanea. Alcune costituzioni individuano l’organo competente a dichiarare
l’impedimento: può provvedere la corte costituzionale o la corte suprema o il parlamento a
maggioranza qualificata).
La vacanza della carica prima della scadenza del mandato può dare origine a due ipotesi: negli
ordinamenti presidenziali insieme al presidente viene eletto un vice presidente che lo sostituisce fino al
termine del mandato; la seconda ipotesi è quella dell’elezione entro breve termine di un nuovo
presidente e nel frattempo si pone in essere l’istituto della supplenza che è diverso nei vari ordinamenti.
Nella maggioranza dei casi la supplenza è affidata al presidente del parlamento monocamerale o di una
delle due camere; più raramente viene assunta dal primo ministro; infine talvolta viene istituito un
apposito organo collegiale. Di solito i poteri del supplente sono limitati.
3 Poteri
Nei Gov presidenziali, il capo dello stato oltre ai poteri tipici di questo ruolo è anche titolare del potere
esecutivo.Nella maggioranza degli ordinamenti gli vengono attribuiti poteri di rappresentanza dello
stato e dell’unità nazionale, di garanzia del rispetto della costituzione, di iniziativa e di controllo nei
confronti degli altri organi costituzionali. In pratica gli atti del capo dello stato possono assumere natura
sostanziale (da lui effettivamente decisi) o meramente formale (limitandosi egli a sancire la volontà
espressa da un altro organo). Vi è poi il caso dell’istituto della controfirma ministeriale: negli
ordinamenti monarchici la controfirma è necessaria come contropartita dell’irresponsabilità del re.
Negli ordinamenti repubblicani si possono distinguere due ipotesi: la controfirma è prevista per tutti gli
atti del presidente; la controfirma non è prevista. I poteri del capo dello stato vanno valutati anche alla
luce del loro effettivo esercizio che dipende sia dai rapporti che si istituiscono tra gli organi
costituzionali sia dalla situazione politico-istituzionale.
Fra i poteri del capo dello stato particolarmente importanti sono la nomina del governo e lo
scioglimento anticipato del parlamento.
In alcuni ordinamenti il potere di scioglimento è un potere proprio del presidente che lo esercita senza
controfirma; in altri ordinamenti la titolarità sostanziale del potere è però generalmente del governo; in
alcuni casi assume natura di atto complesso (frutto della concorde volontà di capo dello stato e primo
ministro). Nelle costituzioni più recenti vi è la tendenza a indicare in modo rigoroso i presupposti
giustificativi dello scioglimento. Spesso nelle costituzioni sono previsti limiti di tempo per cui vi è
nell’ambito della legislatura un termine iniziale (prima del quale non è consentito lo scioglimento) o
finale (dopo il quale non è consentito); oppure deve decorrere un lasso di tempo da un precedente
scioglimento prima di procedere a uno nuovo; oppure divieto di scioglimento nell’ultima fase del
mandato presidenziale. Numerose costituzioni vietano lo scioglimento durante lo stato di guerra o di
crisi. In vari ordinamenti il soggetto titolare del potere deve chiedere pareri preventivi non vincolanti a
vari soggetti (parlamento, primo ministro, organo di garanzia, partiti, gruppi parlamentari).
In base sia alle previsioni costituzionali è possibile distinguere vari tipi di scioglimento:
- scioglimento maggioritario: deciso dal governo o dalla maggioranza parlamentare al fine di scegliere il
momento più favorevole per andare a nuove elezioni
- scioglimento funzionale: previsto di solito quando il parlamento non è in grado di garantire la
formazione di un governo
- scioglimento arbitrato: deriva dal conflitto tra parlamento e un altro organo costituzionale -
scioglimento di consultazione automatico: consegue in alcuni ordinamenti in caso di progetto di
revisione costituzionale
-scioglimento di consultazione libero: originato dalla volontà di sottoporre al corpo elettorale un
importante questione.
4 Responsabilità
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I presidenti sono soggetti a responsabilità politica istituzionale che può essere fatta valere dal titolare del
potere di elezione (parlamento o corpo elettorale) al termine del mandato mediante la non rielezione.
Tale responsabilità è configurabile soprattutto nelle forme di Gov presidenziale e semipresidenziale. In
alcuni ordinamenti dove è eletto a suffragio universale è prevista la possibilità di rimozione dalla carica
nel corso del mandato per decisione del corpo elettorale su iniziativa del parlamento.
Un’ipotesi intermedia tra responsabilità politica e giuridica è quella dell’impeachment in USA: il
presidente è giudicato da un organo politico e la sanzione è di natura politica ma tale procedura non
esclude che il presidente sia sottoposto per gli stessi reati al giudizio anche del giudice.
Per quanto riguarda la responsabilità giuridica, occorre distinguere tra atti compiuti nell’esercizio delle
funzioni o meno, per i primi viene generalmente il principio di irresponsabilità che non vale però per
alcuni reati per i quali il presidente è soggetto ad una responsabilità penale speciale (a seconda
dell’ordinamento: attentato alla costituzione, violazione di leggi, alto tradimento, gravi reati, azioni
scorrette o condotta incompatibile con la carica), l’iniziativa proviene di solito da una minoranza
qualificata del parlamento e la messa in stato d’accusa viene deliberata a maggioranza assoluta o
qualificata da un organo parlamentare. Il soggetto competente a giudicare può essere un organo
parlamentare, l’organo supremo della magistratura ordinaria, un giudice speciale o più frequentemente
la corte costituzionale. La sanzione può essere la sola destituzione dalla carica mentre in altri
ordinamenti vi può essere una sanzione di tipo penale. Per gli atti extra-funzione, nella maggioranza
degli ordinamenti democratici non è prevista alcuna immunità. In alcuni
ordinamenti è richiesta l’autorizzazione a procedere da parte del parlamento. In altri è prevista da una
disposizione costituzionale l’improcedibilità fino al termine del mandato.
1. Questioni definitorie
Per “giustizia costituzionale” si intende quel riscontro, da parte di un organo giurisdizionale, tra
costituzione e norme a essa subordinate, riscontro assistito dal potere di espellere le norme
contrastanti dall’ordinamento giuridico, dichiarandone la nullità o rendendole inefficaci.
Si usa distinguere fra giustizia costituzionale giurisdizionale, quella svolta da organi terzi, non coinvolti
nel processo formativo della legge, non portatori di interessi politici, e giustizia costituzionale politica,
ogni forma di controllo priva di questi requisiti.
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legislativo.
3. Il controllo giurisdizionale: genesi del judicial review of legislation negli USA e caratteri del
controllo di costituzionalità
Nel ‘700 James Otis e John Adams sostennero che una legge contraria alla costituzione è nulla.
Negli USA, anche se non è previsto dal testo costituzionale, il sindacato di costituzionalità è da esso
riconosciuto implicitamente, stavilendo una gerarchia delle fonti normative, al vertice della quale è posta
la costituzione, come suprema legge del paese. Compete quindi alla Corte suprema verificare se una
legge è conforme alla costituzione, prima di ritenerla applicabile al caso concreto (Infatti il controllo di
costituzionalità si afferma anche in giurisprudenza, grazie al noto caso Marbury vs. Madison). Tale
controllo americano ha carattere diffuso, per cui ciascun giudice è abilitato a sindacare la conformità
delle leggi, che non è quindi di monopolio della corte suprema, alla quale però la costituzione
attribuisce la giurisdizione originaria (qui giudica in primo e unico grado una serie circoscritta di casi
relativi ad ambasciatori, consoli e altri rappresentanti diplomatici). Negli ultimi anni la corte suprema si
è trasformata in una vera e propria corte costituzionale, rifiutando però di svolgere attività di mera
consulenza in materia costituzionale. Si è però anche data cospicue autolimitazioni, utilizzando il self
restraint, circoscrivendo cioè l'efficacia delle sue sentenze, che è limitata alle parti in causa.
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12. Il Capo dello Stato quale “custode della costituzione” e il controllo di costituzionalità
“interno”
Oltre al controllo giurisdizionale di costituzionalità ci sono altre forme di sindacato sulle leggi.
Un primo esempio si ha con l'attribuzione al Capo dello Stato di funzioni di controllo di
costituzionalità, o comunque egli è legittimato a ricorrere alla Corte costituzionale, o gli è
attribuito il potere di messaggio, con cui richiama il legislatore o altri al rispetto della
costituzione. Altra sua funzione è quella che si ha in sede di promulgazione-sanzione, dove egli
può opporre, per ragioni di costituzionalità, la propria volonta al Parlamento.
Un altro esempio può essere quello della Francia, dove il Governo può opporre l'irricevibilità di
leggi o emendamenti incostituzionali.
Oppure in Italia, con le commissioni affari costituzionali che controllano i requisiti di urgenza
dei decreti legge
In Russia il Presidente può annullare i decreti e le ordinanze del governo.
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La corte può essere adita solo dopo che sono stati esauriti tutti i rimedi giurisdizionali interni, e le sue
sentenze sono obbligatorie, definitive e producono effetti inter partes, ma se la violazione dipenda da
norme interne dello stato si impone la modifica della legislazione viziata.
17. La tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini: amparo e Verfassungsbeschwerde
L'idea che ciascun cittadino possa rivolgersi ad un giudice, lamentando la lesione di propri diritti
costituzionalmente protetti da parte di atti o comportamenti di autorità amministrative, si afferma in
molti ordinamenti.
Ad esempio in Spagna, dove è previsto il recurso de amparo, tramite il quale sono impugnabili atti
amministrativi e giurisdizionali, ma anche atti di soggetti privati.
Nella Repubblica federale tedesca, la Verfassungsbeschwerde può avere ad oggetto atti
amministrativi, giurisdizionali e legislativi. Il ricorso deve essere presentato dopo l'esaurimento delle vie
giudiziarie. L'azione diretta è esperibile solo se non esistono altri rimedi giurisdizionali, e se è
considerata indispensabile per eliminare o prevenire una violazione di diritti.
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18. Tipologia e forza delle decisioni di costituzionalità; le sentenze costituzionali come fonti del
diritto
Nei sistemi accentrati, il tribunale costituzionale che trova un vizio annulla la legge, mentre dove il
sindacato è diffuso il giudice disapplica la legge, ed il precedente vincola tutti i giudici di grado
inferiore. Di fatto quindi anche negli ordinamenti a sindacato diffuso la sentenza opera con efficacia
erga omnes.
Ricordiamo che una sentenza è composta dalla motivazione, che spiega la ragione della decisone, e da
un dispositivo, con il quale il giudice decide sulla vertenza. Nei sistemi a controllo accentrato è il
dispositivo a provocare l'annullamento della legge, nei modelli a sindacato diffuso, invece, il valore del
precedente abbraccia l'intera motivazione.
Proprio per questa loro forza vincolante si ricomprendono le sentenze in questione fra le fonti del
diritto, in quanto in ogni caso il risultato raggiunto è quello sì di espungere norme dall’ordinamento, ma
anche di crearne di nuove. Si crea diritto, nel senso che nel vuoto creatosi in seguito all’annullamento si
riversano le norme applicabili per analogia o quelle ricavate dai principi generali del diritto.
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In che modo giungono le corti ad assumere le proprie decisioni? Come giungono i loro componenti a
stabilire che una disposizione è incostituzionale? Tutto ciò attiene al contesto di decisione
(invenzione). E come giustificano le proprie scelte? Ciò attiene ai contesti di giustificazione
(validazione).
E a mano a mano che cresce l'autonomia del processo decisionale lievita anche il grado di libertà nella
selezione dei materiali giuridici, nella valutazione delle conseguenze della sentenza e nei valori da
privilegiare.
In ogni caso le decisioni dei giudici costituzionali sono sottoposte a verifica da parte di una cerchia di
soggetti, indicata col vocabolo “costituency”, che comprende l’artefice della nomina, la comunità di
giuristi e l’uditorio, cioè l’opinione pubblica. Sicuramente ciascun giudice è nella sua scelta condizionato
da quelli che ritiene possano essere i desiderata della propria constituency.
La collegialità è una caratteristica dell'organo che giudica le leggi e i processi formativi delle decisioni
sono difficili da analizzare, soprattutto dove non sia possibile manifestare opinioni individuali,
dissenzienti o concorrenti.
24. Dalla regolazione delle competenze negli ordinamenti policentrici alla giurisdizione delle
libertà e dell’uguaglianza
Sicuramente vi è un rapporto tra struttura policentrica dello stato e genesi della giustizia costituzionale.
Il legame tra decentramento e giustizia costituzionale, oltre che in America, è stretto anche in Europa
nelle costituzioni degli stati tedeschi, e una delle funzioni di maggiore spicco svolte dal tribunale
costituzionale è proprio la soluzione dei conflitti legislativi.
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