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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLT DI ECONOMIA

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA IN DIRITTO COMUNITARIO DEL LAVORO

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEGLI SPORTIVI NELLUNIONE EUROPEA. DA BOSMAN ALLA HOME-GROWN PLAYERS RULE.

RELATORE: CHIAR.MA PROF.SSA DE SIMONE GISELLA

CANDIDATO: FRESCHI FEDERICO

ANNO ACCADEMICO: 2009-2010

Come direi ad un bambino che cosa la felicit? Non glielo spiegherei, gli darei un pallone per farlo giocare. (Dorothee Solle)

Ad un angelo che, troppo presto, con un sorriso, mi ha salutato. Il tuo ricordo vive nei due angeli che ho accanto, a loro va il ringraziamento pi sentito.

INDICE

LEGENDA INTRODUZIONE.. p. 1

CAPITOLO 1

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI

LAVORATORI NELLUNIONE EUROPEA


1. 2. 3. 4. Aspetti generali..4 Il diritto di libera circolazione nelle fonti.6 Nozione comunitaria di lavoratore13 Attuazione e limitazioni della libert di circolazione dei lavoratori20 5. Libert di circolazione e principio di non

discriminazione.29

CAPITOLO 2 EUROPEA

LO SPORT NELLA COMUNIT

1. Aspetti generali..42

2. Il carattere speciale dellordinamento sportivo..47 3. Le competenze della Comunit europea in materia di sport.54 4. Lo sport nelle politiche comunitarie. I primi interventi della Corte di giustizia..63 La sentenza Walrave66 La sentenza Don.72

CAPITOLO 3 BOSMAN
1. 2.

GLI EFFETTI DELLA SENTENZA

Considerazioni preliminari..78 La sentenza che ha rivoluzionato il mondo dello sport...82

3.

Casi specifici di libera circolazione degli sportivi comunitari, extracomunitari e di atleti appartenenti a Stati che abbiano stipulato con lUnione europea

accordi di cooperazione e partenariato.105

CAPITOLO 4

LE RECENTI EVOLUZIONI IN

MATERIA DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEGLI SPORTIVI E RISPETTO DEL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE IN AMBITO COMUNITARIO: DAGLI SPORT MINORI ALLE NORME UEFA E FIFA PER LA TUTELA DEI VIVAI
1. 2. Considerazioni preliminari134 Il rapporto tra salvaguardia dei vivai e principio di non discriminazione..136 2.1 Il caso di sport minori come basket, pallavolo e rugby..142 3. 4. La home grown players UEFA151 La compatibilit della proposta FIFA (6+5) con la normativa comunitaria...156

BIBLIOGRAFIA.166 SITOGRAFIA..171 ALTRI MATERIALI..172

LEGENDA

ADL CG DCSI DL DML DPL DUE GDA GI GUCE LD LG NGL QDLRI RDE RDI RDIPP RGL

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privato e processuale Rivista giuridica del lavoro e della

previdenza sociale

RIDL Riv. Dir. Sport RMUE TCE TUE:

Rivista italiana di diritto del lavoro Rivista di diritto sportivo Revue de March Unique Europen Trattato istitutivo della Comunit europea Trattato istitutivo dell'Unione europea

INTRODUZIONE
Lattivit sportiva , da tempo, entrata nella vita, negli usi e nella cultura di tutti i popoli: ogni paese ha un proprio sport nazionale capace, in occasione di determinati eventi, di catalizzare lattenzione dellintera nazione e diventare argomento di interesse quotidiano per lopinione pubblica. La rilevanza che lo sport ha assunto nel corso degli anni a livello globale si evince, ad esempio, dallemanazione di numerosi atti e accordi, a partire dalla Carta Olimpica1 o dalla Carta internazionale delleducazione fisica e dello sport,2 che attribuiscono allattivit sportiva un ruolo essenziale nella tutela della salute e nelleducazione degli individui, diffondendo quei principi e quei valori che sono fondamentali per la formazione dellidentit personale, soprattutto dei giovani. Tuttavia, con il passare degli anni, lo sport si trasformato in un vero e proprio business, con conseguente esplosione di interessi economici che, di fatto, ne inficiano lessenza e sollevano nuove problematiche sociali, politiche, ma anche giuridiche. In tal senso recente la presa di coscienza da parte del mondo giuridico dellesistenza e della costante espansione del cosiddetto diritto dello sport (moderna branca del diritto in continua evoluzione); un insieme di norme, sostanziali e processuali, statali o figlie dellordinamento interno, che presentano inerenze con lambito sportivo. A fronte di una siffatta struttura, facile comprendere come i rapporti giuridici nascenti in ambito sportivo trovino, dunque, una complessa regolamentazione, composta da disposizioni normative nazionali e comunitarie, regole delle organizzazioni statali e regole delle organizzazioni internazionali. Lintento di questo elaborato , quindi, quello di esaminare un tema quale la libera circolazione degli sportivi nel territorio comunitario attraverso
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La Carta datata 1894, ed un vero e proprio statuto dellordinamento sportivo internazionale, su cui si basa la regolamentazione del neonato Comitato interministeriale dei Giochi Olimpici, divenuto poi nel 1900 Comitato olimpico internazionale (CIO). 2 La Carta, approvata dallUNESCO nel 1978, pone lo sviluppo dell'educazione fisica e dello sport al servizio del progresso umano, al fine di favorire e diffondere la pratica sportiva.

unanalisi delle fonti comunitarie, delle norme poste dallordinamento sportivo e delle decisioni giurisprudenziali intervenute per opera della Corte di giustizia dellUnione europea. Partendo da una definizione di lavoratore comunitario, si analizza, poi, la libera circolazione delle persone, la quale si specifica in tre fondamentali diritti: quello della libera circolazione dei lavoratori (artt. 39-42 del trattato CE), quello di stabilimento (artt. 43-48) e quello di libera prestazione di servizi (artt. 49-55). Ovviamente, correlato alla libert di circolazione e alla libera prestazione di servizi, assume notevole importanza nella dottrina comunitaria il principio di non discriminazione. Dopo aver definito il quadro giuridico comunitario inerente, lanalisi si focalizzer sulla relazione esistente tra sport e diritto comunitario, tracciando le linee generali dellazione comunitaria nel settore dello sport e facendo riferimento alla disciplina attinente alla libera circolazione dei lavoratori, applicabile al lavoratore sportivo; a conclusione del secondo capitolo sar riportata la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, con due sentenze che hanno posto le basi della famosa sentenza Bosman, la quale ha rivoluzionato la libera circolazione degli sportivi nellUnione europea. Proprio da questultima sentenza discende una copiosa giurisprudenza, che porter ad un nuovo approccio verso lo sport e ad un crescente interesse in ambito comunitario per tale settore. Saranno passati in rassegna casi, tratti dalle pi svariate discipline, di atleti comunitari, extracomunitari (in senso stretto) ed extracomunitari provenienti da paesi che godono di accordi di cooperazione e libera circolazione con lUnione europea. Infine, si analizzeranno quelle che sono le misure adottate da diversi attori nazionali ed internazionali (leghe, federazioni) per conciliare la tutela dei vivai, che permette di sopravvivere e di salvaguardare laspetto economico delle societ, con il rispetto dei principi di libera circolazione e non discriminazione in ambito comunitario; lUnione europea, tramite la giurisprudenza della Corte di giustizia, entrata pi volte in contrasto con i suddetti attori internazionali, al fine di salvaguardare i principi in questione. In particolare la normativa UEFA (home grown players) e la normativa FIFA (6+5) (per rimanere nel calcio, ma federazioni di altri sport hanno seguito la stessa strada) dirette a tutelare vivai e rappresentative nazionali,

hanno acuito lo scontro con lUnione europea, fino a raggiungere un compromesso che, probabilmente, non accontenta nessuno. Il dibattito su tali questioni presentate in ultima analisi sempre acceso ed in continua evoluzione di questi tempi: lobiettivo di questo elaborato quello di tracciare delle possibili vie di sviluppo in questa diatriba pi che mai attuale in ambito comunitario.

CAPITOLO 1: LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

1. Aspetti generali
Quando si parla di diritto, un riferimento esclusivo e limitato alla normativa nazionale sarebbe riduttivo e poco corretto, visto che il nostro Paese fa parte della Comunit europea fin dal 1957, a seguito della stipulazione del Trattato che istituisce la Comunit economica europea.1 Tra i settori in cui il diritto comunitario ha svolto e svolge la sua funzione preponderante di uniformatore spicca sicuramente il diritto del lavoro. Lestrema rilevanza della disciplina della libera circolazione delle persone, sottolineata gi dalloriginario Trattato di Roma, 2 emerge anche dalla conferma dellaffiancamento ad altre libert riconosciute come quelle delle merci, dei servizi e dei capitali, nel Trattato CE: le quattro libert fondamentali sono,quindi, associate allobiettivo dellattuazione del mercato interno, infatti la libera circolazione ha una caratterizzazione prettamente economica allinterno del Trattato, funzionale al raggiungimento degli obiettivi della Comunit. Tale caratterizzazione viene rispecchiata nella premessa del Regolamento n.1612/1968, laddove si afferma che la mobilit della manodopera nella Comunit deve essere uno dei mezzi che garantiscano al lavoratore la possibilit di migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro e di facilitare la

Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1 gennaio 1958, istituisce e disciplina la Comunit economica europea (CEE). 2 Lart. 3 del Trattato istitutivo della Cee prevedeva la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.

sua promozione sociale, contribuendo nel contempo a soddisfare le necessit delleconomia degli Stati membri. 3 Tra le quattro libert fondamentali, la libera circolazione dei lavoratori essenziale per garantire quella mobilit della manodopera che, assicurando una migliore allocazione delle risorse e favorendo lintegrazione tra i diversi popoli, garanzia di progresso economico e sociale. E evidente come la Corte affermi, in maniera univoca, che quelli attribuiti dallart.39 del Trattato sono diritti soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare: la suddetta norma impone agli Stati membri un obbligo preciso, che non richiede lemanazione di alcun ulteriore provvedimento da parte delle istituzioni comunitarie o degli Stati membri e non consente a questi ultimi alcuna discrezionalit sulla sua applicazione.4 Nel corso del tempo sono seguite numerose modifiche al Trattato CEE: lAtto Unico Europeo (1987), che attua il mercato unico; il Trattato di Maastricht (1992), che istituisce lUnione Europea; il Trattato di Amsterdam (1997) che modifica il Trattato sull'Unione europea; il Trattato di Nizza (2003), che modifica, in particolare, larticolazione giudiziaria della Comunit; il Trattato di Atene (2003) con le modifiche conseguenti allallargamento della Comunit ai paesi dellEst; infine, la recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009), che rafforza la partecipazione democratica sul territorio europeo e la capacit dell'Unione europea di promuovere quotidianamente gli interessi dei propri cittadini, dotando l'UE di mezzi adeguati per rispondere in modo efficace ed efficiente alle sfide del mondo attuale. Come gi detto in precedenza, una delle libert fondamentali previste dal Trattato CE proprio la libera circolazione dei lavoratori allinterno della Comunit europea; prima che la giurisprudenza comunitaria, e in seguito il legislatore, intervenisse ed estendesse questa libert al semplice fatto dellessere cittadini, la possibilit di circolare liberamente in tutto il territorio comunitario era collegata alla qualit dellessere un lavoratore

Roccella M., Treu T.: Diritto del lavoro della Comunit Europea, IV edizione, 2007, CEDAM, Padova. 4 Corte di Giustizia, causa C-41/74, Van Duyn Home Office, 1974, p.to 6.

subordinato. Solo successivamente il principio di libera circolazione stato esteso al semplice fatto dellessere cittadino europeo.5 Questo significa che i lavoratori, o anche aspiranti tali, possono svolgere la propria attivit lavorativa in qualsiasi Stato membro alle stesse condizioni dei lavoratori cittadini dello Stato ospitante; non ammessa alcuna discriminazione fondata sulla nazionalit per quanto riguarda laccesso, lo svolgimento del rapporto di lavoro e la retribuzione, fatte salve le limitazioni previste dalla normativa comunitaria (paragrafo 5 del corrente capitolo). Il contenuto fondamentale del diritto di libera circolazione identificabile, infatti, nella garanzia di parit di trattamento in materia di accesso al lavoro, in ogni Stato membro, fra lavoratori nazionali e lavoratori provenienti da altri paesi della Comunit. Il divieto di discriminazione in relazione allaccesso al lavoro permette di rendere operativo il principio generale stabilito dallart.7 del Trattato, secondo il quale vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalit.6 Per approfondire il tema della libera circolazione, strettamente collegato, come anticipato, allapplicazione del principio di non discriminazione, ritengo necessario procedere con l'individuazione delle fonti di tale diritto tutelato a livello comunitario, per passare, poi, ad esaminare la nozione comunitaria di lavoratore, utile per comprendere meglio lattuazione di tali principi comunitari.

2. Il diritto di libera circolazione nelle fonti


Il tema della libera circolazione delineato gi nel Trattato CECA7 e nel Trattato Euratom,8 per trovare, poi, pieno riconoscimento nellart.48 del Trattato CEE (Trattato di Roma 1957), ora art. 39 TCE.

Lart.17 del Trattato di Amsterdam istituisce il concetto di cittadinanza dellUnione, secondo cui cittadino dellUnione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dellUnione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce questultima. 6 Roccella M, Treu T., Diritto del lavoro della Comunit europea, IV edizione, 2007, CEDAM, Padova, p.86. 7 Trattato che istituisce la Comunit europea del carbone e dellacciaio, 1951.

Spetta al Consiglio, mediante lemanazione di direttive9 o regolamenti10 e deliberando a maggioranza qualificata, il compito di mettere in atto le misure necessarie per lattuazione ed il rispetto del diritto di libera circolazione sul territorio comunitario. In via preliminare, lart.18 del Trattato CE definisce il concetto di cittadinanza europea, prevedendo che ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso. In questo senso, appare evidente, quindi, come la libert di circolazione non sia solo principio fondamentale dellordinamento comunitario, ma anche, unitamente al diritto di soggiorno, diritto fondamentale del cittadino europeo ai sensi dellart.18 n.1 TCE, non subordinato allesercizio di unattivit economica.11 Pi recente , invece, unaltra fonte rilevante ai fini della libera circolazione dei lavoratori, cio la Carta di Nizza (2000), il cui art.15 disciplina la Libert professionale e diritto di lavorare, secondo cui: ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata; ogni cittadino dell'Unione ha la libert di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro; i cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'Unione europea.

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Trattato che istituisce la Comunit europea dellenergia atomica, 1957. Le direttive non hanno portata generale, ma vincolano solo lo Stato o gli Stati membri destinatari, e non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto impongono ai destinatari un obbligo di risultato, lasciando alla loro discrezione la scelta dei mezzi. Le direttive non sono direttamente applicabili, ma hanno efficacia mediata, ossia creano diritti e obblighi soltanto in seguito all'adozione da parte dei singoli Stati membri degli atti con cui vengono recepite. 10 I regolamenti hanno portata generale, i destinatari sono, infatti, tutti i soggetti giuridici comunitari, Stati membri e persone fisiche e giuridiche degli Stati stessi; la portata generale del regolamento sottoposta alla verifica della Corte di giustizia sotto il profilo della sua impugnabilit da parte dei singoli, visto che possono impugnare solo quegli atti che li riguardino direttamente e individualmente, cio gli atti che non abbiano portata generale. Si tratta, inoltre, di strumenti obbligatori in tutti gli elementi: le norme che essi pongono in essere sono destinate a disciplinare la materia e vanno osservate come tali dai destinatari. 11 Di Martino A., Diritto di cittadinanza dellUnione europea ed interpretazione estensiva del diritto di circolazione e di soggiorno, Associazionedeicostituzionalisti.it, 2006.

I diritti, le libert e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea assumono, con lentrata in vigore dellart.6 del Trattato di Lisbona (2009), la forza giuridica dei trattati comunitari, entrando di fatto, la Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, tra le fonti vincolanti dellordinamento comunitario. Tuttavia, sul valore della Carta di Nizza si ritorner nel corso del capitolo in tema di discriminazione e rispetto dei principi fondamentali dellUnione europea (paragrafo 5). Per procedere ad un esame completo delle fonti del diritto di libera circolazione allinterno del territorio comunitario, necessario analizzare il cosiddetto diritto comunitario derivato. Bisogna risalire fino al 1961 per trovare la prima disciplina in materia di libera circolazione dei lavoratori, si tratta del Regolamento n.15 del 1961 relativo ai primi provvedimenti per lattuazione della libera circolazione dei lavoratori allinterno della Comunit; la norma di apertura di tale regolamento prevede che ogni cittadino di uno Stato membro autorizzato ad occupare un impiego subordinato sul territorio di un altro Stato membro, qualora per il posto vacante non sia disponibile nessun lavoratore idoneo tra la manodopera appartenente al mercato regolare del lavoro dellaltro Stato, sancendo di fatto la priorit del mercato nazionale del lavoro. Accanto al Regolamento n.15 del 1961 stata emanata la Direttiva del 16 agosto 1961 in materia di procedure e di pratiche amministrative relative allingresso, alloccupazione e al soggiorno dei lavoratori di uno Stato membro, nonch delle loro famiglie, negli altri Stati membri della Comunit; sia il regolamento, che la direttiva hanno mantenuto lesigenza del rilascio al lavoratore migrante comunitario di un permesso di lavoro, tuttavia la direttiva ha facilitato la mobilit intracomunitaria, abolendo lobbligo del visto dentrata sia per il lavoratore migrante che per i suoi familiari, consentendo di subordinare lingresso allinterno di ciascuno Stato membro alla sola presentazione di una carta di identit valida o di un passaporto, rilasciati dal paese dorigine. La seconda fase del processo di attuazione della libera circolazione dei lavoratori stata avviata con il Regolamento n.38 del 1964 per giungere, poi, alladozione del Regolamento n.1612 e della Direttiva 360, entrambi datati 1968.

Il regolamento n.38/64 ha esteso lambito soggettivo dei beneficiari del diritto di libera circolazione ad alcune categorie di lavoratori fino ad allora escluse (stagionali, frontalieri) ed ha sostituito il criterio di priorit del mercato nazionale del lavoro con lopposto criterio della priorit del mercato comunitario del lavoro:12 la priorit del mercato comunitario del lavoro ha trovato, tuttavia, una limitazione nel mantenimento della clausola di salvaguardia, in forza della quale a ciascuno Stato membro riconosciuta la facolt di sospendere lapplicazione del principio (di priorit del mercato comunitario) fissato dal regolamento, qualora si fosse verificata una situazione di eccedenza di manodopera in una data regione o professione.13 Infine, doveroso ricordare la Direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nellambito di una prestazione di servizi, ove previsto che per una serie di condizioni di lavoro e di occupazione si applichi al rapporto di lavoro del lavoratore distaccato il diritto dello Stato nel quale egli svolge la prestazione.14 I lavoratori distaccati, infatti, a differenza dei lavoratori definiti dallart.39, non accedono direttamente al mercato del lavoro del paese membro ospite, ma seguono il datore di lavoro, che svolge la propria prestazione transnazionale di servizi rimanendo stabilito prevalentemente nel proprio paese dorigine.15 La Direttiva ha portato a definire un quadro di regole alle quali gli Stati membri hanno dovuto attenersi nella definizione delle condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori distaccati temporaneamente sul proprio territorio da imprese stabilite in altro Stato membro: in particolare lintento

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Regolamento 38/1964 art. 1.1: diritto di ogni cittadino di uno Stato membro di occupare un impiego subordinato sul territorio di un altro Stato membro quando il posto vacante sia stato segnalato al competente ufficio del lavoro e di rispondere a qualsiasi nuova offerta dimpiego in qualsiasi regione o professione. 13 Roccella M., Diritto del lavoro della Comunit europea, IV edizione, 2007, CEDAM, Padova, p.74 ss. 14 Corte di Giustizia, causa C-279/80, Procedimento penale a carico di A.J. Webb, 1981, p.to 16: lart. 60 comma III, ha anzitutto lo scopo di rendere possibile al prestatore di servizi lesercizio della propria attivit nello Stato membro destinatario della prestazione, senza alcuna discriminazione nei confronti dei cittadini di tale Stato. Esso non implica, tuttavia, che qualsiasi disciplina nazionale che si applichi ai cittadini di tale Stato e si riferisca normalmente ad unattivit permanente delle imprese stabilite in tale Stato, possa essere integralmente applicata anche ad attivit di carattere temporaneo esercitate da imprese aventi sede in altri Stati membri. 15 Giubboni S. Libera circolazione dei lavoratori e libera prestazione dei servizi nellordinamento comunitario, Urge working paper 1/2009, p.6.

stato quello di assicurare una tendenziale parit di trattamento tra le imprese che svolgono una prestazione di servizi transnazionale e quelle del paese ospitante.16 posta in primo piano, quindi, la necessit difendere le imprese interne dalla concorrenza di quelle estere, le quali avrebbero potuto avvantaggiarsi dal fatto che il costo del lavoro fosse pi basso, e si puntato a tutelare lattivit dei lavoratori interni, proteggendo le imprese che li avessero impiegati. Le tre ipotesi considerate dalla Direttiva n.96/71 sono: unimpresa che distacchi un lavoratore per conto proprio e sotto la propria direzione, nel territorio di uno Stato membro, nellambito di un contratto concluso tra limpresa che lo invia e il destinatario della prestazione di servizi che opera in tale Stato membro, purch durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e limpresa che lo invia (art.1, par.3, lett.a); unimpresa che distacchi un lavoratore nel territorio di uno Stato membro, in uno stabilimento o in unimpresa appartenente al gruppo, purch durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e limpresa che lo invia (art.1, par.3, lett. b); infine, considerata limpresa di lavoro temporaneo o che svolga attivit di cessione temporanea di lavoratori, la quale distacchi un lavoratore presso unimpresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attivit nel territorio di uno Stato membro, purch durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e limpresa di lavoro temporaneo o limpresa che lo cede temporaneamente (art.1, par.3, lett.c). In tutti e tre i casi necessario che venga mantenuto un rapporto giuridico diretto tra lavoratore distaccato e impresa di appartenenza, per tutta la durata del distacco; ci presuppone lesistenza di criteri che permettano di definire chiaramente chi il datore di lavoro del lavoratore distaccato, e sarebbe opportuno che tali criteri venissero definiti dalla Commissione, o in via interpretativa, dalla Corte di giustizia.17 Tuttavia, la Direttiva 96/71 si presenta come uno strumento di tutela della concorrenza, volto ad individuare regole ben definite per le imprese e limiti

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Carabelli U., Una sfida determinante per il futuro dei diritti sociali in Europa: la tutela dei lavoratori di fronte alla libert di prestazione dei servizi nella CE, RGL I/2007. 17 Borelli S., Un possibile equilibrio tra concorrenza leale e tutela dei lavoratori. I divieti di discriminazione, LD, 2008, p.138.

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alle normative poste in essere dagli Stati membri per tutelare i mercati nazionali; la tutela dei lavoratori viene cos posta in secondo piano, come obiettivo da raggiungere in via indiretta, infatti gli interventi dellUnione europea sono spesso finalizzati a rafforzare il mercato ed a tutelare le libert economiche, che, al tempo stesso, si propongono di fungere da strumenti di protezione lavoratori, con il risultato di fallire entrambi gli obiettivi. 18 In sintesi si pu parlare di una direttiva che lascia alla Corte di Giustizia il compito di vegliare a che la protezione dei lavoratori non superi il limite consentito dal principio di libera circolazione dei servizi.19 Proseguendo nellanalisi relativa alle fonti comunitarie nel campo dei servizi, nel nuovo millennio la Direttiva 2006/12320 mira a realizzare, entro il 2010, un mercato interno dei servizi volto ad agevolare la libert di stabilimento dei prestatori di servizi e la libera prestazione degli stessi negli Stati membri dellUE, il tutto in unottica di maggiore competitivit ed equilibrio dei mercati;. tuttavia, alcuni dubbi sulleffettivo valore della Direttiva 2006/123/CE sorgono in riferimento al caso di evidente contrasto con altre disposizioni contenute in documenti comunitari precedenti, infatti saranno queste ultime a prevalere.21 Nel dettaglio, tale direttiva sui servizi riconosce lesigenza di valutare taluni requisiti nazionali non discriminatori che, per le loro caratteristiche proprie, potrebbero sensibilmente limitare, se non addirittura impedire, laccesso ad unattivit o il suo esercizio nellambito della libert di stabilimento.22 Tra le principali novit della cosiddetta Direttiva Servizi vi sicuramente il principio della libert di prestare servizio, il quale prevede, in base ai principi di non discriminazione, necessit e proporzionalit, il divieto per gli Stati di imporre al prestatore di servizi di un altro Stato membro requisiti aggiuntivi rispetto a quelli richiesti ai propri operatori, che non siano

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Orlandini G., La disciplina comunitaria del distacco dei lavoratori fra libera prestazione di servizi e tutela della concorrenza: incoerenza e contraddizioni nella direttiva n.71 del 1996, ADL 2/1999. 19 Orlandini G., La disciplina comunitaria del distacco dei lavoratori fra libera prestazione di servizi e tutela della concorrenza: incoerenza e contraddizioni nella direttiva n.71 del 1996, ADL 2/1999. 20 La Direttiva 2006/123/CE sulla libera prestazione dei servizi nel mercato interno conosciuta anche come Direttiva Servizi ed stata approvata il 12 dicembre 2006. 21 Malatesta A., Principio dello Stato di origine e norme di conflitto dopo la direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno: una partita finita?, RDIPP, 2007, p.293 ss. 22 Direttiva 2006/123/CE, considerando n.69.

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giustificati da ragioni di pubblica sicurezza, protezione della salute e dellambiente. Tale principio si sostituito, nella versione finale della direttiva, al cosiddetto principio del paese dorigine, in base al quale il prestatore di servizi sarebbe soggetto alle disposizioni dello Stato membro di provenienza, previsto nella prima formulazione della proposta 23 Bolkestein, che tante polemiche ha suscitato.24 Dal punto di vista dottrinale i vari strumenti di diritto derivato si differenziano tra loro per quel che riguarda, ad esempio, lefficacia e lapplicabilit diretta, la motivazione, la forza giuridica, la procedura di adozione e la destinazione. Lart. 249 sancisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali le istituzioni comunitarie esercitano le competenze loro attribuite: regolamenti, direttive e decisioni,25 raccomandazioni26 e pareri.27 Questi atti sono posti in essere dal Consiglio e dalla Commissione o dal Parlamento europeo congiuntamente con il Consiglio, secondo la procedura di codecisione;28 inoltre, il caso di precisare che gli atti in questione non possono avere leffetto di restringere o modificare la portata di una norma del Trattato o della giurisprudenza relativa a quella stessa norma. Infine, nel sistema delle fonti del diritto comunitario va considerata, ovviamente, anche la giurisprudenza comunitaria e la dottrina comunitaria in materia, sempre pi cospicua con il passare degli anni ed in grado di influenzare gli orientamenti comunitari.

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Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea relativa ai servizi nel mercato interno, presentata dalla Commissione europea nel febbraio 2004. La direttiva stata definitivamente approvata da Parlamento e Consiglio, profondamente emendata rispetto alla proposta originaria, il 12 dicembre 2006, divenendo formalmente la direttiva 2006/123/CE . 24 Orlandini G., Giubboni S., La direttiva Bolkestein e diritti dei lavoratori europei, URGE sulla direttiva Bolkestein, 2007. 25 Le decisioni sono obbligatorie in tutti gli elementi per i destinatari da esse designati. Caratteristica essenziale la portata individuale, pertanto, quando rivolta ai singoli individui, essa costituisce espressione di un'attivit amministrativa piuttosto che normativa. 26 Le raccomandazioni hanno il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere un determinato comportamento giudicato pi rispondente agli interessi comuni; ai sensi dell'art. 249 del Trattato CE, possono essere emanate dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. 27 I pareri possono essere emanati oltre che dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, anche dalla Corte di giustizia, dal Comitato economico e sociale europeo e dal Comitato delle regioni. Il parere tende a fissare il punto di vista dellistituzione che lo emette, in ordine ad una specifica questione. 28 Art. 251 Trattato di Maastricht, definita ora procedura ordinaria secondo lart.294 del Trattato di Lisbona.

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3. Nozione comunitaria di lavoratore


Innanzitutto, per rendere effettiva la costruzione di una disciplina uniforme della libera circolazione dei lavoratori, necessario adottare una nozione comunitaria di lavoratore al fine di evitare che ciascun paese possa discrezionalmente escludere determinate categorie di soggetti. La Corte di giustizia, nellelaborare la nozione comunitaria di lavoratore in materia di libera circolazione dei lavoratori, intende dare massima efficacia al principio stesso, perch sottrae agli Stati membri la possibilit di configurare tante nozioni di lavoratore subordinato quanti sono gli ordinamenti;29 in particolare gli artt.39 e 42 perderebbero efficacia, cos come la finalit di garantire leffettiva libert di circolazione dei lavoratori da parte del Trattato sarebbe difficile da raggiungere, se il compito di definire la nozione di lavoratore spettasse unicamente al diritto interno. Se, infatti, fosse riservato agli Stati membri tale compito, questi potrebbero arbitrariamente decidere a chi riconoscere i diritti di circolare e soggiornare liberamente allinterno del proprio territorio,30 ponendosi in contrasto con gli obiettivi di armonizzazione previsti dallart.39 TCE: la nozione di lavoratore di cui al suddetto articolo deriva, quindi, dal diritto comunitario e non da quello interno. In primo luogo, tale nozione comprende anche i soggetti che aspirano ad acquisire lo status di lavoratori e, quindi, coloro che si spostano sul territorio dellUnione sia per rispondere ad offerte di lavoro, sia per cercare unoccupazione; in questultimo caso il cittadino europeo potr rimanere nello Stato membro ospitante per tutto il tempo necessario per cercare lavoro, avendo buone possibilit di trovarlo. In secondo luogo, la prestazione lavorativa pu essere delle pi svariate, purch remunerata: anche unattivit sportiva e la qualifica, ad esempio, di calciatore conferisce lo status di lavoratore subordinato beneficiario dei diritti previsti dal Trattato. In terzo luogo, la prestazione lavorativa deve essere collegata ad uno dei Paesi membri, nel senso che lattivit deve essere svolta

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Galantino L., Libera circolazione dei lavoratori e ambito di tutela uniforme, DML, Saggi, 2004, p.639. 30 Borelli S., Libera circolazione dei lavoratori subordinati, Digesto IV-Disc.Priv.Sez.Comm., Aggiornamento,II, p.634 ss.

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prevalentemente nel territorio comunitario (anche su una nave, dato che il principio della bandiera, prolungamento del territorio di uno Stato).31 Infine, non necessario che da questa attivit derivi un reddito superiore al minimo vitale: ci che importa che tale attivit lavorativa non sia cos saltuaria da considerarsi fittizia od irrilevante.32 Riassumendo quanto detto, ai sensi dellart.39 del Trattato CE, deve essere considerato lavoratore ogni persona che svolga attivit reali ed effettive, ad esclusione di attivit talmente ridotte da porsi come puramente marginali ed accessorie. La caratteristica del rapporto di lavoro data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di unaltra e sotto la direzione di questultima, prestazioni in contropartita dalle quali riceve una retribuzione. Tale nozione, individuando lambito di applicazione di una libert fondamentale del Trattato, non deve essere interpretata in modo restrittivo.33 La Corte di Giustizia sostiene, in via preliminare, che il concetto di lavoratore cui fa riferimento il Trattato CE, ha portata comunitaria e, pertanto, non va interpretato alla stregua dei singoli ordinamenti nazionali, n inteso in senso restrittivo. 34 Lo status di lavoratore subordinato si acquisisce, dunque, ove il giudice verifichi lo svolgimento effettivo di unattivit lavorativa, lesistenza di un vincolo di subordinazione e la corresponsione di una retribuzione.35 La nozione di lavoratore, ai sensi dellart.39 del Trattato, deve, quindi, essere definita secondo criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi degli interessati, mentre il campo in cui le prestazioni sono fornite e la natura del rapporto giuridico fra

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Corte di Giustizia, causa C-62/96, Commissione delle Comunit europee c. Repubblica ellenica, 1997. 32 Corte di Giustizia, causa C-53/81, Levin c. Segretario di Stato per la giustizia, 1982; al p.to 1 del Dispositivo stato ritenuto applicabile lart. 39 anche per il lavoratore con orario ridotto avente un reddito inferiore a quello di sussistenza. 33 Corte di Giustizia, causa C-138/02, Collins c. Secretary of State for Work and Pensions, 2004.
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Borzaga M., Nozione di lavoratore, libert di circolazione e diritto di soggiorno in ambito comunitario, RIDL II/2004, p.686. 35 Corte di Giustizia, causa C-66/85, Lawrie - Blum, 1986, Massima: la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro e la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo , a favore di un ' altra e sotto la direzione di quest'ultima , prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione.

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lavoratore e datore di lavoro sono irrilevanti ai fini dell' art. 39 del Trattato.36 Nella sentenza Collins37 la Corte di Giustizia sembra circoscrivere ulteriormente il concetto di lavoratore di cui allart.39 TCE, facendo proprio il criterio della sottoposizione alle altrui direttive (eterodirezione), limitando, quindi, lambito di applicazione dellart.39 TCE ai soli lavoratori subordinati. Tuttavia, suddetto orientamento stato, in realt, avversato da un cospicuo settore della dottrina,38 il quale ha affermato con fermezza che il concetto di lavoratore accolto dal legislatore comunitario dovrebbe essere, in realt, inteso in modo tale da potervi ricomprendere non soltanto i rapporti di lavoro subordinato in senso tecnico, bens anche quelli caratterizzati dalla c.d. dipendenza economica: la nozione di subordinazione cui si fa riferimento debole e non posta in antitesi alle attivit di lavoro autonomo, ma ad attivit che, per il fatto di essere considerate marginali ed accessorie, sono escluse dal mercato del lavoro. Quindi, tenendo fede allinterpretazione estensiva della nozione di lavoratore, solo quando lattivit sia di entit del tutto trascurabile, la giurisprudenza della Corte nega laccesso allarea protetta dallart.39 del Trattato.39 Inoltre, seguendo una logica di interpretazione estensiva, le norme comunitarie in tema di libera circolazione dei lavoratori si applicherebbero non soltanto a chi si trasferisca da uno Stato membro ad un altro per svolgere unattivit lavorativa, ma anche a chi lo faccia per dedicarsi alla ricerca di un posto di lavoro; in tal caso lo Stato ospitante dovr permettere lo spostamento almeno per un periodo ritenuto ragionevolmente necessario per la suddetta ricerca. Tuttavia, la libert di circolazione a cittadini economicamente non attivi non illimitata, ma viene meno nel momento in cui i suddetti cittadini diventino un onere irragionevole per lassistenza

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Corte di Giustizia, , causa C-66/85, Lawrie- Blum, 1986, p.to 1 Dispositivo: la Corte dichiara che un tirocinante che compia , sotto la direzione e la sorveglianza delle autorit scolastiche , un tirocinio di preparazione alla professione di insegnante , durante il quale fornisce prestazioni didattiche retribuite, deve essere considerato lavoratore ai sensi dell'art . 48 (ora art. 39) , n . 1 , del Trattato CE , indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto d'impiego. 37 Corte di Giustizia, causa C-138/02, Collins c. Secretary of State for Work and Pensions, 2004. 38 Borzaga M., Nozione di lavoratore, libert di circolazione e diritto di soggiorno in ambito comunitario, RIDL II/2004. 39 Giubboni S. Libera circolazione dei lavoratori e libera prestazione dei servizi nellordinamento comunitario, Urge working paper 1/2009 p.2.

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sociale dello Stato ospitante; negli anni la Corte ha svolto una necessaria funzione di bilanciamento dei vari interessi in gioco, di giusto equilibrio tra la pi ampia garanzia della libert di circolazione dei cittadini europei, da un lato, e la stabilit finanziaria dei sistemi nazionali di Stato sociale, dallaltro.40 Linterpretazione estensiva della nozione di lavoratore ha permesso di far rientrare in tale definizione una vasta gamma di rapporti e attivit anche di modesto rilievo economico: in tal senso, si giustifica la particolare ampiezza attribuita dalla Corte al concetto di lavoratore, pur in presenza di attivit lavorative atipiche o non standard dal contenuto e dalla consistenza assai ridotti.41 Il diritto comunitario stato caratterizzato nel tempo da unevoluzione sempre pi garantista, secondo la quale i principi fondamentali, tra questi anche la libera circolazione dei lavoratori, dovrebbero essere interpretati in maniera tale da assicurare tutela a tutti i soggetti che svolgano unattivit lavorativa in via continuativa e prevalentemente a favore di un solo committente, prescindendo dalla qualificazione giuridica del relativo rapporto. Secondo tale orientamento, quindi, dovrebbero essere esclusi dalla nozione di lavoratore, ai fini del diritto del lavoro comunitario, i soli soggetti che esercitano unattivit autonoma tradizionale, tra i quali in particolare i liberi professionisti e gli imprenditori.42 Se da un lato prevalsa ladozione di uninterpretazione estensiva della nozione comunitaria di lavoratore, dallaltro lato, assicurando ai soli lavoratori subordinati (art. 39) o autonomi43 (artt. 43 e 49), la libert di circolazione sul territorio comunitario, stato ridimensionato lambito di applicazione del principio comunitario di libera circolazione delle persone: tale libert non riguarda, infatti, le persone in quanto tali, ma solo coloro che esercitano unattivit economica rilevante, cio quei soggetti che
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Giubboni S., Libera circolazione delle persone e solidariet europea, LD 4/2006, p. 628. Rossi L., I beneficiari della libera circolazione delle persone nella giurisprudenza comunitaria, Foro italiano, IV/94. 42 Borzaga M., Nozione di lavoratore, libert di circolazione e diritto di soggiorno in ambito comunitario, RIDL II/2004, p.689 ss. 43 Borelli S., La nozione comunitaria di lavoratore e lefficacia dellart.39 Trattato CE, RIDL II/2009, p.227 Il trattato CE garantisce sia ai lavoratori subordinati che a quelli autonomi il diritto di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri. Ci che importa il carattere reale ed effettivo dellattivit esercitata e la percezione di un corrispettivo.

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partecipano attivamente al mercato comune, basato sulla libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi. La giurisprudenza della Corte di giustizia opera, infine, una distinzione tra cittadini degli Stati membri che non hanno ancora contratto un rapporto di lavoro nello Stato membro ospitante e quelli che lavoravano gi al suo interno o che, avendovi svolto un lavoro, ma essendo tal rapporto cessato, continuano ad esser considerati lavoratori. 44 Cos, se a coloro che si spostano per cercare unoccupazione, la libert di circolazione (e quindi la parit di trattamento rispetto ai cittadini nazionali) garantita solo per laccesso al lavoro, coloro che invece hanno gi avuto ingresso nel mercato del lavoro dello Stato ospitante possono godere, senza restrizioni di sorta, di tutte le tutele sancite dal diritto comunitario derivato.45 Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale pu dunque affermarsi che la nozione di lavoratore non viene utilizzata in modo uniforme nel regolamento CE n.1612/68 e nella Direttiva n.360/6846 e ci ha delle ripercussioni per quanto riguarda lallocazione dei diritti stabiliti in tali provvedimenti normativi; infatti, mentre i cittadini degli Stati membri che si spostano alla ricerca di un impiego beneficiano della parit di trattamento solo per laccesso al lavoro, coloro che hanno gi avuto accesso al mercato del lavoro possono pretendere gli stessi benefici sociali e fiscali riservati ai lavoratori nazionali.47 Proprio in materia di accesso allimpiego, il cittadino di uno Stato membro ha il diritto di accedere ad un'attivit subordinata sul territorio di un altro Stato membro alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali;48 non si
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Corte di Giustizia, causa C-138/02, Collins c. Secretary of State for Work and Pensions, 2004. Borzaga M., Nozione di lavoratore, libert di circolazione e diritto di soggiorno in ambito comunitario, RIDL II/2004 p.690 ss. 46 La Direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dellUnione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ha modificato il Regolamento n.1612/68 (abrogati artt. 10 e 11) ed ha abrogato, tra le altre, la Direttiva 68/360. 47 Lart. 7 n.2 del Regolamento n.1612/1968, prevede che il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode, sul territorio di altro Stato membro, degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali. 48 Il Regolamento 1612/68, modificato successivamente dalla Direttiva 2004/38, dispone allart.1 che ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad unattivit subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano loccupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato.Egli gode in particolare, sul territorio di un altro Stato membro, della stessa precedenza riservata ai cittadini di detto Stato, per laccesso agli impieghi disponibili.

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applicano, quindi, ai cittadini comunitari le disposizioni nazionali restrittive (limitazioni in termini quantitativi o percentuali, per impresa o settore, su scala regionale o locale, dell'impiego di stranieri o riserva di taluni impieghi a cittadini nazionali) o discriminatorie (obbligo per gli stranieri di sottostare a procedure o condizioni che non sono richieste ai cittadini nazionali, ad esempio il permesso di lavoro). In sintesi, il lavoratore comunitario deve essere trattato come il lavoratore nazionale per quanto riguarda: le condizioni d'impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento e reintegrazione professionale (regolamento 1612/68, art.7, paragrafi 1 e 4); i vantaggi non direttamente connessi all'impiego, vale a dire i vantaggi sociali e fiscali, compresi la formazione professionale, il sostegno all'alloggio, gli aiuti volti a garantire un minimo di mezzi di sussistenza e quelli destinati alla famiglia (regolamento 1612/68, art.7, paragrafi 2 e 3 nonch art.9); le responsabilit sindacali e di rappresentanza del personale nell'impresa, ad esclusione tuttavia della partecipazione alla gestione di organismi di diritto pubblico (ineleggibilit agli organi di sicurezza sociale). Come riportato in nota, l'intera Direttiva n.68/360 e gli artt. 10 e 11 del Regolamento n.1612/68 sono abrogati dalla Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dellUnione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che raccoglie in un unico testo il complesso corpo legislativo esistente nel settore del diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dellUnione nel territorio degli Stati membri, che era disciplinato da ben due regolamenti e nove direttive. Si tratta di un processo di semplificazione, intento a facilitare lesercizio di tali diritti non solo per i cittadini e per i familiari nellesercizio del diritto di soggiorno, ma anche per le amministrazioni nazionali. Ad esempio, rispetto al passato, con ladozione della Direttiva 2004/38/CE la conservazione dei diritti acquisiti dal familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro non condizionata dalla persistenza del vincolo familiare; la direttiva, infatti, prevede una serie di norme che tendono a garantire il mantenimento del diritto di soggiorno in caso di

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decesso o di partenza del cittadino dellUnione (art. 12 par. 1) o nelle ipotesi di divorzio o annullamento del matrimonio (art.13 par. 2). Inoltre, nel quadro normativo disegnato dalla direttiva, lautonomia della posizione giuridica dello straniero diviene piena con la previsione della possibilit di acquisire un diritto al soggiorno permanente in favore del familiare che risiede legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato ospitante (art. 16 par.2 e art. 18). Infine, l'art. 27 della Direttiva 2004/38, cos come lart.18 TCE, non osta ad una normativa nazionale che limiti il diritto di un cittadino di uno Stato membro di recarsi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione che, da un lato, il comportamento effettivo di tale cittadino costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della societ, e, dallaltra, leventuale provvedimento restrittivo deve essere idoneo a garantire la realizzazione dellobiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguire tale obiettivo. La Corte di giustizia si esprime in questo senso nella sentenza Rutili, 49 ove riconosce l'obbligo, imposto agli Stati membri, di basare i loro provvedimenti esclusivamente sul comportamento individuale dei singoli destinatari, di astenersi da qualsiasi provvedimento in materia che venga utilizzato per fini che esulano dalle esigenze di ordine pubblico o che pregiudichino l'esercizio dei diritti sindacali, di comunicare immediatamente a qualsiasi persona colpita da un provvedimento restrittivo, salvo il caso in cui vi ostino ragioni pertinenti alla sicurezza dello stato, i motivi che sono alla base del provvedimento stesso, ed infine di garantire l'effettivo esercizio dei rimedi giuridici.50 Il risultato conseguito con lemanazione della Direttiva 2004/38 , quindi, la definizione, nellambito dellesercizio dei diritti di circolazione e di soggiorno, di un quadro normativo unico ed omogeneo, comune sia ai soggetti economicamente attivi quanto agli inattivi, venendo meno la frammentazione della disciplina in una pluralit di fonti normative.51

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Corte di Giustizia, causa C-36/75, Roland Rutili c. Ministre de linterieur, 1975. Corte di Giustizia, causa C-36/75, Roland Rutili c. Ministre de linterieur, p.to 2 Dispositivo. 51 Sanna C., La direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dellUnione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, RDIPP, 2006.

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A conclusione di questa trattazione sulla nozione comunitaria di lavoratore, opportuno ricordare come la libera circolazione dei lavoratori, tra le quattro libert fondamentali, garantisca, effettivamente, una mobilit di manodopera adeguata ad un auspicabile progresso economico e sociale. Proprio in virt dellimportanza, pi volte richiamata in questo capitolo, che riveste lart.39 nella legislazione europea, la Corte riconosce a tale articolo efficacia diretta orizzontale, in quanto attribuisce, ai cittadini comunitari, diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare: la suddetta norma non prevede lemanazione di qualsiasi ulteriore normativa da parte delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, ma solamente leliminazione degli ostacoli alla libert di circolazione.52

4. Attuazione e limitazioni alla libert di circolazione dei lavoratori


Tra gli obiettivi che il Trattato istitutivo della Comunit europea si prefigge, lart.2 prevede la realizzazione di un mercato interno caratterizzato dalleliminazione, tra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. La Corte di giustizia ha pi volte affermato che linsieme delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini comunitari lesercizio di attivit di qualsiasi natura nel territorio della Comunit ed osta alladozione da parte degli Stati membri di misure, provvedimenti e azioni che ne ostacolino direttamente o indirettamente lesecuzione o che comunque ne sfavoriscano lattuazione. A queste conclusioni si per arrivati con il passare degli anni e grazie ad uninterpretazione estensiva delle norme in materia, che ha permesso alla

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Trifone L., La libera circolazione dei lavoratori ed il limite dellordine pubblico nella nuova direttiva 2004/38, DCSI, 2005, p .7.

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Corte di far rientrare nellambito di applicazione delle stesse, soggetti ed attivit non espressamente individuati.53 In origine, infatti, il Trattato non ha considerato la persona in quanto tale, prendendola, invece, in considerazione solo nella sua veste di lavoratore ovvero soggetto che svolgesse unattivit economicamente rilevante o che a questo fosse collegata, ad esempio, per vincoli familiari. Ne derivato un sistema organizzato in tre gruppi di norme corrispondenti alle tre principali ipotesi di: - lavoro subordinato (ora art. 39-42); - lavoro autonomo localizzato stabilmente sul territorio di uno Stato membro (ora art. 43-48); - prestazione di servizi che si risolve in unattivit economica prestata occasionalmente in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento (ora art. 49-55). Anche se prevista in parti diverse del Trattato, la regolamentazione della circolazione dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi ispirata al comune principio del divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalit dei cittadini degli Stati membri. La ratio della diversit di disciplina risiede nel fatto che per i lavoratori autonomi, specie se liberi professionisti, spesso sono previsti requisiti specifici per lo svolgimento dellattivit che variano in modo significativo tra Stato di provenienza e quello ospitante, rendendo necessaria unarmonizzazione delle normative degli Stati membri o lindividuazione di criteri comuni al fine di eliminare ogni ostacolo alla libera circolazione. Il contenuto fondamentale del diritto di libera circolazione , in ogni caso, identificabile nella garanzia di parit di trattamento in materia di accesso ai posti di lavoro disponibili, in ciascuno Stato membro, tra lavoratori nazionali e lavoratori provenienti da altri Paesi della Comunit.54

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Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli eventi sportivi, Corso di diritto sportivo, 2005/2006. 54 Galantino. L., Libera circolazione dei lavoratori e ambito di tutela uniforme, DML 3/2004, p.637 ss.

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Levoluzione del diritto,55 grazie anche alle modifiche apportate dal Trattato di Maastricht e alla giurisprudenza della Corte di giustizia, ha sancito il definitivo superamento della concezione mercantilistica del diritto di circolazione che ha dominato dallavvio dellintegrazione europea: non pi, dunque, libert di circolazione in funzione dello svolgimento di unattivit economica, ma libert di circolazione e di soggiorno in quanto cittadini europei (purch economicamente autosufficienti). E dunque lo status di cittadino di uno Stato membro che diventa condizione necessaria e sufficiente per avere diritto a ricevere il medesimo trattamento giuridico in ogni Paese della Comunit.56 Lesigenza di attuare in modo effettivo i principi del Trattato e di adeguare ad essi le legislazioni dei vari Stati membri, ha poi indotto le istituzioni comunitarie (Consiglio, Commissione) ad emanare numerosi regolamenti che costituiscono il migliore strumento per introdurre una disciplina uniforme nei diversi settori della Comunit.57 Tutto ci serve a spiegare il motivo per cui tali regolamenti sono stati utilizzati per assicurare uneffettiva mobilit della forza lavoro allinterno della Comunit stessa, rimuovendo tutti quegli impedimenti di carattere economico e giuridico che potrebbero ostacolarla. Talvolta, poi, linvocazione del diritto comunitario vale ad opporsi ad una norma nazionale che svantaggia il cittadino per il solo fatto di avere esercitato le libert garantite dal Trattato:58 le disposizioni che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il Paese d'origine per esercitare il suo diritto di libera circolazione, o che lo dissuadano dal farlo, costituiscono ostacoli frapposti a tale libert, anche se si applicano indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati.59

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In particolare, rivestono molta importanza tre direttive che negli anni 90 hanno riconosciuto il diritto di circolare liberamente anche in assenza di attivit lavorativa: Direttive nn. 90/364/CEE; 90/365/CEE e 90/366/CEE. Va segnalato che la direttiva sul diritto di soggiorno degli studenti, annullata dalla Corte stata poi reiterata con alcune modifiche, con la Direttiva 93/96/CEE. 56 Lart.18 TCE prevede espressamente che ogni cittadino dellUnione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione allo stesso. 57 Monaco R., Natura ed efficacia dei regolamenti delle Comunit europee, RDI, 1961. 58 Condinanzi M., Lang A., Nascimbene B., Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone, 2006, Giuffr, Milano. 59 Corte di Giustizia, causa C-18/95, Terhoeve c. Inspecteur van de Belastingdienst Particulieren/Ondernemingen buitenland, p.to 39.

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Da ultima, con riferimento alla situazione italiana nellambito dellattuazione effettiva del diritto di libera circolazione, doveroso sottolineare lentrata in vigore del Decreto Legislativo n.30 del 6 febbraio 2007,60 che ha condotto ad una sistematizzazione della materia relativa al diritto dingresso e di soggiorno, temporaneo o permanente, nel territorio degli Stati membri. In virt di tale normativa i cittadini dellUnione hanno diritto di soggiornare in Stati comunitari per periodi non superiori ai tre mesi senza dover adempiere alcuna formalit, salvi il possesso e lesibizione di un valido documento didentit; per permanenze superiori al trimestre stata, viceversa,abolita la carta di soggiorno ed stata introdotta liscrizione anagrafica presso il comune in cui ci si intenda stabilire. La registrazione subordinata allaccertamento della sussistenza di una dimora abituale e di ulteriori requisiti. In dettaglio: lo svolgimento di un lavoro che costituisca fonte di sostentamento o comunque il possesso di beni tali da garantire la dignitosa sopravvivenza, senza dover, cio, rappresentare un onere per lo Stato ricevente;

liscrizione a corsi di studio o formazione professionale; lo status di familiare di un individuo gi soggiornante sul territorio dello Stato ospitante. Nel dettaglio sono considerati familiari il coniuge del migrante, i discendenti diretti con et inferiore ai 21 anni, i discendenti del coniuge, gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge, il partner non coniugato che abbia contratto con il cittadino dellUnione ununione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari lunione registrata al matrimonio, i discendenti e gli ascendenti diretti del partner non coniugato.61 Nellambito della libera circolazione dei lavoratori nel territorio dellUE, sono previste, infine, deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attivit nello Stato membro ospitante e dei loro familiari e limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico.

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Decreto legislativo n.30/2007, Gazzetta Ufficiale N. 72 del 27 Marzo 2007. Roccella M., Treu T., Diritto del lavoro della Comunit europea IV ed., 2007, CEDAM, Padova, p.109 ss.

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La libert di movimento di cui si trattato sinora, infatti, sebbene caratterizzata da un ambito di applicazione assai vasto per quanto riguarda le fattispecie contemplate, non , per, priva di alcuna limitazione. In particolare, nel Trattato sono presenti due deroghe che possono essere invocate per limitare lefficacia delle norme in questione, una di ordine generale, contemplata dal comma III (ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanit pubblica) dellart. 39, ed una pi specifica rubricata al suo comma IV (impieghi nella pubblica amministrazione). In virt di tali disposizioni, quindi, la disciplina comunitaria della libera circolazione dei lavoratori non si applica agli impieghi nella pubblica amministrazione, mentre il diritto di ingresso e di soggiorno pu subire delle restrizioni dettate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit pubblica. Per quanto concerne il primo profilo, lapplicazione della deroga al settore della pubblica amministrazione ha suscitato non pochi inconvenienti; per non lasciare il concetto alla discrezione degli Stati membri, nei quali la situazione giuridica degli agenti delle pubbliche amministrazioni varia notevolmente e che potevano quindi abusare della deroga, la Corte di giustizia ha dovuto definirlo palesemente. Essa ha respinto come criterio il tipo di vincolo giuridico tra lavoratore e amministrazione (operaio, impiegato o funzionario; vincolo di diritto pubblico o di diritto privato) ed ha adottato una concezione funzionale: gli impieghi nell'amministrazione pubblica sono quelli che implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all'esercizio dei pubblici poteri, caratterizzata dall'impiego di un potere vincolante nei confronti dei privati o dal contatto con interessi superiori come la sicurezza interna o esterna dello Stato. 62 Linterpretazione funzionale accolta dalla Corte non giunta a negare che nellimpiego alle dipendenze di enti pubblici possano esistere mansioni le quali presuppongono, in chi le assolve, lesistenza di un rapporto particolare di solidariet nei confronti dello Stato, nonch la reciprocit dei diritti e dei doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di

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Cassese S., La nozione comunitaria di pubblica amministrazione, GDA, 1996, p.915 ss.

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cittadinanza,63 ma servita comunque a ridimensionare lincidenza di tale vincolo.64 In una dichiarazione del 5 gennaio 1988, la Commissione ha elencato le attivit rientranti, a suo parere, nel campo della pubblica amministrazione: si tratta, da un lato, delle funzioni specifiche dello Stato e degli enti assimilabili come le forze armate, la polizia e altre forze dell'ordine,magistratura, l'amministrazione fiscale e la diplomazia; d'altro lato, degli impieghi facenti capo a ministeri, governi regionali e altri organismi affini, banche centrali, nel caso in cui si tratti di personale (funzionari e altri agenti) che esercitano attivit articolate attorno ad un potere giuridico pubblico dello Stato o di un'altra persona giuridica di diritto pubblico.65 Infine, il caso di sottolineare che il limite ammesso dallart.39.4 del Trattato, riguarda esclusivamente laccesso al pubblico impiego: quindi, una volta assunto nellambito della pubblica amministrazione, il lavoratore cittadino di un altro Stato membro non potr subire alcun trattamento discriminatorio in relazione alle condizioni di lavoro.66 Passiamo ora ad esaminare il secondo tipo di deroghe. Il comma III dellart.3967 pone in essere un discrimine di nazionalit potenzialmente assai rilevante: invero, lordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanit pubblica sono dei settori in cui tradizionalmente si esprimeva e si esprime ancora oggi la potest dello Stato. Proprio per tali caratteristiche le deroghe in considerazione non possono essere interpretate che in maniera restrittiva e non possono prescindere da un controllo comunitario delle motivazioni addotte dai vari Stati membri.68

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Corte di Giustizia, causa C-4/91, Annegret Bleis c. Ministere de l'education nationale, 1991, p.to 6. Corte di Giustizia, causa C-149/79, Commissione delle Comunit Europee c. Regno del Belgio, 1980, p.ti 11 e 12; Corte di Giustizia, causa C-473/93, Commissione delle Comunit europee c. Granducato del Lussemburgo, 1996, Dispositivo n.2. 65 Comunicazione 88/C 72/02, pubblicata in GUCE C 72, 18 marzo 1988. 66 Corte di Giustizia, causa C-405/01, Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Espaola c. Administracin del Estado, 2003, p.to 54 (riferimento a causa C-152/73, G.M. Sotgiu c Deutsche Bundespost). 67 Nella materia intervenuta in origine la direttiva 64/221 CEE del Consiglio, in GUCE L 56 del 4 Aprile 1964, adottata in applicazione dellallora art.56 CEE, ma valevole anche nel settore del lavoro indipendente; direttiva modificata dalla attuale 2004/38/CE. 68 Sebbene la lettera dellart. 39 comma IV inducesse a ritenere che la possibilit di invocare le deroghe che esso prevede fosse di esclusivo appannaggio dello Stato, la Corte ha ritenuto nella

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Se lo Stato conserva, dunque, una certa discrezionalit nella materia, anche in ragione del fatto che il diritto comunitario non impone agli Stati membri una scala uniforme di valori in merito alla valutazione dei comportamenti che possono essere ritenuti contrari allordine pubblico,69 esso non in nessun caso legibus solutus (non soggetto alla legge), poich ladozione di provvedimenti restrittivi sottoposta al sindacato del diritto comunitario ed in particolare del principio di proporzionalit tra comportamento ritenuto antisociale e norma sanzionatoria. La riserva relativa alla sanit pubblica ben definita visto che essa pu intervenire solo in caso di malattie o infermit enumerate nella direttiva 64/221 (abrogata dalla 2004/38); nel dettaglio, anche nei confronti di misure restrittive motivate da ragioni di sanit pubblica si impone il rispetto del principio di non discriminazione.70 A questo si aggiunge, inoltre, limpossibilit di attuare un provvedimento di espulsione71 dal territorio dello Stato ospitante qualora la malattia insorga una volta trascorso un periodo di tre mesi allarrivo dellinteressato(art.29.2 Direttiva 2004/38/CE). Per quanto riguarda il concetto di ordine pubblico rilevante, esso non ricomprende lordine pubblico economico, quindi provvedimenti restrittivi dei diritti di mobilit territoriale non potrebbero essere ispirati da fini economici(art.27.1); tali provvedimenti non sono automaticamente giustificati dallesistenza di condanne penali.72 La Direttiva 2004/38 prevede, infine, di adottare i provvedimenti in materia di ordine pubblico esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati,

sentenza 15 Dicembre 1995, causa C-415/93, J.M. Bosman c. Union royale belge des socits de football association ASBL, di estendere tale prerogativa anche ai privati. 69 Corte di Giustizia, cause riunite 115 e 116/81, Adoui e Cornuaille c. Stato belga,1982, p.to 8. 70 Direttiva 2004/38/CE le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libert di circolazione sono quelle con potenziale epidemico.nonch altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempre che esse siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini dello Stato membro ospitante. 71 Conclusioni Avvocato generale Christin Stix-Hackl, Corte di Giustizia, cause riunite C-482/01 e 493/01, Georgios Orfanopoulos c. Land Baden-Wrttemberg e Raffaele Oliveri c. Land BadenWrttemberg, 2003: Il diritto nazionale non potrebbe pertanto, in casi come quelli in esame nelle cause principali, prevedere necessariamente l'espulsione in quanto ci significherebbe un impedimento all'esame del caso specifico. 72 Corte di Giustizia, causa C-503/03, Commissione delle Comunit europee c. Regno di Spagna, 2006, p.to 44.

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sancendo quindi linammissibilit di provvedimenti di espulsione basati su mere considerazioni di prevenzione generale.73 Il comportamento personale, dunque, deve consistere in una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettivit.74 La Direttiva 2004/38/CE ha espressamente sancito che i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, rispettano il principio di proporzionalit,75 mostrando,daltra parte, una certa diffidenza verso ladozione dei provvedimenti di espulsione; infatti, lart.28 della suddetta direttiva dispone che quanto pi forte lintegrazione dei cittadini dellUnione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto pi elevata dovrebbe essere la protezione contro lallontanamento,76 rendendo, quindi, pertinente una valutazione circa la durata del soggiorno dellinteressato, il suo stato di salute, la situazione familiare ed economica, il suo livello di integrazione nella societ, prima di adottare un provvedimento di allontanamento dallo Stato ospitante.77 Come statuito in via generale dalla Corte di giustizia, per aversi tali deroghe al principio di libera circolazione dei lavoratori devono sussistere quattro condizioni relative a tali limitazioni: devono applicarsi in modo non discriminatorio; devono essere giustificate da motivi imperiosi di interesse pubblico; devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito; non devono andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.

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Corte di Giustizia, causa C-67/74, Bonsignore c. Oberstadtdirektor der Stadt Koln, 1975; Corte di Giustizia causa C-441/02, Commissione c. Repubblica federale di Germania, 2006. 74 Corte di Giustizia, C-348/96, Procedimento penale a carico di Donatella Calfa, 1999, p.to 21: riferimento a causa C-30/77, Regina c. Pierre Bouchereau, 1977, p.to 35. 75 Corte di Giustizia, causa C-112/00, Eugen Schmidberger, Internationale Transporte und Planzge c. Republik sterreich, 2003, p.to 80: si sostiene che restrizioni allesercizio dei diritti fondamentali possono essere apportate a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito da tali restrizioni, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa dei diritti tutelati (p.to 80); Corte di Giustizia, causa C-100/01, Ministre de lIntrieur c. Olazabal, 2002, p.to 25. 76 Direttiva 2004/38/CE, Considerando n.24. 77 Trifone L., La libera circolazione dei lavoratori ed il limite dellordine pubblico nella nuova direttiva, DCSI, 2005, p.7 ss.

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In base alla giurisprudenza, dunque, gli Stati non hanno il potere di ricorrere alla riserva di ordine pubblico se non a titolo limitato, mentre le misure da essi adottate non possono assumere carattere collettivo n rispondere ad un intento di prevenzione generale.78 Inoltre, in virt del principio della parit di trattamento, occorre che il comportamento in questione sia sanzionabile anche quando si manifesti per opera di cittadini nazionali.79 Per concludere questa rassegna sullattuazione del principio di libera circolazione dei lavoratori, opportuno volgere uno sguardo alle prospettive future di questultimo nellEuropa che verr. Di recente lUE ha dovuto affrontare un importante processo di allargamento, aprendo le proprie porte a paesi caratterizzati da economie e societ dotate di proprie specificit (in primis il costo della manodopera) tali da ponderare attentamente nel programma di armonizzazione europea. Per mantenere l'alto grado di accettazione della libera circolazione dei lavoratori anche dopo l'ampliamento, vanno presi provvedimenti per la strutturazione temporale, spaziale e settoriale dei flussi migratori prevedibili. Nel fare ci deve essere assicurato, innanzitutto, che il potenziale migratorio dei paesi candidati ad entrar a far parte dellUnione europea nel corso degli anni, non si concentri su un numero ridotto di Stati membri confinanti. Soprattutto nelle attuali regioni situate alle frontiere esterne dell'UE occorre evitare di introdurre la piena libert di circolazione per i lavoratori senza fasi transitorie, allo scopo di evitare possibili distorsioni locali in campo economico e sociale. Infatti, considerate le notevoli differenze di potere d'acquisto e di salario, vi un rischio particolarmente elevato che i lavoratori transfrontalieri dei paesi neo-entrati o entranti, accettino retribuzioni che non basterebbero per vivere nel paese in cui lavorano e ci causerebbe disoccupazione tra i lavoratori residenti sul posto, nonch distorsioni di concorrenza tra le imprese: in questo modo, l'accettazione della libera circolazione dei lavoratori ne risulterebbe incrinata. Inoltre, la libera circolazione diventer un fattore pi importante nei prossimi decenni di quanto lo sia stato negli ultimi trentanni, sia dal punto

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Corte di Giustizia, causa C-33/07, Ministerul Administratiei si Internelor-Directia General de Pasapoarte Bucuresti c. Jipa, 2008,p.to 42. 79 RDIPP, vol. 45/II, 2009, p.507 ss.

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di vista dei singoli che da quello del mercato del lavoro, principalmente per via dei mutamenti demografici e di quelli che concernono la vita lavorativa. Invero, la circolazione avr carattere diverso rispetto agli anni '60 e '70 del secolo scorso: oggi, e sempre di pi in futuro, saranno i possessori di qualifiche e specializzazioni rare a trasferirsi con maggiore frequenza, mentre i lavoratori non qualificati saranno meno richiesti.80 Anche l'aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la riduzione degli squilibri tra uomini e donne avranno un impatto sulla mobilit geografica, in quanto spesso la mobilit riguarda due persone con due carriere distinte. Rimuovendo le restrizioni ancora esistenti alla mobilit dei lavoratori, migliorando le informazioni sulle opportunit di lavoro e rafforzando gli incentivi alla mobilit si contribuirebbe ad affrontare i deficit di specializzazioni incipienti e si stimolerebbero l'occupazione e la crescita economica. Nonostante il diritto alla libera circolazione dei lavoratori sia diventato uno dei meccanismi giuridici pi complessi creati dallordinamento comunitario per i cittadini europei, esistono ancora gravi difetti e lacune, che ne sottolineano numerose cause intentate dinanzi alla Corte di giustizia nel corso degli anni. Il Gruppo di alto livello sulla libera circolazione delle persone, istituito dalla Commissione nel 1999, ha concluso che, sebbene la libera circolazione sia una realt giuridica e tutti i meccanismi necessari siano operativi, le norme stesse vanno applicate in maniera efficace non solo alla lettera, ma anche nello spirito in cui sono state intese.

5. Libert di circolazione e principio di non discriminazione


La libera circolazione dei lavoratori subordinati viene assicurata dal Trattato attraverso tre fondamentali garanzie: il divieto di discriminazioni fondate

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Piano di azione per la libera circolazione Comunicazione della Commissione, 1997, www.lexunict.it, Labourweb.

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sulla nazionalit per quel che concerne limpiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro; il diritto di soggiornare sul territorio dello Stato membro al fine di svolgere un lavoro ed anche dopo avere occupato un impiego conformemente alle disposizioni che disciplinano loccupazione dei lavoratori nazionali; il diritto di godere di un sistema di sicurezza sociale che consenta, da un lato, laccumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, dallaltro il pagamento delle prestazioni nel luogo di residenza dei lavoratori, indipendentemente dal luogo in cui sono stati versati i contributi. Le tutele sopraccitate sono correlate fra loro, infatti non sarebbe possibile accedere allimpiego in uno Stato membro, senza che venga garantito anche il diritto di soggiornare in esso. In mancanza di una disposizione comunitaria che fissi un termine per tale soggiorno, compete ai singoli Stati membri determinare una durata ragionevole,81 la quale consenta ai cittadini comunitari di prendere conoscenza delle condizioni di lavoro sul territorio dello Stato ospitante;82 tuttavia, anche dopo la scadenza di tale termine, il cittadino non pu essere obbligato a lasciare lo Stato ospitante, qualora dimostri che continua a cercare lavoro ed ha effettive possibilit di essere assunto.83 La materia relativa allingresso e al soggiorno nel territorio nazionale di cittadini stranieri (soprattutto non comunitari da qualche anno a questa parte) oggetto di discussioni, dal livello pi basso delle opinioni scambiate in ambito non istituzionale ai massimi sistemi della legislazione statale. A livello europeo, da anni, si sviluppata unefficace azione contro la discriminazione che comprende, ormai, oltre alla discriminazione nazionale e basata sulla razza o lorigine etnica (quelle ovviamente pi pertinenti in

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Corte di Giustizia, causa C-171/91, Tsiotras c. Landeshauptsatdt Stuggart, 1993, p.to 13. Corte di Giustizia, causa C-292/89, The Quenn c. Immigration Appeal Tribunal, ex parte G.D.Antonissen, 1991, p.to 21: In mancanza di una disposizione comunitaria che fissi un termine per il soggiorno dei cittadini comunitari in cerca di occupazione in uno Stato membro, il termine di sei mesi, come quello stabilito nella normativa nazionale considerata nella causa principale, non risulta, in via di principio, insufficiente per consentire agli interessati di prendere conoscenza, nello Stato membro ospitante, delle offerte di lavoro corrispondenti alle loro qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunti. Tale termine non pregiudica pertanto l' effetto utile del principio della libera circolazione. 83 Corte di Giustizia, causa C-344/95, Commissione delle Comunit Europee c. Regno del Belgio, 1997, p.to17; Corte di Giustizia, causa C-292/89 The Quenn c. Immigration Appeal Tribunal, ex parte G.D.Antonissen, 1991, p.to21.

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questo elaborato), anche quelle basate sul sesso, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'et o le tendenze sessuali. Come gi accennato in precedenza, nellambito della libera circolazione dei lavoratori trova specifica applicazione il divieto di discriminazione: a partire dal regolamento 1612/68,84 tale divieto stato oggetto di unintensa attivit giurisprudenziale. Il divieto contenuto nellart.39 TCE rappresenta nel sistema del diritto comunitario un raffinato strumento di azione contro ogni possibile resistenza campanilistica e protezionistica degli Stati membri nel settore del lavoro. Tale norma volta non solo a colpire le discriminazioni c.d. dirette o palesi (ed in un certo senso pi rudimentali) basate sulla cittadinanza, ma vieta anche le discriminazioni indirette (dissimulate), quelle che, pur non riferendosi direttamente al requisito della nazionalit, hanno come scopo o effetto esclusivo o principale quello di escludere i cittadini degli altri Stati membri dallimpiego offerto o comunque di essere pi sfavorevoli, in particolare, per i lavoratori migranti che per quelli nazionali.85 In riferimento alle discriminazioni dirette, il pubblico impiego stato per diversi anni terreno fertile di tale tipologia di discriminazioni, in particolare nellaccesso allimpiego. Un consistente numero di discriminazioni colpisce le donne in occasione della maternit e del godimento del relativo congedo; il leading case in materia di discriminazioni dirette rappresentato dalla sentenza Dekker,86 in cui la Corte stabilisce che il rifiuto di stipulare un contratto di lavoro con una donna in stato di gravidanza, giudicata precedentemente idonea a svolgere lattivit in questione, costituisce una discriminazione diretta anche qualora risulti che nessun candidato di sesso maschile si sia presentato per occupare il posto vacante. Lo stesso giorno, nel caso Hertz, 87 la Corte

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Regolamento 1612/68/CE, lart.3 riconosce ai cittadini comunitari il diritto di accedere ad unattivit di lavoro subordinata negli Stati membri alle medesime condizioni previste per i cittadini degli stessi, imponendo, a tal fine, agli Stati membri di eliminare le disposizioni di carattere legislativo o amministrativo o le pratiche amministrative, che impongano direttamente o indirettamente restrizioni al riguardo. 85 Corte di Giustizia causa C-419/92, Scholz c. Opera universitaria di Cagliari, 1994, p.to 2; causa C237/94, John O'Flynn c. Adjudication Officer, 1996, p.to 17. 86 Corte di Giustizia, causa C-177/88, Elisabeth Johanna Pacifica Dekker c. Stichting Vormingscentrum voor Jong Volwassenen Plus, 1990. 87 Corte di Giustizia, causa C-179/88, Handels-OG Kontorfunktionaerernes Forbund I Danmark (acting for Hertz) c. Dansk Arbejdsgiverforening, 1990.

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sentenzia che anche il licenziamento di una lavoratrice in stato interessante da considerarsi una discriminazione che viola direttamente il diritto comunitario. Per quanto riguarda le discriminazioni indirette, si pu ravvisare come la nozione comunitaria delle stesse sia una costruzione quasi esclusivamente giurisprudenziale;88 proprio tale nozione ha rappresentato, ad esempio, il punto di partenza dellopera della Corte che, a cominciare dalle sentenze Jenkins89 e Bilka,90 ha definito un concetto di discriminazione di sempre pi ampia portata. Esempi di discriminazioni indirette possono considerarsi, oltre alle tradizionali discriminazioni di genere, lomessa valutazione di titoli o meriti acquisiti dal candidato in base alle norme del proprio paese dorigine91 ovvero la richiesta, ai fini di un concorso per lassunzione, che i candidati comprovino le loro cognizioni linguistiche mediante un unico diploma rilasciato in una sola provincia di uno Stato membro92 93 In riferimento a tale tipologia di discriminazioni, lanalisi circa la sussistenza di una discriminazione indiretta si sviluppa in tre fasi: - individuazione di un trattamento economico o normativo formalmente eguale; - accertamento del fatto che tale trattamento danneggi una percentuale maggiore di stranieri; verifica della mancanza di una giustificazione obiettiva del trattamento. Invero, secondo una giurisprudenza innovativa della Corte di giustizia, anche le normative indistintamente applicabili, che non comportano n direttamente n indirettamente un trattamento deteriore del cittadino comunitario rispetto al nazionale, se, tuttavia, hanno per effetto o per oggetto di pregiudicare in qualche modo laccesso al mercato del lavoro o se impongono in capo al comunitario un peso, un onere eccessivo e non -

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Rivara A., Discriminazione, giustificazione ed effettivit nella recente giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunit europee, LD I/1995, p.81. 89 Corte di Giustizia, causa C-96/80, Jenkins c. Kingsgate, 1981. 90 Corte di Giustizia, causa C-170/84, Bilka-Kaufhauss GmbH c. Weber von Harts,1986. 91 Corte di Giustizia, causa C-419/92, Scholz c. Opera universitaria di Cagliari, 1994. 92 Corte di Giustizia, causa C-281/98, Roman Angonese c. Cassa di Risparmio di Bolzano Spa, 2000. 93 Galantino L., Libera circolazione dei lavoratori e ambito di tutela uniforme, DML, Saggi, 3/2004, p.641.

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proporzionato rispetto allobiettivo che vogliono raggiungere, possono essere vietate, se non giustificate da interessi generali,94 anche se si applicano senza distinzione riguardo alla nazionalit. La Corte ha, inoltre, esteso il divieto di discriminazione, non solo agli atti della pubblica autorit, ma anche alle norme di qualsiasi natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro salariato;95 labolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone sarebbe infatti compromessa se leliminazione delle limitazioni stabilita da norme statali, potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dallesercizio dellautonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblica (es. federazioni nazionali ed internazionali). Per quanto riguarda le azioni positive, esse compaiono, a pieno titolo, nella Direttiva 2000/4396 e nella Direttiva 2000/78.97 In particolare, lart.5 della Direttiva 2000/43 afferma che allo scopo di assicurare leffettivit e completa parit, il principio della parit di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette ad evitare o compensare svantaggi connessi con una determinata razza o origine etnica. A livello giurisprudenziale, lunica pronuncia della Corte sulla discriminazione razziale rappresentata dalla sentenza Feryn98 in cui si considerano le dichiarazioni pubbliche, rese da un datore di lavoro circa la sua volont di non assumere dipendenti aventi una certa origine etnica o razziale, come elemento consono a far presumere lesistenza di una politica discriminatoria ai sensi della Direttiva 2000/43, essendo tali dichiarazioni idonee a dissuadere fortemente determinati candidati dal presentare le proprie candidature e, quindi, ad ostacolare il loro accesso al mercato del lavoro.99 Si tratta, quindi, di direttive la cui attuazione ha contribuito alla creazione di uno spazio sociale entro il quale sono vietati atti e comportamenti di

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Corte di Giustizia , causa C-106/91, Ramrath c. Ministre de la Justice, 1992. Corte di Giustizia, causa C-346/06, Ruffert c. Land Niedersachsen, 2007. 96 Direttiva 2000/43/CE che attua il principio della parit di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dallorigine etnica. 97 Direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parit di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. 98 Corte di Giustizia, causa C-54/07, Centrum voor Gelijkheid van Kansen en voor Racismebestrijding c. Firma Feryn NV, 2008. 99 Corte di Giustizia delle Comunit europee, causa C-54/07, NGL, 2008, p.674 ss.

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differenziazione discriminatoria lesivi della libert e dignit della persona; inoltre, grazie alle azioni collettive ed alle azioni positive si garantisce, a coloro che appartengono ai gruppi cosiddetti sfavoriti, uneffettiva uguaglianza delle possibilit.100 Tuttavia, in presenza di particolari interessi statali da salvaguardare, sono ammissibili delle deroghe al principio di non discriminazione; gli interessi meritevoli di tutela, in particolar modo, possiamo distinguerli in cause di giustificazione tipiche (moralit pubblica, ordine pubblico, salvaguardia della saluta e dei diritti umani, ecc...) e cause di giustificazione atipiche (salvaguardia delle norme costituzionali). Le disposizioni che possono causare effetti svantaggiosi per i lavoratori provenienti da altri paesi membri, sono ammesse se giustificate da considerazioni, indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati e se adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito dallordinamento nazionale. 101 Come anticipato nei paragrafi precedenti, lart. 17 TCE definisce cittadino dellUnione europea chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. Tale norma vieta innanzitutto, al suo comma II, ogni discriminazione fondata sulla nazionalit, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda limpiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro (principio del c.d. trattamento nazionale); parimenti, in positivo, essa specifica anche la portata di tale libert, che prevede il diritto di spostarsi nel territorio degli Stati membri al fine di promuovere la libera circolazione di chi intende fornire prestazioni lavorative. Il tipo di rapporto giuridico da cui traggono origine dette prestazioni irrilevante, poich il principio di non discriminazione vale indistintamente per tutte le attivit lavorative, subordinate o indipendenti. Secondo il principio del trattamento nazionale, i lavoratori di uno Stato membro (i comunitari) non possono ricevere un trattamento diverso da quello che lo Stato membro di accoglienza riserva ai propri cittadini (i nazionali). Tale principio impone un obbligo minimo agli Stati membri:

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Vizioli M., Il diritto comunitario tra principio di non discriminazione e tutela delle differenze, DML, 2004. 101 Corte di Giustizia, causa C-237/94, John OFlynn c. Adjudication Officer, 1996, p.to 19.

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essi dovranno garantire almeno lo stesso trattamento del nazionale al lavoratore comunitario.102 Lavvento della cittadinanza europea evidenzia un processo di mutamento per il quale i singoli diventano oggetto di considerazione dellordinamento europeo nella pienezza della loro persona e degli interessi e dei valori che trovano espressione nei principi generali di protezione delluomo.103 In base a tale sistema le istituzioni comunitarie si impegnano a considerare i cittadini europei nella globalit e completezza della loro condizione umana, e non soltanto nella prospettiva limitata e limitante dellattuazione del mercato.104 A riguardo risulta particolarmente interessante la sentenza Martinez Sala, 105 nella quale la Corte ha riconosciuto al cittadino legalmente residente nel territorio di uno Stato membro ospitante, il diritto di avvalersi dellart.6 del Trattato in tutte le situazioni che rientrano nel campo ratione materiae del diritto comunitario. Nel dettaglio lAvvocato generale La Pergola ha affermato che lart.8a ha enucleato dalle altre libert di circolazioneil diritto non solo di circolare, ma anche di risiedere in ogni Stato membro: un diritto primario, nel senso che esso figura come il primo dei diritti ascritti alla cittadinanza dellUnioneun diritto non solo derivato, ma inseparabile dalla cittadinanza europea, la quale divenuta la situazione giuridica di base garantita al cittadino di qualsiasi Stato membro. Ed incontestabile che il diritto di non discriminazione, cos come quello di uguaglianza costituiscono parte di un quadro di diritti fondamentali dei cittadini europei, come peraltro ribadito dalla Carta di Nizza.106 Il principio di non discriminazione , infatti, diffusamente riconosciuto come manifestazione del pi generale principio di eguaglianza. Il principio

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Roccella M., Treu T., Diritto del lavoro della Comunit europea, IV ed., 2007, CEDAM, Padova, p. 87 ss. 103 Militello M.G. Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (artt. 3 Cost.; art. 20 e art. 21 Carta di Nizza), Working paper C.S.D.L.E. Massimo DAntona. INT 77/2010. 104 Borelli S., Libera circolazione dei lavoratori subordinati, Digesto IV, Disc.Priv.Sez.Comm., Aggiornamento, II. 105 Corte di Giustizia, causa C-85/96, Maria Martinez Sala c. Freistaat Bayern, 1998. 106 Lart. 20 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, peraltro, riferisce luguaglianza davanti alla legge non gi ai cittadini comunitari ma a tutte le persone, ampliando cos il riferimento soggettivo contenuto nella maggior parte delle formulazioni analoghe presenti nelle Costituzioni degli Stati membri.

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generale di uguaglianza, di cui il divieto di discriminazione espressione specifica, fa parte dei principi fondamentali del diritto comunitario e impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che un siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato;107 in caso contrario, e in assenza di ragionevoli giustificazioni, il trattamento deve considerarsi discriminatorio. Il principio generale di uguaglianza costituisce, quindi, uno dei principi ordinatori della Comunit poich le disposizioni sulluguaglianza di fronte alla legge appartengono alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.108 Tale principio, invece, trova nel Trattato riconoscimento espresso e generale nella forma di un divieto di discriminazione fondato sulla nazionalit, con applicazioni specifiche relativamente alla libert di circolazione delle merci e dei servizi e alla libert di stabilimento. Nel Trattato istitutivo il principio di eguaglianza trova espresso riconoscimento solo al fine di rendere operative le libert previste, dunque in funzione degli obiettivi di integrazione e non come principio e/o diritto fondamentale. questa impostazione stata corretta con laffermazione secondo cui il principio generale di uguaglianza, di cui il divieto di discriminazione a motivo della cittadinanza solo un espressione specifica. uno dei principi fondamentali del diritto comunitario. Anche se nel Trattato CE non si trova cenno diretto al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma un generale principio di non discriminazione in relazione alla nazionalit, luguaglianza pu essere definita come lassenza di discriminazioni ingiustificate.109 Nella carta di Nizza del 2000,110 espressamente dedicata ai diritti fondamentali dellUnione europea, alluguaglianza , invece, dedicato

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Corte di Giustizia, causa c-15/95, EARL de Kerlast c. Union rgionale de coopratives agricoles (Unicopa) e Cooprative du Trieux, 1997. 108 Loy G., Lavoratori extracomunitari. Disparit di trattamento e discriminazione, RGL n.4/2009. Loy sostiene che il fondamento del diritto rappresentato dal principio di uguaglianza.gli Stati democratici operano tale riconoscimento sia nel richiamare i princpi e le norme internazionali, sia nel dare attuazione al principio di uguaglianza allinterno dellordinamento. 109 Fabris P., Uguaglianza davanti alla legge e principi generali dellordinamento comunitario, LG n.11/2007. 110 Carta europea dei diritti fondamentali(CEDU), progettata dalla Convenzione a ci istituita dopo il Consiglio europeo di Colonia del 1999.

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lintero capo III, che si apre con lart.20, il quale dispone luguaglianza delle persone davanti alla legge: tale articolo stato indicato come corrispondente al principio generale di diritto che figura in tutte le Costituzioni europee, sottolineando lintenzione degli organi comunitari di considerare le tradizioni costituzionali comuni ai paesi membri come punti di riferimento per individuare i diritti fondamentali protetti a livello sovranazionale.111 Tuttavia, confrontando il principio di eguaglianza secondo la Costituzione italiana e secondo la Carta di Nizza, palese come lart.3 comma II della Costituzione offra copertura costituzionale alla legislazione sociale fatta di norme destinate a tutelare i soggetti svantaggiati per garantire uneffettiva eguaglianza che si estenda oltre l'eguaglianza formale, mentre a livello comunitario non si pu ravvisare un principio di eguaglianza sostanziale equiparabile a quello contenuto nella Costituzione italiana. A livello comunitario spesso sono i divieti di discriminazione, applicazione del principio di eguaglianza formale, a coprire, in alcuni casi, gli spazi lasciati vuoti dal diritto sociale sovranazionale.112 La Carta dei diritti fondamentali dellUnione sancisce, infine, allart.21, linserimento della non discriminazione fra i diritti fondamentali della persone: vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'et o le tendenze sessuali. Tale precetto costituisce un ampliamento di tipo universalistico della tutela antidiscriminatoria La Carta riunisce in un unico testo i diritti civili, politici, sociali enunciati in fonti diverse di rango internazionale, continentale e nazionale.113
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Militello M.G. Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (artt. 3 Cost.; art. 20 e art. 21 Carta di Nizza), Working paper C.S.D.L.E. Massimo DAntona. INT 77/2010, p.11. 112 Militello M.G. Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea (artt. 3 Cost.; art. 20 e art. 21 Carta di Nizza), Working paper C.S.D.L.E. Massimo DAntona. INT 77/2010, p.19 ss. 113 Dichiarazione universale dei diritti delluomo, Convenzione delle Nazioni Unite sulleliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, Patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti civili e politici ed ai diritti economici, sociali e culturali, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali,ecc. Vizioli M. in Il diritto comunitario tra principio di non discriminazione e tutela delle differenze, DML, 2004:

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Tra le innovazioni pi significative di questo documento, ritengo doveroso citarne tre: innanzitutto, la presenza di un catalogo, seppur modesto, dei diritti fondamentali; la seconda importante considerazione riguarda la sussidiariet istituzionale,114 introdotta allart.53 della Carta di Nizza, il quale stabilisce che nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti delluomo e delle libert fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dalle costituzioni degli Stati membri; infine, la Carta di Nizza prende in considerazione anche i diritti dei non cittadini, prevedendo, allart.34 comma II, che i diritti previsti sono patrimonio di ogni individuo che risieda o si sposti legalmente allinterno dellUnione. Molto si discusso sul carattere non giuridicamente vincolante della Carta di Nizza del 2000, ma il fatto che essa sia stata firmata non solo dalle istituzioni europee, ma anche dai Capi di Stato e di governo, e, ancora prima, che essa sia stata redatta su un preciso mandato dei Parlamenti nazionali, 115 fa si che il valore di tale documento oltrepassi la sua natura giuridica. In effetti, indipendentemente dalle concrete prospettive di inserimento nei trattati comunitari, la Carta di Nizza si distinta per un metodo di adozione della stessa caratterizzato dalla trasparenza e dallapertura verso gli apporti della societ civile: un metodo che presenta le giuste credenziali per divenire un modello di riferimento costante nei processi di revisione dei trattati comunitari.116 La Corte di giustizia, ad esempio, nella sentenza del 13 marzo 2007 causa Unibet,117 pur affermando la non equiparabilit della Carta al diritto primario a causa della mancanza di effetti giuridici vincolanti, ritiene che la

lautrice sottolinea come tali fonti, sinteticamente citate, riconoscono luniversalit del diritto di tutti alluguaglianza dinanzi alla protezione contro le discriminazioni. 114 Ballestrero M.V., Dalla politica ai diritti. I diritti sociali nella carta dellUnione europea, LD, n.4/2000. 115 Vizioli M., Il diritto comunitario tra principio di non discriminazione e tutela delle differenze, DML n. 3/2004. 116 Giubboni S., Da Roma a Nizza. Libert economiche e diritti sociali fondamentali nellUnione europea, QDLRI n.27/2004, p.21 ss. 117 Corte di Giustizia, causa C-432/05, Unibet London e Unibet International c. Justitiekanslern, p.to 37: il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto comunitario..che stato ribadito anche allart.47 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.

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Carta di Nizza ha fornito indicazioni rilevanti sui diritti fondamentali garantiti dallordinamento giuridico comunitario. Nella stessa direzione si espresso in precedenza, lAvvocato generale Tizzano in una sentenza (sentenza Bectu) del 1991,118 affermando che la Carta di Nizza si qualifica, rispetto ad altre dichiarazioni di diritti, come forma di solenne e specifica codificazione dei principi posti a base dellordinamento sovranazionale. Il riconoscimento effettivo della rilevanza giuridica della Carta di Nizza, si ha, finalmente, con lentrata in vigore il 1gennaio 2009 del Trattato di Lisbona,119 il cui art.6 riconosce che i diritti, le libert e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea hanno lo stesso valore giuridico dei trattati, per la cui interpretazione ed applicazione la Carta stessa la fonte (comma I), e che lUnione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali (comma II).120 La Corte di giustizia delle Comunit europee in pi decisioni si ispirata ai principi fondamentali Cedu, operando un vero e proprio graduale recepimento nel diritto comunitario del testo della Convenzione, preparandone il formale assorbimento sul piano dei principi fondamentali, avvenuto con lentrata in vigore del Trattato di Lisbona. 121 Lentrata in vigore del Trattato di Lisbona delinea un nuovo sistema costituzionale europeo, in cui la Corte di giustizia, contribuisce a creare un diritto interno e comunitario orientato e bilanciato dai principi della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, che assumono diretta effettivit. Tra le novit del Trattato spicca sicuramente il rafforzamento dei poteri e dei doveri dei giudici nazionali; infatti, la Corte di giustizia di recente, accogliendo linvito dellAvvocato generale Yves Bot nella sentenza del 19 gennaio 2010,122 ha chiarito che spetta al giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non
118 119

Corte di Giustizia, causa C-173/99, Bectu c. Secretary of State for Trade and Industry, 2001. Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunit europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007. 120 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali stata firmata a Roma il 4 novembre 1950. 121 De Michele V., Trattato di Lisbona e diritto del lavoro italiano: alla ricerca di un nuovo sistema costituzionale delle fonti e delle tutele, Il lavoro nella giurisprudenza 2/2010, p.114. 122 Corte di Giustizia, causa C-555/07, Kucukdeveci c. Swedex GmbH&Co.KG, 2010.

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discriminazione disapplicando, se necessario, la normativa nazionale contraria. In tale modo la Corte di giustizia demolisce apertis verbis anche il giudizio di costituzionalit interno di norma nazionale in contrasto con il diritto comunitario, mostrando la crisi del ruolo delle Corti Costituzionali nel nuovo sistema delle fonti.123 Il rafforzamento dei poteri del giudice nazionale da parte della Corte di giustizia attraverso il principio comunitario di uguaglianza e non discriminazione, che consente la diretta disapplicazione o non applicazione124 di norme in contrasto con il diritto comunitario,125 sposta allinterno dellordinamento, e senza la necessit di ulteriori interventi interpretativi esterni al giudizio, la soluzione del conflitto tra regole sovranazionali e nazionali. Tra le altre novit principali del Trattato si segnalano, in particolare: la possibilit di iniziativa dei cittadini;126 il riconoscimento della possibilit degli Stati membri di recedere dallUnione; lestensione a nuovi ambiti del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio europeo;127 listituzione della figura del presidente del Consiglio europeo, eletto per un mandato di due anni e sei mesi, rinnovabile, e dellalto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza; la competenza dellUnione per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri in settori quali lindustria, la cultura, lo sport (come vedremo nel capitolo 2), il turismo, la cooperazione amministrativa ecc.128

123

De Michele V., Trattato di Lisbona e diritto del lavoro italiano: alla ricerca di un nuovo sistema costituzionale delle fonti e delle tutele, LG 2/2010, p.115. 124 Corte di Giustizia, causa C-341/08, Domnica Petersen c. Berufungsausschuss fr Zahnrzte fr den Bezirk Westfalen-Lippe, p.to 81: .spetta al giudice nazionale investito di una controversia tra un singolo e un organismo amministrativo, lasciare inapplicata tale normativa, anche se questultima precedente alla direttiva comunitaria e il diritto nazionale non ne prevede la disapplicazione. 125 De Michele V., Trattato di Lisbona e diritto del lavoro italiano: alla ricerca di un nuovo sistema costituzionale delle fonti e delle tutele, LG 2/2010: lautore sottolinea come in questo caso non vi sia distinzione tra diritto comunitario primario e derivato. 126 Europa.eu vicepresidente della Commissione europea Margot Wallstrom, un gruppo di almeno un milione di cittadini dei vari Stati membri potr invitare la Commissione europea a presentare nuove proposte. 127 Europa.eu-Trattato di Lisbona. Dal 2014 il calcolo della maggioranza qualificata si baser sulla doppia maggioranza degli Stati membri e della popolazione, raggiunta quando una decisione approvata da almeno il 55% degli Stati membri che rappresentino, almeno, il 65% della popolazione dellUnione. 128 Gheido M.R., Casotti A., Entra in vigore il Trattato di Lisbona, DPL 1/2010.

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Alla luce del riconoscimento del valore giuridico della Carta da parte del Trattato di Lisbona, interessante notare come la Commissione si espressa, in passato, nella Comunicazione sulla natura della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, indipendentemente dalla forza giuridica che avrebbe potuto assumere la Carta stessa, sostenendo che non troppo azzardato prevedere che la Carta dispiegher i propri effetti anche sul piani giuridico, a prescindere dallo status che le verr conferito. chiaro che il Consiglio e la Commissione, chiamati a proclamare solennemente questo testo, potranno difficilmente ignorarlo in seguito, quando agiranno in sede legislativa. La Carta diventer in ogni caso un testo vincolante attraverso linterpretazione che la Corte dovr dare dei principi generali del diritto comunitario 129 Daltronde, gi in Stauder 130 la Corte di giustizia europea ha assunto definitivamente su di s il ruolo di garante dei diritti fondamentali in ambito comunitario, affermando che i diritti fondamentali della persona fanno parte dei principi generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce losservanza. In particolare, in tale occasione la Corte ha affermato che una decisione, quando sia destinata a tutti gli Stati membri, debba essere applicata ed interpretata in maniera uniforme, utilizzando a ben vedere il canone della ragionevolezza applicato in base alla ratio legis (in questo caso quella della decisione), intesa quale scopo obiettivo della norma.

129

Comunicazione della Commissione sulla natura della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea/COM/2000, la Comunicazione potr leggersi per intero sul sito internet dellUnione europea www.europa.eu.int/comm/. 130 Corte di Giustizia, causa C-29/69, Erich Stauder - Citt di Ulm-Sozialamt, 1969, p.to7.

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CAPITOLO

2:

LO

SPORT

NELLA

COMUNIT EUROPEA

1. Aspetti generali
Nel corso del primo capitolo, si accennato all'importanza assunta negli anni dalla giurisprudenza comunitaria nell'ambito delle fonti del diritto di libera circolazione dei lavoratori sul territorio dell'Unione; un'elaborazione giurisprudenziale che si fatta sempre pi intensa e in grado di abbracciare nuove tematiche, tra cui quelle sempre pi complesse riguardanti lo sport. Lattenzione dellUnione ed in particolare della Corte di giustizia europea stata attratta dal sorgere di questioni attinenti al diritto internazionale e alle norme del diritto del lavoro. Labbandono della concezione dilettantistica in favore di un approccio professionistico, lavere, cio, abbracciato vincoli contrattuali sempre pi intricati e la sostanziale equiparazione tra un atleta ed un qualsivoglia lavoratore, ha determinato, gioco forza, lapplicazione anche a tale settore delle normative in materia di rapporto di lavoro e, soprattutto, delle leggi comunitarie relative alla libera circolazione dei lavoratori e alla non discriminazione nelle condizioni di lavoro. Si cercato in subordine di vedere se lo sport, e quindi la libera circolazione degli sportivi, potessero comunque essere regolati secondo altre norme pertinenti del diritto comunitario; a questo proposito lanalisi del problema stata condotta in massima parte attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunit europee, la cui interpretazione estensiva delle norme del Trattato ha portato a riconoscere, come si vedr, a determinate condizioni, lapplicabilit alla materia in esame delle norme riguardanti la libera circolazione dei lavoratori, subordinati o autonomi.

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Come anticipato, lanalisi giuridica della disciplina comunitaria in materia si baser proprio sullo studio della giurisprudenza rilevante della Corte di giustizia, infatti lazione di integrazione del diritto da parte dei giudici comunitari stata determinante; tuttavia, doveroso analizzare anche quelle che sono le competenze comunitarie in materia di sport e l'atteggiamento che le istituzioni comunitarie hanno e hanno avuto riguardo alla regolamentazione di tale settore. Riconoscendo gi nel 1974, lassoggettabilit dello sport al diritto comunitario qualora fosse qualificabile come attivit economica ai sensi dellart.2 del Trattato CEE, la giurisprudenza si ritagliata uno spazio sempre maggiore che le ha permesso di incidere fortemente nel settore, al fine di garantire la piena applicabilit, anche da parte dei poteri sportivi, dei basilari principi su cui si fonda la Comunit europea (divieto di discriminazione, libera circolazione e prestazione di servizi e, da ultimo, libera concorrenza), concorrendo altres al recupero del valore formativo dello sport. Sotto il profilo storico, ed al di fuori del contesto delle decisioni della Corte, va ricordato che il tema dello sport ha avuto il suo incipit a livello comunitario nel corso degli anni 80 sulla scia della c.d. Europa dei cittadini e listituzione di un comitato ad hoc con lincarico di elaborare una relazione sui provvedimenti necessari per raggiungere tale scopo.1 Essa stata allorigine delle azioni di comunicazione e di sensibilizzazione del cittadino circa la sua appartenenza alla Comunit europea proprio attraverso lo sport. Da allora si sono susseguite iniziative tese a favorire da un lato, il dialogo tra i rappresentanti del mondo sportivo e le autorit comunitarie, e dallaltro, a promuovere azioni di comunicazione tra le stesse, proprio attraverso lo sport.2 Inoltre, non va trascurato che, sempre dagli anni 80 in poi, lo sport europeo stato fortemente influenzato da tre cambiamenti di rilievo:

Meglio nota come relazione Adonnino, dal nome del parlamentare europeo a capo del gruppo incaricato di redigere una relazione contenente una serie di proposte per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella costruzione europea: le raccomandazioni in essa contenute, sono state adottate dal Consiglio Europeo di Milano del 1985. 2 Bernini G., Lo sport e il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali, Riv.Dir.Sport., 1993, p.657 ss.

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il Comitato Olimpico Internazionale ha deciso di abolire lanacronistica distinzione tra sport a livello dilettantistico e sport a livello professionistico per la partecipazione alle Olimpiadi, 3 autorizzando altres la sponsorizzazione commerciale dei giochi olimpici. Questa decisione ha innescato un processo irreversibile di commercializzazione generalizzata dello sport business. E stato infranto il tab della televisione di Stato quale unico soggetto abilitato a trasmettere eventi sportivi di ogni genere con lintroduzione di una libera concorrenza in materia di diritti televisivi; ci ha dato luogo ad una lotta senza esclusione di colpi per accaparrarsi i diritti di diffusione relativi ai pi importanti eventi sportivi, fonte primaria di finanziamento dello sport di vertice. Infine, con la scomparsa del blocco ex sovietico sono venute meno anche tutte le restrizioni nei confronti di coloro che si spostano, sempre pi numerosi, sul territorio comunitario per praticare sport. Di conseguenza, se circa trentanni fa lUnione europea contava solo dieci Stati membri, oggi ne annovera ben ventisette in totale con lingresso in data 1 gennaio 2007 di altri paesi dellest quali Bulgaria e Romania . Tali mutamenti, in collegamento a quel processo di globalizzazione le cui risultanze hanno di gran lunga oltrepassato la sfera sportiva, hanno reso ancor pi indispensabile lazione, pur indiretta, della Comunit in ambito sportivo. In ogni caso, linsegnamento reso dal Consiglio europeo di Milano del 1985 sotto il profilo dellimportanza del fenomeno sociale sport non rimasto isolato. Tralasciando gli atti emanati da istituzioni comunitarie, nazionali ed istituzioni sportive nel corso degli anni '80,4 relativi a tematiche pur

Dal 1999 la Carta Olimpica vieta, infatti, solo che la partecipazione alle Olimpiadi possa essere subordinata a qualsiasi forma di remunerazione pecuniaria, limitandosi con ci ad escludere che le prestazioni atletiche possano pertanto assumere in quel contesto un carattere professionale, e consentendo cos in pratica lammissione di tutti gli atleti professionisti, con lunica eccezione del pugilato rimasto infatti aperto ai soli dilettanti. 4 In Inghilterra durante il governo Thatcher entrarono in vigore diverse leggi quali lo Sporting Event Act nel 1985 (che viet lintroduzione negli stadi delle bevande alcooliche), il Public Order Act nel1986 (che consider reato il solo fatto di comportarsi dentro lo stadio in modo allarmante), il Football Spectators Act nel 1989 (che consent, ad esempio, larresto immediato ed il rito direttissimo anche per le sole violenze verbali ed i cori razzisti). Infine, la redazione del rapporto Taylor, commissionato dal governo britannico nel 1989, con l'obiettivo di garantire massima sicurezza negli stadi. A livello comunitario, nel 1985 il Consiglio d'Europa pubblic la Convenzione sulla violenza e le intemperanze degli spettatori in occasione di manifestazioni sportive ed in particolare di incontri

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importanti quali la xenofobia e la violenza o il fenomeno degli hooligans negli stadi, opportuno ricordare la comunicazione della Commissione del 1991 mediante la quale, nellintento di specificare quelle che sono le priorit europee, pone la questione, ancora oggi di strettissima attualit, del rispetto dellautonomia dellordinamento sportivo.5 La crescente rilevanza dellaspetto economico nel mondo sportivo e il sempre maggior coinvolgimento delle istituzioni comunitarie in ordine alle tematiche correlate allattivit sportiva ha portato a diverse prese di posizione sul fenomeno sportivo a cominciare dal vertice di Amsterdam del giugno 1997, con la Dichiarazione n.29 allegata al Trattato di Amsterdam:6 lUnione europea apparsa finalmente pronta a presentare una dichiarazione di importanza fondamentale per il futuro del binomio sport ed Europa. Tuttavia, la Dichiarazione stato il primo passo del faticoso cammino di valorizzazione del fenomeno sportivo nel contesto comunitario; lanno seguente, il Consiglio europeo (riunitosi a Vienna il 10-11 dicembre 1998), unitamente alle preoccupazioni espresse per linarrestabile ascesa del doping nello sport, ha invitato la Commissione a presentare, al Consiglio europeo di Helsinki, una relazione al fine di salvaguardare le strutture sportive esistenti e il ruolo sociale dello sport nellambito del diritto comunitario.7 La Relazione di Helsinki apre, cos, la strada ad un nuovo approccio della Commissione nei confronti dello sport, teso ad un riconoscimento, ancora marginale, di quella specificit tanto osannata dai vertici dellordinamento sportivo.8 Questo cambiamento trova la propria ufficializzazione nella

calcistici. Sempre nel 1985 il Parlamento europeo approv una Risoluzione sulle misure necessarie per combattere il vandalismo e la violenza nello sport (G.U.C.E. 11/7/1985). 5 Comunicazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio su La Comunit europea e lo sport, G.U.C.E. (Gazzetta Ufficiale della Comunit Europea) SEC (91) 1438, 1991. 6 Dichiarazione n. 29 Allegata al Trattato di Amsterdam, GUCE C-340, 10 novembre 1997. 7 Relazione di Helsinki sullo sport in G.U.C.E., COM (1999) 644. 8 Nelle conclusioni della Relazione si legge, infatti, che poich la Commissione non ha specifiche competenze in materia, si deve stabilire necessariamente un nuovo partenariato tra Istituzioni europee, Stati e organizzazioni sportive al fine di incoraggiare la promozione dello sport nella societ europea, nel rispetto dei valori sportivi, dellautonomia delle organizzazioni sportive, e del Trattato, in particolare il principio di sussidiariet.

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Dichiarazione sulla specificit dello sport e la sua funzione sociale in Europa, annessa alle conclusioni del Consiglio europeo di Nizza, del 2000.9 Per la prima volta si evidenzia e si esprime la volont di voler effettivamente tutelare quelle caratteristiche peculiari e proprie dello sport di cui si dovr tener conto nellattuazione delle future politiche comunitarie, le quali dovranno avere come obiettivo la salvaguardia della coesione e dei legami di solidariet che uniscono tutte le pratiche sportive, dellequit delle competizioni, degli interessi materiali e sociali e dellintegrit fisica degli sportivi, specie se minorenni. La Comunit europea, quindi, seppur ancor dotata di competenze e poteri indiretti, assume un ruolo e soprattutto una responsabilit sempre maggiore nella tutela delle funzioni sociali, educative e culturali dello sport. I recenti avvenimenti che hanno portato la Commissione ad approntare nel 2007 il Libro Bianco sullo Sport10 e lapprovazione del Trattato di Lisbona (2009) si pongono come elementi conclusivi di un percorso di affermazione della centralit dellUnione europea in ambito sportivo. Ci che distingue il diritto comunitario dello sport la matrice essenzialmente giurisprudenziale; il tema dei limiti dellapplicazione del diritto comunitario, e pi nello specifico del diritto della concorrenza, al fenomeno sportivo rappresentano uno dei pi interessanti approfondimenti circa la specificit dello sport, di cui i sostenitori dellautonomia del movimento sportivo sono i promotori. Il fatto che la Comunit europea non abbia (ancora e totalmente) competenza specifica nella materia sportiva non ha impedito comunque alle istituzioni di occuparsi di sport indirettamente, tenuto conto che un rilevante numero di politiche comunitarie determinano conseguenze rilevanti sul mondo dello sport e della sua organizzazione.11

Conclusioni della Presidenza del Consiglio di Nizza, 7,8,9 dicembre 2000, p.to 54: il Consiglio europeo prende atto della Dichiarazione adottata dal Consiglio (allegato IV) sulla specificit dello sport. 10 Libro Bianco sullo Sport presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni ed al Comitato economico e sociale europeo, 11 Luglio 2007. 11 Tognon J., La centralit dellUnione europea in ambito sportivo- Unione europea e sport: evoluzioni e sviluppi di un rapporto particolare, Diritto comunitario dello sport, Parte Prima, 2009, Giappichelli, Torino, p. 4 ss.

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2. Carattere speciale dellordinamento sportivo


Tra gli ordinamenti giuridici non sovrani, quello sportivo occupa un posto a s, di sommo interesse, per il proprio carattere diffuso e per la penetrante effettivit di talune misure e di taluni atti giuridici che vengono posti in essere. Lordinamento sportivo in continua evoluzione, ha carattere internazionale ed un ordinamento superstatale; in esso sono considerati soggetti giuridici le persone fisiche o altri enti, e non gli Stati, che costituiscono solamente delle semplici entit spaziali. Esso pu definirsi, quindi, come un ordinamento giuridico di settore, con carattere originario, ma non di sovranit; di fatto, non esiste una norma dalla quale derivato, esso un ordinamento aperto e gode di libert organizzativa ed autonomia. La caratteristica principale di tale ordinamento quella di regolare la condotta dei soggetti che ne sono destinatari negli spazi liberi consentiti dallordinamento giuridico generale. Mentre in una prima fase questultimo prese solamente atto dellesistenza di un ordinamento sportivo, nel corso degli anni linteresse nei riguardi di tali tematiche notevolmente accresciuto, tanto che sempre pi spesso i due ordinamenti si trovano ad essere in conflitto tra loro; ci motivato, principalmente, dalla proliferazione e diversificazione degli interessi in gioco nel mondo dello sport negli ultimi anni, prevalentemente di ordine economico-patrimoniale. Lassociazione sportiva si cos trasformata da organismo associativo libero in impresa sostanzialmente commerciale o nella quale, di fatto, il coinvolgimento di interessi patrimoniali considerevole.12 Il diritto comunitario non esige la piena commercializzazione e professionalizzazione del settore sportivo, anzi, in linea di principio esso rispetta le scelte dei massimi dirigenti di ogni disciplina sportiva, con la conseguenza che il diritto di autoregolamentazione riconosciuto allo sport un valore tutelato dal diritto comunitario. Esso garantisce agli organismi sportivi il potere di promuovere una disciplina nel modo che ritengono pi conforme ai loro obiettivi, a condizione che le scelte effettuate non

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Quaranta A., Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, Riv. Dir. Sport (Saggi), Milano, 1999, p.28 ss.

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comportino discriminazioni n nascondano il perseguimento di interessi economici, facendo s che qualsiasi decisione degli enti sportivi che abbia come obiettivo o come oggetto esclusivo la promozione della dimensione sociale dello sport, sia in linea di principio giustificata anche quando comporti una restrizione delle libert comunitarie.13 La specialit dellordinamento sportivo sta, dunque, nel suo carattere poliedrico, nella sua organizzazione piramidale, nei valori morali che esprime e nella dipendenza sportiva reciproca tra squadre o atleti che vi partecipano. Sin dai suoi albori lorganizzazione dello sport in Europa stata affidata alliniziativa di soggetti privati, quali le federazioni sportive, che sono rimaste a lungo al margine del campo dazione delle autorit pubbliche, prima che loggetto stesso delle loro attivit fosse esaminato sotto la lente del diritto comunitario con delle modalit, tuttavia, sfumate rispetto agli altri settori delleconomia. Le federazioni sportive dispongono, in effetti, di un potere normativo transnazionale che prevale sia sulle associazioni che sugli sportivi stessi; entrambi sono tenuti a rispettare le regole per non incorrere nel rischio di essere sottoposti a sanzioni dissuasive, mentre istanze giuridiche indipendenti si fanno carico di far rispettare tali regole e di giudicare. La struttura piramidale che caratterizza lordinamento sportivo prevede tre differenti livelli: globale, continentale e nazionale (CIO, Federazioni internazionali, CONI e Federazioni nazionali) a) Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) Il Comitato Olimpico Internazionale costituisce la massima espressione dellintero ordinamento sportivo mondiale e presenta le caratteristiche proprie dellextra-statualit e delloriginariet. Gli elementi essenziali che costituiscono lorganizzazione internazionale non governativa, possono essere riassunti nei seguenti punti: - Lorganizzazione non deve essere costituita da un accordo tra Stati

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Conclusioni Avvocato generale Cosmas, Corte di Giustizia, cause riunite C-51/96 e C-191/97, C. Delige c. Ligue francophone de judo et discipline associes ASBL, Ligue belge de judo ASBL, Union europenne de judo e Franois Pacque, 2000.

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La struttura dellorganizzazione deve avere un carattere transnazionale - La struttura composta da individui, non da Stati membri, che in ogni caso non devono condizionare lattivit dellorganizzazione - Lorganizzazione non ha scopo di lucro - Lorganizzazione deve perseguire un interesse internazionale, tutelando i singoli interessi nazionali - Lorganizzazione deve essere strutturata in forma democratica - Lorganizzazione deve essere stata costituita in conformit con il diritto interno di uno Stato.14 Il Comitato Olimpico Internazionale si trova al vertice della piramide, mentre al di sotto di esso si trovano: - Comitati Olimpici Nazionali - Federazioni Sportive Internazionali - Comitati organizzatori dei Giochi Olimpici (creati ad hoc in corrispondenza dellevento). b) Le Federazioni sportive internazionali (IFS). Le IFS sono le uniche rappresentanti delle varie discipline sportive a livello internazionale riconosciute dal CIO; esse assolvono, quindi, la funzione di controllare e gestire la pratica delle varie discipline nel mondo. Le decisioni e gli indirizzi adottati dalle stesse a livello mondiale devono essere recepiti ed adottati a livello continentale, nazionale e locale dai vari organismi che fanno parte del sistema e che sono costituiti ed agiscono a livello decentrato. La struttura organizzativa delle IFS rispecchia quella del CIO, essendo anchessa di tipo piramidale: vi un organismo centrale che opera a livello mondiale (nel calcio tale organismo costituito, ad esempio, dalla Fifa), le cosiddette confederazioni, che raccolgono al proprio interno le varie federazioni sportive nazionali di ogni singolo continente (sempre per il calcio, la Uefa in Europa, la Concacaf in Africa,ecc). Tra i compiti spettanti alle Federazioni sportive internazionali vi sono quelli di: - promuovere e sviluppare la pratica a tutti i livelli dei singoli sport di
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CIO, Charte Olympique, Luglio 2007.

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competenza; - stabilire e codificare le norme organizzative e regolamentari attinenti allambito tecnico-sportivo che dovranno essere applicate e rispettate da tutte le Federazioni sportive nazionali; - organizzare i Campionati mondiali dei singoli sport; - garantire il controllo tecnico e provvedere alla direzione pratica delle gare durante le varie manifestazioni di carattere internazionale. Limportanza delle federazioni sportive sottolineata anche nelle conclusioni della Presidenza del Consiglio relative al Consiglio di Nizza del 2000, in cui si dispone che pur tenendo conto dell'evoluzione del mondo dello sport, le federazioni devono restare l'elemento chiave di un modo organizzativo che assicuri la coesione sportiva e la democrazia partecipativa.15 c) Il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). In Italia, il Coni lorgano di natura pubblica che si trova al vertice del movimento sportivo, la Federazione delle federazioni sportive nazionali, che sono suoi organi, relativamente allesercizio dellattivit sportiva ricadente nellambito di rispettiva competenza; le federazioni, anzi, possono essere addirittura commissariate dal Coni medesimo, qualora si verifichino casi gravi di cattiva gestione o di mancato rispetto dello statuto. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha, inoltre, potest di auto - normazione e di auto - organizzazione. La storia del Coni caratterizzata da una continua ed altalenante esistenza tra periodi di assoluta autonomia, data dalla totale indifferenza che i pubblici poteri hanno mostrato per lungo tempo nei confronti dello sport, e fasi di indipendenza ingessata, a causa della sua completa attrazione nellorbita dello Stato e della conseguente vigilanza operata dai vari ministeri sul suo operato. L'autonomia dello sport rispetto agli ordinamenti statali si misura, tra laltro, rilevandone l'autonomia finanziaria; in Italia, questultima stata garantita per oltre sessanta anni attraverso i proventi dei concorsi a

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Allegato IV alle conclusioni della presidenza del Consiglio di Nizza, Dichiarazione relativa alle caratteristiche specifiche dello sport ed alle sue funzioni sociali in Europa di cui tener conto nellattuazione delle politiche comuni, 2000, p.to 10.

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pronostici (come il Totocalcio), basati sugli eventi sportivi che, non solo hanno assicurato sufficienti entrate economiche per tutto lo sport italiano, ma hanno fornito proventi consistenti anche per il bilancio dello Stato.16 Non dipendere in via diretta dal bilancio dello Stato consente, infatti, di impostare autonomamente le proprie scelte di politica sportiva, senza sottostare a condizionamenti; questo sistema ha funzionato per molto tempo e, solo negli ultimi anni, a causa della crisi che ha colpito il Totocalcio, stato necessario prevedere una modifica del meccanismo con uno stanziamento direttamente a carico del bilancio dello Stato. La crescente diffusione e lincremento dellattivit sportiva in Italia, ha portato il legislatore17 ad introdurre un esplicito riferimento allo sport nellart.117 della Costituzione italiana, riconoscendo potest legislativa alle regioni in materia di ordinamento sportivo; tale competenza delle regioni riferita alla materia sportiva, riguardo alla quale gli enti territoriali, in collaborazione con le articolazioni locali del Coni e con altri enti pubblici, sono chiamati ad adoperarsi al fine di creare le condizioni, anche strutturali, per una pi efficiente realizzazione dellinteresse pubblico alla diffusione della pratica sportiva. Inoltre, l'autonomia dell'ordinamento sportivo italiano ha avuto un esplicito riconoscimento attraverso una legge18 del 2003 nella quale si afferma che la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo nazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale19 e che i rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazione giuridica soggettiva connessa con l'ordinamento sportivo.20 A livello continentale, la Comunit europea ha ormai riconosciuto limportanza che rivestono e lautonomia di cui godono le organizzazioni
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Marchioni M., Il sistema sportivo, Testimonianza SDS Coni, 2006. Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.248 del 24 ottobre 2001. 18 Decreto-legge n.220/2003 Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2003. 19 Decreto-legge n.220/2003, art.1. 20 Congresso olimpico di Copenaghen, intervento del Segretario Generale del Coni Raffaele Pagnozzi, www.coni.it.

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sportive ed il loro diritto di organizzarsi autonomamente per mezzo di adeguate strutture associative. Il rapporto che si instaurato, e che si auspica di consolidare, tra lazione comunitaria e le organizzazioni sportive improntato alla collaborazione ed al dialogo reciproco, come ha sottolineato lo stesso vicepresidente dellUefa, Per Ravn Omdal, durante il Seminario dellUefa sui rapporti con lUnione europea del 2005 focalizzato sulle caratteristiche specifiche dello sport, di cui deve essere tenuta considerazione nellapplicazione delle norme comunitarie.21 Linesistenza di un programma o uniniziativa specifica sullo sport non osta al fatto che alcuni progetti inerenti lo sport stesso possano essere finanziati nel quadro di altri programmi relativi a diverse politiche comunitarie, purch rientrino nei criteri guida di tali programmi o iniziative. Questo approccio incrociato, applicazione del diritto comunitario ed integrazione dello sport nelle diverse politiche comunitarie, persegue lobiettivo, nellintenzione della Comunit, di permettere alle organizzazioni europee dello sport di sfruttare pi efficacemente lattivit comunitaria, nonch aiutarle ad adattare meglio le strutture al nuovo scenario politico, economico e sociale creato dallazione dellUnione europea. Attraverso la dichiarazione di Nizza (2000), il Consiglio riconosce che le associazioni sportive hanno il compito di organizzare e promuovere le rispettive discipline nel modo che ritengano essere pi conforme ai loro obiettivi, pur sempre nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie. Esse, unitamente agli Stati membri, hanno una fondamentale responsabilit nella gestione e nella risoluzione di questioni inerenti allo sport. Tuttavia, capita spesso che Unione europea ed organizzazioni sportive si trovino in disaccordo; questultime aspirano ad ottenere unautonomia organizzativa e una facolt di disciplinare in toto la materia sportiva e spesso vedono nella Comunit europea, o meglio nelle sue direttive e regolamenti, delle limitazioni alla propria autonomia. Le autorit sportive si definiscono, quindi, autonome nel senso che esse godono di discrezionalit nella regolamentazione della propria organizzazione e nella determinazione delle regole tecniche cui fanno riferimento; si tratta, per, di unautonomia condizionata, in quanto soggetta

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www.uefa.com.

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al rispetto delle norme di diritto nazionale e di diritto comunitario, unautonomia sui generis.22 Il diritto comunitario non prevede unesenzione generale dallapplicazione delle sue regole per lo sport, tuttavia, vi una cosiddetta eccezione sportiva23 che comporta la non applicazione delle regole del Trattato, limitatamente alle attivit che rivestono un carattere sportivo in senso stretto, come ad esempio le regole del gioco (la durata degli incontri sportivi, il numero dei giocatori che compongono una squadra, ecc.), quelle che, in sintesi, possono essere definite le caratteristiche proprie della competizione sportiva. Tutte le questioni di carattere tecnico e disciplinare dovrebbero, quindi, essere risolte nell'ambito della giustizia sportiva e solo eccezionalmente, laddove siano coinvolti diritti soggettivi fondamentali o riguardanti questioni patrimoniali, dovrebbe essere possibile rivolgersi alla giustizia statale, comunque dopo che siano stati percorsi tutti i gradi della giustizia sportiva. La specificit sportiva , dunque, molto complessa da definire, infatti richiede di distinguere lo sport nel suo insieme dallo sport quale attivit economica; la regola sportiva interviene non solo per regolare una competizione, ma anche per ristabilire leguaglianza fra i concorrenti, affinch possa essere preservata quellaleatoriet di risultati che rappresenta il principio basilare della competizione sportiva. La ricerca dellincertezza del risultato finale, lequilibrio e la stabilit della competizione sportiva e la solidariet finanziaria, costituiscono degli obiettivi riconosciuti come legittimi.24 Al fine di ricapitolare il discorso elaborato sul tema della specialit dellordinamento sportivo, pu essere utile individuare le cinque principali funzioni che lo sport riveste nellUnione europea e che ne costituiscono la sua specificit:

22

Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed. 2005/2006, corso di Sociologia delle Organizzazioni sportive. 23 J. Battista, Lo sport ed il diritto comunitario della concorrenza, Lo sport e il diritto. Profili istituzionali e regolamentazione giuridica, 2004, AAVV, Jovene, p.73: leccezione sportiva un principio generale autonomo che presenta affinit, ma differisce dalla rule of reason nella quale si prende in considerazione esclusivamente un interesse sportivo. 24 Commissione europea, Il caso Mouscron IP/99/965 , XXIX relazione sulla politica di concorrenza, 1999.

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funzione educativa; funzione di sanit pubblica; funzione sociale; funzione culturale; funzione ludica.25 Come si pu notare tutte le funzioni sopraccitate assumono notevole importanza e sono tutelate a livello europeo; richiedono, pertanto, una peculiare attenzione nella disciplina della materia sportiva anche da parte delle autorit comunitarie.

3. Le competenze della Comunit europea in materia di sport


Nonostante il Trattato non contenga disposizioni specifiche sullo sport, la Comunit europea deve comunque vegliare affinch le iniziative delle autorit pubbliche nazionali o delle organizzazioni sportive siano conformi al diritto comunitario e che rispettino, in particolare, i principi del mercato interno (libert di circolazione dei lavoratori, libert di stabilimento, libert di prestazione dei servizi, ecc.). Lunica definizione ufficiale di sport a livello comunitario si trova allart.2 della Carta europea dello sport26 del Consiglio dEuropa, in cui lo sport viene definito come qualsiasi forma di attivit fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli. I principali settori dellattivit comunitaria che riguardano direttamente lo sport sono due:

25

Commissione europea, Evoluzione e prospettive dellazione comunitaria nel settore dello sport, Documento di lavoro 29 settembre 1998. 26 La Carta Europea dello Sport stata approvata a Rodi, dalla 7a Conferenza dei Ministri Europei dello Sport nel 1992.

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Libera circolazione: la realizzazione del mercato interno mette in relazione lattivit sportiva e la tutela del principio di libera circolazione. Al di l della sentenza Bosman (che sar presentata dettagliatamente nel capitolo 3), la Commissione stata consultata pi volte da cittadini che si sono visti limitare le possibilit di praticare sport in un altro Stato membro dellUnione. - Concorrenza e politica audiovisiva: poich i diritti televisivi sono diventati, assieme alla comunicazione commerciale, la principale fonte di finanziamento dello sport professionistico in Europa, non c da stupirsi che le questioni connesse alla vendita dei diritti di ritrasmissione siano costantemente oggetto di discussione, a causa delle norme in materia di concorrenza e di politica audiovisiva; in particolare la direttiva conosciuta come televisioni senza frontiere27 ed i principi del Trattato relativi alla libera circolazione dei servizi. La copertura televisiva garantisce le entrate necessarie tramite le sponsorizzazioni e la pubblicit; senza di essa un avvenimento rischia di non essere notato o, quanto meno, non ha lo stesso appeal e seguito che, invece, avrebbe con la presenza della televisione. Altri temi, sicuramente meno attinenti all'elaborato in questione, che interessano le organizzazioni sportive e gli attori del mondo sportivo a livello comunitario sono il riconoscimento dei diplomi, la comunicazione commerciale (in particolare sponsorizzazione e pubblicit) ed il diritto di stabilimento. Nel definire alcune linee di indirizzo per lazione della Comunit in ambito sportivo, nel 1991 la Commissione ha adottato una prima comunicazione con la quale ha posto in primo piano proprio il tema del rispetto dellautonomia dello sport.28 Tale atto riveste una significativa importanza, infatti da esso che deriva la convocazione di un annuale Forum europeo dello sport, sede in cui gli organismi istituzionali europei e

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Direttiva 97/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 30 giugno 1997, che modifica la Direttiva 89/552 del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti lesercizio delle attivit televisive, G.U. L. 202/60 del 30 luglio 1997. 28 Comunicazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio su La Comunit europea e lo sport, G.U.C.E. (Gazzetta Ufficiale della Comunit Europea) SEC (91) 1438, 1991.

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nazionali e gli organismi sportivi, possono confrontarsi sulle tematiche di comune interesse e sviluppare relazioni che non siano meramente episodiche. In anni pi recenti lazione comunitaria nel settore dello sport ha conosciuto una forte intensificazione e vi sono state importanti prese di posizione nei confronti del fenomeno sportivo, a cominciare, ad esempio, dal vertice di Amsterdam del 1997. Proprio in tale occasione, stata, infatti, allegata al Trattato una Dichiarazione relativa allo sport, che riconosce la rilevanza sia sociale che economica dello stesso; inoltre, essa prende atto della funzione significativa svolta in materia dalle organizzazioni di settore e invita, pertanto, gli organi competenti dellUnione europea a prestare unattenzione particolare alle organizzazioni sportive ed al loro funzionamento laddove coinvolgano questioni di natura economica e giuridica, sempre pi importanti nel contesto attuale. Quando nel giugno del 1997 i rappresentanti degli Stati membri si sono riuniti ad Amsterdam per iniziare i lavori che avrebbero poi portato alla stesura dellomonimo Trattato, mai si sarebbero aspettati di dover dedicare cos poco tempo e spazio al fenomeno sportivo in occasione della pi grande revisione dei trattati dallorigine della Comunit europea. Il tutto, peraltro, con laggravante che il Trattato di Amsterdam successivo di quasi due anni alla nota sentenza Bosman che, eliminando ogni pretesa economica in occasione dei trasferimenti dei giocatori professionisti alla scadenza del contratto e sancendo la libera circolazione dei lavoratori sportivi in ambito comunitario, ha portato ad una rivoluzione clamorosa di tutte le regole sportive finora predominanti abbattendo il muro granitico eretto da Leghe e Federazioni a tutela della piena ed esclusiva autonomia dellordinamento sportivo. Tuttavia, non pu essere dimenticato il fatto che la dichiarazione in s e per s costituisce un grande risultato in ambito comunitario rappresentando il primo documento ufficiale nel quale viene dato giusto rilievo al termine sport. Nel dettaglio, la dichiarazione n.29 allegata al Trattato di Amsterdam sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare lidentit e nel ravvicinare le persone. La Conferenza invita pertanto gli organi dellUnione europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardano lo

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sport. In questottica, unattenzione particolare dovrebbe essere riservata alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico. opportuno, per, ricordare che, se gli articoli e i protocolli aggiuntivi dei trattati sono giuridicamente vincolanti per gli Stati membri, lo stesso non si pu dire delle dichiarazioni, con la conseguenza che le parti contraenti sono libere di dare attuazione alle indicazioni ivi contenute cos come di non dare alcun seguito alle stesse. Lintrinseca genericit che permea la dichiarazione impedisce di comprendere quale sia la posizione definita degli Stati membri, trattandosi di petizioni per lo pi di principio e in assenza di esplicazioni al riguardo. Ci nonostante, limpegno politico assunto dalla Dichiarazione n.29 di assoluto rilievo in quanto lapplicazione della stessa dipende proprio dalla volont degli Stati membri, infatti pur non comportando alcun vincolo giuridico, ed essendo prive di efficacia pratica, le dichiarazioni possono servire almeno come riferimento ed indirizzo della Corte di giustizia quando questa chiamata a pronunciarsi in sede interpretativa. 29 Non vi dubbio che si sia trattata di una grande occasione perduta, tenuto conto che il mancato inserimento in una forma vincolante svuota di contenuto e significato la dichiarazione stessa; non di meno, per, giusto parlare anche di momento solenne e storico trattandosi della prima citazione del termine sport in un Trattato dellUnione.30 Probabilmente i tempi non sono stati ritenuti ancora maturi, sebbene la sentenza Bosman avesse gi manifestato i propri effetti deflagranti. Stante il carattere non vincolante della Dichiarazione n.29 allegata al Trattato di Amsterdam, la Comunit europea ha continuato, cos, alle soglie del nuovo millennio, ad avere competenze per occuparsi della materia sport solo indirettamente.

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Mennea P., Diritto sportivo europeo, 2003, Delta Tre Editore, Avellino, p. 32 ss: Inoltre le dichiarazioni sono utili a stimolare lattivit del Parlamento Europeo e della Commissione Europea quando sono chiamate a delineare le direttrice della politica comunitaria, in questo caso quella relativa allo sport. 30 Tognon J., La centralit dellUnione europea in ambito sportivo- Unione europea e sport: evoluzioni e sviluppi di un rapporto particolare, Diritto comunitario dello sport, Parte Prima, 2009, Giappichelli, Torino, p. 9 ss.

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Per comprendere meglio la situazione, pu essere utile accennare alla posizione dei quattro principali paesi dellUnione, dopo la Dichiarazione di Amsterdam del 1997. Inghilterra. In coerenza con il proprio sistema sociale e giuridico si sempre opposta a qualsiasi iniziativa che configurasse ladozione di misure di legge nei confronti dello sport, quindi ben volentieri avrebbe optato per la non ingerenza della Commissione in questa materia. Dato che si tratta di un Paese che partecipa solo talvolta alle iniziative comunitarie, difficilmente pu farsi portatore di iniziative dinanzi allUnione. Germania. La materia sportiva fortemente decentrata, con molte competenze affidate ai Lander. A livello centrale, la titolarit affidata al Ministero dellInterno, perci risulta facilmente comprensibile che le priorit del sistema tedesco non pongano lo sport ai primissimi posti. Italia. La competenza ministeriale nei confronti dello sport si spesso ridotta alla vigilanza amministrativa sugli atti del Comitato Olimpico e non vi mai stata lopportunit di avere un sostegno forte per una politica europea. Il ministro Fagiolo nel 1996 e il ministro Cangelosi nel 2003 hanno fornito un'apprezzabile assistenza alle istanze che hanno esaminato il problema in sede ministeriale. Francia. Rimane lunico dei grandi paesi ad avere competenze ministeriali riconosciute e consolidate ed una struttura in grado di svolgere un ruolo adeguato.31 Si deve,quindi, principalmente alla Francia il merito di aver realizzato, difeso e fatto allegare al Consiglio europeo di Nizza del 2000 una Dichiarazione sullo sport che ancora oggi fa testo (e che sar analizzata in seguito).32 Nellanno successivo alla Dichiarazione n.29, cio nel 1998, il Consiglio di Vienna ha invitato la Commissione a presentare, in vista del successivo Consiglio europeo che si sarebbe tenuto a Helsinki, unulteriore e specifica relazione al fine di salvaguardare sempre pi a fondo il ruolo socioeconomico dello sport nellambito del diritto comunitario. Tale invito stato prontamente recepito dalla Commissione che, con la Relazione di Helsinki
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Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed. 2005/2006, corso di Sociologia delle Organizzazioni sportive. 32 Allegato IV alle conclusioni della presidenza del Consiglio di Nizza, Dichiarazione relativa alle caratteristiche specifiche dello sport ed alle sue funzioni sociali in Europa di cui tener conto nellattuazione delle politiche comuni, 2000.

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sullo sport, ha, di fatto, posto nuovamente al centro della riflessione europea la dimensione al contempo sociale e finanziaria dello sportbusiness, ed anche la conseguente esigenza di preservare la funzione di interesse generale che tale settore viene oggi sempre pi ed inesorabilmente ad assumere nel continente europeo, soprattutto in ragione dei fondamentali interessi economici di massa che lo stesso arriva abitualmente a coinvolgere. La Commissione, nel settembre 1998, ha presentato, infatti, un documento di lavoro intitolato Evoluzione e prospettive dellazione comunitaria nel settore dello sport;33 e nel 1999 ha presentato al Consiglio europeo la Relazione di Helsinki sullo sport,34 da cui emerso che lo sport uno dei settori che riguarda e avvicina maggiormente i cittadini dellUnione, dal momento che, toccando tutte le classi sociali e tutti i gruppi di et della popolazione, costituisce uno strumento essenziale di integrazione sociale e di educazione. Dopo unintroduzione atta a ricordare gli eventi pi salienti che hanno portato alla Relazione, la Commissione si sofferma innanzitutto sulla funzione sociale e di interesse generale dello sport, turbata dallapparizione di nuovi fenomeni che ne mettono in discussione alcuni aspetti etici ed organizzativi. In particolare, le maggiori negativit si riscontrano nei fenomeni della violenza negli stadi ed impianti sportivi in generale, nellespansione delle pratiche di doping, nello sfruttamento dei giovani sportivi a fine di lucro e comunque alla ricerca di guadagni finanziari rapidi a discapito di una crescita equilibrata del sistema. La pratica e lorganizzazione dello sport in Europa permette di considerare alcuni aspetti comuni tali da integrare un approccio europeo di indubbia rilevanza. Vi sono, per, dei fenomeni che minacciano detta interrelazione: laumento della popolarit dello sport in termini di pratica e spettacolo, la globalizzazione dello sport con la moltiplicazione delle competizioni europee e mondiali e lo sviluppo senza precedenti della componente strettamente economica in primis; essendo lo sport divenuto fenomeno di siffatta importanza, la Commissione intende, quindi,
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Commissione Europea, Documento consultivo della Direzione Generale X, Bruxelles, 29 settembre 1998. 34 Relazione della Commissione al Consiglio Europeo, nellottica della salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello sport nel quadro comunitario, Bruxelles, 10 dicembre 1999.

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contribuire a disciplinare la materia, riconoscendo la funzione sociale di cui esso portatore e realizzando un quadro giuridico pi sicuro e stabile, che consenta di conciliare tale funzione sociale ed educativa con lincremento della dimensione economica dello sport.35 Per realizzare tali propositi, risulterebbe indispensabile, stando al parere della Commissione, una partnership tra le istituzioni europee e gli Stati membri da un lato e le organizzazioni sportive dallaltra, al fine di favorire la promozione dello sport nella societ europea, il rispetto dei suoi valori, la salvaguardia dellautonomia delle organizzazioni sportive e del principio di sussidiariet. Daltro canto la relazione di Helsinki sullo Sport della Commissione (1999), insieme alla Dichiarazione allegata al Consiglio europeo di Nizza (2000), si sono poste come necessari corollari di un dibattito sullo sport sempre pi rilevante, con particolare attenzione allattivit economica e alla lotta al doping. Proprio a Nizza, il Consiglio europeo ha ricordato che la Comunit deve tener conto, pur non disponendo di competenze dirette nel settore, nella sua azione a titolo delle varie disposizioni del Trattato, delle funzioni sociali, educative e culturali dello sport, che ne costituiscono la specificit.36 Esso precisa che le organizzazioni sportive e gli Stati membri hanno una responsabilit di primo piano nel gestire le questioni relative allo sport, infatti le istituzioni europee hanno riconosciuto la specificit del ruolo svolto dallo sport nella societ europea mediante strutture gestite dal volontariato, in termini di salute, istruzione, integrazione sociale e cultura. Un altro aspetto di rilievo della Dichiarazione di Nizza lindicazione di una precisa strategia, ritenuta necessaria per soddisfare gli intenti pocanzi espressi, che prevede il rafforzamento del ruolo delle federazioni sportive, senza, tuttavia, renderlo esclusivo, affinch si riescano a preservare anche le diversit esistenti in Europa.

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Relazione della Commissione al Consiglio europeo di Helsinki nell'ottica della salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello sport nel quadro comunitario, 1999, p.to 2 ss. 36 Allegato IV alle conclusioni della presidenza del Consiglio di Nizza, Dichiarazione relativa alle caratteristiche specifiche dello sport ed alle sue funzioni sociali in Europa di cui tener conto nellattuazione delle politiche comuni, 2000, p.to 1.

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Nel corso del nuovo millennio, gli sforzi comunitari in materia di riconoscimento della specificit e del ruolo dello sport nelle politiche dellUnione e nella vita quotidiana dei cittadini europei sono stati notevoli: infatti, alla Dichiarazione allegata al Consiglio europeo di Nizza (di cui detto sopra), seguita, nel 2007, la stesura del Libro bianco sullo sport presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo. Si tratta di un documento che riveste notevole importanza, essendo il principale contributo delle autorit comunitarie in materia di sport, risultato di consultazioni ampliate condotte dal 2005 soprattutto con i Comitati olimpici, le Federazioni sportive e con gli Stati membri. In sintesi, il Libro Bianco sullo sport mira a fornire orientamenti strategici, ad accrescere la visibilit dello sport nel processo decisionale dellUnione, a mettere in evidenza quelle che sono le esigenze e le specificit di tale settore ed identificare il livello di potere adeguato per progettare e realizzare le azioni future. Non vi dubbio, quindi, che lobiettivo della Commissione stato quello di accrescere la chiarezza giuridica riguardo allapplicazione dellacquis comunitario in materia di sport e contribuire, quindi, allo sviluppo della regolamentazione dello sport in Europa. La mancata approvazione della Costituzione europea,37 che avrebbe previsto lart.III 282 in tema di sport, ha privato, infine, lUnione europea della base giuridica per poter legiferare in questa materia, sempre al centro delle politiche europee come testimoniato dagli eccellenti risultati raggiunti nel 2004 (anno olimpico) con listituzione dellAnno Europeo per lEducazione attraverso lo Sport. In un primo momento si pensato di dedicare lanno 2004 allo sport, ma di fatto questa soluzione non stata praticabile dato che la Comunit europea, come gi sottolineato pi volte, non ha la competenza specifica di disciplinare essa in prima persona la materia sportiva, in quanto questultima non rientra nei Trattati; pu, invece,

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Con il termine Costituzione europea si suole chiamare il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa. La Costituzione europea non entrata in vigore dopo lo stop alle ratifiche imposto dai no ai referendum in Francia e Paesi Bassi, ma nelle intenzioni era tesa a sostituire i trattati comunitari precedenti, ad esclusione del Trattato Euratom. Quasi tutte le innovazioni della Costituzione sono, per, state incluse nel Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009.

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occuparsene indirettamente volgendo la propria attenzione alle funzioni sociali, educative e formative dello sport nel quadro delle politiche culturali. Il Trattato che adotta una Costituzione per lEuropa, come anticipato, avrebbe dedicato allo sport una specifica norma: lart.III-282 sullistruzione, giovent, sport e formazione professionale. Nel dettaglio la norma avrebbe precisato che lUE contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificit e della sua funzione sociale ed educativa. Tuttavia, a causa delle difficolt incontrate in sede di ratifica della Costituzione da parte di alcuni Stati membri, i capi di Stato o di Governo hanno deciso in occasione del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 di osservare un "periodo di riflessione sul futuro dell'Europa; due anni pi tardi, in occasione del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007, i dirigenti europei hanno deliberato la convocazione di una CIG incaricata di finalizzare ed adottare non pi una Costituzione, ma un Trattato di modifica per l'Unione europea. Il testo definitivo del trattato elaborato dalla CIG stato approvato in occasione del Consiglio europeo che si svolto a Lisbona il 18 e 19 ottobre, ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009 (capitolo 1), mettendo fine a diversi anni di negoziati sulla riforma istituzionale. La situazione attuale prevede, quindi, un importante contributo fornito dallart. 165 (ex art. 149) del Trattato di Lisbona, il quale sancisce che lUnione europea contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificit, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa. LUnione europea e gli Stati membri firmatari del Trattato di Lisbona hanno costituito un quadro generale nella forma di un articolo speciale (art.165),38 attraverso cui il Libro bianco integrato nelle altre politiche comunitarie; nel contempo, fornendo gli orientamenti per lattuazione delle norme europee, sono state create le condizioni per il miglioramento della governance dello sport europeo.39

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Trattato di Lisbona, art. 165 p.to 1: L'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificit, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa. 39 Onorevole Mavrommatis M., Una politica europea dello sport, 2008.

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Lo sport ha, infatti, sue caratteristiche specifiche che necessario rispettare se non si vuole snaturarlo; il problema , dunque, valutare come il diritto comunitario possa essere applicato agli aspetti economici dello sport, pur tenendo conto dei tratti caratterizzanti dellidentit sportiva. Uno dei principi cardine che governa lazione del legislatore europeo stabilisce che lUnione pu agire solamente nei settori in cui ha la competenza derivante dal Trattato; sulla base di tale principio, analizzando attentamente il principio di sussidiariet, ben noto nel diritto comunitario, si pu chiaramente stabilire che la gestione delle federazioni sportive nazionali rientra tra le responsabilit esclusive degli Stati membri, tuttavia lo sport, causa la mobilit naturale dei suoi protagonisti e la forte connotazione commerciale, entrato inevitabilmente a far parte della sfera del diritto comunitario. In ambito europeo, quindi, la presa in considerazione della specificit dello sport si manifestata con unapplicazione sfumata del diritto comunitario: da un lato, le normative di natura economica devono essere applicate in piena conformit con il diritto comunitario, prevedendo anche la possibilit di alcune esenzioni, dallaltro lato le norme puramente sportive, inerenti allorganizzazione tecnica delle competizioni, non rientrano nel campo dapplicazione del Trattato CE. In virt di questa impostazione, le norme sportive, connotate dal carattere economico ed emanate dalle federazioni, sono in linea di principio vietate, a meno che il loro obiettivo non sia considerato legittimo.

4. Lo sport nelle politiche comunitarie. I primi interventi della Corte di giustizia


Tra i compiti degli attori politici comunitari rientra quello di stabilire le condizioni quadro adeguate per lattivit sportiva in Europa e dare unimpostazione strategica ben definita al ruolo dello sport, delimitando con maggiore chiarezza lapplicazione del diritto comunitario in ambito sportivo. Nel pieno rispetto dellindipendenza delle organizzazioni sportive,

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delle loro peculiarit e dei meccanismi di autoregolamentazione, occorre comunque rispettare le regole del gioco democratiche fondamentali ed il diritto comunitario. La strada da percorrere consiste nello sviluppo di un approccio comunitario attivo nei confronti dello sport, attraverso una cooperazione rafforzata tra i ministeri dello sport dellUnione europea ed un dialogo strutturato con lintero movimento sportivo.40 Oggi lo sport e deve essere soggetto allacquis comunitario e, inoltre, di norma, lo statuto di tutte le Federazioni sportive dovrebbe rispettare la legge comunitaria, infatti, bench non riguardino prettamente lo sport, numerosi programmi di normative e politiche dellUnione europea hanno impatto sul mondo dello sport o vi fanno riferimento, facendo cos registrare, nel corso degli anni, una crescente penetrazione dellordinamento comunitario in quello sportivo.41 Ad esempio, nellambito della Direzione generale Istruzione e Cultura, lunit sport responsabile dei seguenti settori:42 - cooperazione nellambito della Commissione interistituzionale su questioni attinenti allo sport; - cooperazione con le istituzioni, organizzazioni e federazioni sportive nazionali ed internazionali; - incontri bilaterali con istituzioni, organizzazioni e federazioni sportive internazionali. Sotto il profilo prettamente comunicazionale, lo sport stato frequentemente utilizzato dalla Commissione per cercare di aggregare i cittadini europei intorno ad un concetto di Europa sportiva, tant che sono state finanziate una serie di manifestazioni sportive, a condizione che su tutta la cartellonistica e il materiale riguardante levento fosse presente il logo dellUnione europea, cos come si chiesto e ottenuto in grandi manifestazioni internazionali che tutte le squadre europee si presentassero,

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Contributo J. Figel, Commissario responsabile in materia di istruzione, formazione, cultura e giovent, Una politica europea dello sport, 2008. 41 Pellacani G., I contratti di lavoro, tomo II, a cura di Vallebona A., 2010, UTET, Torino, p. 1405. 42 http://europa.eu/dgs/.html.

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oltre che con la loro bandiera, anche col simbolo della bandiera europea, in modo risaltare lappartenenza ad uno stesso gruppo, lEuropa unita.43 Tutto questo serve ad affermare come lo sport, pi che materia da tutelare e promuovere, stato utilizzato spesso come strumento di aggregazione per conglobare il sentire comune dei cittadini europei intorno ad un unico concetto di Europa. Lo sport, in quanto attivit economica ai sensi dellart.2 del Trattato CEE, deve osservare il diritto comunitario, ed in particolar modo le disposizioni che attengono alla libera circolazione dei lavoratori. In virt di tale rispetto delle disposizioni previste dal diritto comunitario, latleta, oltre ad esser soggetto alle norme previste dallordinamento sportivo nazionale ed internazionale, , contestualmente, soggetto alle norme dellordinamento statuale e comunitario quando si tratti di un lavoratore, subordinato, parasubordinato o autonomo a seconda delle caratteristiche del rapporto. Tale attivit lavorativa pu essere resa a titolo gratuito, quando non vi alcun corrispettivo a fronte delle prestazione o un semplice rimborso spese, oppure retribuita, ed in questo caso, nella prospettiva dellordinamento sportivo, pu trattarsi di attivit dilettantistica o professionistica. Facendo riferimento al caso italiano, ad esempio, secondo la legge n.91/1981,44 solo lattivit sportiva svolta a titolo non occasionale e con prevalenza rispetto ad altre occupazioni, pu essere inquadrata come prestazione avente natura professionistica;45 la semplice circostanza che unassociazione o una federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno parte, non di per s sufficiente ad escludere che questi ultimi esercitino attivit economiche ai sensi dellart.2 del Trattato.46 In tema di libera circolazione dei lavoratori sul territorio comunitario e sulla configurazione dellattivit sportiva nel diritto comunitario, la Corte di giustizia si espressa in due sentenze, una del 1974 e laltra del 1976,

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Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed. 2005/2006, corso di Sociologia delle Organizzazioni sportive. 44 Legge 23 marzo 1981, n.91, Norme in materia di rapporti tra societ e sportivi professionisti, G.U. 27 marzo 1981, n. 86. 45 Frattarolo V., Il rapporto di lavoro sportivo, 2004, Giuffr, Milano, p. 28 ss. 46 Pellacani G., I contratti di lavoro, tomo II, a cura di Vallebona A., 2010, UTET, Torino, p.1410.

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considerate come vere e proprie basi della famosa sentenza Bosman (emessa nel 1995): si tratta rispettivamente dei casi Walrave-Koch e Don.

- LA SENTENZA WALRAVE
La sentenza in esame costituisce il primo riscontro giurisprudenziale di un concreto interessamento della Comunit europea allapplicazione del principio della libera circolazione ai lavoratori sportivi. Prima di analizzare l'orientamento della Corte e le conseguenze di quanto statuito dalla stessa, necessario presentare brevemente il caso alla base della sentenza in esame: Walrave e Koch, entrambi di nazionalit olandese, svolgono professionalmente lattivit di allenatori nelle corse ciclistiche, pi precisamente nelle gare degli stayers.47 Fra le gare a cui partecipano vi sono i campionati mondiali, per lo svolgimento dei quali l UCI (Unione ciclistica internazionale) ha emanato un regolamento per cui, dal 1973, lallenatore deve avere la stessa nazionalit del corridore: a parere dellUCI tale modifica stata resa necessaria dal fatto che i campionati mondiali dovevano essere delle gare tra squadre nazionali. Gli attori, ritenendo che una simile norma sia incompatibile con il Trattato di Roma, citano in giudizio lUCI, la Koninklijke Nederlance Wielren Unie (Reale Unione ciclistica Olandese) e la Fedaracin Espaola Ciclismo (organizzatrice del campionato del mondo 1973), chiedendo che venga dichiarata la nullit della disposizione controversa e che si ingiunga alle convenute di lasciar partecipare ai campionati del mondo squadre formate dagli stessi ricorrenti e da stayers di nazionalit diversa da quella olandese, ma con cittadinanza comunitaria.48 Inoltre, Walrave e Koch sono considerati, secondo le valutazioni dellUCI, tra i miglior allenatori professionisti e, poich in Olanda non si segnalano mezzofondisti di grande qualit, essi temono di perdere i loro mezzi di sussistenza o, in ogni caso, ravvisano nella novit regolamentare una sostanziale limitazione del mercato sul quale potrebbero trarre vantaggio dalla loro abilit.

47 48

Ciclisti mezzofondisti preceduti da un battistrada motorizzato (pacemaker o pacer). Conclusioni dellAvvocato generale J.P. Warner, Corte di Giustizia, causa C-36/74, B.N.O. Walrave e L.J.N. Koch c. Association Union Cycliste Internationale, Koninklijke Nederlandsche Wielren Unie e Federacion espanola ciclismo, 1974.

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Il presidente del tribunale di Utrecht ritiene che i contratti dai quali disciplinata lattivit di allenatori ha ad oggetto la prestazione di servizi e, quindi, rientra nel campo di applicazione delle disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori. Le convenute, a loro volta, eccepiscono che non sussistono gli estremi per rilevare una discriminazione nel fatto di esigere che le squadre nazionali siano composte da persone aventi la cittadinanza dello stesso Stato membro; il presidente del tribunale, tuttavia, respinge tale argomento sostenendo che in una manifestazione come quella in esame, il partecipante effettivo sia il mezzofondista, equiparando, in tal modo, la figura dellallenatore ad altre figure ausiliarie quali il massaggiatore o il direttore sportivo. A fronte delleccezione sollevata dallUCI, si afferma che la natura privata delle federazioni sportive non pu costituire motivo sufficiente per esimere le stesse dal rispetto del diritto comunitario. I giudici di Lussemburgo, infatti, riconoscono che la prescrizione per gli Stati membri di abolire gli ostacoli alla libera circolazione delle persone e alla libera prestazione di servizi sarebbe vanificata se, oltre alle eventuali limitazioni stabilite dalle leggi statali, non si eliminassero anche quelle poste in essere da organismi o associazioni private nellesercizio della loro autonomia giuridica.49 Successivamente, la Corte dappello di Amsterdam accoglie il ricorso proposto dalle convenute, basando la propria motivazione sul fatto che i campionati mondiali avrebbero avuto luogo al di fuori del territorio comunitario. Nel frattempo il giudice olandese adito, ritenendo necessaria uninterpretazione del diritto comunitario, rinvia la causa alla Corte di giustizia europea (giudizio del 15 maggio 1974). Le questioni pregiudiziali su cui la Corte chiamata a decidere riguardano: - la possibile violazione dellart.48 o dellart.59 Trattato CE (a seconda che il rapporto tra gli attori e i corridori venga inquadrato come contratto di lavoro come contratto di prestazione di servizi), relativi alla libera circolazione dei lavoratori allinterno della Comunit, da parte della norma emanata dallUCI;
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Bastianon S., Nascimbene B., Lo sport e il diritto comunitario, in Diritto internazionale dello sport, Greppi E., Vellano M., 2005, Giappichelli, Torino, p.253 ss.

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la possibile rilevanza del fatto che la competizione per la quale stato emanato il regolamento in questione, vale a dire il campionato del mondo, si svolge tra squadre e rappresentanti di varie nazioni; - la diretta applicabilit degli articoli costituenti il Trattato CE negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri. La Corte di giustizia, con sentenza emessa il 12 dicembre 1974, causa n.33/74, precisa preliminarmente che lattivit sportiva disciplinata dal diritto comunitario se configurabile come attivit economica ai sensi dellart. 2 del Trattato. Il combinato disposto dellart.7 con gli artt.48 e 59 del Trattato CEE, vieta, inoltre, qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza, nei rispettivi campi di applicazione; tale divieto riguarda non solo gli atti dellautorit pubblica, ma ogni atto che intenda disciplinare rapporti di lavoro o di prestazione di servizi tra cittadini comunitari. Facendo rientrare il caso in questione nel campo di applicazione dellart.59, la Corte afferma limpossibilit per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri di introdurre nei confronti della prestazione di servizi, verso cittadini di Paesi membri della Comunit, qualunque ostacolo o limitazione fondato sulla cittadinanza del prestatore; se ne deve cos dedurre lattribuzione ai cittadini stessi di diritti soggettivi, che il giudice nazionale tenuto a fare rispettare. Per quanto concerne la natura discriminatoria della clausola contenuta nel regolamento UCI, va segnalato il fatto che quest'ultima e la KNAU sostengono che la differenza di trattamento pu risultare discriminatoria unicamente se sprovvista di qualsiasi valida giustificazione. Nel caso esaminato, si argomenta la differenza di trattamento sottolineando che il trattamento sfavorevole subito dallallenatore olandese, cui si impedisce di stipulare un contratto con un corridore belga, sia giustificato dalla regola inerente alla formula stessa dei Campionati del Mondo, secondo cui ogni paese pu contare soltanto sui propri atleti: la differenza di trattamento non dunque immotivata. La Corte, tuttavia, non accetta questa tesi disponendo che: 1) considerati gli obiettivi della Comunit europea, l'attivit sportiva disciplinata dal diritto comunitario solo in quanto configurabile come attivit economica ai sensi dell' art . 2 del Trattato.

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2) Il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza, stabilito dagli artt.7, 48 e 59 del Trattato, non concerne la composizione di squadre sportive, e in particolare delle rappresentative nazionali, operata esclusivamente in base a criteri tecnico-sportivi: perci impossibile configurare tale attivit sotto il profilo economico. 3) Il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza investe non solo gli atti dell' autorit pubblica, ma le norme di qualsiasi natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e la prestazione di servizi . 4) Il principio di non discriminazione costituisce un parametro inderogabile per qualsiasi rapporto giuridico purch questo, in considerazione sia del luogo in cui sorge, sia del luogo in cui dispiega i suoi effetti, possa essere ricondotto al territorio della comunit . 5) l' art.59 comma I, prescrivendo l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, attribuisce ai singoli, a decorrere dalla scadenza del periodo di transizione, diritti soggettivi che il giudice nazionale tenuto a tutelare.50 Da ultimo, la Corte individua quella che definita eccezione sportiva: i giudici comunitari limitano, cos, lapplicabilit del diritto comunitario alle questioni economicamente rilevanti sottolineando che il principio di non discriminazione non riguarda, ad esempio, la composizione delle squadre nazionali; in questi casi la formazione delle squadre frutto di scelte tecnico-sportive come tali non riferibili ad unattivit economica, e, quindi, non applicabile lart.2 del Trattato. Secondo la Corte, inoltre, la definizione di squadra nazionale nel senso sportivo spetta al giudice nazionale, che deve valutare i singoli casi concreti, negando essa che ci rientri nella propria funzione di interpretazione.51 Tale affermazione, seppur lasci spazio a qualche incertezza, rappresenta laspetto pi innovativo della sentenza. Invero, da un lato si potrebbe ritenere che la Corte citi a titolo puramente esemplificativo la composizione delle squadre nazionali e che, dunque, sarebbero sottratte dal rispetto del diritto comunitario tutte le regole

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Corte di Giustizia, causa C-36/74, B.N.O. Walrave e L.J.N. Koch c. Association Union Cycliste Internationale, Koninklijke Nederlandsche Wielren Unie e Federacion espanola ciclismo, 1974. 51 Telchini I., La sentenza 12 dicembre 1974 nella causa 36/74 e le attivit sportive nellambito comunitario, RDE, 1975, p.134.

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sportive attinenti alla composizione delle squadre; dallaltro lato, per, linterpretazione restrittiva che dovrebbe caratterizzare leccezione alla regola generale, porterebbe a concludere che la sola deroga ammessa sia quella relativa alla composizione delle squadre nazionali, poich solo in questo caso verrebbero in rilievo interessi puramente sportivi.52 Le reazioni a siffatto orientamento della Corte di giustizia europea sono state molteplici e talora di segno contrastante. Un indirizzo minoritario teso a sottrarre lo sport dallosservanza della normativa europea, sottolineando come nelle competizioni agonistiche il significato sportivo assuma sempre valore preminente su quello economico;53 altri, invece, hanno ritenuto lo sport assoggettabile al diritto comunitario, sulla considerazione che la rilevanza economica di tale rapporto sia un dato obiettivo che comporta di per s lapplicazione del Trattato.54 I. Telchini, ad esempio, ha dichiarato che la sentenza sarebbe stata in grado di rivoluzionare delle situazioni consolidatesi in certi settori, come ad esempio quello calcistico, tendenti a limitare, e talvolta ad escludere, il tesseramento di giocatori ed allenatori stranieri, senza tener debito conto della differenza fra i cittadini degli Stati membri e quelli appartenenti a Stati terzi, aggiungendo che nel futuro il blocco non potr essere mantenuto che nei confronti di questi ultimi.55 Tra le critiche pi significative spicca sicuramente quella di Laura Forlati Picchio, la quale ha affermato che la Corte abbia previsto unulteriore deroga alla libera circolazione dei lavoratori oltre a quelle espressamente sancite dal Trattato, cos smentendo la costante giurisprudenza restrittiva nellinterpretare la portata di tali eccezioni.56

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DHarmant F., La libera circolazione nel calcio professionistico, Riv.Dir.Sport., 1987, p.619 ss. Silance L., Circolazione dei calciatori professionisti negli Stati comunitari, Riv.Dir.Sport., 1977, p.295: La Corte di Giustizia conferma in modo implicito, ma sicuro, il valore giuridico delle norme statutarie delle federazioni sportive internazionali (e del CIO), la natura delle quali fa s che debbano essere preferite, in certi casi, al diritto comunitario. 54 Bernini G., Lo sport e il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali, Riv.DirSport., 1993, p.655 ss. 55 Telchini I., La sentenza 12 dicembre 1974 nella causa 36/74 e le attivit sportiva nellambito comunitario, RDE, 1975, p.135. 56 Forlati Picchio L., Discriminazioni nel settore sportivo e Comunit europee, RDI, 1976, p. 745.

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In aggiunta a queste critiche, un altro indirizzo giurisprudenziale57 ha sostenuto lopinione secondo cui le norme discriminatorie poste in atto da enti nazionali o internazionali sportivi dovrebbero essere perseguite non tanto o non solo a causa della loro incompatibilit con gli articoli del Trattato sulla libera circolazione delle persone, quanto per violazione della normativa comunitaria relativa alla concorrenza. A parere degli studiosi favorevoli a tale orientamento, scartata la possibilit di imputare una sorta di responsabilit (ovviamente indiretta) a carico dello Stato per quelle norme poste in essere da soggetti rilevanti dellautonomia privata ai sensi dellart.169 Trattato CEE,58 la stessa Commissione avrebbe potuto far valere il proprio peso in caso di violazione della normativa comunitaria della concorrenza, in virt degli importanti poteri che le sono riservati. Una parte della dottrina ha ritenuto, quindi, che operazione da prestigiatori quella con cui la Corte evidenzia la rilevanza economica del rapporto, di lavoro o di prestazione di servizi, tra atleta e organizzazione sportiva, 59 e, dunque, la sua conseguente sottoposizione al diritto comunitario; la Corte sarebbe addirittura in contrasto con la propria giurisprudenza costante, secondo la quale il rispetto del diritto comunitario si imporrebbe in attivit di carattere non economico, purch collegate o interferenti con rapporti economici.60 Ad ogni modo la Corte, nel caso Walrave, si espressa nel senso dellirrilevanza di una qualificazione preliminare fra atleta e societ come lavoro subordinato o prestazione di servizi, poich il principio di non discriminazione vale indistintamente per tutte le prestazioni di lavoro o di servizi. Ci esclude definitivamente lammissibilit di una deroga allapplicazione del diritto comunitario in base alla qualificazione del rapporto di lavoro come non subordinato; tale divieto riguarda qualsiasi

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Giardini A., Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori, Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1989, p.452 ss.; Bianchi D'Urso F., Attivit sportiva e libera circolazione nella CEE, DL, 1992, p.482 ss. 58 Trattato CEE, art.169 (attuale art.226 Trattato CE): La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virt del presente trattato, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione questa pu adire Corte di giustizia. 59 Forlati Picchio L., Discriminazioni nel settore sportivo e Comunit europee , RDI, 1976, p. 745.
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Forlati Picchio L., Discriminazioni nel settore sportivo e Comunit europee, RDI, 1976, p.748.

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norma che disciplini un campo di competenza comunitaria e, di conseguenza, non soltanto gli atti dellautorit pubblica. Lefficacia del principio verrebbe infatti compromessa se non si eliminassero anche le restrizioni poste da associazioni o organi di diritto pubblico nellesercizio della loro autonomia giuridica.

LA SENTENZA DON
Intercorsi non pi di due anni dalla sentenza Walrave, la Corte di giustizia, nel luglio 1976, si trova nuovamente a proferire in materia relativa al fenomeno sportivo. In tal caso, oggetto del contendere non una disposizione dellUnione ciclistica, bens un regolamento organico adottato dalla Federazione calcistica nazionale di uno Stato membro. La causa trova il suo momento iniziale nel ricorso presentato al giudice conciliatore di Rovigo dal signor Don nei confronti del signor Mantero, presidente della locale squadra calcistica. Motivo del ricorso, il fatto che Mantero, dopo aver incaricato linterlocutore di procacciare calciatori stranieri potenzialmente utili per rinforzare la propria squadra e avendo Don fatto pubblicare a tal fine un annuncio su un giornale belga, si sia rifiutato di rimborsare a questultimo le spese sostenute. Giustificazione di tale diniego, ad avviso del presidente del Rovigo Calcio, il fatto che un regolamento organico (art.28, lettera g)61 della Federazione Italiana Giuoco Calcio vietasse il tesseramento di giocatori non cittadini italiani. Mantero sostiene il fatto che la controparte dovesse essere a conoscenza di tali normative, daltra parte Don ribatte asserendo lincompatibilit tra tali disposizioni ed i generali principi in tema di libera circolazione sanciti dal Trattato di Roma agli artt.7, 48, 59. Il giudice conciliatore di Rovigo, con ordinanza 7 febbraio 1976, decide di rimettere la causa alla Corte di giustizia della CEE, sottoponendole le seguenti questioni pregiudiziali:

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La tessera federale, al cui possesso subordinata la partecipazione alle gare, concessa normalmente ai soli giocatori di nazionalit italiana residenti in Italia.

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se gli articoli del Trattato in questione attribuiscano a qualsiasi cittadino comunitario il diritto di effettuare liberamente prestazioni di servizi allinterno del territorio della Comunit; - se tale diritto si estenda anche ai calciatori, nella misura in cui la loro prestazione abbia carattere professionale; - se tale diritto possa essere utilizzato come metro per sindacare normative emanate anche da enti privati; - se, in caso di soluzione positiva circa le tre precedenti questioni, lo stesso diritto possa essere invocato singolarmente e direttamente dai cittadini davanti ai giudici nazionali. I giudici europei richiamano, innanzitutto, la generale portata degli artt.7, 48 e 59 del Trattato; in particolare, sottolineano la generale efficacia dellindistinto divieto di discriminazioni basate sulla nazionalit disposto dallart.7 del Trattato, che si specifica, poi, nei divieti di politiche discriminatorie in tema di libera circolazione dei lavoratori e di libera prestazione di servizi. Nel trattare lart.48, la Corte rimanda anche alle disposizioni dettate, in tema di libert di movimento in capo ai lavoratori, dal Regolamento comunitario n.1612 del 1968; nel dettaglio, il primo articolo di questultimo a disporre che ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad unattivit subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro . Relativamente, poi, alla libera prestazione di servizi i giudici comunitari rimandano, oltre che allart.59 del Trattato CEE, anche al successivo art.60, il quale, al terzo comma, dispone che il prestatore pu, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attivit nel paese ove la prestazione fornita, alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini. Una volta definita la base normativa, la Corte ribadisce la conclusione secondo cui si pongano in contrasto con tali norme del Trattato, disposizioni interne che riservino esclusivamente ai cittadini di uno Stato membro lesercizio di una delle attivit che rientrano nella sfera di applicazione degli artt. 48-51 o 59-66 del Trattato.62

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Corte di Giustizia, causa C- 13/76, Gaetano Don c. Mario Mantero, 1976, p.to 11.

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Stabilita, quindi, la generale incompatibilit di politiche restrittive in materia di libera circolazione di lavoratori e libera prestazione di servizi con le disposizioni del Trattato, il giudice europeo dirime la seconda questione, relativa allapplicabilit o meno di tale sistema di norme al mondo sportivo. Come gi affermato dallAvvocato generale P.J. Warner nella sentenza Walrave, la pratica dello sport disciplinata dal diritto comunitario se configurabile come attivit economica ai sensi dellart.2 del Trattato. Nel dettaglio, la questione riguarda lapplicabilit o meno di tali normative nello specifico caso dei giocatori di calcio, e la risposta fornita parimenti affermativa, costituendo attivit economica la prestazione svolta da calciatori professionisti o semiprofessionisti, indifferentemente se nelle forme del lavoro subordinato o della prestazione di servizi retribuita. Quindi, quanto dispone la sentenza in esame, qualora tali cittadini svolgano la professione di calciatore, essi possono invocare nei loro confronti il rispetto delle norme comunitarie ed in particolare delle disposizioni del Trattato enunciate nel dispositivo. La Corte, tuttavia, nel statuire tale enunciazione generale, solleva la medesima eccezione rilevata nel caso Walrave: non possono considerarsi in contrasto con i principi del Trattato, disposizioni che prevedano criteri di selezione restrittivi nei confronti di atleti stranieri qualora esse trovino la loro applicazione esclusivamente in occasione di incontri finalizzati ad interessi che esulino da logiche economiche. Posta, dunque, la circostanza che la specifica professione di calciatore costituisce attivit economica qualora, al pari della pi generica attivit sportiva, presenti i requisiti ex art.2 del Trattato, e stabilita leccezione sussistente in occasione di determinati incontri o gare il cui fulcro sia costituito da finalit meramente agonistiche, la Corte affronta la terza questione prospettata dal giudice conciliatore di Rovigo. Questultimo, infatti, ha riproposto il dubbio, gi sollevato nella vicenda Walrave, relativo alla sindacabilit o meno, con i parametri fissati dagli articoli del Trattato, di normative adottate da organi non statali. La soluzione che offre la Corte non si discosta da quanto precedentemente da essa prospettato: il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza investe non solo gli atti della pubblica autorit, ma anche le norme di

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qualsiasi natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro salariato e la prestazione di servizi. Tale divieto, quindi, si estende anche alle normative contenute nel regolamento di unorganizzazione sportiva, come pu essere nel caso in esame la FIGC. Tuttavia, lAvvocato generale Trabucchi, nelle conclusioni, mettendo in rilievo la possibilit che le squadre nazionali potrebbero qualificarsi per una delle coppe europee per club e quindi divenire rappresentative della propria nazione in Europa, ammette le discriminazioni allo schieramento di stranieri da parte di tali squadre per motivi attinenti essenzialmente alla sfera sportiva, precisando, per, che le limitazioni basate sulla nazionalit del giocatore obbediscano ad esigenze e perseguano finalit puramente sportive, e purch dette limitazioni siano obiettivamente idonee e proporzionate al perseguimento del fine.63 In tale prospettiva, la soluzione fornita dalla Corte al quesito del giudice di Rovigo sicuramente da intendersi nel senso di una sindacabilit generale delle norme della Federcalcio qualora si pongano in una situazione di contrasto con i principi enunciati negli artt.7, 48-51, 59-66 del Trattato, prevedendo, tuttavia, la possibilit di eccezioni debitamente giustificate e valutate nel caso a quo.64 Quanto allultima questione posta in via pregiudiziale, la Corte risponde ricalcando le orme precedentemente segnate in occasione della sentenza Walrave: le disposizioni sancite dal Trattato in relazione alla libera circolazione dei lavoratori e alla libera prestazione di servizi hanno efficacia immediata negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e attribuiscono ai singoli interessati diritti soggettivi tutelabili davanti al giudice nazionale. Non pochi dubbi hanno sollevato le dinamiche processuali e le motivazioni addotte dalle parti; infatti, ad alcuni65 parso che il contenzioso davanti al giudice di Rovigo fosse preventivamente preparato, nel senso che ambo le parti fossero daccordo nel sollevare la questione di legittimit. Non
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Conclusioni Avvocato generale A. Trabucchi causa C- 13/76, Gaetano Don c. Mario Mantero, 1976. 64 Silance L., Circolazione dei calciatori professionisti negli Stati comunitari, Riv.Dir.Sport, 1977, p.301: Le eccezioni sono la conseguenza dellesistenza simultanea di ordini giuridici distinti, da una parte quelli dei Paesi del Mercato Comune, e dallaltra quelli delle Federazioni Sportive Internazionali e del Comitato Olimpico Internazionale. 65 Barile P., La Corte di Giustizia delle Comunit europee e i calciatori professionisti, Riv.Dir. Sport., 1977, p. 303 ss.

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si spiegherebbe, infatti, come Don, accusato di non conoscere determinate normative, sostenesse lillegittimit delle stesse piuttosto che perorare le accuse mosse inizialmente a Mantero. Secondo G. Bernini, la Corte non avrebbe dovuto nemmeno essere adita, in quanto la questione non verteva tanto sullinterpretazione del diritto comunitario, quanto sulla ricerca circa eventuali vizi della volont contrattuale; le parti avevano infatti sottoscritto un contratto la cui condizione sospensiva, la rimozione del blocco da parte della F.I.G.C., era allepoca del tutto inverosimile.66 Addirittura L. Forlati Picchio arriva a sostenere che nella sentenza Don sia rinvenibile un accenno di stanchezza della Corte nella difesa della prospettiva europeistica.67 La causa instaurata da Don nei confronti di Mantero, o meglio, il rinvio alla Corte di giustizia europea operato dal giudice conciliatore di Rovigo, avrebbero potuto mettere in discussione lintero sistema calcistico, le sue dinamiche e le sue politiche protezionistiche, invece, si pu ravvisare come tale intento sia rimasto confinato nel limbo dei buoni propositi. Successivamente alla sentenza, infatti, la Commissione ha evitato di imporre unilateralmente la soluzione prospettata dalla Corte di giustizia, ma ha esplicitato la volont di procedere nella direzione di un graduale adeguamento del calcio professionistico alle regole comunitarie.68 Al pari della vicenda Walrave, quanto qui disposto dal giudice di Lussemburgo, s idoneo a dirimere il caso a quo, ma non appare capace, per via dei suoi stessi limiti strutturali, a fornire un argomento decisivo per addivenire ad una completa liberalizzazione del mercato degli atleti professionisti. In una nota alla pronuncia della Corte di giustizia lAvvocato generale Trabucchi conferma come laffermazione del principio di non discriminazione, a danno dei lavoratori di altri paesi della Comunit europea accompagnato da cos ampia e generica riserva, che questa attesa sentenza

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Bernini G., Lo sport e il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali, Riv. Dir. Sport, 1993, p.661. 67 Forlati Picchio L., Discriminazioni nel settore sportivo e Comunit europee, Riv. Dir. internazionale, 1976, p.745. 68 Bernini G., Lo sport e il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali, Riv. Dir. Sport, 1993, p.662.

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non pare destinata a portare grandi mutamenti di fondo nella prassi attuale della circolazione dei calciatori fra le squadre delle singole nazioni.69 Lo stesso Trabucchi ha ritenuto, quindi, il valore della pronuncia della Corte come limitato al solo effetto di risolvere il caso di specie, senza ripercussioni possibili su uneventuale e completa liberalizzazione del settore. Tracciando una sintesi finale delle due sentenze analizzate, la Corte ha, quindi, stabilito che: - lattivit sportiva disciplinata dal diritto comunitario qualora sia configurabile come attivit economica ai sensi dellart.2 del Trattato; non ricorre invece lassoggettabilit alle suddette norme comunitarie se la disciplina discriminatoria si basa esclusivamente su criteri tecnico-sportivi oppure su motivi non economici, come, ad esempio, nel caso di incontri tra le rappresentative nazionali di due Stati membri; - il divieto di discriminazione a motivo della cittadinanza vale per tutte le prestazioni di lavoro o di servizi, indipendentemente dal rapporto giuridico dal quale traggono origine; - il divieto di discriminazione riguarda non solo gli atti dellautorit pubblica, ma anche quelli posti in essere da organizzazioni private.

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Trabucchi A., Le limitazioni allingaggio dei giocatori stranieri e la libera circolazione dei lavoratori nella Comunit Europea, , nota alla sentenza Don, Foro.it, 1976.

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CAPITOLO 3:

GLI EFFETTI DELLA

SENTENZA BOSMAN

1. Considerazioni preliminari
Nellassetto normativo appena delineato vanno inquadrate le problematiche concernenti lattivit sportiva e, in particolar modo, la libera circolazione dei lavoratori sportivi allinterno della Comunit europea. Il tema dellimpatto della problematica sportiva sul diritto comunitario non certo una novit e sono ormai trentanni che il dibattito dottrinario ferve assai intenso; infatti, la sentenza Bosman, che sar approfondita in seguito, rappresenta gi il quarto caso significativo in cui la Corte di giustizia delle Comunit europee si occupata di sport. Le altre tre sentenze riguardano anchesse la problematica della libera circolazione delle persone e dei servizi applicata agli sportivi professionisti: si tratta delle sentenze Walrave e Don, analizzate in precedenza, e della sentenza Heylens,1 sicuramente meno significativa in relazione alle tematiche esaminate in questo elaborato, ma concernente una discriminazione illegittima e la mancata applicazione dellart.43 (ex art.52) TCE, relativo al diritto di stabilimento.

Corte di Giustizia, causa C-222/86, Unectef c. Heylens,1987. La controversia ha ad oggetto il riconoscimento di un diploma professionale di allenatore di calcio; in particolare, se, in uno Stato membro, laccesso ad unattivit lavorativa dipendente subordinato al possesso di un diploma nazionale, o straniero ma equiparato, per il principio della libera circolazione dei lavoratori, un eventuale rifiuto del riconoscimento della suddetta equivalenza, deve essere soggetto a un gravame di natura giurisdizionale che consenta di verificarne la legittimit rispetto al diritto comunitario, e permetta allinteressato di venire a conoscenza dei motivi.

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Prima di entrare nel dettaglio della sentenza Bosman,2 pu essere utile analizzare brevemente come fosse strutturata la disciplina dei trasferimenti in Belgio allepoca dei fatti in causa. Secondo il regolamento della Federazione belga URBSFA3 allora vigente, infatti, nellambito della disciplina dei trasferimenti era necessario distinguere tre diverse tipologie di rapporto: 1) laffiliazione, che lega il calciatore alla Federazione nazionale; 2) il tesseramento, che lega il calciatore ad una societ appartenente alla Federazione nazionale; 3) la qualificazione, che costituisce il presupposto necessario per la partecipazione del calciatore alle partite ufficiali della societ di appartenenza. A norma del regolamento URBSFA, tutti i contratti dei calciatori professionisti, la cui durata pu variare da uno a cinque anni, scadevano il 30 giugno dellultimo anno previsto da contratto; prima della scadenza, ma comunque non oltre il 26 aprile, la societ doveva proporre al calciatore un rinnovo contrattuale ed il calciatore, libero di accettare o meno la proposta, in caso di rifiuto, sarebbe stato iscritto in un apposito elenco di calciatori che, tra l1 e il 31maggio potevano essere oggetto di un trasferimento cosiddetto imposto.4 A tal proposito si deve sottolineare come lo Statuto URBSFA prevedesse tre possibilit di trasferimento per i calciatori: imposto, libero ed amministrativo.5 Nel caso di trasferimento imposto, era necessario sia il consenso del calciatore che quello della sua nuova squadra, ma non anche il benestare della ex squadra di appartenenza; questultima doveva ricevere dalla nuova unindennit di formazione, calcolata moltiplicando il reddito lordo annuo del calciatore per coefficienti variabili a seconda dellet dello stesso.

Corte di Giustizia, causa C-415/93, Union Royale belge des socits de football association ASBL c. Jean Marc Bosman e Union des Associations de Football Europennes (UEFA) c. Jean Marc Bosman, 1995. 3 Union Royale belge des socits de football association. 4 Oggi si utilizza lespressione trasferimento a parametro zero. 5 Statuto URBSFA, art. 42 lett.a, n1, 1982.

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Per il trasferimento libero occorreva, invece, il mutuo consenso del calciatore e delle due societ interessate, mentre lindennit veniva determinata dalle societ stesse.6 La terza tipologia comprendeva, infine, i trasferimenti amministrativi, che si realizzavano su intervento dellistituto federale competente o, dufficio, sulla base delle prescrizioni regolamentari, con il solo consenso dellaffiliato, senza laccordo del proprio club. Qualora non avesse avuto luogo alcun trasferimento, la societ di appartenenza avrebbe dovuto offrire al calciatore, per unaltra stagione, un nuovo contratto alle stesse condizioni stabilite da quello proposto entro il 26 aprile. Nel caso in cui, invece, il calciatore continuasse a rifiutare i contratti proposti dalla societ di appartenenza, dopo due stagioni di inattivit avrebbe ottenuto un trasferimento come sportivo dilettante, senza bisogno di alcun consenso societario. A partire dal primo gennaio 1993 la URBSFA ha adottato un nuovo sistema di trasferimenti, di poco differente da quello finora descritto; nella nuova disciplina la libert contrattuale dellatleta leggermente rafforzata, ma la nuova societ avrebbe comunque dovuto versare al club di provenienza unindennit di trasferimento.7 Secondo quanto appena affermato, lindennit di trasferimento definita come un importo corrispondente al rimborso delle spese sostenute per la formazione e per la promozione del calciatore, nonch una compensazione per le capacit dellatleta e per i costi necessari alla sua sostituzione. Lo Statuto URBSFA del 1993 dettava anche disposizioni applicabili al caso in cui il calciatore affiliato ad una federazione straniera fosse ceduto ad un club belga, e viceversa. Al calciatore interessato poteva essere rilasciata la qualificazione per un club belga solamente nel caso in cui la URBSFA fosse stata in possesso di un certificato di trasferimento internazionale rilasciato dalla stessa federazione che lo sportivo intendeva lasciare; in tal

I trasferimenti liberi possono essere conclusi: a) a titolo definitivo, e in tal caso lassegnazione dellaffiliato verr fatta ad un altro club per una durata indeterminata; b) a titolo temporaneo, per cui il passaggio dellaffiliato ad un altro club avverr per un periodo determinato (solitamente un anno). 7 Stauto URBSFA art. 4/85. dello, 1993, tratto da Riv. Dir. Sport., 1996, p.566 senza pregiudizio della libert contrattuale del calciatore, il club acquirente tenuto a versare unindennit allultimo club di appartenenza.

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senso, la Federazione poteva anche essere obbligata al rilascio di questo certificato da parte della FIFA.8 In tale ambito, un importante documento intitolato principi di collaborazione tra le federazioni aderenti allUEFA e le loro societ9 stabiliva che, alla scadenza del contratto, il calciatore fosse libero di stipularne uno nuovo con una societ di sua scelta; questultima aveva, tuttavia, il dovere di informare tempestivamente la societ di provenienza, la quale, a sua volta, informava la Federazione nazionale, tenuta a redigere il certificato internazionale di trasferimento. Il Regolamento UEFA prevedeva anche che, in caso di controversia, limporto dellindennit di trasferimento sarebbe stato fissato da una Commissione, costituita nellambito dellUEFA, la quale, a tal fine, avrebbe dovuto procedere alla moltiplicazione del reddito lordo del calciatore per un coefficiente variabile da 0 a 12, secondo let dellatleta.10 La questione dellindennit di trasferimento, pertanto, non avrebbe dovuto interferire nellattivit del calciatore, come gi ribadito, libero di giocare con la societ con la quale ha stipulato il nuovo contratto;11 tuttavia, se questultima non avesse tempestivamente versato lindennit alla societ di provenienza, la suddetta Commissione, esaminato il caso, avrebbe comunicato la sua decisione alla federazione nazionale interessata, a cui spetta, a sua volta, la facolt di infliggere sanzioni alla societ inadempiente. Il giudice di rinvio ha ritenuto che nella fattispecie oggetto delle cause a quibus lURBSFA e il RCL non avessero applicato il regolamento UEFA, ma quello della FIFA.12 Questultimo stabiliva che un calciatore professionista non avrebbe potuto lasciare la propria federazione nazionale finch fosse vincolato dal

8 9

Statuto URBSFA art. 4/70. p.ti 122 e 123, 1993. Tale documento stato approvato dal comitato esecutivo UEFA il 24 maggio 1990, ed entr in vigore dal 1luglio dello stesso anno. Questo stato, poi, sostituito nel 1993 dal Regolamento UEFA relativo alla fissazione dellindennit di trasferiment. 10 Come riportato nelle conclusioni dellAvvocato generale Lenz (p.to19), il coefficiente 0 era attribuito a quei calciatori che avessero almeno 39 anni, e che potevano quindi effettuare passaggi di societ senza che sussistesse alcun obbligo di versare lindennit di trasferimento. 11 Regolamento UEFA, art.2, 1993.
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Il regolamento FIFA qui preso in considerazione quello del 1994, risultato di una serie di modifiche a partire dal 1984. Tale regolamento disciplina lo status e la qualificazione dei calciatori,i quali, a seguito di un trasferimento, effettuino un passaggio da una federazione nazionale ad un'altra

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suo contratto e dai regolamenti del suo club di provenienza, della sua lega o della sua federazione nazionale, per quanto rigidi potessero essere. Presupposto di un trasferimento internazionale era, quindi, il rilascio, da parte della federazione di provenienza, di un certificato di svincolo13 in cui essa doveva confermare che tutte le obbligazioni di carattere pecuniario, compresa uneventuale indennit di trasferimento, erano state adempiute. In sintesi, nessuna federazione avrebbe potuto, dunque, rilasciare la qualificazione ad un calciatore che non fosse stato in possesso di tale certificato.14 Anche il Regolamento FIFA ribadiva che le controversie relative allammontare dellindennit di trasferimento non avrebbero potuto interferire nellattivit sportiva o professionale del calciatore. Nellaprile del 1993, la massima istituzione del calcio mondiale ha adottato, infine, un nuovo regolamento relativo allo statuto ed ai trasferimenti dei calciatori, il quale disponeva che il calciatore poteva stipulare un contratto con una nuova societ solo nel caso in cui quello che lo vincolava alla sua ultima societ fosse giunto a scadenza, fosse stato risolto, o fosse scaduto nei sei mesi successivi.

2. La sentenza che ha rivoluzionato il mondo dello sport


La notoriet riscossa dalla sentenza Bosman dovuta, in primo luogo, allinteresse che il calcio ha da sempre suscitato in tutti i paesi del mondo, anche se ad alimentarlo ha concorso, sicuramente, l'aspetto economico della sentenza, di gran lunga superiore e con effetti rilevanti rispetto a cause precedenti a livello comunitario. Un grande stupore stato anche provocato dal fatto che la Comunit abbia imposto il rispetto delle proprie regole ad un

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Questa situazione, come si vedr nel prossimo paragrafo, si verificata proprio nel caso Bosman, poich il fatto che la societ del RC Liegi, in cui militava il calciatore , non avesse avanzato richiesta di concessione del certificato di svincolo stata una delle cause scatenanti di questo procedimento giudiziario. 14 Regolamento FIFA art. 12 n.1.

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settore come lo sport, ed il calcio in particolare, che dopo quarantanni di mercato comune, nonostante la continua crescita degli interessi, era riuscito a sottrarvisi, mantenendo importanti connotati di autonomia e specialit. Passiamo ora ad esaminare quelli che sono i fatti allorigine della causa. Jean Marc Bosman, dopo aver compiuto la trafila del settore giovanile nello Standard Liegi (dal 1983 al 1988), nel 1988 passa alla societ RC Liegi,15 militante nella serie A belga, dietro il pagamento di unindennit di trasferimento pari a 3.000.000 FB;16 egli firma un contratto biennale ed il suo salario mensile lordo viene fissato in 75.000 FB da aumentare in ragione dei diversi premi partita. Nellaprile del 1990, in prossimit di scadenza, la societ gli propone un nuovo contratto annuale in base al quale, per, la sua retribuzione sarebbe ridotta al minimo previsto dalla regolamentazione belga; egli passa cio da un compenso base di 75.000 FB a 30.000 FB (tutti i premi partita e le entrate supplementari vengono soppressi o considerevolmente ridotti). A Bosman, dunque, si prospetta un bivio: rinnovare il vincolo contrattuale accettando un trattamento finanziario sfavorevole, oppure legarsi ad unaltra compagine, previo il conferimento, da parte di questultima, di una somma a titolo di indennizzo da versare nelle casse della societ cedente (RC Liegi ).17 Bosman non accetta tali condizioni contrattuali e si rifiuta di firmare il suddetto prolungamento; in conseguenza di tale scelta, conformemente al regolamento dellURBSFA, il giocatore viene iscritto nella lista dei trasferimenti obbligatori, impedendo in tal modo alla societ RFC Liegi di opporsi alla cessione nel caso in cui un altro club sia pronto a versare la somma fissata (circa 110.000 FB). Poich in Belgio nessuna societ manifesta interesse per il suo acquisto, Bosman si muove autonomamente alla ricerca di un altro datore di lavoro e, nel luglio del 1990, entra in contatto con il club del Dunkerque, militante nella seconda serie francese, il quale raggiunge con il Liegi un accordo in

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Royal Club Ligeois S.A. La sigla FB indica la valuta belga, il Franco Belga. Telchini I., Il caso Bosman: diritto comunitario e attivit calcistica, DCSI, 1996, p.311ss.

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base al quale Bosman si trasferirebbe con la formula del prestito annuale oneroso, per un ammontare pari a 1.200.000 FB.18 Il club francese ottiene, inoltre, unopzione irrevocabile sul calciatore, per lacquisto a titolo definitivo per una somma di 4.800.000 FB, se facesse valere detta opzione entro il 15 maggio 1991.19 Tuttavia, il 3 agosto 1990, la societ francese annulla la propria domanda per fare registrare latleta presso la Federazione francese e, nel frattempo, il Liegi inoltra alla propria federazione una richiesta di sospensione verso Bosman, avendo questultimo rifiutato di firmare il contratto presentatogli. Questa decisione viene notificata a Bosman il giorno successivo, comportando per lui la perdita di ogni entrata; in tale contesto e di fronte a questi presupposti, che egli matura la decisione di adire il Tribunale di Liegi, citando per via direttissima il club di Liegi e lURBSFA, pur continuando la propria ricerca di un ingaggio presso altri club europei.20 Il 17 ottobre 1990, Bosman stipula un accordo con il Saint-Quentin, subordinandolo alla condizione sospensiva che il Tribunale di Liegi lo autorizzi, con sentenza, a firmare un contratto con un altro club senza che il Liegi pretenda alcuna indennit; tuttavia, anche questo contratto non giunge a buon fine, apparentemente perch, essendo il Saint-Quentin retrocesso in serie C, non pi in grado di adempiere i propri obblighi finanziari nei confronti del giocatore, ma in realt Bosman vittima di un vero e proprio boicottaggio da parte delle societ europee. A.Marchandise, presidente del RC Liegi ha, infatti, incontrato in precedenza il presidente del Saint-Quentin ed il vice presidente dellURBSFA, Meulemans, il quale, senza mezzi termini, ha reso chiaramente nota la sorte del club che avesse osato ingaggiare Bosman.21 In sintonia con

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Come precisato nelle Conclusioni dell'Avvocato Generale Lenz, p.to 44., tale somma, prevista a titolo di indennit, sarebbe stata esigibile al momento in cui la Fdration franaise de football (FFF) avesse ricevuto il certificato di trasferimento rilasciato dallURBSFA. 19 Bastianon S., Bosman, il calcio e il diritto comunitario, in Foro it., 1996, p. 3 ss. 20 Bastianon S., Il diritto comunitario e la libera circolazione degli atleti alla luce di alcuni recenti sviluppi della giurisprudenza, DUE 4/1998, p.907 ss. 21 Blanpain R., Colucci M., Europa, Diritto e Sport, Edus Law International, 1998; Meulemans, vicepresidente dellURBSFA e avvocato presso il tribunale di Malines, aveva anche espresso giudizi poco lusinghieri nei confronti dellAvvocato generale, presso la Corte di giustizia, Carl Otto Lenz: Non dobbiamo prendere lezioni da una persona che non sa neanche, permettetemi lespressione, qual la forma di un pallone Bisogner vedere in quale senso andr la Corte fra qualche mese. Noi

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questultimo, Michel Verrschueren, manager dellAnderlecht, il club belga pi blasonato, parla di questo fariseo di Bosman, che ha fatto un passo di troppo e di questi giuristi che non sanno nemmeno che un pallone rotondo, testimoniando ancora una volta la profonda ostilit con cui stato accettato questo moto di ribellione del calciatore.22 Con ordinanza datata 9 novembre 1990, il tribunale si pronuncia per via direttissima e, dopo un esame approfondito, il giudice considera le motivazioni di Bosman ampiamente giustificate, condannando il club di Liegi a versare al calciatore una cifra mensile di 30.000 FB nellattesa di una decisione esecutiva, a meno che, lo stesso, non trovasse un altro club disposto ad offrirgli tale somma. Il tribunale condanna, inoltre, lUnione belga e il club del RC Liegi ad astenersi da qualsiasi atto che possa in qualche modo compromettere la libert contrattuale di Bosman e di eventuali club interessati a stipulare con questo un contratto di lavoro. Nel 1991 anche la UEFA convenuta in giudizio, a causa della presunta illegittimit delle proprie normative; in particolare, Bosman si attiva affinch il giudice pervenga ad una declaratoria di invalidit dei regolamenti UEFA, adducendo come ratio lincompatibilit delle regolamentazioni sportive della stessa con il diritto comunitario, nella misura in cui le prime abbiano previsto un sistema di trasferimenti che contempli il pagamento di somme a titolo di indennizzo, anche in merito allacquisto delle prestazioni di un calciatore il cui precedente contratto sia gi giunto a scadenza. Ulteriore punto di frizione denunciato , poi, rappresentato dalla presenza di norme interne allordinamento sportivo le quali non equiparano i calciatori comunitari a quelli nazionali. Al termine di un percorso a dir poco travagliato, passato attraverso i corridoi del tribunale di prima istanza e le stanze delle Corti dappello e Cassazione, la vicenda giunge sui banchi del giudice comunitario, al quale sono rinviate molteplici questioni pregiudiziali. Prima di entrare nel merito dellanalisi, necessario riportare le questioni sottoposte dalla Corte dAppello di Liegi alla Corte di giustizia; in

speriamo che i giudici saranno attenti nel considerare la specificit del calcio. E poi, noi possiamo sempre ricorrere ad appoggi politici. 22 Blanpain R., Colucci M., Europa, Diritto e Sport, Edus Law International, 1998.

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particolare si domanda se gli artt.48, 85 e 86 del Trattato CEE (attuali artt.39, 81 e 82 Trattato CE) debbano essere interpretati nel senso che: 1) proibiscono ad un club professionistico la possibilit di pretendere e percepire da un altro club il pagamento di una determinata somma di denaro, allorch un giocatore gi tesserato per il primo club venga ingaggiato dal secondo dopo la scadenza del contratto stipulato con il primo; 2) proibiscono alle Associazioni o Federazioni sportive, nazionali ed internazionali, la possibilit di includere nei rispettivi regolamenti, norme che limitano la partecipazione di giocatori, cittadini degli Stati aderenti alla Comunit, alle competizioni da queste organizzate.23 La pronuncia della Corte stata sicuramente ispirata dalle conclusioni presentate dall'Avvocato generale Lenz, che esaminer in seguito, le quali hanno altres fornito allo stesso organo giudicante interessanti spunti di riflessione ed ulteriori chiavi di lettura alla vicenda. Dalle conclusioni dellAvvocato generale Carl Otto Lenz emerge con grande chiarezza il problema su cui la Corte di Lussemburgo stata chiamata a pronunciarsi dalla Corte dAppello di Liegi, 24 secondo lAvvocato generale, infatti, nella causa in questione sono rilevanti due aspetti, dei quali si deve determinare la compatibilit con il diritto comunitario. Da un lato, tale compatibilit riguarda le regole che consentono ad una societ calcistica, nel caso in cui un calciatore da essa ingaggiato intenda cambiare societ alla scadenza del contratto, di pretendere il pagamento di una somma definita indennit di trasferimento; dallaltro lato, oggetto della domanda pregiudiziale sono le norme, emanate dalle organizzazioni calcistiche, che limitano laccesso di calciatori stranieri alle competizioni nazionali. Sia la UEFA che la URBSFA riportano diverse argomentazioni al fine di dimostrare linapplicabilit al caso di specie dellart. 48 del Trattato CEE: la UEFA, in particolare, sostiene che le norme da essa emanate, relative al numero degli stranieri, non violino lart.48, in quanto si limiterebbero a disciplinare il numero di essi che possono essere impiegati da un club in una
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Coccia M., Nota all'ordinanza di rinvio della Corte dAppello di Liegi, Riv. Dir.Sport. 1994, p.517. Conclusioni Avvocato generale Lenz, Corte di Giustizia, causa C- 415/93, Union Royale belge des socits de football association ASBL c. Jean Marc Bosman e Union des Associations de Football Europennes (UEFA) c. Jean Marc Bosman, 1995, Riv. Dir. Sport, 1996, p.563 ss.

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gara, lasciando libert per quanto concerne il numero degli stessi da ingaggiare. Bosman e la Commissione, al contrario, osservano che, in ogni modo, la libert di circolazione viene compromessa, infatti nella costruzione dellorganico di una squadra non si potrebbe non tenere conto delle norme regolanti il numero di stranieri: nessun club ingagger pi calciatori stranieri, o molti di pi, di quanti non possa impiegare nellambito di una gara25 Per quanto riguarda la disciplina dei trasferimenti, lURBSFA sostiene espressamente che il pagamento delle indennit di trasferimento serva a garantire la sopravvivenza dei club minori, assicurando un certo grado di equilibrio finanziario e tecnico tra le societ calcistiche. Tuttavia, come sottolineato dallAvvocato generale Otto Lenz, se questo lo scopo per cui stata prevista lindennit di trasferimento, altri metodi meno lesivi della libert di circolazione potrebbero essere adottati dalle singole federazioni nazionali: potrebbe, ad esempio, essere prevista, da parte delle societ professionistiche, una ripartizione delle entrate, in modo da tutelare gli interessi propri, ma anche, contemporaneamente, quelli dellavversario e del sistema calcistico nel suo complesso. La UEFA stessa ha messo in rilievo, in effetti, come il gioco del calcio sia caratterizzato dalla interdipendenza economica tra i club. Ad avviso dell'Avvocato generale Lenz, ancora meno fondata appare la tesi, sostenuta dal governo italiano e francese, che giustifica il pagamento dellindennit di trasferimento come una compensazione per le spese sostenute dalla societ calcistica per la preparazione e il miglioramento tecnico di un giocatore. Si potrebbe concordare con essa, se il caso in questione riguardasse il trasferimento di un calciatore da una societ dilettantistica ad una professionistica; viene, invece, considerato come dato di fatto da tutte le parti in causa, il carattere professionistico della prestazione offerta dal calciatore Jean Marc Bosman. 26 Secondo lAvvocato generale, quindi, contro la ricostruzione dellindennit di trasferimento quale compensazione dei costi di formazione, depone la circostanza che
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Conclusioni Avvocato generale Lenz, p.to 136.

Coccia M., L'indennit di trasferimento e la libera circolazione dei calciatori professionisti nell'Unione europea, Riv. Dir. Sport, 1994, p.350 ss.

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tali somme vengono pretese anche qualora ad effettuare il passaggio di societ siano calciatori professionisti attempati; in siffatte ipotesi, infatti, non potrebbe pi parlarsi di preparazione e compensazione dei relativi costi.27 Poste, quindi, lapplicabilit delle norme comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori relativamente allattivit sportiva e la riconducibilit della figura del calciatore nellambito della pi generale categoria dei lavoratori,28 lAvvocato generale prospetta lillegittimit delle normative delle istituzioni calcistiche le quali statuiscano differenti regimi per atleti stranieri, essendo tali regimi differenziati veri e propri ostacoli alla circolazione dei lavoratori comunitari. La corresponsione di una somma a titolo di indennit di formazione rappresenta, secondo quanto asserito da Lenz, un efficace deterrente alla possibilit in capo ai singoli calciatori di cambiare squadra una volta espirato il proprio vincolo contrattuale con loriginario datore; parimenti, dover richiedere ed ottenere dalla federazione dappartenenza il certificato di svincolo al fine di perfezionare una trattativa avente ad oggetto il trasferimento di un tesserato, configura un onere gravoso e sproporzionato rispetto allo scopo di cui costituisce condizione subordinante. Per quanto concerne la compatibilit delle regole controverse con il diritto comunitario della concorrenza, lAvvocato generale si domanda se effettivamente le societ calcistiche, o le federazioni stesse, possano considerarsi delle imprese ai sensi dellart.85 del Trattato:29 avuto riguardo sia alla nozione comunitaria di impresa, sia a quella di attivit economica, potrebbe sicuramente concludersi che i club professionistici, quale che sia lentit dellattivit economica svolta, rientrino in questa categoria. 30 Ancora, secondo Lenz, una volta riconosciuta alle societ calcistiche la qualit di imprese e alle federazioni quella di associazioni di imprese,

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Conclusioni Avvocato generale Lenz, p.to 237. Antonucci M., Il mercato dei calciatori: ampliata la libert di circolazione, Il Consiglio di Stato 2005/II, p.781. 29 Giardini A., Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori, DCSI, 1988, p. 437 ss. 30 Giardini A., Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori, DCSI, 1988; per l'autore negare la natura di imprese alle societ di calcio significherebbe disconoscere quei caratteri di economicit ormai propri alla sport (quanto meno, a livello professionistico), magari in nome di una idea di purezza e disinteresse.

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chiaro che le norme relative agli stranieri determinano una restrizione della concorrenza ai sensi dellart.85, infatti le societ calcistiche sono limitate nella possibilit di ingaggiare giocatori. Lart. 85, comma I, in particolare, vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto leffetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza allinterno del mercato comune: per di pi, considerato che lart.85 non circoscritto agli scambi relativi a merci, ma riguarda tutti gli scambi commerciali, sia le norme relative agli stranieri che limitano la possibilit di ingaggio dei calciatori, sia le regole sui trasferimenti, costituiscono una restrizione alla concorrenza.31 Inoltre, il successivo art. 86 stabilisce che incompatibile con il mercato unico e vietato nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra gli Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o pi imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo. Tuttavia, secondo lAvvocato generale, la questione non merita di essere approfondita in quanto nella presente causa non si verte sulla potenza di mercato che le societ vantano collettivamente nei confronti di concorrenti, clienti o consumatori. calciatori non appartengono a nessuna di queste categorie.32 Nel caso di specie non si ha dunque nessuna violazione dellart. 86.33 Passando ora ad analizzare la sentenza e le motivazioni della Corte di giustizia, in linea con quanto anticipato dallAvvocato Lenz, appare evidente come essa si trova nuovamente di fronte ad una questione
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Castellaneta M., Le discipline sportive nell'ordinamento dell'Unione europea, DCSI, 2001, p.236. Conclusioni Avvocato generale Lenz, p.to 287. 33 Vidiri G., riportato in Bastianon S., La libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza Bosman , Riv. Dir. Sport., 1996, p.510 nota 5: lautore rileva che se la sentenza avesse riconosciuto la violazione dei principi della concorrenza da parte delle norme federali denunziate di illegittimit, avrebbe sicuramente assunto una portata ben pi incisiva. Lautore rileva anche che se la Corte avesse dichiarato la contrariet delle regole sportive alla normativa comunitaria antitrust, lazione della Commissione avrebbe resa maggiormente ardua lelusione dei principi fissati dalla Corte di giustizia che, come prevedibile, incontreranno nella loro concreta attuazione, ostacoli in ragione del comportamento delle federazioni nazionali degli Stati membri, sempre decise a rivendicare la piena autonomia dellordinamento sportivo, a tutela degli specifici e rilevanti interessi del mondo calcistico.

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interpretativa relativa allart.48 ed ai suoi rapporti con normative dellordinamento sportivo. Data la scarsa incisivit dimostrata dalle precedenti pronunce, il giudice comunitario ha finalmente loccasione per affermare in maniera granitica l'applicazione dei principi di libera circolazione allinterno del mondo sportivo. Entrando nel merito della sentenza della Corte di giustizia, si pu notare, innanzitutto, come siano diverse le argomentazioni tese a dimostrare la non applicabilit dellart.48 del Trattato alla fattispecie in questione:34 in particolare, riguardo al carattere di impresa o meno delle societ sportive, la Corte ritiene che, al fine dellapplicazione dellart.48 e delle altre disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori, non necessario che il datore di lavoro abbia la qualifica di impresa, dato che lunico elemento che richiede lesistenza di un rapporto lavorativo o la volont di stabilirne uno. Inoltre, in tema di riconoscimento dellautonomia del movimento sportivo, la Corte osserva che la difficolt di distinguere gli aspetti economici del calcio da quelli puramente sportivi, non sufficiente per escludere unintera attivit sportiva dallambito di applicazione del Trattato dato che, come ha sostenuto la stessa Corte nella sentenza Don/Mantero, tale restrizione della sfera di applicazione delle disposizioni del Trattato deve essere mantenuta rigorosamente entro i limiti del suo specifico oggetto. Per quel che concerne la libert di associazione delle federazioni sportive, la Corte, seguendo ancora lorientamento dellAvvocato generale, non ritiene le norme UEFA e URBSFA necessarie per garantire lesercizio di tale libert da parte di tali associazioni, dei club o dei giocatori o che le stesse siano una conseguenza ineluttabile di tale libert. La Corte di giustizia si trovata, poi, ad affrontare unulteriore questione concernente il carattere puramente interno della situazione, infatti la UEFA ha sostenuto che le cause pendenti davanti al giudice a quo si riferissero ad una situazione interna allo Stato belga e, pertanto, fuori dallambito di applicazione dellart.48 del Trattato.35 La Corte, tuttavia, obietta che dagli
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Corte di Giustizia, causa C-415/93, Union Royale belge des socits de football association ASBL c. Jean Marc Bosman e Union des Associations de Football Europennes (UEFA) c. Jean Marc Bosman, 1995, p.to 69 e ss. 35 Corte di Giustizia, causa C-415/93, Union Royale belge des socits de football association ASBL c. Jean Marc Bosman e Union des Associations de Football Europennes (UEFA) c. Jean Marc

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accertamenti di fatto compiuti dal giudice a quo risulta che il signor Bosman aveva stipulato un contratto di lavoro con una societ di un altro Stato membro per esercitare unattivit retribuita nel territorio di tale Stato. Come ha giustamente osservato linteressato, egli ha, ci facendo, risposto ad unofferta di lavoro effettiva ai sensi dellart.48 n3, lett.a).36 Stabilito, dunque, che detta causa non potrebbe qualificarsi come puramente interna, viene respinto anche questultimo argomento. Liberato, quindi, il terreno dalle questioni pregiudiziali circa lapplicabilit dellart.48 al settore dello sport, la Corte deve affrontare il problema dellesistenza, o meno, di un concreto ostacolo alla libera circolazione degli sportivi. Per quel che concerne lindennit di trasferimento avrebbe dovuto essere versata alla societ cedente dalla societ che intendesse procedere all'acquisto un calciatore in scadenza di contratto, lincompatibilit con il diritto comunitario di tale regolamentazione viene dichiarata dalla Corte di giustizia sulla base di uninteressante, e per nulla scontata, lettura dellart.48 del Trattato CEE, che va, in questo caso, ben oltre a quanto affermato dallAvvocato generale. Innanzitutto, la Corte ritiene che sia ostacolata la libera circolazione allinterno dell'Unione europea a causa della subordinazione del trasferimento di un calciatore allaccordo tra la societ acquirente e quella venditrice; la pronuncia va cos ad inserirsi in quel filone interpretativo che tende, pi che altro, a colpire gli ostacoli effettivi al pieno godimento della liberalizzazione proclamata dal Trattato, piuttosto che la natura discriminatoria dellostacolo stesso.37 Bisogna comunque sottolineare come la Corte, prima della sentenza Bosman, non avesse mai contemplato lincompatibilit di tali misure indistintamente applicabili (neutre) con lart.48 del Trattato. Ad esempio in
Bosman, 1995, p.to 89: risulta da una giurisprudenza costante (in particolare sentenze: 28 marzo 1979, causa 175/78, Saunders, Racc. p.1129, p.to11; 28 giugno 1984, causa 180/83, Moser, Racc. p.2539, p.to15; 28 gennaio 1992, causa C-332/90, Steen, Racc. p. I-341, p.to19) che le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori non possono essere applicate a situazioni puramente interne di uno Stato membro, ossia in mancanza di qualsiasi criterio di collegamento ad una qualunque delle situazioni previste dal diritto comunitario. 36 Corte di Giustizia, causa C- 415/93, Union Royale belge des socits de football association ASBL c. Jean Marc Bosman e Union des Associations de Football Europennes (UEFA) c. Jean Marc Bosman, 1995, p.to 90. 37 Tizzano A., De Vita M., Qualche considerazione sul caso Bosman, Riv. Dir. Sport., 1996, p.416 ss.

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una precedente sentenza,38 la stessa ha dichiarato espressamente che gli artt.48 e 52 si oppongono a qualsiasi normativa nazionale che, pur applicandosi senza discriminazioni per motivi di nazionalit, possa ostacolare o rendere meno allettante lesercizio, da parte dei cittadini comunitari, delle libert fondamentali garantite dal Trattato. Tuttavia, nel caso Bosman, si tratta di una misura che pone in essere una discriminazione indiretta basata sulla nazionalit, ed possibile, 39 di conseguenza, interpretare laffermazione della Corte sia nel senso che gli artt.48 e 52 proibiscano le misure neutre, sia nel senso che proibiscano soltanto quelle discriminatorie, indipendentemente dal fatto che queste lo siano in modo diretto o indiretto. Pertanto, in assenza di un criterio differente rispetto alla discriminazione per nazionalit, la quale consentirebbe di delimitare lambito di applicazione dellart.48, ogni misura deve essere verificata caso per caso, alla luce di criteri non sempre univoci, in quanto necessariamente connessi alla peculiarit della fattispecie.40 Gran parte del dibattito processuale si sviluppato proprio in ordine alla possibilit di giustificare lindennit di trasferimento, tuttavia la Corte rigetta le varie argomentazioni proposte da club e federazioni, riprendendo, per quanto concerne il mantenimento dellequilibrio finanziario fra club e la protezione dei giovani talenti, la tesi dellAvvocato generale Lenz, gi esposta in precedenza, secondo cui gli stessi obbiettivi si potrebbero raggiungere anche attraverso mezzi differenti, ma in modo altrettanto effettivo.41

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Corte di Giustizia, causa C-19/92, Dieter Kraus c. Land Baden Wurttemberg, 1993. La normativa tedesca in questione era quella che esigeva unautorizzazione dei Lander per poter utilizzare in Germania, a scopo professionale, i titoli universitari di terzo ciclo ottenuti in altri Stati membri. 39 Sanchez M., Hochleitner D., Le conseguenze giuridiche della sentenza Bosman per lo sport spagnolo ed europeo, Riv. Dir. Sport., 1996, p.473 ss. Sembra possibile sostenere che la succitata normativa tedesca racchiudesse, in pratica, una discriminazione materiale fondata sulla nazionalit, poich le persone che in Germania intendevano far uso dei titoli ottenuti in altri Stati membri erano per lo pi cittadini di questi stessi Stati, e non cittadini tedeschi. Nelle conclusioni presentate in questa causa, lAvvocato generale Van Gerven sostenne che la normativa tedesca conteneva una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalit. 40 Tizzano A., De Vita M.,, Qualche considerazione sul caso Bosman, Riv. Dir. Sport., 1996, p.419ss. 41 Conclusioni Avvocato generale Lenz, p.ti 226 ss.

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Per concludere su questo punto, necessario ricordare come la Corte di giustizia abbia limitato lapplicabilit dellart.48 del Trattato CEE ai soli trasferimenti che avvenivano tra societ situate in Stati membri differenti, non avendo, teoricamente, implicazioni per le ipotesi puramente interne. , tuttavia, erroneo pretendere che la sentenza Bosman non abbia avuto nessun effetto diretto sulle regole nazionali di trasferimento, ossia sulle regole di trasferimento allinterno dello Stato membro; al contrario, queste regole sono ugualmente colpite, al pari di quanto avviene nel caso dei trasferimenti intracomunitari, quando si applicano ad un cittadino di un altro Stato membro che desideri essere trasferito da un club allaltro allinterno dello Stato in questione. La Corte avvalora, dunque, una portata dellart. 48 del Trattato pi ampia rispetto a quanto in precedenza prospettato. Se, infatti, in particolare nei casi Walrave e Don, quanto disposto da tale passaggio del Trattato stato inteso nel senso che ponesse il divieto di effettuare discriminazioni la cui ratio fosse la nazionalit, ora, con la pronuncia sulla vicenda Bosman, si afferma che la natura stessa dellart.48 comporti un ostacolo a qualsiasi provvedimento che, anche indirettamente, possa nuocere alle ragioni di un cittadino comunitario nello svolgimento di unattivit lavorativa sul territorio di un altro Stato membro, anche nellipotesi in cui tale misura restrittiva trovi applicazione indipendentemente dalla cittadinanza del lavoratore. Tuttavia, evidente come alla Corte sono state necessarie lunghe disquisizioni per giungere alle medesime conclusioni dellAvvocato generale, anche se essa non ha affermato in modo chiaro, come ha fatto, invece, questultimo, che le norme sportive in questione risultano contrarie allart.48, in quanto discriminatorie a motivo della nazionalit.42 In sintesi, il giudice comunitario ha statuito che: 1) Lart. 48 del Trattato CE osta allapplicazione di norme emanate da associazioni sportive, siano esse nazionali o internazionali, ai sensi delle quali un calciatore professionista, cittadino di uno Stato membro, con un contratto in scadenza che lo vincola ad una societ, possa essere ingaggiato da una societ di un altro Stato membro solo dopo il pagamento di unindennit di trasferimento, formazione o promozione.
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Conclusioni Avvocato generale Lenz, p.to 160.

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2) L art. 48 del Trattato CE osta allapplicazione di norme emanate da associazioni sportive, secondo le quali, nelle competizioni da esse organizzate, le societ calcistiche possono schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri. Inoltre, per quanto riguarda lefficacia della sentenza nel tempo, la Corte ha stabilito che leffetto diretto dellart. 48 non pu essere fatto valere a sostegno di rivendicazioni relative a indennit di trasferimento, formazione o promozione che, alla data della sentenza, siano gi state pagate o siano ancora dovute in adempimento di unobbligazione sorta prima di tale data, fatta eccezione per coloro che, prima della stessa data, abbiano intentato azioni giudiziarie o esperito rimedi equivalenti ai sensi del diritto nazionale vigente in materia. Di sentenza annunciata hanno parlato in molti, ed il motivo da ricercare nelle precedenti vicende giudiziarie che hanno avuto ad oggetto i rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento comunitario, e nelle conseguenze, spesso minime, che tali procedimenti hanno determinato nelle dette relazioni tra sport e Unione europea. Era nellaria, dunque, il fatto che, prima o poi, e preferibilmente per via giudiziale, i principi del Trattato sarebbero entrati a pieno regime nellordinamento sportivo.43 Le prime reazioni del mondo sportivo sono dettate da un ingiustificato allarmismo, pi che da unattenta valutazione giuridica delle motivazioni e delle relative implicazioni; alcuni hanno addirittura annunciato la morte del calcio: le societ ricche saranno indiscriminatamente ed irreparabilmente avvantaggiate rispetto a quelle povere, labolizione dei parametri provocher dissesti per i clubs che allenano giovanii vivai verranno smantellati.44 L'allora presidente in carica della FIFA Joao Havelange non ha nascosto la propria preoccupazione dichiarando che la rovina del calcio europeoC il rischio di vedere la nazionale italiana composta da undici giocatori tedeschi o viceversa; non da meno stata la reazione del presidente UEFA Johansson : Ci saranno pochissimi giocatori ricchi ed un esercito di giocatori alla fame.45

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Bianchi DUrso F., Una sentenza annunciata in tema di libera circolazione dei calciatori nellUnione europea, Dir.Lav., 1996, p.14 ss. 44 Cannav C., Editoriale Gazzetta dello Sport, 7 gennaio 1996. 45 Quotidiano La Stampa, 9 gennaio 1996.

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Si sono mobilitati governi e federazioni sportive, sono state organizzate numerose riunioni (nazionali, europee, mondiali), al fine di individuare una possibile soluzione alternativa a quanto deciso dai giudici di Lussemburgo. Altri, ignorando i principi dellordinamento comunitario, hanno sostenuto che una sentenza della Corte di giustizia pronunciata a seguito di un ricorso ai sensi dellart.177 del Trattato CEE, non poteva avere portata generale, ma riguardare solo il caso specifico.46 Numerose, e spesso esagerate, sono state, dunque, le critiche, da parte della dottrina, non tanto nei confronti della sentenza Bosman e di quanto in essa stato statuito, quanto per il fatto che essa sia stata lasciata sola; infatti, si rilevato come non si sia compreso che, un intervento su un argomento di tale portata reso in sede giurisprudenziale, avrebbe dovuto essere supportato da una riforma incisiva di tutto il sistema dellattivit calcistica professionistica.47 La Commissione europea, rispetto al passato, non ha mostrato quella flessibilit che le istituzioni sportive si attendevano nellinterpretazione dellart. 48 resa dalla Corte di giustizia; le associazioni calcistiche sono state, quindi, costrette ad adeguare i propri regolamenti, da un lato, abrogando le indennit di trasferimento, e, dall'altro, consentendo alle societ di tesserare e schierare in campo un numero illimitato di giocatori comunitari, non pi considerabili come stranieri. L'effetto principale della sentenza Bosman, dal punto di vista prettamente sportivo, stato, invece, quello di generare una corsa delle societ a rivedere i contratti dei propri giocatori e ad allungarne la durata al fine di blindare i migliori talenti: questo in quanto, finch il calciatore sotto contratto, la societ gode di una sorta di propriet dello stesso e delle sue prestazioni. Se tale giocatore le fosse richiesto, infatti, da un altro club, la societ che ha con il calciatore un rapporto contrattuale in corso potrebbe chiedere unindennit soggettivamente determinata per rilasciare il proprio nulla-osta al trasferimento ai fini della cessione del relativo contratto. Tutto questo ha portato ad un potere contrattuale dei calciatori sempre pi forte e ad una crescita esponenziale dei loro ingaggi, provocando
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Mosetti U., Romani F., Il diritto nel pallone: spunti per un'analisi economica della sentenza Bosman, Riv. Dir. Sport., 1996, p.436 ss. 47 Corapi D., Libera circolazione e libera concorrenza nellUnione europea: il caso del calcio, Riv.Dir.Sport., 2001, p. 7 ss.

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significative ripercussioni economiche sulle societ. Il valore degli ingaggi divenuto cos la prima voce dei costi di bilancio ed oggi le societ calcistiche si trovano sempre pi in difficolt nel coprire queste spese con l'attivo e alcuni casi avvenuti nel calcio italiano (il fallimento di Fiorentina, Napoli,ecc), e non solo, ne sono la dimostrazione. indubbio, dunque, che la sentenza Bosman abbia avuto il merito ed il coraggio di attuare con rigore i principi su cui si basa la politica comunitaria, tuttavia sarebbe stata auspicabile unattenzione maggiore alle caratteristiche peculiari del mondo sportivo ed una pi acuta capacit di previsione delle problematiche, che dalla decisione della Corte sarebbero inevitabilmente scaturite.48 In effetti, la concentrazione, da parte delle societ calcistiche, di una cospicua parte delle proprie risorse finanziarie nel prolungamento dei contratti ai giocatori gi sotto contratto, con una crescita esponenziale degli ingaggi, e lindiscriminato afflusso di giocatori stranieri, hanno portato gli stessi club, almeno in un primo momento, a trascurare i loro settori giovanili. Laspetto economico della sentenza Bosman venuto cos a creare notevoli problematiche in ambito sociale; di questa opinione anche Prelati, secondo cui non pare in tutta obiettivit che, in sede comunitaria, in omaggio allidea dominante di una patrimonializzazione generalizzata dei valori, si sia dato convenientemente calco alla reale incidenza del fenomeno sportivo sul piano sociale.49 Tra le altre numerose osservazioni, possiamo individuarne due che sono state mosse con una certa ricorrenza: se un filone contesta alla Corte una certa frettolosit nellaffrontare la questione relativa alle politiche della concorrenza, altra parte della dottrina mette in dubbio la stessa granitica certezza della Corte in merito alla non sufficiente specificit del settore sportivo e alla non validit delle giustificazioni addotte dai convenuti.50 In

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Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed. 2005/2006, corso di Diritto sportivo. 49 Prelati R., La prestazione sportiva nellautonomia dei privati, 2003, Giuffr, Milano, p. 447 ss. 50 Manzella A., LEuropa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?, Riv. Dir.Sport., 1996, p. 411. Per Manzella la previsione regolamentare di quote di atleti non nazionali utilizzabili costituisce una ragionevole applicazione del diritto di libera circolazione e non una sua negazione. Queste, infatti, sono considerate dallautore clausole di natura tecnico-sportiva pienamente valide.

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particolare, in merito a tale secondo aspetto, si sottolinea come la Corte, forse presa dalla foga di dimostrare il suo assunto51, abbia erroneamente valutato la circostanza circa leffettivo perseguimento, da parte delle normative sportive, delle finalit prospettate. In merito al primo profilo, invece, i commentatori rimarcano la portata e la qualificazione del diritto alla libera circolazione; infatti, gi lAvvocato generale Lenz e la stessa Corte nel precedente caso Heylens,52 non hanno esitato a delineare questa come diritto fondamentale. Non arrivando a ci, il giudice della vicenda Bosman comunque ribadisce la qualificazione della stessa come libert fondamentale nel sistema della Comunit.53 Altro punto di frizione tra quanto asserito nella sentenza e quanto, viceversa, sostenuto in sede di commento, si registra in merito alla scarsa attenzione rivolta dal giudice al carattere di specificit che lo sport riveste.54 Certamente, la pronuncia sul caso Bosman si inserisce in un filone consolidato, in cui dato per pacifico tale atteggiamento, sulla base delleconomicit dellattivit sportiva e, quindi, della sua equiparazione a qualsiasi altra materia; nonostante ci, la visione arida e asettica del giudice nellapprocciarsi al fenomeno sportivo ha destato pi di qualche perplessit.55 La dimostrazione dell'effettiva efficacia della sentenza della Corte di giustizia comprovata dall'attivit della Commissione, la quale ha manifestato a pi riprese la sua intenzione di far rispettare il giudicato della pronuncia servendosi dei poteri a sua disposizione. 56 cos che un avvertimento ufficiale, concernente le regole delle due organizzazioni condannate dalla Corte di giustizia, sulla base dellart. 48, stato indirizzato
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Bianchi D'Urso F., Una sentenza annunciata in tema di libera circolazione dei calciatori nell'Unione europea, DL, 1996, p.20. 52 Corte di Giustizia, causa C-222/86, Union nationale des entraineurs et cadres techniques professionnels du football (Unectef) c. Georges Heylens e altri, 1987. 53 Bastianon S.,Bosman, il calcio e il diritto comunitario, Foro.it, 1996, IV, p.8: la Corte, pertanto (forse anche in considerazione della portata gi sufficientemente rivoluzionaria della pronuncia in epigrafe), sembra aver ritenuto opportuno non seguire, sul punto, il pensiero dellAvvocato generale, preferendo non introdurre ulteriori elementi di novit (e di discussione) ed optando, cos, per una definizione tradizionale del diritto alla circolazione. 54 Clarich M., La sentenza Bosman: verso il tramonto degli ordinamenti giuridici sportivi?, Riv.Dir.Sport., 1996, p.404 ss. 55 In particolare: Manzella A., LEuropa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?, Riv. Dir.Sport., 1996; Tizzano A., De Vita M., Qualche considerazione sul caso Bosman, Riv. Dir. Sport., 1996. 56 Coccia M., Nizzo C., Il dopo Bosman e il modello sportivo europeo, Riv.Dir.Sport., 1998, p.335 ss.

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alla FIFA e alla UEFA in merito ad una procedura di infrazione basata sullart. 85 comma 1 del Trattato CEE e sullart. 53 comma I 57 dellaccordo sullo Spazio Economico Europeo(nel prosieguo SEE). In altri termini, certi aspetti del sistema calcistico che non sono stati condannati dalla Corte, in quanto non ricadono sotto le disposizioni dellart. 48, sarebbero stati condannati alla luce degli artt.85 CEE e 53 SEE. Ad esempio sarebbe stata dichiarata incompatibile con il disposto dei due articoli un'indennit di trasferimento richiesta in relazione al passaggio di un qualsiasi giocatore, cittadino o meno di quello Stato, da una societ di uno Stato facente parte dello SEE a quella di un altro Stato membro. In secondo luogo, la limitazione del numero di giocatori non cittadini in occasione di competizioni internazionali e nazionali tra club sarebbe stata vietata non solo nei confronti dei giocatori di nazionalit di uno degli stati SEE , ma anche per i giocatori di Stati terzi sotto regolare contratto in un club di uno Stato dello SEE. Le regole di concorrenza avrebbero inoltre messo in causa sia il pagamento dellindennit di trasferimento da parte di club SEE per i trasferimenti da Paesi terzi, sia i sistemi di trasferimento nazionali nella misura in cui queste restrizioni avessero avuto un effetto sensibile sugli scambi intracomunitari. In sintesi, dalla sentenza Bosman in poi, se il contratto stipulato da un giocatore professionista con la propria societ giunge a scadenza, e se tale giocatore un cittadino di uno degli Stati membri dellUnione europea o dello Spazio economico europeo, la societ in questione non pu impedire allatleta di stipulare un nuovo contratto con unaltra societ calcistica di un altro Stato membro o rendere pi difficile loperazione chiedendo a questultima societ il pagamento di unindennit di trasferimento, formazione o promozione. Quanto all'efficacia sportiva della sentenza Bosman, ovvero a quali discipline sportive ed a quali livelli essa dovesse essere applicata, la Corte ha disposto che le norme comunitarie sulla libera circolazione delle persone e dei servizi non ostano a normative o a prassi giustificate da motivi non

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Accordo sullo Spazio economico europeo firmato a Oporto il 2 maggio 1992, art.53 comma I: Sono incompatibili con il funzionamento del presente accordo e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra le parti contraenti e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del territorio cui si applica il presente accordo....

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economici, inerenti alla natura ed al contesto specifici di talune competizioni sportive, ma tale restrizione della sfera dapplicazione delle dette norme non pu escludere unintera attivit sportiva. La Corte ha mostrato, infatti, l'intenzione di applicare i principi enunciati nella sentenza allo sport professionistico o semiprofessionistico, ovvero agli atleti che svolgano un lavoro subordinato o effettuino prestazioni di servizi retribuite.58 La sentenza Bosman risultata, quindi, applicabile non solo al calcio, ma a tutte le attivit sportive: calcio e basket sono stati sicuramente i settori maggiormente toccati dalla sentenza, ma non mancano esempi di sport minori (argomento approfondito nel capitolo 4). Ad esempio, la suddetta sentenza, una settimana dopo essere stata adottata, ha determinato in Francia la seguente situazione: il club di hockey su ghiaccio Brest Armoric ha schierato nella partita contro il Grenoble sette giocatori non francesi, uno in pi del limite imposto dalla federazione francese competente; bench inizialmente la commissione gare della federazione avesse comminato la sconfitta a tavolino al Brest Armoric per la violazione delle norme relative alla composizione della squadra, la federazione successivamente ha restituito i punti ottenuti sul campo. In Germania, invece, un giocatore di hockey su ghiaccio ha denunciato davanti alla giurisdizione del lavoro il sistema interno dei trasferimenti. Infine, in Spagna, il club di pallacanestro femminile Costa Naranja stato punito con la sconfitta a tavolino dopo una partita del gennaio 1996 disputata con tutte le sue tre giocatrici straniere, una delle quali di nazionalit inglese, schierate in campo allo stesso tempo; infatti, la normativa federale in vigore permetteva che i club iscrivessero a referto al massimo due giocatrici straniere. Il motivo ufficiale della sanzione federale stato ravvisato, in ogni caso, nel fatto che una delle giocatrici straniere non ha seguito la procedura corretta per il tesseramento, facendo si che la societ non ricorresse in appello, sebbene avrebbe potuto invocare lart.48 del Trattato, nel caso in cui avesse potuto dimostrare che largomento sostenuto

58

Antonucci M., Il mercato dei calciatori: ampliata la libert di circolazione, Il Consiglio di Stato 2005/II, p.781.

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dalla federazione nascondesse, in realt, una discriminazione contro la giocatrice stessa.59 Si pu, dunque, constatare come la sentenza in esame abbia effettivamente apportato notevoli mutamenti, nel settore sportivo, sul sistema dei trasferimenti, sia per gli atleti, che per le societ, dal punto di vista giuridico, ma anche strettamente economico-commerciale. Nello specifico vediamo quali conseguenze la sentenza Bosman ha avuto: a) sugli atleti: sotto il profilo giuridico, essi erano e restano qualificati come lavoratori subordinati, tuttavia, dal 15 dicembre 1995, data nella quale la sentenza stata emessa, sono divenuti titolari di una forza contrattuale assoluta, in quanto, sempre pi spesso, a differenza di quanto accadeva nel passato, sono in grado di far valere la loro autonomia decisionale nei confronti delle societ per le quali sono tesserati, in particolar modo qualora si trovino in prossimit della scadenza contrattuale. Conseguenze della sentenza, sono state la maggior facilit di circolazione e trasferimento per gli atleti professionisti comunitari allinterno dellUnione europea e dello Spazio Economico Europeo, con il conseguente aumento del numero di giocatori stranieri nei campionati dei Paesi comunitari. b) sulle societ: prima che fosse emessa la sentenza Bosman per le societ sportive europee vigeva la regola secondo la quale ognuna poteva tesserare cinque atleti stranieri, comunitari o meno, ma poteva schierarne in campo un massimo di tre. Dopo la sentenza, la situazione radicalmente mutata anche per le societ: da allora le societ hanno la possibilit di tesserare, nonch di schierare, un numero illimitato di atleti professionisti provenienti da Stati appartenenti allUnione europea, in ossequio alla libera circolazione dei lavoratori comunitari prevista nel Trattato di Roma. Pi difficoltoso nella pratica si rivelato, invece, il tesseramento e, dunque, la libera circolazione, di giocatori provenienti da Stati che fanno parte dello See.60 La decisione della Corte non ha, poi, affrontato il problema del sistema di trasferimento nazionale allinterno di uno Stato membro dellUE o dello SEE; peraltro anche i regolamenti FIFA e UEFA, nonch i regolamenti delle

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Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed. 2005/2006, corso di Diritto sportivo.
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Alcuni casi saranno presentati nel paragrafo successivo.

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federazioni nazionali, devono essere conformi alle norme sulla concorrenza del Trattato. Qualora venga a maturazione il contratto di un giocatore professionista con la propria societ di appartenenza e questi desideri trasferirsi in unaltra dello stesso Paese, concretizzando dunque un trasferimento nazionale, di norma, esso dovrebbe avvenire a parametro zero,61 ma in realt non sempre cos accade. In Spagna,62 ad esempio, previsto che il pagamento dell'indennit possa essere richiesto dalla societ in cui militava il giocatore prima della scadenza del contratto, al momento del passaggio alla nuova squadra, qualora egli abbia un'et inferiore ai venticinque anni. In Francia63 previsto il pagamento della somma di compensazione nel caso in cui il precedente club del giocatore quello con cui egli ha firmato il suo primo contratto da professionista, come spesso accade nel caso di trasferimento di giovani, in modo da tutelare la societ stessa che li ha formati. In Grecia, 64 anche se nessuna compensazione deve essere pagata direttamente dalla nuova societ, il contratto fra il club ed il giocatore pu prevedere che il secondo possa lasciare la societ soltanto dopo il pagamento di una determinata somma che, il pi delle volte, viene corrisposta dalla nuova societ che acquisisce le prestazioni sportive dellatleta. In Germania, 65 i regolamenti interni prevedono che una societ che ingaggi un calciatore tesserato presso altra societ, tenuta a corrispondere un'indennit di trasferimento alla societ di provenienza; l'efficacia del contratto d'ingaggio non pu, al riguardo, dipendere da un determinato ammontare e/o dal reciproco consenso in ordine all'indennit di trasferimento.

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Parametro zero: definisce la condizione del giocatore che, a scadenza di contratto, libero di collocarsi dove preferisce senza vincoli di sorta. La societ che se ne assicura le prestazioni tenuta a pagare solo il suo ingaggio. 62 www.futvol.com, www.lfp.es.
63 64 65

www.footpro.fr, www.fff.fr.
Conclusioni Avvocato generale Lenz, p.to 34. www.dfb.de.

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In Austria66, dove previsto il pagamento di un'indennit di trasferimento a favore della societ di provenienza del giocatore, la suddetta indennit ritenuta una compensazione economica per il peggioramento del livello di competitivit della societ causato dalla cessione del calciatore; essa, comprende, inoltre, un indennizzo proporzionale dei costi di preparazione. Infine, in Italia, l'art.6 della legge n.91/1981 stabilisce che, in caso di trasferimento, pu essere richiesta una indennit di preparazione e promozione che il destinatario deve investire per scopi sportivi.67 Sulla scia della sentenza Bosman, alcune associazioni calcistiche hanno dichiarato il sistema di trasferimento interno nullo, come ad esempio Danimarca ed Olanda;68 altri paesi hanno introdotto un periodo transitorio perch si concretizzasse lo smantellamento graduale del sistema di trasferimento interno.69 In Danimarca si giunti, nell'agosto 2004, ad uno storico sciopero degli oltre ottocento calciatori professionisti danesi per protesta contro la Lega che non intendeva abolire le indennit di trasferimento previste anche dal regolamento FIFA, che a sua volta ha dato attuazione, adeguandosi, alla decisione della Corte di giustizia europea. La Federcalcio danese ha deciso di sospendere tutti i campionati in corso nel periodo in cui durata la vertenza e gli atleti scandinavi non hanno partecipato neppure ad allenamenti e competizioni UEFA; inoltre, per il match che la nazionale danese ha disputato in Polonia, sono stati convocati ed hanno giocato solamente calciatori ingaggiati da club non danesi. In Italia, emersa chiaramente la necessit di un intervento legislativo che adattasse la pi importante legge italiana sul fenomeno sportivo, la legge n. 91/81, a quanto stabilito dalla Corte di giustizia delle Comunit europee nella sentenza Bosman. Il legislatore ha colmato quella che rischiava di diventare una grave lacuna con il Decreto Legislativo 20 settembre 1996 n.485,70 convertito nella legge 18 novembre 1996 n.586; scopo principale di tale provvedimento stato quello di consentire una fase
66 67

www.oefb.at. Pellacani G., I contratti di lavoro, tomo II, a cura di Vallebona A., 2010, UTET, p.1440. 68 www.dbu.dk, dati Dansk Boldspil-Union; www.knvb.nl, www.eredivisie.nl. 69 Ad esempio, in Germania il periodo transitorio dur un anno, mentre in Belgio, addirittura cinque anni.
70

Il D.lgs n.485/96 volgarmente definito Decreto spalma-perdite.

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di adeguamento per i bilanci delle societ sportive, al fine di evitare conseguenze catastrofiche, in considerazione dellaumento dei pagamenti diretti agli atleti dovuto dallabolizione dellindennit di trasferimento. La legge n.586/96 ha eliminato, infatti, lindennit di preparazione e promozione sostituendola con un premio di addestramento e formazione tecnica in favore della societ sportiva presso la quale latleta ha svolto la sua attivit dilettantistica o giovanile71 e ha riconosciuto a quella stessa societ sportiva il diritto di stipulare con il medesimo atleta il primo contratto professionistico. Al fine di diluire nel tempo gli effetti negativi derivanti dallabrogazione dellindennit di trasferimento,72 la legge in questione ha previsto un piano di ammortamento da attuare in tre anni, iscrivendo, sempre nellattivo del bilancio, unulteriore posta a carattere pluriennale. Il movimento sportivo ha adeguato, pertanto, i propri regolamenti, abrogando, da una parte, le indennit di trasferimento e consentendo, dallaltra, alle societ di tesserare e schierare in campo un numero illimitato di giocatori comunitari, non pi considerabili come stranieri. Non si compreso, o forse non si voluto comprendere, che le statuizioni della sentenza Bosman, pur se circoscritte a due specifiche questioni, presupponessero l'applicazione dei principi che impongono una riforma incisiva di tutto il sistema dell'attivit calcistica professionistica, imperniato fino a quel momento sulla valorizzazione di diritti di esclusiva delle societ sulle prestazioni dei giocatori; valorizzazione che emerge e viene economicamente, contabilmente e giuridicamente definita al momento del loro trasferimento in base all'importo della relativa indennit.73 In conclusione, si visto come la Corte, quasi venti anni dopo le sue precedenti pronunce, ha voluto regolare una volta per tutte i rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento comunitario, evidenziando, in tal modo, un nuovo atteggiamento della Comunit verso lo sport, che, vista la

71 72

Legge n. 586/96, art.1, comma I. Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed.2005/2006 Corso di Economia dello sport. Nellattivo di bilancio le societ sportive inserivano gli importi relativi ai crediti che presumevano di percepire nelleventualit del passaggio di loro giocatori ad altra squadra. 73 Corapi D., Libera circolazione e libera concorrenza nell'Unione europea: il caso del calcio, Riv. Dir. Sport., 2001, p.9.

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enorme importanza acquisita nel corso degli anni, non pi la questione marginale implicita nelle sentenze relative ad un periodo in cui lenorme potenziale del fenomeno sportivo non era ancora esploso.74 Se questo stato latteggiamento determinato della Corte, si pu ravvisare, per contro, come, a livello generale, il mondo dello sport abbia vissuto questa sentenza con profondo disagio, considerandola catastrofica per le sorti del calcio europeo, che non solo stato sminuito nella rivendicazione della propria specificit ed apparso destinato ad un irrimediabile snaturamento della sua componente pi vera e genuina, cio quella protesa allaffermazione dellidentit nazionale, ma che stato privato di quelle regole necessarie al suo funzionamento (e finanziamento) che mirano alla realizzazione di un certo equilibrio tecnico - sportivo.75 Certamente alcuni esponenti qualificati hanno espresso delle preoccupazioni legittime, ma evidente che le considerazioni sviluppate sono andate spesso assai oltre quanto ci si potrebbe realisticamente aspettare dagli effetti indotti dalla sentenza Bosman sul mondo del calcio professionistico. Riportando, infine, l'autorevole opinione dell'avvocato Massimo Coccia,76 si pu concludere che, al di l di quanto statuito dalla Corte nel caso di specie, il giudice comunitario ha voluto, con la sentenza Bosman, porre l'attenzione principalmente su due aspetti: il primo, secondo cui lampia sfera di autonomia guadagnata dalle organizzazioni sportive nazionali ed internazionali nei confronti degli Stati europei , in virt della suddetta sentenza, destinata a soccombere di fronte alla Comunit europea; il secondo, strettamente collegato, per cui, con il procedere dellintegrazione europea, lidea stessa di nazionalit attorno a cui lo sport moderno si ab origine organizzato, stata fortemente messa in discussione.

74 75

Coccia M., Nizzo C., Il dopo Bosman e il modello sportivo europeo, Riv.Dir.Sport., 1998, p.335 ss. Aigner G., www.uefa.com 1996: il Segretario Generale UEFA riteneva che in assenza dellobbligo di pagare un'indennit alla societ di provenienza e di quello di non schierare pi di tre stranieri, le societ pi forti avrebbero potuto accaparrarsi i migliori giocatori in circolazione, alterando in questo modo lequilibrio competitivo dei campionati; Aigner sosteneva, inoltre, che i vivai sarebbero usciti danneggiati dalla nuova situazione, perch le squadre, in mancanza dellincentivo rappresentato dalla percezione dellindennit di trasferimento, sarebbero state scoraggiate nella formazione dei giovani e, in conseguenza di ci, si sarebbe presto verificata un' invasione di stranieri nei campionati pi ricchi ed appetibili, come quelli spagnolo, italiano ed inglese ed un depauperamento di quelli minori del resto del continente. 76 Coccia M., Nizzo C., Il dopo-Bosman e il modello sportivo europeo, Riv.Dir.Sport., 1998, p.335 ss.

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3. Casi specifici di libera circolazione degli sportivi comunitari, extracomunitari e di atleti appartenenti a Stati che abbiano stipulato con l'Unione europea accordi di cooperazione e partenariato
Il periodo successivo alla sentenza Bosman stato caratterizzato da una serie di rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia, riguardanti la compatibilit di determinate norme sportive con il diritto comunitario. Il tenore delle nuove domande pregiudiziali dimostra che la sentenza Bosman ha provocato una sorta di effetto domino77 nei confronti di tutte le regolamentazioni poste in essere dalle organizzazioni sportive. La famosa sentenza stata, insomma, pi che un punto di arrivo, un punto di partenza nella ricerca di una difficile mediazione tra le esigenze di integrazione economica e politica europea e le caratteristiche specifiche del mondo sportivo. La prima pronuncia di un Giudice nazionale volta a considerare direttamente applicabile l'art.48 del Trattato CEE nell'ordinamento interno di uno Stato membro, sulla scorta di quanto statuito nella sentenza Bosman, stata emessa in Spagna dal Tribunale per gli affari sociali di Santander ed ha come protagonista un atleta di pallamano di nazionalit svedese, Mats Ake Olsson, ingaggiato dal club Cantabria di Santander, per disputare il massimo campionato di pallamano spagnolo nella stagione 1996-1997. Olsson si vede impedito nella partecipazione al campionato da una delibera della Federazione spagnola di pallamano, che si rifiuta di tesserarlo in quanto i propri regolamenti limitano a tre il numero di giocatori stranieri che ciascuna squadra pu per partecipare alle competizioni ufficiali.

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Coccia M., Nizzo C., Il dopo-Bosman e il modello sportivo europeo, Riv. Dir. Sport., 1998, p.335.

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Latleta svedese presenta, cos, ricorso al Tribunale di Santander, domandando che venga accertato il comportamento discriminatorio, che sia annullata la delibera della federazione di cui sopra, che gli sia consentito di svolgere la propria attivit come giocatore professionista di pallamano nelle stesse condizioni dei giocatori di nazionalit spagnola e, infine, richiede l'emissione di una sentenza di condanna al risarcimento dei danni, per una somma equivalente agli stipendi non percepiti. Il Tribunale di Santander, con sentenza 14 ottobre 1996, n.822, rigettate le eccezioni presentate dalla Federazione spagnola, ne dichiara illegittima la delibera emessa in data 23 agosto 1996 sul limite massimo di stranieri che ogni societ pu tesserare, in quanto lesiva del diritto alla libera circolazione dei lavoratori di cui allart. 48 del Trattato istitutivo della CEE; pertanto, il tribunale ordina alla federazione di cessare immediatamente il comportamento discriminatorio nei confronti dellatleta, permettendo a quest'ultimo di prestare i propri servizi come giocatore professionista di pallamano e condanna le due convenute in solido (Federazione spagnola e il club Cantabria di Santander) al pagamento dei danni. Anticipando che la soluzione data dal Giudice spagnolo appare condivisibile ed ha il merito, come gi detto, di essere la prima pronuncia nazionale ad aver dato attuazione ai principi sanciti dalla Corte di giustizia nel caso Bosman, dallanalisi delle motivazioni di diritto alla base della sentenza emerge, tuttavia, qualche perplessit. Se si analizza, infatti, liter giuridico seguito dal tribunale spagnolo, appare evidente lintento di ricondurre la figura del giocatore di pallamano tra gli sportivi professionisti, come se questa fosse una condizione fondamentale per lapplicazione dei principi sanciti dalla sentenza Bosman. In effetti, il Tribunale di Santander afferma che il fatto che la normativa federale qualifichi la pallamano come attivit dilettantistica non pu avere alcuna influenza nel caso di specie, atteso che i criteri distintivi vigenti nel settore dello sport non rivestono alcun valore allinterno dellordinamento giuridico statale, n possono vincolare i relativi organi giurisdizionali. La preoccupazione di ricondurre la pallamano spagnola nellalveo del professionismo ha denotato una certa timidezza del giudice spagnolo, il quale avrebbe potuto raggiungere le stesse conclusioni considerando che, secondo la giurisprudenza comunitaria, al di l delle singole disposizioni

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nazionali, per poter applicare lart.48 del Trattato CEE, sufficiente che lattivit sportiva sia configurabile come attivit economica ai sensi dellart. 2 del Trattato CEE.78 In sostanza, sarebbe stata questa una buona occasione per una formale estensione della nozione di lavoratore comunitario anche a tutti quegli atleti che, bench etichettati a livello nazionale come dilettanti, svolgono una vera e propria attivit economica.79 Sempre nel 1996, ha origine la vicenda procedurale relativa al ricorso presentato dalla judoka belga Delige al Tribunal de premire instance di Namur. L'atleta Christelle Delige, dopo essere stata esclusa dalla partecipazione ad una competizione internazionale, conviene in giudizio, con procedimento sommario, la propria federazione unitamente a quella francofona, presso la quale affiliato il suo club, chiedendo che a queste ultime sia ingiunto di astenersi da qualsiasi comportamento diretto ad ostacolare il diritto dellatleta di partecipare a qualunque competizione sportiva individuale cui la stessa desiderasse prendere parte. Inoltre, la judoka domanda la sottoposizione alla Corte di giustizia80 di un'istanza di pronuncia pregiudiziale relativa al carattere illecito delle norme emanate dalla UEJ (Unione europea di judo) circa il numero limitato di atleti per singola federazione nazionale, che possono partecipare ai tornei individuali di categoria A, 81 ai sensi degli artt. 59, 60 e 66 del Trattato CEE. Con ordinanza 6 febbraio 1996, il Giudice durgenza del Tribunale di Namur respinge la domanda proposta dalla Delige per quanto riguarda la sua partecipazione al torneo internazionale di Parigi, ma, al contempo, vieta alla LFJ (Ligue francophone de judo et disciplines associes) e alla LBJ (Ligue belge de judo) di prendere qualunque decisione relativa alla non selezione della ricorrente per ogni futura competizione. Tale provvedimento avrebbe dovuto cessare di produrre i suoi effetti un mese dopo la pronuncia
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Corte di Giustizia, causa C-415/93, Union Royale belge des socits de football association ASBL c. Jean Marc Bosman e Union des Associations de Football Europennes (UEFA) c. Jean Marc Bosman, 1995, p.to 73. 79 Bastianon S., Dal calcio alla pallamano: la giurisprudenza Bosman nella pronuncia di un Giudice nazionale, Riv. Dir. Sport., 1997, p.864. 80 Corte di Giustizia, causa C-51/96, Christelle Delige c. Ligue francophone de judo et disciplines associes ASBL, Ligue belge de judo ASBL, Union europenne de judo, 2000. 81 Limportanza di questi tornei era data, tra le altre cose, dal fatto che attraverso la vittoria o i buoni piazzamenti ottenuti in essi si saliva in una graduatoria predisposta dalla UEJ per la selezione dei partecipanti ai prossimi Giochi olimpici.

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dellordinanza, in mancanza della proposizione di unazione di merito da parte della Delige. Dieci giorni dopo, il Tribunale di Namur propone alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale: Se un regolamento che impone ad uno sportivo professionista, semiprofessionista o candidato a divenire tale, di essere in possesso di unautorizzazione o di un provvedimento di selezione della propria Federazione nazionale per poter concorrere in una competizione internazionale e che prevede contingenti nazionali di partecipazione, sia contrario o meno al Trattato di Roma, ed in particolare agli artt. 59-66, nonch agli artt. 85 e 86. Per quanto riguarda il merito, il principale problema posto dalla judoka riguarda la sua qualificazione quale prestatrice di servizi e quella della attivit da essa svolta quale attivit economica ai sensi dellart.2 del Trattato. Addirittura il Tribunale di Namur ha coniato, rendendo ancora pi difficile il districarsi tra le categorie di professionismo e dilettantismo, la nuova categoria degli sportivi candidati a divenire professionisti. Ci nonostante, la Corte si trovata ad affermare che la semplice circostanza che unassociazione o federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno parte non di per s tale da escludere che questi ultimi esercitino attivit economica ai sensi dellart.2 del Trattato. Il criterio cui fare riferimento, secondo la Corte, deve basarsi sul fatto che latleta svolga unattivit reale e effettiva, in cambio della quale percepisca una retribuzione, che vada oltre il rimborso delle spese; a favore della valutazione del carattere economico della prestazione offerta dalla judoka, ci sono i sussidi dalla stessa percepita da parte della Comunit francese del Belgio e del Comitato olimpico belga, oltre agli introiti da lei ricavati, in ragione delle sue prestazioni sportive, da due contratti di sponsorizzazione, uno stipulato con una banca e uno con unazienda automobilistica. Lattenzione della Corte si sposta, quindi, sulla possibilit di qualificare lattivit di Delige come prestazione di servizi. Nonostante il fatto che i servizi in questione resi dalla judoka belga non siano pagati direttamente da coloro che ne fruiscono, ma da terze persone in grado di attribuire rilevanza economica alle performances sportive dellatleta, sembra che la Corte sia indirizzata verso l'ampliamento dellambito di applicazione dellart.59.

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Tuttavia, sembra solamente, perch, in ogni caso, il compito di stabilire leconomicit delle prestazioni della sportiva belga e linquadramento della sua attivit come prestazione di servizi rimessa elegantemente al giudice nazionale. Appare pretestuoso e ingiustificato questo rinvio, in considerazione del fatto che la Corte ha tutti gli elementi per arrivare ad una decisione, essendo su questo punto il materiale inviato dal Giudice a quo decisamente esaustivo.82 Riguardo, invece, al carattere restrittivo delle norme relative agli atleti destinati a partecipare ad una determinata competizione internazionale, la Corte constata che la limitazione al numero dei partecipanti ad un torneo inerente allo svolgimento di una competizione sportiva internazionale di alto livello, che implica necessariamente ladozione di alcune norme o di taluni criteri di selezione. Spetta ai soggetti interessati, come gli organizzatori dei tornei o le federazioni sportive, emanare le norme appropriate ed effettuare la selezione in base ad esse: sono questi i soggetti, in considerazione del fatto che la selezione degli atleti non una scienza esatta, pi adatti a dettare dei criteri di selezione. La Corte sembra cos voler chiarire e, in un certo senso, circoscrivere la portata della sua precedente giurisprudenza, in particolare per quanto riguarda i principi sostenuti nel caso Bosman. Mentre, infatti, nel caso del calciatore belga, il Giudice del Lusemburgo si preoccupato principalmente di affermare la supremazia del diritto comunitario nel campo di un diritto sportivo che reclamava unautonomia effettivamente ingiustificata, nel caso Delige la Corte modera la rigidit della sua posizione iniziale, riconoscendo allo sport un margine di autodeterminazione nelle scelte prettamente tecnico-sportive. In sostanza le norme di selezione qui controverse, a differenza di quelle applicabili nella causa Bosman, non determinano le condizioni di accesso degli sportivi professionisti al mercato del lavoro e non contengono neppure clausole di cittadinanza che limitino il numero di cittadini di altri Stati membri in grado di partecipare ad una competizione.

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Bastianon S., Sport e diritto comunitario: la sfida continua. I casi "Delige" e "Lehtonen", Riv. Dir. Sport, 1996, p.662 ss.

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Bench, infatti, le regole di selezione abbiano avuto inevitabilmente leffetto di limitare il numero dei partecipanti ad un torneo, circostanza questa che ha indotto la Delige a sentirsi discriminata a causa della sua mancata selezione, questa limitazione apparsa inerente allorganizzazione di un evento sportivo internazionale di alto livello, il quale necessariamente deve comportare certe regole di selezione che non potevano certo configurare una restrizione alla libera prestazione di servizi; inoltre, le stesse, sono applicate tanto alle competizioni organizzate allinterno della Comunit quanto ai tornei svolti al suo esterno, i quali riguardano, al contempo, cittadini degli Stati membri e cittadini di paesi terzi. Per organizzare un torneo internazionale , infatti, necessario basarsi su un gran numero di considerazioni, estranee alla situazione personale di un qualsiasi atleta; se il sistema di scelta degli atleti adottato pu comportare in concreto delle conseguenze pi sfavorevoli per alcuni atleti rispetto ad altri, da ci non si pu dedurre che esso sia restrittivo della libera prestazione di servizi.83 A seguito di tali complesse considerazioni la Corte dichiara e statuisce che una norma che imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista , o candidato a divenire tale, di essere in possesso di unautorizzazione o di un provvedimento di selezione della propria federazione per poter partecipare ad una competizione sportiva internazionale ad alto livello in cui non sono in gara squadre nazionali, qualora essa discenda da una necessit inerente allorganizzazione di una siffatta competizione, non costituisce di per se stessa una restrizione alla libera prestazione di servizi vietata dallart.59 del Trattato CEE. Da questo punto di vista, la vicenda Delige presenta un elemento di novit rispetto alle precedenti sia perch comporta una nuova valutazione sulla natura degli sport individuali, ritenuti generalmente dilettantistici, e quindi esclusi dalle attivit economiche, sia perch porter la Corte ad affermare lirrilevanza della mera qualificazione formale di uno sport da parte delle federazioni, nel valutare leventuale carattere economico dello stesso ai fini dellapplicabilit del diritto europeo.84

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Bastianon S., Il diritto comunitario e la libera circolazione degli atleti alla luce di alcuni recenti sviluppi della giurisprudenza, DUE n.4/1998, p.914 ss. 84 Castellaneta M.,, Le discipline sportive nellordinamento dellUnione europea, DCSI, 2001, p. 219.

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Con tale decisione, il cui verso viene percorso anche dalla successiva pronuncia sul caso Lehtonen, il giudice comunitario, al fine di non addivenire ad un vero e proprio stravolgimento delle logiche del mondo dello sport, tende a non espandere indistintamente lambito di operativit dei principi fissati dal suo predecessore sul contenzioso relativo a Bosman. Se, infatti, la Corte avesse ritenuto il principio di libera circolazione incondizionatamente applicabile agli sportivi in generale ed alle normazioni federali, sarebbero state messe in discussione le stesse fondamenta dell'intero sistema sportivo.85 Lo stesso Avvocato generale Cosmas nel caso Delige osserva che il diritto comunitario non esige la piena commercializzazione dello sport []. Esso garantisce agli organismi sportivi il potere di promuovere una disciplina nel modo che ritengono pi conforme ai loro obiettivi, purch le loro scelte non comportino discriminazioni n nascondano il perseguimento di interessi economici [] ma abbiano come obiettivo esclusivo la promozione della dimensione sociale dello sport. 86 evidente limportanza dei due casi appena esaminati, in quanto da un lato dimostrano come la Corte di giustizia abbia respinto unapplicazione meccanica della sentenza Bosman e dallaltro lato come essa, seguendo lesempio della Commissione e del Consiglio, abbia mostrato una maggiore apertura verso il riconoscimento delle peculiarit del mondo dello sport: ci non significa, per, esclusione sic et simpliciter dello stesso dallapplicazione del diritto comunitario.87 Sebbene le questioni di merito proposte alla Corte di giustizia sono diverse da quelle presentate dalla Delige, anche la soluzione data al caso Lehtonen autorizza ad arrivare a considerazioni simili a quelle esposte in conclusione allanalisi della sentenza relativa alla judoka belga. Lehtonen un giocatore finlandese di pallacanestro che durante la stagione 1995/1996 milita in una squadra partecipante al campionato finlandese e, al termine di questultimo, ingaggiato da una squadra belga, la Castors Braine, per partecipare con essa ai play-off nazionali, con un
85

Bastianon S., Sport e diritto comunitario: la sfida continua. I casi "Delige" e "Lehtonen", Riv. Dir. Sport, 1996, p.662 ss. 86 Conclusioni Avvocato generale Cosmas, p.to 87. 87 Bastianon S., La libera circolazione degli atleti nella giurisprudenza comunitaria post-Bosman: i casi Delige e Lehtonen, Riv.Dir.Sport, 2001, p.459.

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contratto stipulato il 3 aprile 1996. Tuttavia, la FRBSB (Fdration Royale Belge des Socits de Basketball) avvisa la Castors Braine che, nel caso in cui la FIBA, la Federazione Internazionale di Basket, non rilasciasse la licenza necessaria per autorizzare la prestazione sportiva di Lehtonen, essendo scaduti i termini per il trasferimento di giocatori provenienti dalla zona europea il 28 febbraio, e questo sia comunque schierato in campo, il club belga sarebbe passibile di sanzioni; queste, puntualmente, arrivano, in seguito ad una partita giocata e vinta, sotto forma di una sconfitta a tavolino, a causa della violazione delle disposizioni del regolamento FIBA attinenti ai trasferimenti dei giocatori allinterno della zona europea.88 La societ viene colpita, poi, da una seconda sanzione per il solo fatto di aver iscritto latleta in questione sul referto di gara, senza comunque averlo fatto giocare, in un'altra partita del campionato belga. Per evitare ulteriori squalifiche la Castor Braine, nelle successive partite dei play-off, rinuncia ad ulteriori prestazioni da parte del signor Lethonen. In virt di tale decisione il Lehtonen e la Castors Braine citano la Federazione belga davanti al Tribunal de premire instance di Bruxelles, in sede di procedimento sommario, chiedendo il ritiro della sanzione inflitta dalla federazione, e il divieto di irrogare qualsiasi sanzione tesa ad impedire la partecipazione di Lehtonen al campionato belga. Viene contemporaneamente domandato alla Corte di giustizia89 di pronunciarsi sulla compatibilit con gli artt.6, 48, 85 e 86 del Trattato CEE delle norme contenute nei regolamenti delle federazioni sportive che vietano ad una societ affiliata di utilizzare, per una competizione ufficiale, un giocatore professionista, cittadino di uno Stato membro, che sia stato tesserato oltre una certa data. Bisogna prima di tutto chiarire che, storicamente, la previsione di un termine entro cui consentito il trasferimento di un giocatore da una squadra ad unaltra stato giustificato con la necessit di non falsare i campionati; un termine pi lungo per il trasferimento di atleti stranieri
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Lart.244 del Regolamento FIBA prevedeva che E vietato schierare in campo giocatori non tesserati presso la societ o sospesi. Il presente divieto vale altres per le partite amichevoli e per i tornei.[] I giocatori aventi cittadinanza stranierasono qualificati solo e hanno adempiuto le formalit relative allaffiliazione, al tesseramento ed alla qualificazione. Inoltre, devono essere soddisfatti tutti i presupposti del regolamento FIBA per ottenere la licenza. 89 Corte di Giustizia, causa C-176/96, Jyri Lehtonen e Castors Canada Dry NamurBraine/Fdration royale belge des socits de Basketball e Ligue belge-Belgische Liga, 2000.

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provenienti da Stati terzi stato concesso, in considerazione del fatto che tali giocatori sono in grado di fare la differenza, per evitare che un infortunio occorso nel momento pi importante della stagione ad uno di questi giocatori pregiudicasse le possibilit di vittoria di una squadra. Invero, il rischio di una simile rimessa in discussione delle forze in campo avvertito in modo evidente nel caso di una competizione sportiva come il campionato belga, che si svolge in due fasi: campionato regolare e, per determinare la vincitrice e le retrocessioni, play-off e play-out. . proprio su questo aspetto prettamente sportivo delle norme relative ai termini di trasferimento che si incentrata la difesa della Federazione belga, trovando un qualche riscontro da parte della Corte. Infatti, dopo unanalisi molto simile a quella gi svolta nelle sentenze precedenti sulla rilevanza economica (ai sensi dellart. 2 del Trattato CEE) dellattivit svolta dal cestista e dopo aver riconosciuto nelle norme sui trasferimenti emesse dalla Federazione belga di pallacanestro un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori poich impediscono alle societ belghe di schierare in campo giocatori di pallacanestro provenienti da altri Stati membri, qualora essi siano stati ingaggiati dopo una certa data, il giudice comunitario arriva a riconoscere che trasferimenti tardivi potrebbero modificare sensibilmente il valore sportivo delluna o dellaltra squadra nel corso del campionato.90 Lopinione della Corte , quindi, che la previsione del termine massimo di trasferimento del 31 marzo per i giocatori provenienti da una zona non appartenente alla UE e del 28 febbraio per gli atleti comunitari, ecceda a prima vista quanto necessario per il perseguimento dello scopo sportivo indicato dalla federazione e ammesso dalla Corte stessa.91 Tuttavia, la Corte lascia al Giudice nazionale il compito di accertare la presenza di ragioni obiettive, attinenti unicamente allo sport in s o relative a differenze esistenti tra la situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e quella dei giocatori

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Corte di Giustizia, Braine/Fdration royale 54. 91 Corte di Giustizia, Braine/Fdration royale 58.

causa C-176/96, Jyri Lehtonen e Castors Canada Dry Namurbelge des socits de Basketball e Ligue belge-Belgische Liga, 2000, p.to causa C-176/96, Jyri Lehtonen e Castors Canada Dry Namurbelge des socits de Basketball e Ligue belge-Belgische Liga, 2000, p.to

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provenienti da una federazione non appartenente a detta zona, che giustifichino la disparit di trattamento accertata. Alla luce di queste considerazioni la Corte conclude che lart.48 del Trattato ostacola lapplicazione delle norme, emanate in uno Stato membro da unassociazione sportiva, che vietano ad una societ di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite del campionato nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano stati trasferiti dopo una certa data, nel caso in cui questultima abbia preceduto quella applicata ai trasferimenti di atleti provenienti da Paesi terzi, a meno che ragioni obbiettive, attinenti esclusivamente allo sport in s e per s, non giustifichino una simile disparit di trattamento. da evidenziare, quindi, riprendendo quanto indicato con la sentenza Delige, come la Corte abbia preso atto delle peculiarit del mondo sportivo, riconoscendo alle relative istituzioni una sfera di autonomia nelle scelte sportive, anche se rimasta la sensazione che essa, nel giudizio finale, avrebbe potuto sbilanciarsi maggiormente e dichiarare incompatibili con il diritto comunitario i diversi termini di trasferimento.92 Forse, proprio per evitare uningerenza di carattere cos tecnicamente sportivo e, quindi, per distanziarsi nettamente sotto questo aspetto dalla sentenza Bosman, la Corte di giustizia ha voluto evitare una pronuncia pi specifica. Si prospetta, cos, nella giurisprudenza della Corte, e si fa strada nella dottrina, lorientamento che distingue una duplice natura delle attivit svolte dalle federazioni sportive e dagli organismi sportivi in genere: da una parte le attivit verso linterno, volte allindividuazione delle regole disciplinanti levento sportivo, dallaltra le attivit verso lesterno, con carattere sempre pi economico. Se non vi , come sottolineato da autorevole dottrina, alcuna ragione di sottrarre le attivit rivolte allesterno alle regole del mercato e ai

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Bastianon S., Nascimbene B., Lo sport e il diritto comunitario, in Diritto internazionale dello sport, a cura di Greppi E., Vellano M., Giappichelli, 2005, p.275 ss.

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principi del diritto comunitario, le attivit rivolte verso linterno sembra pi giusto possano godere di una certa autonomia.93 La discussione in merito ai rapporti tra ordinamento comunitario e sport registra una notevole scossa in occasione della vicenda del nuotatore spagnolo David Meca-Medina e del nuotatore sloveno Igor Majcen,94 infatti tale controversia presenta il proprio oggetto normativo nelle legislazioni in tema di doping. Il giudice europeo stato impegnato, nel caso in questione, a dissertare circa cosa effettivamente possa ritenersi norma meramente sportiva e quale regolamentazione, viceversa, non possa sfuggire al giudizio del diritto comunitario. Nel caso specifico, infatti, la Corte stata chiamata a dirimere la questione se le norme sportive in tema di sostanze dopanti potessero costituire oggetto esclusivo di sindacato da parte degli organi dello sport, oppure fossero anche esse sindacabili dalla giurisdizione ordinaria e comunitaria. La vicenda un fiume in piena che oltrepassa, ancora una volta, i deboli argini eretti dal mondo dello sport. La fonte individuabile nella denuncia presentata da Meca-Medina e Majcen alla Commissione europea, volta ad una declaratoria di incompatibilit tra le regolamentazioni in tema di antidoping del CIO e le norme comunitarie in materia di concorrenza e libera prestazione di servizi. Meca-Medina e Majcen, due nuotatori fondisti, trovati positivi al nandrolone ad un controllo in occasione della Coppa del mondo della loro specialit, in applicazione del Codice antidoping del movimento olimpico, sono stati sospesi dallattivit agonistica per quattro anni ( poi ridotti a due dal TAS). Con la loro denuncia contestano la circostanza che la fissazione della soglia limite , al di sopra del quale luso delle suddette sostanze giuridicamente ritenuto pratica illecita e fraudolenta, essendo attivit concordata tra il CIO e ventisette laboratori qualificati dal Comitato stesso, costituisca unalterazione fattuale delle libera concorrenza.

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Bastianon S., Sport e diritto comunitario: la sfida continua. I casi "Delige" e "Lehtonen", Riv. Dir. Sport, 1996, p.662 ss. 94 Corte di Giustizia, causa C-519/04, David Meca-Medina & Igor Majcen c.Commissione, 2006.

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In particolare, la soglia specifica ad attirare le loro osservazioni: essendo ritenuta questa poco attendibile e fondata su basi scientifiche traballanti, i denuncianti affermano come tale circostanza sia in grado di determinare il fatto rilevante che atleti innocenti possano essere esclusi dalle competizioni agonistiche. Nonostante le tesi sostenute dai due nuotatori, la Commissione, con decisione del 1 agosto 2004, respinge la denuncia facendo notare che la normativa antidoping debba essere considerata come appartenente alla categoria regolamenti prettamente sportivi; di conseguenza la succitata normativa non rientra nel campo dapplicazione della legislazione UE sulla concorrenza. L'allora Commissario responsabile della concorrenza, Mario Monti, si espresso cos al riguardo: comprensibile che i ricorrenti abbiano fatto di tutto per ottenere lannullamento della squalifica imposta sulla base dei regolamenti antidoping di CIO e FINA. Questo, tuttavia, non giustifica lintervento della Commissione la quale ritiene che non tocchi a lei sostituire gli organismi sportivi, quando si tratta di scegliere la migliore strategia per combattere il doping.95 Con ricorso diretto, allora, i due agiscono in giudizio davanti al Tribunale di primo grado delle Comunit europee, al fine di conseguire lannullamento della precedente pronuncia; tuttavia, con sentenza del 30 settembre 2004 il Tribunale di primo grado respinge il ricorso. Alla base di tale decisione, l'osservazione del fatto che le regolamentazioni in tema di lotta al doping costituiscano esempio tipico di normative meramente sportive, non rilevanti in ottica economica, e, dunque, non sottoponibili a sindacato di compatibilit con le disposizioni del diritto comunitario. I due nuotatori, per, hanno il merito di non desistere e con limpugnazione davanti alla Corte di giustizia europea ribadiscono il proprio intendimento. Secondo loro, una regolamentazione sportiva non potrebbe, per il solo e semplice fatto di essere sportiva, essere sottratta tout court dallambito di applicabilit delle discipline comunitarie in tema di politiche della concorrenza.

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Comunicato Stampa della Commissione, IP/02/1211.

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La Corte, smentendo uninterpretazione consolidata accoglie tale tesi. Secondo lavviso del giudice di Lussemburgo anche le normative adottate dalle istituzioni sportive, in tema di lotta alluso di sostanze dopanti, sono sottoponibili al sindacato di legittimit secondo i parametri offerti dal diritto comunitario. La circostanza, quindi, che una norma abbia carattere puramente sportivo non sottrae la persona che esercita lattivit disciplinata da tale norma, o lorgano che lha emanata, dallambito di applicazione del diritto comunitario e dei principi del Trattato. Il fatto che le regolamentazioni in materia di lotta alluso di sostanze dopanti non rilevino ai fini dellart.2 TCE, e che, quindi, non presentino connotati di economicit, non preclude che lattivit da esse disciplinata possa essere ricondotta nella sfera di applicazione delle disposizioni comunitarie sulla libera concorrenza.96 La Corte entrando, poi, nel merito della specifica situazione prospettata dai due nuotatori, pur riconoscendo quanto finora asserito, cio che le normative in tema di antidoping possano alterare le logiche concorrenziali, afferma che tali restrizioni possano trovare giustificazione in determinate e rilevanti esigenze; una di queste la necessit di garantire lo spirito di emulazione tra gli atleti. Tale fine, secondo lavviso della Corte, a tal punto meritorio di tutela da costituire la ratio di una restrizione alla concorrenza, nella misura in cui, comunque, tale restrizione sia proporzionata alla finalit perseguita.97 In particolare, questultimo passaggio ad essere ricamato ad hoc per la situazione in esame; non avendo, infatti, secondo il giudice di Lussemburgo, i due attori fornito adeguata documentazione a sostegno della non proporzionalit delle misure in esame rispetto al fine di assicurare la salvaguardia dello spirito sportivo, il ricorso viene respinto. Tale circostanza non scalfisce, comunque, leffetto dirompente della pronuncia della Corte di giustizia europea. Il percorso giurisprudenziale del dopo Bosman, in merito alla libera circolazione degli sportivi comunitari, continua anche in tempi recenti, come dimostra la controversia che vede impegnati come attori, da un lato,
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Infantino G., Direttore Ufficio Legale UEFA, Meca-Medina: un passo indietro per il modello sportivo europeo e la specificit dello sport , www.uefa.com. 97 Bastianon S., Nascimbene B., Lo sport e il diritto comunitario, in Diritto internazionale dello sport, a cura di Greppi E., Vellano M., 2005, Giappichelli, p.280.

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Olivier Bernard e la societ Newcastle, e dall'altra, la societ francese dell'Olympique Lione: caso che ha avuto il suo epilogo con la sentenza della Corte di giustizia il 16 marzo 2010. I fatti alla base della presente domanda pregiudiziale possono essere esposti brevemente. Nel 1997, Olivier Bernard firma un contratto come joueur espoir98 (cosiddetti giocatori promessa ) con la societ di calcio francese Olympique Lyonnais, con decorrenza dal 1 luglio dello stesso anno, per tre stagioni. Prima della scadenza del contratto, lOlympique Lyonnais gli offre un contratto da professionista per un anno a partire dal 1 luglio 2000, ma il signor Bernard non accetta lofferta ed invece, nellagosto 2000, sottoscrive un contratto come professionista con la societ inglese Newcastle United. Venuta a conoscenza di tale contratto, lOlympique Lyonnais cita Bernard davanti al Tribunale del lavoro di Lione, chiedendo che venga condannato, in solido con la societ Newcastle United, al risarcimento dei danni. Limporto richiesto equivalente, secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, alla retribuzione che il signor Bernard percepirebbe in un anno se avesse sottoscritto il contratto offertogli dallOlympique Lyonnais. Il Tribunale del lavoro ritiene che il giocatore abbia risolto il contratto unilateralmente e, in forza dellart. L. 122-3-8 dellEmployment Code, condannava lui e la Newcastle United a pagare in solido allOlympique Lyonnais una somma pari a euro 22.867. La sentenza non reca alcuna motivazione relativamente alla differenza tra limporto richiesto e quello accordato.99 Le questioni rimesse alla Corte riguardano la compatibilit con il diritto comunitario non di una qualsivoglia disposizione specifica, ma di una

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Si tratta di giocatori di et compresa tra i 16 e i 22 anni e assunti da una societ calcistica professionistica, nellambito di un contratto a tempo determinato, in qualit di giocatori in formazione. La Carta dei calciatori professionisti, vigente in Francia, obbligava il giocatore promessa, nel caso in cui la societ che ne aveva curato la formazione glielo imponesse, a sottoscrivere, in esito alla formazione, il suo primo contratto di giocatore professionista con la societ medesima. A tal riguardo, lart. 23 della Carta prevedeva quanto segue: () Alla normale scadenza del contratto del giocatore promessa, la societ pu esigere dalla controparte la sottoscrizione di un contratto come calciatore professionista. La Carta non prevedeva alcun regime risarcitorio per la societ formatrice nel caso in cui un giocatore si rifiutasse, al termine della formazione, di sottoscrivere il contratto come calciatore professionista con la societ medesima. 99 Corte di Giustizia, causa C-325/08, Olympique Lyonnais c.Olivier Bernard e Newcastle United, 2010, p.to 20 conclusioni Avvocato generale Sharpston.

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norma in forza della quale un joueur espoir che al termine del proprio periodo di formazione sottoscriva un contratto come giocatore professionista con una societ di un altro Stato membro dellUnione europea pu essere condannato al risarcimento dei danni, e, in caso di risposta affermativa alla prima questione, se la necessit di incentivare l'ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti costituisca un obiettivo legittimo o una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare una siffatta restrizione. Alla prima questione pu rispondersi brevemente e semplicemente: una norma che produce leffetto descritto , in linea di principio, vietata dallart.39 TCE, infatti la situazione di un giocatore francese, residente in Francia, che conclude un contratto di lavoro con una societ di calcio di un altro Stato membro, non una situazione interamente interna che esula dallambito di applicazione del diritto comunitario: costituisce, infatti, accettazione di unofferta di lavoro effettivamente fatta, alla quale si specificamente lart. 39 del Trattato CE.100 Riguardo alla seconda questione, le misure nazionali che sono passibili di ostacolare o rendere meno attraente lesercizio di libert fondamentali garantite dal Trattato, possono nondimeno sfuggire al divieto se perseguono uno scopo legittimo compatibile con il Trattato stesso. Come ha rilevato la Corte nella sentenza Bosman, impossibile prevedere con certezza il futuro sportivo di giovani calciatori, dato che solo un numero limitato arriva a giocare da professionista, cos che non pu esservi alcuna garanzia che un tirocinante si dimostrer, di fatto, un bene prezioso sia per la societ di formazione che per qualsiasi altra societ. La tanto attesa sentenza della Corte di giustizia arrivata il 16 marzo 2010 ed ha sancito che le normative comunitarie in tema di libera circolazione dei lavoratori non ostano ad un sistema che, al fine di realizzare lobiettivo di incoraggiare lingaggio e la formazione di giovani giocatori, garantisca alla societ che ha curato la formazione un indennizzo nel caso in cui il giovane giocatore, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una societ di un altro Stato membro, a condizione che tale sistema sia idoneo a garantire la
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Corte di Giustizia, causa C-325/08, Olympique Lyonnais c.Olivier Bernard e Newcastle United, 2010, p.to 35.

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realizzazione del detto obiettivo e non vada al di l di quanto necessario ai fini del suo conseguimento. Tuttavia, per garantire la realizzazione di tale obiettivo non necessario un regime, come quello oggetto della causa principale, per effetto del quale un giocatore promessa il quale, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una societ di un altro Stato membro si esponga alla condanna di risarcimento del danno determinato a prescindere dagli effettivi costi della formazione. Una volta approfondito l'ampio tema della libera circolazione degli atleti comunitari, grazie alla fondamentale costanza di orientamento giuridico seguito dalla Corte di giustizia europea, resa ancora pi apprezzabile dalla mancanza, per lungo tempo, di un indirizzo politico a livello comunitario, rimane da affrontare la questione dei diritti degli atleti extracomunitari. Per lungo tempo, la Corte di giustizia non ha avuto modo di pronunciarsi sulla condizione degli atleti-lavoratori stranieri ovvero cittadini extracomunitari; al contrario si pu segnalare levoluzione della giurisprudenza italiana in merito. Ci che pacifico in tema di circolazione di lavoratori comunitari, cio il divieto di discriminazione in virt dellappartenenza ad un'autorit sovranazionale riconosciuta, non parimenti certo in relazione ai soggetti extracomunitari. Le regolamentazioni che di volta in volta il mondo dello sport si dato relativamente alla possibilit di tesserare atleti non comunitari, rispecchiano il cammino che la questione ha affrontato in via generale nellambito del vivere quotidiano nei vari territori dell'Unione; ad uniniziale chiusura susseguito un atteggiamento di crescente apertura, giunto fino a paventare la possibilit di un abbattimento totale delle frontiere. La questione in merito ai diritti degli sportivi stranieri extracomunitari stata oggetto di numerose vicende giudiziarie, le quali, negli ultimi anni, hanno ridefinito i precedenti orientamenti sul tema. La frattura, in tema di circolazione su territorio comunitario degli sportivi professionisti extracomunitari, focalizzata nel contrasto tra enunciazioni di valori, come quelli di eguaglianza e libera circolazione, adottati in via generale ed universale dalla Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea e di per s applicabili al settore del lavoro, e misure statuite dalle

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istituzioni sportive in attuazione del precipuo interesse alla salvaguardia del patrimonio sportivo nazionale. Secondo quanto disposto dal Trattato comunitario bene tener conto, al di l dei gi visti articoli relativi alla libera circolazione dei lavoratori e alla libera prestazione di servizi, per loro natura pi attinenti alla figura degli occupati cittadini di Stati membri piuttosto che alla casistica dei lavoratori extracomunitari, le disposizioni previste dallart.13,101 e congiuntamente dagli artt.136 e 137,102 a fornire spunti di riflessione sul tema. In Italia, i primi ricorsi davanti al giudice ordinario, basati sulla speciale azione civile contro la discriminazione introdotta dalla legge 286/98103 sono stati proposti dal calciatore nigeriano Ekong, nel settembre del 2000, e dal giocatore di basket americano Sheppard, nel febbraio 2001. Prince Ikpe Ekong, calciatore nigeriano, il 27 settembre 2000 agisce in giudizio nei confronti della FIGC, lamentando da parte di quest'ultima un comportamento discriminatorio nei suoi confronti; la Federcalcio, infatti, pur avendo latleta concluso un regolare contratto lavorativo con la societ A.C. Reggiana, militante nella serie C italiana, ha respinto la richiesta di tesseramento, determinando, cos, di fatto, per Ekong limpossibilit di svolgere il proprio mestiere. Tale diniego trova la propria fonte normativa nelle disposizioni federali; in particolare, lart.40 comma VII104 delle NOIF (Norme Organizzative Interne Federali) a disporre che il tesseramento di atleti non comunitari sia
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Art. 13 comma I TCE: Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunit, il Consiglio, deliberando all'unanimit su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, pu prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'et o le tendenze sessuali. 102 Gli art. 136 e 137 TCE fanno parte del Titolo XI capo I (disposizioni sociali) dedicato a politica sociale, istruzione, formazione professionale e giovent. 103 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Gazzetta Ufficiale 18 agosto 1998, n. 191, Supplemento Ordinario). 104 NOIF, art. 40 comma VII: [] possono essere tesserati i calciatori residenti in Italia, che non siano tesserati per la Federazione estera. [] Le societ che disputano i Campionati organizzati dalla L.N.P. e dalla L.P.S.C. possono tesserare liberamente calciatori provenienti da Federazioni estere, purch cittadini di paesi aderenti allUE [] Le societ che disputano il Campionato di serie A possono altres tesserare non pi di cinque calciatori provenienti o provenuti da Federazioni estere se cittadini di Paesi non aderenti allUE. Tuttavia, solo tre di essi potranno essere inseriti nellelenco ufficiale di cui allart.61 delle presenti norme ed essere utilizzati nelle gare ufficiali in ambito nazionale. Le societ che disputano il Campionato di serie B hanno tale ultima facolt di tesseramento limitata a non pi di un calciatore. In caso di retrocessione dalla serie A alla serie B, consentito alla societ retrocessa di mantenere il tesseramento di calciatori cittadini di Paesi non aderenti allUE gi tesserati nel corso dellantecedente stagione sportiva.

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consentito nella misura massima di, rispettivamente, cinque per le societ di Serie A e uno per quanto attiene la serie cadetta; viceversa, la suddetta facolt non prevista in capo alle squadre di Serie C, quali, appunto, la Reggiana. Secondo il Giudice del Tribunale di Reggio Emilia, lordinamento sportivo non potrebbe porsi in una situazione tale da prevedere regimi differenziati la cui ratio sia costituita esclusivamente dal dato della nazionalit. Come ribadito dal giudice, dunque, lautonomia dellordinamento sportivo non pu significare impermeabilit totale rispetto allordinamento statale ove il soggetto legittimato in via esclusiva ad abilitare lesercizio del gioco del calcio (la FIGC) impedisca tale facolt solo sulla base di un ingiustificato elemento di differenziazione.105 Viene, quindi, dichiarato illegittimo lart.40 comma VII delle Norme Organizzative Interne della Federcalcio, essendo le disposizioni in esso contenute contrastanti con lart.43 del Testo Unico sullimmigrazione, vietando, le predette disposizioni, il tesseramento, da parte di societ di Serie C, di calciatori extracomunitari. Il mondo del calcio, questa volta sul fronte che si da sempre ritenuto pi sicuro, quello relativo al tesseramento di giocatori non comunitari, subisce, cos, unulteriore sconfitta. Nel commentare la vicenda, alcuni autori hanno parlato del caso Ekong come un nuovo Bosman.106 Le prospettive e gli scenari definiti dallordinanza del giudice emiliano, infatti, sono paragonabili, se non per portata, quanto meno per il carico di speranze che si porta appresso, alla pronuncia della Corte di giustizia europea del 1995. Analoga, per riferimenti normativi e sostanziali, alla vicenda Ekong la controversia incardinata, con ricorso avente data 28 ottobre 2000, davanti al Tribunale di Teramo sezione distaccata di Giulianova, dal cestista statunitense Jeffrey Kyle Sheppard. L'atleta americano lamenta un ingiustificato trattamento discriminatorio nei suoi confronti posto in essere dalle regolamentazioni della Federazione

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Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 2 novembre 2000, Foro.it, 2002. Cal E., Via libera agli atleti extracomunitari: i casi Ekong e Sheppard, CG n.2/2001, p.240 ss.; lautore definisce il calciatore nigeriano come il Bosman dei poveri .

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nazionale di Pallacanestro. In particolare, lart.12 del Regolamento esecutivo della FIP a determinare unillecita discriminazione, sulla base del dato della nazionalit, delle ragioni del ricorrente; infatti, il suddetto articolo dispone che il tesseramento di giocatori non comunitari sia consentito nel numero massimo di due unit. A ben vedere, c un palese filo logico che congiunge questa vicenda a quella di Ekong; tale filo conduttore trova nel citato art.43 del D.Lgs. n.286/1998 un riferimento normativo preciso, infatti, anche il giudice abruzzese non manca di fare del suddetto articolo il parametro per sindacare la norma contestata. Tuttavia, nel decidere sul caso, lorgano giudicante arricchisce la questione di ulteriori sfumature, fornendo interessanti chiavi di lettura al fine di criticare le restrizioni poste in essere dalla FIP. Il giudice, con lo scopo di addurre ulteriori argomentazioni a sostegno della tesi volta a dichiarare lillegittimit delle predette disposizioni sportive, rimarca come profili di incompatibilit si manifestino anche in relazione alle disposizioni del Regolamento esecutivo della Federazione Italiana Pallacanestro e i principi enunciati nella Convenzione di New York.107 Posti tali punti di frizione, la via imboccata dal giudice non pu che essere segnata. Con ordinanza datata 4 dicembre 2000, infatti, il Tribunale di Teramo dichiara lillegittimit dellart.12 del Regolamento esecutivo della Federazione Italiana Pallacanestro, laddove esso pone limiti al tesseramento di giocatori extracomunitari, in quanto determina una discriminazione sulla base delle nazionalit . Parallelamente alla dichiarazione di illegittimit del predetto articolo, il giudice, con il provvedimento, impone, inoltre, alla FIP di astenersi da condotte pregiudizievoli nei confronti delle ragioni del ricorrente, vincolando in tal modo la federazione al perfezionamento del tesseramento di Sheppard con la societ Roseto Basket Lido delle Rose.108 Ovviamente la Federazione Pallacanestro non si adeguata immediatamente, anzi, con delibera n.26 del 9 dicembre 2000, dispone s

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Si tratta della Convenzione Internazionale sulleliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966. 108 Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Giulianova, ordinanza Jeffrey Kyle Sheppard c. Federazione Italiana Pallacanestro, 4 dicembre 2000, CG, 2001, p.238 ss.

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che il tesseramento di Sheppard con Roseto, in qualit di terzo extracomunitario, sia perfezionato, ma, nella medesima delibera, la FIP nega alle societ la possibilit di schierare contemporaneamente in campo pi di due atleti non comunitari. solo con una successiva ordinanza, datata 30 marzo 2001, che il Tribunale di Teramo dichiara lillegittimit anche di tale delibera, per i medesimi motivi posti alla base della pronuncia del 4 dicembre 2000. In sintesi, si pu ravvisare come la ratio decidendi delle sentenze Ekong e Sheppard improntata sullaffermazione del primato del diritto statale su quello sportivo. Ci non vero solamente in riferimento casi riguardanti lo sport professionistico, infatti episodi di discriminazione in base alla nazionalit si sono verificati anche in sport non professionistici, come ad esempio la pallavolo; questo il caso di cinque giocatori di pallavolo di nazionalit cubana che hanno chiesto tra il 2001 e il 2002 asilo politico in Italia, dichiarando di essere impediti nellesercizio delle libert democratiche in patria. I giocatori, con lintenzione di disputare il campionato di serie A italiano, hanno cercato di ottenere, in diversi momenti, il tesseramento da parte della Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV), la quale, per, ha rigettato le loro richieste, con la motivazione che la Federazione Internazionale di Pallavolo (FIVB) non aveva concesso loro lautorizzazione per trasferirsi in Italia ( cosiddetto transfer). Ritenendosi discriminati in base alla nazionalit, ai sensi dellart. 44 del D. Lgs. n. 286/98 Gato e Dennis sono stati i primi ad impugnare il diniego al tesseramento della FIPAV davanti ai giudici ordinari, forti di un regolare permesso di soggiorno, concesso per ragioni umanitarie, e di un accordo contrattuale gi raggiunto con un club italiano. Realmente interessante e significativo, in questa vicenda, il fatto che, partendo dalla pressoch identica situazione di fatto, due Tribunali nazionali, quello di Verona e quello di Roma, sono arrivati a conclusioni molto diverse tra loro. In effetti, dalla lettura dellordinanza emessa dal Tribunale di Verona il 23 luglio 2002, emerge la sussistenza di un comportamento discriminatorio ai danni del ricorrente Gato Moja, lesivo del suo diritto al lavoro: la necessaria e preventiva autorizzazione delle federazioni sportive di

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appartenenza, richiesta per i lavoratori sportivi extracomunitari, costituisce un ingiustificato, e pertanto vietato, elemento di differenziazione rispetto ai lavoratori italiani ed extracomunitari tale da compromettere il godimento o lesercizio in condizioni di parit dei diritti umani e delle libert fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. Di tuttaltro avviso il Tribunale di Roma, che, pronunciandosi sul ricorso presentato da Angel Dennis, nella sua decisione, datata 10 luglio 2002, ha ritenuto non potersi applicare al caso in questione le disposizioni contenute nella legge n. 91/81 relative al divieto di limiti previsti per il giocatore professionista nellestrinsecazione della sua libert contrattuale. A questa conclusione il Giudice romano arrivato considerando linquadramento dilettantistico dato al gioco della pallavolo da parte del CIO e del CONI. La sussistenza di un comportamento discriminatorio da parte della FIPAV stato accertato anche dal Tribunale di Piacenza, che, con provvedimenti emessi nel 2003 in seguito ai ricorsi presentati dagli altri tre giocatori cubani (Rivero, Majeta e Borges), ha ordinato alla FIPAV di procedere immediatamente al tesseramento dei suddetti atleti, in modo da consentirne la partecipazione al campionato 2002-2003. Il Giudice piacentino, riprendendo quasi testualmente la decisione del Tribunale di Verona, ha riconosciuto la discriminazione nellimposizione dellobbligo del preventivo rilascio, per i lavoratori sportivi extracomunitari, dellautorizzazione delle Federazioni sportive di appartenenza, ai fini del tesseramento alla FIPAV.109 Vista levoluzione dei percorsi, giurisprudenziali e non, che hanno condotto ad un sindacato di legittimit, prima, e , successivamente, alla riforma delle normative sportive in tema di circolazione degli atleti comunitari ed extracomunitari, resta ora da esaminare un ulteriore filone giuridico, sviluppatosi parallelamente alle vicende in merito agli sportivi non europei. Si tratta delle controversie sorte in merito al riconoscimento dei diritti degli sportivi professionisti cittadini di Stati non aderenti allUnione europea, ma che hanno stipulato con essa accordi di associazione, cooperazione o partenariato.
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Coccia M., De Silvestri A., Forlenza O., Fumagalli L., Musumarra L., Selli L., Diritto dello sport, 2008, Le Monnier Universit, p. 182-183.

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Tali soggetti non sono equiparabili, stanti i suddetti accordi, agli sportivi extracomunitari; allo stesso modo, la tutela e le ragioni loro riconosciute non sono equiparabili alle libert poste in capo ai cittadini degli Stati membri. Diviene, cos, logico e spontaneo catalogare siffatto insieme di soggetti come una categoria intermedia rispetto alle due precedentemente viste. La posizione, dunque, di tali soggetti, cittadini di Stati terzi, i quali abbiano concluso con la Comunit europea accordi di associazione o partenariato ex art.310 del Trattato110, ha assunto particolare rilievo nellottica dei rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamento sportivo, determinando la necessit di definire i confini dei diritti, in particolar modo di libera circolazione, discendenti da tale status. Non sono mancate, quindi, le occasioni, per gli organi giudiziari di livello nazionale e comunitario, per pronunciarsi sul tema, fornendo una ridefinizione degli assetti a riguardo e determinando un accostamento, comunque non totale, dei suddetti sportivi di paesi associati agli atleti cittadini europei. Tale filone giurisprudenziale prende il via con la vicenda relativa alla giocatrice polacca di pallacanestro Lilia Malaja, la quale riceve, da parte della Federazione francese competente, un rifiuto riguardo alla possibilit di tesseramento da parte della compagine dello Stasburgo, in quanto questo comporterebbe il superamento dei limiti fissati dalle normative federali, statuenti il numero massimo di due atlete extracomunitarie tesserabili per squadra e stante il fatto che lo Strasburgo sia gi addivenuto allacquisto di due cestiste cittadine di Stati non membri dell'Unione; si tratterebbe, dunque, di un tesseramento in esubero. Malaja, di fronte al diniego della Federazione cestistica transalpina, ricorre innanzi al giudice francese per invocare la tutela ed il riconoscimento delle sue ragioni; la Corte Amministrativa dAppello di Nancy, con sentenza 3 febbraio 2000, accoglie l'istanza della ricorrente. Secondo lavviso del giudice transalpino, dunque, i lavoratori polacchi, ove regolarmente assunti in un qualsiasi Stato dellUnione europea, non possono essere destinatari di

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Art.310 TCE: La Comunit pu concludere con uno o pi Stati o organizzazioni internazionali accordi che istituiscono un'associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari.

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discriminazioni in merito alle condizioni di lavoro, di retribuzione e di licenziamento rispetto alle discipline ivi previste in relazione agli equivalenti occupati indigeni. Alla base dellintendimento del giudice, vi lart.37 dellaccordo di cooperazione intercorrente tra Unione europea e, appunto, Polonia.111 Dalla circostanza, dunque, che il negozio contrattuale tra una societ sportiva ed una giocatrice non sia stato formalmente omologato dalla competente federazione nazionale, non pu discendere il fatto che latleta non sia da considerare come regolarmente assunta ai sensi dellart.37 del citato accordo di cooperazione . Il difetto di omologazione del contratto di lavoro, quindi, non pu impedire allo stesso di esplicare tutti gli effetti attribuiti dal diritto comune, anche sotto il profilo del rispetto dei principi comunitari, quali appunto quello di non discriminazione.112 Per quanto attiene i suddetti aspetti giuridici, dunque, i cittadini dei Paesi associati sono da ritenere equiparati ai cittadini comunitari, mentre un elemento di differenziazione, rimarcato pi dalla dottrina che dal giudice, , invece, quello legato alla libera circolazione. In merito a tale profilo la Corte di Nancy, investita dalla questione da Malaja, non si mai pronunciata. Rimane, dunque, vivo il dubbio se il divieto di non discriminazione, riconosciuto dalla stessa sentenza, sia idoneo a configurare, in capo ai predetti cittadini di Stati associati, anche un diritto alla libera circolazione, allinterno del territorio comunitario, equiparabile allequivalente libert riconosciuta ai cittadini dei Paesi aderenti allUnione europea. La dottrina113 si fa carico del compito di dirimere tale questione, ovviamente a livello teorico e non nel merito della vicenda della cestista polacca; prevalente, tra gli studiosi, lorientamento secondo il quale non sia da riconoscere ai cittadini di Stati associati il citato diritto alla libera circolazione; in particolare, si ritiene che con la locuzione condizioni di lavoro, contenuta nellart.37 del predetto testo, si intenda le concrete

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Bastianon S., Accordi di cooperazione e libera circolazione degli sportivi extracomunitari, Riv. Dir. Sport., 2000, p.325 ss. 112 Bastianon S., Nascimbene B., Lo sport e il diritto comunitario, in Diritto internazionale dello sport, a cura di Greppi E., Vellano M., 2005, p.282. 113 Bastianon S., Accordi di cooperazione e libera circolazione degli sportivi extracomunitari, Riv. Dir. Sport., 2000, p. 334 ss.

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modalit di svolgimento della professione, e non gi i presupposti per conseguire la suddetta professione, trai quali, ovviamente, lingresso. Successivamente a tale sentenza, i casi Kolpak114 e Simuntenkov,115 hanno permesso alla Corte di giustizia, partendo dal presupposto, ormai consolidato, dellapplicabilit delle norme comunitarie al settore dello sport, di completare lopera di censura delle regole sportive, per eliminare gli ostacoli frapposti alle libert fondamentali riconosciute dal Trattato, anche nei confronti di atleti provenienti da paesi con cui la Comunit europea ha concluso Accordi di Associazione o partenariato. Kolpak un giocatore di pallamano di cittadinanza slovacca in possesso di regolare permesso di soggiorno, che svolge regolarmente la professione di portiere in una squadra tedesca militante nel campionato di seconda divisione. In base al vigente regolamento federale tedesco, possono essere impiegati nelle competizioni di coppa e campionato al massimo due giocatori i cui cartellini siano contrassegnati dalla lettera A, indicante gli atleti di nazionalit straniera. Poich laccordo tra Comunit europea e Repubblica Slovacca fa esclusivamente riferimento alla non discriminazione dei lavoratori e non anche alla libera circolazione, al Kolpak viene rilasciato il cartellino contrassegnato dalla lettera A. La Corte, adita in via pregiudiziale, dichiara che, poich la partecipazione alle competizioni sportive attiene alle condizioni di lavoro del giocatore straniero, con la previsione di un limite di utilizzabilit di cui al regolamento federale sopra menzionato, latleta subisce chiaramente una discriminazione fondata sulla nazionalit, vedendosi limitata la possibilit di esplicare la propria attivit lavorativa. Ne deriva che lart.38 dell'Accordo di Associazione, 116 deve essere interpretato nel senso che esso osta allapplicazione, ad uno sportivo slovacco regolarmente occupato in una societ stabilita in uno Stato

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Corte di Giustizia, causa C-438/00, Deutscher Handballbund c. Maros Kolpak, 2002. Corte di Giustizia, causa C-265/03, Igor Simutenkov c. Ministerio de Educacin y Cultura e Real Federacin Espaola de Ftbol, 2005. 116 Accordo di associazione CE Slovacchia, art.38: Nel rispetto delle condizioni e modalit applicabili in ciascuno Stato membro, il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalit della Repubblica slovacca legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro, esente da qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalit, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro.

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membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le societ sportive sono autorizzate a far scendere in campo solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi. Parimenti a quanto gi accaduto in occasione della vicenda Malaja, anche in questo caso l'organo giudicante ha preferito uninterpretazione restrittiva dellAccordo di Associazione stipulato tra Comunit europea e Repubblica Slovacca con riguardo al principio della libert di circolazione, mentre ha dato piena applicazione al cosiddetto effetto Bosman circa il divieto di discriminazione dei lavoratori.117 In conseguenza di tale orientamento, le federazioni hanno temuto che un possibile aumento degli accordi di cooperazione tra Unione europea e Stati anche extraeuropei porti ad un accesso indiscriminato degli stranieri nei campionati nazionali; tuttavia, fonti dell'Unione europea hanno assicurato che lo spirito della sentenza fosse molto restrittivo e non rappresentasse un'estensione della sentenza Bosman. 118 In linea con la sentenza Kolpak si espressa, in epoca pi recente (2005), la Corte di giustizia sulla vicenda Simutenkov,119 calciatore professionista di nazionalit russa, e, al pari di Kolpak, regolarmente titolare di un valido premesso di lavoro e in possesso di una licenza federale ai fini del tesseramento, anche in tal caso come non comunitario, per la societ spagnola del Tenerife. Lo spartito, dunque, lo stesso. Per parlare di analogia, per, manca un dettaglio: al pari di quanto fatto dalla Slovacchia ( e prima, in relazione al caso Malaja, dalla Polonia ), anche la Russia ha concluso un Accordo con la Comunit europea, ma si tratta di un Accordo di partenariato e non di associazione, sottoscritto a Corf il 24 giugno 1994 ed entrato in vigore il 1 dicembre 1997. In particolare, lart.23 n.1 del suddetto Accordo, invocato da Simutenkov, a recitare che conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro, la Comunit e i suoi Stati membri evitano che i
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Bastianon S., Nascimbene B., Lo sport e il diritto comunitario, Diritto internazionale dello sport, a cura di Greppi E., Vellano M., 2005, p.284. 118 Bondini G., Sentenza Bosman 2, l' Europa si allarga. La Corte di giustizia Ue equipara gli slovacchi ai comunitari. E' un primo passo: in Spagna parlano di rivoluzione., Gazzetta dello sport 9 maggio 2003. 119 Corte di Giustizia, causa C-265/03, Igor Simutenkov c. Ministerio de Educacin y Cultura, Real Federacin Espanola de Ftbol, 2005.

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cittadini russi legalmente impiegati nel territorio di uno Stato membro siano oggetto, rispetto ai loro cittadini, di discriminazioni basate sulla loro nazionalit per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. Con la sentenza Simutenkov, la Corte ha ribadito che il divieto di discriminazione in base alla nazionalit di cui allAccordo di partenariato tra Comunit europea e Russia, rende illegittima lapplicazione, ai calciatori professionisti di nazionalit russa, della regola prevista dalla federazione sportiva spagnola che ne limita la possibilit di partecipare a determinate competizioni sportive. Loggetto della pronuncia una domanda pregiudiziale presentata nel 2003 da un Tribunale Amministrativo di Appello spagnolo allinterno di un procedimento instauratosi tra il calciatore russo Simutenkov e la Real Federacin Espaola de Ftbol (RFEF); vedendosi rifiutare la conversione della licenza nello status di calciatore comunitario, Simutenkov ha adito il Tribunale Amministrativo per vedersi riconosciuto il diritto di non discriminazione sulla base della nazionalit sancito nellAccordo di partenariato tra Comunit europea e Russia. Di particolare spessore, in questa pronuncia, la considerazione della Corte circa limmediata applicabilit dellart. 23, mentre per il resto ci si limita a ribadire lorientamento giurisprudenziale precedente.120 Il giudice comunitario, riprendendo una costante giurisprudenza,121 ha sottolineato che gli accordi fra la Comunit e gli Stati terzi debbano considerarsi direttamente applicabili quando stabiliscono un obbligo chiaro e preciso, non subordinato nel suo adempimento o nei suoi effetti, allintervento di alcun atto ulteriore. Nel caso di specie stato perentoriamente sancito nella lettera dellaccordo, lobbligo dello Stato di evitare che i cittadini russi, legalmente impiegati nel proprio territorio, possano subire discriminazioni a causa della

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Antonucci M., Il mercato dei calciatori: ampliata al libert di circolazione, Il Consiglio di Stato, II/2005, p.781ss.: l'autore sottolinea che nellequiparare i cittadini di Stati parte di un accordo con la CE a quelli comunitari, la Corte, in linea con la precedente giurisprudenza, ammette deroghe al divieto di limitazioni in base alla nazionalit solo in relazione agli incontri delle nazionali di calcio, rilevando che tali competizioni non hanno una preminente finalit economica. 121 Corte di Giustizia, causa C-63/99, The Queen e Secretary of State for the Home Department c.Wieslaw Gloszczuk e Elzbieta Gloszczuk, 2001; Corte di Giustizia, causa C-171/01, Gemeinsam Zajedno c. Birlikte Alternative e Grune GewerkschafterInnen, 2003.

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loro cittadinanza, in relazione alle condizioni di lavoro, retribuzione e licenziamento. Tale obbligo pu esser fatto valere davanti allautorit giudiziaria nazionale, affinch questa disapplichi le misure discriminatorie. Invero, non ha scalfito la certezza dellorgano giudicante la circostanza che lAccordo in questione, intercorrente tra Russia ed Unione europea, fosse un Accordo di partenariato e non di associazione, e non fosse, quindi, precursore allingresso del firmatario nella Comunit europea. Quanto affermato in tale sentenza, stato confermato in tempi pi recenti, con l'ordinanza del 25 luglio 2008, caso Kahveci,122 in cui la Corte ha statuito nuovamente che la normativa regolamentare, con cui una federazione sportiva nazionale limita il numero dei calciatori non comunitari che possono essere utilizzati in gare ufficiali, non pu applicarsi ai cittadini di quegli Stati che abbiano concluso accordi con la Comunit e nei quali sia prevista unequiparazione dei lavoratori di tale Stato terzo a quelli comunitari. In occasione della pronuncia sul caso Simutenkov, dunque, la Corte di giustizia europea si pone su unideale linea di continuit che congiunge giudici, di diverso livello, dal Lussemburgo a Nancy, passando attraverso i campi di pallamano tedeschi, i parquet francesi ed i rettangoli di gioco spagnoli.123 Oltre ai casi esaminati, riguardanti la libera circolazione e l'applicazione dell'art. 39 (ex art.48) del Trattato CE, vi sono state diverse opportunit per la Corte di giustizia di pronunciarsi sui rapporti tra sport e diritto comunitario della concorrenza. Nel caso Bosman, come abbiamo visto, non si ritenuto necessario affrontare il problema della legittimit delle norme sui trasferimenti sotto il profilo del diritto della concorrenza; nei successivi casi Delige e Lethonen, invece, la Corte ha giustificato il proprio silenzio con la carenza di informazioni trasmesse dal giudice di rinvio. Infine, nel caso Balog, sembra essere giunto il momento di un'effettiva pronuncia della Corte in merito al rapporto tra sport e diritto comunitario della concorrenza, ma il

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Corte di Giustizia, causa C-152/08, Real Sociedad de ftbol SAD e Nihat Kahveci c. Consejo Superior de Deportes e Real Federacin Espaola de Ftbol, 2008. 123 Albanese G., Calciatori extracomunitari: la sentenza Simutenkov e i possibili scenari futuri, Rivista Digitale di Marketing Management e Diritto Sportivo, 2005.

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raggiungimento di un accordo stragiudiziale tra le parti ha rinviato nuovamente la tanto attesa pronuncia. Proprio quest'ultima vicenda, in ragione del fatto che, a differenza delle altre sopraccitate, stata prospettata alla Corte facendo esclusivo riferimento all'art.85 del Trattato CEE, merita un approfondimento. Tibor Balog un calciatore di nazionalit ungherese militante sin dal 1993 nel campionato belga di prima divisione. A seguito della scadenza del contratto, egli si trova in una situazione molto simile a quella che ha originato la controversia nel caso Bosman. Balog ritiene che la sua squadra di appartenenza, il Royal Club di Charleroi, non possa esigere alcuna indennit di trasferimento per il suo ingaggio da parte di un nuovo datore di lavoro, e nellimpossibilit di trovare una soluzione concordata della controversia sorta con la societ di provenienza, ha adito il Tribunale di prima istanza di Charleroi. Questultimo ha deciso di porre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale tendente a stabilire se compatibile con lart.85 del Trattato di Roma (attuale art.81) e/o con lart.53 dellAccordo sullo Spazio economico europeo, il fatto che un club di calcio stabilito sul territorio di uno Stato membro dellUnione europea pretenda di ottenere il pagamento di una somma di trasferimento sulla base di regolamenti e circolari delle federazioni nazionali ed internazionali in occasione dellingaggio di uno dei suoi vecchi impiegati, giocatore di calcio professionista di nazionalit non comunitaria giunto in scadenza di contratto, da parte di un nuovo datore di lavoro, stabilito nello stesso Stato membro, in un altro Stato membro dellUnione europea o dello SEE o in uno Stato terzo Ammettendo che gli effetti della sentenza Bosman non siano applicabili nei suoi confronti, egli ha nazionalit ungherese e pertanto escluso dalla libert di circolazione dei lavoratori prevista dallart. 48 del Trattato CE esclusivamente per i cittadini dellUnione, il Balog sostiene che il sistema dell'indennit di trasferimento, previsto a livello nazionale ed internazionale, sia incompatibile con gli artt. 85 dello stesso Trattato CEE e 53 n.1 dellAccordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE), di modo che egli possa far valere tale contratto, nonostante la sua cittadinanza non comunitaria.

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In sostanza, il calciatore ungherese vuole ottenere lestensione degli effetti della sentenza Bosman in materia di abolizione di indennit di trasferimento tra calciatori cittadini di Stati membri dellUnione europea ai trasferimenti di giocatori di Paesi non facenti parte dellUE . Senza dubbio appare possibile, anche per un cittadino ungherese, linvocazione degli artt. 85 del Trattato CE e 53 dellAccordo SEE, data lirrilevanza della nazionalit dei soggetti coinvolti ai fini dellapplicabilit delle norme in materia di tutela della concorrenza, cio proprio quelle su cui la sentenza Bosman ha evitato di pronunciarsi; sono, invece, inapplicabili i principi comunitari sulla libera circolazione ai cittadini ungheresi, a nulla valendo, da questo punto di vista, laccordo di associazione ComunitUngheria. Il caso Balog, conclusosi con un accordo stragiudiziale tra le parti, stato comunque svuotato di gran parte del suo significato da due Circolari della FIFA, 124 entrate in vigore il 1 aprile 1999, che hanno equiparato integralmente i trasferimenti dei giocatori extracomunitari tra societ di Paesi comunitari (o SEE) a quello dei giocatori comunitari, abolendo anche per i primi lobbligo di pagare lindennit di trasferimento da parte della societ che ingaggia il giocatore libero da impegni contrattuali. Tale circostanza, tuttavia, non significa assolutamente che il diritto della concorrenza non continui a rappresentare, in futuro, un fondamentale parametro normativo di riferimento in relazione a numerose regolamentazioni inerenti al settore sportivo.125

124 125

Circolare FIFA n. 611 del 27 marzo 1997 ; Circolare FIFA n. 616 del 4 giugno 1997. Bastianon S., Nascimbene B., Lo sport e il diritto comunitario, in Diritto internazionale dello sport, a cura di Greppi E., Vellano M., 2005, p.290.

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CAPITOLO 4: LE RECENTI EVOLUZIONI IN MATERIA DEGLI DI LIBERA E CIRCOLAZIONE RISPETTO DEL

SPORTIVI

PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE IN AMBITO COMUNITARIO: DAGLI SPORT MINORI ALLE NORME UEFA E FIFA PER LA TUTELA DEI VIVAI

1. Considerazioni preliminari
Conclusa la disamina sul percorso, per lo pi giurisprudenziale, che ha condotto allabbattimento, o, quanto meno, allerosione dei limiti, prima fissati dal mondo dello sport, alla libera circolazione degli sportivi stranieri (comunitari, extracomunitari e provenienti da Stati associati con la Comunit europea ), mi adoperer ora a fornire un quadro di massima circa la compatibilit degli obiettivi e delle attuali regolamentazioni poste dalle varie federazioni a riguardo con i principi di libera circolazione e non discriminazione a livello comunitario. Il problema consiste nella ricerca di un compromesso tra istituzioni sportive ed istituzioni comunitarie, al fine di rendere le norme di tutela dei

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vivai e del patrimonio sportivo nazionale il meno lesive possibile nei confronti del diritto comunitario, riguardo ai principi sopraccitati. Si passati cos, ad esempio, dalle limitazioni basate sulla nazionalit, e di conseguenza palesemente in contrasto con il diritto comunitario, a specifiche condizioni legate alla formazione dell'atleta indipendentemente dalla propria nazionalit, sicuramente pi tollerabili a livello europeo. Le limitazioni basate sulla nazionalit risalgono al pre-Bosman e gi dalla fine degli anni '70, il problema della tutela dello sport nazionale divenuto reale. Gi nel 1977 si pensava alla necessit di imporre un obbligo a ciascuna squadra di impiegare un certo numero di giocatori nativi della regione nella quale la societ svolge la propria attivit.1 La preoccupazione circa lo sviluppo dello sport nazionale giovanile si manifestata in modo sempre pi concreto nel corso degli anni 80 e inizio anni 90, 2 a tal punto che si auspicata una storica rivoluzione nel calcio, che, tuttavia, non ha trovato concreta attuazione; infatti, lallora Commissario straordinario della FIGC, Manzella, si limitato a prospettare l'adozione di un sistema, emulato da quello spagnolo, che prevedesse libert assoluta di tesseramento di giocatori stranieri, ma con la possibilit di mandarne in campo soltanto due, salvaguardando, cos, il duplice interesse di tutela della libera circolazione dei calciatori e di crescita di atleti eleggibili per la nazionale.3 Come visto sopra, quindi, la tendenza al protezionismo ed alla ricerca del compromesso nata ben prima di Bosman, tuttavia grazie al caso del giocatore belga se il tema della salvaguardia dei vivai divenuto di estrema attualit e delicatezza; la circostanza che la sentenza rivoluzionaria riguardasse un calciatore ha fatto s che il tema in esame, ovviamente, trovi maggior dispiego nell'analisi relativa alle regolamentazioni previste nel calcio, tuttavia, come si vedr, anche altri sport, per cos dire minori, hanno affrontato e stanno affrontando una vera e propria battaglia al fine del riconoscimento dell'importanza dello sviluppo dello sport giovanile quale
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Silance L., Circolazione dei calciatori professionisti negli Stati comunitari, Riv.Dir.Sport., 1977, p.301. 2 Azeglio Vicini, Commissario tecnico della nazionale dal 1986 al 1991, si espresse cos: I vari Gullit, Rush e Careca portano spettacolo, ma occupano posti chiave nei loro club e cos i giovani non possono crescere. Come rafforzeremo il vivaio della nazionale?, La Gazzetta dello Sport, 6 agosto 1989. 3 Vidiri G., La libera circolazione dei lavoratori nei paesi della C.E.E. Ed il blocco calcistico delle frontiere, GI, IV, 1988, p.66 ss.

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via per la sopravvivenza dell'intero sistema; infatti, a maggior ragione sport minori, basano la propria crescita a livello nazionale, proprio sull'investimento sui giovani e sulla loro formazione, nell'ottica di un movimento nazionale sempre pi competitivo anche a livello comunitario.

2. Il rapporto tra salvaguardia dei vivai e principio di non discriminazione


Le questioni legate alla nazionalit ed alla tutela del movimento sportivo nazionale hanno caratterizzato, negli ultimi anni, il dibattito giuridicosportivo a livello comunitario, a dimostrazione del fatto che non vi , da parte dei vertici del mondo sportivo, rassegnazione nel piegarsi alle logiche comunitarie della libera circolazione e, soprattutto, della non differenziazione sulla base dell'elemento della cittadinanza. Da un lato,infatti, vi sono le logiche ed immediate, e forse per questo inapplicabili a realt specifiche quali il sistema sportivo, enunciazioni comunitarie in tema di circolazione ed eguaglianza; dallaltro lato, invece, dichiarazioni di intenti antitetiche giungono dallordinamento sportivo, teso, nella generale speranza di salvaguardare la propria autonomia, a ribadire la necessit di disimpegnarsi, nel senso di una maggiore attenzione rivolta al movimento sportivo nazionale. Tale dibattimento trova maggiore occasione di manifestarsi in seno alla questione legata allo sport giovanile ed alla tutela della massima espressione di tale settore, cio i vivai. Siffatta questione, infatti, presenta elementi di incertezza, a causa della circostanza che la disciplina relativa alla tutela dei vivai sia massimamente connotata da frammentariet, trovando diverse, e spesso divergenti, regolamentazioni nelle normative delle singole federazioni. Non aiuta ad arginare tale conflittualit, ma, semmai, contribuisce ad inasprirla la contingenza che il terreno su cui si muovono i passi quello in maggior misura minato; non pu sussistere, infatti, antitesi pi manifesta rispetto a quella incentrata sulle dichiarazioni in chiave protezionistica

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rilasciate dalle istituzioni sportive e sui principi, invece, enunciati in sede comunitaria ispirati ad unimpostazione cosmopolita del tema. proprio ad un equilibrio tra nazionalismo e cosmopolitismo, che mirano le normative sportive in tema di circolazione di giovani atleti stranieri allinterno del territorio comunitario: un equilibrio difficile da raggiungere visti i contrasti palesati tra regolamenti delle federazioni e ordinamento giuridico comunitario in questi anni. Forte il rischio, ovviamente nellottica delle ragioni dellordinamento sportivo, che la direzione intrapresa sia definitiva e destinata, quindi, ad abbattere, in un futuro nemmeno troppo lontano, tutte le restrizioni alla circolazione degli atleti stranieri che, fondate sul dato della nazionalit, presentino elementi di discriminazione.4 Ad essere in gioco, oltre ad ovvie considerazioni di ordine meramente sportivo, vi sono anche gli interessi, per cos dire, sociali del singolo sportivo; si deve addivenire, dunque, a soluzioni legislative e regolamentari che operino un contemperamento delle varie istanze ivi richiamate. E la specificit del fenomeno sportivo a costituire il vero oggetto del contendere, mentre le normative sulla circolazione degli atleti sono solo un presupposto e, allo stesso tempo, un terreno di applicazione delle conseguenze di detto conflitto per sviluppare con maggior estensione la portata della questione: se non ribadisce la propria, necessaria, autonomia lo sport soccombe.5 Autonomia non vuol dire, certo, totale estraneit al diritto, viceversa significa armonizzare principi generali a logiche particolari, coniugando sistematicit legislativa e specificit sportiva. Se la sentenza Bosman ha favorito la libera circolazione degli sportivi sul territorio comunitario e la possibilit di allestire squadre senza la preponderante presenza di atleti selezionabili per le rappresentative nazionali, con lavvento dei nuovi principi comunitari (sanciti dal Trattato di Lisbona) potranno esservi vantaggi a livelli di organizzazione dei vivai nazionali, attraverso la previsione e la regolamentazione di un obbligo di impiegare un numero minimo di atleti (nazionali e non) formati ed
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Dispense Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, ed. 2005/2006, corso di Sociologia delle organizzazioni sportive. 5 Marchese T., Diritto al lavoro e tutela dei vivai giovanili, in Il rapporto di lavoro dello sportivo, a cura di Amato P., Crocetti Bernardi E., De Silvestri A., Forte N., Marchese T.,Musumarra L., p.157, Lex, Forl.

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addestrati dalle societ sportive affiliate alla federazione nazionale, senza imbattere in una violazione dei principi comunitari di libera circolazione e di non discriminazione. Tra le varie conseguenze provocate dalla sentenza Bosman fondamentale evidenziare la crescita impetuosa del numero di stranieri ingaggiati nei principali campionati professionistici europei. A tale proposito, bisogna rilevare che, dal momento in cui la Corte di giustizia non ha definito una specifica e apposita normativa sullimpiego di giocatori extracomunitari, nei vari paesi europei si presentato, sul finire degli anni 90, un panorama assai frammentato.6 Unica contromisura a questa invasione straniera rappresentata proprio dalla necessit di rafforzare i vivai giovanili, risorsa indispensabile per le nazionali dei vari paesi membri e importante elemento gestionale per permettere alle societ un contenimento effettivo dei costi. In questo senso si espresso, ben prima della sentenza Bosman, Giardini: Con lapertura delle frontiere e, di conseguenza, con un minor numero di posti a disposizione degli atleti italiani e con un mercato pi vasto in cui operare, alle societ minori non sarebbe pi convenuto curare i vivai giovanili.7 Risulta essere questo uno dei principali motivi che, inizialmente, ha indotto diverse societ (soprattutto quelle cosiddette di seconda fascia) a trascurare i propri vivai, da sempre alla base del movimento sportivo; infatti, le squadre minori sono sempre riuscite a competere con le squadre pi potenti dal punto di vista delle risorse economiche, grazie ad un contenimento dei costi ed ai loro profitti garantiti dai centri di avviamento e di formazione dei giovani atleti. L'importanza dei vivai e la necessit di norme federali che ne tutelassero la cura, senza ledere il principio di non discriminazione basato sulla nazionalit degli atleti, stata sottolineata a pi riprese dai vertici delle varie istituzioni sportive europee; in primis, dal presidente del Coni, Gianni Petrucci, il quale ha affermato, nel 2001, che l'abbattimento delle frontiere
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Marani M., Europa, Babele di regolamenti, Il Sole 24 ore, 8 giugno 1998, p.22. Per esempio in Italia e in Inghilterra era consentito schierare un numero massimo di tre giocatori extracomunitari, uno meno che in Spagna; in Belgio e in Olanda non esistevano limitazioni; in Francia si potevano aver tre giocatori non appartenenti allUnione (due assimilati e uno che militasse da almeno due anni nel campionato transalpino); in Germania non pi di tre sotto contratto. E bene ricordare che nelle Coppe europee non esisteva alcuna limitazione alluso di extracomunitari. 7 Giardini A., Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori, DCSI, 1988, p.451.

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possa rivelarsi penalizzante per lidentit nazionale dei club e delle stesse nazionali, nonch per i settori giovanili nazionali. Sullutilizzo illimitato, o comunque eccessivo, di atleti stranieri nellambito di diverse discipline sportive, in primo luogo negli sport di squadra, il Coni auspica che si trovino soluzioni che possano garantire la salvaguardia del patrimonio sportivo nazionale ed il livello qualitativo delle squadre nazionali.8 In questa direzione la Giunta del Coni9 ha disposto che, dal 2006, nelle squadre partecipanti ai massimi campionati, dovesse essere garantita una presenza di giocatori formati nei vivai giovanili nazionali non inferiore al 50% dei giocatori compresi nel referto arbitrale: tale decisione ha rappresentato sicuramente una svolta ed una seria presa di posizione a favore dell'affermazione dell'identit nazionale, della valorizzazione dei giovani e del tentativo di porre un freno alla eccessiva proliferazione di atleti stranieri nei campionati nazionali. La soluzione adottata dalla Giunta del Comitato Olimpico italiano stata concepita proprio cercando di evitare di inciampare in censure a livello transnazionale, infatti si parla espressamente di giocatori formati nei vivai giovanili nazionali, senza specificarne la nazionalit, cosicch nulla impedisca ad un giovane extracomunitario o comunitario di formarsi sportivamente ed in et giovanile presso una societ sportiva italiana ed essere considerato come un prodotto del vivaio della societ pur non essendo italiano. In questo modo si cercato di scindere la libert contrattuale, ben tutelata anche a livello comunitario attraverso il principio della libera circolazione, dal diritto di utilizzo, che, invece, fa parte della normativa tecnica, di competenza esclusivamente sportiva. La soluzione prospettata dal Coni potrebbe rappresentare l'artifizio giusto per portare avanti le idee nazionalistiche di chi vorrebbe evitare la proliferazione degli stranieri nei club italiani senza portarsi quale conseguenza una moltitudine di ricorsi giurisdizionali e di violazioni legislative. In Italia, la posizione assunta dal Coni stata condivisa anche da alcune figure istituzionali di spicco del mondo politico e sportivo, quali Ciocchetti (responsabile nazionale dello sport dell'Udc) e Pescante (vice presidente del
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www.calcioinborsa.com. Riunione Giunta Nazionale Coni, 2004/07/01 che ha portato alla delibera n.215 del Consiglio Nazionale.

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CIO e parlamentare italiano), i quali hanno presentato, nel 2009, mozioni al Governo circa la salvaguardia dei vivai. La prima10 ha ribadito la necessit di valorizzare, anche attraverso benefici fiscali, quelle societ e quelle associazioni sportive, sia professionistiche che dilettantistiche, che prestassero una particolare attenzione alle formazioni giovanili; la seconda, 11 portando l'esempio negativo di sport quali basket, pallanuoto e pallavolo maschile, in merito alla gestione dei vivai, ha proposto un progressivo contenimento dell'utilizzo degli atleti extracomunitari negli sport di squadra, a tutela dei vivai. Si visto, quindi, come una visione protezionistica si sia fatta largo in Italia gi dai primi anni del nuovo millennio e continua ad essere condivisa tutt'oggi; tra le cause di questo orientamento nazionalista vi sicuramente la sentenza Bosman, alle cui conseguenze vengono attribuiti, in parte, risultati negativi di discipline in cui negli anni 90 l'Italia la faceva da padrona, grazie a campioni formati in casa ed in grado di guadagnarsi la ribalta continentale ed internazionale gi in giovane et. In questo senso Pescante porta l'esempio della pallavolo femminile, dove, dopo anni bui e privi di risultati di rilievo, la cura dei vivai ed il progetto di rilancio della disciplina ha portato la nazionale a grandi successi internazionali e ad un campionato che vede la presenza di meno straniere e di maggior qualit. A livello europeo, sempre a proposito di gestione dei settori giovanili e delle diseguaglianze economiche che minacciano lo sviluppo degli stessi, il presidente UEFA in carica, Johansson, ha dichiarato:Prima della sentenza Bosman, la maggior parte delle squadre era formata da giocatori locali. Ora i club vogliono solo comprare giocatori pronti per l'uso e temo che i giovani possano gettare la spugna, perch il percorso per arrivare in prima squadra appare loro troppo lungo e tortuoso.12 La conferma circa la necessit di regolamentazioni sportive in grado di tutelare effettivamente i vivai di fronte alla libert di trasferimento degli atleti sul territorio comunitario, conseguente alla sentenza Bosman, arrivata dal Direttore generale dell'UEFA, Lars Christer Olsson, il quale ha
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Mozione salva made in Italy, n.1-00222, 13 luglio 2009. Mozione a sostegno dei vivai di promozione e reclutamento degli atleti, n.1-00286, 19 novembre 2009. 12 www.uefa.com, intervento dell'ex presidente UEFA Johansson, 2001.

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ribadito le ragioni della campagna di sostegno alla ricerca di talenti locali ed allo sviluppo dei vivai condotta dalla stessa UEFA in tutta Europa. Secondo Olsson una soluzione deve essere trovata, affinch si possa contribuire alla crescita dei giovani calciatori locali nell'ambito dei club, con benefici a lungo termine anche per le squadre nazionali.13 La norma allo studio dellorganismo europeo, nel 2004, non legata, per, alla nazionalit, onde evitare inevitabili e palesi contrasti con il principio comunitario di non discriminazione, ma ha inteso obbligare le squadre ad inserire un numero minimo di giocatori cresciuti nei vivai locali, oppure prelevati da altre squadre, ma prima del raggiungimento di una certa et . Si proposta, secondo gli intenti della UEFA, una norma non discriminatoria, visto che la nazionalit del giocatore appartenente al vivaio non farebbe differenza; questo perch la UEFA non ha intenzione di violare le leggi dellUnione europea, specialmente quelle in materia di libera circolazione, dopo anni di dibattiti e scontri con le istituzioni comunitarie. Il norvegese Rawn Omdal, uno dei quattro vicepresidenti UEFA, in occasione del Congresso UEFA dell'aprile 2005 tenutosi a Tallin, ha, inoltre, proposto di imporre ai club otto giocatori formati nei vivai nazionali su un organico di venticinque giocatori effettivi. LUefa ha cercato in tal modo di raggiungere lobiettivo di limitare il numero di stranieri e rispettare contemporaneamente i principi inviolabili della libera circolazione dei lavoratori nellUnione europea e della non discriminazione in base alla nazionalit. Una delle soluzioni proposte ufficialmente dalle istituzioni calcistiche mondiali, nel 2008, riguarda regola del cosiddetto 6+5, in base alla quale le squadre europee dovrebbero essere composte da almeno sei giocatori convocabili in nazionale (permettendo cos di schierare al massimo cinque stranieri per squadra). Cara alla FIFA, questa proposta stata bocciata dalle istituzioni comunitarie, ma nonostante l'irremovibilit delle stesse, la battaglia ancora aperta, come vedremo successivamente.

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Rivista ufficiale UEFA Champions League, novembre 2004.

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2.1 Il caso di sport minori come basket, pallavolo e rugby


Dopo la sentenza Bosman, due avvenimenti hanno contribuito ad incrementare le possibilit di afflusso o di utilizzo di giocatori di nazionalit non italiana nel campionato nazionale di basket. Il primo caso si riferisce al cestista americano Dan Gay, che nel 1996 vede accolto il ricorso presentato al Tar del Lazio, circa la possibilit di essere tesserato per il proprio club come italiano avendo conseguito la cittadinanza tramite matrimonio; il Tar del Lazio, nella circostanza, impone alla FIP di rivedere le norme di tesseramento relative agli atleti stranieri che abbiano acquisito la cittadinanza italiana.14 La FIP permette, quindi, alla Fortitudo Bologna, squadra in cui Gay milita, di tesserare il giocatore come italiano dalla stagione seguente, essendo destabilizzante cambiare le normative nel corso della stagione. Il secondo caso gi stato esaminato nel capitolo precedente, si riferisce infatti all'atleta americano Jeff Sheppard, il quale nel 2001 ottiene dal Giudice di Giulianova il riconoscimento del diritto ad essere tesserato per il Roseto Basket Lido delle Rose in aggiunta ai due extracomunitari gi tesserati dalla societ medesima. Pertanto, dalla stagione 2001-2002, in cui l'unico vincolo per le societ era rappresentato dall'iscrizione a referto di almeno 3 italiani, si assistito ad un continuo processo di modifica dei regolamenti federali, frutto della ricerca di un compromesso tra due distinte esigenze: da un lato, le scelte federali in merito alla possibilit di tesserare atleti stranieri sono state spesso espressione della volont della Lega Basket orientata verso l'esaltazione della natura stessa di tale disciplina, cio una maggiore spettacolarizzazione garantita, appunto, dalla copiosa presenza di cestisti non italiani ed in particolare statunitensi; dall'altro lato, le esigenze di tutela della federazione riguardo alla crescita del movimento nazionale. In un contesto di continuo cambiamento, l'11 luglio 2006, si giunti a stipulare una convenzione triennale, poi parzialmente modificata nel

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Corriere dello sport, Ordine del Tar: Gay italiano e forse azzurro, 12 dicembre 1996.

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settembre del medesimo anno, tra FIP e la Lega delle Societ di Pallacanestro Serie A, al fine di definire le limitazioni allingaggio e allimpiego dei cestisti cittadini di Stati terzi. Durante il periodo di validit del predetto accordo ( stagioni 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 ), le societ hanno avuto la possibilit di inserire a referto un numero di giocatori compreso tra dieci e dodici, di cui massimo quattro potevano essere extracomunitari; in merito ad essi stato stabilito anche un limite alla facolt di tesserarli, infatti stato fissato un tetto massimo di cinque cestisti non comunitari con i quali ogni singola societ avrebbe potuto concludere un contratto. Le regolamentazioni in esame hanno disposto anche oneri legati al numero di atleti italiani da impiegare: per la stagione 2006/2007 e per quella successiva, le societ avrebbero dovuto iscrivere a referto almeno quattro italiani di formazione,15 destinati a divenire sei nel campionato 2008/2009. Inoltre, anche per la stagione 2007/2008, stato previsto il limite di due italiani di cittadinanza, ma non di formazione16 iscrivibili a referto nella singola gara. Un discorso a parte merita la pallacanestro femminile; in seguito alliniziativa della Commissione europea, la FIP, con la delibera n.90/2007, ha consentito a tale settore di adottare, dalla stagione 2007/2008, lequiparazione tra atlete italiane ed atlete comunitarie; infatti, fino al 2007 nella pallacanestro femminile le atlete comunitarie sono state considerate, ai fini del tesseramento in societ, al pari delle giocatrici extracomunitarie. In riferimento alle atlete non comunitarie, prevista una duplice regolamentazione, relativa, rispettivamente, alla Serie A1 ed alla Serie A2: per la massima serie lart.32 del Regolamento Esecutivo consente, in via teorica, il tesseramento di sei giocatrici di nazionalit estera e/o di doppia cittadinanza nel rispetto del numero dei visti dingresso annualmente assegnato; limiti pi rigidi sono, invece, posti in relazione alla possibilit di iscrivere a referto le suddette atlete. Il medesimo articolo statuisce, infatti, che a referto possano essere inserite massimo quattro giocatrici straniere o con la doppia cittadinanza. Allinterno di questo regolamento va segnalato
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In tale novero rientrano anche il cestista straniero formato nei vivai italiani e che abbia partecipato, per almeno quattro stagioni, ai campionati giovanili organizzati dalla FIP. 16 Si tratta dei cosiddetti oriundi, cio del figlio o discendente dell'emigrato, quindi di chi sia nato in uno Stato, da una famiglia proveniente da altro Stato.

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lulteriore limite relativo alle atlete non comunitarie, per cui, delle quattro straniere iscrivibili a referto, solo due possono essere giocatrici extracomunitarie. Per quanto riguarda, infine, la presenza in campo previsto l'obbligo di almeno due giocatrici di formazione italiana contemporaneamente in campo. Per la serie cadetta le restrizioni si sono rivelate ancora pi stringenti, essendo disposta, in capo alle societ partecipanti al campionato di serie A2, la facolt di tesserare una sola atleta straniera indipendentemente dal fatto che questa sia extracomunitaria o comunitaria. Inoltre, qualora una squadra, nel corso della stagione, si trovi nellimpossibilit di disporre della tesserata straniera (o perch trasferitasi altrove, o perch, pi semplicemente, infortunatasi) non pu sostituirla con altra giocatrice non italiana. Le suddette norme relative al settore maschile, come anticipato, hanno avuto efficacia fino alla stagione 2008-2009, essendo state sottoposte a revisione nell'ottica di un accordo triennale tra FIP e Lega di Serie A valevole fino alla stagione 2012-2013. Valorizzare i vivai italiani e rendere possibile l'inserimento in prima squadra di giovani promesse: stato questo l'intento della Federazione Italiana Pallacanestro, i cui vertici hanno incontrato Gianni Petrucci, presidente del Coni, per siglare un accordo valido per i prossimi campionati. L'accordo prevede, per la finestra 2010-2013, un obbligo di almeno sei giocatori italiani, di cui almeno cinque formati nei vivai nazionali; dalla stagione 2012-13, oltre alle sei giovani leve cresciute in casa, tra i sei atleti non di formazione italiana le societ hanno la facolt di scegliere la formula 2+4, cio due non comunitari UE e 4 non comunitari FIBA,17 oppure ridurre a cinque il numero di atleti stranieri (formula 3+2), di cui tre non comunitari UE e due non comunitari FIBA. I club, nel corso della stagione, potranno passare ununica volta da una formula all'altra. Con queste misure la FIP tenta, a parere della Lega in maniera drastica, diarginare la massiccia presenza di stranieri in campo e la mancata valorizzazione e conseguente fuga delle poche stelle italiane nei campionati professionistici stranieri.18 Secondo la Lega Basket il problema permane, infatti le societ si attengono
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FIBA, International Basketball Federation. Presidente FIP, Dino Meneghi, www.fip.it.

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alle suddette norme iscrivendo a referto quattro o cinque giovani italiani, i quali, per, restano spesso seduti in panchina o dispongono di un minutaggio limitato. Il presidente della Lega Basket sostiene che a questo punto sia giunto il momento di fare definitiva chiarezza sui rapporti tra Lega e Fip. Ancora una volta, infatti, sul delicato problema della eleggibilit dei giocatori, destinato ad incidere pesantemente nei conti dei club, resi ancora pi precari dalla difficile situazione economica che stiamo vivendo, stata assunta una decisione dimperio che non tiene minimamente conto del principio di gradualit che era stato espresso dai club di serie A nel corso della loro ultima assemblea. 19 La Lega, di comune accordo con le societ, ha previsto che tra i sei atleti di formazione italiana, fossero quattro quelli eleggibili per la nazionale e i rimanenti due atleti non eleggibili potessero essere italiani di passaporto.20 Questo problema stato sollevato anche dall'Associazione giocatori di basket italiani,21 la quale, in una lettera aperta alla FIP, ha proposto la previsione di un impiego effettivo, in campo, quindi, e non solo la inutile presenza a referto, di un numero minimo di giocatori formati in Italia. In sintesi, si ravvisa come i deludenti risultati in termini di successi sportivi e di pubblico conseguiti dal basket negli ultimi anni, abbiano reso necessaria una decisa riforma; tuttavia, la continua lotta tra FIP e Lega Basket rischia di rendere gli accordi sempre pi vacillanti, con il risultato di nuocere all'effettivo sviluppo della disciplina stessa. Nel caso della pallavolo la tendenza liberista susseguente alla sentenza Bosman ha riscosso un grande successo iniziale, scemando progressivamente nel corso degli anni; questo dovuto, da un lato al livello della pallavolo italiana che ha visto la nazionale ai vertici internazionali per tutti gli anni '90, dall'altro lato, grazie ad un gentlement agreement, siglato pi di dieci anni fa tra club di serie A e Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV), il volley stato il precursore, tra gli sport di vertice, per quel che riguarda l'obbligo di schierare atleti italiani in campo. Le regolamentazioni di tale disciplina non operano alcuna distinzione in merito alla circostanza che latleta straniero sia cittadino di uno Stato
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Intervista di Flavio Tranquillo, conduttore sportivo Sky, a Valentino Renzi, presidente Lega Basket italiana, 17 maggio 2009. 20 La Gazzetta di Reggio, 17 maggio 2009. 21 GIBA: Giocatori Italiani Basket Associati.

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membro dellUnione europea oppure di uno Stato terzo, infatti alla stregua di dette normative, i suddetti atleti sono considerati indistintamente come stranieri. Nel volley la questione della cittadinanza opera in direzione, per cos dire, negativa, venendo a manifestarsi nellobbligo, statuito in capo alle societ dalla stagione 2000/2001, di far scendere in campo contemporaneamente almeno tre ( per la Serie A1 maschile) o quattro (per la Serie A2 maschile) tesserati italiani su sette;22 per quanto riguarda gli italiani a referto essi, secondo quanto previsto anche dal Coni, devono essere pi del 50%, quindi almeno sette su tredici. Nel caso della pallavolo femminile, invece, la federazione ha previsto inizialmente l'obbligo, dalla stagione 2001/2002, di schierare almeno una giocatrice italiana su sei in campo e di iscriverne almeno quattro a referto; oggi, previsto che le italiane scritte a referto siano sei, di cui tre (per la Serie A1 femminile) o cinque (per la serie A2 femminile) sempre in campo, allineandosi, cos, a quanto previsto in campo maschile. Le Norme Organizzative per le procedure di affiliazione e tesseramento, disposte dalla FIPAV per le stagioni 2007/2008 e seguenti, dispongono che, fermo restando gli obblighi di partecipazione di atleti/e italiani/e nei campionati di serie A specificati nel relativo paragrafo, le societ che partecipano ai Campionati Nazionali di serie A maschile o femminile non hanno limiti nel numero di atleti stranieri tesserabili. Il numero di atleti stranieri utilizzabili in ogni gara sar determinato dal Consiglio Federale in accordo con le Leghe nazionali. Per i campionati di serie A Femminile, non consentito avere tesserate pi di due atlete provenienti dalla stessa Federazione straniera e pi di una straniera under 22. L'atteggiamento protezionistico adottato dalle istituzioni sportive italiane trova consenso nel progetto della FIVB,23 infatti il presidente Acosta ha dichiarato, nel 2008, che alle squadre di pallavolo di ogni nazione del mondo, a partire dalla stagione 2009/2010, verr sottoposto un limite al tesseramento di stranieri, che non potranno essere pi di quattro per

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La circostanza che il riferimento normativo preveda il numero di sette, e non sei, giocatori dovuta allintroduzione del ruolo del libero. Statuendo il riferimento ai sette, viceversa che ai sei, giocatori si impedisce labuso delle sostituzioni cosiddette tattiche. 23 FIVB, Federazione internazionale di pallavolo.

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squadra.24 Dalla stagione ancora successiva, 2010/2011, il limite di stranieri tesserati scender a tre, sempre con l'impossibilit di farne giocare pi di due insieme. Il progetto della FIVB si basa sulla constatazione che la pallavolo uno sport dilettantistico, nonostante gli atleti possano essere considerati professionisti di fatto per il tempo che vi dedicano e per le risorse economiche che derivano dallo svolgimento di tale attivit e, come tale, permetterebbe le restrizioni basate sulla nazionalit indipendentemente dallo status di comunitario o extracomunitario di un atleta, senza ledere il principio di libera circolazione dei lavoratori dell'Unione europea. Tuttavia, evidente che il carattere dilettantistico della disciplina non giustificazione sufficiente per limitare, nei termini suddetti, la libera circolazione, almeno, degli atleti comunitari. Inoltre, giova ricordare che il Commissario europeo per l'istruzione, la formazione, la cultura e la giovent, Jan Figel, ha categoricamente affermato che il principio della libera circolazione degli sportivi intoccabile e vale per tutte le discipline sportive, indipendentemente dal loro carattere professionistico o meno. Ed per questo motivo che, a Bruxelles, si ritiene poco apprezzabile la decisione della FIVB sul tema della limitazione agli stranieri nei campionati nazionali.25 In Italia l'obiettivo di limitare sempre pi la presenza straniera dovrebbe obbligare le societ, nella stagione 2010/2011, a tesserare non pi di tre stranieri, di cui due utilizzabili in campo, in modo da poter contare su ben nove atleti formati sportivamente in un vivaio locale. Tuttavia, la regolamentazione non riguarder i giocatori comunitari, i quali saranno equiparati ai locali, sancendo, di fatto, una disciplina simile a sport professionistici quali il calcio o il basket. Tuttavia, nel 2008, nell'intento di allinearsi alla riforma prospettata dal presidente della FIVB Acosta, il Consiglio Federale FIPAV ha emanato una norma in virt della quale le societ di serie A1 e A2 maschile non avrebbero potuto tesserare giocatori stranieri under 23, ma, attraverso la mediazione della Lega, tale norma stata successivamente modificata, ammettendo il tesseramento di under 23 stranieri, condizionando il loro
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Gazzetta dello Sport, 13 marzo 2008. Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, testimonianza Massimo Righi, A.D. Lega Volley maschile.

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utilizzo in campo alla contemporanea presenza di un giocatore italiano under 23. Possibilit analoga era stata prevista per le giocatrici under 22 di serie A1 e serie A2 femminile. Ovviamente, questa norma non ha trovato effettiva applicazione, a causa dell'agguerrita opposizione delle societ: non vi dunque, ad oggi, alcuna limitazione sullutilizzo di atleti stranieri Under 23. Pertanto, lunico obbligo per le societ di serie A1 e A2 quello di iscrivere a referto almeno un atleta Under 23 italiano. Tuttavia, il percorso che ha portato a tale conclusione stato caratterizzato da una vera e propria battaglia legale tra societ e federazione, a causa della suddetta norma che avrebbe dovuto vietare il tesseramento di giocatori stranieri under 23; norma che stata emanata successivamente all'acquisto, da parte di alcune importanti societ italiane, di atleti under 23 stranieri. In particolare, oggetto del contendere tra FIPAV e la massima esponente del campionato italiano nel 2008, la Itas Diatec Trentino, stato il 18enne bulgaro Tsvetan Sokolov che a gennaio ha firmato un contratto con tale societ, ma il suo arrivo a Trento congelato dalla normativa emessa dalla federazione il mese seguente. Il presidente della societ, a fronte di tale delibera del Consiglio Federale, ha depositato presso il Tribunale di Trento un'istanza per richiedere l'annullamento della norma, che avrebbe violato, secondo la societ trentina, il principio di libera circolazione dei lavoratori comunitari in seno all'Unione europea: la societ ha conseguito lintento di dimostrare che tale norma avrebbe ostacolato un lavoratore (anche se non ufficialmente professionisti, i pallavolisti sono da considerarsi lavoratori a tutti gli effetti) maggiorenne ad essere assunto in un altro paese membro. Il giudice del Tribunale di Trento, in prima istanza (novembre 2008), ha imposto alla FIPAV di tesserare Sokolov, tuttavia nel dicembre 2008, in sede di appello, il Tribunale di Trento ha disposto, contraddicendo quanto stabilito dal giudice in prima istanza, che della vicenda avrebbe dovuto occuparsi il Tar del Lazio, confermando che nel settore sportivo le controversie non riservate alla giustizia sportiva devono comunque essere demandate al suddetto Tar (legge 280/2003). Nella vicenda, ha sicuramente sorpreso la presa di posizione del Coni, tramite il presidente Petrucci, a sostegno della FIPAV e della tutela dei

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vivai: Premetto che in questa vicenda non ci sono n vinti n vincitori e non voglio certo deprecare chi ha fatto ricorso al Tribunale, ma penso che certe questioni vadano risolte in altro modo. Penso che le aule dei tribunali non siano la soluzione adatta per affrontare i problemi dello sport, in quanto penso che i problemi si risolvono col dialogo.26 L'appoggio del Coni alla Federazione Italiana Pallavolo non stupisce se lo si osserva sotto l'ottica del perseguimento dell'obiettivo di rinazionalizzazione dello sport italiano, ma stupisce se rapportato alla mancanza di scrupoli di fronte alla naturalizzazione continua di atleti da far giocare in nazionale (Zlatanov, Cernic, Aguero) Passando al caso del rugby, infine, esso risulta essere il pi complicato e, forse, pi snobbato a livello nazionale, nonostante il crescente sviluppo della disciplina negli ultimi anni in Italia grazie ad una campagna di comunicazione eccellente messa in atto dalla Federazione e dalla Lega in collaborazione con un guru del settore quale Studio Ghiretti.27 Oltre ad un boom di immagine, vi stata sicuramente anche una crescita dal punto di vista della competitivit da parte del rugby italiano, tuttavia sembra che questa sia dovuta principalmente alla naturalizzazione dei cosiddetti oriundi che hanno permesso alla nazionale di fare un salto di qualit notevole. Scarso impatto sembrano avere, invece, le norme federali circa la tutela dei vivai e il conseguente obbligo di schierare atleti italiani o di formazione italiana nei massimi campionati nazionali. A differenza di altri sport, nel rugby, societ e istituzioni non si sono scontrate sul tema della validit di norme potenzialmente discriminatorie, quali quelle che impongono un numero minimo di italiani in campo; infatti, tali norme pongono in essere un potenziale discrimine verso gli stranieri, non al momento dell'ingaggio, ma nell'esercizio della prestazione principale, cio lo svolgimento della partita. Questo tacito accordo tra societ e istituzioni pu trovare spiegazione nell'assenza di restrizioni verso il tesseramento di atleti comunitari e l'attribuzione della qualifica di equiparato, ai giocatori nazionali, per gli stranieri che militino nel campionato italiano da tre anni. Fino alla stagione corrente il numero di italiani in campo stato fissato in
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Convegno Coinvolgere i giovani: la vera sfida dello sport, Rovereto 12/12/2008. La Federazione italiana Rugby cliente di Studio Ghiretti&Associati, societ leader in consulenza di marketing e comunicazione sportiva.

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un minimo di dieci, mentre quattordici stato il numero minimo previsto per gli italiani iscritti a referto; come anticipato non vi sono state, e non vi saranno, limiti circa il numero di comunitari tesserabili, mentre per gli extracomunitari previsto un limite di sei tesseramenti e due in campo. Successivamente, a marzo 2009, approvato il progetto riguardante il futuro del rugby italiano, che causer una vera e propria rivoluzione dalla stagione 2010/2011, in cui due societ sportive italiane entreranno a far parte della Magners Celtic League28 rendendo pertanto necessaria un totale rinnovamento dellattivit nazionale. La riforma del massimo campionato nazionale, il Campionato italiano d'Eccellenza, a partire dal 2010/2011, si prefigge di garantire una manifestazione agonisticamente attraente, in grado di formare allalto livello un numero sempre crescente di giovani rugbisti e tecnici italiani. Il numero minimo di eleggibili nel Campionato dEccellenza sar di diciotto giocatori, di cui sedici di formazione italiana29 e quattro di formazione estera. Al termine del Campionato dEccellenza, ed al fine di creare un livello di competizione intermedia in grado di innalzare qualitativamente e nel breve termine il campionato stesso, il Consiglio Federale ha deliberato listituzione di un campionato a cui prenderanno parte quattro Franchigie, formate dallaggregazione temporanea di tre dei Club partecipanti al Campionato dEccellenza secondo il principio di vicinoriet ( espressione usata dal Consiglio Federale stesso). A dimostrazione della campagna di tutela dei vivai attuata nel rugby, ed iniziata forse con un p di ritardo rispetto ad altri sport, il Campionato delle Franchigie sar riservato ai soli atleti di formazione italiana e le quattro Franchigie su base territoriale saranno deputate a rappresentare lItalia nella Challenge Cup,30 dove potranno schierare un minimo di quindici giocatori di formazione italiana ed un massimo di sette atleti di formazione estera. Tale impostazione protezionistica assunta dalla Federazione italiana prende spunto da casi di successo sperimentati in Inghilterra, Galles o Francia,
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Competizione internazionale per club a cui partecipano 12 squadre, che diventeranno 14 con l'ingresso delle due italiane, Treviso e Viadana, dalla stagione 2010/2011. 29 Sono definiti giocatori di formazione italiana i giocatori di cittadinanza italiana o straniera che non siano provenienti da federazione straniera e che siano stati tesserati e che abbiano svolto lattivit sportiva in Italia, per almeno due stagioni sportive, nei settori propaganda e/o juniores di societ italiane. 30 L'European Challenge Cup un torneo di rugby che si disputa dal 1996 tra club di Francia, Galles, Inghilterra, Italia, Irlanda, Scozia, Portogallo e Romania.

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paesi dove il rugby riscuote grande successo. Proprio la Francia, come l'Italia, sta gettando le basi per una maggiore tutela dei talenti locali, infatti la LNR (Ligue National de Rugby) ha imposto una quota minima del 40% di atleti di formazione francese per ogni club dalla stagione 2010/2011, prevedendo, poi, un limite del 50% nel 2011/2012 ed, infine, un 60% nel 2012/2013,31 a dimostrazione che londata protezionistica e la tutela dei vivai non riguardano solo il caso italiano. In sintesi, la via intrapresa sembra essere costituita da regole che impongono un obbligo di schierare o tesserare un numero minimo di atleti di formazione nazionale, evitando cos di porre in atto, in modo palese, una discriminazione basata sulla nazionalit e, di conseguenza, una violazione delle norme comunitarie. Tuttavia, dall'analisi effettuata si pu ravvisare come in sport considerati dilettantistici, quali il rugby e la pallavolo, si manifesti una tendenza alla facile naturalizzazione di giocatori stranieri che, per aver contratto matrimonio in Italia o per aver militato un certo numero di anni in compagini del nostro paese, sono da considerare eleggibili per la nazionale italiana. A mio parere, questo un escamotage per ottenere successi nel breve periodo, millantando l'efficacia di progetti volti alla tutela dei vivai, quando, in realt, l'obiettivo essere competitivi subito e non crescere giovani in grado di assicurare successi nel lungo periodo. Tale direzione la stessa intrapresa dal calcio che, tuttavia, per ovvi motivi di popolarit, di professionalit e di negligenza delle proprie istituzioni sempre sotto l'occhio vigile delle istituzioni comunitarie, pronte a bloccare proposte a tutela dello sport nazionale, come la proposta del 6+5 di cui parler in seguito, non curanti del principio comunitario di non discriminazione basato sulla nazionalit.

3. La home grown players UEFA


Come visto nel terzo capitolo, gli effetti della sentenza Bosman sul calcio sono stati notevoli e hanno costretto, sotto pressione della Commissione
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www.lnr.fr.

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europea, UEFA e FIFA a rivedere le proprie regolamentazioni in contrasto con i principi comunitari di libera circolazione dei lavoratori e non discriminazione.32 In particolare, l'UEFA si vista costretta a revocare la cosiddetta regola del 3+2, in vigore dal 1991, che stata sempre considerata come un punto di equilibrio tra le esigenze comunitarie e le esigenze di tutela del calcio nazionale. Secondo tale norma, le singole federazioni nazionali avevano il potere di limitare a tre il numero di calciatori stranieri schierabili in una partita di massima serie del campionato nazionale, pi due che avessero giocato per un periodo ininterrotto di cinque anni, tre dei quali in squadre giovanili, nel paese in cui operava la federazione nazionale interessata. In tale contesto non stata applicata alcuna distinzione tra stranieri comunitari ed extracomunitari. Disciplina differente che si resa, invece, necessaria, dopo la sentenza Bosman, a causa della quale una limitazione circa il numero degli stranieri comunitari messi in campo dalle societ si sarebbe posta in evidente contrasto con il principio di libera circolazione dei lavoratori. La UEFA si dovuta adeguare alla mutata situazione circa il trasferimento dei calciatori sul territorio comunitario e, negli ultimi anni, giunta a definire proposte volte alla tutela dei vivai nazionali33, senza porsi in contrasto, tuttavia, con la normativa comunitaria. La UEFA in un primo momento ha cercato di portare la Commissione a rivedere la posizione delle autorit comunitarie e di indurle a far marcia indietro sulla sentenza Bosman; successivamente, nel tentativo di raggiungere un compromesso, si vista respingere due controproposte, nonostante un atteggiamento di leggera apertura mostrato dalla Commissione rispetto al passato. In concreto, la prima proposta riguardava
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Il 19 gennaio 1996, la Commissione ha formalmente notificato alla FIFA e allUEFA lavvio di una procedura per violazione ai sensi dellarticolo 85, paragrafo 1 del Trattato CE e dellart.53 paragrafo 1 dellAccordo sullo Spazio economico europeo (SEE) nei confronti dei regolamenti che la Corte aveva ritenuto incompatibili con larticolo 48. 33 Master in Strategia e Pianificazione delle Organizzazioni e degli Eventi Sportivi, Testimonianza Matteo Marani, Direttore Guerin Sportivo. In Italia, dopo la sentenza Bosman, vi furono sempre meno spazi per i giovani, chiusi in prima squadra da un continuo e massiccio di giocatori stranieri gi affermati. Questo trend negativo allorigine di un pericoloso fenomeno (per il nostro calcio) che ogni tanto si materializza: lemigrazione di giovani italiani verso club esteri, quasi sempre formazioni inglesi, a caccia di fama e sterline, tante sterline. Come non ricordare, a tal proposito, i vari Gattuso (Glasgow Rangers a 19 anni), Maresca (West Bromwich a 18 anni), Dalla Bona (Chelsea a 17 anni), G.Rossi (Manchester Utd a 17 anni)?.

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la possibilit di introdurre una norma che obbligasse ad avere in campo almeno dieci giocatori formatisi calcisticamente nel paese di appartenenza della squadra, anche se di nazionalit straniera. Su questa idea, tuttavia, Van Miert34 ha dato parere negativo, asserendo chiaramente che la proposta fosse un espediente per aggirare la sentenza della Corte di giustizia. La seconda proposta UEFA riguardava la formazione dei giovani calciatori e prevedeva un contratto di sei anni per le nuove leve: tre anni di addestramento e tre anni di impiego effettivo. Se, dopo il periodo di addestramento, un giocatore avesse voluto passare ad un'altra squadra, il club di origine avrebbe avuto diritto ad un indennizzo. Su questo punto l'accoglienza della Commissione stata piuttosto cauta: da una parte Van Miert ha giudicato il periodo di sei anni troppo lungo, dall'altra ha sottolineato il fatto che l'indennizzo in caso di trasferimento sarebbe stato contrario al dettato della sentenza, mostrando, tuttavia, la volont di approfondire la questione.35 Nel 2004 la UEFA ha elaborato un gruppo di proposte sul tema, al fine di inserire un numero minimo di giocatori provenienti dal vivaio nella lista ufficiale dei diciotto giocatori fra campo e panchina ed un limite al numero di giocatori nella rosa delle squadre. L'obiettivo stato quello di creare un miglior equilibrio nelle competizioni nazionali, impedendo ai club di tesserare giocatori in eccedenza rispetto alle esigenze effettive e di creare un sistema allinterno del quale i giovani dei vivai potessero avere maggiori possibilit di giocare regolarmente, creando, cos, le basi per una scelta pi ampia da parte delle squadre nazionali. Il Direttore generale Olsson, a riguardo, si espresso in tal modo: Il nostro obbiettivo quello di promuovere lo sviluppo dei talenti dei vivai. Questo un punto che consideriamo fondamentale per il calcio del futuro. Crediamo che i club possano trarre vantaggio dal fatto di investire nei loro settori giovanili piuttosto che dallacquisto di giocatori da altri, che risulta essere sempre pi facile ed economico.36
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Karel Van Miert, Commissario europeo, dal 1989 al 1999, prima responsabile dei trasporti e poi della concorrenza. 35 Van Miert K., Larrt Bosman: la suppression des frontieres sportives dans le March unique europen, RMUE, 1996, pagg. 5 ss. 36 Lars Christer Olsson, Uefa.com, dicembre 2004.

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Al XXIX Congresso Ordinario UEFA di Tallinn (Estonia), nell'aprile 2005, le Federcalcio di tutta Europa hanno approvato le proposte UEFA per favorire la crescita dei giovani talenti nazionali. Nello specifico, oltre alla proposta di ridurre la rosa ad un massimo di venticinque effettivi, a partire dalla stagione 2006/07, almeno due giocatori devono provenire dalle giovanili del club, mentre altri due posti devono essere riservati per atleti provenienti dalle giovanili di un club appartenente alla stessa federazione del suddetto club.37 Nella lista B rimasto illimitato il numero di giocatori Under 21 che sono al club da almeno due stagioni; la disposizione, pi precisamente, afferma che ogni club autorizzato a registrare un numero illimitato di giocatori nella lista B durante la stagione. Nelle due stagioni successive riservato un posto in pi ogni anno, nella lista dei venticinque, per un giocatore proveniente dal vivaio del club ed un altro proveniente da quello di un'altra squadra della stessa federazione. Entro la stagione 2008/09 ogni club ha, poi, dovuto inserire nella rosa quattro giocatori provenienti dal vivaio, indipendentemente dalla nazionalit, e quattro provenienti da quello di una squadra della stessa federazione, ed proprio tale formula del 4+4 ad essere nota come home grown players rule. La UEFA ha raccomandato, inoltre, alle federazioni affiliate di introdurre tali misure anche a livello nazionale. Questo limite di otto giocatori formati a livello nazionale, stato mantenuto nella stagione corrente e dovr essere rispettato fino al 2012, quando verranno discusse eventuali modifiche e miglioramenti alla normativa in atto. La soddsifazione di Olsson stata evidente: I giovani possono scegliere. E il calcio non una scelta obbligata. Se non vi sono incentivi e se non vedono le possibilit di uno sbocco in prima squadra, il rischio che scelgano di praticare un altro sport. Sappiamo che i tifosi vogliono che la loro squadra vinca, ma riteniamo che si identificherebbero maggiormente in un club con dei giocatori approdati in prima squadra dai vivai. La regola home grown players non si basa, quindi, su una questione di
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Un giocatore del vivaio un atleta che stato tesserato dalla societ per almeno tre stagioni tra l'et di 15 e 21 anni. Un giocatore proveniente dalle giovanili di un club della stessa federazione un atleta che stato tesserato dalla societ o da un club della stessa federazione per almeno tre stagioni tra l'et di 15 e 21 anni.

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nazionalit, in modo da non violare la legislazione UE in materia di libera circolazione dei lavoratori, infatti, a prima vista, secondo la Commissione europea risultata compatibile con il diritto comunitario. Pi precisamente, secondo il piano d'azione contenuto nel Libro Bianco sullo sport, denominato piano d'azione Pierre de Coubertin, tale regola proposta dalla UEFA compatibile con le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione delle persone se, nella loro applicazione effettiva, non conducono a discriminazioni dirette basate sulla nazionalit e se i possibili effetti indiretti derivanti da distinzioni tra atleti, possono essere giustificati e proporzionati rsipetto ad un obiettivo legittimo perseguito come l'addestramento giovanile ed il maggiore equilibrio delle competizioni.38 Analogamente, nella Relazione sul futuro del calcio professionistico in Europa,39 il Parlamento europeo esprime il suo chiaro sostegno alle misure della UEFA tese a incoraggiare la formazione dei giovani calciatori esigendo la presenza di un numero minimo di calciatori del vivaio nella rosa di una squadra professionistica e ponendo un limite alle dimensioni della rosa; in particolare, il Parlamento ritiene che tali incentivi siano proporzionati e chiede ai club professionistici di applicare rigorosamente tale norma:40 , inoltre, convinto che siano necessarie disposizioni aggiuntive per far s che l'iniziativa relativa ai vivai non porti al traffico di minori derivante dalla concessione di contratti da parte di alcune societ a giocatori giovanissimi (di et inferiore ai sedici anni).41 Nell'anno successivo (2008), ancora il Parlamento europeo,42 riconosce con la Commissione che l'investimento nei giovani sportivi di talento indispensabile per lo sviluppo sostenibile dello sport e ritiene che vi sia unautentica sfida per il movimento sportivo a garantire la formazione locale degli atleti. A livello comunitario si ritiene, inoltre, che la regola UEFA avente ad oggetto i giocatori provenienti dal vivaio possa servire da esempio ad altre federazioni, leghe o club.
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Europa.eu, UEFA rule on home grown players: compatibility with the principle of free movement of workers, 28 maggio 2008. 39 Commissione per la cultura e l'istruzione, Relazione sul futuro del calcio professionistico in Europa, Relatore Ivo Belet, 2006/213 INI. 40 Commissione per la cultura e l'istruzione, Relazione sul futuro del calcio professionistico in Europa, Relatore Ivo Belet, 2006/213 INI, p.to 32. 41 Commissione per la cultura e l'istruzione, Relazione sul futuro del calcio professionistico in Europa, Relatore Ivo Belet, 2006/213 INI, p.to 33. 42 Risoluzione del Parlamento europeo sul Libro bianco sullo sport, 2007/2261(INI), 28 maggio 2008.

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Il fatto che sia stato imposto lobbligo, in capo alle societ partecipanti alla competizione, di provvedere a tesserare almeno otto calciatori nazionali al fine di redigere le sopraccitate liste secondo i parametri fissati dalla UEFA, testimonia l'ostinata pretesa di specificit perseguita dal mondo dello sport. La circostanza che, seppur indirettamente, la questione legata alla nazionalit ed alla tutela del proprio movimento nazionale torni ad affacciarsi nel dibattito comunitario evidenzia come, da parte dei vertici del mondo sportivo, non ci sia stata rassegnazione, susseguente alla sentenza Bosman, nel cedere alla supremazia dei principi comunitari di libera circolazione e di non discriminazione sulla base della nazionalit. D'altra parte, necessario ravvisare un atteggiamento di maggiore apertura delle istituzioni comunitarie e di consenso verso il lavoro svolto dalla UEFA nel contemperare le proprie esigenze e i principi comunitari. Come vedremo nel paragrafo seguente, lo stesso consenso non stato generato dalle proposte FIFA.

4. La compatibilit della proposte FIFA (6+5) con la normativa comunitaria


La via percorsa dalla UEFA in riferimento all'organizzazione delle competizioni europee risponde ad una sollecitazione delle istituzioni comunitarie destinata ad incentivare l'utilizzo di tutti i mezzi possibili al fine di predisporre una regolamentazione del settore sport che non sia in contrasto con i principi comunitari. Come abbiamo visto, la UEFA, adottando un'impostazione moderata, ha riscontrato il parere positivo dell'Unione europea riguardo alla compatibilit della regola home grown players con il diritto comunitario; tuttavia, questo approccio desiderabile a livello europeo non bastato per far si che anche la massima istituzione calcistica mondiale, la FIFA, avanzasse proposte che tenessero debitamente conto delle normative comunitarie, portando cos ad un nuovo scontro tra istituzioni sportive e comunitarie, di cui Blatter, presidente della FIFA, il principale promotore.

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Passando ad analizzare il contesto che ha portato all'adozione della proposta FIFA che sar approfondita nel corso del paragrafo, incontestabile il fatto che, in seguito alla sentenza Bosman, la presenza di stranieri nei diversi campionati professionistici europei sia cresciuta vertiginosamente: pi del 50% dei giocatori professionisti delle principali leghe nazionali europee non sono autorizzati a giocare nelle squadre nazionali della federazione calcistica del proprio paese di appartenenza, mentre la percentuale di giocatori extraeuropei allinterno di tale gruppo ha superato il 45 %.43 Conseguentemente sono cambiati in modo radicale gli equilibri che stanno alla base della competizione sportiva sia a livello dei campionati nazionali sia, soprattutto, a livello di manifestazioni internazionali. Nellambito di questa nuova situazione di spietata concorrenza sportiva e finanziaria, per le societ minori che non dispongono di grandi risorse economiche non pi possibile tenere il passo con le squadre di punta dei rispettivi campionati. Ne derivano, quindi, una crescente supremazia di pochi club sempre pi ricchi e sempre pi ampi dislivelli di prestazione durante le competizioni; questa evoluzione comporta al contempo una ridotta promozione delle nuove leve, in quanto le societ possono reclutare giocatori completamente addestrati allestero, spesso addirittura ad un prezzo inferiore e con tempi di ingaggio statisticamente pi brevi per giovani giocatori autorizzati a giocare nella rispettiva squadra nazionale della federazione calcistica. Gli effetti collaterali si traducono in un vero e proprio commercio di giovani talenti, in particolare provenienti da Africa o Sud America, che causa effetti sociali allarmanti.44 Invero, questo processo comporta delle conseguenze sulla qualit e sulla sostanza delle rispettive squadre nazionali, visto che la mancanza di giovani giocatori eleggibili non si ripercuote solo a livello di societ, ma anche in ordine alle squadre nazionali che, in base allattuale concetto, dipenderebbero in maniera preponderante dalla crescita e dalla promozione di leve autoctone nelle societ sportive.

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Centro Studi Lega Calcio, Analisi sui campionati europei, 2008: tra le nazioni pi importanti, la pi colpita dal fenomeno l'Inghilterra, mentre la Spagna la meno estera. 44 Iusport, el portal juridico del deporte, Dossier.

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Lart. 151 TCE e il nuovo art. 165 (ex. Art 149 TCE)45 introdotto dal Trattato di Lisbona, pongono laccento sullautonomia dello sport di fronte ad un orientamento meramente economico delle libert fondamentali e del regime di concorrenza: le intenzioni della regola del 6+5 proposta dalla FIFA sono in linea proprio con questo approccio del diritto comunitario. Sussiste, tuttavia, un dubbio di principio sulla stessa applicabilit delle norme del diritto comunitario alla suddetta norma, trattandosi di una regola di gioco con motivazione meramente sportiva, cio la salvaguardia delle competizioni e la tutela delle identit nazionali. La risoluzione sulla regola del 6+5 stata approvata, a larghissima maggioranza (155 voti favorevoli e 5 contrari), in occasione del 58 Congresso FIFA;46 in base a tale norma sarebbe imposto alle squadre di schierare, in ogni singolo incontro, un numero di calciatori eleggibili nella nazionale del paese di riferimento non inferiore a sei, non facendo alcuna distinzione, in riferimento ai restanti cinque tesserati, tra comunitari ed extracomunitari. In tale occasione il presidente della FIFA si premurato di precisare che nella proposta non vi era alcuna intenzione di violare le leggi comunitarie.47 Prima del voto, parecchi personaggi pi o meno autorevoli hanno espresso il loro appoggio per gli obiettivi perseguiti dalla FIFA. Michel Platini, presidente della UEFA, ha da subito affiancato Blatter in questa battaglia, pur sottolineando che difficilmente l'Unione europea avrebbe riconosciuto la legittimit del 6+5; Franz Beckenbauer, membro del Comitato esecutivo della UEFA e della FIFA, ha puntualizzato la necessit di trovare un accordo con l'Unione europea riconoscendo la validit della norma discussa. Theo Van Seggelen, segretario generale della FifPro,48 ha posto l'attenzione sull'importanza dell'addestramento e della formazione, ma anche sulla necessit di giocare a certi livelli per crescere. Infine, con la
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Trattato di Lisbona, art. 165 comma I: ...L'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificit, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa. Art. 165 comma II: L'azione dell'Unione intesaa sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'equit e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrit fisica e morale degli sportivi, in particolare dei pi giovani tra di essi. 46 58 Congresso FIFA, Sidney, 29 e 30 maggio 2008. 47 www.fifa.com, Joseph Blatter: Non vogliamo andare contro le leggi attuali. Per quanto riguarda Europa, vogliamo usare la base giuridica del Trattato di Lisbona, che riconosce la specificit dello sport. Prediligiamo la consultazione, allo scontro. 48 La FifPro l'organizzazione internazionale che rappresenta i calciatori professionisti.

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FIFA si sono schierati anche il CIO, la FIBA, la FIVB e la IRB (International Rugby Board), enfatizzando il concetto di equa ripartizione tra atleti nazionali e stranieri. Inoltre, i presidenti federali di Australia, Guatemala ed Arabia Saudita hanno confermato durante il congresso che gli obiettivi raggiungibili attraverso la regola del 6+5 non riguardano solo l'Europa, ma anche altri continenti.49 Per quanto riguarda l'attuazione della norma in esame, l'obiettivo quello di un'esecuzione incrementale a partire dalla stagione 2010/2011, in modo che le societ possano aver il tempo di adeguarsi alla nuova normativa. E' prevista, quindi, una formula 4+7 nella stagione 2010/2011, 5+6 nella stagione 2011/2012, per arrivare, poi, nel 2012/2013 alla famosa 6+5. Durante il congresso stata sottolineata, in particolare, la necessit di sostenere i profili motivazionali dei giovani calciatori, sempre meno consistenti, ad avviso della FIFA, a causa delle limitate possibilit di accesso alla rosa di prima squadra, compresse proprio dalla presenza di numerosi atleti stranieri schierati dalle societ sportive; necessario considerare, in via ulteriore, l'esigenza di ridurre il divario tra i (pochi) top club in grado di acquisire le prestazioni sportive dei calciatori di pi elevato livello e tutti gli altri destinati ad operare e competere in condizioni di assoluto svantaggio. Il sistema auspicato da Blatter permetterebbe anche il rilancio della formazione, una maggiore identificazione dei tifosi con la propria squadra e sarebbe di sicuro beneficio per le nazionali; infatti, il fondamento del gioco del calcio, come del resto di altre discipline di squadra, costituito dal rapporto sinergico e bilanciato tra i vari club, al fine di evitare che il venir meno dell'identit nazionale di questi ultimi, da un lato danneggi le squadre nazionali di ciascun paese, dall'altro generi profonde diseguaglianze tra le medesime societ sportive con conseguente riduzione del livello competitivo e prevedibilit dei risultati sportivi. Il raggiungimento di tali obiettivi, secondo la FIFA, possibile grazie alla salvaguardia della formazione dei giovani calciatori e dei club impegnati nell'addestramento. Passando ad analizzare i profili di compatibilit della proposta FIFA con le norme comunitarie, scontato ravvisare, innanzitutto, come, secondo
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FIFA, Congress supports objectives of 6+5, www.fifa.com, 30/5/2008.

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Blatter, la norma del 6+5 non contraria al diritto comunitario in quanto non previsto alcun limite sul numero di stranieri tesserabili, ma semplicemente che le squadre dovrebbero iniziare le partite con una maggioranza di giocatori nazionali. Al fine di avvalorare la regola in esame, la FIFA ha incaricato 50 INEA di elaborare uno studio sull'effettiva compatibilit della regola del 6+5 con il diritto comunitario. Secondo gli esperti, la regola del 6+5 al massimo potrebbe rappresentare una forma di discriminazione mediata ovvero indiretta o celata ai sensi dellart.39 del TCE, in quanto essa, diversamente dalle clausole sulla limitazione del numero di giocatori stranieri, non fa riferimento giuridico direttamente alla nazionalit del giocatore professionista bens alla sola qualificazione allinterno della squadra nazionale della federazione calcistica. In particolare, gli studiosi sottolineano come tale regola segua un principio di proporzionalit, provvedendo a rimuovere gli ostacoli che impediscono una competizione sportiva equilibrata, promuovendo le nuove leve calcistiche e tutelando lidentit nazionale del calcio o delle squadre nazionali: per tali motivi risulterebbe quindi in linea con il dettato comunitario. La regola del 6+5, inoltre, sarebbe adeguata anche perch la limitazione degli ingaggi di calciatori non aventi diritto a giocare nella squadra nazionale della federazione calcistica non molto condizionante e comporta al massimo pochi svantaggi economici per singole societ. Daltra parte, procedendo ad una ponderazione, i criteri ispiratori della regola prevalgono sugli svantaggi, a fronte delle serie irregolarit che si verificano nella competizione sportiva e dellobiettivo prioritario di una pi incisiva promozione delle nuove leve. A parere degli studiosi INEA, la regola proposta dalla FIFA sarebbe conciliabile anche con le norme a tutela della concorrenza, tuttavia lapplicabilit di tali disposizioni allo sport professionistico dubbia e, nella fattispecie, sarebbe ipotizzabile uneccezione settoriale; ci perch la regola in questione si presenta come una regola di gioco puramente sportiva che non rientra nellambito del diritto di concorrenza. Il fatto che per tale norma
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INEA, Institute for European Affairs, partner ufficiale FIFA.

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si presentino notevoli difficolt di per s un indizio del fatto che lapplicazione delle disposizioni del diritto di concorrenza alla suddetta regola possono essere concretizzate solo attraverso un ampliamento molto generico di detto concetto. In sintesi, dato che attraverso la normativa proposta dovrebbe essere mantenuto lequilibrio della competitivit sportiva e dato che la regola indispensabile e proporzionale a questo scopo, essa sarebbe conforme allobiettivo di cui allart.81 TCE. Nel campo di applicazione del divieto di abuso di posizione dominante sul mercato ai sensi dellart.82 comma I TCE, lapplicabilit della regola del 6+5 di per s dubbia secondo gli esperti. Dalla giurisprudenza attuale della Corte di giustizia, tuttavia, non si evince che decisioni prese in ambito sportivo nazionale possano essere ricondotte allart.82 TCE; ci nonostante si rileva che alla FIFA non compete alcuna posizione dominante sul mercato, infatti essa, a causa della sua mancata partecipazione al calciomercato, si collocherebbe piuttosto al livello di un'associazione di imprese, non contemplata dallart. 82 TCE. Infine, il gruppo di studiosi, ha fatto notare come le considerazioni che giustificano la regola proposta dalla FIFA con il diritto comunitario sono valide anche per altre discipline sportive come la pallamano, la pallacanestro, la pallavolo, lhockey su ghiaccio, ecc. La regola del 6+5 non intaccherebbe, dunque, secondo gli esperti INEA, i fondamenti del diritto relativi alla libera circolazione dei lavoratori, in quanto si tratta di una vera e propria regola del gioco stabilita nellesclusivo interesse dello sport, in modo da migliorare lequilibrio tra le societ e le federazioni e assicurare di conseguenza un'adeguata competitivit sportiva tra di esse. Ovviamente la reazione di Bruxelles non si fatta attendere e l'Unione europea ha manifestato il proprio chiaro e deciso dissenso nei riguardi della regola proposta in quanto palesemente in contrasto con i principi di diritto comunitario in tema di libert di circolazione dei lavoratori. Tale presa di posizione emersa nell'approvazione della risoluzione sul Libro bianco sullo sport da parte del Parlamento europeo, per il quale la predetta una regola in grado di porre in atto evidenti discriminazioni

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basate sulla nazionalit.51 In particolare, in riferimento agli intendimenti manifestati da Blatter, latteggiamento della Commissione europea stato di totale chiusura, come si evince da una nota della Commissione stessa al riguardo.52 Il Commissario europeo responsabile per l'istruzione, la formazione, la cultura e la giovent, in occasione dell'incontro a Ginevra con i rappresentanti di un centinaio di club europei associati all'ECA, 53 ha definito illegale la proposta della FIFA, aggiungendo che nei termini in cui stata presentata attualmente la formula del 6+5 non compatibile con le leggi europee, tese a privilegiare la libera circolazione dei lavoratori. Nella strenua difesa dei principi dell'Unione europea, Jan Figel, tuttavia, concorda con la FIFA circa gli obiettivi da perseguire, cio l'idea di investire sui giovani talenti cresciuti nei club o la sostenibilit delle spese e sul carattere speciale dello sport; inoltre, il Commissario europeo, citando come valido esempio la norma UEFA home grown players, ribadisce la distanza tra le parti, essendo la proposta FIFA ben differente da quanto previsto, invece, dalla UEFA ed apprezzato a livello comunitario. In occasione del suddetto incontro di Ginevra, anche la ECA ha respinto la proposta del 6+5, sottolineando, invece, il proprio favore per la norma UEFA.54 Nonostante il palese contrasto con le istituzioni comunitarie, il presidente della FIFA, Joseph Blatter, accompagnato dal presidente della UEFA Michel Platini, nel tentativo di argomentare la validit della propria proposta ha incontrato a Bruxelles, nel giugno del 2008, l'allora presidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Pttering, per discutere gli obiettivi del 6+5; la posizione comunitaria, pur salda riguardo allincompatibilit della proposta FIFA, stata, tuttavia, quella di acconsentire a future discussioni a proposito di tale regola, al fine di raggiungere un compromesso. Inoltre, il Parlamento europeo ha anche riconosciuto che, in alcuni casi, eventuali restrizioni alla libera circolazione, limitate e proporzionate, potrebbero rivelarsi di una qualche utilit per favorire lo sviluppo sport nei
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Risoluzione del Parlamento europeo (8 maggio 2008) sul Libro bianco sullo sport, 2007/2261(INI). La nota, riportata in Gazzetta dello Sport, 21 febbraio 2008, recita testualmente: un sistema di quote sulla base della nazionalit, come proposto da Blatter, da considerare illegale per il diritto attuale e rimarr illegale anche per il nuovo Trattato. 53 ECA, European Club Association, Organizzazione nata nel 2008 dall'accordo tra l'ex G14 e l'UEFA. 54 Comunicato congiunto del presidente Karl-Heinz Rummenigge e del vice presidente Joan Laporta.

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vari paesi membri dell'Unione europea, ma non tali da assurgere a forme gravemente discriminatorie come quanto proposto dalla FIFA. Ci nonostante, la partita non pu ancora dirsi chiusa; la posta in palio costituita, forse, dalla stessa autonomia dello sport, quanto meno in unottica di prospettiva. Nella recente e timida apertura delle istituzioni comunitaria deve essere individuata la chiave di volta che potrebbe permettere di contemperare le esigenze della FIFA e quelle dell'Unione. Invero, l'UE non tiene nella dovuta considerazione il fatto che la proposta di limitazione dell'impiego di calciatori, di cui alla regola del 6+5, afferisce esclusivamente alla possibilit di schierare solo cinque stranieri all'inizio di una gara, senza alcun pregiudizio sia in ordine alla possibilit di metterne sotto contratto pi di cinque, che di utilizzarli quali sostituti dei calciatori indigeni nel corso della partita; in definitiva, una squadra potrebbe portare a termine l'incontro schierando otto calciatori stranieri (infatti, le sostituzioni ammesse sono tre) e tre calciatori nazionali. Formulata in questi termini, la proposta di Joseph Blatter si rivela connotata da un certo grado di flessibilit piuttosto che da un carattere discriminatorio, almeno non nei termini individuati dalle istituzioni comunitarie, integrando, pertanto, gli estremi di quella restrizione limitata e proporzionata alla libera circolazione dei lavoratori ritenuta di plausibile realizzazione dal Parlamento Europeo per la salvaguardia dello sport nell'ambito dei Paesi membri dell'Unione europea. In nessun altra disciplina, probabilmente, come nel mondo del calcio, si dovrebbe considerare che la necessit di garantire la pi ampia mobilit dei lavoratori stranieri non pu essere avulsa dal contesto di riferimento, in considerazione delle variabili che necessariamente influiscono sulla realizzazione del prodotto calcio e sulle modalit di relativa gestione che ciascun club ritiene opportuno adottare. Al momento, il progetto FIFA, appoggiato non solo dall'UEFA, ma anche dalle istituzioni calcistiche sudamericane e africane, tema pi vivo che mai e oggetto di costante confronto tra i rappresentanti del supremo organo calcistico internazionale (e continentale) e quelli dell'Unione europea; anzi, lentrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha dato nuova linfa alla proposta FIFA, prospettando ipotetici effetti dirompenti sulla libera circolazione dei lavoratori.

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Considerando che lart.149 TCE (ora art.165), quale modificato dal Trattato di Lisbona, riconosce la specificit dello sport e la possibilit, nella formulazione delle regolamentazioni sportive, di derogare ad alcune ferree regole dellUnione europea, sembra inesorabilmente aprirsi la porta per lattuazione della regola del 6+5. Tuttavia, per quanto possa essere riconosciuta alle federazioni internazionali la facolt di limitare, in maniera indipendente ma proporzionale agli obiettivi, la libera circolazione dei lavoratori, se la regola dovesse essere effettivamente adottata si creerebbe un pericoloso precedente per lUnione europea, con il rischio che una limitata circolazione di merci e persone riporterebbe, di fatto, ad una serie di mercati protetti in altri settori diversi da quello sportivo, ma anche essi con proprie specificit ben definite. Il rischio , quindi, quello di provocare un effetto domino verso altri settori delleconomia europea, infatti unimpostazione caso per caso che tenga conto delle specificit dello sport non soddisfacente e porterebbe ad unincertezza giuridica permanente in seno allUnione europea; in sintesi, nellanalizzare gli effetti di una possibile adozione della regola del 6+5 sulla libera circolazione dei lavoratori, naturale domandarsi se sia lecito che un atleta-lavoratore residente sul territorio di uno Stato membro e che abbia un regolare contratto di lavoro con unazienda (societ sportiva), debba essere limitato, a priori ed esulando da questioni puramente tecniche, nel pieno esercizio della propria attivit lavorativa e nelleffettivo godimento del diritto di libera circolazione sul territorio comunitario. Qualsiasi altro settore potrebbe cos rivendicare la validit di ostacoli allaccesso al mercato del lavoro, in violazione della parit di trattamento sancita dallart.39 del Trattato e dal Regolamento CEE n.1612/68. In conclusione, esprimendo la mia opinione sul tema, sono sicuramente d'accordo per quanto riguarda l'intento di tutelare i settori giovanili, ma non credo che norme che creino vincoli oltremodo stringenti alle societ, come il caso della regola del 6+5, possano risolvere il problema: ciascun club dovrebbe affidarsi al buon senso ed agire di conseguenza. Con riferimento alla situazione italiana, a mio avviso, una buona proposta sarebbe quella di abolire il campionato Primavera per istituire un campionato riserve simile a quello inglese o una squadra B come usa in Spagna, in modo che i giovani si presentino pi preparati al palcoscenico

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della prima squadra: nel breve periodo i costi aumenterebbero inesorabilmente, ma nel lungo periodo crescerebbero i benefici, di natura economica e tecnica. Inoltre, adottando misure meno rigide si eviterebbero estenuanti lotte con le istituzioni comunitarie che non giovano n allo sviluppo dello sport n alla concreta affermazione di una sua effettiva specificit.

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