Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
IL QUADRO NORMATIVO
1. Premessa
(1) Vedi P. FEMIA, Due in uno, cit., p. 237. Per il rapporto tra ordinamento sportivo e
ordinamento nazionale vedi P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit.; R.
CAPRIOLI, Il significato dell’autonomia nel sistema delle fonti del diritto sportivo, cit., pp. 283 ss.
(2) P. FEMIA, Due in uno, cit., nota come il pluralismo delle fonti sia ben diverso dal
pluralismo degli ordinamenti e come la sussidiarietà possa abilitare in concreto anche
l’autonomia privata (ivi, pp. 294 ss.). Vedi anche A. MOSCARINI, Competenza e sussidiarietà
nel sistema delle fonti, Padova, CEDAM, 2003; P. FEMIA, Sussidiarietà e principi nel diritto
contrattuale europeo, in AA.VV., Fonti e tecniche legislative per un diritto contrattuale europeo, a
cura di P. PERLINGIERI-F. CASUCCI, Napoli, ESI, 2004; D. DE FELICE, Principio di sussi-
diarietà e autonomia negoziale, cit. Faceva notare N. LIPARI, Introduzione alla Tavola roton-
da sulla prestazione sportiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 4,
come “al di là della prospettiva... di una formale unificazione e armonizzazione dei
singoli diritti nazionali”, ancora lontana, si sia realizzato un effetto rivoluzionario
che, “modificando dal di dentro il nostro sistema delle fonti, ha creato quello che,
con immagine felice (ancorché lontanissima dai nostri abituali strumentari), è stato
definito un ‘sistema mobile del diritto civile’, non più racchiuso nel ristretto orizzonte
dell’ordinamento giuridico dello stato”. (Lipari cita U. BRECCIA, Considerazioni sul diritto
privato sovranazionale fra modelli interpretativi e regole effettive, in AA.VV., Scritti in onore di R.
Sacco, a cura di P. CENDON, Milano, Giuffrè, 1994, pp. 111 ss.). Vedi, ancora, p. 231,
dove si legge che “il tema della prestazione sportiva” va “riconnesso alla crisi del pa-
radigma dell’esclusiva statualità del diritto”. In questo testo si trova anche (pp. 1211
ss.) il saggio di M.R. WILL, Les structure du sport international, sulla struttura piramidale
degli ordinamenti sportivi. Cfr., anche, F. GALGANO, Le fonti del diritto nella società postin-
dustriale, in Soc. dir., 1990, p. 153, per il quale: “Il principale strumento dell’innovazione
giuridica è il contratto: il principale strumento mediante il quale il diritto codificato
viene adeguato alle mutate esigenze della società è la sentenza”.
sua funzione sociale. Ciò non toglie, però, che, a fronte delle trasfor-
mazioni in senso economicistico che si sono verificate, si avverta an-
che l’esigenza di una regolamentazione che possa definirne le varie
tipologie, poiché non si può tralasciare il fatto che il dilettantismo de-
ve essere considerato una macrocategoria nella quale confluiscono e
acquistano autonoma fisionomia anche prestazioni sportive del tutto
simili a quelle dei professionisti, che non possono essere considerate
attività meramente ricreative e per le quali, pertanto, si realizza una
disparità di trattamento difficilmente giustificabile facendo ricorso al-
l’unico dato formale della qualificazione federale.
(3) Quando si affronta il tema del rapporto tra ordinamento giuridico statale e or-
dinamento sportivo si tende talvolta, ancora oggi, ad applicare l’impostazione me-
todologica pluralistica risalente alla concezione di Santi Romano e sviluppata suc-
cessivamente da vari Autori. Fra le più utili ricostruzioni di questa tematica, effet-
tuate dal punto di vista del diritto dello sport, si veda, innanzitutto, M.S. GIANNINI,
Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport, 1949, pp. 10 ss.;
ID., Sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti del XIV congresso internazionale
di sociologia (Roma, 30 agosto-3 settembre 1950), IV, (1950), ora in ID., Scritti
(1949-1954), vol. III, Milano, Giuffré, 2003, pp. 405-421; ID., Gli elementi degli ordi-
namenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubb., VIII, 1958, pp. 219-240; ID., Ancora sugli or-
dinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubb., 1996, pp. 671 ss. Un’esaustiva biblio-
grafia in argomento si trova in S. ORONZO-D. TUPONE, Il lavoro sportivo, in AA.VV.,
Manuale dello Sport, a cura di S. ORONZO-D. TUPONE, Milano, Le Monnier, 2004, pp.
169 ss.; Si può far riferimento a L. DI NELLA, La teoria della pluralità degli ordinamenti
giuridici: analisi critica dei profili teorici e delle applicazioni al fenomeno sportivo, in Riv. dir.
sport, 1998; ID., Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, ESI, 1999; M.
RUOTOLO, Giustizia sportiva e costituzione, in Riv. dir. sport, 1998, pp. 403 ss.; G. MAN-
FREDI, Osservazioni sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, Nota a TAR
Lazio, 22 agosto 2006, n. 7331, in Foro amm., TAR, 2006, 2971; R. CAPRIOLI, Il si-
gnificato dell’autonomia nel sistema delle fonti del diritto sportivo nazionale, cit.; G. MANFRE-
DI, Pluralità degli ordinamenti giuridici e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia sociale e
giustizia sportiva, Torino, Giappichelli, 2007; Cfr., anche, AA.VV., Il diritto sportivo nel
contesto nazionale ed europeo, a cura di C. ALVISI, Torino, Giappichelli, 2007; R. MOR-
ZENTI PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti fra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Mi-
lano, Giuffrè, 2007; P. ZATTI, Ordinamento sportivo e ordinamento giuridico statuale tra
‘autonomia’ e ‘riserva di giurisdizione’. Dal ‘diritto dei privati’ all’'ordinamento settoriale’ verso
la ‘lex sportiva’?, in Rassegna di diritto e economia dello sport, 2007; M. GALLI, Sanzioni
disciplinari e difetto di giurisdizione: sui rapporti tra ‘ordinamento sportivo’ e ‘ordinamento della
repubblica’, in Rassegna di diritto e economia dello sport, 2008, pp. 283 ss; M. SFERRAZZA,
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in
Giustiziasportiva.it, I, 2009. La posizione di Di Nella, che sottopone a critica la tra-
dizionale interpretazione, è stata ripresa anche da N. LIPARI, Sulla prestazione spor-
tiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 326, per il quale nel
campo specifico “non abbiamo un fenomeno autenticamente ‘pluriordinamentale’
perché i sistemi normativi contemporanei fondano la loro giuridicità sul principio
della completezza: dunque quello statale – con i collegamenti ai sistemi sovraor-
dinati e internazionali – è il sistema tramite il cui vaglio accede alla giuridicità il
fenomeno sportivo”. Sul punto confronta anche P.A. CAPOTOSTI, Rapporti tra ordi-
namento giuridico generale e impresa sportiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento
giuridico, cit., pp. 687 ss., il quale ricorda come, all’epoca in cui Giannini scriveva,
l’organizzazione dello sport si presentasse con i caratteri tipici dell’autonomia e
dell’autogoverno, ma come oggi questa configurazione non possa essere più con-
siderata valida. Si può ricordare che sulla pluralità degli ordinamenti giuridici ha
scritto delle pagine interessanti, ancora oggi richiamate, A.E. CAMMARATA, Il concet-
to del diritto e la “pluralità degli ordinamenti giuridici” (1926), ora in ID., Formalismo e sa-
pere giuridico, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 185 ss. È convinzione di Cammarata che la
“giuridicità di una norma” non dipenda dalla sua particolare struttura o dall’appar-
tenenza ad un gruppo, ma norma giuridica sia “solo quella che, in immediato ed
esclusivo riferimento ad una o più attività pratiche, viene assunta come loro unica
regolatrice” (p. 214). Cammarata ritiene che “la scelta di un determinato sistema,
come unico regolatore di una o di una serie di attività pratiche, implica eo ipso la
esclusione di ogni valore giuridico originario per tutte quelle altre norme che non
fanno parte del sistema”. Sotto questo rispetto sarebbe fatta salva la giuridicità
dell’ordinamento sportivo almeno su quelle questioni per le quali esso è accettato
come unico regolatore di una serie di attività pratiche, vale a dire come regolatore
di tutte le regole tecniche.
(4) Si veda D.P. PANAGIOTOPOULOS, Sports Law (Lex sportiva), in the World. Regulation
and Implementation, Atene, 2004, al quale va riconosciuto l’impegno dell’organizza-
zione, attraverso lo IASl (International Association Sports Law), di convegni an-
nuali sui temi del diritto sportivo internazionale. Cfr. anche la rivista e-lex sportiva
Journal, che ha come finalità “the development and the promotion of the Sports
Law Science worldwide and of Lex Sportiva Theory”.
(5) Cfr. L. CASINI, Il diritto globale dello sport, Milano Giuffrè, 2010, pp. 7 ss., il quale
cita M.S. GIANNINI, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi (1996), in ID., Scritti, IX,
Milano, Giuffrè, 2006, p. 441 ss., per il quale il diritto internazionale sportivo si
riferisce a ad un diritto superstatale, ad una normativa interstato e superstato.
(6) Cfr. L. CASINI, Il diritto globale dello sport, cit.
(7) Vedi L. ALLISON ( ed.), The global Politics of sport. The Role of Global Institutions in
Sport (Sport in the Global Society), London, Dublin Press, 2005; F. LATTY, La lex spor-
tiva. Recherche sul le droit transnational, Boston, Nijhoff Pub., 2007; J.A.R. NAFZIGER,
International Sports Law, New York, 2004; ID., The future of International Sports Law, in
Willamette Law Review, 2006, pp. 861 ss.; A. WAX, Internationales Sportsrecht. Unter be-
sonderer Berücksichtigung des Sportvölkerrechts, Berlino, 2009 (zugl. Diss. Tübingen,
2008).
(8) S. BASILE, in una nota a sentenza (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2007, n.
19493, in N.G.C.C., 2008, 10, 307), trova che abbia sorpreso e che agli interpreti
richieda “arditi esercizi ermeneutici” l’essere stato incluso nel 2001 l’‘ordinamento
sportivo’ fra le “materie di legislazione concorrente (cfr. il comma 3° dell’art. 117
Cost.), con la conseguenza che la potestà legislativa su di esso spetta alle Regioni,
mentre allo Stato compete determinare solo i principi fondamentali”. Cita, quindi,
M. GOLA, Sport e regioni nel titolo V della costituzione, in Giustizia sportiva e arbitrato, a
cura di C. VACCÀ, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 49 ss. Cfr. anche F. CARDARELLI, Or-
dinamento sportivo e potestà normativa regionale concorrente, in Foro amm., TAR, 2006,
3707 ss. Vedi ancora P.A. CAPOTOSTI, Rapporti tra ordinamento giuridico generale e im-
presa sportiva, cit., p. 699: “Si potrebbe forse dire che non c’è stato alcuno sforzo di
elaborazione dottrinale nell’adoperare il termine ‘ordinamento’...probabilmente
per i redattori dell’articolo in questione, il termine ‘ordinamento’ conferiva co-
munque una certa connotazione giuridica a determinate materie che si volevano
regolare”. Sul ruolo delle regioni nello sport: F. BLANDO, Il ruolo e le competenze delle
regioni nello sport, in RDES, I, 2009, pp. 29 ss. Sui criteri di riparto delle competenze
legislative e amministrative tra Stato e regioni cfr. anche sentenza Cost., n. 303/
2000. Cfr. anche O. FORLENZA, Gli ordinamenti sportivi, in AA.VV., Diritto dello sport, a
cura di L. MUSUMARRA-L. SELLI, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 28, che definisce
l’ordinamento sportivo “ordinamento settoriale nell’ambito del più generale ordi-
namento giuridico della repubblica”, interpretando così l’espressione ordinamento
giuridico contenuta nell’art. 117 Costituzione.
(9) T.E. FROSINI, L’ordinamento sportivo nell’ordinamento costituzionale, in AA.VV., Feno-
meno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 305.
(10) Siamo oggi ben lontani dal contesto in cui avveniva la sentenza (Cass., 11 feb-
braio 1978, n. 625, in Foro it., 1978, 862) con la quale la Cassazione definiva l’or-
dinamento sportivo come ordinamento giuridico sezionale a base plurisoggettiva,
autonomo e originario che attinge la sua fonte dall’ordinamento giuridico interna-
zionale e ha potestà amministrativa e normativa. Con la sentenza del 29 dicembre
2004, n. 424, in Giur. cost., 2005, 4503, la Corte costituzionale richiama più volte,
anche se non ne dà una definizione, l’espressione ‘ordinamento sportivo’. Per un
commento critico sulla sentenza cfr. R. BIN, Quando la Corte prende la motivazione
sportivamente, nota a sentenza 424/2004, in Reg, n. 4-5, 2005. Ma si parla anche,
nel rapporto stato-regioni, di ‘ordinamento civile’. La Corte costituzionale, con
sentenza, 18-03-2005, n. 106, nel pronunciarsi sul riparto di competenza tra stato
e regioni, ricorda come “negli interventi successivi all’entrata in vigore del nuovo
titolo V della Costituzione, si debba guardare all’‘ordinamento civile’ non più co-
me ‘limite’, bensì come ‘materia’”. La sentenza, che parla più volte di ‘ordinamen-
to civile’, fa riferimento a numerose sentenze precedenti (Cost., 19 dicembre
2003, n. 359, in Foro it., 2004, I, 1692, e Contr., 2004, 177, con nota di G. ALPA;
Cost., 29 settembre 2003, n. 300, in Corr. giur., 2003, 1567, con nota di G. Napo-
litano; Cost., 26 giugno 2002, n. 282, in Foro it., 2003, I, 394). Sul significato di
‘ordinamento civile’ vedi G. ALPA, L’‘ordinamento civile’ nella recente giurisprudenza co-
stituzionale, in Contr., 2004, II, pp. 185 ss.; ID., Le fonti del diritto civile: policentrismo
normativo e controllo sociale, cit.; V. ROPPO, Diritto dei contratti, ordinamento civile, compe-
tenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, in Corr. giur.,
2005, 9, p. 1301, ricorda come la modifica del titolo V e, in particolare, l’art. 117,
abbia codificato “la categoria di ‘ordinamento civile’ quale campo riservato al le-
gislatore nazionale, e dunque barriera alla potestà legislativa delle Regioni”. Vedi.
anche AA.VV., L’ordinamento civile nel nuovo sistema delle fonti legislative, a cura di N. LI-
PARI, Milano, Giuffrè, 2003. N. IRTI, Sul problema delle fonti in diritto privato, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2001, pp. 702 ss., ritiene che il termine debba essere inteso come
‘ordinamento giudiziario in materia civile’.
(11) Per una discussione sulla evoluzione degli intendimenti dell’Unione europea
nei confronti dello sport, cfr. J. TOGNON, Lo sport e il trattato di Lisbona. L’irrisolto
problema della specificità, in AA.VV., Le scienze dello sport: Il laboratorio atriano, a cura di
G. SORGI, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2012, pp. 189 ss.
(12) COM, 2007, 391, in RDES, 2, 2007. Per una disamina degli aspetti più signi-
ficativi e dei profili critici del documento si rimanda a G. DE CRISTOFARO, Il libro
bianco dello sport della Commissione europea, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento
giuridico, cit., pp. 29 ss.
(13) Sul punto: AA.VV., Sport Unione Europea e diritti umani. Il fenomeno sportivo e le sue
funzioni nelle normative comunitarie e internazionali, a cura di J. TOGNON-A. STELITANO,
Padova, CLEUP, 2011.
(14) J. ZYLBERSTEIN, La specificità dello sport nell’Unione Europea, in RDES, IV, 2008, p.
59. Sulla specificità dello sport cfr. M. COLUCCI, L’autonomia e la specificità dello sport
nell’Unione europea: alla ricerca di norme sportive necessarie, proporzionali e di ‘buon senso’, in
RDES, 2, 2006; ID., Sport in the European Union Treaty: in the name of Specificity and
Autonomy, in AA. VV., The future of sport in the European Union, a cura di M. COLUC-
CI-R. BLANPAIN-F. HENDRICKS, The Hague, Kluwer Law International, 2008. Vedi
ancora E. SZYSCZAK, Is sport special?, cit.; M. COLUCCI, Sports Law in Italy, cit.; M.
NINO, The Protection and Promotion of Sport in the EU Following the Treaty of Lisbon
and the Bernard Ruling, in The Global Community Yearbook in International Law and ju-
risprudence, I, 2010, New York, 2012, pp. 179 ss.
(15) Cfr. la sentenza Bernard (Corte di giustizia UE, sentenza 16 marzo 2010, cau-
sa C-325/08). Si veda, a proposito, AA. VV., Vincolo sportivo e indennità di formazione.
I regolamenti federali alla luce della sentenza Bernard, a cura di M. COLUCCI-M.J. VACCA-
RO, Bruxelles-Salerno, Sport Law and Policy Center, 2010.
(16) Sui profili strutturali della prestazione sportiva: R. PRELATI, La prestazione spor-
tiva nell’autonomia dei privati, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 115 ss. Per una definizione
di attività sportiva dilettantistica, vedi L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordina-
mento giuridico, Napoli, ESI, 1999, pp. 162 ss.
Vedi, anche, D. DE FELICE, Principio di sussidiarietà, cit., pp. 125 ss. Sulla coerenza
sistematica vedi, anche, T.E. FROSINI, L’ordinamento sportivo nell’ordinamento costituzio-
nale, cit.
(20) Si può forse dire che “sul piano generale, la struttura ordinaria della norma-
zione – sia essa di origine statale o comunitaria o internazionale – si è fatta duale:
da un lato un nucleo di principi di diritto generale, retti dal principio di coesione
ordinamentale e, dall’altro, l’affidamento della parte prevalente a fonti autonome”
(A. MANZELLA, Ordinamento giuridico generale e istituzioni sportive, cit., p. 706).
(21) Cfr. L. DI NELLA, La tutela della personalità dell’atleta, in AA.VV., Fenomeno sportivo
e ordinamento giuridico, cit., pp. 76 ss., per il quale si può ritenere che “il modello
giuridico dello sport europeo faccia ormai parte integrante del diritto comunitario
in qualità di complesso di ‘principi generali’ in quanto risulta sia dalla tradizione
giuridico-culturale europea sia dalla prassi comune negli Stati membri ed è adot-
tato in via interpretativa dalla Corte di giustizia nelle sue decisioni in materia”.
3. La L. 23 marzo 1981, n. 91
(22) L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel secolo XX, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2, 2000,
p. 9.
(23) Cfr. N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, Giuffrè, 1978. Ma cfr. anche ID., L’età
della decodificazione. ‘L’età della decodificazione’ vent’anni dopo, Milano, Giuffrè, 1999.
(24) Cfr. A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in
AA.VV. La giustizia sportiva, cit., p. 84.
(25) Tale rigidità è stata, infatti, successivamente mitigata, sul piano generale, a se-
guito del processo di liberalizzazione del sistema, che ha esteso l’assunzione diret-
ta a tutte le forme di avviamento al lavoro (Legge 28 novembre 1996, n. 608 e
D.Lgs. n. 297/2002), e di sburocratizzazione dei processi di incontro tra domanda
e offerta (D.Lgs. n. 276/2003).
(26) G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. civ., I,
1993; M. PERSIANI, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società
e sportivi professionisti, in N.L.C.C, 1982, p. 576; B. BERTINI, Il contratto di lavoro spor-
tivo, in Contr. e impr., 1988, p. 748. Non è un caso, comunque, che, negli ultimi de-
cenni, abbia trovato consenso, vista la emersione del professionismo di fatto, la
richiesta di applicare anche a costoro la L. 91/81. Su questo versante si situano
P. ICHINO, Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento, in AA.VV., Commentario
del Codice civile Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1992; F. REALMONTE, L’atleta professionista
e l’atleta dilettante, in Riv. dir. sport, 1997; P. TOSI, Sport e diritto del lavoro, in ADL,
2006. Va ricordato che, talvolta, anche in giurisprudenza (Pret. Busto Arsizio,
12 dicembre 1984, in Giust. civ., 1985, 2085 ss.) è stata considerata direttamente
applicabile allo sport dilettantistico la legge 91/81.
(27) Cass., 28 dicembre 1996, n. 11540, cit.; Cass., 17 gennaio 1996, n. 354, in
DPL, 1996, 1327; Cass., sez. lav., 8 giugno 1995, n. 6439. Cfr., più recentemente,
Cass., sez. lav., 11 aprile 2008, n. 9551, in Foro it., 2008: per la quale “spetta al giu-
dice ordinario conoscere della controversia tra massaggiatore e società calcistica
relativamente al rapporto di lavoro subordinato intercorso, cui è applicabile la
normativa generale del contratto a termine nonché il principio dell’onnicompren-
sività della retribuzione e del patto di conglobamento, restando esclusa l’applica-
zione della L. 91/81 alla figura del massaggiatore di società calcistica”.
(31) Si legge all’art. 1: nel caso di primo contratto “deve essere stabilito dalle Fe-
derazioni Sportive nazionali un premio di addestramento e formazione tecnica a
favore della società sportiva presso la quale l’atleta ha svolto la sua attività dilet-
tantistica”.
dilettantistiche, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., pp. 397 ss. An-
che se in maniera non esaustiva, si ricordano tali provvedimenti normativi, dai
quali si deduce come lo sport sia toccato molto spesso da decisioni ad esso estra-
nee ma che, pure, lo coinvolgono. Prima della L. 586/96 si erano avuti: la L. 31
gennaio 1992, n. 138: “Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità del Co-
mitato olimpico nazionale italiano (CONI)”, che disponeva, all’art. 3, c. 1, l’inqua-
dramento del personale in servizio presso le Federazioni sportive nazionali nei
ruoli del personale del CONI, e il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29: “Razionalizza-
zione degli organi delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in
materia di pubblico impiego a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1991, n.
426”. Toccano aspetti della regolamentazione dello sport il D.Lgs. 31 marzo
1998, n. 112: “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,
n.59”; il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286: “Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che sarà
modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189; quindi, il D.Lgs. 20 ottobre 1998, n.
368: “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’art. 11
della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che, all’art. 2, comma 1 lettera b), devolve al
Ministero le attribuzioni in materia di sport e di impiantistica sportiva spettanti
alla Presidenza del Consiglio dei ministri e, all’art. 2, 2 lettera g), la vigilanza sul
CONI e sull’istituto per il credito sportivo. A pochi mesi di distanza segue l’im-
portante D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242: “Riordino del Comitato olimpico nazionale
italiano-CONI, a norma dell’art.11 della L.15 marzo 1997, n. 59 (c.d. Decreto Me-
landri)”. Compare nel Decreto il tema del diritto dei disabili la cui promozione
rientra nei compiti del CONI. Importante l’art. 14 che consente al CONI, per
una migliore funzionalità dell’ente, di “costituire, previa autorizzazione del mini-
stro vigilante, società di capitali”. Nella Legge, all’art. 15, si dispone sulle FSN e,
all’art. 16, si prevede che negli Statuti federali debbano essere contemplati il prin-
cipio di democrazia interna e il principio di partecipazione all’attività sportiva da
parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo
nazionale e internazionale. Detta anche norme elettorali e prevede che gli statuti
federali assicurino “forme di equa rappresentanza di atlete e atleti”. Ricordiamo
poi la L. 21 novembre 2000, n. 342, in materia fiscale (art. 37, Disposizioni tribu-
tarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche) che prevede una esenzione
di imposta fino a 10 milioni per compensi erogati da società sportive dilettantisti-
che. Per inciso questa statuizione di natura fiscale ha consentito ad alcune Fede-
razioni di legittimare solo quegli accordi tra società e atleti contenuti nei limiti se-
gnati alla normativa fiscale. Segue il Decreto del Ministero della salute del 7 agosto
2002 recante norme procedurali per l’effettuazione dei controlli antidoping e per
la tutela della salute, ai sensi dell’art. 3, comma 1 della legge 14 dicembre 2000, n.
376. Interviene poi la L. 8 agosto 2002, n. 178, che, all’art. 8, Riassetto del CONI,
segna la nascita del CONI Servizi spa. Il successivo D.L. 24 dicembre 2002, n. 282
reca “Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari fiscali e di pro-
cedure di contabilità”. La L. 24 aprile 2003, n. 88, in tema di violenza negli stadi,
precede di poco il D.L. 19 agosto 2003, n. 220: “Disposizioni urgenti in materia di
giustizia sportiva”. Modalità di attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 7
della legge 14 dicembre 2000, n. 376, recante “Disciplina della tutela sanitaria delle
attività sportive e della lotta contro il doping”, che sarà convertito con la legge di
conversione del 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia di
giustizia sportiva. Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in
materia di occupazione e mercato del lavoro, cd. Riforma Biagi, sui contratti di
inserimento che apre al mondo dello sport modalità lavorative innovative). A in-
tegrazione o correzione di alcune criticità del c.d. Decreto Melandri interviene
D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 15 (decreto Urbani Pescante), recante modifiche ed in-
tegrazioni al decreto Melandri e che prevede ancora un riordino del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano. A sua volta, la L. 21 maggio 2004, n. 128, reca mo-
difiche all’art. 90 della L. 27 dicembre 2002, n. 289 (art. 4: interventi nei settori dei
beni e delle attività culturali e dello sport; c. 6-ter riguardante la forma scritta per
la costituzione delle società e associazioni sportive e l’elencazione delle caratteri-
stiche che devono necessariamente essere indicate nell’atto costitutivo; c. 18 bis
sul divieto agli amministratori delle società e delle associazioni sportive di ricopri-
re la medesima carica in altre società o associazioni sportive). Ricordiamo poi il
D.L. 28 maggio 2004 sull’applicazione dei benefici fiscali alle società e associazioni
sportive; la L. 24 luglio 2004, n. 186 (delega al governo per il riassetto delle dispo-
sizioni legislative in materia di sport); la L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria
2007). Importante la Legge 19 luglio 2007, n. 106, di delega per la revisione della
disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi e rela-
tiva ripartizione delle risorse provenienti dalla commercializzazione di tali diritti.
La legge afferma il carattere sociale dell’attività sportiva e riconosce la specificità
del fenomeno. È evidente che con la commercializzazione dei diritti audiovisivi si
rende ancora più complesso il fenomeno sportivo e al suo interno prende ancora
più forza il concetto di impresa. Il punto di contatto tra gli ordinamenti diventa
stretto e l’intreccio di norme e principi mostra la sua complessità. Interferiscono,
per quanto riguarda gli scopi perseguiti dall’impresa, scopi ideali (associazioni-
smo), e scopi di lucro (società), per cui si rende difficile il compito dell’interprete
al quale tocca ricorrere al bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti,
vale a dire la tutela dell’iniziativa economica privata, da una parte, e la garanzia
della sicurezza, della libertà e della dignità umana, dall’altra (art. 41, comma 1 e
2, Cost.). L. 24 dicembre 2012, n. 228, contenente la proroga della deroga dell’ap-
plicazione alle FSN e alle DSA art. 6 legge 122/2010. È agevole notare, ad un
primo sguardo, che ogni volta che il legislatore è intervenuto, lo ha fatto in ma-
niera asistematica e molto spesso per tentare di porre rimedio a una situazione
specifica, a correggere un provvedimento precedente o a colmare una lacuna o
a correggere un tipo di tutela, mancante o non adattabile al settore sportivo spe-
cifico.
(34) R. AFELTRA, Il regime fiscale delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche, cit.,
p. 603.
(35) Senza scendere nei particolari, ricordiamo che le deroghe riguardavano, tra
l’altro, gli impianti audiovisivi, gli accertamenti sanitari, le mansioni del lavoratore,
visto che è impossibile configurare l’attività sportiva alla stessa stregua del norma-
le rapporto di lavoro in termini di carriera e di mansioni e di categorie; le sanzioni
disciplinari. Interessante la deroga relativa all’art. 18, sulla reintegrazione del posto
di lavoro. Si tratta di un’esclusione che va raccordata con la L. 604/66, artt. 1-8
(giusta causa e giustificato motivo; modalità del licenziamento; causa del licenzia-
mento; onere della prova; impugnazione del licenziamento; tentativo di concilia-
zione e riassunzione e risarcimento). Infine, l’inapplicabilità degli artt. 2118 e 2119
c.c. si basa anch’essa sulla considerazione dell’estrema particolarità delle vicende
sportive ed economiche delle società che sono caratterizzate da notevole mobilità
ma, anche e soprattutto, si fondano sul carattere fiduciario del rapporto di presta-
zione sportiva, al quale non possono facilmente e immediatamente adattarsi le
norme restrittive che regolano la risoluzione del rapporto di lavoro ordinario e dei
suoi effetti. Si ripristina, in tal modo, nel campo del lavoro sportivo, la recedibilità
senza giusta causa (ad nutum, ovvero il recesso che non richiede alcuna giustifica-
zione disciplinato dagli artt. 2118 e 2119 c.c.). Non si capisce perché alcune di
queste deroghe fossero limitate al solo ambito professionistico e non potessero
essere applicate anche a tutta l’attività sportiva, quando questa, oltre ad essere
del tutto assimilabile come attività a quella del professionista ex lege, dovesse assu-
mere le caratteristiche di una attività lavorativa.
(36) G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav., 2002, I,
p. 42. Cfr., anche, B. BERTINI, Il contratto di lavoro sportivo, cit., p. 744.
(37) Per una disamina della norma inderogabile si veda R. DE LUCA TAMAJO, La
norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, Jovene, 1976; M. BIANCA-S. PATTI-
G. PATTI, Lessico di diritto civile, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 393 ss., ed. 1995. Vedi,
anche, E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile,
norma dispositiva, norma suppletiva, in Riv. dir. civ., 2001, pp. 585 ss.; C. PONTERIO, I
diritti dei lavoratori tra inderogabilità e deroghe, in Questioni di giustizia, II, 2008; M. NO-
VELLA, L’inderogabilità nel diritto del lavoro. Norme imperative e autonomia individuale, Mi-
lano, Giuffrè, 2009; A. ZOPPOLI, Il declino dell’inderogabilità?, in Diritti lavori mercati, I,
2013, pp. 53 ss.
(38) Sul punto dei valori prodotti dalla Costituzione: R. SACCO, Trattato di diritto ci-
vile. Il contratto, I, Torino, UTET, 2004, pp. 32 ss.
(39) Cfr. A. MANZELLA, Ordinamento giuridico generale e istituzioni sportive, cit., p. 706:
“È la sovranità universalistica dei diritti delle persone, che è il vero jus gentium della
modernità, il parametro di legittimità di qualsiasi ordinamento giuridico”. Ma, ag-
giunge l’A., “queste premesse concettuali sono spesso contraddette dalla realtà
fattuale delle polimorfiche situazioni giuridiche in cui di volta in volta si collocano
e agiscono le istituzioni sportive”.
dell’art. 1418 c.c. (che, comunque, precisa “salvo che la legge di-
sponga diversamente”), o illecita la causa che vi contrasti, ai sensi
dell’art. 1343 c.c. (40).
Alla nozione di norma imperativa, la dottrina ha affiancato
quella di norma cogente o quella di norma categorica, o di norma
assoluta o indisponibile. E se pure è vero che spesso si usano ter-
minologie intercambiabili, tra i vari concetti sono state tracciate
differenze sostanziali. Si è distinto, infatti, tra norme inderogabili
(concernenti la condizione dei poteri privati rispetto ad un precetto
legislativo che non può essere violato), norme indisponibili (per le
quali l’interesse costituzionalmente protetto non può mai essere
oggetto di disposizione), norme cogenti (indicative di un certo mo-
dello il cui mancato rispetto non comporta tuttavia la caducazione
dell’intero atto) e norme imperative (non derogabili per volontà
delle parti, che fissano i valori fondamentali dell’ordinamento giu-
ridico la cui violazione produce illiceità) (41).
Nella considerazione della norma inderogabile, comunque la
si voglia definire, si contrappongono due aspetti che sembrano di-
ventare paradigmatici: il principio di autorità, a cui fa riferimento il
sistema dei valori e da cui, quindi, dipendono scelte di fondo, e il
principio di libertà, che attiene all’autonomia privata. Dal confron-
to, può sorgere anche la possibilità di diversificazione e, quindi, di
una deroga che tenga conto della specificità di rapporti e delle esi-
genze derivanti da situazioni particolari, fermo restando il legame
con il principio dell’indisponibilità dei diritti. Alla fissità del dato
funzionale si accompagna, quindi, la struttura aperta del suo pro-
filo contenutistico, per cui risulta difficile individuare, se non sol-
tanto su base storica, i suoi contenuti concreti, che dipendono dalle
(40) Cfr. F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Padova, CEDAM, II, 2014, pp. 363 ss.
(41) Cfr. E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponi-
bile, norma dispositiva, norma suppletiva, cit. Cfr., sul punto, C. CESTER, La norma inde-
rogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2, 2008, p.
2, per il quale “l’inderogabilità opera come tecnica normativa, e dunque come cri-
terio di confronto e di regolazione della concorrenza tra fonti (in senso ampio) di
disciplina di un certo rapporto giuridico, segnando la prevalenza (totale o parziale,
definitiva o temporanea) di una di esse sull’altra o sulle altre. Ma è altrettanto certo
che la tecnica dell’inderogabilità non è fine a se stessa, perché le ragioni di quella
prevalenza si spiegano solo in relazione a scelte su valori ed interessi, secondo
priorità ricavabili dall’ordinamento e in particolare dal quadro costituzionale. In-
somma, l’inderogabilità si presenta come un binomio nel quale fini e mezzi del-
l’intervento normativo si fondono insieme e, nel loro complesso, forniscono
una chiave di identificazione e di lettura dello stesso ordinamento generale”.
(42) Sintomatico che in questa direzione negli anni recenti la norma inderogabile,
che si intreccia e si scontra con l’autonomia negoziale, sia stata richiamata non
solo nel campo del lavoro a difesa del prestatore di lavoro subordinato, ma anche
a tutela del consumatore, del titolare di rapporti agrari, dei clienti delle banche ecc.
(43) Sul punto del necessario rispetto per le norme procedurali vedi Cass., sez. un.,
26 aprile 1994, n. 3965 e 3966, in Foro it., 1994, I, 1708, con nota di D. AMOROSO
(confermate anche da Cost., 23 novembre 1994, n. 398): “il licenziamento intima-
to a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pure essa ido-
nea a configurare la giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., ha natura ‘ontologicamen-
te’ disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie pro-
cedimentali di irrogazione stabilite dall’art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300, la cui
violazione, tuttavia, non comporta nullità dell’atto di recesso, ma lo rende ingiu-
stificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, ma non fatto
valere attraverso quel procedimento, non può, quand’anche effettivamente sussi-
stente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere ad-
dotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata dall’or-
dinamento nelle diverse situazioni e cioè a quella massima cosiddetta reale, ex art.
18, citata legge n. 300 del 1970, ovvero all’alternativa fra riassunzione e risarci-
mento del danno, secondo il sistema della L. n. 604 del 1966, o, infine, all’onere
del preavviso ex art. 2118 c.c., incombendo, poi, sul lavoratore l’onere di provare,
se contestata, la ricorrenza dei requisiti di legge – ivi compresi quelli attinenti ai
limiti dimensionali dell’organizzazione facente capo al datore di lavoro – per l’at-
tribuzione del tipo di tutela rivendicata”. In dottrina S. MAINARDI, Il potere discipli-
nare nel lavoro privato e pubblico (art. 2106), Milano, Giuffrè, 2002, p. 190. Sul punto,
v. anche Cass., sez. un., 26 luglio 1999, n. 508: “L’ipotesi del lavoratore licenziato
senza il rispetto delle garanzie procedimentali è assimilabile a quella del lavoratore
licenziato per giusta causa, con l’osservanza delle dette garanzie, nei confronti del
quale sia accertata l’insussistenza dell’illecito disciplinare; pertanto, è infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, L. 15 luglio 1966, n. 604, sollevata
con riferimento all’art. 3 Cost. in base al presupposto interpretativo che il citato
art. 8 comporterebbe, nel caso di licenziamento viziato per difetto di forma, una
tutela reale consistente nella retribuzione del lavoratore fino alla reintegrazione,
maggiore di quella prevista nel caso di accertata inesistenza della giusta causa,
(42) Sintomatico che in questa direzione negli anni recenti la norma inderogabile,
che si intreccia e si scontra con l’autonomia negoziale, sia stata richiamata non
solo nel campo del lavoro a difesa del prestatore di lavoro subordinato, ma anche
a tutela del consumatore, del titolare di rapporti agrari, dei clienti delle banche ecc.
(43) Sul punto del necessario rispetto per le norme procedurali vedi Cass., sez. un.,
26 aprile 1994, n. 3965 e 3966, in Foro it., 1994, I, 1708, con nota di D. AMOROSO
(confermate anche da Cost., 23 novembre 1994, n. 398): “il licenziamento intima-
to a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pure essa ido-
nea a configurare la giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., ha natura ‘ontologicamen-
te’ disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie pro-
cedimentali di irrogazione stabilite dall’art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300, la cui
violazione, tuttavia, non comporta nullità dell’atto di recesso, ma lo rende ingiu-
stificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, ma non fatto
valere attraverso quel procedimento, non può, quand’anche effettivamente sussi-
stente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere ad-
dotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata dall’or-
dinamento nelle diverse situazioni e cioè a quella massima cosiddetta reale, ex art.
18, citata legge n. 300 del 1970, ovvero all’alternativa fra riassunzione e risarci-
mento del danno, secondo il sistema della L. n. 604 del 1966, o, infine, all’onere
del preavviso ex art. 2118 c.c., incombendo, poi, sul lavoratore l’onere di provare,
se contestata, la ricorrenza dei requisiti di legge – ivi compresi quelli attinenti ai
limiti dimensionali dell’organizzazione facente capo al datore di lavoro – per l’at-
tribuzione del tipo di tutela rivendicata”. In dottrina S. MAINARDI, Il potere discipli-
nare nel lavoro privato e pubblico (art. 2106), Milano, Giuffrè, 2002, p. 190. Sul punto,
v. anche Cass., sez. un., 26 luglio 1999, n. 508: “L’ipotesi del lavoratore licenziato
senza il rispetto delle garanzie procedimentali è assimilabile a quella del lavoratore
licenziato per giusta causa, con l’osservanza delle dette garanzie, nei confronti del
quale sia accertata l’insussistenza dell’illecito disciplinare; pertanto, è infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, L. 15 luglio 1966, n. 604, sollevata
con riferimento all’art. 3 Cost. in base al presupposto interpretativo che il citato
art. 8 comporterebbe, nel caso di licenziamento viziato per difetto di forma, una
tutela reale consistente nella retribuzione del lavoratore fino alla reintegrazione,
maggiore di quella prevista nel caso di accertata inesistenza della giusta causa,
che non comporta l’effetto risolutorio del licenziamento bensì solo un obbligo
risarcitorio”.
(44) Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, La disponibilità del rapporto di lavoro subordinato, in Riv. it.
dir. lav., 2001, pp. 100 ss. Vedi, anche, AA. VV., Il fatto illecito del legislatore, a cura di
A. BARONE-R. PARDOLESI, in Foro it., IV, 1992, 145; M. D’ANTONA, Limiti costituzio-
nali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in ADL, 1995.
(45) C. CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, cit., p.
49: “La tutela della persona ben potrebbe essere qualificata come un ‘collante te-
leologico’ dello stesso diritto del lavoro, soprattutto ove legata alla rilevanza, nel
rapporto, dei cosiddetti diritti di cittadinanza sociale”.
(46) Ibidem. Su questi due aspetti è intervenuta molto spesso anche la Corte di giu-
stizia, sempre attenta alla tutela dei diritti fondamentali della persona, al punto che
si è ritenuto che la base comunitaria di tali diritti alla fine rafforzasse l’inderoga-
bilità della norma interna che ne garantisce l’attuazione. Per la giurisprudenza co-
munitaria cfr. AA.VV., Il diritto europeo nel dialogo delle corti, a cura di R. COSIO-R. FO-
GLIA, Milano, Giuffrè, 2012; AA.VV., Giurisprudenza della Corte europea dei diritti del-
l’uomo e influenza sul diritto interno, a cura di L. RUGGERI, Napoli, ESI, 2012.
mente studiate da altre discipline quali diritto amministrativo, diritto del lavoro,
diritto societario, diritto tributario e persino il diritto penale e il diritto internazio-
nale”. Nota L. CASINI, Il diritto globale dello sport, Milano, Giuffrè, 2010, p. 3, come la
globalizzazione abbia avuto una portata molto ampia al punto che ogni ramo del
diritto deve trattare questioni legate allo sport: “dalla tutela della concorrenza alla
commercializzazione dei diritti audiovisivi, sino alla protezione dei diritti umani”.
(49) Cfr., ad es., Trib. Lavoro di Grosseto, 11 settembre 2003, n. 518; TAR Lazio,
12 maggio 2003, n. 4103, in Giustiziaamministrativa.it, dove si legge che “certamen-
te la mancata applicazione al settore del basket femminile della l. 23 marzo 1981,
n. 91, è la vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare diffi-
cile configurare come ‘dilettantistica’ una attività comunque connotata dai due re-
quisiti richiesti di cui all’art. 2 (‘remunerazione comunque denominata’, e la con-
tinuità delle prestazioni) per l’attività professionistica”. Ma si veda, in proposito, la
sentenza del Trib. di Torino, 25 maggio 2010, n. 1135, che fornisce una interpre-
tazione particolare della sottoposizione dell’atleta alla gerarchia interna e al rispet-
to degli orari e obblighi di presenza ritenendoli, non vincoli tipici della subordi-
nazione, ma “espressione di inevitabili e necessarie regole tecniche”: “l’attività re-
sa dalla ricorrente non si configura come prestazione lavorativa e i vincoli dalla
medesima dedotti costituiscono per lo più espressione di regole tecniche che sono
quelle tipiche di una disciplina che accomuna ogni sportivo, non diversamente da
quanto è richiesto in qualunque ambito sportivo . . . La circostanza che la società
corrisponda all’atleta un rimborso spese economicamente apprezzabile non vale a
qualificare l’attività sportiva svolta dalla ricorrente come prestazione lavorativa
ben potendo tale erogazione perseguire anche una finalità incentivante per l’impe-
gno profuso; siffatta attività di calciatrice, per quantità, qualità e modalità, non ap-
pare accostabile ad un’attività lavorativa quanto piuttosto a quella di una proficua
realizzazione di un interesse personale, inteso come espressione della personalità
del singolo, e coltivato attraverso la specialità del dedotto rapporto che esula dalla
fattispecie del lavoro subordinato ed altresì da quella del lavoro parasubordinato
e/o autonomo”. Sulla sentenza si veda il commento di A. ARMENTANO, Ostracismo
della subordinazione dallo sport dilettantistico, in Giustiziasportiva.it, 2011. In dottrina, per
una delimitazione della nozione di ‘regole tecniche’, vedi V. ZINGALES, Provvedimen-
ti di esclusione di società sportive da campionati agonistici e tutela giurisdizionale statale, in Riv.
dir. sport, 1993, pp. 283 ss., per il quale gli atti di esclusione di una squadra dal cam-
tocca aspetti rilevanti della propria libertà e che non collima con
l’associazionismo comune. La pratica sportiva è caratterizzata dalla
continuità, dalla collaborazione con una società che può avere i
connotati di impresa, almeno, come vedremo, nel senso ampio
che questa ha assunto nell’Unione Europea (52). E, anche con rife-
rimento al requisito della gratuità, bisognerebbe effettuare alcune
considerazioni, dal momento che, pur in assenza di contropresta-
zione retributiva in senso stretto, non può dirsi che in assoluto
manchi una controprestazione. Anzi, nella realtà di molti settori
considerati non professionistici, questa, se pure erogata sotto di-
versa forma, e anche quando non rappresenti l’unico mezzo di so-
stentamento dello sportivo, può sussistere (sotto forma di rimbor-
so spesa, di fornitura di materiale tecnico, di diritto di sfruttare le
apparecchiature scientifiche, di compenso vero e proprio).
In conclusione, quando la L. 91/81 stabilisce che il contratto
di lavoro sportivo professionistico deve essere regolato dalle nor-
me in essa contenute, non può precludere l’applicabilità delle nor-
me non ricomprese ai soggetti non qualificati come sportivi pro-
fessionisti, nel caso in cui la loro attività acquisti i contorni di
una attività lavorativa.
Da questo punto di vista, acquista importanza l’interpretazio-
ne degli accordi stipulati tra professionisti di fatto e sodalizi con
riferimento sia alla reale attività che viene prestata sia, sul piano
formale, con attenzione alle norme cogenti (53).
Spetterà, dunque, all’interprete, chiamato a dirimere eventuali
controversie, fare attenzione all’individuazione di quale debba esse-
re la disciplina regolatrice dei rapporti di quegli sportivi che, pur
non essendo professionisti ex L. 91/81, traggono dall’attività spor-
(56) È stato richiamato anche il criterio della rilevanza economica ai fini del rico-
noscimento dell’attività in questione. Tuttavia, proprio questo criterio rafforza gli
interrogativi irrisolti, quando si è in presenza di settori quali, ad esempio, la pal-
lavolo nel suo complesso, che viene giocata a livelli altamente professionistici.
(57) Sul principio di uguaglianza con riferimento al contratto vedi E. NAVARRETTA,
Principio di eguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, in Riv. dir. civ., 3, 2014,
pp. 547 ss.
(58) P. RESCIGNO, Persona e comunità, Padova, CEDAM, 1987, pp. 351 ss.
nel regolare casi simili, nel qual caso sarebbe consentito al giudice
dello Stato il sindacato sul trattamento differente (59). Nell’un caso
o nell’altro è chiaro che il giudice di merito deve tener conto delle
situazioni concrete e definire l’eguaglianza tenendo conto della
concretezza delle situazioni (60).
A giudizio della Corte Costituzionale il principio di eguaglian-
za è violato “anche quando la legge, senza un ragionevole motivo,
faccia un trattamento diverso a cittadini che si trovano in eguale
situazione”. Ma, la stessa Corte ribadisce: “è ovvio che l’apprezza-
mento discrezionale che il legislatore compie per enucleare le situa-
zioni che richiedono particolare disciplina e per determinare la sfe-
ra e le modalità della disciplina stessa non può toccare l’ambito se-
gnato dal primo comma dell’art. 3 della Costituzione e non può
trascendere dai giusti limiti derivanti dal principio di eguaglian-
za” (61).
Uguaglianza e pari opportunità sono richiamati anche nell’art.
21, comma 1, lett. C) dello statuto CONI, nel quale, come si è già
detto, si richiede alle Federazioni un ordinamento statutario “ispi-
rato al principio di democrazia interna e di partecipazione all’atti-
vità sportiva da parte di donne e uomini in condizioni di eguaglian-
za e di pari opportunità”.
Ora, da un lato, ci si può chiedere se i poteri a riguardo, lasciati
(59) Ivi, pp. 355 ss. Per chi ritiene (P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costitu-
zionale, cit., p. 178) che l’eguaglianza costituzionale “realizza la giustizia sociale e
distributiva”, mentre la parità di trattamento si esaurisce nel principio distributivo,
l’eguaglianza non può esaurirsi nella parità di trattamento.
(60) In una risalente sentenza della Consulta, 26 genn. 1957, n. 3, si affermano al-
cuni principi fondamentali che riguardano la possibilità che il legislatore detti nor-
me diverse per regolare situazioni diverse, la cui rilevanza è valutata discrezional-
mente dal legislatore. Il legislatore deve assicurare uguaglianza di trattamento
“quando siano uguali le situazioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giu-
ridiche si riferiscono”. Ma, “devono essere fatti salvi comunque i limiti indicati
nello stesso art. 3, primo comma, dal potere regolativo del legislatore”.
(61) Vedi sentenza Cost., 29 marzo 1960, n. 15 (CED, Cassazione, 1960): “Al legi-
slatore statale al quale spetta di valutare i rapporti e gli interessi di tutta la collet-
tività nazionale sotto l’aspetto dell’interesse generale, è permesso di identificare
particolari settori di territorio o di popolazione al fine di dettare particolari disci-
pline ispirate all’unico scopo di dare una più adeguata organizzazione ai pubblici
servizi. Però l’apprezzamento discrezionale che il legislatore compie per enucleare
le situazioni che richiedono particolare disciplina e per determinare la sfera e le
modalità della disciplina stessa, non può toccare l’ambito segnato dal primo com-
ma dell’art. 3 della Costituzione e non può trascendere dai giusti limiti derivanti
dal principio di uguaglianza”.
(62) Cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Foro it., Rep., 2000, voce UE, n. 911.
7. L’associazionismo
(63) Cfr. F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, Giuffrè, 2005. Occorre ricordare
che il legislatore comunitario ha inteso armonizzare taluni profili riguardanti la co-
stituzione e il funzionamento interno delle società principalmente con riferimento
alle società di capitali.
(64) Cfr. AA.VV., La riforma del diritto societario, a cura di A. BASSI-B. BUONOCORE-S.
PESCATORE, Torino, Giappichelli, 2003; B. BUONOCORE, La riforma delle società, Mi-
lano, Giuffrè, 2004; G. FRÉ-G.SBISÀ, Società per azioni, artt.2325-2461, in AA.VV.,
Commentario Scialoja-Branca, a cura di G. FRÉ, Bologna-Roma, Zanichelli, 2005;
G. COTTINO, Il nuovo diritto delle società, I, Torino, UTET, 2006.
(65) Sugli enti non profit: S. PETTINATO, I soggetti non profit. Quadro giuridico essenziale,
Trento, Edizioni31, 2005; ID., Il reale concetto giuridico di organizzazione non profit, in
Impresa, 2007, 2; AA.VV., Contabilità e bilancio degli enti non profit, a cura di G.M. CO-
LOMBO-M. SETTI, Roma, Ipsoa, 2016; D. MAGGI, Contabilità e bilancio delle aziende non
profit: aspetti civilistici e fiscali, in Aa.Vv., Manuale di economia delle aziende non profit, a
cura di F. BANDINI, Padova, CEDAM, 2003.
(66) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, in AA. VV., Diritto privato europeo, cit., I, pp. 348.
Cfr. anche A. ZOPPINI, L’associazione europea, ivi, pp. 353 ss.
(67) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, cit., p. 349.
(64) Cfr. AA.VV., La riforma del diritto societario, a cura di A. BASSI-B. BUONOCORE-S.
PESCATORE, Torino, Giappichelli, 2003; B. BUONOCORE, La riforma delle società, Mi-
lano, Giuffrè, 2004; G. FRÉ-G.SBISÀ, Società per azioni, artt.2325-2461, in AA.VV.,
Commentario Scialoja-Branca, a cura di G. FRÉ, Bologna-Roma, Zanichelli, 2005;
G. COTTINO, Il nuovo diritto delle società, I, Torino, UTET, 2006.
(65) Sugli enti non profit: S. PETTINATO, I soggetti non profit. Quadro giuridico essenziale,
Trento, Edizioni31, 2005; ID., Il reale concetto giuridico di organizzazione non profit, in
Impresa, 2007, 2; AA.VV., Contabilità e bilancio degli enti non profit, a cura di G.M. CO-
LOMBO-M. SETTI, Roma, Ipsoa, 2016; D. MAGGI, Contabilità e bilancio delle aziende non
profit: aspetti civilistici e fiscali, in Aa.Vv., Manuale di economia delle aziende non profit, a
cura di F. BANDINI, Padova, CEDAM, 2003.
(66) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, in AA. VV., Diritto privato europeo, cit., I, pp. 348.
Cfr. anche A. ZOPPINI, L’associazione europea, ivi, pp. 353 ss.
(67) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, cit., p. 349.
(68) Il legislatore, con tale legge, ha introdotto una deroga alla normativa lavoristi-
ca, attuando una vera e propria tipizzazione (art. 2, comma 1, e art. 3, comma 1)
della fattispecie contrattuale del ‘lavoro’ volontario e gratuito. L’art. 2, comma 1,
recita: “Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quel-
la prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di
cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente
per fini di solidarietà”. L’art. 3, comma 1, recita: “È considerata organizzazione
di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere l’attività
di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle pre-
stazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti”. Cfr. N. LIPARI, Il vo-
lontariato: una nuova dimensione culturale e giuridica del Welfare State, in Riv. dir. civ., 1982;
P. RESCIGNO, Autonomia privata e legge sulla disciplina del volontariato, in Giur. it., 3,
1993; ID., Le ‘non profit organisations’ come formazioni sociali, in AA.VV., Gli enti non profit
in Italia, a cura di G. PONZANELLI, Padova, CEDAM, 1994. Una circolare del Mi-
nistero del Lavoro sulla ‘tutela della sicurezza dei lavoratori nello sport dilettanti-
stico’ (Circolare 19/A del 20/09/2010) esclude esplicitamente, anche se con ri-
guardo al tema della sicurezza, l’equiparazione dello sportivo dilettante ai volon-
tari che operano in favore dell’organizzazione di volontariato di cui alla L. 266/91,
per cui sono previste delle tutele attenuate rispetto alle altre categorie di lavoratori
per tutte le figure operanti a vario titolo in favore delle ASD e delle SSD. Nulla
viene precisato in relazione agli atleti dilettanti per i quali, indubbiamente, il pro-
blema della sicurezza si intreccia col problema del rischio sportivo.
(69) Sentenza Cost., 28 febbraio 1992, 75, in GC, 1992, pp. 404 ss. Il volontariato
viene a collocarsi in una linea di confine tra ordinamento pubblicistico e sistema
privatistico in un contesto strutturato sulla base di moduli organizzativi di tipo
partecipativo.
(70) Cfr. R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro e terzo settore, in Riv. it. dir. lav., 2001, p. 329.
Cfr. anche I. MARIMPIETRI, Lavoro e solidarietà sociale, Torino, Giappichelli, 1999. Sul-
la possibilità di configurare un contratto di lavoro subordinato a titolo gratuito cfr.
M. PERSIANI, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e spor-
tivi professionisti. Commento all’art. 3, cit., p. 568. L’art. 2, comma 3, recita: “La qualità
di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordi-
nato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’orga-
nizzazione di cui fa parte”.
(71) Questo si verifica nello sport nel momento in cui l’atleta, che ha sottoscritto
volontariamente contratti di natura patrimoniale, dichiarando di non svolgere at-
tività lavorativa, pretenda, poi, sulla base di quanto effettivamente prestato, il ri-
conoscimento della sua attività come attività lavorativa. Come è stato ben sotto-
lineato, “colui che è titolare di uno di questi rapporti non commette una semplice
violazione della disciplina, ma perde la qualità di volontario” (R. DEL PUNTA, Di-
ritto del lavoro e terzo settore, cit., 2001, p. 329). Così anche L. MENGHINI, Lavoro gra-
tuito e volontariato, in AA.VV., Diritto del Lavoro, Commentario diretto da F. CARINCI,
vol. II, Torino, UTET, 1998, pp. 82 ss. Anche l’organismo di risoluzione delle
controversie in tema di corresponsione d’indennità di trasferimento disciplinato
dall’art. 22, lett. D, del regolamento FIFA, la Dispute Resolution Chamber, ha affer-
mato il principio che benefici diretti o indiretti, ultronei rispetto al mero rimborso
spese, comportino la perdita dello status di dilettante a prescindere dalla qualifica-
zione federale.
(72) F. GALGANO, Il negozio giuridico, in AA.VV., Trattato di Diritto Civile e Commerciale,
già diretto da A. CICU-F. MESSINEO e continuato da L. MENGONI, Milano, Giuffrè,
2000, p. 184. Cfr. anche R. COSTI, Fondazione e impresa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1968,
pp. 15 ss. Sulla struttura delle società e associazioni sportive: A. BUCELLI, Le forme
organizzative dello sport postmoderno, in RDES, 2008. Difatti, rileva, anche nel campo
delle associazioni sportive, la forma giuridica che esse assumono nell’atto costitu-
tivo: possono esservi enti dotati di personalità giuridica, che godono dell’autono-
mia patrimoniale perfetta, e associazioni non riconosciute. Tra i primi, vanno an-
noverate le associazioni riconosciute ai sensi del DPR 361/2000, tutte le società di
capitali e le cooperative. Per questi, delle obbligazioni assunte dall’ente risponderà
soltanto l’ente stesso con il suo patrimonio e i creditori della società o dell’asso-
ciazione non potranno agire sul patrimonio degli amministratori o dei singoli as-
sociati. Al contrario, nelle associazioni non riconosciute, pur dotate di un’autono-
mia patrimoniale - nel senso che il patrimonio dell’ente è distinto da quello dei
singoli associati, secondo quanto dispone l’art. 38 c.c. - per le obbligazioni assunte
dai soggetti che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro di-
ritti sul fondo comune e, in via accessoria ma non sussidiaria, anche sul patrimo-
la lettura dell’art. 14 delle NOIF della F.I.G.C. che col termine “so-
cietà” indica tutti gli enti a struttura associativa che, indipendente-
mente dalla forma giuridica adottata, svolgono attività sportiva del
gioco del calcio.
Le società sportive e le associazioni sportive sono soggetti sia
dell’ordinamento generale dello Stato, sia di quello sportivo (art.
29, Statuto CONI) e si distinguono in professionistiche e dilettan-
tistiche. Per queste ultime, il comma 4-bis dello stesso art. 29 dispo-
ne: “Le società e le associazioni sportive dilettantistiche, ricono-
sciute ai fini sportivi dal CONI, ai sensi del comma 2, sono iscritte
nel registro di cui all’art. 7 del D.L. 28 maggio 2004, n. 136, con-
vertito in Legge 27 luglio 2004, n. 186”. Inoltre, nella medesima
disposizione, si legge che le società e le associazioni, nell’esercitare
la loro attività, devono rispettare il principio della solidarietà eco-
nomica tra lo sport di alto livello e quello di base e devono assicu-
rare ai giovani atleti una formazione educativa complementare alla
formazione sportiva.
Anche in campo associativo si riscontra, dunque, la specificità
dello sport che ha spinto il legislatore a intervenire, talvolta inno-
vando, per attenersi al campo specifico.
Sotto questo profilo, per quanto riguarda la posizione del pro-
fessionista di fatto, occorre fare qualche riflessione sulle società e
associazioni sportive dilettantistiche, perché la posizione del pro-
fessionista di fatto va inquadrata nella loro struttura organizzativa.
Il legislatore italiano, dopo essersi per lungo tempo disinteres-
sato del fenomeno dilettantistico, lasciando che il comparto si ge-
stisse autonomamente, ha operato un primo intervento il 16 di-
cembre 1991, con la L. n. 398, con la quale, per la prima volta,
si delineava l’associazione sportiva dilettantistica in funzione di
una specifica disciplina tributaria.
Dal 2000 in poi, si sono avute disposizioni che, prendendo at-
to della specificità del fenomeno, sono state rivolte soprattutto ad
agevolazioni di natura finanziaria, a fronte di alcuni requisiti sog-
gettivi e oggettivi. Da quel momento, l’ente dilettantistico è stato
sottoposto alle normative vigenti sia di fonte statale, sia sportiva.
nio delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. È questa
l’opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, secondo la quale l’accesso-
rietà della responsabilità solidale di chi ha agito a nome e per conto dell’associa-
zione configura l’obbligazione di colui che ha agito come una forma di garanzia ex
lege, assimilabile alla fideiussione, ma che non consente al responsabile di godere
del beneficio della preventiva escussione del fondo comune.
(73) Vedi, a riguardo, A. PACE, Sport dilettantistico. Equilibrio tra norme e prassi, in
AA.VV., Le scienze dello sport, cit., pp. 265 ss.
(74) Sul punto cfr. N. ANDREOZZI-A. SAIJA, Le società e le associazioni sportive, in Riv.
dir. ec. trasporti e ambiente, 2006, dove si legge che per alcuni la novità normativa
introdotta nel 2004 ha avuto una valenza ‘interpretativa’ e non ‘innovativa’, giac-
ché si è ritenuto irragionevole sostenere che la possibilità di optare per la forma
giuridica della cooperativa da parte dei sodalizi sportivi operasse solamente a far
data dall’entrata in vigore del citato D.L. del 2004.
(75) Nella fase della costituzione troviamo la stipula dell’atto, che viene verificato
per la sua sostanziale formale legalità dal notaio e quindi l’iscrizione al registro
delle imprese, a cui segue la denuncia dell’inizio di attività presso l’Agenzia delle
Entrate. Sul punto cfr. Consiglio nazionale del notariato, Studio n. 93/2004/T.
(76) Sul punto vedi sempre N. ANDREOZZI-A. SAIJA, Le società e le associazioni sportive,
cit., per i quali la disposizione riveste particolare importanza “nel caso in cui l’ente
sportivo assuma la forma delle società di capitali nelle quali, specie a seguito della
riforma del diritto societario (in particolare nelle Srl), l’amministrazione e la rap-
presentanza possono essere attribuite a più soggetti ed, in alcuni casi, disgiunta-
mente o congiuntamente (artt. 2475 e 2475 bis)”.
(77) G. SANTINI, Il tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ.,
1963, I, pp. 51 ss., già, a suo tempo, ha sostenuto, con argomentazioni logiche
e condivisibili, che la struttura societaria sarebbe neutra rispetto allo scopo perse-
guito, che potrebbe perciò essere anche non lucrativo. In ogni caso, non volendo
considerare ciò come un’applicazione di un principio generale, l’espressa previsio-
ne legislativa sarebbe idonea a ritenere tale normativa, comunque, speciale.
8. L’impresa sportiva
(80) Cfr. P. POLLICE, I processi di armonizzazione e unificazione del diritto contrattuale eu-
ropeo, cit., p. 246. Sulle caratteristiche dell’impresa in ambito comunitario, cfr. L.
DI VIA, L’impresa, in AA.VV., Diritto privato europeo, I, cit., pp. 253 ss.
(81) Al punto 41 della sentenza 1 luglio 2008 si legge: “secondo consolidata giuri-
sprudenza della Corte, la nozione di ‘impresa’ comprende, nel contesto del diritto
dell’Unione europea in materia di concorrenza, qualsiasi entità che eserciti un’at-
tività economica, a prescindere dallo status giuridico di tale attività e dalle sue mo-
dalità di finanziamento”. Si legge nel dispositivo: “Una persona giuridica le cui
attività consistono non soltanto nella partecipazione alle decisioni amministrative
che autorizzano l’organizzazione di gare motociclistiche, ma anche nell’organizza-
re direttamente tali gare e nel concludere in tale contesto contratti di sponsoriz-
zazione, di pubblicità e di assicurazione rientra nella sfera di applicazione degli
artt. 82 CE e 86 CE”.
(82) Nel lontano 1942, A. ASQUINI, Profili dell’impresa, in Riv. dir. comm., I, 1942, p. 6,
ai fini di cogliere il pieno significato della nozione giuridica di impresa individuava
un profilo soggettivo, un profilo funzionale, un profilo patrimoniale e un profilo
corporativo. Per il primo l’impresa si identifica con l’imprenditore, per il secondo
l’impresa è l’attività imprenditrice, per il profilo patrimoniale essa è patrimonio
aziendale o azienda, per il profilo corporativo è istituzione dedita alla produzione
e allo scambio di beni e servizi.
(83) Ivi, p. 254. Cfr., in particolare, per i contratti di impresa, G. ALPA, Il contratto in
generale, cit., pp. 695 ss.
(84) G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, UTET, 1986, p. 34 (ultima ed. a
cura di C. ANGELICI, 2016).
(85) L. DI VIA, L’impresa, cit., p. 264.
(86) Ivi, p. 277: “il problema si presenta particolarmente stimolante in Italia dove la
legge-quadro sul volontariato, 11 agosto 1991, n. 226, disciplinando le organizza-
zioni di volontariato all’art. 3, comma 2, dispone che esse ‘possano assumere la
forma giuridica che ritengono più adeguata ai loro fini, salvo il limite di compa-
tibilità con lo scopo solidaristico’....In questo caso si affrontano da una parte i
principi della solidarietà, dall’altra quelli dell’incidenza di tali attività su settori nei
quali esercitano la propria attività entità riconducibili alla categoria dell’impresa e
come tali operanti in un regime di libero mercato”.
(87) Cfr. A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’impresa sportiva, cit., p.
489.
(88) M. STELLA RICHTER, Società sportive quotate, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordina-
mento giuridico, cit., p. 480, che considera un ossimoro la stessa espressione ‘impresa
sportiva’. Vedi anche A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’impresa
sportiva, cit., p. 489.
(89) Cfr., a riguardo, D. GULLO, L’impatto del diritto della concorrenza sul mondo dello
sport, in RDES, 3, 2007, pp. 13 ss.
(92) F. CRISCUOLO, Impresa sportiva e interessi rilevanti, in AA.VV., Fenomeno sportivo e or-
dinamento giuridico, cit., p. 465. Cfr. anche La qualificazione del c.d. ‘titolo sportivo’ nel
trasferimento d’azienda nell’ambito di procedure concorsuali, nota a sentenza Trib. Napoli,
sez. VII, 25 febbraio 2010, a cura di C. SOTTORIVA, in Soc., 7, 2011, p. 769.
(93) Cfr. TAR Lazio, sez. III ter, 22 settembre 2004, n. 9668, e la già citata senten-
za Trib. Napoli, sez. VII, 25 febbraio 2010. Sul titolo sportivo cfr. C. CANNELLA, Il
trasferimento del titolo ‘sportivo’ di un club fallito nell’ordinamento sportivo statuale, in RDES,
I, 2017, p. 174.
(94) M. ORLANDI, Mercato dei diritti sportivi?, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento
giuridico, cit., p. 403.
(95) Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al
mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pub-
blico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli
eventi sportivi dei campionati e dei tornei professionistici a squadre e delle cor-
relate manifestazioni sportive organizzate a livello nazionale. Pubblicata nella
Gazz. Uff., 25 luglio 2007, n. 171, a cui fa seguito il D.lgs 9 gennaio 2008, n. 9.
(96) M. ORLANDI, Mercato dei diritti sportivi?, cit., p. 411. Continua l’autore: “la legge
vulnera il postulato naturalistico della titolarità originaria dell’imprenditore e riaf-
ferma con la potenza delle parole la pura e muta artificialità del diritto”.
(97) Ivi, p. 413. Per una discussione critica sulla L. n. 9 del 2008 si veda V. ZENO-
ZENKOVICH, La ‘statalizzazione dei diritti televisivi sportivi’, in AA.VV., Fenomeno sportivo e
ordinamento giuridico, cit., pp. 585 ss.
(98) A. GENTILI, Lo sport come fatto e come ordinamento, in AA.VV., Fenomeno sportivo e
ordinamento giuridico, cit., p. 441.
(99) Su questo punto, senz’addentrarsi nei particolari, basti ricordare alcune sen-
tenze tra loro non omogenee: da un lato: Cons. di Stato, sez. VI, 9 luglio 2004,
n. 5025; TAR Lazio, sez. III ter, 18 aprile 2005, n. 2801; TAR Lazio, sez. III
ter, 12 aprile 2007, n. 1664. Dall’altro: TAR Lazio, sez. III ter, 21 gennaio
2005, n. 527; TAR Lazio, sez. III ter, 7 aprile 2005, n. 2571.
(100) Cfr. Commissione della Comunità europea, Libro Verde, Promuovere un quadro
europeo per la responsabilità sociale d’impresa, Bruxelles, 18.07.2001, 366. Comunicazio-
ne della Commissione europea, Una rinnovata strategia comunitaria sulla responsabilità
sociale d’impresa per il periodo 2011-2014, Bruxelles 25 ottobre 2011. Sul punto: G.
ESPOSITO, La responsabilità sociale nelle organizzazioni sportive, in AA.VV., Le scienze dello
sport, cit., pp. 457 ss. Cfr., anche, J. GENZALE, Sport and Social Responsibility, in Sport
Business Journal, 2006, pp. 34 ss.; AA.VV., La responsabilità sociale e il bilancio sociale delle
organizzazioni dello sport, a cura di C. BUSCARINI-F. MANNI-M. MARANO, Milano,
Franco Angeli, 2006; M. ANGELUCCI, La responsabilità sociale nello sport, Roma, Arac-
ne, 2009. Ma vedi anche AA.VV., Lo sport responsabile – dal marketing alla rendiconta-
zione sociale, Atti del Convegno tenutosi presso l’Università di Parma il 20 gennaio
2007. Cfr. anche F. CAFAGGI, La legge delega sull’impresa sociale. Riflessioni critiche tra
passato (prossimo) e futuro (immediato), in Impr. soc., 2005.
(101) Secondo UNI ISO 26000, consultabile sul sito dell’Italian Centre for Social Re-
sponsibility.
(102) Il recente D.lgs. n. 117 del 3 luglio 2017 inserisce le imprese sociali tra gli enti
del terzo settore. Sull’impresa sociale cfr. AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa so-
ciale, a cura di M.R. DE GIORGI, Padova, CEDAM, 2007. Cfr. anche, AA.VV., Le
imprese sociali, a cura di C. BORZAGA-L. FAZZI, Roma, Carocci, 2011; A. PICCIOTTI,
L’impresa sociale per l’innovazione sociale. Un approccio di management, Milano, Franco
Angeli, 2013. La figura dell’impresa sociale potrebbe essere applicata al contesto
sportivo, decisamente portatore di valori sociali. Cfr. G. SILVESTRO, L’impresa sociale.
Una nuova veste del fenomeno sportivo?, in RDES, 3, 2013, pp. 51 ss. Nota, tuttavia,
Silvestro come “il fenomeno sportivo, malgrado rappresenti una delle possibili ac-
cezioni dell’impresa sociale, ha reagito timidamente alla possibilità di assumere la
qualifica de qua, a causa dello scetticismo degli operatori”(ivi, p. 54). In realtà que-
sta possibilità in generale sembra non avere goduto di grande successo.
(103) Cfr. Sentenza Meca Medina, Corte di Giust., 18 luglio 2006, c.519/04, che
qualifica anche il C.I.O. come impresa. Al punto 38 infatti si legge: “È tuttavia
pacifico che, per decidere sulla denuncia di cui era investita dai ricorrenti alla luce
delle disposizioni degli artt. 81 CE e 82 CE, la Commissione ha inteso conside-
rare, come risulta esplicitamente dal punto 37 della decisione controversa, che il
C.I.O. doveva essere qualificato come impresa e, in seno al movimento olimpico,
come una associazione di associazioni internazionali e nazionali di imprese”. Cfr.
A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’impresa sportiva, cit., p. 497.
Cfr. anche L. DI NELLA, Le attività economiche delle federazioni sportive, in Rass. dir.
ec. sport, 2006, pp. 47 ss.
9. La figura dell’atleta
(104) Molto chiara la sentenza del Trib. Di Roma, 15 settembre 2000, in Contr.,
2002, 3, p. 254, con nota di CARAMANICO D’AURIA: “Al rapporto tra la Federazione
sportiva ed i suoi iscritti non è applicabile la disciplina di cui agli art. 146 bis e ss.,
c.c., essendosi in presenza di un tipico rapporto associativo volto al perseguimen-
to di uno scopo comune. L’atleta tesserato non può qualificarsi come consuma-
tore così come la Federazione convenuta non può qualificarsi come professioni-
sta”. Cfr. Cass., 9 aprile 1993, n. 4351, in Riv. dir. sport, 1993, p. 484: “Per vero,
l’efficacia delle clausole vessatorie indicate nella norma citata, tra le quali rientrano
le clausole compromissorie, è subordinata alla specifica approvazione per iscritto
nei soli casi in cui le dette clausole siano inserite in contratti con condizioni ge-
nerali predisposte da uno solo dei contraenti (art. 1341, comma primo, cod. civ. ) ov-
vero conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari (art. 1342, comma
primo, cod. civ ) (cfr 1367/85; 4847/86); e non in diverse ipotesi ed in particolare
quando, come nella specie, con l’assunzione della qualità di ‘tesserato’, il soggetto
entri a far parte dell’organismo sociale che ha adottato lo Statuto ed il Regolamen-
to in che si contiene la clausola stessa”.
(105) L. DI NELLA, La tutela della personalità dell’atleta, cit., pp. 101 ss. Vedi, anche, p.
92. L’A. ritiene che il rapporto giuridico con la Federazione non possa essere con-
siderato di natura associativa, ma sia “funzionale a consentire lo svolgimento della
pratica sportiva”, per cui le Federazioni “sono in una posizione di supremazia
strutturale e funzionale nei confronti degli sportivi che specularmente si trovano
in posizione di ‘debolezza’”.
(106) Per un’analisi delle figure di consumatore e professionista si rinvia a L. DI
NELLA, La tutela dei consumatori, in AA.VV., Il diritto della distribuzione commerciale, a
cura di L. DI NELLA-L. MEZZASOMA-V. RIZZO, Napoli, ESI, 2008, pp. 192 ss.;
G. ALPA, Ancora sulla nozione di consumatore, in Contr., 2, 2001, pp. 205 ss; ID., Gli
usi del termine ‘consumatore’ nella giurisprudenza, in N.G.C.C., 1999, pp. 4 ss; L. GATT,
Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in AA.VV.,
Commentario al capo XIV Bis del codice civile: dei contratti del consumatore, a cura di C.M.
BIANCA-F.D. BUSNELLI, Padova, CEDAM, 1999, pp. 100 ss.
(111) Per una sintesi delle posizioni vedi L. DI NELLA, La tutela della personalità del-
l’atleta, cit., p. 96, nota 72.
(112) Sulla improcrastinabilità di una riforma legislativa che consenta di accordare
tutela ai professionisti di fatto concordano in molti. Cfr. M.T. SPADAFORA, Diritto
del lavoro sportivo, cit., p. XIX.