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ORDINAMENTO SPORTIVO

l’affermazione del concetto di ordinamento sportivo che ha fondamento nella teoria della pluralità degli
ordinamenti giuridici di Santi Romano presuppone l’accertamento di tre elementi costitutivi:
plurisoggettività, normazione ed organizzazione; la prima consiste nell’esistenza di un congruo numero di
soggetti/enti legati dall’osservanza di un corpo comune di regole, la normazione si divide in norme di fonte
statale e quelle poste dallo stesso ordinamento sportivo, l’organizzazione è definita invece come complesso
collegato di persone e servizi con carattere permanente e duraturo che esercita sui soggetti un potere che
limita la libertà di ciascun soggetto nell’interesse del gruppo. La costituzione solo in modo indiretto si
occupa dello sport (diritto di associazione, formazione della personalità, tutela della salute) e pertanto da
alcuni tale ordinamento viene configurato come originario e da altri come derivato e da questa ricerca
deriva il riconoscimento di margini di autonomia più o meno ampi; rimangono fermi però taluni capisaldi
che precedono la formazione del legislatore statale quale il principio di lealtà che non può esser modificato
in nessun punto dal legislatore, e può accadere anche che lo stato debba rivedere talune disposizioni
normative inconciliabili con le norme sportive (la grecia che non riconosceva l’autonomia decisionale della
propria federazione ha dovuto cambiare la legge al riguardo pena l’esclusione della nazionale dagli
europei). I rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo sono stati ridisegnati dalla riforma del
Titolo V della cost. in particolare adesso spetta allo stato delineare i principi fondamentali della materia e
alle regioni definire la disciplina nel dettaglio; gli interpreti hanno ritenuto che l’attività sportiva a carattere
amatoriale e ricreativo sia di competenza delle regioni, ciò ha trovato conferma nella giurisprudenza
costituzionale (517/1987) in cui la corte ha precisato che la linea di divisione tra le competenza è quella
dell’attività agonistica che è riservata al CONI (competenza statale quindi), mentre quella di base o non
agonistica spetta alle regioni, è sequenziale poi la competenza sugli impianti e attrezzature; tuttavia tale
distinzione è minata sin dalle origini dal fatto che a prescindere dall’agonismo o meno si tratta sempre di
attività sportiva e che deve seguire i medesimi standard e per questo con la riforma del 2001 tale
distinzione non viene più in rilievo ponendosi l’accento solo sui principi fondamentali spettanti allo stato e
disciplina di dettaglio alle regioni. A livello comunitario in un primo momento le iniziative adottate erano in
funzione dell’adeguamento delle imprese al mercato unico mentre dal 1991 si è messo in primo piano la
dimensione sociale dello sport, con la conferenza dello sport di Rodi del 1992 sono stati approvati la carta
europea dello sport e il codice europeo di etica sportiva, nella prima è enunciato l’impegno della istituzioni
affinchè sia offerta ad ogni individuo la possibilità di praticare sport e a garantire ai giovani la possibilità di
beneficiare di programmi di educazione fisica e la pratica dello sport in ambiente sicuro e sano, il codice
europeo enuncia fair play come carattere essenziale dell’attività sportiva; il momento culminante di questo
processo si ha avuto nel 2007 con l’adozione del libro bianco dello sport che enuncia la funzione sociale di
integrazione, di salute e istruzione dello sport e contiene il piano d’azione de Coubertin che guida l’azione
della commissione nella politiche sportive, questo piano prevede in particolare: lo sviluppo di nuovi
orientamenti sull’attività fisica, facilitare il coordinamento per la lotta contro il doping, premi per le scuole
che sostengono attivamente le attività fisiche, promuovere l’integrazione sociale tramite attività e fonde
dell’EU; il trattato di lisbona sostiene come la comunità ha come scopo anche quello di promuovere
l’imparzialità e l’apertura delle competizioni sportive e la cooperazione degli organismi responsabili dello
sport proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare di quelli più giovani; infine nel 2011
la commissione europea ha posto l’accento anche sullo sport per i disabili e la parità tra i sessi quale
momento di pari opportunità e inclusione sociale. In definitiva quindi è stata superata la dimensione
strettamente economica dello sport quale materia di competenza dell’EU per abbracciare anche le funzioni
sociali ed etiche proprie dello sport
FONTI

fonti nazionali di natura pubblicistica sono lo statuto e i regolamenti del CONI. Lo statuto è stato
modificato nel 2004, si compone di 10 articoli, si compone delle disposizioni generali/funzioni/organi (I
titolo), la disciplina in dettaglio degli organi (II e III titolo), soggetti dell’ordinamento quali federazioni, enti
di promozione, società, atleti, ufficiali di gara (dal IV al VIII) e organizzazione amministrativa del CONI ossia
procedimenti elettorali, gestione patrimoniale e finanziaria (IX e X). Fonti principali di produzione del CONI
sono il codice di comportamento sportivo che detta i doveri fondamentali che tutti i soggetti
dell’ordinamento devono rispettare quali quello di lealtà, correttezza, probità che si traducono nello
specifico ad esempio nel non dover alterare i risultati sportivi, porre in essere atti in contrasto con
l’antidoping o che incitino alla violenza o discriminazione; seconda fonte è il regolamento del garante del
codice di comportamento sportivo che vigila sul rispetto dei doveri che incombono sui soggetti, il garante in
particolare ha il compito di segnalare d’ufficio o su denuncia di un affiliato/tesserato ai competenti organi
disciplinari i casi di sospetta violazione delle norme del codice, nei casi di sospette violazioni del codice da
parte di organi centrali o periferici del CONI il garante non si limita alla sola denuncia ma è egli stesso
l’organo decidente, decisione che è inappellabile e a cui segue una sanzione disciplinare commisurata alla
natura e gravità del fatto; terza fonte sono i principi fondamentali (delle federazioni sportive nazionali e di
altri associazioni) che dettano le disposizioni a cui devono conformarsi i regolamenti federali, le norme in
materia di elezioni e cariche federali e partecipazione all’assemblea nonché prescrizioni in materia di
vincolo sportivo, attività sportiva agonistica, tutela della atlete in maternità e giustizia sportiva, con
riguardo al vincolo sportivo gli statuti e i regolamenti organici delle federazioni devono prevederne la
durata limitata nonché la modalità di svincolo (le altre cose sui attività agonistica, atlete madri e via dicendo
non fatta). Fonti di natura privatistica sono rappresentate dagli statuti e regolamenti delle federazioni
sportive nazionali e delle discipline sportive associate; gli statuti delle federazioni dettano i principi
fondamentali cui devono attenersi i tesserati/enti affiliati in conformità dei principi stabiliti dal CONI nonché
le regole in materia di tesseramento, affiliazione, organi federali e giustizia sportiva; parte della dottrina ha
osservato che gli atti di autonomia privata (statuti e regolamenti) delle federazioni potrebbero esser
equiparati agli atti normativi eventi natura pubblicistica perché la loro efficacia si estende a soggetti che
non fanno parte direttamente delle federazioni stesse tuttavia tali norme del tutto eccezionali fanno sono
estranei sia alla federazione che all’ordinamento stesso, in definitiva quindi le norme del Coni al pari delle
fonti di diritto pubblico dell’ordinamento statale hanno efficacia generale nei confronti di tutti i soggetti
dell’ordinamento sportivo mentre le norme delle singole federazioni al pari delle fonti di diritto privato
hanno efficacia soltanto nei confronti degli organi delle federazioni stesse e dei loro associati. Le fonti
internazionali hanno tutte natura privatistica, dal CIO viene la fonte principale dell’ordinamento sportivo
internazionale: la carta olimpica. La prima versione fu adottata nel 1908 su base di un regolamento scritto
da de Coubertin e la versione attualmente in vigore è quella del 2011, si compone di 6 articoli, essa svolge 3
funzioni: è fonte principale (come la costituzione italiana per l’ordinamento statale), rappresenta lo statuto
del CIO e infine delinea i diritti e doveri che intercorrono tra CIO, federazioni internazionali, comitati
olimpici nazionali e comitati organizzatori dei giochi olimpici; infine reca nel dettaglio la disciplina dei giochi
olimpici (tempo, luogo, modalità...) e pone due condizioni imprescindibili ex regola 40: il rispetto dello
spirito del fair play/non violenza e il rispetto del codice mondiale antidoping. Il codice della classificazione e
degli standard internazionali per lo sport paralimpico ha come funzione quella di consentire lo svolgimento
dell’attività sportiva in presenza di una handicap e di assicurare il rispetto del principio della parità
competitiva, esso si fonda sulle regole di classificazione (hanno efficacia vincolante) che stabiliscono le
condizioni di ammissione degli atleti alle competizioni e raggruppano gli atleti per singole classi di
competizione; requisito preliminare di ammissione è la sussistenza di una condizione di disabilità che
comporta l’impossibilità di gareggiare in condizioni di parità con un atleta normodotato; gli standard
internazionali indicano i requisiti tecnici ed operativi per procedere alla classificazione

SOGGETTI

il CIO è un’organizzazione internazionale non governativa permanente, senza scopo di lucro dotata di
personalità giuridica di diritto privato e ha sede in Svizzera; essa non può dettare regole suscettibili di
applicazione immediata e diretta all’interno dei singoli ordinamenti statali ma solo norme di natura
meramente convenzionale la cui efficacia si fonda esclusivamente sulla volontà dei destinatari di dar loro
spontanea esecuzione, sotto il profilo funzionale ad essa spetta l’organizzazione quadriennale dei giochi
olimpici, la difesa della filosofia del dilettantismo (c.d. olimpismo), la vigilanza sul rispetto delle regole della
carta olimpionica e la promozione di iniziative volte a reperire risorse finanziarie per la valorizzazione dello
sport a livello mondiale, è composta dalla Sessione (assemblea ordinaria che si riunisce almeno una volta
l’anno), presidente (eletto dalla sessione per 8 anni e rinnovabile), commissione esecutiva (ha la
responsabilità amministrativa ed è composta dal presidente, 4 vicepresidenti e 10 membri della sessione) e
molte commissioni e fondazioni. Le federazioni internazionali devono rispettare i principi della CIO e
ognuna di esse opera a favore di un determinato sport (ammesso o meno ai giochi olimpici), godono
comunque di un certa autonomia in quanto possono formulare proposte e formulare opinioni sulle
candidature delle città, organizzazione e preparazione dei giochi, si compongono di norma di un organo
esecutivo, uno assembleare con funzione normativa e una segreteria con funzioni burocratiche; le più
importanti funzioni sono quelle di promozione della pratica sportiva, predisporre i calendari delle
competizioni, le regole mediche per la tutela della salute degli atleti, designare gli arbitri di gara e le giurie e
il numero di atleti per i giochi olimpici.

Il Coni è l’ente pubblico non economico esponenziale dell’ordinamento giuridico sportivo italiano, esso è
posto in una posizione di supremazia all’interno della comunità sportiva, i suoi poteri si sostanziano nella
vigilanza, sorveglianza e controllo dell’organizzazione sportiva, irrogazione di sanzioni e
revoca/conferimento di status giuridicamente rilevanti (nuove federazioni ad es.); la sue basi sono il
decreto Melandri (1999) che ha introdotto il p. di democrazia interna a cui segue l’obbligo di
rappresentanza dei soggetti operanti all’interno dell’ordinamento (atleti, tecnici..) e ha obbligato il Coni a
conformarsi alle deliberazioni ed indirizzi del CIO e quanto alla struttura organizzativa prevede il consiglio
nazionale, giunta nazionale, presidente, segretario general e collegio dei revisori dei conti; il decreto
pescante è la base del Coni che ha rimarcato il ruolo fondamentale di esso e ampliato i suoi poteri come il
commissariamento delle federazioni. Il consiglio nazionale rappresenta il più rilevante organo politico
dell’organizzazione, assolve a funzioni di indirizzo e controllo ed esercita la maggior parte dei poteri che la
legge conferisce al Coni; si occupa del coordinamento delle federazioni e discipline sportive, adotta e
modifica lo statuto da sottoporre al ministro vigilante e a quello dell’economia, emanare i principi ai quali
devono uniformarsi gli statuti delle singole federazioni/enti/discipline sportive, ne fanno parte di diritto il
presidente del Coni e quelli delle federazioni e i membri elettivi (rappresentanti degli atleti e dei tecnici,
degli enti di promozione, delle discipline sportive e delle strutture territoriali del Coni). La giunta è l’organo
di indirizzo, esecuzione e controllo dell’attività amministrativa del Coni, provvede a formulare proposte du
modifica/revisione dello statuto dell’ente, adotta provvedimenti di competenza del consiglio in casi di
necessità ed urgenza, delibera il bilancio preventivo e consultivo ed esercita il potere di controllo sulle
federazioni nazionali/enti/discipline associate; è composta dal presidente del Coni, dai membri italiani del
CIO, rappresentati delle discipline sportive/enti di promozione/federazioni nazionali. Il presidente è eletto
dal consiglio nazionale e nominato con decreto del presidente della repubblica, deve esser tesserato da
almeno 4 anni, esser stato presidente/vicepresidente di una federazione nazionale/disciplina o membro
della giunta, esser stato un atleta chiamato a far parte di rappresentative nazionali e dirigente insignito dal
Coni per meriti sportivi; rappresenta l’ente, convoca il consiglio.

Le federazioni sportive nazionali insieme alla discipline sportive associate sono gli unici organismi
autorizzati e riconosciuti a rappresentare in italia le singole discipline sportive previo riconoscimento da
parte del Coni e avendo i seguenti requisiti: svolgimento di una attività sportiva sul territorio nazionale,
affiliazione ad una federazione internazionale riconosciuta dal CIO, presenza di un ordinamento interno a
base democratica; godono di un’ampia autonomia normativa, organizzativa, gestionale e tecnica ma sono
sottoposte alla vigilanza del Coni, quanto all’organizzazione vi è il presidente che ha la rappresentanza
legale e in caso di necessità piò adottare i provvedimenti di competenza del consiglio, può esser eletto per
due mandati consecutivi, il consiglio federale è l’organo direttivo a cui competono i poteri di
amministrazione e gestione di tutta l’attività federale e i suoi componenti vengono eletti dall’assemblea che
invece svolge principalmente funzioni decisionali e normative ed infine il collegio dei revisori dei conti
assolve alle funzioni di controllo contabile; quanto al profilo della natura giuridica il problema è stato
inizialmente risolto dal decreto Melandri che dava ad esse la qualifica di associazioni di diritto privato ma
poi è stato modificato dal decreto pescante a favori di una natura mista pubblica e privata in relazione alla
singola attività di volta in volta posta in essere e individuando nello statuto del Coni la sede per
l’individuazione delle attività a valenza pubblicistica per il quale ad oggi hanno tale natura le seguenti
attività: ammissione/affiliazione di società/associazioni sportive/singoli tesserati e loro eventuale
revoca/modificazione, controllo del regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati
professionistici, prevenzione/repressione del doping, formazione dei tecnici e gestione degli impianti
sportivi pubblici

Le discipline sportive associate si distinguono dalle federazioni esclusivamente per il tipo di attività sportiva
praticato che non rientra nel programma olimpico e solo dal 1986 sono state stabilite le procedure e
requisiti per il loro riconoscimento; hanno anch’esse personalità giuridica di diritto privato e ognuna di esse
rappresenta uno sport, requisiti per il riconoscimento sono: svolgimento sul territorio nazionale di una
attività sportiva che pur avendo rilevanza internazionale non rientra nella competenza delle federazioni,
avere una tradizione sportiva e una certa consistenza sia del movimento che organizzativa, avere un
ordinamento statuario ispirato al principio di democrazia interna e partecipazione all’attività sportiva in
condizioni di uguaglianza e pari opportunità e non avere fini di lucro; in quanto compatibili si applicano le
norme relative alle federazioni e inoltre sono rappresentate da 3 membri nel consiglio nazionale del coni.
Gli enti di promozione sportiva sono enti con funzione di promozione e organizzazione di attività con
finalità ricreative e formative senza scopo di lucro; al fine di ottenere il riconoscimento devono perseguire
come scopo quello di promuovere e organizzare attività fisico-sportive, assenza di lucro, osservanza del p.
di democrazia interna e rispettare la normativa antidoping nonché regole e principi del Coni, il regolamento
degli enti prevede ulteriori requisiti per quanto riguarda la dislocazione minima delle sedi e la presenza
attiva sul territorio nazionale o provinciale

Le società e associazioni sportive sono enti che hanno per scopo statuario la pratica dell’attività sportiva e il
loro riconoscimento è l’atto conclusivo della procedura di affiliazione; possono essere enti lucrativi (società
di persone o di capitali) o non lucrativi (associazioni riconosciute o no, società cooperative..) mentre quelle
che intendono svolgere attività a carattere professionistico devono essere spa o srl, nell’ambito dello posrt
dilettantistico vi è ampia libertà di scelta della forma giuridica tuttavia se la forma prescelta è quella
societari il fine non deve essere lucrativo e i proventi dell’attività non possono esser divisi tra i soci mentre
nei casi di associazioni la costituzione deve avvenire obbligatoriamente in forma scritta; lo statuto deve
indicare la denominazione, l’oggetto sociale, attribuzione della rappresentanza legale, assenza di fini di
lucro e divieto di divisione degli utili anche in forme indirette, norme sull’ordinamento interno ispirato ai p.
di democrazia e uguaglianza degli associati, obbligo di redazione del rendiconto finanziario, modalità di
scioglimento e devoluzione del patrimonio; tali norme vanno integrate con quelle relative alle associazioni
non riconosciute e quelle della forma dell’atto pubblico per quelle riconosciute; le società/associazioni
dilettantistiche sono soggette ad una disciplina tributaria di particolare favore. Le società/associazioni
divengono soggetti dell’ordinamento sportivo mediante l’affiliazione che consiste nell’atto di
riconoscimento ai fini sportivi di una società/associazione che ha come scopo statuario l’esercizio di una
attività sportiva tra quelle riconosciute dal Coni; la procedura di affiliazione è improntata ad un rigido
formalismo e al rispetto di termini perentori, la domanda va presentata su appositi moduli predisposti dalle
federazioni e ad essa vanno allegati a pena di nullità i documenti elencati dai regolamenti federali tra i quali
l’atto costitutivo e lo statuto e nella maggior parte dei regolamenti è previsto anche l’obbligo a pena di
inammissibilità di indicare le generalità del legale rappresentante della società e l’elenco completo dei
componenti dell’organo direttivo e talvolta anche di tutti i soci, l’affiliazione ha efficacia di un anno e si può
presentare domanda per la riaffiliazione pena la cessazione di appartenenza alla federazione di riferimento;
la richiesta di aff. è inoltre soggetta ad una serie di limitazioni quali il numero minimo di tesserati e la
disponibilità di impianti sportivi, non si può assumere una denominazione che possa generare confusione
con altra società/associazione a meno che non facciano parte di una federazione differente o pratichino
sport diversi rappresentati dalla medesima federazione, alcuni regolamenti vietano come denominazione
espressioni contrarie all’etica sportiva/buon costume/partiti politici, infine competente a decidere sulla
domanda di aff. è il consiglio nazionale del Coni. A seguito dell’aff. sorgono in capo alle società/associazioni
diritti, in primis quello di partecipare all’attività sportiva ufficiale, di organizzare manifestazioni sportive e
sorgono anche doveri quali quello di conformarsi alle direttive e regolamenti del Coni, le società
professionistiche devono assicurare ai giovani atleti una formazione educativa complementare a quella
sportiva e quello di mettere a disposizione delle rappresentative nazionali gli atleti selezionati. Alcuni
regolamenti operano una distinzione tra lo status di affiliato e quello di aderente che è riconosciuto
all’associazione che non possiede i requisiti per ottenere l’aff.; la revoca dell’aff può ricorrere in caso di
gravi violazioni dell’ordinamento sportivo (radiazione) o nei casi di perdita dei requisiti per l’aff

ATLETI

atleta è colui che pratica un’attività sportiva che rientra tra quelle riconosciute dal Coni con l’intento di
misurarsi con altri praticanti della medesima disciplina; primo problema è se la nozione di atleta sia
circoscritta al solo agonismo o possa estendersi anche al contesto amatoriale, appare preferibile ritenere
che colui che esercita l’attività al di fuori delle gare può esser considerato atleta sempre che sia entrato a
far parte dell’ordinamento sportivo mediante tesseramento anche perché altrimenti i soggetti sarebbero
tenuti a rispettare i principi fondamentali dello sport (fair play, rispetto dell’avversario) solo nel contesto
agonistico. La distinzione più impostante all’interno della categoria generale degli atleti è quella tra atleti
professionisti e dilettanti, tuttavia il legislatore non ha indicato gli elementi sostanziali che caratterizzano
l’una attività rispetto all’altra rimettendo alle federazioni tale potere, potere che è stato esercitato solo da
alcune di queste e con rilevanza solo formale e non sostanziale, la distinzione tra i dilettanti e i
professionisti risiede storicamente nella necessità per i secondi di avere una retribuzione per ottenere il
sostentamento mentre i primi sono autosufficienti di loro e anzi fanno parte delle classi socialmente più
agiate, tale criterio pertanto è ormai del tutto anacronistico; ciò ha portato gli interpreti all’enucleazione
del concetto di professionismo di fatto che sta ad indicare gli atleti che inseriti in una federazione che
riconosce soltanto il settore dilettantistico traggono il proprio reddito (almeno parzialmente) dall’attività
sportiva svolta o per gli atleti che competono in campionati dilettantistici (di federazioni che riconoscono il
professionismo). Dal punto di vista dell’ordinamento statale che si ispira alla difesa del lavoratore e della
sua retribuzione la ragione giustificatrice di tale fenomeno si rinviene nel fatto che risulta iniquo non
riconoscere il diritto al compenso per gli atleti che non possono godere della stessa tutela di quelli
professionisti per il solo fatto che la federazione di appartenenza non ha regolamentato al suo interno il
settore professionistico, tale considerazione è stata fatta propria sia dalla corte di giustizia europea che
dalla giurisprudenza italiana; dalla prospettiva dell’ordinamento sportivo invece la gratuità è una
componente ordinaria e non eccezionale; il rapporto sinallagmatico che lega la società all’atleta di fatto
viene dalla dottrina variamente configurato (contratto di lavoro subordinato o autonomo, contratto atipico,
contratto di ingaggio) mentre per l’atleta professionista si presume che si tratti di un lavoratore
subordinato, in definitiva quindi per l’ordinamento statale vi è una totale parificazione giuridica tra sport
professionistico e quello di fatto

TESSERAMENTO: è l’atto che comporta l’acquisto in capo ad un soggetto della qualifica di soggetto
dell’ordinamento sportivo riguarda non solo gli atleti ma anche tutte le persone fisiche (medici sportivi,
ufficiali di gara, dirigenti, tecnici..) ed è assimilabile all’affiliazione per gli enti, si compie con l’iscrizione del
soggetto ad una associazione/società sportiva che a sua volta provvede all’iscrizione dello stesso presso la
competente federazione o disciplina associata; secondo Moro il tesseramento costituisce fonte di un
autentico rapporto contrattuale, un contratto associativo, aperto a formazione progressiva; la disciplina è
contenuta specificatamente negli statuti/regolamenti organici federali; consiste in un atto necessario per
l’esercizio della pratica sportiva sia agonistica che amatoriale e fa sorgere lo status di soggetto
dell’ordinamento sportivo che fa sorgere particolari diritti e obblighi (in particolare il diritto di partecipare
all’attività federale e a concorrere alle cariche elettive federali nonché l’obbligo di esercitare con lealtà la
propria attività ed osservare i principi dell’ordinamento sportivo nazionale e internazionale, anche in
questo caso si avvicina molto alla affiliazione, infatti spesso la disciplina è identica). Quanto al tesseramento
minorile esso non è stato oggetto di specifica attenzione da parte del legislatore federale fino agli anni 90,
ad oggi la disciplina è assai disomogenea trovandosi davanti ad una grande varietà di soluzioni normative,
alcune prevedono il consenso di entrambi i genitori, altre di uno solo, altre ancora del minore e del suo
legale rappresentante; tale disomogeneità non è giustificata da alcuna ragione (neanche dalla maggiore-
minore pericolosità dell’attività sportiva). Le norme organizzative interne federali (NOIF) della FIGC
richiedono per il tesseramento di calciatore minorenne che la richiesta venga sottoscritta anche
dall’esercente la potestà genitoriale, per cui è sufficiente il consenso di un solo genitore, tuttavia la
circolare della segreteria federale del 1988 prescrive per la richiesta di tesseramento dei minori per il
settore giovanile e scolastico oltre la firma del minore stesso anche la doppia firma congiunta dei genitori,
tale prescrizione è stata confermata dalla corte d’appello federale della FIGC sulla base di 2 motivi: l’art.
316 cc che assegna la potestà sui figli minori ad entrambi i genitori (per cui esercente non può esser inteso
nella sua accezione singolare), in secondo luogo la necessità del consenso di entrambi i genitori trova
fondamento nell’art. 320 cc per gli atti di straordinaria amministrazione (tuttavia questa ultima
argomentazione non sembra condivisibile perché la norma in questione riguarda la sfera meramente
patrimoniale del minore in quanto ordinaria/straordinaria amministrazione riguardano solo la sfera
patrimoniale e inoltre la corte federale della FIGC nel 2009 ha sostenuto come il tesseramento sia atto di
ordinaria amministrazione; postula anche il controllo giudiziale da parte del giudice tutelare che sembra
eccessivo per il tesseramento, obera ulteriormente la macchina giudiziaria e limita l’esercizio dell’attività
sportiva mentre l’intento del legislatore è quello di favorirla); a tal riguardo sarebbe opportuna una
disciplina legislativa che da una parte tenga conto del soggetto minore (in particolare della sue inclinazioni
naturali e capacità nonché maturità mentale per prendere una decisione più ponderata e non “lasciarsi
educare” dai genitori e dall’altra di prevedere discipline più rigorose per le attività maggiormente
pericolose. Uno dei principali obblighi nascenti dal tesseramento è quello del vincolo sportivo, esso
comporta che l’atleta dilettante non possa liberamente tesserarsi presso un’altra associazione operante
nella medesima disciplina sportiva mentre per gli atleti professionisti tale vincolo è stato abolito
prevedendosi oggi un obbligo di pagamento dell’indennità soltanto in caso di stipula del primo contratto
professionistico e soltanto a favore della società/associazione presso la quale l’atleta ha svolto la sua ultima
attività sportiva dilettantistica; quanto alla qualifica in dottrina del rapporto tra società/associazione e
atleta è possibile distinguere due tesi maggioritarie, la prima sostiene che sia un contratto di lavoro mentre
la seconda di associazione, quanto al contratto di lavoro esso è considerato da alcuni di tipo subordinato e
da altri come autonomo, la tesi per cui sarebbe un contratto di associazione trova il suo fondamento nel
tesseramento che a differenza del lavoro non può mai defettare (tale tesi è la più condivisibile)

AUSILIARI SPORTIVI

in tale categoria rientrano medici, tecnici, ufficiali di gara (..) che partecipano prima, durante e dopo la
gara. Ai tecnici sono demandati compiti di direzione, controllo tecnico e preparazione degli atleti (con
riferimento al calcio spetta ad essi tutelare e valorizzare il potenziale tecnico-atletico della società per cui
sono tesserati, disciplinare la condotta morale e sportiva dei calciatori); dal punto di vista dell’ordinamento
statale è centrale la figura dell’istruttore sportivo per i quali è prevista un particolare regime di
responsabilità per i danni cagionati all’allievo e a tal riguardo viene il luce l’art. 2048 cc secondo cui sono
responsabili dei danni cagionati dal fatto illecito dei loro allievi durante la loro vigilanza, a tale disposizione
vanno aggiunte delle precisioni: non si riferisce come alcuni sostengono solo agli atleti minorenni in quanto
non vi è traccia di ciò nel dato testuale (inoltre un atleta maggiorenne ma principiante ha delle conoscenze
minori rispetto ad un atleta minorenne con anni di esercizio), inoltre va verificata in relazione al rapporto
perdurante nel tempo tra l’allievo e il maestro (quindi no responsabilità per una lezione sola o per una
prova). I dirigenti sportivi sono coloro che ricoprono incarichi presso le federazioni sportive o all’interno di
società/associazioni sportive, i primi divengono soggetti dell’ordinamento al momento della nomina
mentre i secondo all’atto del tesseramento. L’ufficiale di gara è il soggetto preposto ad assicurare la
regolarità dello svolgimento delle manifestazioni sportive, requisiti di tale figura sono la terzietà,
imparzialità e indipendenza di giudizio e in quanto soggetti dell’ordinamento sportivo sono tenuti al
rispetto del p. di lealtà sportiva; lo statuto del Coni demanda alle singole federazioni l’inquadramento degli
ufficiali di gara nelle diverse qualifiche (purchè il rapporto non sia di natura subordinata), questione assai
dibattuta era quella della assimilazione dell’ufficiale di gara a quella di pubblico ufficiale (per l’interesse
pubblico al regolare svolgimento della competizioni sportive) tuttavia la natura privatistica delle federazioni
sportive ha portato alla negazione della natura di pubblico ufficiale

AGENTI/PROCURATORI SPORTIVI

la normativa FIGC sugli agenti dei calciatori è stata negli ultimi anni oggetto di importanti riforme (2001,
2007, 2010, 2011), in particolare nel 2007 per dare attuazione alle indicazioni rese dall’AGCM che aveva
sollevato una serie di criticità del regolamento, innanzitutto per quanto riguardava la posizione di
particolare preminenza che avevano certe imprese in virtù di rapporti con soggetti privati e istituzionali
(l’impulso è stato dato dalla vicinanza di Luciano Moggi, dg generale della juve con il figlio Alessandro che
presiedeva una società di procuratori sportivi) nonché altre problematiche riguardanti in primis l’iscrizione
necessaria all’albo della FIGC per poter esercitare l’attività di agente, l’esistenza di moduli da usare
obbligatoriamente per la stipulazione del contratto tra agente e assistito che limitava l’autonomia delle
parti e infine le clausole previsti in tali moduli che davano diritto al compenso dell’agente anche nei casi in
cui lo stipendio del calciatore non dipendeva dall’opera svolto dal procuratore; non tutti questi rilievi sono
stati corretti dalla FIGC che si è occupata di vietare agli agenti il diritto di ricoprire anche indirettamente
incarichi di funzionario/dipendente, l’attività di agente può esser svolta solo da persone fisiche ed eventuali
dipendenti devono avere compiti esclusivamente amministrativi ed infine (come previsto dalla FIFA)
l’attività propria dell’agente può esser svolta ora anche dagli avvocati e dai parenti (genitori, fratelli,
coniuge), tuttavia il CNF ha sostenuto l’incompatibilità dell’esercizio dell’attività forense con quella di
agente sportivo perché vietato l’esercizio di commercio in nome proprio o altrui e la qualità di mediatore,
tale problematica è stata superata dalla giurisprudenza perché da una parte l’attività dell’agente non deve
esser svolta per forza in forma di impresa commerciale e non è ascrivibile alla mediazione; le riforme del
2010/2011 si sono rese necessaria a seguito di sentenza del Tar Lazio che ha portato all’annullamento della
norma per cui l’attività in forma societaria può esser esercitato se nessun socio ha legami di
parentela/affinità con altri agenti o soggetti aventi influenza su società di calcio (ciò perché non è
rinvenibile alcun riscontro nella normativa nazionale o comunitaria o della FIFA) e la cancellazione della
norma in cui si prevedeva l’obbligo di deferimento al tribunale di arbitrato dello sport delle controversie tra
agente ed assistito. Quanto alla natura del rapporto tra essi non è ricavabile alcuna indicazione dalla
normativa federale, la soluzione più condivisibile è quella di identificarlo nel mandato dove il mandatario si
obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante, tale soluzione si spiega con il fatto che
l’agente sportivo al pari del mandatario agisce nell’interesse della parte che gli ha dato l’incarico, ha uno o
più compiti determinati da svolgere e infine prende parte al processo di negoziazione (non può essere
mediatore perché esso non opera nell’interesse di una parte e il suo compenso è dato da tutte le parti della
negoziazione). In alcune normative federali (quali calcio e basket) la competenza dell’agente è
espressamente limitata all’assistenza nella stipulazione dei contratti di ingaggio con la società mentre in
altre la competenza riguarda ogni tipo di rapporto connesso allo svolgimento dell’attività sportiva (tennis,
pallavolo) e pertanto sorge il dubbio se nei casi del calcio e basket l’agente possa prestare la propria attività
in relazione anche ad altri rapporti giuridici pur sempre connessi con l’attività sportiva, a riguardo
orientamento giurisprudenziale unanime è quello per cui ciò non può esser escluso fermo restando il
necessario possesso dei titoli abilitativi eventualmente richiesti dall’ordinamento statale, elemento comune
a tutte le normative federali è la previsione di una apposita prova d’esami in cui il superamento è
condizione necessaria per il conseguimento dell’abilitazione e all’iscrizione nel registro degli agenti e la
forma scritta per il contratto tra agente e atleta deve rivestire forma scritta ad substanziam. La risoluzione
prima del tempo del contratto può avvenire per mutuo dissenso, revoca da parte dell’assistito o recesso
dell’agente (che non necessità giusta causa ma solo il preavviso); quanto al compenso la sua
determinazione è rimessa alla contrattazione tra le parti, nel caso di agente della società viene di norma
stabilito in misura forfettaria mentre in quello di atleta esso è calcolato in misura percentuale al compenso
lordo annuo pattuito nel contratto alla cui negoziazione ha partecipato l’agente, altrimenti (in base alla
federazione di appartenenza) esso varia da un minimo del 3% al massimo di 5%, non vengono computati
nel calcolo eventuali premi o benefits (macchina, abitazione), sempre alle parti è rimessa la determinazione
delle modalità di pagamento (unica soluzione o rate annuali); con riguardo agli obblighi a carico dell’agente
pur non essendo soggetto dell’ordinamento sportivo è tenuto al rispetto dei principi contenuti nelle norme
federali e cui si aggiunge in particolare l’obbligo per esso di prevenire ipotesi di conflitto di interessi quali
l’incompatibilità con il conferimento di cariche sociali o federali in realtà nazionali/internazionali o quando
un suo parente/affine/coniuge riveste tali incarichi societari o federali

CONTRATTO DI LAVORO SPORTIVO


la qualificazione del lavoro sportivo come rapporto di lavoro subordinato risulterebbe giustificata dai tratti
salienti della subordinazione: obbligo di collaborazione in vista del perseguimento egli obiettivi sociali ed
etero direzione dell’atleta-lavoratore mentre il lavoro autonomo postulerebbe degli scopi differenti a cui
tendono l’atleta e la società, soluzione intermedia sarebbe quella del lavoro ricondotto ad un’ottica
associativa la cui causa sarebbe lo svolgimento di una attività ludica che rientrerebbe in un contratto di
lavoro innominato, non ascrivibile né a quello autonomo né a quello subordinato, la situazione è stata
chiarita dalla L. 91/1981. Tale legge è stata criticata per il fatto che l’attenzione del legislatore è stata rivolta
soprattutto verso il settore calcistico facendo sì che la disciplina non sempre è organica e coerente con altri
ambiti sportivi. L’art.2 l. 91/1981 dispone che sono sportivi professionisti gli atleti/allenatori/ds/preparatori
atletici che esercitano attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità a cui segue poi la
qualificazione del rapporto di lavoro come rapporto subordinato ma che la prestazione sportiva è di
carattere autonomo quando ricorre almeno una delle seguenti circostanze: attività svolta nell’ambito di una
singola manifestazione o di più manifestazioni collegate in un breve periodo di tempo, l’atleta non è
contrattualmente vincolato a ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento o
quando la prestazione oggetto del contratto pur avendo carattere continuativo non supere le 8 ore
settimanali/5 giorni al mese/30 giorni all’anno; si può quindi dire che vi sono elementi soggettivi (qualifica
che viene data solo dalle federazioni) ed oggettivi (onerosità e continuità) per la qualifica di sportivo
professionista, tuttavia non tutte le federazioni hanno qualificato l’attività sportiva professionista e si rischia
quindi di non concedere una adeguata tutela ai soggetti appartenenti a tali federazioni, a riguardo quindi si
è privilegiati l’interpretazione per la quale a prescindere dalla qualifica di professionista o meno
l’ordinamento statale tutela il lavoratore in base ai caratteri propri dell’attività svolta ossia in base ai criteri
appena detti di distinzione tra lavoro subordinato o autonomo l’ordinamento statale assoggetta l’atleta alla
disciplina conseguente pur non trovando applicazione la l.91/1981. L’interpretazione dell’art.2 è avvalorata
da alcune considerazioni in ambito comunitario, in particolare la corte di giustizia ha individuato come
criterio di identificazione della fattispecie del lavoro subordinato lo svolgimento di una prestazione
lavorativa in condizione di subordinazione e dietro pagamento di un corrispettivo. Meritano poi particolare
attenzione le sentenze rese nel caso Walrave e Donà in cui la corte di giustizia in primo luogo stabilisce
come l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto configurabile come attività
economica e come sia in caso di prestazione subordinata o di altro tipo è sottoposta alla disciplina relativa
alla libertà di circolazione e erogazione dei servizi, in secondo luogo viene affermato che per tutte le
prestazioni di lavoro/servizi (anche in ambito sportivo) vige il divieto di discriminazione che opera non solo
verso l’autorità pubblica ma anche nei confronti delle organizzazioni private quali le federazioni; tali
sentenze sono gli antecedenti del caso Bosman (non riassunto, da evidenziare e ripetere dal libro. 123-130)

Il contratto di lavoro sportivo deve prevedere quali parti un datore di lavoro (società sportiva per azioni o
srl) e un lavoratore che la legge individua tra gli atleti, allenatori, preparatori atletici e ds, tale elenco deve
intendersi tassativo come enunciato dalla corte di cass. in ragione del rispetto dell’inderogabilità della
disciplina legale del lavoro subordinato e di calibrare l’ambito di applicazione della l.91/1982 ai mutamenti
organizzativi delle varie discipline sportive; oggetto del contratto è la prestazione dello sportivo a fronte di
un corrispettivo da parte della società, nel contratto deve essere espressamente menzionato l’obbligo di
rispettare le istruzioni tecniche e prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici e tali
disposizioni avvalorano la posizione di subordinato dell’atleta e a cui seguono quindi i doveri ex cc
dell’obbligo di diligenza, obbedienza e fedeltà; può esser prevista una clausola compromissoria al fine di
devolvere eventuali controversie di ordine economico sorte tra le parti al giudizio del collegio arbitrale
stabilendo almeno il numero e la procedura di nomina degli arbitri, tale clausola non va confusa con il
vincolo di giustizia sportiva (comporta sempre una deroga alla giurisdizione ordinaria) ma attiene alle
controversie di ogni genere e inoltre gli organi giudicanti sono stabiliti dalle federazioni; clausole che non
possono mai essere inserite sono quelle del patto di non concorrenza o che limitano la libertà professionale
dello sportivo nel periodo successivo alla risoluzione del contratto (ciò perché la vita sportiva è fatta di
pochi anni e inoltre l’inattività incide sull’efficienza fisica del soggetto e sull’interesse delle altre
società/sponsor e produce un deprezzamento del valore dell’atleta). Quanto alla forma l’art. 4 91/1981
stabilisce che “il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta
e con la stipulazione di un contratto scritto a pena di nullità tra lo sportivo e la società, quest’ultima ha poi
l’obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l’approvazione, in
particolare sono statuiti 4 requisiti per la stipulazione: la forma scritta, la conformità al contratto tipo
predisposto dalle federazioni, il deposito del contratto individuale presso la federazione competente e
l’approvazione da parte di questa, tutti questi requisiti attengono alla validità del negozio. Quanto alla
tutela dell’atleta le società sono chiamate a rispettare (oltre il dovere di sicurezza imposto ad ogni datore di
lavoro) una serie di obblighi specifici in materia di certificazione dell’idoneità allo svolgimento di pratiche
sportive a livello agonistico al fine di prevenire danni alla salute dell’atleta, ex art.7 l’attività sportiva
professionistica è svolta sotto controlli medici secondo le norme stabilite da ogni federazione e approvate
con decreto dal ministro della sanità e l’istituzione di una scheda sanitaria per ogni atleta da aggiornarsi
almeno a cadenza semestrale, a tal riguardo un ruolo fondamentale è svolto dal medico sociale che oltre ad
esser responsabile dell’adempimento degli obblighi appena detti può disporre ulteriori controlli se ritenuti
da lui necessari per la predisposizione della scheda sanitaria e assicurare una più ampia tutela della salute,
se l’atleta è un lavoratore autonomo tali obblighi gravano direttamente su di lui; inoltre gli sportivi
professionisti devono essere assicurati contro i danni da infortunio e malattia professionale presso l’INAIL e
sono tutelati quando l’infortunio da cui deriva la morte o l’inabilità (totale/parziale, permanente o
temporanea) si sia verificato in ragione dello svolgimento della pratica sportiva o essa abbia costituito il
contesto entro il quel l’evento dannoso si è verificato, godono altresì anche dell’assicurazione obbligatoria
per l’invalidità e la vecchiaia e l’onere contributivo è di 2/3 società 1/3 atleta nel caso di lavoratore
autonomo è esclusivamente a suo carico, i criteri di calcolo della pensione e i requisiti necessari per il diritto
all’ottenimento della stessa variano in dipendenza dell’anzianità contribuita dal singolo lavoratore

Quanto alla cessione del contratto di lavoro sportivo con riguardo al settore calcistico è previsto che
l’accordo di trasferimento di un calciatore o la cessione del contratto di un calciatore professionista devono
esser redatti per iscritto a pena di nullità mediante l’utilizzazione di moduli speciali predisposti dalle leghe e
depositati entro 5gg dalla stipulazione al fine di procedere alla verifica dell’atto da parte della lega e la
concessione dell’esecutività dello stesso, i calciatori inoltre non possono giocare in gare ufficiali per più di
due società nell’arco della medesima stagione; la cessione può avvenire a titolo definitivo o temporaneo
soltanto nei periodi stabiliti annualmente dal consiglio federale, la cessione di contratto avviene nella prassi
con la sottoscrizione di tre documenti: la variazione di tesseramento (sottoscritto da tutte e tre le parti e
corrisponde alla cessione di contratto ex cc), il documento di variazione di tesseramento (sottoscritto dalle
due società e contiene il corrispettivo della cessione e i termini di pagamento) e il terzo documento è il
nuovo contratto di lavoro, la cessione a titolo temporaneo (prestito) comporta il passaggio alla società
cessionaria per una stagione sportiva salvo rinnovo dell’accordo per la stagione successiva e può esser
pattuito il diritto di opzione a favore della cessionaria per trasformare la cessione in definitiva purchè il
giocatore accetti tale clausola, che il contratto stipulato a seguito dell’esercizio di detto diritto abbia durata
almeno biennale e che la scadenza del contratto ceduto non sia antecedente al termine della prima
stagione successiva a quella in cui può esser esercitato il diritto di opzione, può esser anche pattuito un
diritto di contropzione in favore della cedente da esercitarsi in risposta a quello di opzione esercitato dalla
cessionaria, in caso di cessione temporanea di un giocatore già oggetti di altro contratto di cessione
temporanea nella medesima stagione ciò è possibile se dal contratto risulti il consenso della società
cedente originaria, infine merita particolare attenzione il fatto che il rapporto conseguente alla cessione del
contratto a titolo definitivo può avere scadenza diversa da quella del rapporto costituito con contratto
ceduto: tale prassi ha un uso assai frequente (stipendio maggiore del giocatore!) ma fa escludere la
cessione di contratto in ambito sportivo dallo schema negoziale presentato dal cc, tale tasi ha trovato il
favore di dottrina e giurisprudenza; contestualmente al contratto di cessione definitiva entrambe le società
possono convenire tra loro che la cedente acquisti il diritto di partecipare al 50% agli effetti patrimoniali
conseguenti alla titolarità del contratto, tale contratto nella prassi viene chiamato comproprietà, funzione
propria è quella di distribuire tra le due società il rischio della mancata valorizzazione di un giocatore che
non rientra al momento nei piani della società cedente mentre il giocatore ha la possibilità di giocare con
potenziale continuità e accrescere il proprio valoro economico-sportivo, il contratto economico tra società
cessionaria e calciatore deve avere durata minima di 2 anni mentre l’accordo di partecipazione ha durata di
un anno, ciò che nella prassi avviene è che al termine della stagione sportiva se le parti non trovano
un’intesa o non si siano precedentemente accordate per il riscatto l’identificazione della società che rimane
titolare del contratto nella sua interezza avviene tramite il deposito in lega di due offerte in busta chiusa e
la squadra che ha offerto la somma maggiore ottiene l’intero cartellino, rimane ferma la possibilità di
rinnovo della comproprietà purchè il contratto tra cessionaria e calciatore abbia scadenza successiva a
quella del rinnovo dell’accordo di partecipazione

(contratto dilettantistico 152-155 da fare sul libro)

MOBBING

indica la condotta di colui che tramite pratiche vessatorie caratterizzate sovente da violenza morale induce
altri all’allontanamento dal posto di lavoro, si caratterizza per l’eterogeneità dei comportamenti che
possono configurare la fattispecie e dalla ricorrenza di due elementi: unità della fonte di provenienza e la
costanza e reiterazione nel tempo dei comportamenti vessatori che perseguono la distruzione della
personalità morale e dello status professionale della vittima; può essere verticale (posto in essere da
soggetti con qualifiche diverse e può essere discendente o ascendente in base alla posizione della fonte) od
orizzontale se posto in essere da colleghi di lavoro pariordinati. In Italia il mobbing è stato riconosciuto dalla
giurisprudenza in due sentenza del tribunale di torni del 1999 e successivamente dalla stessa corte
costituzionale, il riconoscimento giuridico della fattispecie del mobbing implica la valutazione illiceità del
comportamento attuato dal mobber da rintracciarsi nella responsabilità contrattuale ex art. 2087 cc
secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare le misure che sono necessarie a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei propri prestatori di lavoro per cui esso è responsabile anche delle condotte
poste in essere nel mobbing orizzontale, inoltre l’inquadramento nella responsabilità contrattuale (a
differenza di quella extra) ha un termine di prescrizione decennale (invece che di 5) e pone a capo del
datore di lavoro la dimostrazione di aver preso tutte le misure idonee ad evitare il danno lamentato dal
mobbizato. In ambito sportivo l’incompatibilità di alcune norme (art. 2103 per quanto riguarda le mansioni
del lavoratore ad es.) fa sì che le indizi di tale fenomeno debbano ricercarsi nella normativa federale,
l’art.91 delle NOIF dispone a riguardo che le società sono tenute ad assicurare a ciascun tesserato lo
svolgimento dell’attività sportiva con l’osservanza dei limiti e criteri previsti dalle norme federali in
conformità al tipo di rapporto instaurato col contratto di tesseramento, altresì è stabilito che la società
fornisce al calciatore attrezzature idonee alla preparazione e un ambiente consono alla dignità
professionale e il calciatore ha diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato,
viceversa il calciatore ha l’obbligo di partecipare a tutti gli allenamenti nelle ore e nei luoghi fissati dalla
società e a tutte le gare ufficiali o amichevoli, deve osservare il dovere di fedeltà verso la società, evitare
comportamenti che possono recare pregiudizio all’immagine della società e non ha diritto ad interferire
nelle scelte tecniche/gestionali/aziendali della società; il mancato adempimenti di tali obblighi sia da parte
della società che dal calciatore possono essere superare il meno inadempimento contrattuale e configurarsi
mobbing quando presentano i caratteri di ricorrenza, durata, vessatorietà e incisività. Riguardo
all’allenatore invece è difficile che possano configurarsi ipotesi di mobbing da una parte perché spetta
esclusivamente a lui operare le scelte tecniche per il raggiungimento degli obiettivi (no ingerenze della
società) e di conseguenza spetta a lui decidere se e quanto far giocare un calciatore e in quale ruolo non
essendoci un diritto per giocatore a scendere in campo sempre e in un determinato ruolo, mobbing può
aversi quindi quando l’allenatore non fa giocare un calciatore senza una valida ragione e con la ricorrenza
dei requisiti propri del mobbing che in questo caso può essere bullying (se è all’insaputa o contro la volontà
della società) o bossing se la condotta è posta in essere in esecuzione di una precisa strategia aziendale

SPONSORIZZAZIONE

consiste nell’attività di diffusione di un messaggio commerciale attraverso la realizzazione di un evento in


cui partecipa il soggetto che veicola il messaggio stesso ed è terzo rispetto all’impresa cui il messaggio è
riferito, suo fondamento è il diritto della persona celebre allo sfruttamento commerciale della propria
immagine, tale diritto è oggetto di riconoscimento dalla dottrina e giurisprudenza ed è fattispecie
autonoma rispetto al diritto di immagine perché consiste nello sfruttamento commerciale dell’immagine e
non nell’immagine stessa; mentre la pubblicità mira alla sollecitazione del pubblico dei consumatori al fine
dell’acquisto del prodotto la sponsorizzazione è finalizzata direttamente al finanziamento di una data
attività/servizio, inoltre il metodo di comunicazione è assai diverso: nella pubblicità è istantaneo o di breve
durata ed è sempre nella disponibilità dell’impresa mentre la sponsorizzazione avviene con comunicazione
di lunga durata che fuoriesce dal controllo dell’impresa poiché l’oggetto principale non è il prodotto ma
l’attività/servizio/evento cui il prodotto è correlato, ciò si traduce in una incertezza di costi e rendimenti a
differenza della pubblicità ma è anche mezzo alternativo per l’impresa che opera già largamente nel settore
pubblicitario. Vi sono diversi tipi di sponsorizzazioni: quella sportiva è di sicuro in Italia quella di maggior
successo nonché la più antica (la gillet con alcuni giocatori di cricket agli inizi del ‘900), quella culturale e
artistica non sono molto diffuso (a differenza dell’America) mentre solo quella relativa a programmi
radiofonici o televisivi è oggetto di specifico riconoscimento legislativo. La sponsorizzazione sportiva viene
distinta in 6 categorie: di club/squadra/scuderia, singolo atleta, evento, abbinamento, pool e tecnica; per
abbinamento ha la particolarità che la sponsorizzazione avviene anche mediante l’utilizzazione da parte
dello sponsee del nome dello sponsor al fine di ottenere una maggiore incidenza del messaggio; il pool
consiste nella sponsorizzazione attuata mediante consorzio di imprese finalizzato al finanziamento a scopo
promozionale di attività che richiedono alti costi di realizzazione, infine la sponsoriz. tecnica/interna
presenta la particolarità che l’oggetto della fornitura da parte dello sponsor non comprende o non
comprende soltanto il corrispettivo in termini monetari bensì principalmente in mezzi e attrezzature
funzionali all’esecuzione della prestazione sportiva

La sponsorizzazione è un negozio bilaterale con obbligazioni a carico di entrambe le parti, si discute se


sponsor possa esser un ente di diritto pubblico poiché da una parte essi non hanno compiti e funzioni
proprie del mondo imprenditoriale ma d’altra parte nei limiti delle loro finalità istituzionali e di legge hanno
capacità di diritto privato ed interesse nella promozione/sostegno di iniziative artistiche/culturali/sportive;
nei casi in cui lo sponsee sia un minore in ragione solitamente dell’entità economica del contratto ha
indotto la dottrina a ritenerlo un atto di straordinaria amministrazione (consenso dei genitori e
autorizzazione del giudice tutelare) (per il libro non è condivisibile perché il minore è soggetto
dell’ordinamento sportivo e quindi il giudice dovrebbe valutare non il contratto di sponsorizzazione ma
l’atto di tesseramento, controllo sull’atto di tesseramento su cui gli autori del libro non concordano).
Riguardo alla causa la sponsoriz. rientra nella categoria dei contratti atipici poiché non disciplinata
espressamente dal legislatore e consiste in particolare nella diffusione a scopi pubblicitari da parte dello
sponsee del marchio/denominazione dello sponsor dietro corrispettivo, è un’obbligazione di mezzi perché il
basso rendimento dello sponsee non costituisce inadempimento (perciò pur nel ricorrere del do ut facias
non è assimilabile all’appalto che è obbligazione di risultato). Riguardo all’oggetto valgono le disposizione
del cc per cui esso deve essere lecito, possibile, determinato/detrminabile e può sostanziarsi dell’apporto
del singolo atleta o della squadra o di un evento sportivo. Non è prescritta una forma particolare anche se
nella prassi è ricorrente quella scritta data la solita entità economica del contratto. Essendo un contratto a
prestazioni corrispettive è passibile di risoluzione per inadempimento laddove lo sponsor non versi il
corrispettivo pattuito o lo sponsee non veicoli il marchio dello sponsor, pur se discusso in dottrina è tuttavia
esclusa la possibilità che lo sponsor possa agire per risolvere il contratto in caso di cattiva performance
dell’atleta a cui segue verosimilmente una ricaduta in termini di veicolazione del marchio (se non nei casi
eccezionali di cattive prestazioni per ledere l’immagine dello sponsor o provvedimenti sanzionatori che
rendano impossibile o quasi la veicolazione del marchio come nel caso di radiazione del tesserato); quanto
ai casi di irrogazione di sanzioni sportive per violazione di norme federali commesse dallo sponsee non
sussiste responsabilità per lo sponsor in quanto non è soggetto dell’ordinamento ma anzi può agire nei
confronti del primo per responsabilità precontrattuale per aver taciuto lui, soggetto dell’ordinamento
sportivo, l’esistenza di cause di invalidità/inefficacia del contratto

LICENSING E MERCHANDISING

il merchandising è lo sfruttamento del valore acquisito da nomi/espressioni/figure/segni di imprese al fine


di promuovere la diffusione e vendita di prodotti che appartengono ad un diverso settore di mercato,
l’operazione si caratterizza per una duplice utilizzazione di uno stesso segno: utilizzazione primaria riferibile
al titolare del segno e utilizzazione secondaria attuata dalla controparte e che realizza proprio la funzione di
merchandising, alla base dell’utilizzazione secondaria deve esservi un contratto che legittimi lo
sfruttamento del segno appartenente ad altri; con il termine licensing si indica invece il contratto di licenza
d’uso del marchio concessa dal titolare ad un altro soggetto affinchè esso apponga il marchio stesso su
prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui è stato creato; differenza tra i due contratti riguardano
l’oggetto in quanto il segno nel primo caso viene apposto su prodotti diversi rispetto a quelli per cui è stato
creato il marchio mentre nel secondo caso sono simili o identici ed inoltre il licensing riguarda solo marchi e
brevetti, altre differenza riguardano la causa in quanto nel merchandising lo scopo è quello di promuovere
la diffusione di prodotti estranei al settore al quale appartiene il prodotto il cui segno viene ceduto mentre
nel licensing lo scopo è di espandere la presenza del marchio sul mercato. Le parti del contratto vengono
generalmente denominate concedente e licenziatario, il contratto di merchandising è un contratto atipico
poiché non ha fonte nella legge ma nel potere di autonomia dei privati, la causa di tale contratto consiste
nel trasferimento del diritto d’uso del segno di cui è titolare il concedente a favore del licenziatario perché
questi lo apponga ai propri prodotti per incrementare le vendite, è un contratto oneroso e a prestazioni
corrispettive, il corrispettivo a carico del licenziatario consiste normalmente nel versamento di una somma
pari ad una data percentuale del fatturato realizzato dallo stesso licenziatario tramite la vendita dei prodotti
contrassegnati dal segno del concedente, talvolta è stabilito un corrispettivo fisso quale importo minimo
garantito; oggetto del contratto può avere diversa natura quali denominazioni, immagini, marchi e creazioni
intellettuali protette dal diritto d’autore, il contratto deve specificare a quali prodotti o classi di prodotti è
concesso l’uso del segno del concedente e se può cedere tale diritto a terzi nonché se compete a lui o meno
la vendita diretta al pubblico ed infine l’area geografica entro il quale il diritto in capo al licenziatario può
esser esercitato, a tal riguardo si può prevedere un diritto di esclusiva in favore del licenziatario o di
entrambi, nel primo caso il concedente non può apporre il proprio marchio sui suoi prodotti neanche
tramite terzi oppure non può farlo in quella determinata area geografica, nel secondo caso il concedente
non può cedere l’uso del marchio a terzi concorrenti del licenziatario e lo stesso fa quest’ultimo; è un
contratto di durata dove solitamente le parti fissano un termine finale ed è prassi quella di inserire nel
contratto di merchandising una clausola risolutiva in cado di gravi inadempienze da parte del licenziatario
quali ad es. la contraffazione, presentazione di rendiconti finanziari non veritieri oppure da parte del
concedente quale ad es. la mancata presentazione della domanda di rinnovo della registrazione del
marchio. Il merchandising in ambito sportivo ha avuto un notevole sviluppo a partire dagli anni 90’ da cui
sono nati alcuni dibattiti: il primo (ormai superato) sull’applicabilità della normativa in materia di marchi
registrati all’ipotesi in cui la parte concedente sia costituita da una società o associazione sportiva in quanto
esse non hanno la qualifica di imprenditori, seconda problematica era l’impossibilità di registrare come
marchi di impresa dei segni privi di carattere distintivo e in particolare dei segni che possono servire a
designare la provenienza geografica, tuttavia ciò è superato dal fatto che la ratio di tale norma è quella di
evitare l’uso di segni non distintivi e non esclude invece la possibilità di usare un toponimo se esso presenta
un carattere distintivo in ragione dell’uso che ne ha fatto la società, tanto più che le squadre spesso hanno
per norme quello della loro area geografica di provenienza in ragione dell’identità territoriale tra i tifosi e la
società stessa

DIRITTI TELEVISIVI

nel mercato dei diritti televisivi si distingue tra il mercato dei programmi in generale e quelli relativi ad
eventi sportivi di rilievo che si distinguono poi in generali e in quelli ad elevata audience; tra gli acquirenti di
diritti televisivi vanno distinte le emittenti in chiaro che offrono gratuitamente la visione del programma e
quelle in criptato che a loro volta si differenziano in pay-tv, pay per view eccecc. Ciò porta al fatto che nel
secondo caso si instaura un rapporto tra l’emittente televisiva e lo spettatore che dietro pagamento vede
l’evento mentre nel primo caso il rapporto è tra l’emittente e gli inserzionisti pubblicitari che assumono il
costo della trasmissione dietro corrispettivo di spazi televisivi da utilizzare (in questo caso agli spettatori
ricade indirettamente il costo del programma in quanto consumatori del prodotto pubblicizzato); in
definitiva quindi si può operare una tripartizione di livelli del mercato dei diritti televisivi: i titolari originari
dei diritti ossia gli organizzatori degli eventi sportivi oggetto di trasmissione televisiva (sono coloro che
giocano in casa), al secondo livello vi sono le emittenti televisive che acquistano i relativi diritti ed infine i
consumatori sui quali direttamente o indirettamente cade il costo del programma. In Italia la lega nazionale
professionisti decise di troncare il rapporto con la televisione pubblica e bandire una gara pe l’assegnazione
al miglior offerente dei diritti di trasmissione per il triennio 96-99 che fu vinta da Telepiù per la trasmissione
in criptato e dal gruppo cecchi gori per quella in chiaro; il legislatore ha posto attenzione alla materia in
oggetto con la legge 78/1999 secondo cui la titolarità dei diritti televisivi in forma codificata spettasse a
ciascuna società di calcio di seria A e B e si fissava il limite del 60% per l’acquisto di tali diritti, limite criticato
perché guardava solo al numero delle partite e non anche alla loro appetibilità in termini commerciali. La
disciplina è stata modifica dal dls 9/2008, con i riguardo ai soggetti sono organizzatori dell’evento le società
che assumono la responsabilità e gli oneri dell’organizzazione dell’evento disputato nell’impianto sportivo
di cui la stessa ha la disponibilità mentre sono organizzatore della competizione è il soggetto a cui è
demandata l’organizzazione della competizione da parte della federazione riconosciuta dal Coni; la
titolarità dei diritti è riconosciuta ad entrambi gli organizzatori mentre l’esercizio dei medesimi diritti
televisivi è proprio dell’organizzatore della competizione a cui spetta predeterminare le linee guida
contenenti i criteri per la formazione dei pacchetti contenenti ciascuno diritti televisivi differenti nonché le
regole per le procedure di gara; non è indicato però nel decreto l’organizzatore della competizione che dal
legislatore è stato identificato nella lega nazionale professionisti senza tener conto quindi del parere
dell’Antitrust che ha sconsigliato tale scelta nei lavori preparatori in quanto la lega è espressione delle
singole società calcistiche dovendosi preferire la FIGC come organizzatore in quanto organo più imparziale.
Diritto assai importante è quello di cronaca riconosciuto in favore degli operatori della comunicazione
purchè il suo esercizio non sia fonte di pregiudizio per i diritti audiovisivi o per gli interessi degli
organizzatori dell’evento/competizione; è riconosciuto inoltre il diritto per emittenti televisive che non
possiedono i diritti in questione di poter mandare in onda brevi estratti delle partite qualora ciò sia
opportuno per il resoconto dell’evento nell’ambito dei telegiornali, sempre riguardo al diritto di cronaca
l’antitrust ha preferito derogare alle disposizioni comunitarie al fine di salvaguardare la prassi consolidata in
Italia per cui l’estratto della partita non deve superare i 3 minuti (e non 1), può esser mandato in onda dopo
un’ora dalla conclusione dell’evento (invece che 3) anche nel 2012 il consiglio di stato ha dichiarato
illegittima la normativa antitrust. Gli art. 25 e 26 del dl 9/2008 prevedono che la ripartizione delle risorse fra
i soggetti partecipanti a ciascuna competizione è effettuata in modo da garantire l’attribuzione in parti
uguali di una quota prevalente (almeno 40%) e l’attribuzione delle restanti in base al bacino d’utenza e ai
risultati sportivi conseguiti (quest’ultima non inferiore a quella del bacino d’utenza), la disciplina si
completa poi con la previsione di una assegnazione annua dei ricavi non inferiore al 6% da destinarsi ai club
delle divisioni inferiori ed una quota non inferiore al 4% da destinarsi allo sviluppo dei settori giovanili delle
società professionistiche, la realizzazione di investimenti per la sicurezza degli impianti sportivi e il
finanziamento di almeno due progetti per anno per sostenere discipline sportivi diverse da quella calcistica

DOPING

con tale termine ci si riferisce all’uso o somministrazione di farmaci o sostanze biologicamente attive
nonché all’adozione o sottoposizione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed
idonee a modificare le condizioni psicofisiche dell’organismo con lo scopo di aumentare artificialmente le
prestazioni dell’atleta (art. 1 L. 376/2000). Tale pratica si è sviluppata a partire dagli anni 60 nell’est per poi
affermarsi nel resto d’Europa anche a livello amatoriale; la prima iniziativa assunta a livello europeo è stata
nel 1966 con la quale si invitavano i singoli stati membri ad assumere le iniziative opportune a diffondere il
valore dell’educazione fisica e dello sport, a cui è seguito un anno dopo esplicito riferimento al fenomeno
del doping; particolarmente importante è stato il lavoro svolto dalla commissione europea che nella
valorizzazione del piano etico che accompagna la lotta al doping ha espresso 3 principi cui l’azione
comunitaria deve ispirarsi: il diritto di tutti alla sicurezza e alla salute, il principio di integrità e trasparenza in
nome del quale deve esser garantita la regolarità delle competizioni sportive e l’attenzione particolare che
deve esser rivolta alle persone più vulnerabili; sulla base di questi principi il gruppo europeo di etica (GEE)
ha predisposto una serie di azioni, in particolare: attuazione di un sistema efficacie di controllo sulla salute
degli sportivi attraverso l’istituzione di un servizio specializzato di aiuto sanitario, psicologico e di
informazione, adozione di una direttiva sulla protezione dei giovani sportivi in particolare di quelli che
aspirano a divenire professionisti e di quelli che già lo sono, organizzazione di conferenza a tema doping e
maggiore cooperazione giudiziaria e di polizia. Dopo una serie di interventi a carattere non vincolante si è
giunti alla convenzione di Strasburgo contro il doping del 1989 (ratificata in Italia nel 95), per tale
convenzione si intende il doping come la somministrazione agli sportivi o l’uso di questi di classi
farmacologiche di agenti/metodi di doping contenuti in apposite liste approvate da un gruppo di vigilanza
istituito dalla stessa; quanto alla definizione di sportivo per l’applicazione della disciplina la convenzione
stabilisce che tali sono coloro che partecipano abitualmente ad attività sportive organizzate, il protocollo
aggiuntivo del 2002 alla convenzione stabilisce il reciproco riconoscimento della competenza delle
organizzazioni antidoping operanti a livello nazionale di effettuare sul proprio territorio i controlli
antidoping sugli sportivi provenienti dagli altri stati contraenti della convenzione. A livello internazionale il
codice mondiale antidoping rappresenta il documento fondamentale su cui si basa il programma mondiale
della lotta al doping nello sport ed ha due finalità principali: tutelare il diritto degli atleti alla pratica di uno
sport libero dal doping e quella di garantire l’applicazione di programmi antidoping armonizzati e coordinati
sia livello mondiale che nazionale; il codice fa carico agli atleti oltre all’obbligo di non assumere alcuna
sostanza vietata anche di altri obblighi quali quello di fornire informazioni precise e aggiornate sulla propria
reperibilità al fine di rendere possibili controlli a sorpresa e devono essere informati sulle sostanze e metodi
vietati contenuti negli elenchi. La normativa antidoping si completa con la previsione di apposite sanzioni in
relazione alle diverse possibili violazioni del regolamento in questione, anche il semplice possesso in luoghi
dove non si svolge attività fisica di sostanze vietate integra la violazione del regolamento, le sanzioni sono
irrogate dagli organi di giustizia interna delle rispettive federazioni e vanno dalla semplice nota di biasimo
alla squalifica a vita come nel caso di uso reiterato di sostanze dopanti; infine anche il settore degli
integratori alimentari è stato fatto oggetto delle attenzioni della convenzione secondo cui gli stati devono
incoraggiare i produttori/distributori di tali sostanze a fornire in particolare informazioni analitiche circa la
composizione degli integratori. In Italia si ha avuto per la prima volta una regolamentazione unitaria e
organica del doping con la L. 376/2000, a differenza della nozione di doping in ambito penale in quello
sportivo emerge l’assenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico consistente nell’intenzione di alterare
le prestazioni degli atleti, punto di contatto invece è quello di ricomprendere anche la fattispecie del doping
autogeno; quanto alla natura del reato si sostiene che esso sia di pura condotta giacchè non richiede che
l’azione criminosa produca anche un effetto esteriore nonché è di pericolo presunto poichè assolve alla
funzione di tutela anticipata dei beni protetti; è punito anche il commercio di sostanze dopanti acquistate
fuori dal circuito previsto con reclusione da 2 a 6 anni e condanne pecuniarie accessorie, ai fini della
configurazione della fattispecie criminosa deve sussistere il dolo generico ed è reato di pericolo. Il Comitato
Controlli Antidoping (CCA) è un organismo collegiale indipendente che provvede alla pianificazione ed
organizzazione dei controlli antidoping in competizione e fuori competizione ed è costituito da massimo 7
componenti, per l’effettuazione dei controlli si avvale degli ispettori medici qualificati dalla federazione
medico sportiva italiana, definisce i criteri in base ai quali gli atleti vengono inseriti nel proprio gruppo che
comporta la sottoposizione alla procedura di esenzione a fini terapeutici e l’obbligo del rispetto degli
adempimenti relativi al luogo di permanenza. Il comitato esenzioni a fini terapeutici è un organismo
collegiale indipendente il quale provvede all’attuazione delle procedure inerenti la richiesta di esenzione a
fini terapeutici, in particolare è demandata al comitato il rilascio del certificato di esenzione per tutti gli
atleti che siano affetti da patologie mediche documentate per la cui cura è necessario l’uso di una sostanza
vietata o il ricorso ad un metodo proibito; i componenti del comitato sono massimo 6 e vengono individuati
dal presidente della commissione scientifica antidoping il quale è presidente dello stesso comitato e
approvati poi dalla giunta nazionale del CONI; il rilascio della esenzione a fini terapeutici è subordinata alla
ricorrenza di rigorose condizioni: la domanda deve esser presentata 21gg prima della partecipazione alla
gara e comunque prima dell’inizio della terapia ed è concessa solo se altrimenti l’atleta subirà un danno
significativo alla salute se la sostanza vietata non sarà somministrata, tale sostanza non deve comunque
produrre un miglioramento delle prestazioni dell’atleta, non deve esserci terapia alternativa e non è resa
necessaria dall’assunzione precedente di altre sostanze vietate senza uso terapeutico delle stesse. L’ufficio
antidoping è un organismo indipendente che provvede alla gestione dei risultati e a compiere gli atti
necessari all’accertamento delle violazioni. Il tribunale nazionale antidoping è l’organismo indipendente che
decide in via esclusiva in materia di violazioni delle norme sportive antidoping, si compone di due sezioni: la
prima è competente a giudicare in primo grado tutte le violazioni delle norme poste in essere da atleti non
inseriti nel registro mentre la seconda sezione per quelle poste in essere da atleti iscritti al registro o
collegate alla partecipazione ad un evento sportivo internazionale

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