Lo sport ha una portata internazionale e una valenza giuridica: anche lo sport ha acquisito un
valore giuridico, per questo si parla di diritto dello sport. Non è solo un fenomeno ludico, ma
ha valore di diritto, rilevanza giuridica.
La prima fase dell'importanza acquisita dallo sport parte dal fenomeno delle olimpiadi: nella
Roma antica, le olimpiadi erano un evento molto importante che si ripeteva ogni quadriennio.
Durarono fino al 393 d.C.
A questo punto, si sono verificati fenomeni di corruzione e forme di violenza fisica
particolarmente gravi che hanno portato, nel 393 d.C., all'abolizione del movimento olimpico e
dei giochi olimpici.
L'attuale fenomenologia del movimento sportivo deriva dal ripristino delle olimpiadi.
Il barone voleva ripristinare le olimpiadi a Parigi nel 1894 ma in quell'anno si riuscì soltanto ad
emanare la Carta Olimpica, il documento in cui sono racchiusi i principi fondamentali dello
svolgimento delle olimpiadi e del movimento olimpico (non è una legge). Le prime olimpiadi
moderne si svolsero ad Atene, nel 1896, in memoria delle precedenti edizioni. Questa è una
data importantissima perché determina un'evoluzione del mondo sportivo: l'organizzazione
richiedeva un soggetto unico in ambito mondiale che ogni quattro anni ne curasse
l'organizzazione. Nacque il CIO (comitato olimpico internazionale), il primo soggetto che si
occupò del movimento sportivo a livello internazionale, con il compito di organizzare tutte le
attività necessarie per l'organizzazione dei giochi olimpici. Il CIO non poteva lavorare da solo,
aveva bisogno di referenti nei vari stati che lo aiutassero a selezionare gli atleti. Vennero
previsti dei delegati del CIO con il compito della selezione degli atleti partecipanti ai giochi
olimpici (in Italia nacque il CONI) e consentire la loro partecipazione alle olimpiadi.
Alla fine dell'800 però lo sport è ancora un fenomeno elitario: in Italia solo poche persone
potevano permettersi di svolgere un'attività sportiva, avendo a che fare con altri problemi
legati alla sopravvivenza. Il CONI di allora era un ente temporaneo che veniva creato in
occasione delle olimpiadi e, alla fine delle stesse, veniva sciolto.
Lo sport assume maggiore rilevanza durante il fascismo, quando diventa uno strumento di
propaganda politica. Il CONI diventa un soggetto permanente, la cui esistenza non è limitata
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Diritto dello sport
allo svolgimento dei giochi olimpici, appendice del partito nazionale fascista (i rappresentanti
del CONI sono nominati dal partito nazionale fascista).
Nel 1942 il CONI viene valorizzato dallo Stato italiano, al tramonto della dittatura fascista,
come ente autonomo con la legge 426: il CONI acquista dignità giuridica venendo riconosciuto
dalla legge come ente esponenziale dello sport italiano, al vertice del movimento sportivo
nazionale.
Lo sport acquista sempre più valore giuridico. Vengono riconosciuti dei soggetti operanti in
ambito sportivo che presuppongono una regolamentazione, che siano riconosciuti da leggi,
norme, aventi dei componenti (degli organi) con determinate funzioni e potere normativo.
Lo sport ha delle regole così come il gioco ne ha (regole di gioco). Le regole previste in ambito
giuridico sono coercibili: se non vengono attuate spontaneamente ci sono delle sanzioni,
modalità vincolanti per fare attuare quelle norme. Le regole sono giuridiche quando è prevista
una sanzione per la loro inosservanza. Un altro elemento che le contraddistingue è il fatto di
essere vincolanti per la generalità delle persone.
In ambito sportivo ci sono sempre stati dei dubbi in questo caso: le regole sportive hanno
queste caratteristiche? Si può parlare di sport come ordinamento giuridico? L'ordinamento
giuridico ha necessariamente 3 elementi:
La legge 426, che ha riconosciuto l'indipendenza del CONI; all'articolo 5 attribuisce potere
normativo alle Federazioni, le quali acquisiscono il potere di emanare le norme. Il momento
fondamentale si è avuto con il passaggio dall'agonismo occasionale all'agonismo
programmatico. Si aveva agonismo occasionale quando le competizioni erano fenomeni
sporadici, episodici, vi erano singole discipline che si svolgevano occasionalmente. Si passò poi
all'agonismo programmatico in cui le competizioni venivano programmate: le gare della stessa
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Diritto dello sport
disciplina vennero collegate tra di loro, anche in diversi paesi, secondo un particolare
programma. Fu necessario prevedere delle regole certe, vincolanti e coercibili per poter
comparare i risultati.
Il presupposto è l'emanazione di regole certe e precise per tutte le gare delle competizioni a
livello internazionale. Le regole emanate dalle Federazioni nel passaggio dall'agonismo
occasionale all'agonismo programmatico rappresentano uno strumento di controllo che serve
ad accertare e comparare i risultati, delle regole che uniformano lo svolgimento della
disciplina. Questo ci consente di affermare che il fenomeno sportivo costituisce un
ordinamento sportivo.
La legge 280 del 2003 riconosce al movimento sportivo la natura di ordinamento: essa
stabilisce che l'ordinamento sportivo italiano dev'essere rispettoso dell'ordinamento statale e
dell'ordinamento sportivo internazionale. In Italia, il movimento sportivo è rappresentato dal
CONI, dalle Federazioni nazionali, dalle società, dalle associazioni e da tutte le persone fisiche.
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Diritto dello sport
Costituzionale ma anche i principi dettati dal CIO nella Carta Olimpica e le indicazioni delle
Federazioni sportive internazionali di riferimento.
Il CIO è il Comitato Olimpico Internazionale, fondato nel 1894 a Parigi da Pierre De Coubertin.
Attualmente ha sede a Losanna (Svizzera). Come le Federazioni sportive internazionali, il CIO è
una organizzazione non governativa (ONG), non è composta dai governi dei vari Stati ma
fondamentalmente da soggetti fisici. E' composto dai rappresentanti degli atleti dei vari Stati.
Non ha scopo di lucro: gli eventuali utili non vengono ripartiti tra i suoi componenti ma
devono essere reinvestiti nell'attività sportiva. Il fatto che abbia sede a Losanna comporta che
sia regolato dal diritto svizzero. I compiti fondamentali del CIO sono:
Al di sotto del CIO ci sono le Federazioni sportive internazionali. Anche queste ultime sono
organizzazioni non governative e hanno la funzione di rappresentare un singolo sport a livello
mondiale. Sono enti esponenziali di ciascuno sport a livello internazionale. A differenza del CIO
hanno le sedi in vari Stati del mondo e sono sottoposte alle leggi dello Stato in cui si trovano.
Hanno autonomia normativa: in particolare emanano uno statuto (l'atto che disciplina il
proprio funzionamento interno) e vari regolamenti (atti normativi con cui la Federazione
dis ipli a va i setto i o e il egola e to della giustizia, gio o, o ga i o… . Le o e dettate
dalla Federazione internazionale vincolano le Federazioni nazionali della stessa disciplina
perché, nel momento in cui una Federazione nazionale si affilia alla Federazione
internazionale, automaticamente accetta la normativa di quest'ultima. In caso contrario ci
sarebbero problemi nella comparazione dei risultati. A seconda dello Stato in cui la
Federazione internazionale ha sede, cambia la natura giuridica della Federazione: in alcuni
Stati potrebbe essere un ente pubblico, in altri potrebbe essere un ente privato, dipende dalla
legge di riferimento. L'ordinamento sportivo internazionale non ha bisogno di un
riconoscimento da parte di un ordinamento di ordine superiore.
Parlando di norme si fa riferimento alle fonti del diritto: in ambito sportivo, ma anche
nell'ordinamento italiano, si parla di attività normativa in riferimento alle fonti del diritto. Per
fonte del diritto si intendono gli atti normativi da cui promanano le regole giuridiche, atti che
introducono delle regole normative, che introducono il diritto. Occorre distinguere le fonti del
diritto in ambito sportivo. Siccome l'ordinamento sportivo è una parte dell'ordinamento dello
Stato italiano, per individuare le fonti del sistema sportivo bisogna considerare sia gli atti posti
in essere dai soggetti del mondo sportivo, sia gli atti normativi dello Stato italiano
(l'ordinamento sportivo non è autosufficiente). Occorre inoltre far riferimento anche agli atti
normativi che promanano dal CIO e dall'Unione Europea.
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Diritto dello sport
Il mondo sportivo italiano si dà delle proprie regole, norme emanate dal CONI e dalle
Federazioni. Al vertice troviamo il CONI, con potere normativo. Quest'ultimo emana uno
statuto o ui egola e ta la p op ia vita i te a o ga i, pote i, la giustizia spo tiva… , u
atto normativo che vincola tutti i soggetti del mondo sportivo italiano. Normalmente lo
statuto viene riformulato ogni 4 anni (ogni quadriennio olimpico). Nel 2014 è stato modificato
a seguito della riforma della giustizia sportiva. Poiché il CONI non rappresenta un singolo sport
ma tutto il movimento sportivo italiano, non emana atti normativi riferiti al singolo sport, ma
principi generali che valgono per tutte le discipline sportive. Gli atti normativi del CONI sono
principi generali, valevoli per tutte le Federazioni e per tutti gli sport, in particolare in materia
di giustizia sportiva (in quanto ogni Federazione ha un proprio sistema di giustizia sportiva,
organi, modalità di presentazione di ricorso, nella risoluzione delle controversie sportive). Per
evitare che la giustizia sportiva sia caotica (se ogni Federazione regolamentasse la risoluzione
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Diritto dello sport
delle controversie in modo totalmente diverso l'una dall'altra ci sarebbe il caos) il CONI detta
dei principi generali, rivolti a ciascuna Federazione sportiva. Altri principi generali riguardano
le clausole che devono essere contenute negli statuti delle Federazioni. Un altro atto emanato
dal CONI è il Codice di Comportamento Sportivo, una sorta di codice etico contenente
indicazioni di comportamento che devono rispettare tutti i tesserati, tutti i soggetti
appartenenti al mondo sportivo (come il dovere di correttezza, di fair play e comportamenti
più specifici, come il divieto di scommessa, di assumere sostanze dopanti). In caso di
violazione di queste regole, i soggetti sono sottoposti a sanzioni disciplinari.
Anche le Federazioni godono di autonomia normativa, ovvero del potere di emanare delle
proprie regole, di autoregolarsi. In ambito Federale abbiamo uno statuto (anche le Federazioni
hanno autonomia statutaria, il potere di darsi un proprio statuto) che disciplina il
funzionamento della vita interna alla Federazione (organi, requisiti per poter ricoprire cariche
fede ali… . Le Fede azio i ha o u a plu alità di egola e ti he dis ipli a o spe ifi i aspetti
dell'attività federale (regolamento organico, regolamento relativo ai tesseramenti e alle
affiliazioni, regolamento di giustizia sportiva, regolamento tecnico o di gioco). Specialmente il
regolamento tecnico e il regolamento organico non possono discostarsi troppo dalla
normativa della Federazione sportiva internazionale di riferimento.
Le fonti del diritto sportivo in ambito italiano sono costituite sia da fonti che promanano dallo
Stato (Costituzione, legge ordinaria, legge regionale) sia fonti emanate dall'ordinamento
sportivo (statuto del CONI, Codice di Comportamento Sportivo, principi generali del CONI,
attività normativa delle Federazioni quali statuto e regolamenti).
In ambito europeo si hanno fonti del diritto che vincolano il mondo sportivo nazionale, sotto
forma di Trattati, regolamenti e direttive. Il Trattato è un accordo che, per essere vincolante,
deve essere sottoscritto da tutti gli Stati. Sono gli Stati stessi che si accordano e stabiliscono il
contenuto del Trattato. In ambito sportivo si ricordano il Trattato di Roma (istitutivo della CEE)
e il Trattato di Lisbona (istitutivo dell'Unione Europea). Il primo detta dei principi fondamentali
quali la libera circolazione, non soltanto delle persone ma nella fattispecie dei lavoratori,
all'interno dei quali ritroviamo gli sportivi professionisti. Il Trattato di Lisbona è importante
perché ha attribuito per la prima volta all'Unione Europea competenze in ambito sportivo
(prima non era espressamente codificato). I regolamenti e le direttive vengono emanati dagli
organi dell'Unione Europea.
Infine si hanno gli atti normativi emanati dai soggetti dagli ordinamenti sportivi internazionali,
ovvero dal CIO e dalle Federazioni sportive internazionali. Per quanto riguarda il CIO, come il
CONI, emana dei principi generali riferibili al movimento olimpico. L'atto principale è la Carta
Olimpica, un atto negoziale che contiene i principi fondamentali di tutto il movimento
olimpico. A regolamentare l'attività sportiva concorrono le Federazioni sportive
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Diritto dello sport
internazionali.
In particolare, si ha l'emanazione di uno statuto e dei vari regolamenti che devono essere
recepiti dalle Federazioni sportive nazionali di riferimento. Gli atti normativi emanati dalle
Federazioni sportive internazionali sono direttamente vincolanti per le Federazioni sportive
nazionali di riferimento: questo per garantire una normativa omogenea finalizzata alla
comparazione dei risultati anche se il principio della vincolatività è da ricercarsi nella
cosiddetta autonomia negoziale dei contraenti. Quando una Federazione nazionale viene
costituita per rappresentare una determinata categoria sportiva, decide di affiliarsi alla
Federazione sportiva nazionale di riferimento. Nel momento in cui la Federazione sportiva
nazionale si affilia alla Federazione sportiva internazionale, accetta incondizionatamente tutte
le norme emanate da quest'ultima.
Il CONI
La data fondamentale è quella del 1896, con il ripristino le olimpiadi moderne; non interessa
direttamente il CONI ma è il momento in cui lo sport inizia ad avere una propria
organizzazione sul piano internazionale e nazionale. Il ripristino delle olimpiadi ha portato
all'istituzione del CIO; questo non poteva lavorare da solo, doveva avere dei referenti nei
singoli stati. Vennero creati i comitati nazionali tra cui il CONI, il comitato olimpico nazionale
italiano. Nel 1908 viene costituito di fatto il soggetto che rappresenta l'antecedente
dell'attuale CONI, il Comitato Italiano per le Olimpiadi che si differenzia da esso in quanto era
un ente temporaneo che veniva costituito in vista delle Olimpiadi per essere poi sciolto alla
fine delle stesse. Soltanto nel 1914 è stato costituito il CONI (al posto del Comitato Italiano per
le Olimpiadi), non più temporaneo ma stabile, composto dai rappresentanti di tutti gli sport
allora esistenti. La ragione va identificata nell'esigenza dello sport come strumento di
propaganda politica utilizzato dal regime fascista. Il CONI rappresentava tutti gli sport, anche
quelli non olimpici. Gli organi erano nominati direttamente dal partito nazionale fascista; ne è
pertanto una sua appendice. Acquista autonomia dallo stesso nel 1942 con la legge 426 che
istituisce e riconosce il CONI come ente esponenziale dello sport nazionale. La sua funzione è
quella di organizzare e potenziare lo sport a tutti i livelli e di combattere l'assunzione delle
sostanze dopanti, in linea ai principi dettati dal CIO. Nel 1942 il legislatore non aveva stabilito
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Diritto dello sport
la natura dell'ente, se fosse un ente pubblico o privato. La distinzione è molto importante in
quanto i soggetti pubblici sono regolati in modo molto diverso dai soggetti privati. L'ente
pubblico fa parte della pubblica amministrazione, che emana dei provvedimenti, atti
amministrativi espressione dell'autorità della pubblica amministrazione. I soggetti privati
invece prendono vita in seguito ad un contratto, ovvero da un accordo tra i soggetti
intenzionati a costituirlo (atto negoziale, diverso dal provvedimento amministrativo, atto
autoritario espressione del potere della pubblica amministrazione). La pubblica
amministrazione si costituisce con una legge, i soggetti privati (come ad esempio le società
sportive) sono costituiti per accordo, per contratto. La differenza si riflette poi sulla tutela
giuridica (intervento della giustizia amministrativa, rappresentata dal TAR, oppure intervento
del giudice ordinario, ovvero Tribunale, Corte di Appello e Cassazione). La maggioranza degli
interpreti affermano che il CONI sia da ritenere ente pubblico secondo alcuni indici:
• Il fatto che il CONI persegue fini pubblici (organizzare, potenziare e diffondere la pratica
sportiva), rivolto alla collettività;
• Il CONI riceveva finanziamenti statali ed era soggetto a controlli statali.
La natura pubblicistica del CONI è stata confermata dalla legge 242/1999 (decreto Melandri).
L'attuale fisionomia del CONI è risalente alla legge del 1999; successivamente ci sono state
delle leggi che hanno apportato modifiche al CONI, pur senza stravolgerne la fisionomia. Il
CONI è quindi un ente pubblico ed è definito come la confederazione delle Federazioni
sportive nazionali e discipline sportive associate che si deve conformare ai principi
dell'ordinamento sportivo internazionale. I compiti attribuiti al CONI dalla legge 242 s
più
specifici di quelli indicati nella legge del 1942, ovvero:
L'autonomia statutaria
Il CONI può dotarsi di un proprio statuto che viene adottato dal Consiglio Nazionale del CONI
su proposta della Giunta. Pur avendo un impianto normativo (riferimenti alle leggi 1942 e
1999), occorre uno statuto per integrare quanto previsto dalla legge, la quale non disciplina
tutti gli aspetti. In particolare, nello statuto troviamo tantissime norme, tra cui le cariche del
CONI, i requisiti per diventare presidente, le disposizioni in materia di giustizia sportiva nonché
l'organizzazione periferica.
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Diritto dello sport
Quali sono gli organi del CONI?
Il CONI è un soggetto giuridico (creato dal diritto, dalla legge statale), necessita di organi per
poter operare: occorre ricordare il presidente nazionale, il consiglio nazionale, la giunta
nazionale, il segretario generale e il collegio dei revisori dei conti. Questi organi durano in
carica quattro anni e possono essere rinnovati per 2 o più mandati. La durata della carica degli
organi è quadriennale per garantire la continuità da un olimpiade a quella successiva.
Il consiglio nazionale
La giunta nazionale
La giunta nazionale è l'organo esecutivo e di controllo, in quanto controlla che siano raggiunti i
risultati previsti dal CONI. Verifica il conseguimento dei risultati previsti dal CONI; in
particolare, ha una funzione di controllo sulle singole Federazioni sportive nazionali, ovvero
verifica che il patrimonio delle Federazioni sportive nazionali venga utilizzato per le finalità
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Diritto dello sport
istituzionali delle stesse, che non ci siano buchi di bilancio (vd. Malagò contro Barelli,
contenzioso per i buchi di bilancio nella FIN).
Il segretario generale
Tutti questi organi fanno riferimento alla sede centrale di Roma; la stessa struttura si ritrova
anche a livello regionale. In tutte le regioni c'è un comitato regionale del CONI. Fino alla
precedente presidenza (Petrucci) la stessa struttura si ritrovava anche a livello provinciale. Nel
2012, in ambito di spending review, si è optato per l'abolizione della struttura a livello
provinciale. Nel momento in cui è stato eletto il nuovo presidente, si è arrivati ad un sis
la
cui formula è il CONI Point: non c'è più un comitato provinciale del CONI (c'è solo a livello
nazionale e regionale), è solamente presente un delegato provinciale il quale non ha potere di
spesa (come i ministri senza portafoglio), mantenuto dal comitato regionale.
Intorno agli anni '2000, il CONI ha subito una profonda crisi economica che l'ha portato ad un
dissesto economico-finanziario (fosse stato un imprenditore si parlava di fallimento, ma
trattandosi di ente pubblico è improprio parlare di fallimento). Fino alla fine del novecento, il
CONI aveva il monopolio dei giochi a concorso (pronostici): tutti i proventi dei giochi a
concorso venivano percepiti dal CONI. Lo Stato toglie il monopolio dei giochi a concorso al
CONI e ne istituisce di nuovi (enalotto e simili) direttamente affidati allo Stato. Da un lato
priva il CONI del monopolio, dall'altro crea nuovi giochi a concorso affidati direttamente allo
Stato. Il CONI si vede privato di tutti i guadagni legati ai concorsi.
Questo determina una grave crisi economica per il CONI che rischia di non riuscire a portare
avanti le proprie attività. Per risollevare la situazione economica e finanziaria del CONI, gli
venne affiancata una società (CONI servizi S.P.A.). Grazie a questo intervento il CONI non
scompare. La società riuscì a risollevare il CONI accollandosi tutti i suoi mutui e le spese (tra
cui quelle per i dipendenti): tutti i dipendenti del CONI passano alle dipendenze della CONI
servizi S.P.A. Le azioni sottoscritte dalla CONI servizi S.P.A. sono possedute dal Ministero
dell'economia e delle finanze. Pur essendo una società per azioni, alcuni la ritengono una
società di tipo pubblico: formalmente, in quanto società per azioni, è un ente privato, nella
sostanza è un ente di diritto pubblico, nelle mani di un ministero.
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Diritto dello sport
Ogni anno il CONI eroga dei finanziamenti alle Federazioni sportive nazionali, agli enti di
promozione sportiva e alle discipline sportive associate. Poiché concede finanziamenti,
possiede un potere di verifica e di controllo (affidato alla giunta) dei bilanci degli enti
beneficiari dei finanziamenti. Nel caso in cui i bilanci presentino delle perdite o
comunque
delle gravi irregolarità, il CONI ha il potere di commissariare le Federazioni sportive nazionali,
gli enti di promozione sportiva e le DSA: al posto del presidente, viene nominato un
commissario straordinario che lo sostituisce. Nei casi più gravi, il CONI ha il potere di revocare
il riconoscimento alle Federazioni sportive nazionali.
Il potere di controllo del CONI sulle Federazioni si manifesta anche in altre attività in via
preventiva, ovvero verifica e approva gli statuti e i regolamenti delle Federazioni sportive
nazionali, delle DSA e degli enti di promozione sportiva, i quali non diventano efficaci e
vincolanti finché non vengono approvati dal CONI. Inoltre, effettua un controllo contabile più
circoscritto: il CONI può verificare esclusivamente il contributo concesso annualmente, il quale
deve essere effettivamente impiegato per le finalità per cui è stato concesso. Il contributo può
essere revocato o, nei casi più gravi, si può arrivare a negare il riconoscimento del contributo.
Nel nostro sistema piramidale, ad un livello sotto ordinato rispetto al CONI troviamo le
Federazioni sportive nazionali, gli enti esponenziali di uno sport olimpico in Italia. Queste
ultime hanno avuto riconoscimento dalla legge dello Stato 426/1942 (legge istitutiva del CONI)
che considerava le Federazioni sportive nazionali quali organi del CONI (ora questa definizione
non è più valida). Successivamente vennero riconosciute anche attraverso la legge 91/1981
(legge sul professionismo in Italia) la quale le definisce quali enti dotati di una propria
autonomia tecnica, organizzativa e di gestione. Nessuna di queste leggi però definiva la natura
giuridica delle Federazioni sportive nazionali: occorreva precisare se le Federazioni sportive
nazionali fossero enti pubblici o enti privati, differenza importante perché diversa è la
regolamentazione prevista nei due casi. C'erano varie teorie circa la natura giuridica: secondo
parte della dottrina e della giurisprudenza, le Federazioni erano enti pubblici perché la legge
426/1942 definiva le Federazioni sportive nazionali come organi del CONI. Siccome il CONI è
un ente pubblico, anche le Federazioni sportive nazionali, secondo questa teoria, sono enti
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Diritto dello sport
pubblici. Secondo altra parte della dottrina e della giurisprudenza invece, erano enti di natura
privata perché le Federazioni sportive nazionali sono composte da società e associazioni
sportive, soggetti privati. Il legislatore, con la legge 242/1999 (decreto Melandri), prende
posizione in merito alla natura giuridica delle Federazioni sportive nazionali e stabilisce che
queste ultime sono soggetti di diritto privato senza scopo di lucro (eventuali utili della
Federazione sportiva nazionale non possono essere ripartiti tra i componenti ma devono
essere reinvestiti). Le Federazioni sportive nazionali sono considerate soggetti di diritto
privato, non sono più considerati organi del CONI (gli organi sono elementi necessari e
imprescindibili per la persona giuridica, la quale altrimenti non potrebbe esistere). Le
Federazioni sportive nazionali non sono organi imprescindibili del CONI che, anche senza loro,
potrebbe esistere e operare lo stesso. Gli organi inoltre rappresentano la volontà dell'ente: nel
caso delle Federazioni sportive nazionali, questo non si verifica necessariamente in quanto la
loro volontà potrebbe divergere da quella del
possono essere considerate organi del CONI CONI. In senso tecnico, le Federazioni non
gestione. . Hanno autonomia normativa,
organizzativa e di Questa autonomia si esplica
nella emanazione delle carte federali (statuto e
regolamenti).
Nonostante siano dei soggetti di diritto privato presentano degli aspetti pubblicistici:
• la Federazione sportiva nazionale riceve dei contributi dal CONI (finanziamenti pubblici);
• la contabilità delle Federazioni sono soggette al controllo del CONI, che è un ente di
diritto pubblico.
Oltre alle Federazioni sportive nazionali ci sono altri enti che si collocano sullo stesso livello
della piramide del mondo sportivo. Abbiamo gli enti di promozione sportiva e le DSA, soggetti
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Diritto dello sport
riconosciuti dal CONI (a differenza delle leghe). Il loro riconoscimento è abbastanza recente ed
è avvenuto nel 1985; prima non erano considerati soggetti appartenenti al mondo del CONI. In
particolare, le DSA erano considerate alla stregua di attività ludiche in Italia (un esempio di
DSA è la Federazione Italiana Gioco Scacchi, Dama e Arrampicata Sportiva). Il mancato
riconoscimento va ricercato nel fatto che il CONI non riconosceva loro la dignità di sport. Con il
riconoscimento attuato nel 1985, il CONI si uniforma alla pratica internazionale secondo cui le
DSA sono a tutti gli effetti attività sportive.
Anche le DSA hanno autonomia normativa e sono riconosciute dal CONI, quindi disciplinate
nell'ambito del suo statuto. Volendo costituire una nuova DSA bisogna avere determinati
requisiti:
• E' necessario che l'ente pratichi la stessa disciplina sportiva anche a livello internazionale;
Occorre predisporre programmi di formazione e di aggiornamento dei tecnici.
Le DSA, come le Federazioni sportive nazionali, ricevono un contributo economico annuale dal
CONI e per questo sono soggette al suo controllo.
Un altro soggetto allo stesso livello delle Federazioni sportive nazionali è l'ente di promozione
sportiva. Riconosciute nel 1985 come le DSA, gli enti di promozione sportiva sono enti
pluridisciplinari (qualunque disciplina sportiva si può affiliare ad esempio alla UISP) che
raccolgono associazioni o società sportive di qualsiasi disciplina. A differenza delle Federazioni
e delle DSA, gli enti di promozione sportiva rappresentano più sport. Il loro scopo principale è
la divulgazione e la promozione dell'attività sportiva ad un target di utenti il più ampio
possibile. L'agonismo nelle competizioni è molto più limitato rispetto allo sport praticato nelle
Federazioni sportive e nelle DSA. Anche gli enti di promozione sportiva ricevono dei contributi
dal CONI, questo giustifica un controllo da parte di quest'ultimo dei bilanci. Gli enti di
promozione sportiva sono disciplinati dallo statuto del CONI. I requisiti affinché possa esistere
un ente di promozione sportiva sono:
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Diritto dello sport
• Presenza di associazioni o società affiliate in almeno 15 regioni italiane e in 70 province;
• L'ente di promozione sportiva deve aver svolto attività sportiva promozionale per almeno
3 anni;
Federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva e DSA sono enti al di sotto del CONI
ma allo stesso livello.
Altri soggetti giuridici sono le leghe: queste, a differenza degli enti sopra indicati, non sono
riconosciute né dal CONI né dal CIO. La lega non è un soggetto necessario, non è presente in
tutte le Federazioni. Ci può essere una Federazione senza lega ma non può esistere una lega
senza una Federazione: è un soggetto eventuale. Non essendo riconosciuta né dal CONI né dal
CIO non ci si può affiliare né tesserare alla lega, occorre una Federazione di riferimento.
Perché si costituisce una lega? La lega si crea per dare specificità allo sport. Nel caso della
Federazione Pugilato, esiste la lega nazionale professionisti.
Altro compito attribuito alla lega è quello di organizzare i campionati, stabilire le date, gli orari,
i criteri e le modalità per l'iscrizione. La lega inoltre è il soggetto, nell'ambito di sport
professionistici, incaricato della vendita dei diritti televisivi e della distribuzione del ricavato
alle società. Le leghe sono associazioni con propri organi e regolamenti interni e hanno il
potere di agire in rappresentanza delle società che le compongono.
Lo statuto è un atto normativo emanato dal CONI per disciplinare la propria vita interna.
Siccome il CONI rappresenta tutto lo sport italiano (ne è l'ente esponenziale), anche lo statuto
disciplina tutto lo sport italiano, oltre che i soggetti che fanno parte del CONI. L'ultimo
aggiornamento dello statuto c'è stato nel 2014, con la modifica della giustizia sportiva. Lo
sport italiano è regolato dallo statuto del CONI e dalle leggi italiane. Lo statuto definisce il
CONI come l'autorità volta a disciplinare, regolare e gestire l'attività sportiva sul territorio
nazionale, la quale rappresenta un elemento essenziale per la formazione fisica e morale
dell'individuo. Il CONI deve operare osservando il proprio statuto, la legge italiana e le
direttive del CIO (indicazione contenuta nella legge 242/1999).
La funzione del CONI è quella di presiedere l'attività sportiva a livello nazionale e, proprio per
questo, ha il potere di dettare dei principi e dei regolamenti per l'attività sportiva. I compiti
istituzionali del CONI sono disciplinare, regolare e gestire l'attività sportiva su tutto il territorio
nazionale. Le finalità sono:
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Diritto dello sport
• Prevenire e reprimere il fenomeno del doping; Diffondere la pratica sportiva in
ambito giovanile;
• Bilanciare la funzione economica dello sport con la funzione educativa e sociale (evitare
che la funzione economica distorca la funzione sociale ed educativa dello sport).
Per quanto riguarda la regolamentazione del CONI in quanto tale, lo statuto serve ad integrare
le previsioni legislative (le quali stabiliscono solo l'apparato a livello nazionale). E' lo statuto ad
esempio che prevede la durata quadriennale degli organi centrali del CONI. Inoltre, prevede le
cause di incompatibilità (ad esempio il presidente può rimanere in carica al massimo per due
mandati) e di ineleggibilità (aver riportato condanne penali o per doping) degli organi centrali,
così come i requisiti di eleggibilità (quadriennio olimpico). Regolamenta la struttura periferica
(regionale e provinciale -> CONI point). Infine, ribadisce i poteri di controllo del CONI: nello
statuto è previsto che la giunta nazionale del CONI sia competente a verificare il
raggiungimento dei risultati dettati dal CONI e viene attribuito alla giunta un potere di
controllo degli statuti e dei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, degli enti di
promozione sportive e delle DSA. La giunta verifica che gli statuti di questi soggetti rispettino i
principi generali dettati dal CONI, il quale ha potestà normativa. Tutti gli enti del mondo
sportivo italiano devono recepire i principi dettati dal CONI.
I soggetti fisici nell'ordinamento sportivo, tra gli altri, sono gli atleti, i tecnici e gli ufficiali di
gara.
Per quanto riguarda gli atleti è importante la distinzione tra l'atleta dilettante e l'atleta
professionista. In Italia c'è un criterio formale: è sportivo professionista quello che svolge
attività sportiva in modo continuativo e retribuito, purché sia tesserato in una delle sei
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Diritto dello sport
Federazioni sportive nazionali che hanno il settore professionistico. La definizione di dilettante
si ricava per esclusione: è dilettante lo sportivo non professionista. La dottrina e la
giurisprudenza hanno delimitato la categoria del dilettante, distinguendo dal dilettante puro il
professionista di fatto o (semiprofessionista). Questi ultimi sono soggetti che praticano sport
in modo continuativo, guadagnando cifre anche importanti che permettono loro di svolgere
unicamente l'attività sportiva ma non sono tesserati ad una delle sei Federazioni sportive
nazionali che prevedono il settore professionistico. Questo comporta la mancanza di un
contratto di lavoro sportivo ai sensi della legge 91/1981 e l'assenza di tutela previdenziale
(non vengono versati loro i contributi): giuridicamente l'atleta in questo caso è considerato
dilettante. Il soggetto fisico entra nel mondo sportivo attraverso l'atto del tesseramento:
questo può essere diretto (come nel caso degli arbitri, che si tesserano direttamente alla
Federazione) o indiretto (attraverso la società o l'associazione sportiva). Attraverso l'atto del
tesseramento si ottiene uno status, cui fa capo un insieme di diritti:
… e dove i:
• Rispettare le norme dettate dalle Federazioni nazionali (in linea con i principi dettati dalle
Federazioni internazionali), dal CONI e dal CIO;
• Rispettare il vincolo sportivo: riguarda soltanto i dilettanti e consiste nell'impossibilità di
tesserarsi contemporaneamente a due società della stessa disciplina sportiva;
• Osservare il vincolo di giustizia, che consiste nell'obbligo per i tesserati e gli affiliati di
devolvere la risoluzione delle controversie sportive ai giudici federali anziché ai giudici
statali. Se il tesserato dovesse rivolgersi direttamente al giudice statale, va incontro a
sanzioni da parte della Federazione (per violazione di un precetto federale).
Gli ufficiali di gara sono disciplinati ciascuno dalla propria Federazione di riferimento: questi
hanno compiti molto diversi a seconda dello sport (nel nuoto ci sono ufficiali di gara anche
molto diversi tra loro come i giudici e i cronometristi). Gli ufficiali di gara hanno normalmente
un tesseramento diretto.
I tecnici (allenatori, istruttori) hanno come riferimento la società, per cui il tesseramento è
indiretto.
La legge 242/1999 ha previsto che una percentuale di atleti e di tecnici sia necessariamente
eletta a far parte del consiglio e della giunta nazionale del CONI: questa è necessaria per
garantire il principio di democraticità.
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Diritto dello sport
I sodalizi sportivi: società e associazioni sportive.
Nell'accezione comune sono utilizzate come sinonimo, ma nella realtà sono figure
completamente diverse. Parlando di associazioni in genere ci si riferisce agli articoli dal 14 al
42 del Codice Civile. Parlando di associazioni sportive ci si riferisce alla legge speciale che
disciplina l'associazionismo sportivo 289/2002, articolo numero 90, comma 18.
Il confine dello sport dilettantistico si ricava per difetto: sono attività sportive dilettantistiche
tutte quelle che non sono definite professionistiche dalla legge speciale (91/1981). Gli sport
che prevedono il settore professionistico sono il calcio (serie A, B, Lega pro), pallacanestro
(serie A), il ciclismo, il pugilato, il golf e gli sport equestri. Il motociclismo, pur avendo recepito
la disciplina per il settore professionistico, non l'ha ancora attuata. Pallavolo, rugby,
pallanuoto non prevedono il settore professionistico, pur muovendo ingenti quantità di
denaro. Per differenza, tutti gli sport che non hanno recepito la disciplina sportiva
professionistica sono considerati sport dilettantistici. La discriminante tra le due tipologie di
sport non è l'entità dei guadagni.
Il personal trainer è un professionista dello sport che offre il proprio servizio "alla persona"
dietro il pagamento di un corrispettivo (quindi con scopo di lucro). Un altro esempio di servizi
alla persona è dato dalle palestre.
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Diritto dello sport
Sono due realtà giuridicamente diverse e la diversità incide su tutto un insieme di procedure e
responsabilità. La formazione del sodalizio sportivo è semplice per le associazioni e diventa
molto più complessa per le società sportive. E' diversa la responsabilità degli amministratori
delle associazioni sportive rispetto a quelli delle società sportive. Sono diverse le modalità di
accesso ai trattamenti fiscali agevolati.
La differenza essenziale che esiste tra società e associazione è che, nella prima, due o più
persone si organizzano, apportando capitali, con lo scopo di ottenere un utile. Nel secondo
caso, lo scopo che si persegue non è economico, ma di natura ideale, senza la pretesa di un
ritorno di alcun tipo.
Con il contratto di società disciplinato dall'articolo 2247 c.c. due o più persone conferiscono
beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Il contratto plurilaterale è chiuso: non è possibile entrare a far parte della società così
facilmente come accade nelle associazioni. Per fare ciò è necessaria l'approvazione dei soci.
Ottenuto l'accordo dei soci, occorre modificare lo statuto della società attraverso l'atto
notarile. Il nuovo socio, per poter entrare in società, deve comunque acquistare le quote dagli
altri soci (che quindi possono o non possono essere disposti a venderle).
Essere associato di un circolo privato o associazione non significa limitarsi a ricevere la tessera
per partecipare all'attività sportiva: dal punto di vista giuridico la tessera indica l'adesione
successiva al contratto plurilaterale aperto a scopo ideale.
18
Diritto dello sport
L'associazione è formata da persone (gli associati); questa da prevalenza al valore della
persona, non al valore del capitale come succede nelle società di capitali, in cui l'importanza
della persona si riflette nell'importanza della quota di capitale sottoscritta. In una
associazione, caratterizzata da democraticità e da uniformità del rapporto associativo, tutti i
soci hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri nei confronti dell'associazione: l'ultimo entrato
nell'associazione ha gli stessi diritti dell'associato fondatore. Il patrimonio può esistere come
può non esistere. La liquidità con i quali gli associati sottoscrivono il contratto di associazione
compone il patrimonio dell'associazione. Lo scopo delle associazioni sportive è lo svolgimento
di attività sportiva dilettantistica, quell'attività sportiva riconosciuta dal CONI che la
Federazione sportiva di riferimento non ha qualificato come professionistica.
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Diritto dello sport
Ave e la pe so alità giu idi a… o o.
La quasi totalità delle associazioni sportive è sprovvista di personalità giuridica: a fronte della
maggiore tutela rappresentata dall'autonomia patrimoniale perfetta, la legge prevede dei
requisiti molto restrittivi per il riconoscimento giuridico.
Non basta avere un patrimonio: per ottenere il riconoscimento giuridico occorre seguire un
iter particolare per la costituzione dell'associazione.
Le società (art. 2247 c.c.) sono un contratto con il quale due o più persone conferiscono beni o
servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica con lo scopo di dividerne gli utili.
L'oggetto della società normalmente è in denaro, il cui insieme compone il capitale sociale
conferito dai soci, non necessariamente in parti uguali (diversamente dalle associazioni).
Possono inoltre essere conferiti dei servizi a fronte dell'approntamento di capitale. Il
conferimento di beni e servizi corrisponde al perseguimento dello scopo di natura economica
(scopo di lucro, a differenza delle associazioni il cui scopo è di natura ideale).
Esistono diversi tipi di società, ognuna delle quali viene disciplinata dal codice civile.
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Diritto dello sport
prevalentemente lavorativo e dove non si ha autonomia patrimoniale perfetta (per i debiti
delle società rispondono anche personalmente e illimitatamente tutti i soci,
indipendentemente dal fatto che abbiano agito in nome e per conto della stessa). Il creditore,
prima rifarsi sui soci, deve pretendere i soldi dalla società: solo se la società è incapiente può
rivalersi sul capitale dei soci. Nelle associazioni invece il creditore può rifarsi a suo piacimento
sulla società o sull'associato.
Nelle società di capitali invece la società ha autonomia patrimoniale perfetta (per i debiti della
società risponde solo la società con il suo patrimonio, come per le associazioni riconosciute o
con personalità giuridica). I terzi devono però avere delle tutele: viene previsto un capitale
so iale i i o ' € pe le so ietà pe azio i e ' € pe le so ietà a espo sa ilità
limitata), la tenuta delle scritture contabili e il deposito del registro di bilancio presso il
registro delle imprese.
Parlando di società sportive, queste possono assumere solo la natura di società di capitali o
cooperative; non esistono società di persone sportive. Nel professionismo (91/1981) non è
possibile che esistano società cooperative sportive professionistiche in quanto la cooperativa
non ha scopo di lucro ma scopo mutualistico (creare lavoro per i soci, creare possibilità di
p ezzi va taggiosi pe i so i… .
Altra caratteristica delle società è che queste sono contratti chiusi (a differenza
dell'associazione, contratto di natura aperta a cui può aderire chiunque). Nelle società
possono entrare dei nuovi soci ma solo se i vecchi soci lo acconsentono. L'aspirante nuovo
socio fa richiesta per entrare nel capitale sociale della società ai vecchi soci, i quali possono,
sotto il pagamento di un prezzo, accettare il suo ingresso. L'ingresso o l'uscita di un socio
comporta una variazione dello statuto, del contratto originario.
Nelle cooperative è prevista e garantita l'adesione successiva dei nuovi aspiranti soci.
E' necessario verificare tre fonti del diritto: il codice civile, l'articolo 90, comma 18 della legge
289/2002 (norma che disciplina le società e le associazioni sportive dilettantistiche) e i
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Diritto dello sport
regolamenti federali (alcune federazioni richiedono caratteristiche più specifiche per il
riconoscimento ai fini sportivi).
utti
coloro che entrano in contatto con il sodalizio sportivo che si tratta di una realtà sportiva
dilettantistica che può beneficiare di determinate agevolazioni;
• L'oggetto sociale: dev'essere chiaramente specificato che l'associazione o la società
svolge attività sportiva dilettantistica (pur non esistendo nell'ordinamento giuridico o
nell'ordinamento sportivo una definizione di attività sportiva dilettantistica) compresa
l'attività didattica. Occorre specificare il livello dilettantistico dell'attività, specificare
l'organizzazione di manifestazioni dilettantistiche e prevedere un'attività
didatticaformativa;
• Deve prevedere l'attribuzione della rappresentanza legale dell'associazione/società,
ovvero chi assume a livello di carica la rappresentanza legale (può indicare il presidente,
presidente e vicepresidente, tutti i consiglieri; nel caso delle polisportive può indicare il
presidente di ogni sezione sportiva);
• Deve essere previsto il divieto di distribuire anche in modo indiretto utili o avanzi di
gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione. La società
sportiva dilettantistica è una società speciale il cui scopo non può essere quello dell'utile,
altrimenti non potrebbe ricevere le agevolazioni fiscali. Il legislatore prevede anche il
divieto di distribuire l'utile in modo indiretto;
• L'ordinamento interno dev'essere ispirato ai principi di democrazia e di uguaglianza dei
diritti di tutti gli associati. Il socio fondatore non può pretendere di avere più diritti del
socio ultimo arrivato. Ogni socio ha il diritto, in sede di assemblea, di esprimere un voto.
E' obbligatorio prevedere l'elettività delle cariche sociali (dev'essere previsto l'elettorato
attivo e passivo a tutti i soci, purché maggiorenni). Non è possibile prevedere delle
cariche direttive di diritto. Lo statuto deve prevedere le modalità di convocazione
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Diritto dello sport
disposizione del fisco per i controlli. Le società sportive devono depositare il registro di
bilancio, approvato dall'assemblea dei soci, presso l'Agenzia delle Entrate;
• Deve prevedere le modalità di scioglimento dell'associazione/società;
• C'è l'obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio dell'ente in caso di scioglimento
della società o dell'associazione;
• Comma 18 bis: divieto per l'amministratore di una società sportiva dilettantistica o di
un'associazione sportiva dilettantistica di ricoprire la medesima carica in un'altra società
o associazione sportiva dilettantistica riconosciuta dal CONI nell'ambito della medesima
Federazione sportiva, disciplina sportiva associata o ente di promozione sportiva.
Il doping consiste in una varietà di condotte, tutte volte a migliorare la performance sportiva
dell'atleta, consistenti in varie attività: può consistere nell'assunzione, somministrazione o
utilizzo di sostanze farmacologicamente attive finalizzate o a migliorare la performance o a
occultare la precedente assunzione di sostanze dopanti. Ci sono vari tipi di sostanze dopanti
che possono essere assunte prima della competizione o durante la preparazione per ridurre la
fatica, la stanchezza fisica, l'ansia da prestazione, per migliorare l'apporto di ossigeno o per
aumentare la massa muscolare. In altri casi, il doping consiste in pratiche mediche (al di fuori
di esigenze di salute) come ad esempio le auto emotrasfusioni. Un'altra fattispecie di doping si
ha nel caso in cui l'assunzione di sostanze vietate è finalizzata non direttamente a migliorare il
rendimento quanto piuttosto ad occultare la precedente assunzione di sostanze dopanti
(come accade con i diuretici).
Tutte queste condotte configurabili come doping possono costituire illecito disciplinare e
reato. L'illecito disciplinare è qualsiasi comportamento che contrasta con la normativa
federale. Il reato invece presuppone il mancato rispetto del codice penale. Commettere un
reato significa tenere un comportamento gravissimo, punito con una sanzione penale che può
essere l'arresto, la reclusione, l'ammenda o nei casi più gravi l'ergastolo. I reati, nel nostro
ordinamento giuridico, sono tutti tipici (tipicizzati): il legislatore ha previsto tutti i
comportamenti che possono costituire un reato. Si può essere puniti per la commissione di un
reato solo se il comportamento è riconducibile ad una norma di legge; non si può essere puniti
per reato se non c'è la previsione normativa del comportamento messo in essere. L'illecito
civile invece è atipico. Per il riconoscimento del reato è necessario anche che sussista
l'elemento soggettivo: la punibilità dei reati presuppone che la condotta vietata sia descritta
dal legislatore e deve comunque essere sorretta o dall'intenzionalità (dolo) oppure dalla colpa
(imprudenza, imperizia o negligenza).
Il doping è punito come illecito disciplinare perché rappresenta una violazione di norme
federali e di norme sportive. Tutte le federazioni puniscono l'assunzione di sostanze dopan
23
Diritto dello sport
il
doping costituisce un illecito disciplinare in tutto il mondo. Il CONI vieta e sanziona
l'assunzione di sostanze dopanti attraverso l'emanazione delle norme sportive antidoping, un
insieme di regole che mirano a vietare (preventivamente) e sanzionare (consecutivamente)
l'assunzione di sostanze farmacologicamente attive. Le norme sportive antidoping sono
emanate dal CONI in linea con quanto disposto nell'ambito della Carta Olimpica (emanata dal
CIO) e dalla WADA (world antidoping agency) che ogni anno aggiorna la lista delle sostanze
vietate. L'agenzia mondiale antidoping ha sede a Losanna: il suo carattere internazionale
vincola tutti gli Stati al rispetto delle regole dettate dalla medesima (e dal CIO). Nessuno Stato
consente il consumo di sostanze dopanti: questo per tutelare la competizione ad armi pari, per
evitare che vengano alterati i risultati. L'oggetto tutelato dalle sanzioni previste in ambito
sportivo è la parità nelle competizioni, la garanzia di gareggiare ad armi pari.
Oltre ad avere valenza disciplinare, in alcuni casi il doping configura reato. In tutte le situazioni
di positività c'è illecito disciplinare ma non opportunamente reato. L'assunzione di sostanze
dopanti configura un reato soltanto quando sussiste l'elemento soggettivo e la condotta è
espressamente prevista dalla legge. In ambito penale non è ammessa la responsabilità
oggettiva. Un atleta può essere punito solo se sussiste dolo (intenzionalità). La finalità della
legge sul doping è quella di tutelare la salute degli atleti. La legge in questione è la numero
376/2000. In altri Stati la legge non punisce il doping; si configura solo l'illecito disciplinare.
L'atleta può essere punito per la commissione del reato di doping solo se viene dimostrato il
dolo, ovvero che l'assunzione delle sostanze è stata intenzionale (la sola colpa non è
sufficiente): in particolare si parla di dolo specifico. Può essere punito per reato di doping
l'atleta che ha assunto le sostanze dopanti al fine di migliorare la propria prestazione (è
necessaria la dimostrazione, con un certificato medico, della necessità dell'assunzione di
quelle determinate sostanze per essere scagionati dalla condanna di reato).
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Diritto dello sport
La lotta al doping avviene a livello internazionale. Una intensa attività antidoping iniziò dopo le
Olimpiadi di Seul (1988) quando il CIO ha sancito nella Carta Olimpica la necessità di una lotta
contro il doping a livello mondiale. Si è assistito ad una sensibilizzazione delle Federazioni
sportive che si sono attrezzate a combattere il doping definendo in modo uniforme e
congiunto quali fossero le condotte vietate e le procedure per i controlli antidoping.
Successivamente si è mosso nello stesso senso anche il Consiglio dell'UE: nel 1989 venne
emanata la convenzione di Strasburgo, recepita in Italia nel 1995 con la legge numero 522.
Fino al 1995 in Italia c'era un solo riferimento normativo che veniva utilizzato in materia di
sostanze dopanti: la legge 401/1989 puniva il compimento di atti fraudolenti (atti vietati,
commessi in modo artificioso, con raggiri) per raggiungere un risultato diverso da quello che
sarebbe derivato da un corretto e leale svolgimento della gara. Con la convenzione di
Strasburgo, gli Stati contraenti furono vincolati ad attuare un'azione congiunta per contrastare
il doping a livello europeo, adottando delle misure per sanzionare l'utilizzo dei metodi vietati.
Tutti gli Stati si sono impegnati ad erogare sovvenzioni pubbliche soltanto agli enti che si
uniformassero alla normativa antidoping. Gli Stati contraenti si sono impegnati nella
realizzazione di campagne di informazione sui rischi sulla salute derivanti dall'utilizzo di
sostanze dopanti. Venne previsto anche il rafforzamento delle strutture per i controlli
antidoping, con parallelo incremento delle sanzioni.
Il CIO vieta e punisce l'utilizzo non di singole sostanze, ma di classi di sostanze (così come la
WADA); le singole sostanze sono elencate solo a titolo esemplificativo. Questo per evitare di
aggiornare frequentemente la lista delle sostanze vietate: se vengono trovate delle nuove
sostanze non è necessario aggiornare l'elenco dei farmaci vietati.
Nel 2007 è stata ratificata in Italia la convenzione dell'UNESCU adottata a Parigi nel 2005
avente ad oggetto la prevenzione e la lotta del doping nello sport. Questa convenzione ha
come obiettivo il potenziamento della cooperazione internazionale nella lotta al doping;
vengono elaborati dei codici deontologici di condotta contro il doping, stimolando la ricerca e
tutte le attività volte alla sua repressione in ambito europeo.
Il processo disciplinare si svolge dinnanzi agli organi sportivi, secondo le regole del mondo
sportivo. Il procedimento per accertare una fattispecie di doping come valevole di reato si
svolge dinnanzi la giustizia ordinaria. Il procedimento disciplinare potrebbe chiudersi con la
condanna dell'atleta mentre il procedimento penale può anche essere archiviato (mentre non
può avvenire il contrario). La valenza dell'illecito disciplinare è estesa a livello mondiale. La
tenuta di comportamenti illeciti in ambito doping non sussiste necessariamente reato. In Italia,
la legge sul doping risale al 2000 (legge 376). In assenza di una normativa statale in materia di
doping, alcuni giudici riconducevano l'intervento contro comportamenti in ambito doping alla
legge 401/1989.
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Diritto dello sport
La legge 1099/1971 riguarda la tutela sanitaria in ambito sportivo: questo fu il primo tentativo
legislativo per contrastare il fenomeno del doping. Con questa legge veniva sanzionato il
rifiuto di sottoporsi al controllo antidoping (unica condotta vietata), prima o dopo la gara, con
una ammenda (sanzione inflitta nel caso di commissione di un reato). Nel 1981 alcuni reati
meno gravi vennero depenalizzati (sottratti all'ambito penalistico), rientrando nella categoria
degli illeciti amministrativi. Tra questi comportamenti depenalizzati rientrava anche la
previsione in materia di doping (il rifiuto di sottoporsi ai controlli antidoping). Il legislatore ha
reputato opportuno introdurre una legge nazionale che puniva il doping come reato (il quale,
essendo tipico, deve essere espressamente previsto dalla legge). La legge di riferimento è la
legge 376/2000 del 14 dicembre: questa legge ha introdotto il reato di doping che può
manifestarsi in una pluralità di condotte. Il bene tutelato è la salute individuale e collettiva. La
legge mira alla prevenzione dei danni da parte del doping (tutela anticipata); il danno alla
salute derivante dalle condotte punibili risulta una aggravante. All'articolo 1, la legge chiarisce
espressamente che l'attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e
collettiva. La legge definisce il doping come la somministrazione, l'assunzione di farmaci o di
sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, l'adozione o la sottoposizione a
pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche finalizzate e idonee a modificare le
condizioni psicofisiche e le prestazioni agonistiche degli atleti. L'autoemotrasfusione è una
delle pratiche mediche vietate dalla legge antidoping che spesso non è giustificata da
condizioni mediche.
Nel caso di condizioni patologiche dell'atleta (caso in cui sussiste la necessità di assumere le
sostanze considerate dopanti) non può essere impedita l'assunzione della sostanza dopante;
non si può prescindere dalla salute. C'è un rapporto di equilibrio tra l'esigenza di prevenzione
del doping e la tutela della salute dell'atleta: se l'atleta necessita di determinate sostanze o
trattamenti è necessario che le condizioni di salute siano documentate dal medico, il quale
certifica sia le condizioni patologiche dell'atleta sia il bisogno dell'atleta dei farmaci.
Quest'ultimo ha l'obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti i documenti della
diagnosi medica. Il CONI richiede che, oltre ad un certificato attestante le condizioni
patologiche e indicante il piano terapeutico specifico dell'atleta, questo debba avere la
cosiddetta TUE, l'autorizzazione di esenzione a fini terapeutici: solo in questo caso l'atleta può
assumere la sostanza discriminata senza incorrere in sanzioni. L'autorizzazione viene chiesta al
CEFT (comitato per l'esenzione a fini terapeutici) e viene concessa al termine di un iter
rigoroso. Il solo possesso del certificato medico aiuta l'atleta ad evitare di incorrere nella
commissione del reato, ma non lo scagiona per il caso di illecito disciplinare in quanto
necessita dell'autorizzazione del CEFT.
La legge del 2000 ha introdotto un organismo prima inesistente: all'articolo 3 viene prevista
l'istituzione della commissione per la vigilanza e per il controllo sul doping e per la tutela della
salute nelle attività sportive. Questo organismo è istituito presso il ministero della sanità ed ha
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Diritto dello sport
una composizione molto eterogenea; in particolare è composto da rappresentanti del mondo
sportivo, dell'ambiente medico e dei ministeri. I compiti della commissione sono:
Un altro articolo importante della legge 376/2000 è l'articolo 6: questo prevede che il CONI, le
Federazioni, le società e le associazioni sportive devono adeguare i regolamenti alle
disposizioni della suddetta legge, prevedendo in particolare le sanzioni e le procedure
disciplinari per i tesserati che risultino positivi o che rifiutino di sottoporsi ai controlli. Il CONI,
in attuazione all'articolo 6 della legge 376/2000, ha emanato un proprio regolamento che
vincola tutte le Federazioni sportive nazionali e stabilisce quali sono gli organi competenti in
materia di doping e quali sono i procedimenti che devono essere seguiti per effettuare i
controlli. Gli organi competenti in materia di doping sono organi del CONI e sono il CEFT
(comitato per l'esenzione a fini terapeutici) e l'ufficio di procura antidoping (con funzione
ispettiva, svolge le indagini e formula l'accusa in giudizio). Qualunque condotta legata al
doping viene accertata dall'ufficio di procura antidoping che inizia a svolgere le proprie
indagini nel momento in cui gli viene comunicata la positività di un atleta. I controlli possono
essere svolti dalla commissione per la vigilanza e controllo sul doping (nel caso di competizioni
che non sono organizzate dalle Federazioni e che non hanno valenza nazionale) o dal CONI,
ovviamente a sorpresa. Se l'atleta risulta positivo ai controlli viene sospeso in via cautelare
finché non si conclude il giudizio; potenzialmente potrebbe aver alterato i risultati. L'atleta
può chiedere delle controanalisi per verificare la positività. Se l'atleta risulta positivo anche in
seguito alle controanalisi, la procura rinvia a giudizio. Esiste la possibilità che la procura
prosciolga l'atleta che dimostri di essere stato autorizzato con TUE. Se l'imputato non si
presenta davanti alla procura per spiegare la propria posizione viene sospeso. Se invece
collabora a procedimento disciplinare attivato (agevolando l'attività dei giudici sportivi), ha
diritto allo sconto di pena fino ad un terzo. Il procedimento è tenuto davanti al tribunale
nazionale antidoping. Questo ha due sezioni: la prima è per i giudizi in primo grado relativi alle
violazioni meno gravi (accertamenti compiuti dalla commissione per la vigilanza e per il
controllo sul doping) e per procedimenti di rilevanza nazionale, la seconda come organo di
appello per i procedimenti passati in prima sezione (come secondo grado di giudizio) e per i
procedimenti di rilevanza internazionale.
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Diritto dello sport
Il reato venne previsto in un primo momento con legge del 1971 che puniva soltanto il rifiuto
di sottoporsi ai controlli antidoping (questo veniva punito con una sanzione minima, con una
contravvenzione -> ammenda). Il reato è stato depenalizzato nel 1981 ad illecito
amministrativo. Con la legge 376/2000, il legislatore ha ritenuto opportuno reintrodurre la
fattispecie di reato, seppure esso preveda un maggior numero di condotte criminose rispetto
alla prima tipologia di reato prevista nel 1971. In particolare, l'articolo 9 elenca quali sono le
fattispecie che possono costituire reato di doping. Anzitutto viene prevista una clausola
("salvo che il fatto costituisca un più grave reato") che prevede la disciplina alternativa
soltanto quando queste condotte sono fini a se stesse, che non producano danni più gravi.
Questa disciplina trova applicazione soltanto quando non ci sono conseguenze più gravi
dall'assunzione di sostanze dopanti (il reato di doping è residuale). Il doping è un delitto, non
una contravvenzione.
Quali sono le condotte che costituiscono reato di doping (sempre purché non sussista un reato
più grave)?
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Diritto dello sport
causa di condizioni patologiche e che siano assunte al fine di modificare (migliorare) la
performance dell'atleta;
• Adottare o sottoporsi a pratiche mediche vietate (non giustificate da condizioni
patologiche dell'atleta) per migliorare le prestazioni o per modificare (occultare) il
risultato dei controlli antidoping.
• Quando c'è un danno per la salute dell'atleta. La legge ha come obiettivo la tutela della
salute degli atleti e della collettività: se, a maggior ragione, si verifica un danno per la
salute, il reato è ancora più grave;
• Quando il reato è commesso nei confronti di un minorenne;
• Quando il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI, ovvero di
una Federazione sportiva nazionale, di una società, un'associazione o da un ente
riconosciuto dal CONI. I componenti del CONI o del mondo dello sport dovrebbero lottare
per debellare il fenomeno del doping, non incentivarlo.
Un'altra ipotesi di reato sempre prevista dall'articolo 9, ultimo comma, legge 376/2000 non
riguarda gli atleti ma i commercianti di sostanze dopanti: questa è un ipotesi di reato ancora
più grave (infatti la reclusione prevista va da 2 a 6 anni e la multa da 10 milioni a 150 milioni di
lire, mentre per i componenti del mondo sportivo la pena va da 3 mesi a 3 anni di reclusione e
la sanzione è da 5 milioni a 100 milioni di lire) perché è potenzialmente dannoso per più
persone; il commercio, oltretutto illegale, può raggiungere un numero potenzialmente
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Diritto dello sport
illimitato di persone. Il pericolo per la salute pubblica è maggiore. Non è necessario che il
commercio necessariamente si realizzi ma è sufficiente che la persona condannata per questo
reato abbia posto in essere una attività continuativa organizzata sul territorio (non è
necessario che venda effettivamente sostanze dopanti ma è necessario che egli si sia
organizzato per farlo). Questo reato si chiama "reato di pericolo" (per il "reato di danno" si
deve dimostrare che il soggetto abbia effettivamente venduto le sostanze dopanti): il
legislatore punisce un comportamento anche se non si è dimostrato lesivo, prevenendo il
danno.
Anche l'UE è competente a far osservare le regole antidoping: si possono verificare dei danni
potenzialmente molto pregiudizievoli per gli atleti in quanto può essere danneggiata
l'immagine (danno economico) a seguito di una squalifica per doping. Le regole antidoping
possono essere contestate ai sensi dell'articolo 3 del Trattato istitutivo dell'Unione Europea
che riguarda la libera circolazione dei servizi e la rilevanza del diritto comunitario sulle regole
sulla concorrenza.
La violazione della normativa in materia di doping può essere contestata ai sensi dell'articolo
3?
Lo sport rileva come attività economica (specificità dello sport: anche quando l'attività ha
valore economico, presenta delle caratteristiche particolari e peculiari che la differenziano
rispetto alle altre attività economiche e di impresa). Alcuni principi dell'UE si applicano anche
al mondo sportivo ma è necessario tener conto delle caratteristiche dello sport che non la
qualificano come una qualunque attività economica (ci sono finalità educative, ci sono principi
o e il fai play… . O o e o side a e la p ese za ello spo t di u a o ativa te i a
estranea all'attività economica. Per quanto riguarda il doping, si tratta di una normativa che
viene adottata in ambito sportivo per evitare l'alterazione dei risultati: questa però può avere
dei riflessi sull'attività economica. La normativa antidoping è sottratta all'intervento dell'UE
finché il suo intervento sia limitato alla lotta antidoping: quando le sanzioni in materia di
doping non hanno come finalità quella di restringere la concorrenza, allora è precluso
l'intervento dell'UE (quindi per quanto riguarda l'aspetto meramente sportivo). Diventa
interesse dell'UE quando la normativa antidoping ha come obiettivo quello di alterare la
concorrenza.
30
Diritto dello sport
pubblico, dovute sia alla sicurezza nei luoghi in cui si svolge la competizione (buche sulla
strada durante una gara di ciclismo) sia per la mancata segnalazione della competizione stessa
(se la stessa gara non venisse comunicata agli utenti stradali). Si può costituire un pericolo per
l'ordine pubblico dal comportamento tifosi facinorosi.
Dal punto di vista della giustizia sportiva, le Federazioni prevedono delle sanzioni per le società
nei casi in cui ci siano pericoli per l'ordine pubblico (le Federazioni godono di autonomia in
ambito di giustizia sportiva): tutte le Federazioni prevedono il principio della responsabilità
oggettiva della società sportiva per l'opera dei propri tifosi. C'è una responsabilità oggettiva a
carico della società per il comportamento dei tifosi, la quale risponde anche nel caso in cui non
si verificano dei danni (quindi anche solo per il turbamento dell'ordine pubblico) e
indipendentemente dal dolo o dalla colpa. Ci saranno provvedimenti disciplinari (sanzioni) che
il giudice sportivo, al momento dell'omologazione dei risultati delle partite, letto il referto
dell'arbitro, infligge alle società sportive.
Quando le competizioni si svolgono in un luogo pubblico (come ad esempio una gara podistica
o ciclistica su strada) è necessario chiedere l'autorizzazione ad una autorità di pubblica
sicurezza: se si tratta di una competizione sportiva che si svolge in un solo comune, dev'essere
chiesta l'autorizzazione per lo svolgimento della gara al sindaco del comune dove essa si
svolge. Se invece si svolge nell'ambito di più comuni, l'autorizzazione dev'essere chiesta alla
regione. Quando la gara è su strada, il sindaco o la regione dà l'autorizzazione allo svolgimento
della gara purché vi sia una adeguata polizza assicurativa (l'organizzatore può incorrere nella
responsabilità civile nel caso in cui non ha fatto tutto il possibile per evitare di incorrere in
danni; l'assicurazione copre le conseguenze economiche relative alla sua attività) stipulata
dall'organizzatore per gli incidenti che si possono verificare. La presenza della polizza
assicurativa è richiesta per la tutela sia dei partecipanti alla gara sia del pubblico.
Per altre competizioni che prevedono il contenimento per gli spettatori, la squadra che ospita
(la squadra di casa) la partita deve comunicare all'inizio del campionato tutte le partite che si
svolgeranno presso la propria struttura all'autorità di pubblica sicurezza, la quale dispiega la
forza pubblica. Anche in assenza di forze pubbliche occorre dimostrare l'avvenuta
comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza, pena il provvedimento disciplinare.
Oltre a queste autorizzazioni, il legislatore è intervenuto con delle leggi per tutelare i
partecipanti alle competizioni sportive nei casi in cui ci siano episodi di violenza che mettono
in pericolo l'ordine pubblico. La responsabilità non è limitata alla società sportiva. Il legislatore
ha disciplinato le conseguenze per i casi in cui si verifichino episodi di violenza durante le
manifestazioni sportive: in questo caso, il questore è competente a infliggere determinate
sanzioni. Si parla di manifestazioni sportive e non più di competizioni agonistiche, l'ambito è
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Diritto dello sport
maggiore: qualunque manifestazione sportiva legittima l'intervento della forza pubblica. Il
legislatore ha previsto che il questore ha il diritto di assistere alle manifestazioni sportive ed è
anche il soggetto legittimato ad infliggere le sanzioni nel caso in cui si verifichino episodi di
turbativa dell'ordine pubblico. Questo può ordinare due misure:
Il questore può infliggere le sanzioni ai soggetti che sono stati condannati (misura successiva)
o denunciati per aver partecipato ad episodi di violenza durante le competizioni sportive.
Questi provvedimenti possono essere inflitti anche ai soggetti che hanno istigato o incitato
altri alla violenza, nei confronti di soggetti che hanno lanciato corpi contundenti o oggetti
pericolosi contro altre persone durante le manifestazioni sportive e, infine, a chi ha indossato
caschi protettivi (vietati durante le manifestazioni sportive perché non consentono il
riconoscimento facciale delle persone).
Il divieto di accesso è una misura che limita il diritto di circolazione (la libertà), garantito
dall'articolo 16 della Costituzione. Questa libertà può essere limitata solo per esigenze di
giustizia; l'obbligo di firma o il divieto di accesso dev'essere sottoscritto dal giudice. Se il
soggetto viola l'obbligo di presentarsi in caserma può essere arrestato. Anche l'arresto viene
giustificato per esigenze di giustizia e per garantire l'ordine pubblico. Questo può essere
effettuato in flagranza diretta o differita (non viene colto sul fatto di persona ma viene
individuato da strumenti di videosorveglianza entro 48 ore da quando ha commesso il fatto).
La tessera del tifoso è uno strumento di fidelizzazione tra la squadra sportiva e gli atleti.
Questa viene rilasciata dalla società sportiva di appartenenza in seguito al nulla osta del
questore (colui che si occupa di controllare l'ordine pubblico). Il tifoso interessato ad ottenere
la tessera fa domanda alla società, dimostrando di non aver avuto daspo e condanne collegate
allo sport negli ultimi 5 anni. La tessera del tifoso serve ad identificare il soggetto come tifoso
corretto e non pericoloso. Inoltre, garantisce determinati dei privilegi (sconto sull'acquisto dei
biglietti, non può essere oggetto di limitazione della libertà personale).
La contrattualistica sportiva
Il contratto, nel nostro ordinamento, è l'accordo tra due o più parti per regolare, costituire ed
estinguere dei rapporti giuridici. Affinché vi sia il contratto è necessario l'accordo tra due o più
parti (se c'è una sola parte non si parla di contratto ma di negozio giuridico) che si accordino
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Diritto dello sport
tra di loro per un qualcosa, rappresentato dalla costituzione, regolazione o estinzione di un
rapporto giuridico. Sono necessari alcuni elementi (pena la nullità):
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Diritto dello sport
sponsee e quest'ultimo ha l'obbligo di veicolare l'immagine dello sponsor). Anche il contratto
di sponsorizzazione sportiva, riguardando lo sport, è meritevole di tutela perché attraverso il
contratto di sponsorizzazione si va a sviluppare l'attività sportiva, attività attraverso la quale si
va a valorizzare la persona. E' prevista anche la sponsorizzazione tecnica nel caso in cui la
prestazione dello sponsor è quella di fornire l'attrezzatura tecnica allo sportivo.
Lo sponsor può essere di diversi tipi: può essere unico (generalmente per squadre locali e di
piccole dimensioni) oppure si può costituire un pool di sponsor. In questo ultimo caso, ci sono
diverse imprese tra le quali individuare uno sponsor principale (il main sponsor, il maggior
finanziatore della squadra) il quale ottiene in cambio una maggiore visibilità pubblicitaria
(come ad esempio il logo nell'abbigliamento dell'atleta o sui biglietti venduti ai tifosi). I
regolamenti delle singole Federazioni vanno a disciplinare in maniera minuziosa il
posizionamento dei nomi o dei loghi degli sponsor e le dimensioni che questi possono avere
sull'abbigliamento dello sponsee. Non si può essere main sponsor di più squadre partecipanti
allo stesso campionato. Un'altra possibilità che può derivare dal contratto di sponsorizzazione
è quella di sostituire il nome della società sportiva con quello dell'impresa che sponsorizza;
questa ipotesi viene definita tecnicamente abbinamento ed è la possibilità data al main
sponsor di sostituire il nome della società sportiva con quello proprio.
Lo sponsor secondario va ad affiancare lo sponsor principale con una visibilità più ridotta
(solitamente è il fornitore ufficiale). A favore del fornitore ufficiale viene garantita una
esclusiva di fornitura e viene prevista la possibilità da parte dell'azienda di poter veicolare il
proprio nome apponendo la partnership sul prodotto (come avviene per la Nutella o la
Gillette). Lo sponsor ha la possibilità di menzionare la partnership sulla base di un accordo di
licenza (possibilità di menzionare ed utilizzare le credenziali della società sportiva). Con il
fornitore ufficiale si fa riferimento a beni o servizi che possono essere usati al di fuori
dell'attività sportiva. Facendo riferimento a beni che vengono utilizzati nella pratica sportiva, si
parla di sponsorizzazione tecnica. Lo sponsor tecnico è quel soggetto che produce e fornisce
alla squadra i materiali tecnici o l'attrezzatura necessaria per lo svolgimento dell'attività
sportiva, confidando nel ritorno di notorietà che deriva dalla diffusione di quel marchio tra gli
appassionati di quel determinato sport. Lo sponsor tecnico ha la piena responsabilità nel caso
in cui dovesse fornire del materiale difettoso. Da parte sua, il soggetto sponsorizzato si obbliga
all'utilizzo di quei prodotti e a non denigrarli. Il ritorno pubblicitario sta nel fatto che nel tifoso
si viene a creare una dipendenza psicologica per il prodotto indossato o utilizzato dalla sua
squadra del cuore o dal suo atleta preferito.
La regola in generale vieta la sponsorizzazione multipla per prodotti incompatibili tra loro: in
questo caso prevale il contratto di sponsorizzazione stipulato in epoca anteriore, salvo il
risarcimento del danno. Esiste un compromesso: si può far utilizzare al giocatore (membro
di
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Diritto dello sport
una squadra che ha sottoscritto un contratto di sponsorizzazione con la società X)
l'abbigliamento tecnico o l'attrezzatura di cui è testimonial (sponsorizza un'impresa
concorrente alla società X) sostenendo che durante lo svolgimento della partita il singolo
spettatore non noti il particolare durante le azioni di gioco e che l'abbigliamento tecnico è
necessario all'atleta per esprimere al massimo il proprio rendimento.
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Diritto dello sport
sportivo specifico ma alla veicolazione dell'immagine dello sponsor.
Nel caso di un provvedimento della giustizia sportiva nei confronti dello sponsee
(provvedimento disciplinare per la persona fisica, retrocessione ad esempio per una
associazione o società sportiva), vi è la possibilità da parte dello sponsor ad avere una
legittimazione di impugnare davanti agli organi della Federazione un provvedimento
sanzionatorio; lo sponsor può essere legittimato ad impugnare un provvedimento avendo
ottenuto minori risultati di ritorno pubblicitario. Il mancato comportamento in buona fede
dell'atleta nei confronti del CONI o della Federazione sportiva di riferimento legittima lo
sponsor ad avanzare una richiesta di risoluzione del contratto.
La vittoria o meno di una squadra non può legittimare lo sponsor a richiedere la risoluzione del
contratto a meno che la situazione non sia stata determinata dall'atteggiamento
dell'amministrazione del denaro derivante dalla sponsorizzazione (ad esempio il mancato
acquisto di giocatori validi nel tentativo di vittoria della competizione).
Il merchandising.
E' un contratto con il quale il titolare di un marchio, dietro corrispettivo, concede ad altri
(concessionario o concessionari), in esclusiva o meno, l'uso di quel marchio per
contraddistinguere prodotti diversi da quelli prodotti dal concedente. Esempio di
merchandising lo ritroviamo ad esempio prendendo in considerazione la ditta Ferrari, la quale
concede l'autorizzazione per utilizzare il marchio in prodotti di abbigliamento. L'utilizzatore del
marchio (concessionario) produce beni o servizi appartenenti ad un mercato diverso rispetto a
quello del concedente, traendo benefici dalla notorietà del marchio. I beni o servizi realizzati
dal concedente (Ferrari) devono essere diversi da quelli realizzati dal concessionario
(riprendendo l'esempio di prima, una impresa di abbigliamento). Il contratto di merchandising
è molto utilizzato nello sport: questo garantisce un introito notevole da poter utilizzare per
garantire la gestione e lo svolgimento dell'attività sportiva.
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Diritto dello sport
Il marchio è il segno distintivo che ha come funzione quella di identificare i beni o i servizi di
un'impresa, permettendo di distinguere le varie realtà operanti nello stesso settore
commerciale (ad esempio Chanel anziché Dior nella profumeria). Nel momento in cui il
consumatore si trova davanti ad un prodotto, il marchio ha la caratteristica di attirarlo: si crea
nel consumatore una diretta corrispondenza tra il marchio notorio e la qualità del prodotto o
servizio, anche se non sempre i marchi notori realizzano prodotti di alta qualità:
nell'immaginario però, il marchio notorio è garanzia di qualità. La capacità del marchio è
quella di distinguere il prodotto da quello di altri marchi, facendo affidamento sulla notorietà,
affidabilità, indirizzando l'acquisto del consumatore.
• liceità (dev'essere lecito, sia nell'utilizzo delle parole, sia nell'utilizzo dei segni e delle
immagini, non si deve ledere il buon costume e l'ordine pubblico);
• veridicità (non si può mettere su una maglietta di cotone l'indicazione di pura lana);
• novità (dev'essere nuovo, non può essere utilizzato da altre imprese)
• originalità (nel marchio non si possono utilizzare nomi generici che vadano ad indicare in
maniera generica la determinata categoria merceologica di riferimento).
In ambito sportivo sorse un problema relativamente alla considerazione sui colori sociali delle
squadre (circa la consistenza di marchio). In generale, sono suscettibili di marchio tutti segni
distintivi grafici capaci di individuare a distinguere l'impresa o il prodotto. I colori possono
costituire oggetto di marchio perché possono identificare la squadra.
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Diritto dello sport
Il contratto di ski-pass.
Un altro contratto in uso nel mondo sportivo è il contratto di ski-pass. Nell'utilizzo della
seggiovia è necessario un comportamento attivo del soggetto interessato, c'è la necessità
della collaborazione funzionale dello sciatore: non si può attivare la normativa tipica del
contratto di trasporto, nella quale non è prevista una collaborazione attiva da parte del
trasportato. Il contratto di ski-pass (attivabile acquistando il biglietto o sottoscrivendo
l'abbonamento) è un contratto atipico: il richiedente stipula un accordo con il gestore per
usufruire di un servizio offerto da quest'ultimo, il quale si obbliga ad effettuare la
manutenzione degli impianti di risalita e delle piste, facendo tutto il necessario per garantire la
salute della controparte contrattuale. La responsabilità nello ski-pass può essere contrattuale
(quando si assiste alla stipula di un contratto, ad esempio con l'acquisto del biglietto dello
skipass) o extracontrattuale (non si è acquistato il biglietto dello ski-pass, si decide di risalire la
a piedi ma si utilizza comunque la pista). Il gestore è obbligato a provvedere attività di
manutenzione tali da rendere idoneo lo svolgimento dello sport di riferimento: se dovessero
esserci delle insidie non segnalate lungo la pista di discesa, il gestore incorre nella
responsabilità.
Per considerare la liceità o meno del comportamento di azione occorre considerare anche la
differenza tra i diversi sport. Si distinguono sport a violenza necessaria (come per il pugilato),
eventuale (la violenza non è espressamente prevista ma è disciplinata in quanto sport che
prevede il contatto fisico) e gli sport non violenti (come il nuoto, non c'è contatto fisico).
Quando si verificano danni conseguentemente ad un'azione violenta profusa nell'esercizio
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Diritto dello sport
dell'attività agonistica senza che siano state violate le regole del gioco o quando vi sia un
collegamento funzionale tra il gioco e l'azione che ha provocato la lesione, non si incorre nella
responsabilità. Se il danno è strettamente collegato al gioco non verrà considerata sussistente
una responsabilità per il giocatore che ha provocato la lesione ad un altro soggetto.
Responsabilità penale: occorre rilevare che ogni attività sportiva è connotata da un, anche se
minimo, grado di competitività e spesso dal contrasto fisico tra i partecipanti, che comporta
necessariamente un rischio per l'incolumità degli stessi che varierà a seconda dello sport
praticato. Le condotte in ambito sportivo sono sottoposte ad un regime che deroga le regole
previste sia in ambito penale che civile. Le lesioni che siano occasionate nell'esercizio della
pratica sportiva non danno mai luogo a responsabilità, fatte salve le ipotesi di illeciti dolosi in
cui il momento sportivo rappresenta solo il pretesto o l'occasione di un danno.
Il nostro ordinamento prevede una serie di limitazioni della responsabilità degli atleti (le
cosiddette scriminanti, limitazioni della responsabilità degli atleti per fatti che costituirebbero
una fattispecie di responsabilità: viene persa la connotazione di reato).
La scriminante sportiva
Consiste nel fatto che lo sport, nel nostro ordinamento sportivo, viene incoraggiato dallo stato
perché attraverso di esso si realizza la persona; inoltre, realizza un importante introito a livello
economico. Lo sport viene considerato come uno strumento da tutelare a carattere generale.
Il soddisfacimento dell'interesse generale della collettività a svolgere attività sportiva
permette l'assunzione del rischio della lesione di un interesse individuale relativo all'integrità
fisica. Si tratta di una causa di giustificazione non codificata, ovvero non prevista
espressamente dal codice penale ma riconosciuta dalla giurisprudenza. Al fine di valutare se
possa operare tale scriminante bisogna considerare caso per caso, in particolare:
• Se vi è stato il rispetto delle norme che disciplinano l'attività sportiva, in particolare quelle
che impongono di agire con lealtà e correttezza, salvaguardando l'integrità fisica
dell'avversario (si fa il riferimento alle regole del singolo sport: se, rispettando le regole,
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Diritto dello sport
ho cagionato comunque il danno ad un altro atleta, si può ricorrere alla scriminante
sportiva);
• L'obbligo dell'atleta di non esporre l'avversario ad un rischio superiore a quello consentito
in una determinata pratica sportiva ed accettata dal partecipante medio.
Ai sensi dell'articolo 50 del codice penale, non è punibile chi lede, o pone in pericolo, un diritto
col consenso della persona che può validamente disporne. Si è consolidato negli anni il
principio per il quale lo svolgimento dell'attività sportiva implica l'accettazione del rischio ad
essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, intendendosi per tali non solo gli atleti in
gara ma tutti coloro che vi partecipano, tutti coloro che sono posti al centro o ai limiti del
campo di gara per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione
(arbitri, guardialinee, tecnici). Tale scriminante non convince in quanto sono coinvolti diritti
indisponibili quale quello alla vita ed all'integrità fisica. L'aver accettato il rischio di ledere la
mia integrità fisica (rischio di morte o morte celebrale) significa poter disporre di un bene che
è (nel nostro ordinamento) di per sé indisponibile: la vita e l'integrità fisica sono considerati
dei beni indisponibili (ragion per cui, ad esempio, l'eutanasia non è fattibile in Italia).
Ai sensi dell'articolo 51 del codice penale, comma 1, l'esercizio di un diritto esclude la sua
punibilità. L'articolo 1 della legge 91/1981 dispone espressamente la libertà di esercizio della
pratica sportiva e tale principio copre tutto l'ambito dello sport. Da ciò si desume che la
scriminante dell'esercizio del diritto può operare anche per i parasportivi o amatori. Secondo
questa scriminante, chi esercita un diritto non è responsabile anche se lede un interesse altrui.
In base a questa tesi, la pratica dello sport deve ritenersi autorizzata e, quindi, legittimata
dall'ordinamento giuridico, anche quando determina condotte che sarebbero considerate
normalmente antigiuridiche. E' dunque lecito perseguire la vittoria con ogni mezzo utile a tal
fine, purché sempre nel rispetto dell'avversario.
I limiti delle scriminanti vengono meno quando l'attività è stata posta in essere
consapevolmente, ovvero l'atleta ha voluto intenzionalmente causare la lesione, quando sia
posta scientemente a repentaglio l'incolumità del giocatore avversario (il quale è tenuto ad
attendersi comportamenti agonistici anche rudi ma non violazioni del dovere di lealtà che si
risolvano nel disprezzo per l'altrui integrità fisica).
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Diritto dello sport
• Colposo se è stato commesso senza finalità di arrecare un pregiudizio fisico a chi subisce
la violenza;
• Doloso se invece diretto ad arrecare un pregiudizio fisico a chi subisce la violenza. Il dolo
è ravvisabile quando la gara sia soltanto l'occasione dell'azione volta a cagionare l'evento
oppure quando il comportamento posto in essere dal giocatore autore del fatto lesivo
non sia immediatamente rivolto all'azione di gioco, ma piuttosto ad intimorire
l'antagonista, oppure a punirlo per un fallo involontario subito (cosiddetto fallo di
reazione). In questi casi, la condotta dell'agente fuoriesce dagli schemi tipici del gioco e la
violazione delle regole non è diretta in via immediata al compimento di un'azione di gioco
ma al perseguimento di altri fini del tutto estranei alla competizione.
Nel caso di violenza nei confronti dei terzi estranei alla pratica o competizione sportiva
(pubblico) non vi è tolleranza da parte dell'ordinamento penale e conseguentemente si
applicano i principi generali della responsabilità penale senza possibilità di invocare le esimenti
(cause di giustificazione).
Il regime di responsabilità civile sportiva deroga a quello ordinario. La legge di riferimento per
l'illecito civile è l'articolo 2043 del codice civile, il quale afferma che "qualunque fatto doloso o
colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno" (regola cardine dell'intero sistema della responsabilità civile). Attraverso il
risarcimento si trasferisce il danno da colui che l'ha subito all'altro soggetto che l'ha creato
(funzione riparatoria del risarcimento).
L'illecito civile può essere di due tipi: contrattuale (abbiamo una base rappresentata dalla
presenza di un contratto) o extracontrattuale. Affinché si possa realizzare un illecito
contrattuale si ha la necessità che ci sia un fatto e che questo fatto sia illecito (determina la
lesione di un interesse) e l'illiceità può riguardare non solo i diritti della persona ma anche i
diritti di credito.
Struttura dell'illecito:
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Diritto dello sport
• Il nesso causale tra fatto ed evento (pugno e insorgenza dello stato di coma); Il dolo
e la colpa;
• Il danno (danno-evento / danno conseguenza).
Nelle gare motociclistiche o ciclistiche bisogna distinguere le gare disputate su strade aperte al
traffico (applicazione dell'art. 2054 c.c.) o su strade chiuse su circuiti o su strade chiuse al
traffico (applicazione dell'art. 2043 c.c.).
L'organizzatore di eventi sportivi è la persona fisica o giuridica, a sua volta, può essere privata
(associazione, fondazione, società, leghe nazionali, federazioni sportive) o pubblica (comune,
regione) che promuove, assumendone tutte le responsabilità (degli eventi lesivi che
potrebbero manifestarsi durante la conduzione della competizione), l'incontro di più atleti con
lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dal
pubblico spettacolo. L'interesse dell'organizzatore è quello di promuovere l'incontro della
specifica disciplina sportiva.
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Diritto dello sport
Per un'analisi più approfondita circa la responsabilità, vedere il file "Lezione 4"
Le safety rules sono regole tecniche previste normalmente dalle singole Federazioni (soggetti
competenti nello specifico settore) per l'organizzazione dell'evento sportivo. Qualsiasi
disposizione sportiva riveste sempre un ruolo sussidiario rispetto ai canoni generali di
prudenza. Tali disposizioni sono volte al fine di prevenire determinati eventi dannosi non solo
per l'integrità fisica dei gareggianti ma anche del pubblico.
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Diritto dello sport
anche a fronte di una retribuzione (riconoscimento economico) e dell'osservanza del
requisito di continuità: in questo caso si parla di professionista di fatto.
Che tutela applicare al professionista di fatto? Secondo alcuni occorre applicare direttamente
la disciplina prevista per il professionismo anche al professionismo di fatto. Altri credono che
questi ultimi non possono godere della stessa normativa prevista per i professionisti.
La normativa definisce come professionista l'atleta di sesso maschile che svolge l'attività
sportiva in modo continuativo e a titolo oneroso per una Federazione che prevede il settore
professionistico. Il discrimen tra professionista e dilettante va ricercata nel rispetto dei tre
criteri di ammissibilità del professionismo. Il criterio del riconoscimento da parte della
federazione potrebbe contrastare con il principio di uguaglianza contenuto nella Costituzione.
Ma la federazione, ente privato, può rendere nullo un contratto? Dichiarando la nullità del
contratto è come se venisse imposta una regola negoziale che impedisce al tesserato di
lavorare. L'ente privato andrebbe ad introdurre nel nostro ordinamento una regola che vieta a
qualcuno di lavorare: questa regola è meritevole di tutela? No, questa regola contrasta con i
principi dell'ordinamento generale, non può essere considerata valida. Le norme delle
Federazioni che dovessero prevedere la nullità della stipula di contratto di lavoro nelle
categorie considerate non professionistiche non sono da considerare valide perché
contrastanti con l'ordinamento statale. Non sono da considerare eventuali sanzioni
comminate alle società per il suddetto motivo.
Il contratto può essere di tipo subordinato o autonomo. Quest'ultimo si ha tutte le volte in cui
il soggetto (atleta) non è tenuto a partecipare alle sedute di allenamento. Quando l'atleta ha
l'obbligo di partecipare agli allenamenti o alla preparazione si ha un rapporto di lavoro
subordinato. Sempre secondo la legge 91/1981 si ha contratto di lavoro autonomo quando
l'atleta ha un orario di lavoro flessibile e l'impegno a livello temporale non supera le 8 ore
settimanali: tutte le volte in cui la prestazione va a superare le 8 ore settimanali e prevede un
vincolo alla partecipazione ad allenamenti o alla preparazione si ha un contratto di lavoro di
tipo subordinato. In questo caso, l'atleta assume l'obbligo a presenziare agli allenamenti.
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Diritto dello sport
Diritti: una giusta ed equa retribuzione, tutela previdenziale (versamento dei contributi, non
previsto nell'ambito del dilettantismo).
Il contratto di lavoro sportivo viene qualificato come contratto di lavoro speciale: allo stesso
non si applica totalmente lo statuto del lavoratore che prevede una serie di norme applicabili
a tutte le categorie di lavoro (legge 300/1970). Nel caso di lavoro sportivo, una parte delle
norme vengono escluse. Il rapporto di lavoro prevede, a pena di nullità, la forma scritta:
nell'ambito del contratto di lavoro sportivo la forma scritta viene prevista ab sustantiam. I
contratti di lavoro che vengono stipulati tra gli sportivi e i sodalizi sportivi devono rispettare le
norme stabilite dalle singole Federazioni nonché le norme statali.
La società alfa cede a titolo definitivo alla società beta l'atleta. Il vincolo di appartenenza, che
lega l'atleta ad una società, verrà attribuito alla società acquirente (cessionaria). Nel caso di
trasferimento a titolo temporaneo, il vincolo sportivo permane con la squadra di provenienza
ma l'atleta sarà obbligato per il periodo di tempo elencato nella cessione del contratto a
svolgere la prestazione di lavoro a favore della squadra di destinazione.
Rilevante è una decisione presa dalla Corte di Giustizia dell'UE nel caso Bosman.
Precedentemente, in diverse norme era stabilito che anche se l'atleta era in scadenza
contrattuale con una squadra, qualora quella squadra avesse trasferito l'atleta in scadenza ad
un'altra squadra avrebbe avuto diritto ad un compenso: il singolo atleta non era libero di
definire con la nuova squadra un contratto economico, essendo vincolato alla squadra di
appartenenza. Questa norma era lesiva alla libertà di circolazione del lavoratore (qual è lo
sportivo) all'interno dell'UE, pertanto queste regole federali vennero considerate superate e,
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Diritto dello sport
quindi, invalidate. Il pagamento di una somma di denaro da parte del sodalizio sportivo al
sodalizio di partenza del giocatore in scadenza di contratto dev'essere considerato invalido
perché lesivo della libertà di circolazione del lavoratore. Questo dev'essere ceduto a
parametro zero e il giocatore deve stabilire i rapporti contrattuali con la nuova squadra presso
cui giocherà.
Risultano di dubbia validità le regole federali che limitano nell'ambito del dilettantismo la
trasferibilità dei giocatori considerati vincolati. Anche per i dilettanti andrebbe applicata la
stessa disciplina prevista in ambito professionistico.
Allego gli appunti tratti dall'esame di regolamentazione giuridica dell'evento sportivo "
Le società sportive dilettantistiche beneficiano di una serie di agevolazioni fiscali che non
hanno eguali nel panorama tributario italiano: lo sport dilettantistico paga meno tasse di
qualsiasi soggetto che operi in Italia, anche rispetto ad altri soggetti di natura associativa e a
soggetti di natura no profit. Solo un soggetto giuridico ha agevolazioni comparabili alle società
sportive dilettantistiche: le parrocchie.
Perché questo? Perché in Italia lo stato ha abdicato al suo ruolo di promotore dell'attività
sportiva: rispetto ad altri paesi (Francia, Germania, Olanda, Inghilterra dove lo sport si fa
principalmente a scuola, vengono stanziati fondi pubblici), in Italia non esistono contributi per
l'attività sportiva di base. A scuola si fanno poche ore di educazione fisica (oltretutto fatte
male). L'attività sportiva dilettantistica è totalmente demandata alle associazioni sportive.
Ogniqualvolta c'è un'agevolazione fiscale, l'agenzia delle entrate pone dei paletti (si occupa di
combattere l'evasione fiscale e di recuperare il gettito perso attraverso l'evasione fiscale).
Questa teme che le agevolazioni non vadano ad aiutare i veri destinatari ma vengono utilizzate
per scopi illeciti: teme che qualcuno le sfrutti ma non per ritrarre degli utili da destinare al
mondo dello sport ma per metterli nelle proprie tasche.
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Diritto dello sport
• Organi di vigilanza che vigilano affinché queste agevolazioni non vengano utilizzate per un
uso distorto;
• Agevolazioni fiscali enormi perché servono ad aiutare l'autofinanziamento dello sport.
Che imposte pagano gli imprenditori "normali"? Sul reddito prodotto dall'attività (reddito=
ricavi - costi) l'imprenditore paga:
All'imprenditore, se tutto va bene, su una base di ricavo 100 incassa si e no 15. Solo di tasse si
arriva a pagare oltre il 50%.
Sull'attività tipica dello sport dilettantistico, una società o una associazione sportiva
dilettantistica paga 0. Se per finanziare l'attività sportiva svolgono attività non sportive, sugli
utili di quella attività sportiva si paga l'1%. A fronte di un imprenditore normale che paga oltre
il 50%, una società sportiva dilettantistica paga dallo 0 all'1%. Per avere agevolazioni occorre
avere delle entrate, realizzando l'attività sportiva o affiancando a quest'ultima altre attività
pe fi a zia la. U o spo tivo diletta te paga tasse fi o a € di eddito, il % fi o a
' €. Da a ' paga i edia il -18% di tasse sul reddito. Un operaio che percepisce
u eddito lo do di ' € e pe epis e all'atto p atico meno della metà.
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Diritto dello sport
Occorre una specifica: gli enti non commerciali, tra i quali le associazioni sportive
dilettantistiche, svolgono due tipologie di attività: le attività istituzionali e le attività
commerciali. Le attività istituzionali sono quelle necessarie per il perseguimento degli scopi
sociali (esempio le associazioni sportive dilettantistiche, la cui finalità è quella di perseguire il
fine sportivo, nonché l'attività didattica -> articolo 90, comma 18, legge 91/1981). L'attività
commerciale è quella necessaria per il finanziamento dell'attività istituzionale: sono attività
che non centrano niente con lo sport ma che la società svolge per trarne utili da destinare
all'attività sportiva. Tutte le attività a pagamento utili a finanziare l'attività sportiva sono
attività commerciali.
L'articolo 73 del Testo Unico dell'Imposta sui Redditi (TUIR, raccoglie le leggi principali che
disciplinano le imposte sui redditi) chiarisce l'oggetto esclusivo principale dell'ente e distingue
gli enti non commerciali (quelli che hanno come oggetto principale il perseguimento di un
attività ideale) dagli enti commerciali. L'oggetto si desume dallo statuto dell'ente: per le
società sportive dilettantistiche le clausole sono previste dalla legge 91/1981.
Un principio importante è che la differenza tra attività commerciale e attività istituzionale è di
tipo qualitativo e non quantitativo: un'associazione sportiva potrebbe avere dei costi
o plessivi di u e to livello, po ia o ' € pe fa fu zio a e l'attività spo tiva paga e
le utenze, gli allenatori, le trasferte, le iscrizioni): dove prendere questi soldi? Si potrebbe
chiedere il contributo ai soci, ricercare sponso … l'ulti a è la o dizio e tipi a della s uad a di
alto livello che finanzia il campionato attraverso le sponsorizzazioni. Una società sportiva che
ha come unica entrata la sponsorizzazione, fa attività commerciale o attività istituzionale? La
prevalenza delle entrate è di natura commerciale, non istituzionale, dovrebbe essere trattata
alla stregua degli imprenditori. Invece, una società sportiva dilettantistica riconosciuta dal
CONI, anche se ha solo entrate commerciali, non paga nulla, purché queste entrate vengano
investite nell'attività sportiva. E' irrilevante l'elemento quantitativo, cioè l'entità prevalente
dei proventi fra le eventuali più attività.
Parlando di enti non commerciali, in particolare di SSD, occorre considerare l'oggetto sociale
(l'organizzazione, la pratica e la diffusione del gioco, compresa l'attività didattica, anche con la
pa te ipazio e a a pio ati, to ei… ed eve tuali attività o e iali e essa ie pe
finanziare l'attività dell'oggetto sociale.
Cosa dice la legge fiscale contenuta nel Testo Unico (art. 144 comma 2)?
L'agenzia delle entrate vuole che queste agevolazioni siano utilizzate in maniera corretta. Si ha
l'esigenza della tenuta di una contabilità separata delle due attività. Non si possono mischiare
le quote dei soci con gli incassi derivanti dalle attività commerciali. La disposizione risponde
all'esigenza di:
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Diritto dello sport
• Conferire trasparenza alla gestione;
• Facilitare la determinazione del reddito d'impresa laddove l'ente abbia svolto anche
attività commerciali;
Da un punto di vista fiscale, le entrate derivanti dall'attività istituzionale (art. 148 TUIR) sono le
somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi. Sono quelle quote che i
soci versano alla società per entrare nella società e mantenere la qualifica di soci. Queste
e t ate istituzio ali o so o soggette a tassazio e. Che sia o € o ' €, se è uota
associativa l'associazione o la società non paga tasse su questo versamento. Le entrate
istituzionali sono rappresentate dalla quota associativa, ciò che si paga per acquisire o
mantenere la qualifica di socio. I diritti di tale status sono indicati nello statuto
dell'associazione/società.
Qualora per l'utilizzo dei servizi si pagasse un prezzo a seguito dell'ottenimento della qualifica
di socio, si è in presenza di un corrispettivo (una prestazione sinallagmatica). L'articolo 148,
secondo comma del TUIR, dice che si considerano commerciali le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi agli associati effettuate verso il pagamento di corrispettivi specifici: detti
corrispettivi concorrono alla formazione del reddito d'impresa (esempio dell'ingresso in
palestra, del corso di minibasket, le cosiddette quote di frequenza, quote mensili o rette,
sono prezzi per un servizio). Lo Stato prevede ulteriori agevolazioni alle associazioni sportive
qualora recepiscano una serie di clausole nello statuto (in alcune delle quali si certifica che le
entrate derivanti dai corrispettivi specifici andranno a beneficio dell'attività sportiva oppure
che, allo scioglimento, si devolverà tutto il patrimonio a fini sportivi). Le prestazioni
corrispettive non si considerano commerciali se effettuate nei confronti di:
• L'associazione sportiva deve essere in possesso dei requisiti qualificanti previsti dalla
legge tributaria;
• La società sportiva deve trasmettere in via telematica all'agenzia delle entrate una
dichiarazione (modello EAS) entro 60 giorni dalla costituzione dell'ente. L'agenzia delle
entrate provvede a creare un suo database, un primo filtro per controllare le società o
associazioni (screening) che potrebbero nascondere elusioni fiscali.
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Diritto dello sport
La finalità della norma è quello di acquisire la più ampia conoscenza del mondo associativo per
tutelare le vere forme associazionistiche e contrastare l'uso distorto delle stesse, suscettibili di
intralciare la libertà di concorrenza tra gli operatori commerciali.
I requisiti qualificanti (ai fini della decommercializzazione delle quote di frequenza) sono
previsti dall'articolo 148 comma 8 del TUIR sono: (vedere allegato pdf Diritto tributario -
art.
148 TUIR, comma 8 presente nella cartella APPROFONDIMENTO , ho inserito delle note
all’interno del riferimento legislativo).
Aspetti civilistici e tributari, società e associazioni sportive, agevolazioni fiscali per lo sport
dilettantistico.
Le attività commerciali sono quelle attività che la società sportiva esercita per ritrarne un utile
da destinare al perseguimento degli scopi sociali. La differenza tra ente commerciale e ente
non commerciale è quella che il primo è quello che ha come finalità quella commerciale, il
secondo invece ha uno scopo di natura ideale che finanzia anche attraverso attività
commerciali.
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Diritto dello sport
commerciale svolta dalla società sportiva al fine di reperire le risorse economiche. Altre
attività commerciali sono l'emissione del biglietto, la cessione dei diritti televisivi,
l'effettuazione di servizi sportivi a pagamento fatti nei confronti dei non soci: in questo ultimo
caso, l'attività viene svolta da soggetti che non vogliono associarsi o tesserarsi presso la
società sportiva, l'attività non viene decommercializzata (lo è solo se viene svolta nei confronti
di soci). Questo tipo di attività è commerciale e non gode delle agevolazioni previste per lo
sport dilettantistico; in teoria il costo della prestazione commerciale è maggiore rispetto a
quella svolta nei confronti del socio, almeno per la quota percentuale di IVA. Il socio
normalmente ha delle agevolazioni rispetto ai non soci, come sconti, corsi, sale e posti
riservati. Parlando di percorsi wellness ci si riferisce ad attività commerciali, a cui applicare il
regime tributario comune a tutte le imprese.
Le attività istituzionali non pagano né IVA (22%) né imposte (incidenza di circa il 50%
dell'utile). La legge più importante che disciplina l'attività commerciale delle società sportive è
la legge 398/1991: questa nacque per iniziativa della FIGC e offre sconti e agevolazioni
importanti, nonché semplificazioni a livello burocratico e amministrativo (che si risolvono in
risparmio per la tenuta di determinate scritture, come la contabilità). Inizialmente venne
pensata solo per le associazioni sportive dilettantistiche, poi fu allargata a tutti i soggetti del
non profit: la possono utilizzare le associazioni senza fini di lucro, le bande musicali e le pro
loco. Questa legge è riservata alle società sportive dilettantistiche, le società sportive
professionistiche non possono usufruirne (il Milan non può decommercializzare le quote
conferite dai tesserati).
Questa legge è pensata per le associazioni sportive piccole, quelle che non superano il volume
di . € di i assi o e iali, o 'e t a o le uote asso iative e le uote di f e ue za
(il limite è dato da tutte quelle attività oggettivamente commerciali, come quelle derivanti da
sponsor, bar, ristoranti, e ha disi g… .
L'obiettivo che si pone lo Stato è quella di agevolare l'attività sportiva di base: i limiti non
possono essere elevatissimi, altrimenti si andrebbe ad agevolare anche le società
professionistiche o comunque di alto livello.
Per ovviare a questo limite, si può eludere la legge configurando diverse società sportive
(diverse squadre per diverse categorie di atleti): il senso dell'operazione è puramente fiscale,
si tratta di una operazione elusiva (mettere in atto operazioni formalmente corrette ma hanno
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Diritto dello sport
l'unico fine di andare a risparmiare sulle imposte). L'evasione è una sottrazione diretta di
imposte allo Stato, l'elusione è una sottrazione indiretta che, se scoperta, viene punita allo
stesso modo dell'evasione. Il partizionamento solo formale di una stessa associazione non è
una operazione lecita.
Per quanto riguarda le attività commerciali, l'agenzia delle entrate richiede una comunicazione
dell'opzione per il regime agevolato: questa comunicazione va effettuata anche nei confronti
della SIAE. Alla SIAE la comunicazione va condotta mediante lettera raccomandata da inviare
prima dell'inizio dell'anno solare per cui ha effetto. L'opzione dura tendenzialmente per
sempre: una volta scelta l'opzione per usufruire del regime agevolato, se non la revochiamo
vale per sempre. Si può revocare ma non prima di 5 anni.
I vantaggi:
• Esonero dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili prescritte ai fini delle imposte sui
redditi e IVA;
• Esonero dagli obblighi di emissione di scontrino o ricevuta fiscale e di fatturazione tranne
che per le prestazioni di sponsorizzazione, per le cessioni dei diritti radio-tv e per le
prestazioni pubblicitarie. I controlli da parte dell'agenzia delle entrate o della SIAE sono
induttivi, di ragionevolezza;
• Esonero dall'obbligo di dichiarazione IVA e della comunicazione dei dati relativi, non
essendoci l'obbligo di tenuta della contabilità (risparmio in termini di minori
adempimenti); -> vantaggi formali
• Detrazione forfettaria IVA sui proventi derivanti da attività commerciali (50%). Incasso
' € pe u o t atto di spo so izzazio e ' € pe la spo so izzazio e, '
di IVA , ve so il % dell'IVA i assata ' €;
• Tassazione forfettaria ai fini IRES e IRAP (3% dei ricavi) + plusvalenze e sopravvenienze
attive. Incassando 100'000, il mio reddito forfettariamente cal olato è di ' € e su
uesto al olo le tasse al % : ' € di tasse og i ' € di i assi;
• Le società sportive dilettantistiche pagano (o insomma possono pagare) i propri
collaboratori. Un qualsiasi imprenditore che eroga compensi ai propri collaboratori deve
trattenere dal compenso le tasse e i contributi: un dipendente (anche un co.co.co) costa
al p op io dato e di lavo o esatta e te il doppio su u o stipe dio di ' €,
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Diritto dello sport
l'i p e dito e paga ' € . Le SSD posso o e efi ia e di u a agevolazio e per quanto
igua da i o pe si e ogati: pe i o pe si fi o a ' € € etti al ese pe esi,
ovve o u a stagio e spo tiva o si paga o le tasse. Sop a ai ' € si paga il % sulla
if a al di sop a dei ' €.
Adempimenti contabili:
Ogniqualvolta c'è una agevolazione in ambito tributario, l'agenzia delle entrate si preoccupa di
controllare la genuinità della conduzione della società che fruisce di questi aiuti.
L'agevolazione per gli sportivi dilettanti è disciplinata dall'art. 67, comma 1, lettera M del TUIR.
Lo spo tivo diletta te he guadag a fi o a ' , € l'a o, o solo paga il % sul eddito,
ma rimane fiscalmente a carico dei propri genitori (fino agli studi universitari). Siccome sono
redditi esenti, che non vanno dichiarati, possono essere previste detrazioni per le famiglie di
giova i atleti he pe epis o o edditi osì alti, seppu i fe io i ai ' , €, li ite olt e il
quale c'è l'obbligo di dichiarazione.
Un'altra agevolazione è prevista per i ragazzi che fruiscono dei corsi delle società sportive. Se il
minore di anni 18 partecipa ad un corso sportivo pagando una retta, quella retta, per i
ge ito i, è det ai ile dalle i poste, fi o a €. E' u a pi ola agevolazio e he aiuta a fa
costare di meno l'attività sportiva, così come le spese mediche.
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Diritto dello sport
Art. 148, comma 4, TUIR (attività in ogni caso commerciali) -> vedere allegato pdf di cui sopra
Ricordare:
• Lo stato non finanzia direttamente lo sport: a fronte del mancato finanziamento, dà
agevolazioni fiscali;
• Ci sono due tipi di attività: istituzionale e commerciale;
• Sui proventi derivanti dall'attività istituzionale non si paga nulla, purché siano rispettati i
requisiti;
• Sui proventi derivanti dall'attività commerciale paga si poco, relativamente ad
un’impresa "normale"; La legge 398.
La giustizia sportiva ha subito una profonda trasformazione dal dicembre 2013 al giugno/luglio
2014. Nel dicembre 2013 è stata varata la riforma della giustizia sportiva (CONI). E' stato
necessario del tempo tecnico per approvare le modifiche, per redigere un innovativo codice di
giustizia sportiva (finora non vi era mai stato) ed istituire nuovi organi (collegio di garanzia
dello sport istituito presso il CONI, a sostituzione dell'alta corte di giustizia e del TNAS,
tribunale nazionale arbitrale dello sport, e la procura generale dello sport istituita presso il
CONI).
Uno dei doveri derivanti dal tesseramento è il vincolo di giustizia, ovvero l'obbligo di devolvere
la risoluzione delle controversie ai giudici sportivi (giudici federali e giudici innanzi al CONI). Se
non si rispetta il vincolo di giustizia si commette un illecito disciplinare; quest'obbligo è
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Diritto dello sport
previsto da ciascuna federazione. Anche se il procedimento di giustizia sportiva è
endofederale, regolato a livello della singola federazione, una caratteristica comune a tutto il
sistema sportivo è il vincolo di giustizia.
Quest'obbligo viene paragonato alla cosiddetta clausola compromissoria, una clausola che si
può inserire nei contratti con la quale si stabilisce che la risoluzione delle controversie
dev'essere deferita a degli arbitri. Mentre nel vincolo sportivo la risoluzione delle controversie
è deferita ai giudici federali, nella clausola compromissoria la risoluzione è deferita ad un
collegio arbitrale. Per la risoluzione del contratto non ci si deve rivolgere al tribunale, a giudici
togati, ma ad arbitri, dei soggetti privati che assolvono alla funzione di giudice, scelti tra
avvocati o persone comunque competenti in materia, nominati dalle parti del contratto (o dal
presidente del tribunale -> metto tra virgolette perché non è molto chiaro).
Poiché si tratta di un giudizio federale, ciascuna federazione ha ampia autonomia nel regolare
il giudizio. Questa autonomia è stata comunque limitata dalla revisione della giustizia sportiva
attuata nel 2014: ad esempio, a seguito della riforma, sono stati previsti unicamente due gradi
di giudizio presso le federazioni (prima in alcune federazioni era previsto un terzo grado di
giudizio).
Il CONI ha stabilito quali sono gli organi della giustizia sportiva, ma non ha vincolato le
federazioni ad applicare questi quattro tipi di giustizia: la giustizia tecnica e disciplinare è
prevista e disciplinata in tutte le federazioni, quelle economica e amministrativa no.
Per giustizia sportiva si intende la risoluzione delle controversie sportive tra i soggetti del
mondo sportivo, ovvero la risoluzione delle controversie tra tesserati oppure tra tesserati e
affiliati. La giustizia sportiva è l'insieme di soggetti e norme predisposte per la risoluzione delle
controversie che insorgono tra i soggetti del mondo sportivo.
La giustizia sportiva è caratterizzata dalla tempestività, o rapidità, delle decisioni (c'è necessità
di rispettare i tempi dei campionati, tempi che non potrebbero essere garantiti dalla giustizia
statale) e dalla specificità delle regole applicabili (si applicano le norme sportive, dettate dalle
federazioni e dal CONI).
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Diritto dello sport
Il collegio di garanzia istituito presso il CONI ha assorbito due organi precedenti, ovvero l'alta
corte e il tribunale nazionale arbitrale dello sport (TNAS). Siccome il presidente del CONI ha
ravvisato che questi organi rappresentavano una duplicità di giudizio, ha pensato di unificarli
creando un nuovo, unico organo. Si può ricorrere al collegio per far valere l'illegittimità delle
decisioni (come succede per la corte di Cassazione nella giustizia ordinaria): viene verificata la
correttezza della decisione presa a livello federale dal punto di vista della violazione di norme
del diritto (valuta se le decisioni federali sono state prese correttamente da un punto di vista
normativo) senza entrare nel merito della decisione dei primi due gradi. Il collegio di garanzia
non va a valutare il fatto, non ne verifica l'interpretazione genuina, ma accetta il giudizio
sostanziale per come è stato inteso dal giudice federale. Il collegio di garanzia non è
competente nelle decisioni in materia di doping (decise dal tribunale nazionale antidoping) ma
è competente generalmente per tutte le questioni, tranne per quelle per le quali sono state
i flitte sa zio i pe u ia ie i fe io i a ' € o sa zio i i te dittive i fe io i ai gio i. Il
collegio di garanzia può confermare la decisione federale, quando ritiene legittima la
decisione, indipendentemente da come sono andati i fatti. In caso contrario, annulla la
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Diritto dello sport
decisione del giudice di secondo grado rinviandogli la decisione. Il giudice per il rinvio, non è lo
stesso che fisicamente si era pronunciato in secondo appello, ma un altro "magistrato".
L'altra novità della riforma della giustizia sportiva riguarda la redazione del codice di giustizia
sportiva. Per la prima volta, si è redatto un codice di giustizia sportiva contenente principi
uniformi e vincolante per tutte le federazioni sportive. Questo è molto importante perché fino
al 2013 ciascuna federazione godeva di un'autonomia così ampia che si generò caos: con il
codice di giustizia sono state dettate delle regole procedurali univoche per tutte le federazioni.
In ambito giuridico si tratta di un codice di procedura, volto a regolare la procedura e non gli
aspetti sostanziali. La descrizione degli illeciti (fattispecie) è devoluta alle singole federazioni: il
codice di giustizia sportiva non descrive gli illeciti sportivi ma si occupa solo degli aspetti
procedurali. Il legislatore sportivo non ha incluso nel codice di giustizia sportiva la descrizione
degli illeciti, lasciandola nelle mani delle federazioni, perché questi sono formulati nel rispetto
di quanto previsto dalla federazione sportiva internazionale di riferimento.
Il codice di giustizia sportiva ha previsto, in ambito federale, due gradi di giudizio (primo grado
e impugnazione), evitando altri gradi di giudizio per non rendere il giudizio troppo lungo. I
giudici sportivi federali sono nominati nello stesso modo in tutte le federazioni con criteri
trasparenti: nel codice di giustizia sportiva sono stati codificati i requisiti per poter essere
nominati giudici federali (in passato non era prevista, se non nell'ambito della FIGC). Altro
principio contenuto nel codice di giustizia sportiva è che il procedimento di giustizia sportiva
deve rispettare i principi fondamentali dell'ordinamento sportivo, i principi di fair play, del
giusto processo sportivo, garantendo la tutela dei diritti dei tesserati, degli affiliati e degli altri
soggetti che si rivolgono al giudice sportivo. Un principio che dev'essere rispettato da tutte le
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Diritto dello sport
federazioni è quello di sanzionare i soggetti che, pur non essendo più tesserati, si sono
comportanti in modo scorretto quando erano tesserati. Altri principi contenuti nel codice di
giustizia sportiva sono quelli che prevedono che le decisioni dei giudici sportivi debbano
essere motivate, sintetiche, chiare e comprensibili: i giudici sportivi devono comportarsi in
modo consolo alla carica a loro attribuita. Ogni tesserato o affiliato ha diritto (ma anche
dovere, nel rispetto del vincolo di giustizia) di rivolgersi ai giudici sportivi. Analogamente a
quanto previsto nell'ordinamento italiano, il CONI ha previsto il gratuito patrocinio: a fronte di
condizioni economiche che non consentono una difesa tecnica, il CONI prevede un difensore
(pagato dal CONI stesso) che si occupi del processo per il soggetto convenuto in causa.
Il codice di giustizia ha stabilito requisiti per i giudici sportivi federali: in ogni federazione è
previsto un giudice sportivo a livello nazionale e a livello territoriale (questo non è affatto
chiaro, immagino si possa tralasciare). Il giudice sportivo nazionale o territoriale si occupa
delle questione tecniche e sportive (omologazione dei risultati). Poiché ci sono due gradi di
giudizio, in primo grado si ha il giudice sportivo, in secondo grado si ha la corte sportiva
d'appello. Oltre al giudice sportivo e alla corte sportiva d'appello, si ha un tribunale federale
per tutte le altre questioni (come le questioni disciplinari). In questo caso, in secondo grado, si
ha una corte d'appello federale.
Il codice di giustizia, oltre a dettare i principi fondamentali che ciascuna federazione deve
rispettare, uniforma gli organi di giustizia esistenti presso tutte le federazioni sportive: mentre
in passato ciascuna federazione poteva istituire dei giudici con ampia autonomia, attualmente
è prevista necessariamente la presenza di un giudice sportivo di primo grado (controlla la
regolarità delle gare e si occupa dell'omologazione dei risultati, infligge le sanzioni alle società
per la turbativa all'ordine pubblico -> giustizia tecnica), di una corte di appello sportiva in
secondo grado e del collegio di garanzia in terzo grado. Il tribunale federale e la corte federale
di appello è competente per tutte le altre questioni (di nostro interesse quelle disciplinari).
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Diritto dello sport
presentato da chiunque ne abbia interesse, per le questioni disciplinari (comportamento
scorretto), per le questioni economiche o per le questioni relative a statuto o regolamento.
Oltre al tribunale c'è l'organo di accusa nel processo, ovvero il procuratore federale (Ia procura
federale): quest'ultimo ha la funzione inquirente (formula l'accusa) e deve effettuare tutte le
indagini necessarie per dimostrare la colpevolezza o la mancanza di colpevolezza del soggetto
imputato. Quando non ci sono prove sufficienti, archivia il caso, altrimenti lo rinvia al
tribunale.
Sia le decisioni del giudice sportivo che le decisioni del tribunale federale possono essere
impugnate in appello. Presso ogni federazione c'è un procuratore, l'organo dell'accusa che
svolge le indagini. La procura generale dello sport istituita presso il CONI è a capo di tutte le
procure federali: questa è composta da un procuratore generale dello sport e singoli
procuratori, nel numero massimo di 30, nominati dal presidente del CONI su proposta del
procuratore generale dello sport, scelti tra professori universitari, magistrati, avvocati e, a
differenza del collegio di garanzia, anche da commercialisti (iscritti all'albo da almeno 5 anni).
Questi componenti durano in carica 4 anni, con mandato rinnovabile 2 volte. La procura
generale ha un potere di controllo e di coordinamento delle attività delle singole procure
perché periodicamente le procure federali devono inviare a questa super procura una
relazione dettagliata delle indagini che stanno conducendo. Se il procuratore generale dello
sport o i singoli procuratori verificano che le indagini non procedono correttamente e
celermente, questi possono avocarsi le indagini, ovvero possono attribuire a loro stessi il
compito di effettuare le indagini. I procuratori generali dello sport possono quindi sostituirsi ai
procuratori federali.
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Diritto dello sport
Il collegio di garanzia è composto da un presidente ed è suddiviso da 5 sezioni (funzioni
tecnica, economica, disciplinare, amministrativa e consultiva). Ciascuna sezione elegge un
presidente di sezione e tutti i presidenti e i componenti delle sezioni possono unirsi in sezione
unita. Ci si può rivolgere al collegio di garanzia come organo di terzo grado nel processo
sportivo: la condizione necessaria è quella per cui il tesserato o l'affiliato si sia rivolto in primo
e secondo grado davanti ai giudici federali. Qualora siano esauriti i ricorsi innanzi ai giudici
federali, può essere presentato un ricorso innanzi al collegio di garanzia entro 30 giorni dalla
decisione impugnata. E' necessario il pagamento di u a tassa ' €, stessa if a pagata
precedentemente al TNAS) per comparire in giudizio in terzo grado. Il ricorso viene presentato
al collegio di garanzia in quanto tale: il presidente decide poi a quale sezione assegnare il caso.
Il ricorso deve contenere degli elementi ben precisi (identificazione dei soggetti, i motivi per
cui si fa ricorso, la situazione di fatto e la richiesta). Il collegio di garanzia si deve pronunciare
entro 60 giorni da quando è stato presentato il ricorso. Effettuata una verifica degli elementi,
può essere dichiarata l'inammissibilità della richiesta. Verificata l'ammissibilità della richiesta,
può invece confermare la decisione del giudice di secondo grado (rigettando quindi il ricorso)
oppure può accogliere il ricorso, pronunciandosi direttamente sulla questione controversa
oppure rinviando la decisione al giudice di secondo grado.
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