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CAPITOLO 1

IL QUADRO NORMATIVO

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sport: fenomeno sui generis e complesso. – 3.


La L. 23 marzo 1981, n. 91. – 4. La L. 18 novembre 1996, n. 586 e i
provvedimenti successivi. – 5. La normativa del settore sportivo: in-
congruenze e specificità. – 6. Il potere discrezionale delle Federazio-
ni. – 7. L’associazionismo. – 7.1. Le società sportive dilettantistiche.
– 8. L’impresa sportiva. – 9. La figura dell’atleta.

1. Premessa

La variegata regolamentazione dello sport si occupa delle atti-


vità sportive in tutta la loro ampiezza, in un quadro normativo
complesso che incontra difficoltà ad essere interpretato e coordi-
nato. La prestazione dell’atleta va incontro ad una possibilità di
pluriqualificazione che può condurre a punti di contatto, ma anche
a contrasti tra ordinamenti distinti, quello comunitario, quello na-
zionale e quello sportivo, sia nazionale sia internazionale, connota-
to da una sua strutturazione e organizzazione, ormai stratificata,
che chiede di restare al riparo da interventi esterni (1).
La complessità del sistema normativo, strettamente collegata
alla specificità della materia, rende difficile l’utilizzo degli istituti
giuridici in uso nell’ordinamento generale senza tener conto della
loro evoluzione e senza operare dei correttivi adeguandoli alla pe-
culiarità del fenomeno.
Per superare le difficoltà e i contrasti, sembra che non si possa
più ragionare in termini di pluralità di ordinamenti ma, piuttosto, di
pluralità di fonti, che non richiedono di essere ordinate gerarchica-
mente, ma piuttosto coordinate in virtù dell’autonomia riconosciu-

(1) Vedi P. FEMIA, Due in uno, cit., p. 237. Per il rapporto tra ordinamento sportivo e
ordinamento nazionale vedi P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit.; R.
CAPRIOLI, Il significato dell’autonomia nel sistema delle fonti del diritto sportivo, cit., pp. 283 ss.

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ta al mondo dello sport e del principio di sussidiarietà, inteso come


criterio di sistemazione di fonti e norma sulle competenze (2). Tra
le fonti, dunque, assumono importanza crescente, da un lato, le
sentenze, dall’altro, il contratto, da considerare come strumento
di innovazione giuridica, che consente al diritto codificato di ade-
guarsi alle mutate esigenze della società.
Per preservare l’autonomia ordinamentale sportiva, non è possi-
bile imporre la normativa utilizzata nell’ambito dell’ordinamento sta-
tale o penetrare in un campo che però deve – e sa, per molti versi –
gestirsi autonomamente, poiché unico capace di conoscere fino in
fondo le sue molteplici caratteristiche. È certo che gli istituti giuridici
tipici nell’ordinamento generale non sempre si conciliano con la par-
ticolarità del fenomeno sportivo e dei rapporti che in questo nascono
e si sviluppano. Ciò è tanto più vero laddove si focalizzi l’attenzione
sulla attività dell’atleta, caratterizzata da una prestazione sui generis e da
una distinzione – artificiosa quanto meno dal punto di vista sostan-
ziale – tra professionismo, professionismo di fatto e dilettantismo.
Indubbiamente, per quanto riguarda la figura del dilettante e del-
la sua prestazione, le Federazioni hanno in qualche modo ragione nel
volere tenere sotto controllo la pratica sportiva dilettantistica, in mo-
do che essa non perda la sua carica ricreativa e formativa e anche la

(2) P. FEMIA, Due in uno, cit., nota come il pluralismo delle fonti sia ben diverso dal
pluralismo degli ordinamenti e come la sussidiarietà possa abilitare in concreto anche
l’autonomia privata (ivi, pp. 294 ss.). Vedi anche A. MOSCARINI, Competenza e sussidiarietà
nel sistema delle fonti, Padova, CEDAM, 2003; P. FEMIA, Sussidiarietà e principi nel diritto
contrattuale europeo, in AA.VV., Fonti e tecniche legislative per un diritto contrattuale europeo, a
cura di P. PERLINGIERI-F. CASUCCI, Napoli, ESI, 2004; D. DE FELICE, Principio di sussi-
diarietà e autonomia negoziale, cit. Faceva notare N. LIPARI, Introduzione alla Tavola roton-
da sulla prestazione sportiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 4,
come “al di là della prospettiva... di una formale unificazione e armonizzazione dei
singoli diritti nazionali”, ancora lontana, si sia realizzato un effetto rivoluzionario
che, “modificando dal di dentro il nostro sistema delle fonti, ha creato quello che,
con immagine felice (ancorché lontanissima dai nostri abituali strumentari), è stato
definito un ‘sistema mobile del diritto civile’, non più racchiuso nel ristretto orizzonte
dell’ordinamento giuridico dello stato”. (Lipari cita U. BRECCIA, Considerazioni sul diritto
privato sovranazionale fra modelli interpretativi e regole effettive, in AA.VV., Scritti in onore di R.
Sacco, a cura di P. CENDON, Milano, Giuffrè, 1994, pp. 111 ss.). Vedi, ancora, p. 231,
dove si legge che “il tema della prestazione sportiva” va “riconnesso alla crisi del pa-
radigma dell’esclusiva statualità del diritto”. In questo testo si trova anche (pp. 1211
ss.) il saggio di M.R. WILL, Les structure du sport international, sulla struttura piramidale
degli ordinamenti sportivi. Cfr., anche, F. GALGANO, Le fonti del diritto nella società postin-
dustriale, in Soc. dir., 1990, p. 153, per il quale: “Il principale strumento dell’innovazione
giuridica è il contratto: il principale strumento mediante il quale il diritto codificato
viene adeguato alle mutate esigenze della società è la sentenza”.

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IL QUADRO NORMATIVO 15

sua funzione sociale. Ciò non toglie, però, che, a fronte delle trasfor-
mazioni in senso economicistico che si sono verificate, si avverta an-
che l’esigenza di una regolamentazione che possa definirne le varie
tipologie, poiché non si può tralasciare il fatto che il dilettantismo de-
ve essere considerato una macrocategoria nella quale confluiscono e
acquistano autonoma fisionomia anche prestazioni sportive del tutto
simili a quelle dei professionisti, che non possono essere considerate
attività meramente ricreative e per le quali, pertanto, si realizza una
disparità di trattamento difficilmente giustificabile facendo ricorso al-
l’unico dato formale della qualificazione federale.

2. Sport: fenomeno sui generis e complesso

Lo sport, nato come espressione ludica e come forma aggre-


gativa, nel corso degli anni ha assunto le più svariate connotazioni
ed in esso hanno assunto importanza sempre crescente gli interessi
di natura patrimoniale.
Nella prospettiva giuridica italiana, preso atto di tale com-
plessità, sia il legislatore sia i giuristi se ne sono occupati, guar-
dandolo soprattutto nell’ottica dell’ordinamento giuridico nazio-
nale e non soltanto nel suo aspetto di ordinamento autonomo,
così come era stato inquadrato all’interno di una visione plurali-
stica (3). Eppure oggi possiamo ancora porci l’interrogativo di

(3) Quando si affronta il tema del rapporto tra ordinamento giuridico statale e or-
dinamento sportivo si tende talvolta, ancora oggi, ad applicare l’impostazione me-
todologica pluralistica risalente alla concezione di Santi Romano e sviluppata suc-
cessivamente da vari Autori. Fra le più utili ricostruzioni di questa tematica, effet-
tuate dal punto di vista del diritto dello sport, si veda, innanzitutto, M.S. GIANNINI,
Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport, 1949, pp. 10 ss.;
ID., Sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti del XIV congresso internazionale
di sociologia (Roma, 30 agosto-3 settembre 1950), IV, (1950), ora in ID., Scritti
(1949-1954), vol. III, Milano, Giuffré, 2003, pp. 405-421; ID., Gli elementi degli ordi-
namenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubb., VIII, 1958, pp. 219-240; ID., Ancora sugli or-
dinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubb., 1996, pp. 671 ss. Un’esaustiva biblio-
grafia in argomento si trova in S. ORONZO-D. TUPONE, Il lavoro sportivo, in AA.VV.,
Manuale dello Sport, a cura di S. ORONZO-D. TUPONE, Milano, Le Monnier, 2004, pp.
169 ss.; Si può far riferimento a L. DI NELLA, La teoria della pluralità degli ordinamenti
giuridici: analisi critica dei profili teorici e delle applicazioni al fenomeno sportivo, in Riv. dir.
sport, 1998; ID., Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, ESI, 1999; M.
RUOTOLO, Giustizia sportiva e costituzione, in Riv. dir. sport, 1998, pp. 403 ss.; G. MAN-
FREDI, Osservazioni sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, Nota a TAR
Lazio, 22 agosto 2006, n. 7331, in Foro amm., TAR, 2006, 2971; R. CAPRIOLI, Il si-
gnificato dell’autonomia nel sistema delle fonti del diritto sportivo nazionale, cit.; G. MANFRE-

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come possa legittimarsi l’autonomia dell’ordinamento sportivo,


ma dobbiamo anche prendere in considerazione che il tema
del pluralismo va inserito in un contesto transnazionale, in quan-
to lo sport ha dato origine, da sempre, ad un autonomo corpus
normativo e ha realizzato un diritto sportivo globale, una sorta di
lex sportiva (4) analoga alla lex mercatoria (5).

DI, Pluralità degli ordinamenti giuridici e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia sociale e
giustizia sportiva, Torino, Giappichelli, 2007; Cfr., anche, AA.VV., Il diritto sportivo nel
contesto nazionale ed europeo, a cura di C. ALVISI, Torino, Giappichelli, 2007; R. MOR-
ZENTI PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti fra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Mi-
lano, Giuffrè, 2007; P. ZATTI, Ordinamento sportivo e ordinamento giuridico statuale tra
‘autonomia’ e ‘riserva di giurisdizione’. Dal ‘diritto dei privati’ all’'ordinamento settoriale’ verso
la ‘lex sportiva’?, in Rassegna di diritto e economia dello sport, 2007; M. GALLI, Sanzioni
disciplinari e difetto di giurisdizione: sui rapporti tra ‘ordinamento sportivo’ e ‘ordinamento della
repubblica’, in Rassegna di diritto e economia dello sport, 2008, pp. 283 ss; M. SFERRAZZA,
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in
Giustiziasportiva.it, I, 2009. La posizione di Di Nella, che sottopone a critica la tra-
dizionale interpretazione, è stata ripresa anche da N. LIPARI, Sulla prestazione spor-
tiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 326, per il quale nel
campo specifico “non abbiamo un fenomeno autenticamente ‘pluriordinamentale’
perché i sistemi normativi contemporanei fondano la loro giuridicità sul principio
della completezza: dunque quello statale – con i collegamenti ai sistemi sovraor-
dinati e internazionali – è il sistema tramite il cui vaglio accede alla giuridicità il
fenomeno sportivo”. Sul punto confronta anche P.A. CAPOTOSTI, Rapporti tra ordi-
namento giuridico generale e impresa sportiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento
giuridico, cit., pp. 687 ss., il quale ricorda come, all’epoca in cui Giannini scriveva,
l’organizzazione dello sport si presentasse con i caratteri tipici dell’autonomia e
dell’autogoverno, ma come oggi questa configurazione non possa essere più con-
siderata valida. Si può ricordare che sulla pluralità degli ordinamenti giuridici ha
scritto delle pagine interessanti, ancora oggi richiamate, A.E. CAMMARATA, Il concet-
to del diritto e la “pluralità degli ordinamenti giuridici” (1926), ora in ID., Formalismo e sa-
pere giuridico, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 185 ss. È convinzione di Cammarata che la
“giuridicità di una norma” non dipenda dalla sua particolare struttura o dall’appar-
tenenza ad un gruppo, ma norma giuridica sia “solo quella che, in immediato ed
esclusivo riferimento ad una o più attività pratiche, viene assunta come loro unica
regolatrice” (p. 214). Cammarata ritiene che “la scelta di un determinato sistema,
come unico regolatore di una o di una serie di attività pratiche, implica eo ipso la
esclusione di ogni valore giuridico originario per tutte quelle altre norme che non
fanno parte del sistema”. Sotto questo rispetto sarebbe fatta salva la giuridicità
dell’ordinamento sportivo almeno su quelle questioni per le quali esso è accettato
come unico regolatore di una serie di attività pratiche, vale a dire come regolatore
di tutte le regole tecniche.
(4) Si veda D.P. PANAGIOTOPOULOS, Sports Law (Lex sportiva), in the World. Regulation
and Implementation, Atene, 2004, al quale va riconosciuto l’impegno dell’organizza-
zione, attraverso lo IASl (International Association Sports Law), di convegni an-
nuali sui temi del diritto sportivo internazionale. Cfr. anche la rivista e-lex sportiva
Journal, che ha come finalità “the development and the promotion of the Sports
Law Science worldwide and of Lex Sportiva Theory”.
(5) Cfr. L. CASINI, Il diritto globale dello sport, Milano Giuffrè, 2010, pp. 7 ss., il quale

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Sul piano transnazionale e internazionale si è aperta, infatti,


ormai da più di un decennio, una pagina nuova (6).
Lo studio dell’organizzazione mondiale dello sport ha spinto
soprattutto gli studiosi stranieri ad una approfondita discussione (7)
– nella quale sono intervenuti anche studiosi italiani, soprattutto di
diritto amministrativo -, tendente a presentare il tema del diritto
sportivo come esempio di diritto globale. Le discussioni a livello
internazionale sembrano indirizzare verso lo studio di un diritto
globale in termini non soltanto amministrativistici ma anche costi-
tuzionalistici e lavoristici. E spingono verso la richiesta di una ar-
monizzazione dei singoli diritti nazionali.
Tornando alla dimensione nazionale, dobbiamo notare che ad
una definizione di ordinamento sportivo che, fino a qualche decen-
nio fa, faceva riferimento esclusivamente all’organizzazione sporti-
va, sorta in maniera autonoma e che si autogestiva sia a livello na-
zionale che internazionale, si è affiancata una definizione relativa
all’organizzazione voluta dalla normativa statale e dall’apporto del-
la giurisprudenza nazionale e comunitaria.
Da qualche anno a questa parte, a ‘ordinamento sportivo’ sem-
brano corrispondere così quasi due accezioni diverse. Da un lato, ci
si riferisce a quell’assetto organizzativo autonomo che fissa le rego-
le delle gare, ne disciplina lo svolgimento, ne accerta i risultati e ne
regolamenta le funzioni, che si è venuto costituendo nel corso del
tempo anche nel disinteresse dello Stato. Dall’altro lato, ormai ine-
quivocabilmente, si intende quel settore normativo specifico che
prende in considerazione i molteplici aspetti dello sport che hanno
suscitato l’interesse statale e regionale. Con la modifica del titolo V,
e in particolare con l’art. 117 Cost., si costituzionalizza il fenomeno
sportivo e si usa il termine di ‘ordinamento sportivo’ senza ulteriori
precisazioni (8). Tuttavia non è da sottovalutare la proposta di una

cita M.S. GIANNINI, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi (1996), in ID., Scritti, IX,
Milano, Giuffrè, 2006, p. 441 ss., per il quale il diritto internazionale sportivo si
riferisce a ad un diritto superstatale, ad una normativa interstato e superstato.
(6) Cfr. L. CASINI, Il diritto globale dello sport, cit.
(7) Vedi L. ALLISON ( ed.), The global Politics of sport. The Role of Global Institutions in
Sport (Sport in the Global Society), London, Dublin Press, 2005; F. LATTY, La lex spor-
tiva. Recherche sul le droit transnational, Boston, Nijhoff Pub., 2007; J.A.R. NAFZIGER,
International Sports Law, New York, 2004; ID., The future of International Sports Law, in
Willamette Law Review, 2006, pp. 861 ss.; A. WAX, Internationales Sportsrecht. Unter be-
sonderer Berücksichtigung des Sportvölkerrechts, Berlino, 2009 (zugl. Diss. Tübingen,
2008).
(8) S. BASILE, in una nota a sentenza (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2007, n.
19493, in N.G.C.C., 2008, 10, 307), trova che abbia sorpreso e che agli interpreti

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definizione estensiva di ordinamento sportivo, considerato ‘materia


senza alcun dubbio trasversale’, quale comprendente l’attività spor-
tiva dell’individuo che viene quindi a collocarsi nell’ambito dei di-
ritti di libertà e di quelli sociali (9). Proprio l’accento sulle molteplici
funzioni dello sport, il peso crescente che in ambito sportivo han-
no assunto i diritti di libertà e quelli sociali rendono, infatti, più
complesso il rapporto tra ordinamenti e impongono una visione
unitaria e sistematica più che dualistica pur nelle necessarie distin-
zioni.
Ciò posto, tutta l’organizzazione sportiva presenta confini la-
bili e si pone al centro di una serie di intrecci di ambiti materiali e di
competenze che la condizionano e che da essa sono condiziona-
ti (10).

richieda “arditi esercizi ermeneutici” l’essere stato incluso nel 2001 l’‘ordinamento
sportivo’ fra le “materie di legislazione concorrente (cfr. il comma 3° dell’art. 117
Cost.), con la conseguenza che la potestà legislativa su di esso spetta alle Regioni,
mentre allo Stato compete determinare solo i principi fondamentali”. Cita, quindi,
M. GOLA, Sport e regioni nel titolo V della costituzione, in Giustizia sportiva e arbitrato, a
cura di C. VACCÀ, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 49 ss. Cfr. anche F. CARDARELLI, Or-
dinamento sportivo e potestà normativa regionale concorrente, in Foro amm., TAR, 2006,
3707 ss. Vedi ancora P.A. CAPOTOSTI, Rapporti tra ordinamento giuridico generale e im-
presa sportiva, cit., p. 699: “Si potrebbe forse dire che non c’è stato alcuno sforzo di
elaborazione dottrinale nell’adoperare il termine ‘ordinamento’...probabilmente
per i redattori dell’articolo in questione, il termine ‘ordinamento’ conferiva co-
munque una certa connotazione giuridica a determinate materie che si volevano
regolare”. Sul ruolo delle regioni nello sport: F. BLANDO, Il ruolo e le competenze delle
regioni nello sport, in RDES, I, 2009, pp. 29 ss. Sui criteri di riparto delle competenze
legislative e amministrative tra Stato e regioni cfr. anche sentenza Cost., n. 303/
2000. Cfr. anche O. FORLENZA, Gli ordinamenti sportivi, in AA.VV., Diritto dello sport, a
cura di L. MUSUMARRA-L. SELLI, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 28, che definisce
l’ordinamento sportivo “ordinamento settoriale nell’ambito del più generale ordi-
namento giuridico della repubblica”, interpretando così l’espressione ordinamento
giuridico contenuta nell’art. 117 Costituzione.
(9) T.E. FROSINI, L’ordinamento sportivo nell’ordinamento costituzionale, in AA.VV., Feno-
meno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 305.
(10) Siamo oggi ben lontani dal contesto in cui avveniva la sentenza (Cass., 11 feb-
braio 1978, n. 625, in Foro it., 1978, 862) con la quale la Cassazione definiva l’or-
dinamento sportivo come ordinamento giuridico sezionale a base plurisoggettiva,
autonomo e originario che attinge la sua fonte dall’ordinamento giuridico interna-
zionale e ha potestà amministrativa e normativa. Con la sentenza del 29 dicembre
2004, n. 424, in Giur. cost., 2005, 4503, la Corte costituzionale richiama più volte,
anche se non ne dà una definizione, l’espressione ‘ordinamento sportivo’. Per un
commento critico sulla sentenza cfr. R. BIN, Quando la Corte prende la motivazione
sportivamente, nota a sentenza 424/2004, in Reg, n. 4-5, 2005. Ma si parla anche,
nel rapporto stato-regioni, di ‘ordinamento civile’. La Corte costituzionale, con
sentenza, 18-03-2005, n. 106, nel pronunciarsi sul riparto di competenza tra stato
e regioni, ricorda come “negli interventi successivi all’entrata in vigore del nuovo

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Come noto, molte delle innovazioni nel campo dell’organizza-


zione sportiva sono nate in seguito all’intervento della Comunità
europea. Si tratta di un intervento che ha subito nel tempo degli
aggiustamenti proprio sul fronte del riconoscimento delle moltepli-
ci funzioni dello sport, della sua specificità e della conseguente ne-
cessità di prenderne in considerazione l’autonomia (11).
Nel luglio 2007, la Commissione europea, pubblicando il Li-
bro Bianco sullo sport, ha precisato il ruolo dello sport nell’ambito
delle politiche comunitarie e ne ha riconosciuto la specificità nei
limiti delle attuali competenze dell’Unione Europea (12).
Riconoscendo la specificità delle attività e delle regole sporti-
ve, metteva in evidenza anche “la specificità della struttura sporti-
va, che comprende in particolare l’autonomia e la diversità delle or-
ganizzazioni dello sport, una struttura a piramide delle gare dal li-
vello di base a quello professionistico di punta e meccanismi orga-
nizzati di solidarietà tra i diversi livelli e operatori, l’organizzazione
dello sport su base nazionale e il principio di una Federazione uni-
ca per sport”.
In particolare, il Libro Bianco tendeva ad accrescere “la sensi-
bilizzazione in merito alle necessità e alle peculiarità del settore del-

titolo V della Costituzione, si debba guardare all’‘ordinamento civile’ non più co-
me ‘limite’, bensì come ‘materia’”. La sentenza, che parla più volte di ‘ordinamen-
to civile’, fa riferimento a numerose sentenze precedenti (Cost., 19 dicembre
2003, n. 359, in Foro it., 2004, I, 1692, e Contr., 2004, 177, con nota di G. ALPA;
Cost., 29 settembre 2003, n. 300, in Corr. giur., 2003, 1567, con nota di G. Napo-
litano; Cost., 26 giugno 2002, n. 282, in Foro it., 2003, I, 394). Sul significato di
‘ordinamento civile’ vedi G. ALPA, L’‘ordinamento civile’ nella recente giurisprudenza co-
stituzionale, in Contr., 2004, II, pp. 185 ss.; ID., Le fonti del diritto civile: policentrismo
normativo e controllo sociale, cit.; V. ROPPO, Diritto dei contratti, ordinamento civile, compe-
tenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, in Corr. giur.,
2005, 9, p. 1301, ricorda come la modifica del titolo V e, in particolare, l’art. 117,
abbia codificato “la categoria di ‘ordinamento civile’ quale campo riservato al le-
gislatore nazionale, e dunque barriera alla potestà legislativa delle Regioni”. Vedi.
anche AA.VV., L’ordinamento civile nel nuovo sistema delle fonti legislative, a cura di N. LI-
PARI, Milano, Giuffrè, 2003. N. IRTI, Sul problema delle fonti in diritto privato, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2001, pp. 702 ss., ritiene che il termine debba essere inteso come
‘ordinamento giudiziario in materia civile’.
(11) Per una discussione sulla evoluzione degli intendimenti dell’Unione europea
nei confronti dello sport, cfr. J. TOGNON, Lo sport e il trattato di Lisbona. L’irrisolto
problema della specificità, in AA.VV., Le scienze dello sport: Il laboratorio atriano, a cura di
G. SORGI, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2012, pp. 189 ss.
(12) COM, 2007, 391, in RDES, 2, 2007. Per una disamina degli aspetti più signi-
ficativi e dei profili critici del documento si rimanda a G. DE CRISTOFARO, Il libro
bianco dello sport della Commissione europea, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento
giuridico, cit., pp. 29 ss.

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lo sport” e a fornire “un attivo e concreto contributo alla promo-


zione dello sport”. Si presentava anche come un documento stra-
tegico teso a manifestare la visione complessiva dello sport a livello
di Unione Europea, chiaramente intesa a riconoscere l’autonomia
delle organizzazioni sportive anche strumentalmente ai fini del rag-
giungimento delle molteplici finalità dello sport. In esso si legge:
“La Commissione riconosce l’autonomia delle organizzazioni spor-
tive e delle loro strutture rappresentative (come le leghe), e ricono-
sce anche che la gestione dello sport è soprattutto di competenza
degli enti sportivi preposti e, in una certa misura, degli Stati mem-
bri e delle parti sociali, ma sottolinea che il dialogo con le organiz-
zazioni sportive ha sottoposto alla sua attenzione una serie di que-
stioni, di cui l’istituzione si occupa nel presente documento. La
Commissione ritiene che la maggior parte delle sfide possa essere
affrontata attraverso una autoregolamentazione rispettosa dei prin-
cipi di buona gestione, purché il diritto dell’Unione Europea sia ri-
spettato, ed è pronta a dare il suo appoggio o, se necessario, a pren-
dere gli opportuni provvedimenti”.
Il ruolo sociale dello sport, la sua valenza economica e la sua
organizzazione sono i punti su cui si sofferma il documento, che
intende rafforzare il ruolo dello sport nel campo dell’istruzione e
della formazione, promuovere il volontariato e la cittadinanza atti-
va attraverso lo sport, utilizzare il potenziale dello sport per l’inclu-
sione sociale, l’integrazione e le pari opportunità. Nella parte rela-
tiva alla dimensione economica però c’è anche il preciso riconosci-
mento che la maggior parte delle attività sportive si svolge in strut-
ture senza fini di lucro, molte delle quali hanno bisogno di aiuti
pubblici per poter dare accesso alle attività sportive a tutti i citta-
dini.
Il richiamo all’autoregolamentazione – e quindi all’autonomia
e al principio di sussidiarietà – pone nuovi tasselli al tema della spe-
cificità dello sport e impone considerazioni anche in merito alla
tendenza del legislatore nazionale e della stessa Unione Europea
a intervenire, talvolta limitando la stessa autonomia del fenomeno
sportivo. Allo stesso modo, porta all’attenzione la volontà dell’ap-
parato sportivo di conservare, se non accrescere, la propria autono-
mia (13).

(13) Sul punto: AA.VV., Sport Unione Europea e diritti umani. Il fenomeno sportivo e le sue
funzioni nelle normative comunitarie e internazionali, a cura di J. TOGNON-A. STELITANO,
Padova, CLEUP, 2011.

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Lo sport oggi è sottoposto in tutta la sua ampiezza e non più


soltanto per i suoi aspetti economici all’ordinamento comunita-
rio (14), per il quale bisogna tener conto del già citato art. 165 del
TFUE, il cui par. 2 recita: “L’Unione Europea ha la competenza
a promuovere i profili europei dello sport, tenendo conto delle
sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della
sua funzione sociale ed educativa”. In questa formulazione, la spe-
cificità, alla quale si accomuna anche il richiamo non solo al volon-
tariato, ma soprattutto alla funzione sociale ed educativa dello
sport, non viene solo apertamente riconosciuta, come avveniva
nel Libro Bianco del 2007, ma acquista anche un valore giuridico
vincolante, di cui tutto il settore sportivo e la sua regolamentazio-
ne, di qualunque tipo essa sia, non potrà fare a meno di tener con-
to (15).
In questa direzione era, del resto, già da tempo iniziato lo sfor-
zo di dottrina e giurisprudenza per capire se e in che modo si po-
tessero adattare gli strumenti civilistici e lavoristici al comparto
sportivo e a quei soggetti, pur qualificati come non professionisti,
che trovavano la loro maggiore, se non unica, fonte di reddito nella
pratica sportiva. Ci si rendeva conto, infatti, che gli strumenti of-
ferti dal diritto civile non sempre erano adattabili al fenomeno spe-
cifico, sia perché la prestazione sportiva manteneva la sua caratte-
ristica di prestazione sui generis, non del tutto assimilabile a una
‘normale prestazione lavorativa’ (16), sia perché la legislazione na-
zionale si trovava di fronte ad una realtà organizzativa preesistente,

(14) J. ZYLBERSTEIN, La specificità dello sport nell’Unione Europea, in RDES, IV, 2008, p.
59. Sulla specificità dello sport cfr. M. COLUCCI, L’autonomia e la specificità dello sport
nell’Unione europea: alla ricerca di norme sportive necessarie, proporzionali e di ‘buon senso’, in
RDES, 2, 2006; ID., Sport in the European Union Treaty: in the name of Specificity and
Autonomy, in AA. VV., The future of sport in the European Union, a cura di M. COLUC-
CI-R. BLANPAIN-F. HENDRICKS, The Hague, Kluwer Law International, 2008. Vedi
ancora E. SZYSCZAK, Is sport special?, cit.; M. COLUCCI, Sports Law in Italy, cit.; M.
NINO, The Protection and Promotion of Sport in the EU Following the Treaty of Lisbon
and the Bernard Ruling, in The Global Community Yearbook in International Law and ju-
risprudence, I, 2010, New York, 2012, pp. 179 ss.
(15) Cfr. la sentenza Bernard (Corte di giustizia UE, sentenza 16 marzo 2010, cau-
sa C-325/08). Si veda, a proposito, AA. VV., Vincolo sportivo e indennità di formazione.
I regolamenti federali alla luce della sentenza Bernard, a cura di M. COLUCCI-M.J. VACCA-
RO, Bruxelles-Salerno, Sport Law and Policy Center, 2010.
(16) Sui profili strutturali della prestazione sportiva: R. PRELATI, La prestazione spor-
tiva nell’autonomia dei privati, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 115 ss. Per una definizione
di attività sportiva dilettantistica, vedi L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordina-
mento giuridico, Napoli, ESI, 1999, pp. 162 ss.

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22 CAPITOLO 1

al punto di dover vincere notevoli resistenze da parte di tale realtà,


che intendeva conservare – e non sempre senza ragione – la pro-
pria struttura e la propria autonomia (17).
L’intervento della Comunità europea ha, quindi, in parte com-
plicato e in parte sciolto alcuni nodi.
Dal punto di vista generale, ha richiesto un adattamento degli
istituti civilistici a standard diversi, ad iniziare, ad esempio, come
vedremo, dal concetto di impresa e di mercato.
Per quanto riguarda il comparto specifico, la Comunità, “pur
nel rispetto dell’autonomia delle organizzazioni sportive e della
cooperazione instaurata con esse dagli organi della Comunità”,
in un primo tempo ha manifestato chiaramente la tendenza a guar-
dare il fenomeno sportivo soltanto dal punto di vista economico,
disinteressandosi del resto, in quanto materia non contemplata
nei Trattati, ma, in un secondo momento, si è spinta anche a met-
terne in luce la peculiarità e quindi a riconoscerne l’interesse per
l’Unione Europea, in un quadro di individuazione della sua auto-
nomia (18).
Senza continuare a discutere sull’originarietà o meno dell’ordi-
namento sportivo – la cui indagine esula, comunque, dall’ambito
della presente trattazione –, non può essere contestato il dato sto-
rico di una tradizione di autonomia che affonda le sue radici lon-
tano nel tempo, che tuttora persiste e potrebbe forse trovare una
sua nuova definizione attraverso una corretta interpretazione, e so-
prattutto un corretto ricorso al principio di sussidiarietà (19), e in

(17) Ivi, p. 132.


(18) Cfr. M. COLUCCI, L’autonomia e la specificità dello sport nell’Unione europea. Alla ri-
cerca di norme sportive necessarie, proporzionali e di ‘buon senso’, cit.
(19) Si tratta, come vedremo meglio oltre, di un principio che abilita la regolamen-
tazione endoassociativa, ma “non esime affatto il contenuto normativo prodotto
dal legislatore abilitato a produrre la fattispecie (cioè la fonte delle norme) dal vin-
colo di conformità a Costituzione e a tutto il complesso dei valori nazionali e in-
ternazionali che ne compongono il tessuto...La sussidiarietà indica che il soggetto
ha il potere di porre una norma (...) ma non indica che la norma prodotta sia co-
munque valida. Affinché sia valida, dovrà essere conforme a Costituzione e, quin-
di, interpretata sistematicamente, integrata nelle strutture concettuali dell’ordina-
mento, ricondotta a conformità ai significati dominanti nell’ordine costituziona-
le”. P. FEMIA, Due in uno, cit., p. 298. Ma vedi anche p. 296: “Se la sussidiarietà
abilita il regolatore privato (...) a produrre la disciplina della materia stessa, l’even-
tuale contrasto tra le disposizioni emanate dall’istituzione privata (le quali altro
non sono che clausole di un atto di autonomia) e le norme statali inderogabili
non comporterà l’invalidità delle clausole o dell’intero atto, secondo gli artt.
1418 e 1419 c.c., ma si risolverà con la disapplicazione delle norme imperative”.

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IL QUADRO NORMATIVO 23

conseguenza della quale qualsiasi strumento giuridico “comune”,


per quanto applicabile, deve sempre essere interpretato e rivisitato.
Il complicato intreccio di fonti impone all’interprete un lavo-
rio teso alla loro armonizzazione con i valori dello sport che, per la
sua specificità, richiede una attenzione e un rispetto dei principi
sulla base dei quali vanno interpretate le normative specifiche,
spesso rigide, ad esso non omogenee. All’interprete è imposta an-
che una attenzione particolare alla regolamentazione endoassocia-
tiva, per stabilirne la natura, ma anche per verificarne la conformità
ai principi e valori costituzionali, oltre che al dettato comunitario.
Un corretto riferimento al principio di sussidiarietà può aiuta-
re a definire i rapporti tra ordinamenti e a dirimere eventuali con-
trasti che possano intervenire. Se la sussidiarietà abilita la fonte pri-
vata, gli atti di autonomia regolamentare diventano vere e proprie
norme imperative, inserite in una struttura nella quale coesistono,
come fonte autonoma, con un nucleo di principi di diritto genera-
le (20).
Si pone, dunque, un problema di interpretazione, discerni-
mento e coordinamento tra molteplici fonti (provenienti dalle Fe-
derazioni nazionali e internazionali, dalle norme comunitarie, da
quelle costituzionali e nazionali) e non è possibile sottovalutare il
fatto che le attività sportive sono disciplinate anche da regole e pra-
tiche non scritte, universalmente conosciute e rispettate.
Possiamo allora concludere, alla luce delle brevi osservazioni
appena svolte, che nel “modello Italia” di sport, a sua volta rien-
trante con alcune particolarità nel “modello Europa” (21), il feno-
meno sportivo, caratterizzato da una notevole interdisciplinarietà
e stratificazione di interventi, è costretto a fare i conti con la que-
stione del rapporto tra una varietà di fonti e con il problema del-

Vedi, anche, D. DE FELICE, Principio di sussidiarietà, cit., pp. 125 ss. Sulla coerenza
sistematica vedi, anche, T.E. FROSINI, L’ordinamento sportivo nell’ordinamento costituzio-
nale, cit.
(20) Si può forse dire che “sul piano generale, la struttura ordinaria della norma-
zione – sia essa di origine statale o comunitaria o internazionale – si è fatta duale:
da un lato un nucleo di principi di diritto generale, retti dal principio di coesione
ordinamentale e, dall’altro, l’affidamento della parte prevalente a fonti autonome”
(A. MANZELLA, Ordinamento giuridico generale e istituzioni sportive, cit., p. 706).
(21) Cfr. L. DI NELLA, La tutela della personalità dell’atleta, in AA.VV., Fenomeno sportivo
e ordinamento giuridico, cit., pp. 76 ss., per il quale si può ritenere che “il modello
giuridico dello sport europeo faccia ormai parte integrante del diritto comunitario
in qualità di complesso di ‘principi generali’ in quanto risulta sia dalla tradizione
giuridico-culturale europea sia dalla prassi comune negli Stati membri ed è adot-
tato in via interpretativa dalla Corte di giustizia nelle sue decisioni in materia”.

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24 CAPITOLO 1

l’inquadramento dei suoi istituti, con l’attenzione all’ordinamento


interno e a quello comunitario, oltre che all’evoluzione costante
e continua che caratterizza questo fenomeno ‘trasversale’.
I criteri ordinatori delle fonti, tradizionalmente gerarchia e
competenza, in un contesto in cui assume importanza anche il te-
ma del coordinamento tra le fonti, devono oggi essere completati
dalla sussidiarietà, che potrebbe anche aiutare a riconsiderare radi-
calmente il rapporto tra legge e norme imperative e che potrebbe
essere utile quando si va ad analizzare il potere regolamentare delle
Federazioni, i cui atti di autonomia possono essere considerati fon-
ti private abilitate a disciplinare il contenuto dei contratti che si
danno in campo sportivo. Il tutto, naturalmente, con l’avvertenza
che la fonte privata non potrà mai sottrarsi ad una interpretazione
sistematica.

3. La L. 23 marzo 1981, n. 91

A caratterizzare il mondo sportivo stanno ibridismo, vastità


della fenomenologia dell’impegno sportivo, stretta correlazione
tra gioco e lavoro, che si realizza in molti dei suoi settori. Tuttavia,
non bisogna sottovalutare il dinamismo sociale, che si è intensifi-
cato dagli anni ottanta in poi e che ha portato a una trasformazione
del mondo dello sport, sempre più addentro alla sfera del business e,
pertanto, a contatto con il mondo del lavoro, caratterizzato, a sua
volta, da un forte dinamismo.
Accanto a una realtà sportiva in evoluzione – e che continua
ad organizzarsi autonomamente -, si sono poste, da un lato, la
provvisorietà e asistematicità di qualsiasi opzione o scelta legislativa
a livello nazionale e la conseguente aleatorietà di ogni interpreta-
zione della normativa esistente e, dall’altro, il continuo intervento
della Comunità Europea.
Sul piano nazionale, con riferimento al mondo del lavoro, fin
dagli anni sessanta era iniziato un processo che aveva portato all’ir-
rigidimento delle strutture normative e aveva inciso sull’autonomia
privata anche sotto il profilo della libertà di scelta del tipo contrat-
tuale e aveva intaccato, sul piano imprenditoriale, la stessa libertà di
uscita dal rapporto (22).

(22) L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel secolo XX, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2, 2000,
p. 9.

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IL QUADRO NORMATIVO 25

Tuttavia, la L. 300/1970, nota come Statuto dei Lavoratori,


che aveva coronato questo processo, si era trovata subito a urtare
con gli avvenimenti economici degli anni settanta, caratterizzati da
una crisi congiunturale e dalla crisi petrolifera. Il legislatore, quindi,
si era visto costretto a intervenire con provvedimenti che davano
inizio ad un periodo di legislazione del lavoro d’emergenza e, tal-
volta, anche a limitare i vincoli del collocamento obbligatorio e a
frenare il costo del lavoro.
In seguito, agli inizi degli anni ottanta, la crisi strutturale del
sistema economico ha spinto a riflettere anche sullo stato del dirit-
to del lavoro e a far avanzare perplessità rispetto alle sue pretese
espansive. L’attenzione per la tutela del lavoro, che aveva caratte-
rizzato gli anni precedenti, cominciava a risentire della crisi dettata
dal mutare dei rapporti di forza e dell’assetto del mercato.
Stessa crisi interveniva sul piano giuridico nel quale, come è
stato ben messo in evidenza, ci si avviava verso un’epoca di deco-
dificazione (23).
Il fenomeno sportivo va inquadrato proprio in questo conte-
sto. Difatti, la diffusione della pratica sportiva e degli sport e la loro
trasformazione in termini economicistici hanno fatto sì che lo
sportivo iniziasse ad essere considerato alla stregua di un lavorato-
re, data la consistenza degli emolumenti ricevuti a fronte della pro-
pria prestazione.
Tuttavia, il settore era privo di apposita regolamentazione che
tenesse conto della specificità del fenomeno e della prestazione
sportiva, anche perché, come detto, ci si rendeva conto che categorie
e istituti del diritto ordinario non sempre erano utilizzabili nello
sport senza opportuni adattamenti (peraltro non facili) e, soprattut-
to, senza rischiare di minare l’autonomia dell’ordinamento sportivo.
Con l’ingresso nello sport di forti interessi economici, entrava
in crisi anche il mito dell’impenetrabilità statuale, in quanto gli stes-
si sportivi cominciavano a prendere coscienza della tutela irrinun-
ciabile del lavoro nell’ordinamento nazionale e del fatto che nessu-
no status endoassociativo potesse impedire il diritto, costituzional-
mente garantito, di rivolgersi alla magistratura per la tutela delle
proprie ragioni (24).

(23) Cfr. N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, Giuffrè, 1978. Ma cfr. anche ID., L’età
della decodificazione. ‘L’età della decodificazione’ vent’anni dopo, Milano, Giuffrè, 1999.
(24) Cfr. A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in
AA.VV. La giustizia sportiva, cit., p. 84.

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26 CAPITOLO 1

È in questo contesto, caratterizzato anche dalla diversificazio-


ne dei trattamenti all’interno dell’area della subordinazione e dall’e-
mergere di nuovi tipi di lavoro, che il legislatore nazionale ha co-
minciato a interessarsi del settore sportivo, emanando la L. 91/
81, intesa a disciplinare il professionismo sportivo, con un atteggia-
mento condizionato dalla situazione contingente e, allo stesso tem-
po, spinto a una regolamentazione tendente a realizzare una tutela
fino a quel momento inesistente nei confronti del professionismo
sportivo e contemporaneamente a sottrarre la prestazione di una
parte del mondo sportivo – vista la sua particolarità – alle regole
troppo stringenti del campo lavoristico.
Attraendo la disciplina di lavoro degli sportivi professionisti
nell’ambito della potestà normativa dello Stato, e rinviando alle
norme federali solo per alcuni aspetti, che, apparentemente, sem-
brava non toccassero la sostanza della soluzione, la L. 91/81, da
un lato, tendeva a sottrarre autonomia al mondo dello sport e, dal-
l’altro, assicurava al lavoro sportivo una tutela di cui fino a quel
momento non aveva goduto. Si prendeva una posizione precisa
– anche se suscettibile di destare molte perplessità – sul discrimine
tra subordinazione e autonomia, passando ad una loro definizione
prettamente sportiva che inquadrava la seconda come particolare,
soprattutto in termini di durata della prestazione, senza alcun rife-
rimento alle qualità né della prestazione stessa, né del prestatore. Il
che trovava, in parte, una sua giustificazione non solo negli obiet-
tivi che la legge intendeva raggiungere, ma probabilmente anche
nella peculiarità del fenomeno nel quale, pur in presenza di una tra-
sformazione in senso economicistico di una parte del settore, non
si poteva prescindere da altri elementi caratterizzanti, quali l’impor-
tanza dell’associazionismo e del volontarismo, che incide sulle tipo-
logie delle prestazioni stesse che, a loro volta, si collegano con un
aspetto ludico – e con la tradizionale causa ideal-sportiva – che
mantiene in ogni caso una sua centralità.
La ratio della L. 91/81 era legata alla necessità di riconoscere lo
sviluppo dell’attività sportiva in termini di professionalizzazione e
lavoro retribuito e mirava a dare dignità alla figura dello sportivo.
Contemporaneamente, vi era l’ulteriore necessità di non snaturare
l’originario aspetto ludico/volontaristico dello sport. Pertanto, si ri-
tenne opportuno operare una distinzione tra coloro che esercitava-
no una attività sportiva in termini lavoristici e coloro che, se pur
agonisti, non traevano dalla pratica sportiva l’unica o prevalente
fonte di reddito.
Indubbiamente, consapevole della ricca articolazione delle di-

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IL QUADRO NORMATIVO 27

scipline sportive e dei molti operatori che al loro interno fornisco-


no prestazioni, il legislatore aveva inteso operare una differenzia-
zione tra professionisti espressamente indicati e quelli non menzio-
nati nell’art. 2 della L. 91/81 e aveva voluto fissare, con il succes-
sivo art. 3, diversi criteri per la qualificazione del rapporto lavora-
tivo in termini di subordinazione o autonomia.
È bene sottolineare che la delimitazione del campo di applica-
zione soggettivo, operata dall’art. 2, ha creato da subito dubbi in-
terpretativi in punto di tutela e ha originato anche le disparità di
trattamento di cui in questa sede ci occupiamo. In un certo senso,
è proprio tale disposizione, per la quale la qualifica di professioni-
sta dipende da una scelta delle Federazioni, a originare il problema.
Difatti, se è vero che per la qualificazione di un rapporto deve
aversi riguardo alla sua natura, salta agli occhi la peculiarità della
prestazione sportiva che sarebbe stato opportuno inquadrare in
un tipo contrattuale specifico, così da evitare che rapporti in tutto
e per tutto identici dovessero differenziarsi in punto di tutela solo e
soltanto sulla base di un elemento formale esterno, ovvero, nel ca-
so di specie, sulla base di una qualifica lasciata alla autodetermina-
zione delle Federazioni.
A prescindere dalle brevissime considerazioni appena intro-
dotte e dal fatto che la L. 91/81 è applicabile ai soli professionisti
“qualificati” a norma dell’art. 2, bisogna anche tener conto che det-
ta legge, in realtà, riusciva a focalizzare la specificità della prestazio-
ne sportiva quando poneva delle deroghe significative alla discipli-
na ordinaria e recava con sé una carica fortemente innovativa, dal
momento che il mercato del lavoro ordinario si svolgeva sotto il
diretto controllo statale e l’accesso al posto di lavoro, ad es., avve-
niva con chiamata numerica sulla base delle liste di collocamento.
La L. 91/81 sembra, pertanto, seppure solo nel proprio ambito di
applicazione, aver anticipato l’indirizzo generale del legislatore, in
presenza di nuove esigenze del mercato del lavoro (25), e aver so-
prattutto messo in evidenza alcune peculiarità del fenomeno spor-
tivo.
Le numerose criticità mostrate dalla Legge avevano originato

(25) Tale rigidità è stata, infatti, successivamente mitigata, sul piano generale, a se-
guito del processo di liberalizzazione del sistema, che ha esteso l’assunzione diret-
ta a tutte le forme di avviamento al lavoro (Legge 28 novembre 1996, n. 608 e
D.Lgs. n. 297/2002), e di sburocratizzazione dei processi di incontro tra domanda
e offerta (D.Lgs. n. 276/2003).

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28 CAPITOLO 1

anche la discussione sulla possibilità di una sua interpretazione


estensiva, che valicasse proprio l’ambito soggettivo, dell’art. 2,
per ricomprendere il settore dilettantistico, o meglio, quella parte
del settore dilettantistico che realizza professionismo di fatto (26).
Sul punto, la giurisprudenza è intervenuta più volte con mol-
teplici pronunce, sia in ambito nazionale che comunitario (27).
Di fatto, a fronte di una realtà quale quella dei professionisti di
fatto, il mondo sportivo si è adeguato, al di là delle intenzioni del
legislatore e delle regolamentazioni federali. Ha trovato larga diffu-
sione la prassi della stipula di accordi che, pur senza poter essere
considerati contratti di lavoro, si presentano articolati sulla falsariga
di questi. Seppur variamente denominate (contratti/accordi, scrit-
ture private, di collaborazione sportiva ecc.), tali intese intercorse
tra società e atleti si conformano, tuttavia, alla regolamentazione
federale e pongono il problema, da un lato, di comprendere la na-
tura giuridica del rapporto che viene a crearsi tra sportivo e Fede-
razioni e tra sportivo e società e/o associazioni, e, dall’altro, la ne-
cessità, in caso di controversie, di guardare al caso concreto e alla
realtà del rapporto che si è venuto a creare.
Riprendendo le discussioni avutesi prima della legge, ci si è
continuati a interrogare su come configurare il rapporto che il pro-
fessionista di fatto mantiene con le associazioni sportive e con le
Federazioni. Si è parlato di contratto di ingaggio, di un rapporto

(26) G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. civ., I,
1993; M. PERSIANI, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società
e sportivi professionisti, in N.L.C.C, 1982, p. 576; B. BERTINI, Il contratto di lavoro spor-
tivo, in Contr. e impr., 1988, p. 748. Non è un caso, comunque, che, negli ultimi de-
cenni, abbia trovato consenso, vista la emersione del professionismo di fatto, la
richiesta di applicare anche a costoro la L. 91/81. Su questo versante si situano
P. ICHINO, Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento, in AA.VV., Commentario
del Codice civile Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1992; F. REALMONTE, L’atleta professionista
e l’atleta dilettante, in Riv. dir. sport, 1997; P. TOSI, Sport e diritto del lavoro, in ADL,
2006. Va ricordato che, talvolta, anche in giurisprudenza (Pret. Busto Arsizio,
12 dicembre 1984, in Giust. civ., 1985, 2085 ss.) è stata considerata direttamente
applicabile allo sport dilettantistico la legge 91/81.
(27) Cass., 28 dicembre 1996, n. 11540, cit.; Cass., 17 gennaio 1996, n. 354, in
DPL, 1996, 1327; Cass., sez. lav., 8 giugno 1995, n. 6439. Cfr., più recentemente,
Cass., sez. lav., 11 aprile 2008, n. 9551, in Foro it., 2008: per la quale “spetta al giu-
dice ordinario conoscere della controversia tra massaggiatore e società calcistica
relativamente al rapporto di lavoro subordinato intercorso, cui è applicabile la
normativa generale del contratto a termine nonché il principio dell’onnicompren-
sività della retribuzione e del patto di conglobamento, restando esclusa l’applica-
zione della L. 91/81 alla figura del massaggiatore di società calcistica”.

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IL QUADRO NORMATIVO 29

di lavoro atipico, non suscettibile di essere inquadrato nella discipli-


na ex art. 2094 c.c., o anche di un rapporto speciale, nel qual caso,
se pure circoscritto all’interno dell’art. 2094 c.c., avrebbe richiesto
modalità e termini di applicazione dell’art. 2239 c.c., riguardante
tuttavia i rapporti di lavoro che non si svolgono nell’ambito del-
l’impresa e che, quindi, intercorrono tra uno sportivo e un datore
di lavoro che sia privo dei requisiti tipici dell’imprenditore (profes-
sionalità, organizzazione, natura economica dell’attività consistente
nella produzione o nello scambio di beni e di servizi). In tal caso, il
giudice di merito dovrebbe volta per volta stabilire l’imprenditoria-
lità o meno del datore di lavoro (28).
La L. 91/81 – con tutte le anomalie che essa presenta anche
per il fatto di essere frutto di un modello ispirato principalmente
al calcio, pur pretendendo di regolamentare un fenomeno assai
più ampio e articolato – a tutt’oggi resta a fondamento del contrat-
to di lavoro sportivo per quelle categorie che, come detto, rientra-
no nell’ambito della sua applicabilità, per le quali ha rappresentato,
comunque, un passo avanti verso la libertà contrattuale, superando
anche, entro certi limiti, la limitazione del vincolo sportivo (art. 16).
Tutti i provvedimenti successivi (compresi la L. 586/96, il D.Lgs.
23 luglio 1999, n. 242, e la sua modifica, il D.Lgs. 8 gennaio
2004, n. 15, il D.M. 15 marzo 2005 (29)) hanno disciplinato solo
aspetti istituzionali dell’organizzazione sportiva nazionale relativi
al professionismo sportivo, lasciando spazio all’autonomia organiz-
zativa delle Federazioni (30).
Fondamentalmente, la legge si preoccupava di qualificare solo
alcune categorie di professionisti e poco si curava della rilevanza
che tutto il fenomeno sportivo stava assumendo. Ciò nonostante,
al contempo, si presentava fortemente innovativa rispetto ai canoni
generali del diritto commerciale, soprattutto con riferimento alla
struttura societaria.
Quando tale legge fu pubblicata si erano già avute alcune si-
gnificative sentenze della Corte di giustizia CE (Walrave e Koch)
che chiarivano come l’attività sportiva dovesse essere considerata,

(28) Cfr. M. D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di


lavoro atipici, in Dir. lav. rel. ind., 1990.
(29) Che ha operato l’ampliamento delle categorie di lavoratori obbligatoriamente
assicurati presso l’E.N.P.A.L.S.
(30) In relazione alla L. 91/81 sono state emanate varie istruzioni. Tra le altre si
ricordano: Ministero delle Finanze, circ. 26 feb. 1997 n. 48/E; Circ. 4 giugno
1998, n. 141/E; Min. dell’economia e delle finanze, Ris. 19 dic. 2001, n. 213/E.

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30 CAPITOLO 1

se prestata dietro compenso, attività economica a pieno titolo e,


quindi, dovesse rientrare nell’ambito di applicazione degli artt.
39-41 del Trattato CE. Primo doveroso tentativo, quindi, di fornire
una disciplina a un settore nuovo del panorama lavorativo, ma, al
tempo stesso, tentativo posto in essere solo con riguardo a catego-
rie sportive ben precise.

4. La L. 18 novembre 1996, n. 586 e i provvedimenti succes-


sivi

A partire dalla L. 91/81 il legislatore nazionale, probabilmente


sempre più consapevole delle lacune di un settore in esponenziale
crescita e sviluppo, ma anche sotto la spinta comunitaria, ha inizia-
to a monitorare il sistema sportivo emanando una serie di provve-
dimenti che, seppur originati da seri propositi, tuttavia non faceva-
no capo ad un unico programma, essendo posti in essere ‘a sin-
ghiozzo’, per fronteggiare casi specifici ed emergenze.
Uno dei più importanti interventi è stato senza dubbio la L.
586/96, emanata sulla scia della sentenza Bosman. Tale sentenza,
come noto, riguardava la libera circolazione dei lavoratori, le regole
di concorrenza e i regolamenti sportivi sul trasferimento dei calcia-
tori, che obbligavano la società cessionaria a pagare un’indennità
alla società cedente. La sentenza, esplicitamente, dichiarava illegit-
timo l’indennizzo previsto a carico della società che ingaggiasse un
calciatore a fine contratto.
Così, la L. 586/96, dopo aver previsto per l’atleta professioni-
sta l’abolizione dell’indennità di preparazione – ad esclusione del
punto in cui si riconosce un premio di addestramento e formazio-
ne alla società sportiva presso la quale l’atleta ha svolto la sua atti-
vità dilettantistica (31) -, apportava modifiche significative alla L.
91/81, sia per quanto riguardava le finalità perseguite dalle società
sportive, sia per quanto riguardava i controlli cui esse dovevano
sottostare.
L’art. 4 modificava l’art. 10 della L. 91/81, rendendo obbliga-
toria, in deroga all’art. 2488 c.c., la nomina del collegio sindacale
per le società sportive. Al comma 2, lo stesso articolo modificava

(31) Si legge all’art. 1: nel caso di primo contratto “deve essere stabilito dalle Fe-
derazioni Sportive nazionali un premio di addestramento e formazione tecnica a
favore della società sportiva presso la quale l’atleta ha svolto la sua attività dilet-
tantistica”.

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IL QUADRO NORMATIVO 31

l’art. 12 della L. 91/81, al fine di garantire il regolare svolgimento


dei campionati sportivi: “le società di cui all’art. 10 sono sottopo-
ste, al fine di verificarne l’equilibrio finanziario, ai controlli ed ai
conseguenti provvedimenti stabiliti dalle Federazioni sportive,
per delega del CONI, secondo modalità e principi da questo ap-
provati”. La stessa L. 586 sopprimeva il divieto di distribuire utili,
di cui all’art. 10 della L. 91/81, e introduceva la previsione che la
società potesse svolgere “esclusivamente attività sportive e attività
ad esse connesse o strumentali”; imponeva l’obbligo di reinvestire
una quota degli utili, pari ad almeno il 10%, nelle scuole giovanili di
addestramento. Nascevano, così, le società sportive di capitali con
scopo di lucro e si introduceva, in tal modo, una causa lucrativa che
consentiva l’applicabilità di tutte le norme relative anche alle socie-
tà sportive. Inoltre, si ridimensionava il potere di controllo delle
Federazioni, che non avevano più la vigilanza sulla gestione delle
società affiliate e sui singoli atti, ma solo un potere di controllo
complessivo per verificarne l’equilibrio finanziario ai fini della sal-
vaguardia del regolare svolgimento dei campionati, senza possibili-
tà di ingerenza nelle scelte patrimoniali, quindi soltanto il potere di
denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.
La L. 586/96 ha dato inizio ad una serie di interventi sempre
più spesso – se non solo – di carattere occasionale, che testimonia-
no di un continuo intervento asistematico e emergenziale da parte
del legislatore, che ha “segnato la fine della pretesa di immunità
dello sport” e ha fatto perdere stabilità normativa al settore, modi-
ficando anche l’equilibrio tra pubblico e privato (32).
Ne è derivato un sistema notevolmente frastagliato, una sorta
di ‘patchwork’ normativo che continua ad impegnare l’interprete a
districarsi tra numerosissime norme e disposizioni che, per la loro
natura di intervento frettoloso sul caso concreto, spesso non pos-
sono agevolmente essere applicate a fattispecie generali, se non
con evidenti forzature.
Per di più, proprio sul punto del professionismo di fatto, gli
interventi successivi hanno spesso sorvolato, tranne in materia fi-
scale dove, se da un lato facevano emergere la realtà del professio-
nismo di fatto, dall’altro contribuivano ad accrescere la confusio-
ne (33).

(32) Cfr. G. NAPOLITANO, Le parabole dell’ordinamento sportivo tra pubblico e privato, in


AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 654.
(33) Sul punto cfr. R. AFELTRA, Il regime fiscale delle società e delle associazioni sportive

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32 CAPITOLO 1

L’unico intervento significativo in materia dilettantistica è sta-


ta la L. 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per l’attività spor-

dilettantistiche, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., pp. 397 ss. An-
che se in maniera non esaustiva, si ricordano tali provvedimenti normativi, dai
quali si deduce come lo sport sia toccato molto spesso da decisioni ad esso estra-
nee ma che, pure, lo coinvolgono. Prima della L. 586/96 si erano avuti: la L. 31
gennaio 1992, n. 138: “Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità del Co-
mitato olimpico nazionale italiano (CONI)”, che disponeva, all’art. 3, c. 1, l’inqua-
dramento del personale in servizio presso le Federazioni sportive nazionali nei
ruoli del personale del CONI, e il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29: “Razionalizza-
zione degli organi delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in
materia di pubblico impiego a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1991, n.
426”. Toccano aspetti della regolamentazione dello sport il D.Lgs. 31 marzo
1998, n. 112: “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,
n.59”; il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286: “Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che sarà
modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189; quindi, il D.Lgs. 20 ottobre 1998, n.
368: “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’art. 11
della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che, all’art. 2, comma 1 lettera b), devolve al
Ministero le attribuzioni in materia di sport e di impiantistica sportiva spettanti
alla Presidenza del Consiglio dei ministri e, all’art. 2, 2 lettera g), la vigilanza sul
CONI e sull’istituto per il credito sportivo. A pochi mesi di distanza segue l’im-
portante D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242: “Riordino del Comitato olimpico nazionale
italiano-CONI, a norma dell’art.11 della L.15 marzo 1997, n. 59 (c.d. Decreto Me-
landri)”. Compare nel Decreto il tema del diritto dei disabili la cui promozione
rientra nei compiti del CONI. Importante l’art. 14 che consente al CONI, per
una migliore funzionalità dell’ente, di “costituire, previa autorizzazione del mini-
stro vigilante, società di capitali”. Nella Legge, all’art. 15, si dispone sulle FSN e,
all’art. 16, si prevede che negli Statuti federali debbano essere contemplati il prin-
cipio di democrazia interna e il principio di partecipazione all’attività sportiva da
parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo
nazionale e internazionale. Detta anche norme elettorali e prevede che gli statuti
federali assicurino “forme di equa rappresentanza di atlete e atleti”. Ricordiamo
poi la L. 21 novembre 2000, n. 342, in materia fiscale (art. 37, Disposizioni tribu-
tarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche) che prevede una esenzione
di imposta fino a 10 milioni per compensi erogati da società sportive dilettantisti-
che. Per inciso questa statuizione di natura fiscale ha consentito ad alcune Fede-
razioni di legittimare solo quegli accordi tra società e atleti contenuti nei limiti se-
gnati alla normativa fiscale. Segue il Decreto del Ministero della salute del 7 agosto
2002 recante norme procedurali per l’effettuazione dei controlli antidoping e per
la tutela della salute, ai sensi dell’art. 3, comma 1 della legge 14 dicembre 2000, n.
376. Interviene poi la L. 8 agosto 2002, n. 178, che, all’art. 8, Riassetto del CONI,
segna la nascita del CONI Servizi spa. Il successivo D.L. 24 dicembre 2002, n. 282
reca “Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari fiscali e di pro-
cedure di contabilità”. La L. 24 aprile 2003, n. 88, in tema di violenza negli stadi,
precede di poco il D.L. 19 agosto 2003, n. 220: “Disposizioni urgenti in materia di
giustizia sportiva”. Modalità di attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 7
della legge 14 dicembre 2000, n. 376, recante “Disciplina della tutela sanitaria delle

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IL QUADRO NORMATIVO 33

tiva dilettantistica), il cui art. 90 definisce le forme degli enti che


svolgono attività sportiva in forma dilettantistica che possono as-
sumere tanto la veste giuridica di associazioni riconosciute o non
riconosciute, quanto quella di società di capitali o di società coope-
rative. Si tratta, quindi, di un intervento in materia societaria, che
nulla chiarisce, però, rispetto alla figura e alla natura della prestazio-
ne dei professionisti di fatto. Anzi è stata proprio la mancanza di
professionismo a consentire alle associazioni sportive, da un lato,
“di non assumere lo status di società di capitali aventi natura com-
merciale, pur senza fine di lucro, e, dall’altro, di ostentare un dilet-

attività sportive e della lotta contro il doping”, che sarà convertito con la legge di
conversione del 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia di
giustizia sportiva. Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in
materia di occupazione e mercato del lavoro, cd. Riforma Biagi, sui contratti di
inserimento che apre al mondo dello sport modalità lavorative innovative). A in-
tegrazione o correzione di alcune criticità del c.d. Decreto Melandri interviene
D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 15 (decreto Urbani Pescante), recante modifiche ed in-
tegrazioni al decreto Melandri e che prevede ancora un riordino del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano. A sua volta, la L. 21 maggio 2004, n. 128, reca mo-
difiche all’art. 90 della L. 27 dicembre 2002, n. 289 (art. 4: interventi nei settori dei
beni e delle attività culturali e dello sport; c. 6-ter riguardante la forma scritta per
la costituzione delle società e associazioni sportive e l’elencazione delle caratteri-
stiche che devono necessariamente essere indicate nell’atto costitutivo; c. 18 bis
sul divieto agli amministratori delle società e delle associazioni sportive di ricopri-
re la medesima carica in altre società o associazioni sportive). Ricordiamo poi il
D.L. 28 maggio 2004 sull’applicazione dei benefici fiscali alle società e associazioni
sportive; la L. 24 luglio 2004, n. 186 (delega al governo per il riassetto delle dispo-
sizioni legislative in materia di sport); la L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria
2007). Importante la Legge 19 luglio 2007, n. 106, di delega per la revisione della
disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi e rela-
tiva ripartizione delle risorse provenienti dalla commercializzazione di tali diritti.
La legge afferma il carattere sociale dell’attività sportiva e riconosce la specificità
del fenomeno. È evidente che con la commercializzazione dei diritti audiovisivi si
rende ancora più complesso il fenomeno sportivo e al suo interno prende ancora
più forza il concetto di impresa. Il punto di contatto tra gli ordinamenti diventa
stretto e l’intreccio di norme e principi mostra la sua complessità. Interferiscono,
per quanto riguarda gli scopi perseguiti dall’impresa, scopi ideali (associazioni-
smo), e scopi di lucro (società), per cui si rende difficile il compito dell’interprete
al quale tocca ricorrere al bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti,
vale a dire la tutela dell’iniziativa economica privata, da una parte, e la garanzia
della sicurezza, della libertà e della dignità umana, dall’altra (art. 41, comma 1 e
2, Cost.). L. 24 dicembre 2012, n. 228, contenente la proroga della deroga dell’ap-
plicazione alle FSN e alle DSA art. 6 legge 122/2010. È agevole notare, ad un
primo sguardo, che ogni volta che il legislatore è intervenuto, lo ha fatto in ma-
niera asistematica e molto spesso per tentare di porre rimedio a una situazione
specifica, a correggere un provvedimento precedente o a colmare una lacuna o
a correggere un tipo di tutela, mancante o non adattabile al settore sportivo spe-
cifico.

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34 CAPITOLO 1

tantismo formale a fronte di un professionismo sostanziale” (34).


Successivamente la L. 128 del 21 maggio 2004 ha delineato i con-
torni giuridici degli enti sportivi e ha precisato i contenuti degli sta-
tuti.

5. La normativa del settore sportivo: incongruenze e speci-


ficità.

Come accennato, la L. 91/81, se pure migliorava la situazione


del professionismo sportivo – fino a quel momento senza tutela
specifica, in quanto esso svolgeva la sua attività in una sorta di zona
franca dove il legislatore nazionale non entrava -, oltre ad escludere
dalla sua portata quegli atleti che militassero in Federazioni non
professionistiche, sottraeva la figura dello sportivo professionista
ad alcune guarentigie, predisponendo deroghe necessariamente le-
gate alla specificità del comparto sportivo quali, ad esempio, la già
ricordata previsione contenuta nell’art. 4, comma 1, dell’assunzione
diretta – che a quel tempo era vietata -, anche mediante agenti e
procuratori. Inoltre, la medesima disposizione stabiliva che nel
“contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente
l’obbligo dello sportivo di rispettare le istruzioni tecniche e le pre-
scrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici”, im-
ponendo con ciò stesso una disciplina particolare, suscettibile di
consentire un assoggettamento totale dell’atleta alle direttive della
società.
L’innegabile particolarità della prestazione sportiva, con riferi-
mento alla L. 300/1970, comportava altre deroghe (35), coerenti

(34) R. AFELTRA, Il regime fiscale delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche, cit.,
p. 603.
(35) Senza scendere nei particolari, ricordiamo che le deroghe riguardavano, tra
l’altro, gli impianti audiovisivi, gli accertamenti sanitari, le mansioni del lavoratore,
visto che è impossibile configurare l’attività sportiva alla stessa stregua del norma-
le rapporto di lavoro in termini di carriera e di mansioni e di categorie; le sanzioni
disciplinari. Interessante la deroga relativa all’art. 18, sulla reintegrazione del posto
di lavoro. Si tratta di un’esclusione che va raccordata con la L. 604/66, artt. 1-8
(giusta causa e giustificato motivo; modalità del licenziamento; causa del licenzia-
mento; onere della prova; impugnazione del licenziamento; tentativo di concilia-
zione e riassunzione e risarcimento). Infine, l’inapplicabilità degli artt. 2118 e 2119
c.c. si basa anch’essa sulla considerazione dell’estrema particolarità delle vicende
sportive ed economiche delle società che sono caratterizzate da notevole mobilità
ma, anche e soprattutto, si fondano sul carattere fiduciario del rapporto di presta-
zione sportiva, al quale non possono facilmente e immediatamente adattarsi le

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IL QUADRO NORMATIVO 35

con la specificità dello sport e della prestazione sportiva, ma che


ponevano il giudice nella difficoltà di conciliare la normativa sul la-
voro comune con la specificità della prestazione (36). Ben si com-
prende la ragione per cui, su tutti questi punti, il giudice ordinario
è stato spesso costretto a riportare un equilibrio tra le posizioni e a
dover decidere bilanciando, ossia tenendo conto sia della normati-
va sul lavoro sia della peculiarità della prestazione, dal momento
che l’emanazione di una legge speciale andava nella direzione di
un ridimensionamento del principio della norma inderogabile po-
sto a fondamento del diritto del lavoro (37).
Il principio, negli ultimi anni, ha subito una trasformazione.
Infatti, come espressione di valori (38), sembra essersi arricchito
con riferimento al rafforzamento dei diritti della persona (39) ma,
contemporaneamente, come tecnica normativa, dovendo tener
conto delle conseguenze che proprio l’estensione di quella tutela
potrebbe comportare, si è affievolito.
Bisogna considerare, inoltre, che non vi è mai stata una defi-
nizione legislativa della norma inderogabile, a cui è sotteso quel
concetto di norma imperativa che rende nullo il contratto ai sensi

norme restrittive che regolano la risoluzione del rapporto di lavoro ordinario e dei
suoi effetti. Si ripristina, in tal modo, nel campo del lavoro sportivo, la recedibilità
senza giusta causa (ad nutum, ovvero il recesso che non richiede alcuna giustifica-
zione disciplinato dagli artt. 2118 e 2119 c.c.). Non si capisce perché alcune di
queste deroghe fossero limitate al solo ambito professionistico e non potessero
essere applicate anche a tutta l’attività sportiva, quando questa, oltre ad essere
del tutto assimilabile come attività a quella del professionista ex lege, dovesse assu-
mere le caratteristiche di una attività lavorativa.
(36) G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav., 2002, I,
p. 42. Cfr., anche, B. BERTINI, Il contratto di lavoro sportivo, cit., p. 744.
(37) Per una disamina della norma inderogabile si veda R. DE LUCA TAMAJO, La
norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, Jovene, 1976; M. BIANCA-S. PATTI-
G. PATTI, Lessico di diritto civile, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 393 ss., ed. 1995. Vedi,
anche, E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile,
norma dispositiva, norma suppletiva, in Riv. dir. civ., 2001, pp. 585 ss.; C. PONTERIO, I
diritti dei lavoratori tra inderogabilità e deroghe, in Questioni di giustizia, II, 2008; M. NO-
VELLA, L’inderogabilità nel diritto del lavoro. Norme imperative e autonomia individuale, Mi-
lano, Giuffrè, 2009; A. ZOPPOLI, Il declino dell’inderogabilità?, in Diritti lavori mercati, I,
2013, pp. 53 ss.
(38) Sul punto dei valori prodotti dalla Costituzione: R. SACCO, Trattato di diritto ci-
vile. Il contratto, I, Torino, UTET, 2004, pp. 32 ss.
(39) Cfr. A. MANZELLA, Ordinamento giuridico generale e istituzioni sportive, cit., p. 706:
“È la sovranità universalistica dei diritti delle persone, che è il vero jus gentium della
modernità, il parametro di legittimità di qualsiasi ordinamento giuridico”. Ma, ag-
giunge l’A., “queste premesse concettuali sono spesso contraddette dalla realtà
fattuale delle polimorfiche situazioni giuridiche in cui di volta in volta si collocano
e agiscono le istituzioni sportive”.

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36 CAPITOLO 1

dell’art. 1418 c.c. (che, comunque, precisa “salvo che la legge di-
sponga diversamente”), o illecita la causa che vi contrasti, ai sensi
dell’art. 1343 c.c. (40).
Alla nozione di norma imperativa, la dottrina ha affiancato
quella di norma cogente o quella di norma categorica, o di norma
assoluta o indisponibile. E se pure è vero che spesso si usano ter-
minologie intercambiabili, tra i vari concetti sono state tracciate
differenze sostanziali. Si è distinto, infatti, tra norme inderogabili
(concernenti la condizione dei poteri privati rispetto ad un precetto
legislativo che non può essere violato), norme indisponibili (per le
quali l’interesse costituzionalmente protetto non può mai essere
oggetto di disposizione), norme cogenti (indicative di un certo mo-
dello il cui mancato rispetto non comporta tuttavia la caducazione
dell’intero atto) e norme imperative (non derogabili per volontà
delle parti, che fissano i valori fondamentali dell’ordinamento giu-
ridico la cui violazione produce illiceità) (41).
Nella considerazione della norma inderogabile, comunque la
si voglia definire, si contrappongono due aspetti che sembrano di-
ventare paradigmatici: il principio di autorità, a cui fa riferimento il
sistema dei valori e da cui, quindi, dipendono scelte di fondo, e il
principio di libertà, che attiene all’autonomia privata. Dal confron-
to, può sorgere anche la possibilità di diversificazione e, quindi, di
una deroga che tenga conto della specificità di rapporti e delle esi-
genze derivanti da situazioni particolari, fermo restando il legame
con il principio dell’indisponibilità dei diritti. Alla fissità del dato
funzionale si accompagna, quindi, la struttura aperta del suo pro-
filo contenutistico, per cui risulta difficile individuare, se non sol-
tanto su base storica, i suoi contenuti concreti, che dipendono dalle

(40) Cfr. F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Padova, CEDAM, II, 2014, pp. 363 ss.
(41) Cfr. E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponi-
bile, norma dispositiva, norma suppletiva, cit. Cfr., sul punto, C. CESTER, La norma inde-
rogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2, 2008, p.
2, per il quale “l’inderogabilità opera come tecnica normativa, e dunque come cri-
terio di confronto e di regolazione della concorrenza tra fonti (in senso ampio) di
disciplina di un certo rapporto giuridico, segnando la prevalenza (totale o parziale,
definitiva o temporanea) di una di esse sull’altra o sulle altre. Ma è altrettanto certo
che la tecnica dell’inderogabilità non è fine a se stessa, perché le ragioni di quella
prevalenza si spiegano solo in relazione a scelte su valori ed interessi, secondo
priorità ricavabili dall’ordinamento e in particolare dal quadro costituzionale. In-
somma, l’inderogabilità si presenta come un binomio nel quale fini e mezzi del-
l’intervento normativo si fondono insieme e, nel loro complesso, forniscono
una chiave di identificazione e di lettura dello stesso ordinamento generale”.

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IL QUADRO NORMATIVO 37

scelte che l’ordinamento giuridico opera in funzione di determinati


interessi e valori in una dimensione prioritaria e generale.
Se a caratterizzare la norma inderogabile è il ‘rapporto di so-
vraordinazione’ rispetto alla fonte con la quale viene misurata, essa
risponde alla difesa di interessi di carattere generale e, contempo-
raneamente, assolve una funzione di protezione della parte più de-
bole del rapporto (42).
Con riferimento al sistema sport, si conferma che la norma
inderogabile, soprattutto nel suo legame con i diritti indisponibili,
deve fare i conti col diritto vivente, dal momento che sussistono
comunque margini di elasticità con riferimento alle conseguenze
della violazione della normativa (43).
È un dato di fatto che negli ultimi decenni si è assistito ad

(42) Sintomatico che in questa direzione negli anni recenti la norma inderogabile,
che si intreccia e si scontra con l’autonomia negoziale, sia stata richiamata non
solo nel campo del lavoro a difesa del prestatore di lavoro subordinato, ma anche
a tutela del consumatore, del titolare di rapporti agrari, dei clienti delle banche ecc.
(43) Sul punto del necessario rispetto per le norme procedurali vedi Cass., sez. un.,
26 aprile 1994, n. 3965 e 3966, in Foro it., 1994, I, 1708, con nota di D. AMOROSO
(confermate anche da Cost., 23 novembre 1994, n. 398): “il licenziamento intima-
to a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pure essa ido-
nea a configurare la giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., ha natura ‘ontologicamen-
te’ disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie pro-
cedimentali di irrogazione stabilite dall’art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300, la cui
violazione, tuttavia, non comporta nullità dell’atto di recesso, ma lo rende ingiu-
stificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, ma non fatto
valere attraverso quel procedimento, non può, quand’anche effettivamente sussi-
stente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere ad-
dotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata dall’or-
dinamento nelle diverse situazioni e cioè a quella massima cosiddetta reale, ex art.
18, citata legge n. 300 del 1970, ovvero all’alternativa fra riassunzione e risarci-
mento del danno, secondo il sistema della L. n. 604 del 1966, o, infine, all’onere
del preavviso ex art. 2118 c.c., incombendo, poi, sul lavoratore l’onere di provare,
se contestata, la ricorrenza dei requisiti di legge – ivi compresi quelli attinenti ai
limiti dimensionali dell’organizzazione facente capo al datore di lavoro – per l’at-
tribuzione del tipo di tutela rivendicata”. In dottrina S. MAINARDI, Il potere discipli-
nare nel lavoro privato e pubblico (art. 2106), Milano, Giuffrè, 2002, p. 190. Sul punto,
v. anche Cass., sez. un., 26 luglio 1999, n. 508: “L’ipotesi del lavoratore licenziato
senza il rispetto delle garanzie procedimentali è assimilabile a quella del lavoratore
licenziato per giusta causa, con l’osservanza delle dette garanzie, nei confronti del
quale sia accertata l’insussistenza dell’illecito disciplinare; pertanto, è infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, L. 15 luglio 1966, n. 604, sollevata
con riferimento all’art. 3 Cost. in base al presupposto interpretativo che il citato
art. 8 comporterebbe, nel caso di licenziamento viziato per difetto di forma, una
tutela reale consistente nella retribuzione del lavoratore fino alla reintegrazione,
maggiore di quella prevista nel caso di accertata inesistenza della giusta causa,

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IL QUADRO NORMATIVO 37

scelte che l’ordinamento giuridico opera in funzione di determinati


interessi e valori in una dimensione prioritaria e generale.
Se a caratterizzare la norma inderogabile è il ‘rapporto di so-
vraordinazione’ rispetto alla fonte con la quale viene misurata, essa
risponde alla difesa di interessi di carattere generale e, contempo-
raneamente, assolve una funzione di protezione della parte più de-
bole del rapporto (42).
Con riferimento al sistema sport, si conferma che la norma
inderogabile, soprattutto nel suo legame con i diritti indisponibili,
deve fare i conti col diritto vivente, dal momento che sussistono
comunque margini di elasticità con riferimento alle conseguenze
della violazione della normativa (43).
È un dato di fatto che negli ultimi decenni si è assistito ad

(42) Sintomatico che in questa direzione negli anni recenti la norma inderogabile,
che si intreccia e si scontra con l’autonomia negoziale, sia stata richiamata non
solo nel campo del lavoro a difesa del prestatore di lavoro subordinato, ma anche
a tutela del consumatore, del titolare di rapporti agrari, dei clienti delle banche ecc.
(43) Sul punto del necessario rispetto per le norme procedurali vedi Cass., sez. un.,
26 aprile 1994, n. 3965 e 3966, in Foro it., 1994, I, 1708, con nota di D. AMOROSO
(confermate anche da Cost., 23 novembre 1994, n. 398): “il licenziamento intima-
to a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pure essa ido-
nea a configurare la giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., ha natura ‘ontologicamen-
te’ disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie pro-
cedimentali di irrogazione stabilite dall’art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300, la cui
violazione, tuttavia, non comporta nullità dell’atto di recesso, ma lo rende ingiu-
stificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, ma non fatto
valere attraverso quel procedimento, non può, quand’anche effettivamente sussi-
stente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere ad-
dotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata dall’or-
dinamento nelle diverse situazioni e cioè a quella massima cosiddetta reale, ex art.
18, citata legge n. 300 del 1970, ovvero all’alternativa fra riassunzione e risarci-
mento del danno, secondo il sistema della L. n. 604 del 1966, o, infine, all’onere
del preavviso ex art. 2118 c.c., incombendo, poi, sul lavoratore l’onere di provare,
se contestata, la ricorrenza dei requisiti di legge – ivi compresi quelli attinenti ai
limiti dimensionali dell’organizzazione facente capo al datore di lavoro – per l’at-
tribuzione del tipo di tutela rivendicata”. In dottrina S. MAINARDI, Il potere discipli-
nare nel lavoro privato e pubblico (art. 2106), Milano, Giuffrè, 2002, p. 190. Sul punto,
v. anche Cass., sez. un., 26 luglio 1999, n. 508: “L’ipotesi del lavoratore licenziato
senza il rispetto delle garanzie procedimentali è assimilabile a quella del lavoratore
licenziato per giusta causa, con l’osservanza delle dette garanzie, nei confronti del
quale sia accertata l’insussistenza dell’illecito disciplinare; pertanto, è infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, L. 15 luglio 1966, n. 604, sollevata
con riferimento all’art. 3 Cost. in base al presupposto interpretativo che il citato
art. 8 comporterebbe, nel caso di licenziamento viziato per difetto di forma, una
tutela reale consistente nella retribuzione del lavoratore fino alla reintegrazione,
maggiore di quella prevista nel caso di accertata inesistenza della giusta causa,

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38 CAPITOLO 1

un’espansione della tendenza derogatoria, specialmente in ambito


sportivo, che sembrerebbe aver determinato un offuscamento della
stessa inderogabilità, inquadrata nei termini anzidetti. Occorre evi-
dentemente effettuarne una rilettura, e una interpretazione innova-
tiva, proprio con riferimento al rapporto tra l’inderogabilità e la in-
disponibilità dei diritti. Se la norma inderogabile è preordinata al-
l’uguaglianza e alla uniformità, essa va calata nella situazione con-
creta nella quale esistono differenze sostanziali che devono essere
tenute presenti (44).
Ma la inderogabilità non può che far riferimento a quei beni
ed interessi che attengono alla tutela della persona del lavoratore
e che non possono essere disattesi anche se vanno interpretati
nel contesto storico in cui si calano (45). Si tratta di salute, sicurez-
za, dignità, professionalità e riservatezza, tutela della personalità
morale, diritto alla stabilità: principi che si approfondiscono e de-
finiscono in relazione alle situazioni socio-ambientali e culturali.
Ma se i contenuti specifici di questi principi si definiscono storica-
mente, è anche vero che trovano il loro fondamento e, forse, anche
un metro di giudizio, oltre che nella garanzia della salute e della si-
curezza del lavoratore, anche nella garanzia della non discrimina-
zione “indirizzata a preservare il lavoratore da pregiudizi legati
ad un suo specifico e ‘privato’ modo di essere che, come tale,
non deve avere incidenza sul rapporto” (46).
Il lavoratore sportivo non deve andare esente dal riferimento
alla indisponibilità dei diritti e ai principi della sicurezza e della non
discriminazione. Ed è soprattutto sotto questo ultimo risvolto che
si possono talvolta evidenziare vistose anomalie.

che non comporta l’effetto risolutorio del licenziamento bensì solo un obbligo
risarcitorio”.
(44) Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, La disponibilità del rapporto di lavoro subordinato, in Riv. it.
dir. lav., 2001, pp. 100 ss. Vedi, anche, AA. VV., Il fatto illecito del legislatore, a cura di
A. BARONE-R. PARDOLESI, in Foro it., IV, 1992, 145; M. D’ANTONA, Limiti costituzio-
nali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in ADL, 1995.
(45) C. CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, cit., p.
49: “La tutela della persona ben potrebbe essere qualificata come un ‘collante te-
leologico’ dello stesso diritto del lavoro, soprattutto ove legata alla rilevanza, nel
rapporto, dei cosiddetti diritti di cittadinanza sociale”.
(46) Ibidem. Su questi due aspetti è intervenuta molto spesso anche la Corte di giu-
stizia, sempre attenta alla tutela dei diritti fondamentali della persona, al punto che
si è ritenuto che la base comunitaria di tali diritti alla fine rafforzasse l’inderoga-
bilità della norma interna che ne garantisce l’attuazione. Per la giurisprudenza co-
munitaria cfr. AA.VV., Il diritto europeo nel dialogo delle corti, a cura di R. COSIO-R. FO-
GLIA, Milano, Giuffrè, 2012; AA.VV., Giurisprudenza della Corte europea dei diritti del-
l’uomo e influenza sul diritto interno, a cura di L. RUGGERI, Napoli, ESI, 2012.

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IL QUADRO NORMATIVO 39

Proprio il caso dell’atleta professionista di fatto sembra essere


emblematico della condizione ‘anomala’ della prestazione dello
sportivo e della sua regolamentazione.
È vero che il dilettante si sottomette a un regime ferreo –
quanto meno impegnativo – di allenamenti, ad una subordinazione
forte nei confronti dell’allenatore e della società, accettando pesanti
sanzioni non tanto per una causa di scambio o per guadagno ma,
molto spesso, per semplici ragioni ludiche, per desiderio di agoni-
smo e di partecipazione, per la sua mera passione sportiva. Tutta-
via, una larga schiera di sportivi incrociano la passione sportiva con
il profilo economico della loro attività, svolgendo, quindi, una vera
e propria attività lavorativa, strettamente dipendente dalla società,
per nulla diversa da quella dei professionisti ex lege 91/81.
Ricordando – ma volutamente senza apptofondire – che la L.
91/81 è stata modellata sulle specifiche esigenze del calcio, la prima
e più vistosa anomalia è l’acquisizione dello stato di professionista
– e quindi di lavoratore – non con riferimento alla concreta situa-
zione, ma a un elemento formale eteroimposto quale quello della
istituzione del settore professionistico, rimesso alla scelta discrezio-
nale della Federazione.
In tal modo, si crea un sistema a carattere chiuso che rimette
all’autodeterminazione di soggetti privati la scelta dei modelli di tu-
tela e di quali tipologie di soggetti ne siano beneficiari.
Tirando le somme di quanto finora visto, l’organizzazione
sportiva italiana si presenta come un insieme di norme e strutture
di vario tipo che si intrecciano tra di loro e si intersecano con le
norme statuali e comunitarie in un sistema articolato che tocca tutti
i campi del diritto, per cui molto spesso riesce difficile armonizzare
aspetti pubblicistici e privatistici (47), dal momento che si tratta, co-
me è stato osservato, di materia polimorfa che si rifrange “in una
varietà di elementi ordinamentali e organizzativi suscettivi di sus-
sunzione sotto una pluralità di materie” (48).

(47) Su questo punto, G. NAPOLITANO, Le parabole dell’ordinamento sportivo tra pubblico


e privato, cit., pp. 651 ss., il quale nota anche come il fenomeno sportivo richieda
una visione unitaria e un’integrazione profonda tra scienza del diritto pubblico e
scienza del diritto privato, ma come questa integrazione in Italia sia storicamente
preclusa dal modo in cui lo studio del diritto sportivo si è sviluppato nel nostro
ordinamento.
(48) E. GIZZI, Regioni e sport, in Riv. dir. sport, 1988, p. 35. Cfr. anche A. DE SILVE-
STRI, Il diritto sportivo oggi, in Dir. lav., 1988, n. 25, p. 257: il diritto sportivo attrae
“nella propria sfera d’interesse norme statali assai diverse fra loro e tradizional-

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40 CAPITOLO 1

Ciò posto, emergono problemi di fondo di non facile soluzio-


ne, che richiedono una necessaria rivisitazione, se non nel senso
della trasformazione, almeno nel senso della armonizzazione di al-
cune nozioni tradizionalmente accettate.
Non avendo mai affrontato sistematicamente le problemati-
che relative allo sport e tanto meno quelle relative alle figure dei
professionisti di fatto e dei dilettanti, il legislatore nazionale ha la-
sciato non risolti alcuni nodi fondamentali.
Innanzitutto, la qualificazione di non professionismo – lasciata
alle decisioni delle Federazioni o, comunque, individuata in negati-
vo – e, quindi, a questa collegata, la qualificazione del rapporto tra
gli sportivi non professionisti e le società e le Federazioni sportive
nazionali.
Si tratta di un aspetto rilevante, dal momento che la sempre
più elevata presenza di elementi di natura patrimoniale nei rapporti
tra atleti e società ha modificato le precedenti dinamiche basate
esclusivamente sulla causa tradizionale ideal-sportiva. Non a caso,
gli statuti federali, per adeguarsi alla normativa statale, senza peral-
tro rinunciare alla distinzione tra professionisti e dilettanti, hanno
inserito divieti per i non professionisti di svolgere attività lavorati-
va, anche se, contemporaneamente, proprio al fine di non porsi in
posizione di contrasto col sistema, richiedono che gli accordi tra
atleti e società, soprattutto quando tocchino profili economici, sia-
no redatti secondo determinate forme.
L’aspetto più rilevante diventa, quindi, quello della qualifica-
zione dell’attività sportiva non professionistica e della tutela dell’a-
tleta appartenente a tale settore o a determinati settori di Federa-
zioni professionistiche, quando la sua prestazione, anche in contra-
sto con le norme federali, assuma i contorni di una vera e propria
prestazione lavorativa, se pure sui generis.
In tal caso, si verifica discriminazione nei confronti del profes-
sionista di fatto che non risulta tutelato al pari di ogni altro lavo-
ratore del settore sportivo. Non si può pensare di applicare la nor-
mativa prevista per il professionista, dal momento che si tratta di
una legge speciale e, pertanto, non applicabile in via analogica, e

mente studiate da altre discipline quali diritto amministrativo, diritto del lavoro,
diritto societario, diritto tributario e persino il diritto penale e il diritto internazio-
nale”. Nota L. CASINI, Il diritto globale dello sport, Milano, Giuffrè, 2010, p. 3, come la
globalizzazione abbia avuto una portata molto ampia al punto che ogni ramo del
diritto deve trattare questioni legate allo sport: “dalla tutela della concorrenza alla
commercializzazione dei diritti audiovisivi, sino alla protezione dei diritti umani”.

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IL QUADRO NORMATIVO 41

dal momento che sussiste espresso divieto di contratto di lavoro.


Resta l’ipotesi di applicare la normativa nazionale o comunitaria
sul lavoro – con pesanti conseguenze sul piano del rapporto tra
sportivo e federazioni – ma, a questo punto, si fuoriesce dalla re-
golamentazione sportiva, con le conseguenze del caso, e ad essere
discriminati potrebbero essere proprio i professionisti, per i quali la
Legge 91/81 ha creato una normativa derogatoria, e a godere di
una tutela più ampia sarebbero i professionisti di fatto.
Sono diventati evidenti, quindi, i problemi di disparità di trat-
tamento ‘legalizzata’, perché nella realtà sportiva meriterebbe con-
siderazione la regolamentazione dei rapporti su base oggettiva, con
riferimento cioè al tipo di attività, e non su basi prettamente sog-
gettive e canoni di natura formale, quali la qualificazione.
La giurisprudenza, nazionale – anche se non sempre concorde
– e comunitaria, tende a superare l’approccio formalistico del re-
quisito della qualificazione federale e valuta gli accordi tra le società
e gli atleti come un vero e proprio contratto di lavoro (49), a pre-

(49) Cfr., ad es., Trib. Lavoro di Grosseto, 11 settembre 2003, n. 518; TAR Lazio,
12 maggio 2003, n. 4103, in Giustiziaamministrativa.it, dove si legge che “certamen-
te la mancata applicazione al settore del basket femminile della l. 23 marzo 1981,
n. 91, è la vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare diffi-
cile configurare come ‘dilettantistica’ una attività comunque connotata dai due re-
quisiti richiesti di cui all’art. 2 (‘remunerazione comunque denominata’, e la con-
tinuità delle prestazioni) per l’attività professionistica”. Ma si veda, in proposito, la
sentenza del Trib. di Torino, 25 maggio 2010, n. 1135, che fornisce una interpre-
tazione particolare della sottoposizione dell’atleta alla gerarchia interna e al rispet-
to degli orari e obblighi di presenza ritenendoli, non vincoli tipici della subordi-
nazione, ma “espressione di inevitabili e necessarie regole tecniche”: “l’attività re-
sa dalla ricorrente non si configura come prestazione lavorativa e i vincoli dalla
medesima dedotti costituiscono per lo più espressione di regole tecniche che sono
quelle tipiche di una disciplina che accomuna ogni sportivo, non diversamente da
quanto è richiesto in qualunque ambito sportivo . . . La circostanza che la società
corrisponda all’atleta un rimborso spese economicamente apprezzabile non vale a
qualificare l’attività sportiva svolta dalla ricorrente come prestazione lavorativa
ben potendo tale erogazione perseguire anche una finalità incentivante per l’impe-
gno profuso; siffatta attività di calciatrice, per quantità, qualità e modalità, non ap-
pare accostabile ad un’attività lavorativa quanto piuttosto a quella di una proficua
realizzazione di un interesse personale, inteso come espressione della personalità
del singolo, e coltivato attraverso la specialità del dedotto rapporto che esula dalla
fattispecie del lavoro subordinato ed altresì da quella del lavoro parasubordinato
e/o autonomo”. Sulla sentenza si veda il commento di A. ARMENTANO, Ostracismo
della subordinazione dallo sport dilettantistico, in Giustiziasportiva.it, 2011. In dottrina, per
una delimitazione della nozione di ‘regole tecniche’, vedi V. ZINGALES, Provvedimen-
ti di esclusione di società sportive da campionati agonistici e tutela giurisdizionale statale, in Riv.
dir. sport, 1993, pp. 283 ss., per il quale gli atti di esclusione di una squadra dal cam-

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42 CAPITOLO 1

scindere dal tipo di sport o disciplina praticata. Inoltre, la giurispru-


denza comunitaria, da sempre, ha guardato alla concretezza della
situazione, e attualmente procede alla verifica in concreto dell’atti-
vità e della possibilità di una sua configurazione come prestazione
di servizi ex art. 49 e 50 del Trattato dell’Unione Europea.
Ma il contratto di lavoro sportivo retribuito per il non profes-
sionista, ripetiamo, è vietato dalle norme federali e l’atleta che non
rispetti tale disposizione va incontro a sanzioni.
Traendo alcune conclusioni, dunque, il complesso fronte nor-
mativo ha creato – e crea tuttora – problemi di vario tipo, di cui
sono testimonianza gli interventi ad hoc, sia a livello comunitario
che nazionale, e di cui è testimone soprattutto la giurisprudenza,
costretta a intervenire per dirimere le controversie.
Il legislatore italiano, di fronte alla scelta tra conferire allo
sport una reale autonomia in ragione della sua specificità, o declas-
sarlo a un aspetto, sia pure ragguardevole, dei vari sottosistemi che
lo inglobano e se ne servono per i propri scopi, non ha mai adot-
tato una via univoca e precisa.
Sia in ambito comunitario, sia in ambito nazionale si continua
a riconoscere allo sport una molteplicità di funzioni culturali e so-
ciali e si attribuisce al comparto sportivo anche un compito educa-
tivo e di promozione dello sport. Eppure, lo sport, contrariamente
ai riconoscimenti ufficiali delle sue funzioni, va sempre più ridi-
mensionando sia la sua valenza assiologica sia la sua caratteristica
ludica, acquistando, in certi suoi aspetti, una funzione e un peso
sociale tale da divenire parte di processi produttivi e commerciali.
In questo contesto il legislatore non ha ritenuto di intervenire in
termini coerenti con le trasformazioni socio-economiche, ma lo
ha fatto solo per alcuni aspetti principalmente fiscali (50).

pionato agonistico, in quanto espressione di un potere di supremazia delle stesse


federazioni sui propri affiliati, non possano rientrare nell’ambito della disciplina
tecnica delle federazioni, ma configurano provvedimenti amministrativi di natura
disciplinare, lesivi della sfera giuridica degli interessati e pertanto suscettibili di sin-
dacato da parte del giudice amministrativo.
(50) Sul punto cfr. R. AFELTRA, Il regime fiscale delle società e delle associazioni sportive
dilettantistiche, cit., pp. 596 ss. La giurisprudenza è intervenuta in maniera sempre
crescente soprattutto in materia fiscale, di lavoro e penale. In materia fiscale,
già nel 1990 si ha la pronuncia della Cass., sez. civ., I, 20 aprile 1990, n. 3303:
“Non sono soggetti alla ritenuta d’acconto per redditi da lavoro dipendente, ex
t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, i compensi erogati a giocatori e tecnici professionisti
chiamati dalla F.I.G.C. a far parte della squadra nazionale (nella specie, la Corte di
Cassazione ha stabilito che, “anche nel regime previgente alla L. 23 marzo 1981,
n. 91, ha natura di lavoro autonomo il rapporto tra la Federazione ed il calciatore

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IL QUADRO NORMATIVO 43

Ne consegue che professionisti di fatto e dilettanti vengono a


essere equiparati quanto a tutela, o a mancanza di tutela. Il che non
tiene conto del fatto che la categoria dei dilettanti, come sopra det-
to, rappresenta una macrocategoria in cui i professionisti di fatto
sono ricompresi, anche se decisamente diversi. Si parla indistinta-
mente di prestazione effettuata affectionis vel benevolentiae causa, ba-
sandosi essa sull’associazionismo, sul volontarismo e sulla gratuità
– che sono, indubbiamente, caratteristiche peculiari dell’attività
sportiva, ma che non portano necessariamente a escludere la natu-
ra di rapporto di lavoro quando, nella concretezza, questo si veri-
fichi – e si nega a tutti gli sportivi dilettanti, espressamente, la pos-
sibilità di un loro inquadramento lavoristico (51).
Associazionismo e volontarismo sono connaturati allo sport.
Possono essere molteplici le ragioni per cui ci si associa e si presta
attività in una associazione sportiva: dalla passione sportiva al biso-
gno di migliorare la propria fisicità, con finalità di solidarietà o cul-
turali ecc. Tuttavia, sorge con l’associazione una obbligatorietà che

professionista)”. In materia di diritti di utilizzazione sportiva di giocatore di pal-


lacanestro, Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 20 dicembre 1993, n. 996, in Con-
siglio di Stato, 1993, 1661; Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 30 settembre 1995,
n. 1050, in Consiglio di Stato, 1995, I, 1290; Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 12
gennaio 1996, n. 10, in Foro Amm., 1996, 103; Cass., sez. un. civ., 28 giugno 1968,
n. 2028, in Foro it., 1968, I, 2790; Cass., sez. un. civ., 11 febbraio 1978, n. 625, in
Foro it., 1978, I, 862; Cass., sez. un. civ., 9 maggio 1986, n. 3092, in Foro it., 1986,
1257; Cass., sez. un. civ., 26 ottobre 1989, n. 4399, in V. FRATTAROLO, L’ordinamento
sportivo nella giurisprudenza, cit., p. 212; Cass., sez. un. civ., 12 luglio 1995, n. 7640, in
Mass. Cass., 1995, 2331. In materia di lavoro sportivo, Cass., sez. lav., 30 agosto
2000, n. 11404, in Riv. dir. sport, 2001. In materia penale, Cass., 21 febbraio
2000, n. 1951; Cass., 20 giugno 2001, n. 24942; Cass., sez. un. civ., 25 febbraio
2000, n. 46, in Foro it., 2000, 1478. Sul tesseramento v. sentenza giudice Reggio
Calabria, 12 maggio 2001; Tribunale di Ancona, sentenza n. 147701 del 2001,
sul rapporto di lavoro sportivo subordinato; Cass., IV penale, n. 309204/2003,
sull’entrata a gamba tesa; Cass., sez III penale, sentenza n. 23917/2003, su spo-
gliarsi allo stadio incita alla violenza; Cass., 8 gennaio 2003, n. 85, sulla tutela della
salute degli atleti da parte delle società sportive; TAR Calabria, sede di Reggio Ca-
labria, decreto presidenziale 14 agosto 2003 (ric.1546/2003), in www.diritto.it; TAR
Lazio, sentenza 23 giugno 1994, n. 1361, in Tar, 2, 1994, 2399; TAR Sicilia, sede di
Catania, ordinanza 14 settembre 1993, n. 920, in Foro it., 3, 1994, 516; TAR Sicilia,
sede di Catania, ordinanza 29 settembre 1993, n. 929, in Foro it., 3, 1994, 521; TAR
Sicilia, sede di Catania, sez. III, ordinanza 16 settembre 1999, n. 1949, in Foro it.,
1999, 3, 582; TAR Sicilia, sede di Catania, sez. II, ordinanza 5 giugno 2003, n. 958,
in www.diritto.it; Tribunale di Ravenna, decreto 14 settembre 1994, in Riv. dir. sport,
1995, p. 816.
(51) Sul concetto di gratuità nello sport, G. LIOTTA, La gratuità nello sport, in AA.VV.,
Temi di diritto sportivo, cit., pp. 111 ss.; ID., La gratuità nello sport, in AA.VV., Studi in
onore di Antonio Palazzo, a cura di S. MAZZARRESE-A. SASSI, Torino, UTET, 2010.

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44 CAPITOLO 1

tocca aspetti rilevanti della propria libertà e che non collima con
l’associazionismo comune. La pratica sportiva è caratterizzata dalla
continuità, dalla collaborazione con una società che può avere i
connotati di impresa, almeno, come vedremo, nel senso ampio
che questa ha assunto nell’Unione Europea (52). E, anche con rife-
rimento al requisito della gratuità, bisognerebbe effettuare alcune
considerazioni, dal momento che, pur in assenza di contropresta-
zione retributiva in senso stretto, non può dirsi che in assoluto
manchi una controprestazione. Anzi, nella realtà di molti settori
considerati non professionistici, questa, se pure erogata sotto di-
versa forma, e anche quando non rappresenti l’unico mezzo di so-
stentamento dello sportivo, può sussistere (sotto forma di rimbor-
so spesa, di fornitura di materiale tecnico, di diritto di sfruttare le
apparecchiature scientifiche, di compenso vero e proprio).
In conclusione, quando la L. 91/81 stabilisce che il contratto
di lavoro sportivo professionistico deve essere regolato dalle nor-
me in essa contenute, non può precludere l’applicabilità delle nor-
me non ricomprese ai soggetti non qualificati come sportivi pro-
fessionisti, nel caso in cui la loro attività acquisti i contorni di
una attività lavorativa.
Da questo punto di vista, acquista importanza l’interpretazio-
ne degli accordi stipulati tra professionisti di fatto e sodalizi con
riferimento sia alla reale attività che viene prestata sia, sul piano
formale, con attenzione alle norme cogenti (53).
Spetterà, dunque, all’interprete, chiamato a dirimere eventuali
controversie, fare attenzione all’individuazione di quale debba esse-
re la disciplina regolatrice dei rapporti di quegli sportivi che, pur
non essendo professionisti ex L. 91/81, traggono dall’attività spor-

(52) Ma confronta anche A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’im-


presa sportiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., pp. 489 ss.
(53) La dottrina su questo punto sembra essere concorde nel ritenere che un contrat-
to in contrasto con norme di carattere cogente non possa produrre effetti. Tuttavia
l’art 1418, comma 1, c.c., recita: “Il contratto è nullo quando è contrario a norme
imperative, salvo che la legge disponga diversamente”. L’inciso crea difficoltà inter-
pretative sull’estensione della sua portata. La dottrina sembra essere concorde sul fat-
to che esso debba essere interpretato in senso ampio, cioè la ‘diversa disposizione’ di
legge non consisterebbe “necessariamente in una esplicita previsione posta a barriera
della nullità ma può derivare anche, per successive deduzioni e interpretazioni, dallo
spirito complessivo delle norme violate”. (G. VILLA, Contratto e violazione di norme im-
perative, Milano, Giuffrè, 1993, p. 80). Vedi anche A. ALBANESE, Violazione di norme im-
perative e nullità del contratto, Napoli, Jovene, 2003; G. DE NOVA, Il contratto contrario a
norme imperative, in Riv. crit. dir. priv.,1985, p. 437.

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IL QUADRO NORMATIVO 45

tiva la loro principale fonte di sostentamento. Si tratta, insomma, di


quei soggetti che, de facto, ‘lavorano’ per le società sportive, fornen-
do la propria prestazione sportiva (lavorativa), molto spesso a tem-
po pieno e suscettibile di valutazione economica e che, sottoscri-
vendo l’accordo, accettano le regole dell’organizzazione sportiva
che li pongono in una situazione asimmetrica rispetto alle Federa-
zioni e alle società.
Professionisti e professionisti di fatto sono figure che si diffe-
renziano solo per il requisito formale della qualificazione ex L. 91/
81, che presentano tra loro, quindi, notevoli punti di contatto –
prescindendo dalla rilevanza e dalla popolarità che alcuni sport
possono avere rispetto ad altri -, e che meriterebbero trattamento
giuridico non differenziato se non per quelle situazioni che si pre-
sentano sostanzialmente differenti.
La domanda che occorre porsi, a questo punto, riguarda il po-
tere in capo alle Federazioni non tanto di decidere sul professioni-
smo, quanto, soprattutto, di negare la possibilità, o il diritto di ‘la-
vorare’ in ambito sportivo, a soggetti che prestano attività presso-
ché identiche a quelle del professionista ex lege.
Probabilmente, la ragione di siffatta disparità della disciplina è
da rinvenirsi nel periodo storico in cui è nata la normativa ad hoc.
Nella consapevolezza di un fenomeno in ascesa quasi incontrollata,
il legislatore nazionale potrebbe avere inteso porre in essere una
legislazione quasi ‘emergenziale’, retta da motivi di economicità
che rispettasse, al contempo, l’autonomia del settore. In tal modo,
in termini del tutto parziali e compromissori, ha regolamentato una
parte (la più rilevante economicamente, perché non si dimentichi
che la L. 91/81 è nata con riferimento al calcio) lasciando, per
quanto non previsto, alle Federazioni la libertà (delegando loro il
potere) di dettare le regole.

6. Il potere discrezionale delle Federazioni

Ai caratteri e alle peculiarità appena visti vengono ad affian-


carsi dunque alcune particolarità dell’organizzazione sportiva,
con riferimento alla natura dei soggetti che la compongono e degli
atti e attività da tali soggetti posti in essere che, a volte, toccano
l’ambito pubblicistico, pur provenendo da organizzazioni di carat-
tere privatistico, realizzate sulla base del pieno riconoscimento del-
l’autonomia negoziale.
L’organizzazione sportiva si presenta come un insieme strut-

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46 CAPITOLO 1

turato in organi a cui è attribuito il potere-dovere di regolamentare


le discipline sportive e di emanare norme applicabili ai soggetti af-
filiati alle Federazioni o tesserati. Indicativo è, a questo riguardo,
l’art. 2 dello Statuto del CONI che, sulla base del D.Lgs. 23 luglio
1999, n. 242, e successive modificazioni ed integrazioni, e della
Carta Olimpica, dispone che il CONI è “autorità di disciplina, re-
golazione e gestione delle attività sportive, intese come elemento
essenziale della formazione fisica e morale dell’individuo e parte
integrante dell’educazione e della cultura nazionale”. Si tratta di
una organizzazione complessa, con finalità ampie e caratterizzata
da una stratificazione e varietà di strutture che, col tempo, si sono
sedimentate, concorrendo a realizzare un ordinamento multilivello
che può essere variamente interpretato. Ne è derivato un aggregato
che abbraccia non solo quanto attiene direttamente alla vita spor-
tiva, ma anche tutto quanto risulta a questa applicabile, nel suo
aspetto organizzativo come pure in quello economico.
Senza dilungarsi sulla storia delle istituzioni sportive italiane,
basti qui ricordare che proprio la loro nascita e sviluppo mostra
la prima particolarità, che è all’origine delle difficoltà per quanto
riguarda le relazioni ordinamentali, sia sotto il profilo soggettivo,
sia per quello di operatività.
Tornando al discorso che qui ci occupa, ricordiamo che, pur
essendo riconosciuta la piena libertà di praticare sport e associarsi
a tal fine, si pone l’obbligo, per coloro che intendano svolgere at-
tività sportiva agonistica, di iscriversi alle Federazioni che, operan-
do in regime di monopolio, hanno la facoltà di decidere se richie-
dere o meno la qualificazione di professionistica al CONI per la
propria attività sportiva. E sono sempre le medesime Federazioni
a decidere quali categorie considerare professionistiche e quali
no all’interno del medesimo sport.
Questo potere non è senza conseguenze per la vita dello sport
nel suo insieme e fa sorgere profili discriminatori non sempre giu-
stificati non solo tra settori sportivi ma anche all’interno dello stes-
so settore.
Per alcuni, si è posto il problema se la posizione monopolisti-
ca non contrasti con gli artt. 101 e 102 del Trattato sul funziona-
mento dell’Unione Europea, oltre che con la libertà associativa e,
quindi, con gli artt. 2 e 18 della Costituzione (54).

(54) In realtà non vi è obbligatorietà di affiliazione per le società che intendano


promuovere attività di natura sportiva in quanto in mancanza di affiliazione pos-

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IL QUADRO NORMATIVO 47

Per quanto riguarda il primo punto, questo contrasto è stato


superato in base alla considerazione dei benefici effetti del modello
europeo, “essenziale per la conservazione delle caratteristiche eu-
ropee degli sports che realizza un sistema più democratico” (55),
utile ai fini della promozione dello sport.
Per ciò che concerne il contrasto con la Costituzione italiana,
è stato da più parti respinto che il regime di monopolio, in cui ver-
sano le Federazioni sportive nazionali, contrasti col principio di li-
bertà di esercizio dell’attività sportiva quale manifestazione della
personalità umana (contenuto anche nella L. 91/81, art. 1).
Non si tratta, però, di riconoscere la necessità di una organiz-
zazione unitaria, che potrebbe avere una sua piena giustificazione
sul piano puramente sportivo – l’impegno del CONI a favorire so-
luzioni federative in caso di più domande è un modo prammatico
per superare le difficoltà del monopolio -, ma di chiedersi se il mo-
nopolio, alla fine, non dia alle Federazioni una posizione dominan-
te.
I problemi sorgono sia per quanto riguarda la sperequazione
che si viene a creare tra professionisti e non professionisti in base
alla qualificazione data dalle stesse Federazioni, sia per quanto at-
tiene all’ufficialità che solo le Federazioni sportive nazionali posso-
no dare e, quindi, all’esclusione dallo sport ufficiale di coloro che
non entrano nelle Federazioni sportive nazionali.
Si crea una sorta di circolo in quanto lo Statuto del CONI di-
spone le condizioni e i requisiti necessari perché le Federazioni en-
trino nell’organizzazione ma, d’altra parte, sono le Federazioni, che
partecipano di diritto all’assemblea del Consiglio Nazionale del
CONI, ad approvarne lo Statuto (art. 6, comma 4, lett. A) e a con-
correre a stabilire i principi fondamentali ai quali devono unifor-
marsi i propri statuti, quelli delle DSA, degli enti di promozione

sono, comunque, operare come associazioni di diritto comune. L’obbligatorietà


nasce nel momento in cui le società sportive intendano partecipare allo svolgi-
mento di attività agonistica ufficiale. È per lo sport ufficiale che le Federazioni
sportive nazionali operano in regime di monopolio, in relazione alla necessità
di regolamentare in maniera univoca, anche in coordinamento con l’organizzazio-
ne internazionale, le competizioni ufficiali.
(55) B. FIDANOĞLU, Sporting exception in the European Union’s Sport Policy, in Ankara
Bar Review, 2011/2, p. 74. E. SZYSCZAK, Is sport special?, cit., p. 6, sottolinea come
l’esistenza di una sola Federazione realizzi una posizione monopolistica e quindi
dominante, ma come sorga, per la specificità dello sport, il problema fino a che
punto le leggi europee sul lavoro, sulla concorrenza e sul mercato interno possano
essere applicate allo sport.

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48 CAPITOLO 1

sportiva, delle associazioni benemerite e delle associazioni e società


sportive (art. 6, comma 4, lett. B).
A chiudere queste considerazioni ricordiamo che all’art. 22,
comma 1, dello Statuto CONI si legge: “Gli Statuti delle Federa-
zioni Sportive Nazionali devono rispettare i principi fondamentali
emanati dal Consiglio Nazionale e devono in particolare ispirarsi al
costante equilibrio di diritti e doveri professionistici e non profes-
sionistici, nonché tra le diverse categorie nell’ambito del medesimo
settore”.
È evidente che le esigenze specifiche delle molte discipline af-
ferenti alle Federazioni Sportive Nazionali e alle Discipline Sporti-
ve Associate possano giustificare l’autonomia statutaria in relazione
alla distinzione tra attività professionistica e non professionistica,
nel rispetto della L. 91/81 e successive modificazioni (56).
Bisogna anche ricordare che lo Statuto del CONI richiede
norme statutarie “ispirate al principio democratico e al principio
di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condi-
zioni di uguaglianza e di pari opportunità” (art. 20, comma 3).
Sul principio di uguaglianza occorre fare qualche breve rifles-
sione. Innanzitutto esso va confrontato col principio di autonomia
riconosciuto quale fondamento dell’ordinamento sportivo (art. 1,
comma 2, L.280/2003). E, da questo punto di vista, chiaramente
esso va rispettato.
Il problema è quello di vedere se il principio di eguaglianza
possa essere confuso col principio della parità di trattamento (57).
A riguardo la dottrina non sembra d’accordo. Parte della dottrina
ritiene, infatti, che questa assimilazione distruggerebbe l’autonomia
privata “per i limiti assurdi che si finirebbe per porre alla libertà di
contrarre, di testare, di disporre” (58). La parità di trattamento – in-
tesa come conseguenza del vincolo comunitario e non riferibile al-
l’art. 3 Cost. – richiede la valutazione comparativa della posizione
di più persone e giustifica la scelta di riservare trattamenti difformi
a situazioni difformi, ma non potrebbe mai giustificare l’arbitrio

(56) È stato richiamato anche il criterio della rilevanza economica ai fini del rico-
noscimento dell’attività in questione. Tuttavia, proprio questo criterio rafforza gli
interrogativi irrisolti, quando si è in presenza di settori quali, ad esempio, la pal-
lavolo nel suo complesso, che viene giocata a livelli altamente professionistici.
(57) Sul principio di uguaglianza con riferimento al contratto vedi E. NAVARRETTA,
Principio di eguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, in Riv. dir. civ., 3, 2014,
pp. 547 ss.
(58) P. RESCIGNO, Persona e comunità, Padova, CEDAM, 1987, pp. 351 ss.

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IL QUADRO NORMATIVO 49

nel regolare casi simili, nel qual caso sarebbe consentito al giudice
dello Stato il sindacato sul trattamento differente (59). Nell’un caso
o nell’altro è chiaro che il giudice di merito deve tener conto delle
situazioni concrete e definire l’eguaglianza tenendo conto della
concretezza delle situazioni (60).
A giudizio della Corte Costituzionale il principio di eguaglian-
za è violato “anche quando la legge, senza un ragionevole motivo,
faccia un trattamento diverso a cittadini che si trovano in eguale
situazione”. Ma, la stessa Corte ribadisce: “è ovvio che l’apprezza-
mento discrezionale che il legislatore compie per enucleare le situa-
zioni che richiedono particolare disciplina e per determinare la sfe-
ra e le modalità della disciplina stessa non può toccare l’ambito se-
gnato dal primo comma dell’art. 3 della Costituzione e non può
trascendere dai giusti limiti derivanti dal principio di eguaglian-
za” (61).
Uguaglianza e pari opportunità sono richiamati anche nell’art.
21, comma 1, lett. C) dello statuto CONI, nel quale, come si è già
detto, si richiede alle Federazioni un ordinamento statutario “ispi-
rato al principio di democrazia interna e di partecipazione all’atti-
vità sportiva da parte di donne e uomini in condizioni di eguaglian-
za e di pari opportunità”.
Ora, da un lato, ci si può chiedere se i poteri a riguardo, lasciati

(59) Ivi, pp. 355 ss. Per chi ritiene (P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costitu-
zionale, cit., p. 178) che l’eguaglianza costituzionale “realizza la giustizia sociale e
distributiva”, mentre la parità di trattamento si esaurisce nel principio distributivo,
l’eguaglianza non può esaurirsi nella parità di trattamento.
(60) In una risalente sentenza della Consulta, 26 genn. 1957, n. 3, si affermano al-
cuni principi fondamentali che riguardano la possibilità che il legislatore detti nor-
me diverse per regolare situazioni diverse, la cui rilevanza è valutata discrezional-
mente dal legislatore. Il legislatore deve assicurare uguaglianza di trattamento
“quando siano uguali le situazioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giu-
ridiche si riferiscono”. Ma, “devono essere fatti salvi comunque i limiti indicati
nello stesso art. 3, primo comma, dal potere regolativo del legislatore”.
(61) Vedi sentenza Cost., 29 marzo 1960, n. 15 (CED, Cassazione, 1960): “Al legi-
slatore statale al quale spetta di valutare i rapporti e gli interessi di tutta la collet-
tività nazionale sotto l’aspetto dell’interesse generale, è permesso di identificare
particolari settori di territorio o di popolazione al fine di dettare particolari disci-
pline ispirate all’unico scopo di dare una più adeguata organizzazione ai pubblici
servizi. Però l’apprezzamento discrezionale che il legislatore compie per enucleare
le situazioni che richiedono particolare disciplina e per determinare la sfera e le
modalità della disciplina stessa, non può toccare l’ambito segnato dal primo com-
ma dell’art. 3 della Costituzione e non può trascendere dai giusti limiti derivanti
dal principio di uguaglianza”.

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50 CAPITOLO 1

alla decisione unilaterale della Federazione, siano compatibili con


gli artt. 20 e 21 appena citati e, peraltro, riportati in tutti gli statuti
federali; dall’altro, e soprattutto, se le Federazioni, nei loro statuti e
regolamenti, interpretino sempre correttamente la regola “del co-
stante equilibrio di diritti e doveri tra i settori professionistici e
non professionistici, nonché tra le diverse categorie nell’ambito
del medesimo settore”, che il CONI ha indicato.
La questione è se la qualifica formale che una Federazione
sportiva attribuisce unilateralmente possa rivelarsi lesiva dei diritti
degli sportivi tesserati e possa non rispettare né il principio di egua-
glianza, né il principio di parità di trattamento che va collegato an-
che al principio di pari opportunità.
Il riferimento continuo che negli ultimi decenni è stato fatto
all’importanza della persona in campo sportivo impone di riflettere
anche sul secondo comma dell’art. 3 della Costituzione e sul fatto
che, ai fini del potenziamento della persona e del riconoscimento
dei suoi diritti, l’organizzazione sportiva, se pure non assume in
positivo l’onere di rimuovere gli ostacoli che “limitano la libertà
e l’eguaglianza dei cittadini”, quanto meno non ne crei altri attra-
verso un trattamento diverso in casi simili.
La giurisprudenza comunitaria, con varie sentenze, ha ritenuto
che, in caso di disparità di trattamento, quale è quella relativa al
professionismo di fatto, si debba effettuare una indagine adeguata
caso per caso. In particolare, si può ricordare la sentenza della Cor-
te di Giustizia CE dell’11 aprile 2000 (62), nella quale si legge che la
qualifica di “dilettanti”, data da un’associazione o da una Federa-
zione sportiva agli atleti, non è, per la Corte, tale da escludere auto-
maticamente che questi ultimi esercitino in realtà un’attività econo-
mica. La discriminazione, che nasce in virtù della qualificazione da-
ta dalla Federazione, è certamente in contrasto con le norme sta-
tutarie che sono ispirate ai principi sopra richiamati e, tuttavia, oc-
corre ricordare che proprio la specificità dello sport e il complesso
aspetto del rapporto tra lo sport e i diritti, richiede una riflessione
sulla variegata situazione del dilettantismo e, quindi, sulla necessità
che, per determinati suoi aspetti, le Federazioni mantengano il con-
trollo del fenomeno.

(62) Cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Foro it., Rep., 2000, voce UE, n. 911.

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IL QUADRO NORMATIVO 51

7. L’associazionismo

L’associazionismo sportivo è caratterizzato da una naturale


spontaneità e da una sostanziale omogeneità di base e ha goduto
– e gode – di una forte autonomia economica e regolamentare, co-
stituendo il centro dell’ordinamento sportivo, espressione dell’u-
nione volontaria degli aderenti.
Ai sensi della nostra Costituzione il fenomeno associazionisti-
co, e ben a ragione anche l’associazionismo sportivo, è mezzo per
la formazione della persona umana, strumento per il perseguimen-
to di interessi comuni.
Fortemente originale sul piano comparatistico, l’associazioni-
smo sportivo riveste una specificità del tutto peculiare che si carat-
terizza per le sue finalità specifiche, per il suo modo di essere strut-
turato e per il fatto di essere inserito sia nell’ordinamento generale
dello Stato sia in quello sportivo.
Per quanto riguarda la normativa, il dinamismo che caratteriz-
za il fenomeno sportivo si riscontra in maniera anche accentuata
nella continua evoluzione della normativa societaria, sia sul piano
generale sia su quello sportivo.
Sul piano nazionale, il tema societario è rimasto invariato dagli
anni trenta fino agli anni settanta, quando il legislatore, sotto la
spinta delle direttive comunitarie che imponevano trasformazioni
in interi comparti (63), e sulla scia della dottrina, che cominciava
a discutere sull’opportunità di introdurre una riforma che appor-
tasse strumenti societari più flessibili di fronte ai cambiamenti av-
venuti, varò la L. 7 giugno 1974, n. 216 (recante disposizioni rela-
tive al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli aziona-
ri), cui fece seguito il D.P.R. 31 marzo 1975, n. 138 – Attuazione
della delega di cui all’articolo 2, lettere c) e d), della legge 7 giugno
1974, n. 216 -, concernente disposizioni dirette a coordinare, con le
attribuzioni della Commissione nazionale per le società e la borsa,
le norme concernenti l’organizzazione e il funzionamento delle
borse valori e l’ammissione dei titoli a quotazione, nonché le forme
di controllo ed ispezione previste dalla legislazione vigente nel set-
tore dell’attività creditizia e delle partecipazioni statali.

(63) Cfr. F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, Giuffrè, 2005. Occorre ricordare
che il legislatore comunitario ha inteso armonizzare taluni profili riguardanti la co-
stituzione e il funzionamento interno delle società principalmente con riferimento
alle società di capitali.

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52 CAPITOLO 1

A distanza di tempo, i decreti 17 gennaio 2003, n. 5 e 6 (Ri-


forma organica della disciplina delle società di capitali e società
cooperative), in attuazione dell’art. 12 della legge in materia di di-
ritto societario, hanno avuto l’obiettivo di adeguare la disciplina ai
principi comunitari, di definire con chiarezza compiti e responsa-
bilità degli organi sociali, di pervenire ad una semplificazione della
disciplina delle società. I decreti si proponevano anche di predi-
sporre un quadro di regole finalizzate alla crescita e competitività
delle imprese e all’apertura di spazi di autonomia privata nella scel-
ta dei tipi di società (64).
In questo contesto, il panorama societario e associativo ha as-
sistito a un incremento delle forme associative soprattutto nel set-
tore non profit (65). Gli enti non profit si pongono in un’area che non
collima col mercato, con i suoi obiettivi e con le sue regole, in
quanto la rinuncia al profitto è un attributo essenziale della loro at-
tività associativa, che si qualifica come disinteressata e intesa all’u-
tilità sociale e, quindi, all’interesse generale, altruisticamente carat-
terizzata, con spontaneità di organizzazione. Si dovrebbe trattare,
chiaramente, di un’area “radicalmente ‘altra’ rispetto al mercato,
ai suoi obiettivi e alle sue regole, nonché alla stessa dimensione del-
la c.d. ‘economia sociale’, tuttavia essa con la logica del mercato de-
ve inevitabilmente misurarsi” (66).
Il rapporto tra associazionismo e mercato acquista, quindi,
aspetti particolari in quanto diventano fondamentali la funzione
e il valore giuridico collegati alla rilevanza collettiva dell’ambito so-
ciale cui l’istituto è applicato (67).
Con riferimento all’art. 2 Cost., e ai “doveri inderogabili di so-
lidarietà politica, economica e sociale”, ivi contenuti, allo stato, alle

(64) Cfr. AA.VV., La riforma del diritto societario, a cura di A. BASSI-B. BUONOCORE-S.
PESCATORE, Torino, Giappichelli, 2003; B. BUONOCORE, La riforma delle società, Mi-
lano, Giuffrè, 2004; G. FRÉ-G.SBISÀ, Società per azioni, artt.2325-2461, in AA.VV.,
Commentario Scialoja-Branca, a cura di G. FRÉ, Bologna-Roma, Zanichelli, 2005;
G. COTTINO, Il nuovo diritto delle società, I, Torino, UTET, 2006.
(65) Sugli enti non profit: S. PETTINATO, I soggetti non profit. Quadro giuridico essenziale,
Trento, Edizioni31, 2005; ID., Il reale concetto giuridico di organizzazione non profit, in
Impresa, 2007, 2; AA.VV., Contabilità e bilancio degli enti non profit, a cura di G.M. CO-
LOMBO-M. SETTI, Roma, Ipsoa, 2016; D. MAGGI, Contabilità e bilancio delle aziende non
profit: aspetti civilistici e fiscali, in Aa.Vv., Manuale di economia delle aziende non profit, a
cura di F. BANDINI, Padova, CEDAM, 2003.
(66) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, in AA. VV., Diritto privato europeo, cit., I, pp. 348.
Cfr. anche A. ZOPPINI, L’associazione europea, ivi, pp. 353 ss.
(67) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, cit., p. 349.

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52 CAPITOLO 1

A distanza di tempo, i decreti 17 gennaio 2003, n. 5 e 6 (Ri-


forma organica della disciplina delle società di capitali e società
cooperative), in attuazione dell’art. 12 della legge in materia di di-
ritto societario, hanno avuto l’obiettivo di adeguare la disciplina ai
principi comunitari, di definire con chiarezza compiti e responsa-
bilità degli organi sociali, di pervenire ad una semplificazione della
disciplina delle società. I decreti si proponevano anche di predi-
sporre un quadro di regole finalizzate alla crescita e competitività
delle imprese e all’apertura di spazi di autonomia privata nella scel-
ta dei tipi di società (64).
In questo contesto, il panorama societario e associativo ha as-
sistito a un incremento delle forme associative soprattutto nel set-
tore non profit (65). Gli enti non profit si pongono in un’area che non
collima col mercato, con i suoi obiettivi e con le sue regole, in
quanto la rinuncia al profitto è un attributo essenziale della loro at-
tività associativa, che si qualifica come disinteressata e intesa all’u-
tilità sociale e, quindi, all’interesse generale, altruisticamente carat-
terizzata, con spontaneità di organizzazione. Si dovrebbe trattare,
chiaramente, di un’area “radicalmente ‘altra’ rispetto al mercato,
ai suoi obiettivi e alle sue regole, nonché alla stessa dimensione del-
la c.d. ‘economia sociale’, tuttavia essa con la logica del mercato de-
ve inevitabilmente misurarsi” (66).
Il rapporto tra associazionismo e mercato acquista, quindi,
aspetti particolari in quanto diventano fondamentali la funzione
e il valore giuridico collegati alla rilevanza collettiva dell’ambito so-
ciale cui l’istituto è applicato (67).
Con riferimento all’art. 2 Cost., e ai “doveri inderogabili di so-
lidarietà politica, economica e sociale”, ivi contenuti, allo stato, alle

(64) Cfr. AA.VV., La riforma del diritto societario, a cura di A. BASSI-B. BUONOCORE-S.
PESCATORE, Torino, Giappichelli, 2003; B. BUONOCORE, La riforma delle società, Mi-
lano, Giuffrè, 2004; G. FRÉ-G.SBISÀ, Società per azioni, artt.2325-2461, in AA.VV.,
Commentario Scialoja-Branca, a cura di G. FRÉ, Bologna-Roma, Zanichelli, 2005;
G. COTTINO, Il nuovo diritto delle società, I, Torino, UTET, 2006.
(65) Sugli enti non profit: S. PETTINATO, I soggetti non profit. Quadro giuridico essenziale,
Trento, Edizioni31, 2005; ID., Il reale concetto giuridico di organizzazione non profit, in
Impresa, 2007, 2; AA.VV., Contabilità e bilancio degli enti non profit, a cura di G.M. CO-
LOMBO-M. SETTI, Roma, Ipsoa, 2016; D. MAGGI, Contabilità e bilancio delle aziende non
profit: aspetti civilistici e fiscali, in Aa.Vv., Manuale di economia delle aziende non profit, a
cura di F. BANDINI, Padova, CEDAM, 2003.
(66) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, in AA. VV., Diritto privato europeo, cit., I, pp. 348.
Cfr. anche A. ZOPPINI, L’associazione europea, ivi, pp. 353 ss.
(67) G. PIEPOLI, Gli enti non profit, cit., p. 349.

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IL QUADRO NORMATIVO 53

istituzioni pubbliche e al mercato – i primi impossibilitati a realiz-


zare interamente le finalità di cui all’art. 2, il mercato per definizio-
ne mirante al massimo rendimento economico – si affiancano le
istituzioni senza fine di lucro, il cui tratto distintivo non è il solo
non distribution constraint, ma una attività in se stessa non profit, che
si qualifica per i suoi contenuti e le sue finalità, e che, però, per
la sua stessa sopravvivenza, non può fare a meno di commisurarsi
in qualche modo con la logica del mercato.
Questi aspetti, e la rilevanza giuridica dell’attività disinteressata
– il volontariato è uno di quegli istituti giuridici che si collocano su
una linea di confine non sempre facilmente delineabile tra ordina-
mento pubblicistico e sistema privatistico – hanno indotto il legi-
slatore nazionale ad entrare nel settore del volontarismo emanando
la legge sul volontariato (11 agosto 1991, n. 266). Essa, da un lato,
esprime la tendenza a regolamentare determinati aspetti della auto-
nomia privata riproponendo, in tal modo, il tema del rapporto
autorità (controllo) e libertà (68), e, dall’altro, mira a ridefinire il mo-
dello di organizzazione dello stato sociale. A tal proposito si può
ricordare la sentenza Cost. n. 75 del 28 febbraio 1992 che definisce
la legge “la più diretta realizzazione del principio di solidarietà so-
ciale per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo uti-
litaristico o per imposizione di un’autorità, ma per libera e sponta-

(68) Il legislatore, con tale legge, ha introdotto una deroga alla normativa lavoristi-
ca, attuando una vera e propria tipizzazione (art. 2, comma 1, e art. 3, comma 1)
della fattispecie contrattuale del ‘lavoro’ volontario e gratuito. L’art. 2, comma 1,
recita: “Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quel-
la prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di
cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente
per fini di solidarietà”. L’art. 3, comma 1, recita: “È considerata organizzazione
di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere l’attività
di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle pre-
stazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti”. Cfr. N. LIPARI, Il vo-
lontariato: una nuova dimensione culturale e giuridica del Welfare State, in Riv. dir. civ., 1982;
P. RESCIGNO, Autonomia privata e legge sulla disciplina del volontariato, in Giur. it., 3,
1993; ID., Le ‘non profit organisations’ come formazioni sociali, in AA.VV., Gli enti non profit
in Italia, a cura di G. PONZANELLI, Padova, CEDAM, 1994. Una circolare del Mi-
nistero del Lavoro sulla ‘tutela della sicurezza dei lavoratori nello sport dilettanti-
stico’ (Circolare 19/A del 20/09/2010) esclude esplicitamente, anche se con ri-
guardo al tema della sicurezza, l’equiparazione dello sportivo dilettante ai volon-
tari che operano in favore dell’organizzazione di volontariato di cui alla L. 266/91,
per cui sono previste delle tutele attenuate rispetto alle altre categorie di lavoratori
per tutte le figure operanti a vario titolo in favore delle ASD e delle SSD. Nulla
viene precisato in relazione agli atleti dilettanti per i quali, indubbiamente, il pro-
blema della sicurezza si intreccia col problema del rischio sportivo.

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54 CAPITOLO 1

nea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona


stessa” (69).
La Legge quadro realizza un chiaro esempio di intervento del
legislatore teso a introdurre uno sbarramento alla normativa lavo-
ristica in relazione alla meritevolezza del fine. È escluso che si pos-
sa avere rapporto di lavoro, subordinato o autonomo che sia, ove
intervenga il fine esclusivo della solidarietà, assorbente quello nega-
tivo dell’assenza di fini di lucro, anche indiretta, e si sia in presenza
di un’attività svolta nell’ambito di un’organizzazione di volontaria-
to con coinvolgimento personale, gratuità e spontaneità. Il che pe-
rò non esclude che, anche in questo caso, si possa e si debba accer-
tare la sussistenza di lavoro, ogni volta che siano superati i limiti
della fattispecie delineata dal legislatore (70).
Il successivo D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 (Riordino della
disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizza-
zioni non lucrative di utilità sociale), all’art. 10, punto 6, inserisce
anche lo sport dilettantistico tra le attività di utilità sociale svolte
dalle organizzazioni non lucrative. Si rileva, dall’insieme delle di-
sposizioni, l’esclusività delle finalità di solidarietà e la possibilità
di esercizio di attività connesse, qualora queste non siano prevalen-
ti rispetto a quelle istituzionali.
Occorre, tuttavia, notare che il riferimento alla Legge sul vo-
lontariato non può far perdere di vista le caratteristiche e le esigen-
ze specifiche dell’associazionismo sportivo e la sua concreta realtà.
A definire l’identità della fattispecie concorre, indubbiamente,
l’incompatibilità dell’organizzazione del volontariato con qualsiasi
forma di lavoro subordinato e con ogni rapporto di contenuto pa-
trimoniale, che vada al di là del semplice rimborso spese (71).

(69) Sentenza Cost., 28 febbraio 1992, 75, in GC, 1992, pp. 404 ss. Il volontariato
viene a collocarsi in una linea di confine tra ordinamento pubblicistico e sistema
privatistico in un contesto strutturato sulla base di moduli organizzativi di tipo
partecipativo.
(70) Cfr. R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro e terzo settore, in Riv. it. dir. lav., 2001, p. 329.
Cfr. anche I. MARIMPIETRI, Lavoro e solidarietà sociale, Torino, Giappichelli, 1999. Sul-
la possibilità di configurare un contratto di lavoro subordinato a titolo gratuito cfr.
M. PERSIANI, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e spor-
tivi professionisti. Commento all’art. 3, cit., p. 568. L’art. 2, comma 3, recita: “La qualità
di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordi-
nato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’orga-
nizzazione di cui fa parte”.
(71) Questo si verifica nello sport nel momento in cui l’atleta, che ha sottoscritto
volontariamente contratti di natura patrimoniale, dichiarando di non svolgere at-

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IL QUADRO NORMATIVO 55

È in questo panorama che si inserisce il fenomeno associativo


sportivo, nel quale si è verificato anche molto spesso il fenomeno
della trasformazione delle società sportive in imprese, legate tutta-
via a un aspetto particolare del mercato e nel contesto di una tra-
sformazione dello stesso, dovuta, almeno in parte, all’intervento
dell’Unione Europea. È intervenuta una esigenza economicistica
di sopravvivenza che si apre ad un mercato del tutto particolare
e che deve, allo stesso tempo, conservare la finalità del non profit
senza dimenticare le sue caratteristiche.

7.1. Le società sportive dilettantistiche

In genere, nel gergo sportivo, si usano indifferentemente i ter-


mini “società” e “associazione”, anche se, dal punto di vista giuri-
dico, occorrerebbe tener ben distinte le due figure, poiché fanno
riferimento a soggetti diversi (72). A tal proposito, è sintomatica

tività lavorativa, pretenda, poi, sulla base di quanto effettivamente prestato, il ri-
conoscimento della sua attività come attività lavorativa. Come è stato ben sotto-
lineato, “colui che è titolare di uno di questi rapporti non commette una semplice
violazione della disciplina, ma perde la qualità di volontario” (R. DEL PUNTA, Di-
ritto del lavoro e terzo settore, cit., 2001, p. 329). Così anche L. MENGHINI, Lavoro gra-
tuito e volontariato, in AA.VV., Diritto del Lavoro, Commentario diretto da F. CARINCI,
vol. II, Torino, UTET, 1998, pp. 82 ss. Anche l’organismo di risoluzione delle
controversie in tema di corresponsione d’indennità di trasferimento disciplinato
dall’art. 22, lett. D, del regolamento FIFA, la Dispute Resolution Chamber, ha affer-
mato il principio che benefici diretti o indiretti, ultronei rispetto al mero rimborso
spese, comportino la perdita dello status di dilettante a prescindere dalla qualifica-
zione federale.
(72) F. GALGANO, Il negozio giuridico, in AA.VV., Trattato di Diritto Civile e Commerciale,
già diretto da A. CICU-F. MESSINEO e continuato da L. MENGONI, Milano, Giuffrè,
2000, p. 184. Cfr. anche R. COSTI, Fondazione e impresa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1968,
pp. 15 ss. Sulla struttura delle società e associazioni sportive: A. BUCELLI, Le forme
organizzative dello sport postmoderno, in RDES, 2008. Difatti, rileva, anche nel campo
delle associazioni sportive, la forma giuridica che esse assumono nell’atto costitu-
tivo: possono esservi enti dotati di personalità giuridica, che godono dell’autono-
mia patrimoniale perfetta, e associazioni non riconosciute. Tra i primi, vanno an-
noverate le associazioni riconosciute ai sensi del DPR 361/2000, tutte le società di
capitali e le cooperative. Per questi, delle obbligazioni assunte dall’ente risponderà
soltanto l’ente stesso con il suo patrimonio e i creditori della società o dell’asso-
ciazione non potranno agire sul patrimonio degli amministratori o dei singoli as-
sociati. Al contrario, nelle associazioni non riconosciute, pur dotate di un’autono-
mia patrimoniale - nel senso che il patrimonio dell’ente è distinto da quello dei
singoli associati, secondo quanto dispone l’art. 38 c.c. - per le obbligazioni assunte
dai soggetti che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro di-
ritti sul fondo comune e, in via accessoria ma non sussidiaria, anche sul patrimo-

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56 CAPITOLO 1

la lettura dell’art. 14 delle NOIF della F.I.G.C. che col termine “so-
cietà” indica tutti gli enti a struttura associativa che, indipendente-
mente dalla forma giuridica adottata, svolgono attività sportiva del
gioco del calcio.
Le società sportive e le associazioni sportive sono soggetti sia
dell’ordinamento generale dello Stato, sia di quello sportivo (art.
29, Statuto CONI) e si distinguono in professionistiche e dilettan-
tistiche. Per queste ultime, il comma 4-bis dello stesso art. 29 dispo-
ne: “Le società e le associazioni sportive dilettantistiche, ricono-
sciute ai fini sportivi dal CONI, ai sensi del comma 2, sono iscritte
nel registro di cui all’art. 7 del D.L. 28 maggio 2004, n. 136, con-
vertito in Legge 27 luglio 2004, n. 186”. Inoltre, nella medesima
disposizione, si legge che le società e le associazioni, nell’esercitare
la loro attività, devono rispettare il principio della solidarietà eco-
nomica tra lo sport di alto livello e quello di base e devono assicu-
rare ai giovani atleti una formazione educativa complementare alla
formazione sportiva.
Anche in campo associativo si riscontra, dunque, la specificità
dello sport che ha spinto il legislatore a intervenire, talvolta inno-
vando, per attenersi al campo specifico.
Sotto questo profilo, per quanto riguarda la posizione del pro-
fessionista di fatto, occorre fare qualche riflessione sulle società e
associazioni sportive dilettantistiche, perché la posizione del pro-
fessionista di fatto va inquadrata nella loro struttura organizzativa.
Il legislatore italiano, dopo essersi per lungo tempo disinteres-
sato del fenomeno dilettantistico, lasciando che il comparto si ge-
stisse autonomamente, ha operato un primo intervento il 16 di-
cembre 1991, con la L. n. 398, con la quale, per la prima volta,
si delineava l’associazione sportiva dilettantistica in funzione di
una specifica disciplina tributaria.
Dal 2000 in poi, si sono avute disposizioni che, prendendo at-
to della specificità del fenomeno, sono state rivolte soprattutto ad
agevolazioni di natura finanziaria, a fronte di alcuni requisiti sog-
gettivi e oggettivi. Da quel momento, l’ente dilettantistico è stato
sottoposto alle normative vigenti sia di fonte statale, sia sportiva.

nio delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. È questa
l’opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, secondo la quale l’accesso-
rietà della responsabilità solidale di chi ha agito a nome e per conto dell’associa-
zione configura l’obbligazione di colui che ha agito come una forma di garanzia ex
lege, assimilabile alla fideiussione, ma che non consente al responsabile di godere
del beneficio della preventiva escussione del fondo comune.

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IL QUADRO NORMATIVO 57

E, soprattutto, da quel momento le società e associazioni sportive


si sono dovute adeguare alla normativa fiscale (73).
L’intervento più significativo rimane la L. 289/2002, all’art.
90, comma 17, che, estendendo le disposizioni di cui alla L. 389
del 1991 anche alle società sportive dilettantistiche costituite in for-
ma di società di capitali senza scopo di lucro, ha regolamentato l’at-
tività sportiva delle associazioni dilettantistiche prevedendo varie
forme giuridiche sempre caratterizzate, comunque, dall’assenza di
lucro.
Con l’art. 90, l’associazione sportiva dilettantistica acquista
una sua specialità nel panorama delle associazioni. Queste sono
considerate enti non profit con finalità prevalenti di natura ideale,
culturale, ricreativa, rispetto alle quali il conseguimento di utili co-
stituisce finalità secondaria e strumentale.
Secondo la L. 289/2002, modificata successivamente dalla L.
128/2004, le società e associazioni sportive dilettantistiche devono
indicare nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione
o la denominazione sociale “dilettantistica” e possono assumere
una delle seguenti forme:
a) Associazione sportiva priva di personalità giuridica (artt. 36
e ss. c.c.). Sul punto, tuttavia, è opportuno segnalare che, diversa-
mente da quanto avviene per le associazioni di cui al codice civile,
per la cui costituzione non è previsto alcun obbligo di forma (ec-
cezion fatta per l’ipotesi di attribuzione di beni immobili a titolo di
proprietà o di godimento ultra novennale o a tempo indeterminato,
di cui all’art. 1350 c.c.), per quanto concerne le associazioni spor-
tive dilettantistiche, la L. 289/2002, come modificata nel 2004 (D.L
22 marzo 2004 n. 72), richiede l’obbligo della forma scritta (atto
pubblico, scrittura privata autenticata o registrata), nonché la previ-
sione, nello statuto, delle finalità sopra richiamate, oltre alle clauso-
le che debbono regolare per il presente e per l’avvenire l’associa-
zione, sia nei confronti dei soci, sia verso gli organi delegati a go-
vernare le sorti sportive, morali e finanziarie dell’associazione, sia
verso i terzi.
b) Associazione sportiva con personalità giuridica di diritto
privato, ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. 10 febbraio
2000, n. 361;
c) Società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo

(73) Vedi, a riguardo, A. PACE, Sport dilettantistico. Equilibrio tra norme e prassi, in
AA.VV., Le scienze dello sport, cit., pp. 265 ss.

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58 CAPITOLO 1

le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le fi-


nalità di lucro (74). Alle società sportive dilettantistiche è fatto divie-
to di distribuire tra i soci gli utili, che possono tuttavia essere rea-
lizzati e reinvestiti nell’attività sportiva, in deroga alle disposizioni
societarie contenute nel codice civile.
Le società di capitali sportive dilettantistiche, ex art. 90, L.
289/2002, costituiscono una tipologia di società di capitali con fi-
nalità non lucrative, peculiare, e che porta verso un sistema speciale
nel quale le società diventano schemi organizzativi funzionalmente
neutri in grado di perseguire attività sia lucrative sia non lucrative.
Queste società hanno autonomia statutaria e godono di una
notevole flessibilità, che consente di adottare strumenti in grado
di dare attuazione agli interessi dei soci. Il controllo di legalità viene
affidato alla competenza notarile e deve intendersi, non come ri-
spondente al tipo legale, ma con riferimento ai principi dell’ordina-
mento (75).
In generale, a prescindere dalla veste giuridica scelta, ex art. 90,
comma 18, le società sportive dilettantistiche si costituiscono, in
contrasto con il principio generale della libertà delle forme, con at-
to scritto ad substantiam, nel quale deve, tra l’altro, essere indicata la
sede legale. Molto dettagliatamente si prevede – in tal modo la for-
ma diventa contenuto – che nello Statuto debbano essere espressa-
mente indicati: a) la denominazione; b) l’oggetto sociale con riferi-
mento all’organizzazione di attività sportive dilettantistiche, com-
presa l’attività didattica; c) l’attribuzione della rappresentanza legale
dell’associazione (76); d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che

(74) Sul punto cfr. N. ANDREOZZI-A. SAIJA, Le società e le associazioni sportive, in Riv.
dir. ec. trasporti e ambiente, 2006, dove si legge che per alcuni la novità normativa
introdotta nel 2004 ha avuto una valenza ‘interpretativa’ e non ‘innovativa’, giac-
ché si è ritenuto irragionevole sostenere che la possibilità di optare per la forma
giuridica della cooperativa da parte dei sodalizi sportivi operasse solamente a far
data dall’entrata in vigore del citato D.L. del 2004.
(75) Nella fase della costituzione troviamo la stipula dell’atto, che viene verificato
per la sua sostanziale formale legalità dal notaio e quindi l’iscrizione al registro
delle imprese, a cui segue la denuncia dell’inizio di attività presso l’Agenzia delle
Entrate. Sul punto cfr. Consiglio nazionale del notariato, Studio n. 93/2004/T.
(76) Sul punto vedi sempre N. ANDREOZZI-A. SAIJA, Le società e le associazioni sportive,
cit., per i quali la disposizione riveste particolare importanza “nel caso in cui l’ente
sportivo assuma la forma delle società di capitali nelle quali, specie a seguito della
riforma del diritto societario (in particolare nelle Srl), l’amministrazione e la rap-
presentanza possono essere attribuite a più soggetti ed, in alcuni casi, disgiunta-
mente o congiuntamente (artt. 2475 e 2475 bis)”.

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IL QUADRO NORMATIVO 59

i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi


fra gli associati, anche in forme indirette (77); e) le norme sull’ordi-
namento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza
dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle
cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che as-
sumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si
applicano le disposizioni del codice civile; f) l’obbligo di redazione
di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approva-
zione degli stessi da parte degli organi statutari; g) le modalità di
scioglimento dell’associazione; h) l’obbligo di devoluzione ai fini
sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle
associazioni (art. 90, comma 18) che è un principio già obbligatorio
per le associazioni sportive dilettantistiche il cui statuto è adeguato
al D.Lgs. n. 460 del 1997, che ha introdotto le cd. ONLUS. Sono
esentati dalle previsioni sopra riportate i gruppi sportivi militari fir-
matari di convenzioni con il CONI.
Una innovazione significativa per quel che riguarda le società
di capitali è contenuta nell’art. 2463-bis c.c., aggiunto ad opera del-
l’art. 3 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività),
modificato dal D.L. 28 giugno 2013, n. 99. Il predetto articolo
ha codificato un nuovo tipo di società di capitali, la società a re-
sponsabilità limitata semplificata, S.r.l.s. o Srls. Le norme di detta-
glio sono state successivamente definite con successivo D.M. 23
giugno 2012, n. 138. Il contratto o l’atto unilaterale deve essere re-
datto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizza-
to. Il contenuto dell’atto costitutivo è predeterminato e deve indi-
care: il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la
cittadinanza di ciascun socio; la denominazione sociale contenente
l’indicazione di società a responsabilità limitata semplificata e il co-
mune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secon-
darie; l’ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e in-
feriore all’importo di 10.000 euro previsto all’art. 2463, comma 2,
numero 4), sottoscritto e interamente versato alla data della costi-

(77) G. SANTINI, Il tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ.,
1963, I, pp. 51 ss., già, a suo tempo, ha sostenuto, con argomentazioni logiche
e condivisibili, che la struttura societaria sarebbe neutra rispetto allo scopo perse-
guito, che potrebbe perciò essere anche non lucrativo. In ogni caso, non volendo
considerare ciò come un’applicazione di un principio generale, l’espressa previsio-
ne legislativa sarebbe idonea a ritenere tale normativa, comunque, speciale.

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60 CAPITOLO 1

tuzione. Il conferimento deve farsi in denaro ed essere versato al-


l’organo amministrativo; i requisiti previsti dai numeri 3), 6), 7) e 8)
del comma 2 dell’art. 2463 c.c.; luogo e data di sottoscrizione; gli
amministratori, i quali originariamente dovevano rivestire la paral-
lela qualità di soci (limite abrogato per effetto del D.L. 28 giugno
2013, n. 76).
Tutte le associazioni sportive, qualunque sia la loro forma,
hanno bisogno di atleti e di collaboratori (allenatori, istruttori, pre-
paratori atletici, direttori sportivi, collaboratori amministrativi, ani-
matori, collaboratori gestionali, personale medico, consulenti legali,
fiscali ecc.) con i quali instaurano rapporti di collaborazione.
In sintesi, le società sportive dilettantistiche, se intendono go-
dere delle agevolazioni fiscali loro riservate, devono inserire nella
ragione o denominazione sociale dell’ente l’indicazione che lo stes-
so svolge attività sportiva e che questa è espletata in maniera dilet-
tantistica.
In termini quantitativi, prescindendo dalla risonanza o fama di
uno sport rispetto a un altro, le società sportive dilettantistiche oc-
cupano gran parte del panorama sportivo nazionale. Il che è abba-
stanza intuitivo, non solo perché le Federazioni professionistiche
sono in numero decisamente esiguo rispetto alle altre, ma soprat-
tutto per la grande varietà degli sport e delle loro associazioni.
Tra i problemi che la dicotomia professionismo-dilettantismo
pone, anche quello che riguarda la natura del rapporto tra atleta
non professionista e società o associazione sportiva di appartenen-
za ha attirato l’attenzione degli specialisti.
L’atleta professionista di fatto, assoggettato come il dilettante
puro alle norme del CONI e ai regolamenti delle Federazioni di
appartenenza, nonché agli statuti e ai regolamenti delle società
sportive, deve rispettare anche gli eventuali accordi economici
che regolamentano la sua prestazione.
Proprio in relazione a tale rapporto, emerge la differenza di
trattamento tra atleti appartenenti a Federazioni prive di settore
professionistico rispetto ai colleghi professionisti, anche in presen-
za di prestazioni identiche.
Negli ultimi anni, come si è già detto, in ambito non profes-
sionistico ha trovato larga diffusione la prassi della stipula di accor-
di tra atleti e società, che risultano in concreto sufficientemente ar-
ticolati, sulla base delle indicazioni federali. Questi accordi preve-
dono, sotto varie forme, anche la monetizzazione delle prestazioni
espressamente escluse dalla L. n. 91/81, per cui risulta evidente l’i-
nidoneità dello status formale di dilettante ad offrire alcun parame-

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IL QUADRO NORMATIVO 61

tro all’interprete per risolvere questioni operative al di là dell’ambi-


to meramente endoassociativo.
Allo stesso modo, appare inidonea a precludere più penetranti
valutazioni sostanziali, sia in ambito comunitario (78) che interno,
anche l’appartenenza al settore dilettantistico di quelle società
che fruiscono delle prestazioni degli atleti in termini imprenditoria-
li.
Difatti, ai sensi dell’art. 48 del Trattato, devono considerarsi
imprese in senso tecnico le società sportive che, qualunque sia la
forma giuridica assunta secondo la normativa dei paesi interessati,
organizzano spettacoli sportivi a pagamento, negoziano diritti tele-
visivi e pongono in essere operazioni di sponsorizzazione e di mer-
chandising.
Tornando all’atleta il suo rapporto col sodalizio nasce su base
solo apparentemente volontaria – ma realmente necessitata – ed è
fonte di obblighi e diritti.
L’atleta, con il tesseramento, assume l’obbligo di prestare la
propria attività soltanto per la società per la quale si è vincolato,
di rispettare i principi sportivi sanciti negli statuti federali e di ri-
spettare il vincolo di giustizia. Acquista il diritto a partecipare alle
attività sportive e ad essere trattato in modo paritario nei confronti
degli altri soggetti che svolgono la medesima attività. Ma, per quan-
to riguarda il diritto di partecipare direttamente all’attività federale
e alle cariche sportive, si trova di fronte a un sistema di democrazia
indiretta posto a tutela dei diritti dei singoli all’interno delle forma-
zioni sociali (79).
In concreto, tra sportivo e società come tra sportivo e Fede-
razione, si realizza un rapporto di natura asimmetrica.

(78) La Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato l’inutilità della qualifica at-


tribuitasi unilateralmente da una Federazione e ha posto l’accento sulla natura del-
l’attività svolta in concreto dall’atleta, affermando espressamente che anche i co-
siddetti amateurs possono invocare l’applicazione del Trattato quando prestino ser-
vizi che permettono di organizzare spettacoli, anche se non pagati, dalle società
che ne beneficiano. Parimenti (vedi Sentenza 8 Maggio 2003, Deutscher–Handall-
bund e V c/Maros Kolpak) si è espressa nel senso di considerare ‘sportivo pro-
fessionista’ (punto 21) l’atleta vincolato con la società di appartenenza da un con-
tratto di lavoro, essendo obbligato, “contro il corrispettivo di una retribuzione
mensile fissa, a fornire in forma subordinata prestazioni nell’ambito dell’attività
di allenamento e degli incontri organizzati dalla sua società, e che si tratta, in pro-
posito, della sua principale attività professionale”.
(79) Sul tema cfr. C. ALVISI, Principio di democrazia interna e statuti federali, in AA.VV.,
Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., pp. 621 ss.

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62 CAPITOLO 1

Difatti, la dipendenza gerarchica che si instaura per lo sporti-


vo, nei confronti della società e della Federazione, non si rinviene
in altre strutture di tipo associativo ad adesione volontaria, nelle
quali la posizione degli associati è realmente paritaria.
Questo vale a distinguere con forza lo sportivo dall’associato
‘ordinario’ e origina la necessità di porre attenzione alla tutela di
diritti fondamentali e anche alle disposizioni legislative e comunita-
rie sulla libertà dell’attività sportiva.
Se non suscita dubbi la posizione dell’amateur, vale a dire del
dilettante puro, mosso solo ed esclusivamente dalla passione spor-
tiva o dalla pratica salutistica, notevoli problemi suscita, al contra-
rio, il rapporto di colui che, malgrado l’inesistenza della qualifica
formale, svolge attività sportiva in maniera programmatica, perce-
pendo compensi, spesso lauti, o a titolo di esclusivo sostentamen-
to.
È evidente che, in questo caso, si tratta di un “dilettante che
lavora”, per cui bisognerà vedere, caso per caso, se è possibile con-
siderare le sue prestazioni come apporto al comune negozio asso-
ciativo o in termini di scambio con la società. Occorre, anche, ve-
dere come qualificare in termini giuridici la percezione delle som-
me di danaro e la compatibilità con la normativa in materia di sport
professionistico, che individua in negativo quella dilettantistica.
È ben noto che tali categorie di atleti percepiscono compensi,
anche se sotto forma di indennizzi e rimborsi, e che tali compensi
costituiscono il motivo principale dell’attività sportiva pseudo-lavo-
rativa. Il fine che li muove, quindi, può essere duplice: da un lato,
meramente sportivo, dall’altro, lucrativo e quest’ultimo, il più delle
volte – anche per necessità della realizzazione piena del primo –,
diviene preponderante.
Le società, al contrario, potrebbero continuare a perseguire il
fine sportivo, anche se coordinato a quello lucrativo, così come po-
trebbero, alla fine, far assorbire il fine sportivo dal lucrativo, giusti-
ficato sulla base della sua strumentalità rispetto al primo.
Allora, in questa ultima tipologia di rapporto può rinvenirsi
una divergenza di scopi quanto meno parziale, che potrebbe far
mettere in discussione la natura associativa e far rientrare i sodalizi
nella categoria delle imprese, come tende a fare la normativa comu-
nitaria.
Poste queste considerazioni, la specificità dello sport emerge
in maniera lampante anche dall’analisi dei soggetti e dei loro rap-
porti. Si tratta di rapporti associativi per i quali non è scontato
che sussista sempre e comunque la comunione di scopo e per i

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IL QUADRO NORMATIVO 63

quali, anzi, molto spesso, questa potrebbe non esistere o muoversi


su binari paralleli e con spinte individuali.

8. L’impresa sportiva

Se si guarda al rapporto tra ordinamento interno e ordinamen-


to comunitario occorre tener presente anche la distanza che separa
il concetto di impresa nella nostra tradizione codicistica e quello
tipico dell’Unione Europea. Infatti, mentre a livello interno pro-
prietà e impresa sono anche considerati, se pure “in un orizzonte
abbastanza generico e fumoso”, come istituti destinati a promuo-
vere lo sviluppo della persona umana e il bene sociale, negli altri
paesi europei e nell’Unione questo riconoscimento non si riscon-
tra (80).
Secondo risalente orientamento della Corte di giustizia (sent.
23 aprile 1991), il concetto di impresa nel diritto comunitario va
riferito a qualsiasi entità che svolga una attività economica, prescin-
dendo dal riferimento alle sue finalità, al suo status giuridico e al suo
modo di finanziamento. Questa visione aveva comportato qualche
problema per la Corte nel momento in cui si era trovata a dover
decidere se assoggettare o meno al rispetto della normativa anti-
concorrenziale (artt. 85 e 86 Trattato CE) imprese orientate ai fini
solidaristici. Sul punto, la sentenza della Corte di giustizia del 1 lu-
glio 2008, c. 49/07, riconoscendo che “costituisce attività econo-
mica qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni o servizi su
un determinato mercato”, ha ribadito che la nozione di impresa
va riferita a qualsiasi ente che eserciti attività economica a prescin-
dere dalla sua forma giuridica (81). Ne consegue che il carattere

(80) Cfr. P. POLLICE, I processi di armonizzazione e unificazione del diritto contrattuale eu-
ropeo, cit., p. 246. Sulle caratteristiche dell’impresa in ambito comunitario, cfr. L.
DI VIA, L’impresa, in AA.VV., Diritto privato europeo, I, cit., pp. 253 ss.
(81) Al punto 41 della sentenza 1 luglio 2008 si legge: “secondo consolidata giuri-
sprudenza della Corte, la nozione di ‘impresa’ comprende, nel contesto del diritto
dell’Unione europea in materia di concorrenza, qualsiasi entità che eserciti un’at-
tività economica, a prescindere dallo status giuridico di tale attività e dalle sue mo-
dalità di finanziamento”. Si legge nel dispositivo: “Una persona giuridica le cui
attività consistono non soltanto nella partecipazione alle decisioni amministrative
che autorizzano l’organizzazione di gare motociclistiche, ma anche nell’organizza-
re direttamente tali gare e nel concludere in tale contesto contratti di sponsoriz-
zazione, di pubblicità e di assicurazione rientra nella sfera di applicazione degli
artt. 82 CE e 86 CE”.

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64 CAPITOLO 1

sportivo di una regolamentazione non implichi necessariamente


che l’attività sportiva possa sottrarsi all’ambito di applicazione delle
norme sulla concorrenza. La direttiva CE 2004/18, all’art. 1, par. 8,
a sua volta aveva precisato che “‘i termini’ ‘imprenditore’, ‘fornito-
re’, ‘prestatore di servizi’, designano una persona fisica o giuridica
o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti
che offra sul mercato rispettivamente la realizzazione di lavori e/o
opere prodotti o servizi”.
Sul fronte interno il Codice civile, art. 2082, definisce impren-
ditore “chi esercita professionalmente un’attività economica al fine
della produzione e dello scambio di beni e servizi”. Sotto il profilo
funzionale (82), l’impresa è l’attività imprenditrice (83) ed essa può
essere considerata come una “organizzazione di elementi personali
e reali operata in funzione di un risultato economico e attuata in
vista di un intento speculativo dell’imprenditore” (84). Possono esi-
stere, quindi, varie nozioni di impresa “dettate in funzione degli
specifici aspetti normativi regolati e degli interessi specifici cui si
intende dare attuazione” (85). E non v’è dubbio che il profilo fun-
zionale consenta la valutazione dell’impresa con riferimento alla
funzione perseguita dall’ordinamento. Ma quali i fini e quali gli or-
dinamenti a cui far riferimento?
Se l’attività diventa economica, e, come tale, qualifica l’impre-
sa, quando incide sul mercato, è evidente che gli enti non profit non
possano essere esclusi dalla categoria delle imprese, dal momento
che, comunque, per essi si fa riferimento all’esistenza di un merca-
to nel quale operano (86).

(82) Nel lontano 1942, A. ASQUINI, Profili dell’impresa, in Riv. dir. comm., I, 1942, p. 6,
ai fini di cogliere il pieno significato della nozione giuridica di impresa individuava
un profilo soggettivo, un profilo funzionale, un profilo patrimoniale e un profilo
corporativo. Per il primo l’impresa si identifica con l’imprenditore, per il secondo
l’impresa è l’attività imprenditrice, per il profilo patrimoniale essa è patrimonio
aziendale o azienda, per il profilo corporativo è istituzione dedita alla produzione
e allo scambio di beni e servizi.
(83) Ivi, p. 254. Cfr., in particolare, per i contratti di impresa, G. ALPA, Il contratto in
generale, cit., pp. 695 ss.
(84) G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, UTET, 1986, p. 34 (ultima ed. a
cura di C. ANGELICI, 2016).
(85) L. DI VIA, L’impresa, cit., p. 264.
(86) Ivi, p. 277: “il problema si presenta particolarmente stimolante in Italia dove la
legge-quadro sul volontariato, 11 agosto 1991, n. 226, disciplinando le organizza-
zioni di volontariato all’art. 3, comma 2, dispone che esse ‘possano assumere la
forma giuridica che ritengono più adeguata ai loro fini, salvo il limite di compa-
tibilità con lo scopo solidaristico’....In questo caso si affrontano da una parte i

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IL QUADRO NORMATIVO 65

Una nozione di impresa sportiva, che possa essere intesa co-


me attività economica organizzata e professionalmente esercitata,
non è offerta né dalle fonti internazionali, né da quelle comunitarie,
né da quelle nazionali, né dallo stesso ordinamento sportivo (87).
Anzi parlare di impresa sportiva per alcuni è un vero controsenso
in quanto se lo sport divenisse oggetto di negotium o di negotia, di
attività professionale, economica o di attività di impresa, che dir
si voglia, non sarebbe più sport (88). Malgrado ciò, è indubbio
che lo sport, che è diventato oggetto di negotium e di negotia quasi
in tutte le sue espressioni, deve trovare fonti di finanziamento e de-
ve gestirle in modo da sopravvivere. Quindi, in qualche modo, esso
non può fare a meno di entrare, ed è entrato, in un particolare mer-
cato al quale deve adeguarsi, anche attraverso una qualche forma di
attività economica. E non v’è dubbio che ciò tocca tutti i livelli del-
l’organizzazione sportiva.
L’attività economica, consistente nell’offerta di beni e servizi,
in ambito sportivo può essere individuata attraverso il riferimento
ai soggetti che, in vario modo, vi partecipano, dagli atleti, ai soda-
lizi, alle Federazioni sportive. Ognuno di questi può realizzare ‘im-
presa’, nel senso ampio del termine, ove eserciti attività economica,
da solo o in associazione. Ma l’attività sportiva non ha solo risvolti
economici per cui in essa concorrenza e competitività assumono
risvolti particolari (89).
D’altra parte, l’impresa sportiva, decisamente sui generis, sia
come organizzazione sia come attività, non può essere ricondot-
ta negli schemi usuali. Il che, peraltro, è perfettamente in linea
con la specificità dell’intero settore sportivo. Il carattere impren-
ditoriale è, comunque, chiaramente connaturato all’attività di
quelle società sportive che organizzano eventi e può far riferi-
mento all’art. 41 Cost. che riconosce la libertà di iniziativa eco-
nomica.

principi della solidarietà, dall’altra quelli dell’incidenza di tali attività su settori nei
quali esercitano la propria attività entità riconducibili alla categoria dell’impresa e
come tali operanti in un regime di libero mercato”.
(87) Cfr. A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’impresa sportiva, cit., p.
489.
(88) M. STELLA RICHTER, Società sportive quotate, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordina-
mento giuridico, cit., p. 480, che considera un ossimoro la stessa espressione ‘impresa
sportiva’. Vedi anche A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’impresa
sportiva, cit., p. 489.
(89) Cfr., a riguardo, D. GULLO, L’impatto del diritto della concorrenza sul mondo dello
sport, in RDES, 3, 2007, pp. 13 ss.

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66 CAPITOLO 1

Anche se il crescente peso economico dello sport porta a


guardare all’organizzazione delle società in termini imprenditoriali,
sulla base dell’art. 2082 c.c., è opinione ormai consolidata che esso
non implichi necessariamente “la concreta produzione di un gua-
dagno e una determinata destinazione del lucrato, essendo suffi-
ciente l’adozione di un metodo astrattamente lucrativo che consen-
ta all’impresa di permanere e durare a lungo sul mercato” (90).
Dunque, se a caratterizzare l’impresa è senza dubbio la sintesi
tra organizzazione stabile e attività economica, è l’aggettivazione
“sportiva” a mettere in luce alcune peculiarità relative alla vita e allo
sviluppo delle associazioni sportive che si qualifichino come impre-
sa, per cui il loro inquadramento giuridico non può essere sempre
ricondotto entro gli schemi tradizionali (91).
Se l’impresa tradizionale può svilupparsi e sopravvivere per la
sua posizione sul mercato ma anche ingrandendosi e acquistando
altre imprese, l’impresa sportiva ha a suo vantaggio eventuale so-
prattutto la possibilità di sopravvivere e svilupparsi guardando al
suo particolare tipo di mercato e, quindi, attraendo spettatori,
clienti e sponsors grazie ai suoi successi, che possono essere con-
siderati un bene immateriale che crea possibilità di lucro, anche se
strumentale. Questo mette in gioco un modo particolare di guarda-
re alla concorrenza e alla competitività, al punto che, per la creazio-
ne del valore dell’impresa sportiva, occorre realizzare un equilibrio
tra questi due momenti e tener conto del fatto che proprio essi ac-
quistano un significato del tutto particolare dovuto alle specificità
del fenomeno.
Se la struttura portante della società, che si presenta come im-
presa sportiva, resta il volontarismo e non lo scopo del profitto, è
chiaro che si manifesta la distanza che la separa dall’impresa tradi-
zionale. L’impresa sportiva risulta caratterizzata da un tipo di orga-
nizzazione e di strumenti per la sua sopravvivenza che sono del
tutto inusuali nella realtà economica comune. Basti pensare al ‘tito-
lo sportivo’ che, oltre ad essere importante nel sistema, incide sul-
l’ambito imprenditoriale e sulla sfera economica-patrimoniale dei
destinatari. Il titolo sportivo è, da un lato, un elemento fondamen-
tale di avviamento dell’impresa sportiva, dall’altro, un presupposto
per la patrimonializzazione di assets di fondamentale importanza

(90) Ivi, p. 491.


(91) G. MORBIDELLI, Introduzione alla Tavola rotonda Caratteri dell’impresa sportiva, in
AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 453.

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IL QUADRO NORMATIVO 67

per l’organizzazione aziendale (92). Se, apparentemente, esso ha un


alto valore morale, nella realtà assume un valore commerciale di
notevole importanza, riconosciuto anche dalla giurisprudenza (93)
e ricostruito in dottrina quale diritto potestativo. Si tratta di un di-
ritto assoggettato ad accertamento da parte delle Federazioni che
riguarda non solo le condizioni tecniche e sportive ma anche quelle
patrimoniali e finanziarie, che consentono la partecipazione ai cam-
pionati di competenza.
L’impresa sportiva, inoltre, non fornisce solo servizi, ma qual-
cosa di diverso e di più, vale a dire qualcosa che è connesso proprio
alla specialità e peculiarità dello sport. Essa vende spettacolo, pas-
sione, illusioni, speranze, identificazione, senso di appartenenza
ecc. Essa alimenta domanda e offerta di prodotti destinati alla frui-
zione delle masse e genera il mercato degli spettacoli sportivi, ge-
nera nuovi bisogni e moltiplica beni e servizi. per cui richiama l’at-
tenzione sul tema della concorrenza (94), complicando il panorama.
Inserita in un contesto socio-politico, l’impresa sportiva si tro-
va a dover anche assolvere ad un compito educativo, socializzante
ecc., come ribadisce la L. 19 luglio 2007, n. 106 (95), ed è chiaro che
tutto questo incide sulla sua organizzazione, sul suo rapporto col
mercato e sul rapporto che viene a crearsi tra società e atleta. Al-
l’impresa sportiva si applicano sia le norme sulla concorrenza sia
quelle sul rispetto di determinati diritti quali il divieto di discrimi-
nazione, la dignità della persona ecc. Con la predetta legge alla lo-
gica della produzione il legislatore contrappone “la logica della so-
vra-ordinazione pubblicistica degli organi associativi, ai quali è de-

(92) F. CRISCUOLO, Impresa sportiva e interessi rilevanti, in AA.VV., Fenomeno sportivo e or-
dinamento giuridico, cit., p. 465. Cfr. anche La qualificazione del c.d. ‘titolo sportivo’ nel
trasferimento d’azienda nell’ambito di procedure concorsuali, nota a sentenza Trib. Napoli,
sez. VII, 25 febbraio 2010, a cura di C. SOTTORIVA, in Soc., 7, 2011, p. 769.
(93) Cfr. TAR Lazio, sez. III ter, 22 settembre 2004, n. 9668, e la già citata senten-
za Trib. Napoli, sez. VII, 25 febbraio 2010. Sul titolo sportivo cfr. C. CANNELLA, Il
trasferimento del titolo ‘sportivo’ di un club fallito nell’ordinamento sportivo statuale, in RDES,
I, 2017, p. 174.
(94) M. ORLANDI, Mercato dei diritti sportivi?, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento
giuridico, cit., p. 403.
(95) Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al
mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pub-
blico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli
eventi sportivi dei campionati e dei tornei professionistici a squadre e delle cor-
relate manifestazioni sportive organizzate a livello nazionale. Pubblicata nella
Gazz. Uff., 25 luglio 2007, n. 171, a cui fa seguito il D.lgs 9 gennaio 2008, n. 9.

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68 CAPITOLO 1

mandato l’interesse dell’intera collettività e di tutti i soggetti coin-


volti” (96).
È chiara la volontà statale di intervenire capillarmente sul fe-
nomeno sportivo sottraendo sempre più spazi di autonomia ai pri-
vati.
Anche su questo punto si rivela la complessità e la peculiarità
del comparto sportivo. Esso entra nel mercato con tutta una sua
specificità, sia come fatto sia come regolamentazione, ma, malgra-
do ciò, ad alcune regole del mercato deve obbedire.
Il mercato implica autonomia ed è il luogo della libertà, si
svolge nell’autonomia dello scambio e nella libera valutazione delle
conseguenze (97). Impresa e mercato, generalmente considerati
strumenti alternativi di organizzazione dei fenomeni allocativi, so-
no in parte complementari, in quanto si presuppongono vicende-
volmente, in parte alternativi, in quanto l’impresa “risolve al suo
interno i fenomeni di razionalizzazione della produzione e distribu-
zione che il mercato risolve all’esterno” (98). Entrambi hanno, co-
munque, bisogno di un assetto regolamentare che non può pre-
scindere dalla realtà fattuale, peraltro estremamente dinamica.
Il punto è come si possa determinare questo assetto regola-
mentare per quanto attiene al fenomeno sportivo che comporta,
oltre che una particolare attenzione ad una realtà complessa dalle
molteplici finalità, anche un equilibrio tra ordinamenti diversi. Co-
me conciliare un mercato, nel quale comunque lo sport si inserisce,
con alcune finalità ad esso imprescindibili e che vengono regola-
mentate in risposta all’interesse e al funzionamento delle competi-
zioni che non sempre collimano con l’esercizio di attività d’impre-
sa? Bisogna verificare, cioè, come si realizza – se mai si realizza –
l’equilibrio tra finalità e ordinamenti diversi in relazione all’associa-
zionismo sportivo legato all’impresa e al mercato e, quindi, conno-
tato economicisticamente e, al tempo stesso, ad un’etica dello sport
e dell’impresa sportiva che sempre più spesso viene richiamata. Un
associazionismo basato sul volontarismo, che, per il suo essere in-

(96) M. ORLANDI, Mercato dei diritti sportivi?, cit., p. 411. Continua l’autore: “la legge
vulnera il postulato naturalistico della titolarità originaria dell’imprenditore e riaf-
ferma con la potenza delle parole la pura e muta artificialità del diritto”.
(97) Ivi, p. 413. Per una discussione critica sulla L. n. 9 del 2008 si veda V. ZENO-
ZENKOVICH, La ‘statalizzazione dei diritti televisivi sportivi’, in AA.VV., Fenomeno sportivo e
ordinamento giuridico, cit., pp. 585 ss.
(98) A. GENTILI, Lo sport come fatto e come ordinamento, in AA.VV., Fenomeno sportivo e
ordinamento giuridico, cit., p. 441.

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IL QUADRO NORMATIVO 69

serito in una organizzazione che regolamenta le competizioni spor-


tive, deve collegarsi alle Federazioni e al CONI e seguirne tutte le
disposizioni.
Ed è di tutta evidenza che, a questo punto, il problema si spo-
sta sul piano giurisdizionale e sul rapporto giustizia domestica giu-
stizia ordinaria (99). Chiaramente, quando le regole sportive hanno
effetto sul funzionamento dei mercati sono suscettibili di risponde-
re a un giudizio di adeguatezza e proporzionalità. Ma non sembra
sia questo il problema fondamentale quando si va a discutere del-
l’impresa sportiva, ma piuttosto la sua eventuale disciplina. E negli
ordinamenti sportivi il concetto di impresa non è mai richiamato,
ma si parla genericamente di associazioni e società.
In un panorama quale quello attuale soggetto a grande dina-
mismo possiamo ricordare che a partire dal 2000, anche in ambito
europeo, si è cominciato a parlare di Responsabilità Sociale di Im-
presa o Corporate Social Responsibility (100), per la realizzazione di una
cultura imprenditoriale che richiede integrazione tra etica e busi-
ness (101).
In Italia, il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 ha disciplinato la fi-
gura dell’‘impresa sociale’. Il Decreto, che non introduce un nuovo
tipo societario, all’art. 1, stabilisce: “Possono acquisire la qualifica
di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli
enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile

(99) Su questo punto, senz’addentrarsi nei particolari, basti ricordare alcune sen-
tenze tra loro non omogenee: da un lato: Cons. di Stato, sez. VI, 9 luglio 2004,
n. 5025; TAR Lazio, sez. III ter, 18 aprile 2005, n. 2801; TAR Lazio, sez. III
ter, 12 aprile 2007, n. 1664. Dall’altro: TAR Lazio, sez. III ter, 21 gennaio
2005, n. 527; TAR Lazio, sez. III ter, 7 aprile 2005, n. 2571.
(100) Cfr. Commissione della Comunità europea, Libro Verde, Promuovere un quadro
europeo per la responsabilità sociale d’impresa, Bruxelles, 18.07.2001, 366. Comunicazio-
ne della Commissione europea, Una rinnovata strategia comunitaria sulla responsabilità
sociale d’impresa per il periodo 2011-2014, Bruxelles 25 ottobre 2011. Sul punto: G.
ESPOSITO, La responsabilità sociale nelle organizzazioni sportive, in AA.VV., Le scienze dello
sport, cit., pp. 457 ss. Cfr., anche, J. GENZALE, Sport and Social Responsibility, in Sport
Business Journal, 2006, pp. 34 ss.; AA.VV., La responsabilità sociale e il bilancio sociale delle
organizzazioni dello sport, a cura di C. BUSCARINI-F. MANNI-M. MARANO, Milano,
Franco Angeli, 2006; M. ANGELUCCI, La responsabilità sociale nello sport, Roma, Arac-
ne, 2009. Ma vedi anche AA.VV., Lo sport responsabile – dal marketing alla rendiconta-
zione sociale, Atti del Convegno tenutosi presso l’Università di Parma il 20 gennaio
2007. Cfr. anche F. CAFAGGI, La legge delega sull’impresa sociale. Riflessioni critiche tra
passato (prossimo) e futuro (immediato), in Impr. soc., 2005.
(101) Secondo UNI ISO 26000, consultabile sul sito dell’Italian Centre for Social Re-
sponsibility.

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70 CAPITOLO 1

e principale un’attività economica organizzata al fine della produ-


zione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a
realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di
cui agli articoli 2, 3 e 4” (102).
Parlando dell’impresa sportiva è evidente che, date le moltepli-
ci funzioni dello sport, sia l’integrazione tra etica e business, auspi-
cata dalla Responsabilità sociale di Impresa, sia la disciplina dell’im-
presa sociale, contenuta nel D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, suscita-
no alcune considerazioni.
Le linee guida della Responsabilità sociale d’impresa mettono in
evidenza sette punti fondamentali e possono essere tutte applicabi-
li al mondo dello sport: accountability (rispondere agli impatti sulla
società, sull’economia e sull’ambiente), trasparenza (nelle decisioni
che incidono sugli stessi aspetti), comportamento etico (basarsi sui
valori dell’onestà, equità e integrità), rispetto della legalità e delle
norme internazionali di comportamento, e infine, molto importan-
te, rispetto dei diritti umani in tutti i loro aspetti, diritti civili e po-
litici, economici, sociali e culturali e i diritti sul lavoro. A proposito
di questi ultimi si ha una ulteriore precisazione relativa ai rapporti e
alle condizioni di lavoro, alla protezione sociale, al dialogo sociale,
alla salute e sicurezza sul lavoro, allo sviluppo delle risorse umane e
formazione sul luogo di lavoro.
Il D.Lgs. 155, pur non nominando espressamente lo sport, in-
dica diversi settori nei quali è presente l’attività sportiva (ad esem-
pio la lettera d) educazione, istruzione e formazione e la lettera l)
formazione extrascolastica). Se la missione dell’attività sportiva è la
produzione di valori è anche vero che i soggetti sportivi, che pos-
sono essere considerati imprese sociali, devono essere in grado di
interagire col mercato e che la loro peculiarità di soggetti che non
producono utilità, se non prettamente sociale, non li rende attrat-

(102) Il recente D.lgs. n. 117 del 3 luglio 2017 inserisce le imprese sociali tra gli enti
del terzo settore. Sull’impresa sociale cfr. AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa so-
ciale, a cura di M.R. DE GIORGI, Padova, CEDAM, 2007. Cfr. anche, AA.VV., Le
imprese sociali, a cura di C. BORZAGA-L. FAZZI, Roma, Carocci, 2011; A. PICCIOTTI,
L’impresa sociale per l’innovazione sociale. Un approccio di management, Milano, Franco
Angeli, 2013. La figura dell’impresa sociale potrebbe essere applicata al contesto
sportivo, decisamente portatore di valori sociali. Cfr. G. SILVESTRO, L’impresa sociale.
Una nuova veste del fenomeno sportivo?, in RDES, 3, 2013, pp. 51 ss. Nota, tuttavia,
Silvestro come “il fenomeno sportivo, malgrado rappresenti una delle possibili ac-
cezioni dell’impresa sociale, ha reagito timidamente alla possibilità di assumere la
qualifica de qua, a causa dello scetticismo degli operatori”(ivi, p. 54). In realtà que-
sta possibilità in generale sembra non avere goduto di grande successo.

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IL QUADRO NORMATIVO 71

tivi nei confronti di investimenti e quindi li pone in un contesto


particolare che non consente la piena aderenza al mercato nelle
sue forme comuni, bensì crea una sua particolare forma di merca-
to.
È sull’associazionismo che si evidenzia la natura specifica sia
dello sport sia della sua regolamentazione ed è in relazione a que-
sto associazionismo che appare opportuno riflettere sulle attuali di-
sposizioni normative, oltre che sulla peculiarità dell’impresa sporti-
va che si trova a dover pretendere, per la sua stessa sopravvivenza,
il diritto di gestirsi in termini imprenditoriali e quindi anche con
riferimento allo sfruttamento economico degli eventi prodotti,
ma anche a doversi cimentare con gli atleti in termini economici
cercando di restare nel mercato e contemporaneamente rispettan-
do le finalità importanti dello sport e i regolamenti federali.
Questo è un punto cruciale anche dei rapporti interordina-
mentali: quando i rapporti tra atleti e sodalizio assumano a parame-
tro l’economicità della prestazione, occorre guardare anche alla
concretezza del rapporto e all’eventuale modello imprenditoriale
assunto dalle società, vale a dire al fatto che le stesse esercitino, abi-
tualmente e sistematicamente, attività di organizzazione, allesti-
mento e attuazione di eventi sportivi. In questo caso, anche per
le società sportive di capitali senza scopo di lucro rileva l’oggettiva
e astratta attitudine a conseguire comunque un profitto, sotto qua-
lunque forma esso si dia.
La ampia complessità del fenomeno sportivo e la differente
rilevanza economica dei singoli sport e delle singole associazioni
induce a riflettere sulla difficoltà di ipotizzare un solo statuto del-
l’impresa sportiva e sulla opportunità di configurare più statuti spe-
ciali in relazione alla diversità degli sport. Se i sodalizi sportivi pos-
sono essere considerati imprese, le Federazioni debbono essere, ma
sono anche state, considerate associazioni di imprese (103). A que-

(103) Cfr. Sentenza Meca Medina, Corte di Giust., 18 luglio 2006, c.519/04, che
qualifica anche il C.I.O. come impresa. Al punto 38 infatti si legge: “È tuttavia
pacifico che, per decidere sulla denuncia di cui era investita dai ricorrenti alla luce
delle disposizioni degli artt. 81 CE e 82 CE, la Commissione ha inteso conside-
rare, come risulta esplicitamente dal punto 37 della decisione controversa, che il
C.I.O. doveva essere qualificato come impresa e, in seno al movimento olimpico,
come una associazione di associazioni internazionali e nazionali di imprese”. Cfr.
A. DI AMATO, Prime osservazioni su nozione e statuto dell’impresa sportiva, cit., p. 497.
Cfr. anche L. DI NELLA, Le attività economiche delle federazioni sportive, in Rass. dir.
ec. sport, 2006, pp. 47 ss.

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72 CAPITOLO 1

sto punto è importante definire il tipo di rapporto che lega lo spor-


tivo, e in particolare l’atleta, alle società e alla Federazione.

9. La figura dell’atleta

Sin dalla richiesta-accettazione, contenuta nel modulo di richiesta


di tesseramento, nasce un rapporto che sottopone l’atleta ai poteri
autoritativi delle Federazioni, il che ha fatto sorgere molte perplessità
sulla possibilità che si possa interpretare questo rapporto come rap-
porto associativo e ha indotto a presentare altre opzioni tra cui anche
la possibilità di considerare l’atleta alla stessa stregua del consumatore.
La richiesta-accettazione è un atto negoziale che va inserito in
un quadro sistematico nel quale occorre tener presente che gli sta-
tuti federali sono integrati dalle norme nazionali e comunitarie e
dai principi fondamentali di rispetto dei valori della persona, ben
riconosciuti nel modello europeo dello sport.
Ai sensi dell’art. 6 della L. n. 376 del 2000 (Disciplina della tu-
tela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping),
secondo cui “Gli atleti aderiscono ai regolamenti di cui al comma
1 e dichiarano la propria conoscenza ed accettazione delle norme
in essi contenute”, si tratta di un atto di adesione a condizioni ge-
nerali di contratto predisposti anche con riferimento al requisito di
efficacia dell’art. 1341 c.c.
Il nodo cruciale riguarda la natura del rapporto che viene ad
instaurarsi tra la Federazione e l’atleta, al cui riguardo occorre indi-
viduare quali siano gli obblighi a carico dei contraenti.
La prima domanda è se vi sia il perseguimento di interessi co-
muni tra Federazioni e atleti, quindi se si dia vita ad un normale rap-
porto associativo. E immediatamente dopo, se l’atleta svolga una at-
tività sportiva a favore della Federazione alla quale corrisponda un
qualche obbligo di controprestazione da parte del sodalizio e della
Federazione. Per quanto riguarda la comunanza di scopi essa potreb-
be esserci ove esistesse anche una sostanziale e totale parità di posi-
zioni contrattuali, mentre, nella realtà, questa parità di condizioni non
si dà. Con tutta probabilità il rapporto associativo, se pure esiste al-
l’atto di iscrizione alla Federazione, in realtà costituisce solo una base
su cui successivamente si innestano diversi rapporti che hanno una
loro autonomia funzionale e nei quali la comunanza di scopi, almeno
per quella fascia che si definisce professionista di fatto, viene certa-
mente meno. Tuttavia le opinioni a proposito sono discordanti oltre
che in dottrina anche in giurisprudenza.

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IL QUADRO NORMATIVO 73

Ad una giurisprudenza che considera tale rapporto come asso-


ciativo (104), si contrappone chi esclude tale configurazione (105).
Se, come pare, si tratta di rapporti contrattuali da cui derivano
diritti e obblighi reciproci, allora sorge il problema di come quali-
ficare la posizione dell’atleta. È su questa base che è stata indivi-
duata, anche al fine che l’atleta possa godere della relativa tutela
nei confronti dei sodalizi sportivi e delle Federazioni che gli offro-
no la possibilità di praticare sport, la possibilità di considerare l’a-
tleta non professionista come consumatore. Da qui la necessità di
verificare nei suoi confronti l’applicabilità degli artt. 1469 bis e ss.
c.c. Si tratta probabilmente di applicare in via estensiva, come
del resto si rileva in dottrina, il concetto di consumatore (106). Stan-
te questa interpretazione si avrebbe, da un lato, una Federazione
che riveste tutti i requisiti imprenditoriali e, dall’altro, un consuma-
tore che, ai sensi dell’art. 1469 bis c.c., è definito “quale persona fi-

(104) Molto chiara la sentenza del Trib. Di Roma, 15 settembre 2000, in Contr.,
2002, 3, p. 254, con nota di CARAMANICO D’AURIA: “Al rapporto tra la Federazione
sportiva ed i suoi iscritti non è applicabile la disciplina di cui agli art. 146 bis e ss.,
c.c., essendosi in presenza di un tipico rapporto associativo volto al perseguimen-
to di uno scopo comune. L’atleta tesserato non può qualificarsi come consuma-
tore così come la Federazione convenuta non può qualificarsi come professioni-
sta”. Cfr. Cass., 9 aprile 1993, n. 4351, in Riv. dir. sport, 1993, p. 484: “Per vero,
l’efficacia delle clausole vessatorie indicate nella norma citata, tra le quali rientrano
le clausole compromissorie, è subordinata alla specifica approvazione per iscritto
nei soli casi in cui le dette clausole siano inserite in contratti con condizioni ge-
nerali predisposte da uno solo dei contraenti (art. 1341, comma primo, cod. civ. ) ov-
vero conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari (art. 1342, comma
primo, cod. civ ) (cfr 1367/85; 4847/86); e non in diverse ipotesi ed in particolare
quando, come nella specie, con l’assunzione della qualità di ‘tesserato’, il soggetto
entri a far parte dell’organismo sociale che ha adottato lo Statuto ed il Regolamen-
to in che si contiene la clausola stessa”.
(105) L. DI NELLA, La tutela della personalità dell’atleta, cit., pp. 101 ss. Vedi, anche, p.
92. L’A. ritiene che il rapporto giuridico con la Federazione non possa essere con-
siderato di natura associativa, ma sia “funzionale a consentire lo svolgimento della
pratica sportiva”, per cui le Federazioni “sono in una posizione di supremazia
strutturale e funzionale nei confronti degli sportivi che specularmente si trovano
in posizione di ‘debolezza’”.
(106) Per un’analisi delle figure di consumatore e professionista si rinvia a L. DI
NELLA, La tutela dei consumatori, in AA.VV., Il diritto della distribuzione commerciale, a
cura di L. DI NELLA-L. MEZZASOMA-V. RIZZO, Napoli, ESI, 2008, pp. 192 ss.;
G. ALPA, Ancora sulla nozione di consumatore, in Contr., 2, 2001, pp. 205 ss; ID., Gli
usi del termine ‘consumatore’ nella giurisprudenza, in N.G.C.C., 1999, pp. 4 ss; L. GATT,
Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in AA.VV.,
Commentario al capo XIV Bis del codice civile: dei contratti del consumatore, a cura di C.M.
BIANCA-F.D. BUSNELLI, Padova, CEDAM, 1999, pp. 100 ss.

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74 CAPITOLO 1

sica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o pro-


fessionale eventualmente svolta”.
La riconducibiltà dell’atleta alla figura del consumatore è paci-
fica nel caso in cui prevalga l’aspetto ludico e ricreativo e sia del
tutto assente il risvolto economico. Tutt’altra situazione, invece,
quella di quegli atleti che siano professionisti di fatto.
Sul punto, la dottrina appare divisa. Parte della dottrina sostie-
ne che anche in tali casi si sia in presenza di un consumatore (107).
Il rapporto giuridico che si realizza tra atleta e Federazione è
certamente complesso. Tuttavia, è di tutta evidenza che esso è fun-
zionale allo svolgimento della pratica sportiva che potrebbe essere
astrattamente considerato scopo comune. Accanto a questo even-
tuale scopo comune, però, occorre considerare tutti gli aspetti del
rapporto che realizzano una subordinazione dell’atleta ai poteri
autoritativi, regolamentari, organizzativi e disciplinari delle Federa-
zioni, che si pongono in una posizione di supremazia nei confronti
dell’atleta (108). Lo scopo comune risulta, infatti, sopraffatto dalla
non coincidenza di scopi reali quali, da parte delle Federazioni,
la promozione e la disciplina della relativa pratica sportiva e, da
parte degli sportivi, sia che siano professionisti, e che quindi abbia-
no un reale rapporto di lavoro, sia che siano dilettanti o non pro-
fessionisti, il perseguimento, oltre al risultato, di interessi specifici,
per cui non si può dire che vi sia comunione di scopo ma che, tal-
volta, si realizzi addirittura contrapposizione, anche perché gli atleti
sono “i destinatari dei programmi sportivi federali, ossia dei servizi
forniti dalle Federazioni non gli organizzatori degli stessi” (109).
La ambiguità della posizione del professionista di fatto crea,
ovviamente, dubbi e perplessità, anche perché, a livello concreto,
le situazioni sono molto variegate. Per quel che riguarda gli atleti,
una parte della dottrina ritiene che, dal momento che gli interessi
dell’atleta e delle società al corretto svolgimento dell’attività spor-
tiva coincidono, l’interesse economico potrebbe essere secondario
e, quindi, verrebbe ad essere assorbito dalla natura associativa (110).
In ogni caso, è la situazione di fatto a dover essere presa in consi-

(107) F. REALMONTE, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, cit., p. 378.


(108) In alcuni statuti federali potrebbero rinvenirsi anche violazioni di principi di
libertà costituzionalmente tutelati quali, ad esempio, la libera manifestazione del
pensiero (art. 21 Cost.) laddove all’affiliato non è consentito protestare pubblica-
mente contro i provvedimenti emessi dalla Federazione.
(109) L. DI NELLA, La tutela della personalità dell’atleta, cit., p. 93.
(110) Cfr. R. PRELATI, La prestazione sportiva, cit., p. 47.

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IL QUADRO NORMATIVO 75

derazione ai fini della corretta configurazione della prestazione del


professionista di fatto.
La dottrina più recente ritiene che la distinzione tra prestazio-
ne professionistica e dilettantistica dovrebbe avvenire sulla base del
concetto di prevalenza, in base ad una valutazione da effettuarsi ca-
so per caso (111). La semplice prevalenza di una natura associativa
sui generis nella causa del contratto di prestazione sportiva potrebbe
essere una ragione valida per far richiedere una normativa ad
hoc (112) o, viceversa, per escludere che si possa parlare di vero e
proprio rapporto di lavoro in senso tecnico.
Problema di fondo resta, dunque, il rapporto dell’atleta pro-
fessionista di fatto con la società. Sembra difficile che, per il pro-
fessionista di fatto, possa parlarsi di rapporto di natura associativa
senza specificare, comunque, la particolarità di tale associazioni-
smo, dal momento che, nella maggior parte dei casi, ove le società
entrino a far parte delle dinamiche economiche, non può realizzar-
si coincidenza piena degli interessi tra atleti e società. Forse più ri-
spondente alla realtà potrebbe sembrare il ricorso a un rapporto di
tipo innominato, composto da associazionismo e subordinazione.
Traendo qualche provvisoria conclusione, quindi, il professio-
nista di fatto esercita l’attività sportiva in maniera continuativa e
dietro corresponsione di un compenso, variamente atteggiato, da
parte del sodalizio, in armonia con le regole federali. Tuttavia, ri-
mane il problema di come qualificare correttamente la percezione
di somme di danaro, così come quello di considerare le prestazioni
dell’atleta in termini di scambio con la società controparte o in ter-
mini di associazionismo, seppure sui generis.
Se si dovesse realizzare una prestazione in termini di scambio
(prestazione-retribuzione e/o compenso), si dovrebbe ricostruire
la vicenda in termini di lavoro e, quindi, si porrebbe il problema
sia del contrasto con le regole federali, sia della decisione circa la
disciplina giuslavoristica applicabile.
Sta in questo il nodo cruciale della questione.

(111) Per una sintesi delle posizioni vedi L. DI NELLA, La tutela della personalità del-
l’atleta, cit., p. 96, nota 72.
(112) Sulla improcrastinabilità di una riforma legislativa che consenta di accordare
tutela ai professionisti di fatto concordano in molti. Cfr. M.T. SPADAFORA, Diritto
del lavoro sportivo, cit., p. XIX.

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