Sei sulla pagina 1di 42

Appunti di Diritto dell’Economia I

Parte seconda: il diritto internazionale


dell’economia

Prof. Dr. Ilaria Espa e MLaw & M Sc. Ec. Micol Ferrario

Tutti i diritti riservati. La presente dispensa è destinata esclusivamente agli studenti di Diritto dell’economia
dell’USI; costituisce uno strumento di studio e non può essere citata né utilizzata ad altri fini senza il
consenso preventivo delle autrici.

1
Indice
Sezione II – Il diritto internazionale dell’economia...................................................................................... 3
CAPITOLO 3b – Il regionalismo: diritto dell’Unione europea e accordi bilaterali CH - UE.................. 3
1. L’Unione europea ...................................................................................................................................... 3
1.1 Le origini dell’UE: un’introduzione .................................................................................................... 4
1.2 Le fonti dell’UE: un’introduzione ....................................................................................................... 6
1.2.1 Le fonti primarie ..............................................................................................................................6
1.2.2 Le fonti secondarie ..........................................................................................................................7
1.2.2.1 Le fonti secondarie: gli atti vincolanti................................................................................... 7
1.2.2.2 Le fonti secondarie: gli atti non vincolanti............................................................................ 9
1.2.3 Il diritto internazionale ................................................................................................................. 10
1.3 Le istituzioni dell’UE: un’introduzione ............................................................................................. 10
2. Il mercato interno europeo....................................................................................................................... 12
2.1 La libera circolazione delle merci...................................................................................................... 13
2.1.1 L’unione doganale ........................................................................................................................ 13
2.1.1.1 L’unione doganale: aspetto interno..................................................................................... 14
2.1.1.2 L’unione doganale: aspetto esterno .................................................................................... 16
2.1.2 Oltre l’unione doganale: il divieto di imposizioni fiscali discriminatorie .................................... 16
2.1.3 Olte l’unione doganale: l’abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure d’effetto
equivalente............................................................................................................................................. 18
2.2 La libera circolazione delle persone e dei servizi .............................................................................. 22
2.2.1 La libera circolazione dei lavoratori subordinati .......................................................................... 23
2.2.2 La libera circolazione dei lavoratori autonomi ............................................................................. 24
2.2.3 La libera circolazione dei servizi .................................................................................................. 25
2.2.4 Le eccezioni alla libera circolazione delle persone ...................................................................... 25
2.2.5 La disciplina del mutuo riconoscimento dei diplomi ................................................................... 27
3. Gli accordi bilaterali CH-UE ................................................................................................................... 27
3.1 Gli accordi bilaterali: una breve panoramica del contenuto e delle loro caratteristiche istituzionali 30
3.2 Quale futuro per la via bilaterale nella politica europea della Svizzera? ........................................... 33
3.3 L’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) ................................................................. 35
3.3.1. I diritti conferiti dall’ALC: cenni ................................................................................................ 38

2
Sezione II – Il diritto internazionale dell’economia

CAPITOLO 3b – Il regionalismo: diritto dell’Unione europea e accordi


bilaterali CH - UE

Obiettivi
Dopo avere studiato questo capitolo dovreste essere in grado di:
 Parlare degli obiettivi europei;
 Distinguere le fonti europee e la loro portata;
 Individuare quale istituzione europea detiene ed esercita il potere legislativo, esecutivo e giudiziario;
 Spiegare quali sono le quattro libertà fondamentali del mercato interno europeo;
 Chiarire come viene garantita la libera circolazione delle merci, sia attraverso l’unione doganale, sia attraverso
gli ulteriori strumenti previsti dal diritto europeo;
 Capire quali diritti derivano dalle diverse libertà di circolazione riconosciute ai lavoratori;
 Definire come si realizza la non discriminazione tra i cittadini europei;
 Discutere dei rapporti intercorrenti tra la Svizzera e l’Unione europea;
 Descrivere le peculiarità della cd “via bilaterale”;
 Indicare i principi, le eccezioni e le modalità su cui si fonda la libera circolazione delle persone tra la Svizzera
e l’Unione europea.
Nota bene
 Le sentenze della CGUE sono consultabili in italiano inserendo il numero della causa al: www.curia.eu;
 Nelle sentenze troverete spesso il riferimento agli articoli del Trattato CEE (in vigore al momento in cui erano
state pronunciate); per vedere a quale articolo del TFUE corrispondano adesso potete consultare la tabella di
corrispondenza disponibile al sito: www.eur.lex.europa.eu;

1. L’Unione europea
La fine della II Guerra Mondiale ha inaugurato l’inizio dell’integrazione globale fra Stati, nel senso
di una cooperazione interstatale in diversi settori. Oltre alla cooperazione nell’ambito economico
(con la nascita del FMI nel 1945 e la sottoscrizione del GATT nel 1947), è proprio in questa fase
che si realizzano altresì le prime vere interazioni sia nel settore della difesa (ciò che è stato
realizzato con la creazione della NATO nel 1949) sia in ambito politico (attraverso la nascita delle
Nazioni Unite nel 1945). L’integrazione su più fronti era stata invero pensata come una soluzione
per evitare un’eventuale terzo conflitto mondiale: in questo senso, si credeva infatti che il
progressivo avvicinamento tra Stati e una crescente interdipendenza fra gli stessi, avrebbe in ultima
istanza favorito la cooperazione e la pace, piuttosto che condizioni a queste contrarie. D’altra parte,
è proprio nello stesso periodo, che si registrano le prime importanti spinte anche per l’integrazione a
livello regionale (in particolare a livello di Unione europea): come quelle a livello internazionale,
anche queste erano finalizzate alla promozione della cooperazione nei settori summenzionati.
Nello specifico, a livello europeo, l’integrazione economica è stata inaugurata con la giurisprudenza Schuman 1,
quella nel settore della difesa con l’idea di costituire un esercito europeo e, infine, quella politica tramite famosi
interventi di Churchill che, per primo, ha parlato di “United States of Europe” e di ideali comuni.

1
DTF 99 Ib 39.

3
1.1 Le origini dell’UE: un’introduzione
In particolare, è proprio tra gli anni ’40 e ’50, che vengono proposti i primi piani d’integrazione
concreti in tutti questi settori; di fatto, però,soltanto quelli concernenti l’economia trovarono
seguito.
A livello politico era stato redatto un Trattato fondante la Commissione Politica Europea, mentre sul piano della
difesa uno che desse vita alla Comunità di Difesa EU: entrambi non entrarono in vigore per mancata ratifica
della Francia (nel primo caso, per mancata ratifica del II Trattato).
In questo contesto sono stati siglati tre importanti trattati, che segnano l’inizio dell’integrazione
economica europea: quello con cui è stata fondata la Comunità Economica del Carbone e
dell’Acciaio o CECA (1951) e quello che ha istituito nel 1957la Comunità Europea dell’Energia
Atomica o CEEA (o Euratom) e la Comunità Economica Europea o CEE.
La CECA (istituita nel 1951 con il Trattato di Parigi da Belgio, Italia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e
Germania) prevedeva delle norme per la creazione di un mercato comune del carbone e dell’acciaio, elementi
fondamentali per la crescita del tempo e, spesso, oggetto di conflitto tra la Francia e la Germania. Nonostante
questo Accordo avesse inaugurato l’inizio del processo d’integrazione, è soltanto con la nascita della CEEA
(Comunità Economia dell’Energia Atomica) e della CEE (Comunità Economia Europea) che questo processo è
diventato il centro di gravità della cooperazione economica europea2: fondate nel 1957 con il Trattato di Roma,
la prima è stata istituita con lo scopo di coordinare l’uso pacifico dell’energia nucleare, mentre la seconda aveva
l’ambizioso obiettivo di favorire una generalizzata armonizzazione tra gli Stati membri nell’ambito
dell’economia (è proprio da questo momento che si inizia a parlare di un mercato unico europeo).
È soltanto a partire dal 1992 con la ratifica del Trattato di Maastricht (detto anche Trattato
sull’Unione Europea, TUE), che si inizia a pensare all’Unione europea come ad un’organizzazione
che potesse realizzare degli obiettivi ulteriori rispetto alla sola cooperazione economica. É proprio
con questo Trattato che, oltre a gettarsi le basi per l’Unione economica e monetaria, vengono creati
i cd tre pilastri dell’Unione europea, con cui viene appunto estesa la competenza dell’Unione a
settori diversi rispetto a quello economico: infatti, accanto al primo pilastro di cui fanno parte le tre
Comunità istituite con i trattati CECA, CEEA e CEE3 ne vengono creati un secondo e un terzo,
rispettivamente relativi alla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e alla cooperazione nei
settori della giustizia e degli affari interni (GAI)4, che inaugurano una prima realizzazione di questo
obiettivo.
È proprio con Maastricht che inizia a circolare l’idea di un’Europa la cui competenza si fondava su tre pilastri
principali: il primo - detto anche pilastro comunitario poiché era fondato sui trattati che istituivano le tre
Comunità CECA, CEEA e CEE (quest’ultimo successivamente rinominato Trattato sulla Comunità europea, con
l’intento di avvicinarsi di più al cittadino e di instaurare la solidarietà tra i popoli, levando l’accezione
esclusivamente economica che lo caratterizzava all’origine); il secondo costituito dalla PESC; il terzo formato
dalla GAI (che comprendeva, in particolare, la cooperazione in materia di politica d’asilo e d’immigrazione, la
lotta alla frode su scala internazionale, la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale etc.).
Nello stesso Trattato di Maastricht veniva previsto5 che, dopo qualche anno, si sarebbe dovuta
riunire una commissione inter-governativa, che valutasse l’opportunità di progredire nel processo di
integrazione europea: su questa spinta, nel 1997 venne siglato il Trattato di Amsterdam con cui, fra

2
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit européen, Berna: Stämpfli Edizioni, 2016, p. 9.
3
Una volta confluita nel Trattato di Maastricht, la Comunità Economica Europea è stata rinominata Comunità Europea,
proprio per il fatto che i suoi obiettivi prescindessero l’unione economica.
4
KOENIG, C., HARATSCH, A. e BONINI, M. Diritto Europeo. Introduzione al Diritto pubblico e privato della
Comunità e dell’Unione Europea, Milano: Giuffré Editore, 2000, p. 9.
5
Art. 2.

4
le altre cose, venne riformata la struttura istituzionale europea e venne incorporato il Trattato di
Schengen nel “primo pilastro”6.
Nonostante tra gli obiettivi principali della commissione inter-governativa vi fosse quello di porre
delle solide basi affinché l’Europa potesse estendere la propria membership ad altri Paesi, il Trattato
di Amsterdam si rivelò incapace di rispondere a questa esigenza e fu così che già nel 2001 venne
approvato il Trattato di Nizza, con cui si avanzarono tutte quelle riforme necessarie per garantire
l’adesione di altri Stati7.
Poco dopo la sua approvazione, il Trattato di Nizza attirò su di se importanti critiche, che
spaziavano dalle modalità previste per l’allargamento, alla constatazione che le riforme proposte
non avevano effettivamente una finalità comune; premendo sull’assenza di una finalité condivisa8,
alcuni capi del Governo Europei (fra cui Jacques Chirac e Tony Blair, allora Presidente e Primo
Ministro rispettivamente di Francia e Inghilterra) proposero che venisse adottata una Costituzione in
cui riunire definitivamente tutti i principi che accomunavano l’Europa: nonostante l’iniziale
entusiasmo, l’approvazione del progetto naufragò definitivamente nel 2007, a seguito del no
registrato ai referendum popolari francese e olandese9. L’importanza di conseguire obiettivi più
ambiziosi ed armonizzati portò pochi mesi dopo a convocare un’altra assemblea inter-governativa
che approvò il Tratto di Lisbona, con il quale vennero varate riforme di tipo strutturale, istituzionale
e di contenuti10.
- Modifiche strutturali: il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione
Europea (TFUE, ex Trattato CE) sono stati definiti le basi dell’Unione;
- Riforme istituzionali: muovendo da quanto già proposto nel Trattato Costituzionale, venne previsto che il
Consiglio dei Ministri dovesse decidere secondo una maggioranza qualificata (e, quindi, non più secondo un
sistema di voti ponderati) e venne istituito l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Sicurezza
(PSE).
- Contenuti: sono state varate alcune riforme previste nel Trattato sulla Costituzione come, ad esempio, la
codificazione di alcuni principi comuni (tra cui quello della preminenza del diritto EU su quello nazionale) e
l’approvazione della Carta dei diritti Fondamentali 11, considerata come obbligatoria.
Con questa riforma, è stata segnata “una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre
più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile
e il più vicino possibile ai cittadini” (art. 1 TUE).
Il Trattato di Lisbona ha quindi dato forma a quei sogni europei che immaginavano un’Unione che andasse oltre
la semplice cooperazione economica ma che, negli ultimi anni, sembrano essere stati abbandonati: l’imminente
uscita della Gran Bretagna dall’Unione, i movimenti sovversivi dei Gilet Gialli in Francia e il Governo Populista
da poco insediatosi in Italia sono tra le più importanti ed esplicative dimostrazioni che, ormai, questo sogno sia
stato parzialmente rinnegato. Eventi come la crescente ed incalzante globalizzazione hanno portato alla
reminiscenza della superiorità nazionalista, che viene oggi letta come la necessità di svincolarsi da qualsiasi
vincolo che limiti la sovranità statale, proprio come lo è l’Unione.

6
WOODS, L. e WATSON, P. Steiner & Woods EU Law, Oxford: Oxford University Press, 2012, p. 10.
7
Ivi, p. 12.
8
Come suggerito nel 2000 da Joschka Fischer (ai tempi Ministro degli Esteri Tedesco) durante una lezione tenuta alla
Humboldt University di Berlino.
9
CHALMIERS, D., DAVIES, G. e MONTI, G. European Union Law, Cambridge: Cambridge University Press, 2014,
pp. 36-38.
10
TOBLER, C. e BEGLINGER, J. Essential EU Law in Charts, Budapest: HVG-ORAC, 2018, p. 55.
11
Infra, p. 6.

5
1.2 Le fonti dell’UE: un’introduzione
La realizzazione di un’Unione senza confini tra i popoli d’Europa è stata largamente concretizzata
dal diritto e, più precisamente, dalla progressiva creazione di un ordine giuridico comunequesto
ordine (appunto il diritto dell’Unione europea) è il risultato da un insieme di fonti:
 Le fonti primarie (o convenzionali), che ricomprendono i Trattati, tutti gli atti avente lo
stesso valore giuridico dei Trattati (come, ad esempio, la Carta dei diritti fondamentali) e i
principi generali del diritto dell’Unione, risultato della giurisprudenza della Corte di
giustizia EU;
 Le fonti secondarie (o derivate) che, invece, ricomprendono tutti quegli atti adottati dalle
istituzioni EU sulla base dei trattati.
 Infine, anche il diritto internazionale ha concorso alla formazione di questo ordine12.

1.2.1 Le fonti primarie


Le fonti primarie dell’Unione europea sono:
 I Trattati e, in particolare il Trattato sull’Unione Europea (TUE)13 (che costituisce la base
del diritto EU) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)14 (che regola
l’applicazione del primo);
Il TUE si suddivide in 6 titoli principali che prevedono, rispettivamente: le disposizioni comuni; le disposizioni
relative ai principi democratici; le disposizioni relative alle istituzioni; le disposizioni sulle cooperazioni
rafforzate; le disposizioni generali sull’azione esterna dell’unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e
di sicurezza comune; disposizioni finali.
Il TFUE si suddivide invece in 7 titoli principali che prevedono, rispettivamente: i principi; non discriminazione
e la cittadinanza dell’unione; politiche e azioni interne dell’Unione; associazione dei paesi e dei territori
oltremare; azione esterna dell’Unione; disposizioni istituzionali e finanziarie; disposizioni finali.
Come precisato dall’art. 1 § 3 TUE, i due Trattati hanno il medesimo valore15.
 Accanto a questi, tra le fonti primarie del diritto europeo vengono altresì annoverati tutti
quegli atti che hanno il medesimo valore dei primi fra cui, ad esempio, la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione16.
Poiché almeno inizialmente l’Unione europea era stata concepita come un’organizzazione con finalità
prettamente economiche, non era stata riscontrata la necessità di provvedere ad una disciplina specifica a tutela
dei diritti fondamentali: il loro rispetto era inizialmente garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o CEDU (1950), di cui gli Stati membri erano (e sono tuttora)
firmatari. Quando però la CGUE ha sancito il principio dell’efficacia diretta e del primato del diritto EU
rifiutandosi allo stesso tempo di valutarne la compatibilità con il diritto nazionale e costituzionale degli Stati
membri17, diversi Stati iniziarono a manifestare una certa preoccupazione verso questa giurisprudenza che
avrebbero potuto avere come conseguenza quella di disapplicare il diritto costituzionale nazionale a tutela di un
diritto o di una libertà fondamentale in favore del diritto europeo (che, invece, non accoglieva queste protezioni).
Alcune Corti costituzionali nazionali non tardarono ad approntare una soluzione a questo pericolo: ad esempio,
rispettivamente con le decisioni Solange I18 e Frontini19, la Corte costituzione tedesca e quella italiana stabilirono
la possibilità di rivedere il diritto europeo per garantirne la conformità a quello costituzionale nazionale. A

12
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, op. cit., p. 83.
13
https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506.
14
https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506.
15
“L'Unione si fonda sul presente trattato e sul trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in appresso denominati
‘i trattati’). I due trattati hanno lo stesso valore giuridico. L'Unione sostituisce e succede alla Comunità europea”.
16
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012P/TXT&from=EN
17
Si veda, ad esempio, Sentenza della Corte 4 febbraio 1959, causa 1/58, Stork.
18
BverfGE, 37, 271 ss.: https://www.servat.unibe.ch/dfr/bv037271.html
19
Corte Costituzionale italiana, Sentenza 18 dicembre 1973, n. 183.

6
partire da questo momento, la CGUE aveva iniziato a sancire con la sua giurisprudenza20 la necessità di
rispettare i diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto dell’Unione. Il progressivo ampliamento
delle competenze europee ha permesso poi di modificare i Trattati nel senso di prevedere esplicitamente una
tutela dei diritti fondamentali: nel 1999 è stata pertanto convocata una commissione per elaborare la Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (conosciuta anche come Carta di Nizza) che, con l’approvazione del
Trattato di Lisbona, ha acquisito “lo stesso valore giuridico dei Trattati” (art. 6 c.1 TUE).

 I principi, che costituiscono insieme al diritto primario il “blocco di costituzionalità”21 del


diritto Europeo. Proprio per l’incompletezza dei Trattati che hanno fondato la stessa Unione,
la Corte di Giustizia ha formulato con la sua giurisprudenza dei principi che hanno
predisposto una disciplina su diversi temi come, ad esempio, la protezione dell’individuo e
la struttura dell’Unione stessa22.
Tra i principi generali del diritto europeo (detti anche principi giuridici comuni agli Stati membri o principi di
diritto internazionale) più importanti vi sono quello della certezza del diritto (che ricomprende, ad esempio, la
chiarezza degli atti adottati dall’Unione), quello del legittimo affidamento (utilizzato come parametro di
legittimità degli atti), quello di proporzionalità (che permette di valutare la legittimità di un atto che imponga un
obbligo o una sanzione in base alla necessità o all’idoneità degli scopi perseguiti), quello dell’effetto utile (che
consente di applicare in maniera produttiva le norme EU), quello di precauzione (inteso come guida per
l’adozione di norme che garantiscano di tutelare valori come la salute e l’ambiente) e, infine, quello della leale
cooperazione23.

1.2.2 Le fonti secondarie


Posto che il diritto primario pone le basi del diritto dell’Unione e ne esplica il funzionamento, sono
poi le istituzioni24, sulla base delle competenze loro conferite, ad adottare tutti quegli atti secondari
(detti per questo anche diritto derivato) che garantiscono concretamente il continuo funzionamento
dell’Unione; in particolare èl’art. 288 § 1 TFUE25 che permette di identificare le fonti secondarie,
classificabili in: vincolanti e non vincolanti.

1.2.2.1 Le fonti secondarie: gli atti vincolanti


Sono fonti secondarie dell’Unione europea:
 Regolamenti26  Il regolamento EU è un atto di portata generale (ossia si rivolge a un numero
indeterminato di destinatari), obbligatorio in tutti i sui elementi (nel senso che gli Stati hanno
l’obbligo di attuarlo internamente in maniera integrale e completa, pena l’illegittimità) e
direttamente applicabile (o self-executing). L’ applicabilità diretta (o efficacia diretta) risiede
nell’idoneità27 della norma comunitaria a creare diritti ed obblighi direttamente in capo ai
singoli (persone fisiche o giuridiche), senza che lo Stato debba adottare alcun provvedimento
interno (misura di esecuzione) ulteriore: concretamente, questa caratteristica permette al singolo

20
Si veda, fra le altre, Sentenza della Corte 12 novembre 1969, causa 26/69, Stauder.
21
MARTENET, V. L’émergence d’un “bloc de constitutionnalité” européen en matière de droit fondamentaux,
SZIER/RSDIE, 2005, p. 281 ss.
22
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, op. cit., pp. 86-87.
23
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, Padova: CEDAM, 2011, pp. 109-115.
24
Infra, pp. 10 ss.
25
“Per esercitare le competenze dell'Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e
pareri”.
26
“Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno
degli Stati membri”.
27
Come precisato dalla giurisprudenza EU (si veda, ad esempio, sentenza della Corte 14 luglio 1971, causa 10/71,
Muller), una norma è idonea a creare direttamente situazioni giuridiche in capo al singolo se “chiara, precisa e
suscettibile di applicazione immediata”.

7
di fare valere innanzi al giudice nazionale la posizione giuridica soggettiva vantata in forza del
regolamento comunitario28.
Il regolamento è pertanto quell’atto secondario idoneo ad uniformare i diritti nazionali, nel senso che, avendo
una portata generale ed essendo obbligatorio in tutti i suoi elementi, ha la capacità di approntare una disciplina
uniforme a tutti gli Stati membri in determinati settori: ad esempio, grazie al regolamento concernente
l'applicazione delle regole di concorrenza29 questa disciplina viene trattata in maniera uniforme in tutti gli Stati
membri; questo comporta, ad esempio, che in tutti gli Stati membri determinate intese siano da considerare
vietate, così come determinate posizioni dominanti vengano egualmente definite come abusive. D’altra parte, il
regolamento è anche quell’atto che riesce a creare direttamente in capo ai cittadini privati delle situazioni
giuridiche soggettive di cui questi possono profittare: si pensi, ad esempio, al recente regolamento sul
trattamento e la protezione dei dati personali30 (conosciuto anche come GDPR), che consente al singolo cittadino
di invocare direttamente la protezione dei dati personali e di tutelarsi anche in merito alla loro trasmissione.

 Direttive31  Le direttive EU hanno la caratteristica di non avere una portata generale (si parla
infatti anche di portata individuale), di porre solo degli obblighi in termini di risultato e di non
essere direttamente applicabili nei singoli ordinamenti (si parla infatti di atti non-self executing).
A differenza dei regolamenti (che sono interamente obbligatori), le direttive vincolano gli Stati
soltanto nel raggiungimento di un certo risultato, lasciando una certa discrezionalità in merito
agli strumenti con cui perseguirlo effettivamente32.
Le direttive impongono quindi agli Stati di adottare, entro un certo termine, degli atti che, indipendentemente
dalla forma, ne garantiscano una piena attuazione. Si pensi, ad esempio, alla direttiva relativa al diritto al
ricongiungimento familiare33, che aveva come obiettivo quello di riconoscere alle persone fisiche di paesi terzi e
legalmente residenti in uno Stato membro il diritto a ricongiungersi con i propri familiari: seppur, ad oggi, tutti
gli Stati membri a cui si rivolgeva (ne erano infatti esclusi l’Irlanda, l’Inghilterra e la Danimarca) abbiano
effettivamente ratificato la direttiva e pertanto predisposto un sistema che riconosca ai cittadini di paesi terzi
questo diritto, le condizioni per il suo accesso variano profondamente (e talvolta ne rendono molto difficile la
concreta operatività)34. Si pensi, fra le altre cose, che alcuni Stati richiedono, ai fini del suo riconoscimento, che
il cittadino del paese terzo goda dello status di “soggiornante”: questo è ad esempio riconosciuto in Francia a chi
vi abbia soggiornato per almeno 18 mesi, e in Spagna a coloro che vi risiedono da almeno un anno; ancora, tutti
gli Stati membri (ad eccezione di Finlandia e Paesi bassi) ne subordinano il riconoscimento alla disponibilità di
un alloggio: pertanto, chi non dispone di un immobile idoneo, non può richiedere di ricongiungersi con i suoi
familiari. Un’altra condizione ricorrente riguarda il godimento di condizioni economiche stabili e regolari:
questa soglia corrisponde in Francia al reddito minimo o, ancora, nei Paesi bassi, questa varia a seconda dell’età
delle persone che compongono il nucleo familiare. In questo senso, quindi, le direttive garantiscono
l’armonizzazione tra i diritti nazionali, ma non una piena uniformazione come invece avviene con i regolamenti.
Invero, spesso capita che gli Stati non ratifichino la direttiva entro il termine previsto 35 e, in questi casi, sorge la

28
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., pp. 174-175.
29
Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, 16 dicembre 2002, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza
di cui agli articoli 81 e 82 del trattato: https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32003R0001&from=IT.
30
Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle
persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la
direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32016R0679&from=IT.
31
“La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”.
32
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., pp. 150-151.
33
Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare: https://eur-
lex.europa.eu/legal-content/it/txt/pdf/?uri=celex:32003l0086&from=it.
34
Per valutare l’impatto della direttiva si veda relazione della commissione al Parlamento europeo e al Consiglio
sull'attuazione della direttiva 2003/86/ce relativa al diritto al ricongiungimento familiare:
https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2019/IT/COM-2019-162-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.
35
Ad esempio, la suddetta direttiva, che doveva essere recepita entro il 2005, è stata resa operativa dall’Italia con due
anni di ritardo (attraverso il Dlgs 5/2007). Relativamente all’attuazione negli altri Stati membri si veda: https://eur-
lex.europa.eu/legal-content/IT/NIM/?uri=celex:32003L0086.

8
questione della invocabilità della situazione giuridica tutelata dalla direttiva da parte del singolo: essendo
sprovviste di efficacia diretta, in teoria il contenuto delle direttive non potrebbe essere invocato dall’individuo
fino alla loro completa attuazione; in realtà, la giurisprudenza EU, ha previsto che qualora le direttive siano
chiare, precise e non vengano attuate dallo Stato entro i termini previsti, queste possono essere invocate
direttamente dal singolo nelle cause contro lo Stato stesso 36 (si parla infatti di effetto verticale, poiché non
applicabili nelle cause tra individui): questo meccanismo consente al ricorrente di fare valere, di fronte
all’inerzia statale, un diritto attribuitogli dall’ordinamento comunitario e ingiustamente non riconosciutogli (si
parla infatti di effetto sanzionatorio)37.

 Decisione38  Le decisioni EU sono quegli atti che possono essere adottati dal Consiglio
europeo, dal Consiglio o dalla Commissione che, al pari dei regolamenti, sono obbligatorie in
tutti i loro elementi. Se designano i destinatari, sono obbligatorie solo nei confronti di questi: le
decisioni possono essere rivolte tanto agli Stati (si pensi, ad esempio, alle decisioni in materia di
aiuti alle imprese) quanto agli individui persone fisiche o persone giuridiche (come, per
esempio, le decisioni in materia di concorrenza)39. Talvolta, le decisioni possono essere
caratterizzate da portata generale, cioè dal fatto che si rivolgono indistintamente a tutti gli Stati:
si pensi, per esempio, alle decisioni adottate dal Consiglio quando avvia i negoziati per
l’adozione di trattati internazionali.
Le decisioni hanno la stessa portata degli atti amministrativi nazionali, poiché vengono adottate dalle istituzioni
quando sono chiamate ad applicare il diritto dell’Unione alle singole fattispecie concrete.
1.2.2.2 Le fonti secondarie: gli atti non vincolanti
Nella categoria atti secondari non vincolanti sono ricompresi:
1. Raccomandazioni e pareri40  A differenza degli atti ricompresi nella prima categoria, le
raccomandazioni e i pareri non sono degli atti vincolanti, cioè non impegnano direttamente gli
Stati: questi possono essere adottati da tutte le istituzioni Europee e, nonostante sia difficile
distinguerli, le raccomandazioni sono quelle normalmente rivolte agli Stati, che contengono
l’invito a conformarsi ad un determinato comportamento, mentre i pareri sono quegli atti con
cui le istituzioni o gli organi EU esprimono la propria opinione su una determinata questione41.
Per quanto attiene alle raccomandazioni, si pensi, ad esempio, a quelle che ad oggi la Commissione europea sta
adottando per approntare una risposta quanto più coordinata possibile all’emergenza coronavirus: oltre a cercare
delle soluzioni nel campo sanitario, la Commissione si sta adoperando per armonizzare le risposte nazionali
anche in settori come quello economico oppure in materia di frontiere 42. Inoltre, è importante ricordare che nella
categoria dei pareri rientrano altresì quegli atti adottati dagli organi chiamati ad esprimere la loro opinione nel
corso di un processo legislativo in seno all’UE (si pensi, ad esempio, ai pareri del Comitato economico e
sociale).
Nonostante questi atti vengano classificati come “non vincolanti”, la Corte di Giustizia
dell’Unione europea (in particolare con riferimento alle raccomandazioni) ha specificato che gli
Stati devono comunque impegnarsi ad adattare il contenuto dei propri comportamenti a quanto
prescritto dalle istituzioni UE43.
2. Accanto agli atti direttamente previsti dal testo dell’art. 288 TFUE, concorrono
all’implementazione delle fonti secondarie anche i cd atti atipici (così qualificati perché non

36
Si veda, ad esempio, Sentenza della corte 17 ottobre 1989, cause, 231/87 e 129/88, Carpaneto/Piacentino.
37
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., pp. 183-190.
38
“La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di
questi”.
39
Si veda supra, p. 7.
40
“Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti”.
41
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., p. 156.
42
Per ottenere più informazioni si veda: https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response_it.
43
Sentenza della Corte 13 Dicembre 1989, causa 322/88, Grimaldi.

9
direttamente previsti nel testo dell’articolo), i libri bianchi e i libri verdi, nonché le
comunicazioni.
Gli atti atipici si distinguono in atti atipici in senso lato e atti atipici in senso stretto: i primi vengono
tendenzialmente adottati in casi specifici o perché funzionali all’espletamento dell’attività istituzionale (un
esempio sono i regolamenti interni delle istituzioni, che regolamentano i rapporti interni alle istituzioni stesse o
le misure adottate dal Consigli), mentre i secondi sono il frutto di una prassi, progressivamente sviluppatasi,
delle istituzioni EU (fra cui, per esempio, le risoluzioni del Consiglio)44.

1.2.3 Il diritto internazionale


Infine, l’Unione europea è vincolata anche dal diritto internazionale pubblico, sia esso
consuetudinario o convenzionale45.
L’UE è inoltre dotata di personalità giuridica internazionale, da cui deriva, fra le altre cose, la possibilità di
concludere con paesi terzi (o organizzazioni internazionali) degli accordi di diritto internazionale, che producono
effetti sia per l’Unione, sia nei singoli Stati Membri 46: si pensi, ad esempio, al recente Trattato transatlantico sul
commercio e gli investimenti (anche detto TTIP) concluso dall’EU con gli Stati Uniti d’America per
implementare gli scambi tra i mercati dei due paesi; questo accordo, oltre a concorrere all’implementazione
dell’ordine giuridico europeo, produrrà degli effetti anche all’interno del territorio nazionale di ogni singolo
Stato.

1.3 Le istituzioni dell’UE: un’introduzione


Con il Trattato di Lisbona è stato altresì ridisegnato il quadro istituzionale dell’Unione europea; nel
nuovo assetto sono state qualificate come istituzioni dell’Unione il Parlamento, il Consiglio
europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, la Corte dei conti
e la Banca centrale europea47:
1. Parlamento EU  Il Parlamento europeo è l’istituzione che esercita la funzione legislativa, di
bilancio, di controllo (principalmente nei confronti della Commissione), politica e consultiva48;
è composto dai rappresentanti dei cittadini dell’Unione49 (cioè da individui eletti direttamente
dal popolo), ed esercitano le loro funzioni con un mandato di durata quinquennale50.
Inizialmente, i Parlamentari europei non venivano eletti direttamente dai cittadini: prima, infatti, il Parlamento
era composto dai parlamentari nazionali.
2. Consiglio dell’Unione  Il Consiglio dell’Unione (detto anche Consiglio dei ministri) è
l’istituzione che, insieme al Parlamento, esercita la funzione legislativa e di bilancio 51, ed è

44
Ivi, pp. 165-167.
45
Sul punto si vedano appunti di diritto internazionale, parte I, pp. 4 ss.
46
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, op. cit., p. 101.
47
TESAURO, G. Diritto dell’Unione, op. cit., p. 23.
48
Art. 14.1 TUE: “Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di
bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente
della Commissione”.
49
Art. 14.2 TUE: “Il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell'Unione. Il loro numero non può
essere superiore a settecentocinquanta, più il presidente. La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo
degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro. A nessuno Stato membro sono
assegnati più di novantasei seggi. C 326/22 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Il Consiglio europeo adotta
all'unanimità, su iniziativa del Parlamento europeo e con l'approvazione di quest'ultimo, una decisione che stabilisce la
composizione del Parlamento europeo, nel rispetto dei principi di cui al primo comma”.
50
Art. 14.3 TUE: “I membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto, per un
mandato di cinque anni”.
51
Art. 16.1 TUE: “Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di
bilancio. Esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati”.

10
composta dai ministri dei singoli Stati membri52 (proprio per questo si parla del Consiglio anche
come di un organo intergovernativo). Il Consiglio è un organo a formazione variabile, poiché si
riunisce di volta in volta raggruppando i ministri competenti per materia, cioè i ministri idonei
ad esprimersi su quella tematica.
Si pensi, ad esempio, alla recente direttiva sulla plastica monouso approvata, su proposta della Commissione, dal
Parlamento e dal Consiglio53 in cui sedevano i ministri dell’ambiente.
3. Consiglio Europeo  Il Consiglio Europeo è l’istituzione di impulso e di definizione degli
orientamenti politici dell’Unione54; ad oggi composta dai Capi di Stato o di Governo55 (ad
esempio, nel caso italiano è il Capo di Stato, mentre in Francia è quello di Governo).
Il Consiglio è nato dalla prassi delle riunioni dei vertici di Governo, che si incontravano inizialmente per
discutere degli obiettivi della novella Unione. Questa pratica è stata inizialmente formalizzata a Parigi nel 1974
e, successivamente, ha dato vita Consiglio 56.
4. Commissione  Impropriamente definita l’esecutivo dell’Unione, la Commissione è quella
istituzione che, da una parte, promuove gli interessi dell’Unione (anche esercitando l’iniziativa
legislativa) e che, dall’altra vigila sull’applicazione del diritto EU; accanto a queste funzioni
principali, la Commissione esegue il bilancio e gestisce i programmi, svolge attività di
coordinamento, di esecuzione e di gestione delle condizioni previste nei Trattati e, infine,
rappresenta esternamente l’Unione57.
Prima della revisione del Trattato di Lisbona, la Commissione deteneva esclusivamente l’iniziativa legislativa: a
seguito di questa riforma e in alcune aree specifiche, è stato riconosciuto il diritto d’iniziativa legislativa anche
agli Stati membri, al Parlamento EU, alla Corte di Giustizia, alla Banca Centrale e alla Banca Europea per gli
investimenti58
La Commissione è composta da rappresentanti statali indipendenti, che esercitano la loro
attività con mandato quinquennale59.

52
Art. 16.2 TUE: “Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale,
abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto”.
53
Direttiva UE 2019/904 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell’incidenza di
determinati prodotti di plastica sull’ambiente.
54
Art. 15.1 TUE: “Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli
orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative”.
55
Art. 15.2 TUE: “Il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo presidente
e dal presidente della Commissione. L'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
partecipa ai lavori”.
56
TESAURO, G. Diritto dell’Unione, op. cit., p. 31.
57
Art. 17.1 TUE: “La Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tal
fine. Vigila sull'applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati. Vigila
sull'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione europea. Dà esecuzione al
bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite
dai trattati. Assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e
per gli altri casi previsti dai trattati. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per
giungere ad accordi interistituzionali”.
58
TOBLER, C. e BEGLINGER, J. Companion text to: Essential EU Law in charts, Budapest: HVG-ORAC, 2018, p.
27.
59
Art 17.3 TUE: “Il mandato della Commissione è di cinque anni. I membri della Commissione sono scelti in base alla
loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. La
Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l'articolo 18, paragrafo 2, i membri della
Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Essi si
astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l'esecuzione dei loro compiti”.

11
Con il Trattato di Nizza è stato ridotto a 2/3 degli Stati Membri il numero dei componenti della Commissione;
prima di questa riforma, la Commissione era composta da un rappresentante per ogni Stato membro.
5. La Corte di Giustizia europea  La Corte di Giustizia è l’istituzione che esercita la funzione
giurisdizionale, garantendo il rispetto del diritto sia nell’interpretazione, sia nell’applicazione
dei trattati; questa include la Corte di Giustizia (composta da 1 giudice per Stato membro), il
Tribunale (composto da almeno 1 giudice per Stato membro) e i Tribunali specializzati60.
La Corte di Giustizia europea riunisce insieme la Corte di Giustizia, il Tribunale e i Tribunali specializzati.
Questa può, da una parte, esprimersi sulla legittimità degli atti compiuti dalle istituzioni e, dall’altra, ha il dovere
di interpretare il diritto dell’Unione; con questa funzione la CGUE garantisce che il sistema europeo sia
armonico e che le norme, gli atti amministrativi e le prassi nazionali siano compatibili con il diritto dell’Unione.
In questo senso, ha assunto molta importanza la collaborazione tra i giudici nazionali e la CGUE, perché sono i
giudici nazionali che si trovano concretamente a dovere applicare le norme europee. L’interpretazione e la
corretta applicazione delle norme europee si realizza concretamente anche attraverso il cd rinvio pregiudiziale
(art. 267 TFUE)61: il giudice nazionale, investito di una causa per la cui risoluzione risulta necessaria
l’applicazione del diritto europeo, può sospendere il giudizio e chiedere alla CGUE una pronuncia
sull’interpretazione ovvero sulla validità della norma dell’Unione che è chiamato ad applicare per risolvere il
caso di cui è stato investito. Questo strumento consente pertanto, da una parte, di garantire un’applicazione
quanto più armonizzata del diritto europeo tra i Paesi Membri e, dall’altra, di valutare la legittimità di atti
nazionali rispetto a quest’ultimo.
6. La Corte dei Conti  La Corte dei Conti è quella istituzione preposta al controllo delle finanze
dell’Unione europea: questa si occupa, ad esempio, di valutare il bilancio e le politiche
dell’Unione62.
7. La Banca Centrale Europea  La Banca Centrale europea è la banca centrale degli Stati
membri che hanno adottato l’euro e che si adopera per mantenere la stabilità dei prezzi e,
quindi, per garantire il potere d’acquisto della moneta63.

2. Il mercato interno europeo


Il processo d’integrazione europea ha sempre considerato tra i suoi obiettivi principali quello di
creare un mercato interno (detto anche mercato unico o mercato comune, nato dalla fusione dei
singoli mercati nazionali), in cui le merci e i fattori di produzione (lavoro, servizi e capitali)
nazionali avrebbero potuto circolare liberamente64.
La realizzazione di un mercato comune era già stata prefigurata nel Trattato di Roma; all’art. 2 veniva infatti
previsto che: “La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il
graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività
economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un
miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano”.

60
Art. 19.1 TFUE: “La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali
specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati”.
61
“La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei
trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi
dell'Unione. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale
giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla
Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a
una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale
giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente
davanti a una giurisdizione nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più
rapidamente possibile”.
62
Per una panoramica completa delle attività svolte dalla Corte si veda:
https://www.eca.europa.eu/it/Pages/ECAWork.aspx.
63
Per ottenere maggiori informazioni sulla Banca si visiti: https://www.ecb.europa.eu/ecb/html/index.it.html.
64
CHALMERS, D., DAVIES, G. e MONTI, G. European Union Law, Cambridge: Cambridge University Press, 2015,
p. 669.

12
Questa disposizione mostra chiaramente quanto la creazione di un mercato comune fosse uno degli obiettivi
principali della novella Comunità europea e che questo potesse essere realizzato attraverso l’implementazione
armoniosa e armonizzata delle politiche economiche dei singoli Stati membri.
Tra le varie forme d’integrazione economica, il mercato unico è sicuramente quella più avanzata65:
come confermato dallo stesso art. 26 § 2 TFUE “il mercato interno comporta uno spazio senza
frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e
dei capitali secondo le disposizioni dei trattati”.
All’interno del mercato unico europeo, quindi, non viene soltanto garantita la libera circolazione
delle merci, ma anche quella delle persone, dei servizi e dei capitali (si parla infatti delle quattro
libertà fondamentali dell’unione).

2.1 La libera circolazione delle merci


Al centro del sistema del mercato interno è stato collocato il mercato comune delle merci, ossia
l’implementazione di quelle politiche che potessero progressivamente garantire la libera
circolazione dei prodotti di tutti i paesi membri dell’Unione europea all’interno dell’Unione stessa;
questa liberalizzazione è stata progressivamente raggiunta attraverso la creazione di un’unione
doganale (artt. 28-32 TFUE), l’imposizione del divieto di misure fiscali interne discriminatorie sui
prodotti importati (art. 110 TFUE) e l’abolizione delle restrizioni quantitative (e delle misure ad
effetto equivalente) (artt. 34-37 TFUE) per gli scambi tra i Paesi membri66.
La definizione di merce è stata dapprima fornita dalla Corte di giustizia europea nella sentenza Commissione c.
Italia67.In casu, la Commissione aveva richiesto alla CGUE di pronunciarsi sulla compatibilità della legge
italiana n. 1089/1939 relativa alla tutela degli oggetti di antichità ed arte con cui, a seconda dei casi, l’Italia
vietava o subordinava al rilascio di una licenza l’esportazione dei suddetti beni, oppure imponeva una tassa che
variava dall’8% al 30%. In particolare, la Commissione riteneva che questa tassa costituisse una tassa di effetto
equivalente ad un dazio all’esportazione e che, pertanto, fosse vietata ai sensi dell’art. 16 trattato CEE. L’Italia
riteneva invece che questi beni non potessero essere classificati come oggetti di consumo o di uso comune e
pertanto non fossero assoggettati al divieto di imporre dei dazi alle merci. La CGUE, in armonia con la
Commissione, conclude invece che anche agli oggetti d’interesse artistico, storico, archeologico e etnico a cui si
riferiva la legge italiana dovevano essere applicate le disposizioni sull’unione doganale. Invero, queste si
estendono al “complesso degli scambi di merci”, ossia a tutti quei “prodotto pecuniariamente valutabili e come
tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali”.

2.1.1 L’unione doganale


Come previsto dall’art. 28 TFUE “L'Unione comprende un'unione doganale che si estende al
complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali
all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di
una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi”.
Sul piano del diritto OMC, l’unione doganale costituisce un’eccezione rispetto alla clausola della nazione più
favorita sancita dall’Accordo GATT, secondo cui ogni vantaggio concesso ad uno Stato membro deve essere
immediatamente esteso anche a tutti gli altri68. Nello specifico, l’unione doganale costituisce una deroga alla
c.n.p.f. in quanto i vantaggi che si riconoscono agli Stati membri tra di loro non devono essere estesi anche ai
paesi non facenti parte dell’Unione europea. Tale eccezione è invero legittimata dall’art. XXIV GATT69, che

65
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, op. cit., p. 172.
66
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., p. 397.
67
Sentenza della Corte 10 dicembre 1968, causa 7/68, Commissione c. Italia.
68
Sul punto v. infra, capitolo 3a.
69
Par. 5: “Per conseguenza, le disposizioni del presente accordo non intralceranno l’istituzione, tra i territori delle Parti
contraenti, di un’unione doganale o di un’area di libero scambio, oppure la conclusione di un accordo provvisorio inteso
a una siffatta istituzione, sempre a.che, nel caso di un’unione doganale o di un accordo provvisorio inteso a istituirla, i

13
appunto ammette la costituzione di unioni doganali alle seguenti condizioni: a) innanzitutto, queste non devono
avere un impatto negativo tra i paesi aderenti e verso i membri del GATT; b) è poi necessario che all’interno
dell’unione doganale vengano eliminati i dazi (requisito interno) e che c) venga fissata una tariffa doganale
comune verso l’esterno (requisito esterno).
L’unione doganale europea è caratterizzata dalla congiunzione di due aspetti70, quello interno e
quello esterno.

2.1.1.1 L’unione doganale: aspetto interno


All’interno dell’unione doganale, i beni originari dei Paesi membri devono potere quindi circolare
liberamente.
Del sistema di liberalizzazione beneficiano quindi i prodotti originari dei Paesi Membri. Il criterio per
l’applicazione del regime è quindi quello dell’origine delle merci: in linea di principio, il paese di origine di un
prodotto è il luogo di provenienza della merce; d’altra parte, se il procedimento di fabbricazione è stato
particolarmente complesso (e questo accade per quasi quasi tutti i prodotti, eccezion fatta per le materie prime,
per cui il luogo di origine e quello di provenienza tendenzialmente coincidono) e ha riguardato più paesi, il
diritto europeo prevede che l’origine corrisponda al luogo in cui il prodotto ha subito “l’ultima trasformazione o
lavorazione sostanziale”71, ossia il luogo in cui il prodotto ha subito l’ultima trasformazione economicamente e
merceologicamente rilevante. Si pensi, ad esempio, alla commercializzazione di succhi di frutta o di bici
elettriche: nel primo caso, secondo questa disciplina, il luogo di “ultima trasformazione o lavorazione
sostanziale” sarà quello in cui il succo è stato realizzato (e, quindi, non quello di origine del frutto), mentre nel
secondo caso sarà quello in cui il motore è stato prodotto ed apposto (e non quello in cui la bicicletta è stata
fabbricata). Comprendere la reale origine del prodotto diventa rilevante per l’individuazione del dazio da
applicare: come prescritto dallo stesso art. 28 TFUE (e, ancora prima, con la celebre sentenza Cassis de Dijon)72
ai prodotti EU nessun dazio all’importazione o all’esportazione 73 potrà essere applicato (si parla infatti di dazio
zero). Diversamente accade invece per tutti gli altri prodotti: a quelli provenienti da alcuni Paesi in via di
sviluppo (PVS), l’Europa garantisce l’applicazione del sistema generalizzato di preferenze (GSP)74, mentre per
tutti gli altri vale la regola della clausola della nazione più favorita (CNF) stabilita dall’ OMC.

dazi doganali, stabiliti al momento dell’istituzione dell’unione o della conclusione d’un accordo siffatto, non abbiano,
nell’insieme, a essere in generale più elevati, rispetto al commercio con le Parti contraenti che non partecipino a tali
unioni o accordi, né gli altri ordinamenti commerciali a essere più severi, di quanto non siano stati, nei territori che
partecipano all’unione, prima della istituzione di essa o della conclusione dell’accordo;b.che, nel caso di un’area di
libero scambio o di un accordo provvisorio inteso a istituirla, i dazi doganali, mantenuti in vigore in ciascun territorio
che vi partecipi e applicabili, nel momento della istituzione dell’area o della conclusione dell’accordo, rispetto al
commercio con le Parti contraenti che non facciano parte d’un territorio o d’un accordo siffatto, non saranno più elevati,
né gli altri ordinamenti commerciali saranno più severi, di quanto essi non siano stati, nei medesimi territori, prima
dell’istituzione dell’area o della conclusione dell’accordo;c.che qualunque accordo provvisorio, considerato nelle lettere
a e b, rechi un disegno e un programma concernenti l’istituzione, in uno spazio dicevole di tempo, di un’unione
doganale o di un’area di libero scambio”.
70
GODIVEA, G. e LECLER, S. Droit du Marché intérieur de l’Union européenne. Les libertés de circulation et de
concurrence, Parigi : Gualini Editions, 2016, p. 27.
71
Art. 24, Reg. Cons. 2913/92: “Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese
in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in
un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato
una fase importante del processo di fabbricazione”.
72
Sentenza della Corte 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral.
73
A partire dalla sentenza Van Gend en Loos (sentenza della Corte 5 febbraio 1963, causa 26&62) è stato prescritto
che questa clausola venga direttamente applicata. Si veda: https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:61962CJ0026&from=EN
74
Art. 27, Reg. Cons. 2913/92: “Le regole relative all'origine preferenziale determinano le condizioni di acquisizione
dell'origine che le merci devono soddisfare per beneficiare delle misure di cui all'articolo 20, paragrafo 3, lettera d) o e).
Tali regole sono stabilite: a) per le merci figuranti negli accordi di cui all'articolo 20, paragrafo 3, lettera d), nell'ambito
di tali accordi; b) per le merci che beneficiano delle misure tariffarie preferenziali di cui all'articolo 20, paragrafo 3,
lettera e), secondo la procedura del comitato”.

14
Come stabilito dall’art. 30 TFUE75, affinché le merci possano circolare liberamente, gli Stati
devono innanzitutto eliminare tra di loro tutti i dazi e le tasse di effetto equivalente. Per dazio
doganale s’intende qualsiasi onere pecuniario che viene pagato in dogana dall’importatore o
dall’esportatore rispettivamente in ragione dell’importazione o dell’esportazione di una merce, e
che viene calcolato in percentuale rispetto al valore della merce (dazio ad valorem), in base al
valore di una quota per unità di misura (peso, quantità) (dazio specifico), oppure secondo un calcolo
misto, fondato sui due criteri (dazio misto)76.
Il divieto di apporre dazi è assoluto, ossia non conosce eccezione. Questo è stato ribadito più volte anche dalla
Corte europea: si pensi, ad esempio, alla causa Social Fonds Diamantarbeiders Brachfeld e. a77 in cui la Corte è
stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del sistema con cui il Belgio tassava le importazioni di diamanti
per finanziare il Fondo previdenziali per gli operai dell’industria dei diamanti. Il Belgio aveva infatti istituito nel
1960 questo Fondo a tutela degli operai che lavoravano i diamanti e, a partire dal 1962, aveva iniziato a chiedere
agli importatori di corrispondere al Fondo una cifra calcolata in percentuale variabile dall’1-3% rispetto al valore
dei diamanti grezzi importati. La Corte, dopo avere riconosciuto a questi contributi la qualità di dazio, ribadisce
che, indipendentemente dalla loro finalità, questi sono vietati in maniera assoluta, e pertanto non sono mai
giustificabili78.
Per evitare che gli Stati potessero facilmente aggirare il divieto di apporre dei dazi tramite delle
tasse che, pur essendo qualificate diversamente, erano in grado di assolvere sotto il profilo
economico alla medesima funzione, il legislatore europeo ha fatto altresì divieto di tutte le tasse di
effetto equivalente (ai dazi).
La definizione di tassa di effetto equivalente è stata dapprima fornita dalla Corte di Giustizia europea nella causa
Commissione c. Italia79: in casu, la Commissione chiedeva alla Corte europea di valutare se il “diritto di
statistica” pari a 10 lire imposto dall’Italia su ogni tonnellata/quintale di merce esportata nei Paesi membri
costituisse o meno una tassa di effetto equivalente vietata all’interno dell’unione doganale. La Corte,
rispondendo positivamente ai dubbi di compatibilità sollevati dalla Commissione, stabilisce che per tassa di
effetto equivalente si debba intendere ogni “onere pecuniario, sia pur minimo, imposto unilateralmente, a
prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura e che colpisce le merci nazionali o estere in ragione del
fatto che esse varcano la frontiera (…), anche se non sia riscosso a profitto dello Stato, non abbia alcun effetto
discriminatorio o protezionistico e il prodotto colpito non sia in concorrenza con un prodotto nazionale”.
Pertanto, le tasse di effetto equivalente sono caratterizzate da tre elementi:
 Onere pecuniario  Queste consistono innanzitutto in una prestazione di carattere economico, anche
irrisoria;
 Imposto unilateralmente  Questi oneri vengono richiesti unilateralmente dallo Stato. Sono pertanto
esclusi tutti quei corrispettivi versati a fronte di servizi effettivamente prestati: si pensi, ad esempio, al
caso Ligur Carni80, in cui la CGUE ha escluso che il “diritto di visita” (ossia la cifra pecuniaria pari al
costo della visita a cui doveva essere sottoposta la carne per potere oltrepassare il confine) fatto pagare
agli importatori italiani per le carni macellate all’estero costituisse una tassa di effetto equivalente. Questo
diritto doveva infatti essere versato in qualità di corrispettivo dei controlli sanitari esperiti, e pertanto
faceva difetto della caratteristica di imposizione unilaterale.
 Passaggio alla frontiera  Questo onere deve infine essere riscosso al momento del passaggio della merce
alla frontiera. Questo requisito è stato invero interpretato con una certa ampiezza: ad esempio, nel caso

75
“I dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri.
Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale”.
76
MARTINES, F. Il mercato interno dell’Unione Europea, Maggioli editore: Santarcangelo di Romagna, 2014, pp. 9-
10.
77
Sentenza della Corte 1 luglio 1969, cause riunite 2 e 3-69, Sociaal Fonds voor de Diamantarbeiders contro S.A. Ch.
Brachfeld & Sons e Chougol Diamond Co.
78
Par. 13/14: “I dazi doganali sono vietati a prescindere da qualsiasi considerazione circa lo scopo in vista del quale
sono stati istituiti, come pure circa la destinazione dei proventi che ne derivano. La giustificazione di detto divieto va
ricercata nell'ostacolo che gli oneri pecuniari — sia pure minimi — applicati in ragione del passaggio delle frontiere
costituiscono per la circolazione delle merci”.
79
Sentenza della Corte dell’1 luglio 1969, causa 24-68, Commissione c. Italia.
80
Sentenza della Corte 15 Dicembre 1993, cause riunite C-277/91, C-318/91 E C-319/91,Ligur Carni.

15
Carbonati apuani81, è stata qualificata dalla CGUE tassa di effetto equivalente anche quella tassa che
veniva imposta dal comune di Massa Carrara sui marmi estratti nel suo territorio in occasione della loro
uscita dal territorio comunale (quindi non nazionale).
2.1.1.2 L’unione doganale: aspetto esterno
La peculiarità delle unioni doganali consiste proprio nell’aspetto esterno: gli Stati della Comunità
Europea, infatti, condividono anche la medesima tariffa doganale (TARIC, applicata alle merci in
funzione di un sistema armonizzato che ne permette la nomenclatura)82 verso i paesi terzi. Questo
significa che la merce importata dall’estero sarà soggetta alla medesima tariffa indipendentemente
dal luogo in cui valica il confine e che (ricollegandoci al primo aspetto) una volta pagato il dazio, il
prodotto circoerà liberamente nel territorio europeo (cd merci in libera pratica).
Proprio questo aspetto rende più difficile la costituzione di unioni doganali: il problema, infatti, riposa
principalmente sul diverso grado di sensitivity che gli Stati hanno rispetto ad un determinato prodotto; in Europa
la produzione è fortemente diversificata e ogni Stato è più sviluppato in un settore rispetto ad altri: ad esempio,
la Germania è molto forte nel settore automobilistico, l’Italia in quello manifatturiero e la Francia nel settore
primario. In tal senso, la rispettiva importazione dall’estero di auto, di prodotti industriali e di beni agricoli
attraverso l’applicazione della medesima tariffa non soddisfa i diversi bisogni di protezione che, invece,
poterebbero essere appagati all’interno di una zona di libero scambio (come, ad esempio, il NAFTA tra Stati
Uniti, Canada e Messico).

2.1.2 Oltre l’unione doganale: il divieto di imposizioni fiscali discriminatorie


Per garantire una piena circolazione delle merci, al divieto sancito dall’art. 30 TFUE di applicare
dazi o altri oneri ai prodotti destinati all’esportazione o in provenienza da altri Stati membri, si
affianca il divieto, sancito dall’art. 110 TFUE83, di applicare tributi interni avente carattere
discriminatorio nei confronti di merci originarie di altri Stati membri.
La disposizione in esame contempla due ipotesi distinte:
 Innanzitutto, viene fatto divieto di applicare dei tributi interni superiori rispetto a quelli
applicati ai prodotti nazionali similari. La verifica della sussistenza del suddetto divieto
prevede che inizialmente debba essere accertata la similarità tra i prodotti presi in
considerazione e, successivamente, che esista effettivamente una discriminazione
impositiva, nel senso che l’imposta sul prodotto importato è superiore rispetto a quella
praticata sul prodotto nazionale similare.
Per prodotti similari s’intendono quelli che presentano delle caratteristiche analoghe e che mirano a soddisfare
bisogni analoghi del consumatore. Ad esempio, nella causa Commissione c. Danimarca84, la CGUE ha accertato
che i vini d’uva e quelli ricavati da frutta fossero dei prodotti similari, poiché le loro caratteristiche, la loro
fabbricazione e la medesima gradazione alcolica consentivano di soddisfare i medesimi bisogni dei consumatori.
In casu, la Commissione aveva presentato ricorso alla CGUE, richiedendo che questa dichiarasse l’imposta
maggiore praticata dalla Danimarca sui vini d’uva rispetto a quella prevista per i vini da frutta fosse contraria
all’art. 95 del trattato CEE (ora art. 110 TFUE), in quanto assoggettava ad un regime fiscale diverso dei prodotti
similari importati. In particolare, la legge danese n. 98/1971 (poi modificata nel 1984 con la legge n. 149)
prevedeva un regime fiscale differente per i vini d’uva e i vini da frutta, stabilendo per i primi un’aliquota
dell’accisa per litro ben superiore rispetto a quella imposta sui secondi. Secondo la Commissione i vini d’uva e
quelli da frutta costituivano prodotti similari e il regime fiscale danese differente presentava un carattere
discriminatorio e protezionistico, in quanto i vini da frutta erano risaputamente prodotti nazionali tipici, mentre

81
Sentenza della Corte 9 settembre 2004, causa 72/03, Carbonati Apuani.
82
Reg. Cons. 2658/87; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31987R2658&from=en
83
“Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne,
di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. Inoltre,
nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente
altre produzioni”.
84
Sentenza della Corte 4 marzo 1986, causa 106/84, Commissione c. Danimarca.

16
quelli d’uva venivano generalmente importati. Dalla sua parte, invece, il governo danese contestava la violazione
dell’art. 95 del trattato CEE, ritenendo che i due vini non potessero essere classificati come “prodotti similari”.
Al fine di verificare il carattere di similarità su cui si fonda il divieto dell’art. 95 trattato CEE, la Corte deve
esaminare se i due prodotti presentino (o meno) delle proprietà analoghe e se sono in grado di soddisfare i
medesimi bisogni dei consumatori. Muovendo dalla constatazione che i due vini presentavano delle proprietà
analoghe (in particolare: originavano dal medesimo prodotto base, erano ottenuti con lo stesso processo di
fermentazione naturale e possedevano le medesime qualità organolettiche come gusto e gradazione), la Corte
conclude che le due tipologie di vino sono in grado di soddisfare le medesime esigenze dei consumatori e che,
pertanto, devono essere classificati come “prodotti similari” ai sensi dell’art. 95, comma 1, trattato CEE. Una
volta constatato il carattere di similarità, la Corte si è soffermata sulla possibile natura discriminatoria della
palese differente imposizione fiscale, concludendo che questa fosse incompatibile con il diritto comunitario dal
momento in cui gravava su prodotti importati. Pertanto, la Corte conclude che, imponendo un trattamento fiscale
differente sui vini d’uva e quelli da frutta, la Danimarca ha violato l’art. 95 trattato CEE. Tra l’altro, per quanto
attiene alla discriminazione impositiva, la giurisprudenza ha chiarito che l’indagine non deve essere limitata
soltanto al livello di imposizione, ma deve estendersi anche alla base imponibile, ossia alle modalità con cui il
tributo viene applicato. Ad esempio, nella causa Commissione c. Francia85, la CGUE ha dichiarato contrario
all’art. 95 trattato CEE il sistema fiscale francese (in particolare: art. 574A code général des impôts, CIG86) con
cui veniva imposta una tassazione diversa per le sigarette di tabacco scuro (prodotto tipicamente nazionale) e
quelle di tabacco chiaro (prodotto tipicamente importato), in forza del fatto che l’importo minimo per
l’applicazione del dazio al consumo fosse più elevato per le seconde (500 F.) rispetto alle prime (400 F.). Nello
specifico, la Corte, dopo avere assodato la similarità tra i prodotti, ha esaminato se l’art. 575A CIG con cui
appunto veniva fissato un importo minimo percettibile dell’imposta di consumo più elevato per le sigarette di
tabacco chiaro rispetto a quelle di tabacco scuro, fosse o meno discriminatorio. Rilevando che un sistema
impositivo così concepito avesse come conseguenza quella di fare rientrare nella categoria fiscale più
vantaggiosa soltanto i prodotti di produzione nazionale (a discapito di quelli importati), la Corte ha concluso per
la sua contrarietà all’art. 95 trattato CEE.

 La seconda ipotesi contemplata da questa disposizione concerne invece l’imposizione diretta


a proteggere un prodotto nazionale che sia in concorrenza con quello importato.
Questo paragrafo si riferisce a tutti quei casi in cui due prodotti, pur essendo diversi, si trovano tuttavia in un
rapporto di concorrenza, perché in grado di soddisfare le medesime esigenze dei consumatori e di essere pertanto
consumati in occasioni pressocché uguali. Ad esempio, nella causa Commissione c. Italia87, la Commissione
aveva adito la CGUE chiedendole di dichiarare la misura con cui l’Italia istituiva un’imposta di consumo sulle di
banane fresche, secche, nonché di farina di banane, contraria all’art. 95 trattato CEE. In particolare, la
Commissione riteneva che questa misura avesse uno scopo squisitamente protezionistico, volto a discriminare
prodotti d’importazione come le banane rispetto alla frutta da tavola di produzione (soprattutto) nazionale (come
mele, pere, pesche, prugne, albicocche, ciligie, arance e mandarini). Non essendo prodotti similari (quindi
escludendo l’applicabilità del comma 1 dell’art. 95 CEE), la Corte si chiede pertanto se questi si trovino
quantomeno in un rapporto di concorrenza, ossia se banane e frutta tavola siano in grado di soddisfare,
parzialmente o totalmente, le stesse esigenze dei consumatori di frutta e quindi, in ultima istanza, se
l’imposizione italiana abbia come ultimo effetto quello di proteggere indirettamente la frutta da tavola di
produzione tipicamente italiana. Invero, l’assenza di un’imposta al consumo sui prodotti tipicamente nazionali ha
come potenziale conseguenza quella di diminuire il consumo dei prodotti freschi importanti, che costituiscono
una scelta alternativa per i consumatori di frutta. Per questo motivo, la Corte ha ritenuto che, almeno
relativamente alle banane fresche, la normativa italiana fosse contraria al comma 2 dell’art. 95 CEE (ora 110
TFUE).
Questa norma non impedisce pertanto agli Stati di tassare i prodotti provenienti da altri Stati
membri, ma impone che la tassazione non avvenga né con scopi discriminatori (intesi, in ultima

85
Sentenza della Corte del 27 febbraio 2002, causa 302/00, Commissione c. Francia.
86
“L'importo minimo percettibile menzionato nell'art. 575 è fissato in F 500 per le sigarette. Tuttavia, per le sigarette di
tabacco scuro, detto importo minimo è fissato in F 400, e in F 420 dal 1° gennaio 1999. Detto importo minimo è fissato
in F 230 per i tabacchi trinciati a taglio fino destinati al confezionamento manuale delle sigarette. Sono considerate
sigarette di tabacco scuro le sigarette la cui composizione in tabacco naturale comprende un minimo del 60% di
tabacchi rientranti nei codici NC 2401.10.41, 2401.10.70, 2401.20.41 o 2401.20.70 della tariffa doganale”.
87
Sentenza della Corte 7 maggio 1987, causa 184/85, Commissione c. Italia.

17
istanza, a favorire i prodotti nazionali), né con scopi protezionistici (finalizzati alla salvaguardia
della produzione interna)88.
Per non essere vietato ai sensi dell’art. 110 TFUE, è necessario che il tributo interno sia caratterizzato da
generalità e astrattezza, dunque che sia totalmente indifferente rispetto all’origine del prodotto; a tal fine, il
concetto di discriminazione è sempre stato inteso in maniera molto ampia (qualsiasi misura che possa
scoraggiare l’importazione di un prodotto straniero a vantaggio di quelli nazionali), e il divieto è stato esteso
anche a quei tributi concepiti per tassare l’uso di un prodotto, il trasportatore del prodotto o, ancora, prevedendo
che soltanto i produttori nazionali potessero beneficiare del sistema di dilazioni del pagamento d’imposta 89.

2.1.3 Olte l’unione doganale: l’abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure d’effetto
equivalente
La disciplina del mercato unico è infine completata dal divieto di ostacoli diversi da quelli tariffari,
ovvero dalla proibizione di qualsiasi restrizione quantitativa e di qualsiasi misura di effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa, rispettivamente per le importazioni e le esportazioni di
merci europee (artt. 3490-3591 TFUE). La nozione di restrizione quantitativa è pacifica, e può essere
intesa come quel provvedimento che vieta, in tutto o in parte, l’importazione o l’esportazione di un
prodotto, cioè una misura che limita il quantitativo di merce importabile/esportabile in/da un paese
diverso da quello di origine.
Secondo la Corte di Giustizia EU “il divieto di restrizioni quantitative riguarda le misure aventi il carattere di
proibizione, totale o parziale, d’importare, d’esportare o di fare transitare a seconda dei casi” determinate
merci92.
Più problematica appare invece la nozione di misura di effetto equivalente, un unicum tra le norme
regolatrici del commercio internazionale93. Per poterne comprendere appieno la portata, è quindi
necessario valutare singolarmente i due elementi che la compongono:

 “Misura”  Per tale intendendosi qualsiasi atto o comportamento che sia riferibile ad un
pubblico potere;
Questa nozione non ricomprende unicamente le norme di origine statale, ma anche quelle adottate da
entità territoriali, nonché gli atti degli organismi pubblici dotati di potere normativo in un determinato
settore o, ancora, le prassi amministrative e le decisioni giudiziarie.

 “Di effetto equivalente”  La definizione di questa espressione è stata fornita dalla Corte
nella celebre sentenza Dassonville, in cui ha chiarito che costituisce misura avente un effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa “ogni normativa commerciale degli Stati membri
che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi
intracomunitari”94.
In casu, i signori Dassonville (padre e figlio) erano stati sottoposti a procedimento penale in Belgio per
avere ivi importato dalla Francia un whisky scozzese non accompagnato da certificato di origine (come
richiesto dal regio decreto Belga), ma soltanto dalla etichettatura richiesta in Francia (ove la merce si
trovava già in libera pratica). Innanzi alla Corte di Bruxelles, i signori Dassonville sostengono che il regio
decreto Belga con cui veniva condizionata la commercializzione di un prodotto all’ottenimento del
certificato di origine fosse incompatibile con il divieto sancito dall’art. 30 trattato CEE. Invero, questa

88
DANIELE, L. Diritto del mercato unico europeo, Milano: Giuffré Editore, 2012, p. 49.
89
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., pp. 418-419.
90
“Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonché qualsiasi misura di effetto
equivalente”.
91
“Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente”.
92
Sentenza della Corte 12 luglio 1973, causa 2/73, Geddo.
93
CONTALDI, G. Diritto europeo dell’economia, Torino: Giappichelli Editore, 2019, p. 38.
94
Sentenza della Corte 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville.

18
rendeva impossibile importare in Belgio delle merci provenienti da un paese diverso da quello di origine
(cd importazioni parallele o indirette) solo perché il paese di provenienza (in casu la Francia) non
prevedeva una disciplina analoga al certificato di origine. Su rinvio pregiudiziale della Corte di Bruxelles,
la CGUE deve pronunciarsi circa la possibilità che la suddetta norma interna con cui si vieta
l’importazione di un prodotto recante la denominazione di origine ma non il relativo certificato debba
essere o meno considerata una misura di effetto equivalente ex art. 30 trattato CEE. La Corte conclude
che la normativa Belga con cui si richiede all’importatore diretto il certificato di origine di un prodotto
acquistato in un paese diverso (da quello di origine) e in cui questo si trovava già in libera pratica
costituisce una misura di effetto equivalente incompatibile con il trattato.
La definizione fornita dalla suddetta formula appare particolarmente ampia: invero, la
sussistenza della misura prescinde da una verifica concreta della sua incidenza (“in
potenza”), dall’entità dell’ostacolo (“ogni normativa”) e anche dal suo carattere (o meno)
discriminatorio. Questo comporta che, alla stregua delle misure distintamente applicabili
(applicate solo ai prodotti stranieri e vietate a prescindere), anche quelle indistintamente
applicabili (applicate sia ai prodotti stranieri, sia a quelli nazionali) sono di norma vietate se
in grado di ostacolare la circolazione delle merci95.
Si pensi, ad esempio, a quelle misure che fissano un prezzo minimo o massimo per la vendita di un
prodotto: in questi casi, un prezzo massimo troppo basso così come un prezzo minimo troppo elevato
potrebbero nel primo caso svantaggiare l’importazione degli stessi prodotti da altri paesi e nel secondo
sfavorire i prodotti importati per sé, che non sarebbero quindi più concorrenziali rispetto a quelli
nazionali. Relativamente alla prima questione si veda, ad esempio, il caso Tasca96, in cui la Corte
europea, su rinvio pregudiziale del Tribunale di Padova, era stata chiamata a stabilire se una normativa
italiana (provvedimento CIP 28/1974) con cui veniva fissato il prezzo massimo per il commercio
nazionale dello zucchero, costituisse o meno una misura di effetto equivalente vietata ex art. 30 trattato
CEE. La Corte muove dal presupposto che un prezzo massimo indistintamente applicabile ai prodotti
nazionali e stranieri non costituisce di per sé una misura di effetto equivalente, ma lo può diventare se
viene fissato ad un livello tale per cui lo smercio dei prodotti importati diventi impossibile. Pertanto, la
Corte conclude che un prezzo massimo è idoneo a costituire una misura di effetto equivalente ad una
restrizione quantitativa alle importazioni se è fissato ad un livello talmente basso da finire inevitabilmente
con lo scoraggiare tutti gli operatori dall’importarlo, perché si troverebbero comunque sempre in perdita.
La vera portata della giurisprudenza europea sulle misure indistintamente applicabili si ha
però relativamente ai cd ostacoli tecnici: invero, la realizzazione di un vero e proprio
mercato interno è stata a lungo ostacolata dall’esistenza di norme tecniche statali che, seppur
indistintamente applicabili, finivano con il fissare i requisiti di fabbricazione che i prodotti
dovevano possedere per potere circolare liberamente97. Questa questione è stata affrontata
nel celebre caso Cassis de Dijon98, in cui la CGUE ha affermato che, in assenza di
armonizzazione a livello europeo, i prodotti legalmente commercializzati in uno Stato
membro devono potere essere commercializzati in tutti gli altri Stati della comunità (cd
principio del mutuo riconoscimento).

In casu, l’amministrazione federale dell’alcool tedesca aveva opposto alla società tedesca Rewe-Zentral
AG il divieto di rivendere in Germania il Cassis de Dijon (un vino liquoroso francese), poiché possedeva
un tasso alcolemico inferiore rispetto a quello minimo richiesto dalla legge tedesca per la
commercializzazione delle bevande. La Rewe-Zentral impugnava il provvedimento innanzi al tribunale
amministrativo di Darmstadt che, a sua volta, rinviava al Tribunale finanziario dell’Assia che sospendeva
il procedimento richiedendo alla CGUE di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla possibilità che questa
legge costituisse una misura di effetto equivalente vietata ai sensi dell’art. 30 trattato CEE. La Corte
ammette innanzitutto che, in assenza di una normativa europea armonizata, la disciplina sulla produzione
e sul commercio di alcool e bevande alcoliche spetta ai singoli Stati membri. D’altra parte, una normativa

95
CONTALDI, G. Diritto europeo, p. 40.
96
Sentenza della Corte 26 febbraio 1976, causa 65/75, Tasca.
97
Ibidem.
98
Sentenza della Corte20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral.

19
che ostacola la circolazione delle merci è ammissibile soltanto se finalizzata a tutelare delle esigenze
imperative. Nel caso di specie, la Germania adduce che la summenzionata legge è stata concepita per
tutelare sia la salute delle persone (che erano quindi invogliate ad acquistare meno alcool), sia il
consumatore dalle pratiche sleali di produttori o distributori di bevande alcooliche. La Corte, ritenendo
però che le prescrizioni sulla gradazione minima non fossero idonee a perseguire questi scopi, conclude
che “non sussiste (quindi) alcun valido motivo per impedire che bevande alcoliche, a condizione ch'esse
siano legalmente prodotte e poste in vendita in uno degli Stati membri, vengano introdotte in qualsiasi
altro Stato membro”. Pertanto, il Giudice europeo afferma che la legge tedesca costituisce una misura
d’effetto equivalente vietata e, pertanto, che il Cassis de Dijon dovesse potere essere commercializzato.
Questi articoli (34 e 35 TFUE) hanno quindi come scopo comune quello di evitare che la
commercializzazione dei prodotti possa essere limitata attraverso delle barriere non tariffarie che
fissano (direttamente o indirettamente) un limite (assoluto o relativo) alla loro importazione o
esportazione e quindi, in ultima istanza, perseguono l’obiettivo della realizzazione di un mercato
comune e sempre più integrato.D’altra parte, questo divieto non è assoluto: invero, lo stesso art. 36
TFUE elenca una serie di eccezioni di natura non economica che possono essere addotte per
giustificare misure nazionali in grado di limitare lo scambio di merci.
L’articolo 36 p. 1 TFUE stabilisce infatti che “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i
divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di
preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela
della proprietà industriale e commerciale”.
Tuttavia, la loro ammissibilità è valutata alla luce di un giudizio di proporzionalità.
Invero, la Corte europea valuta di caso in caso se le misure statali sono idonee e necessarie rispetto al loro
obiettivo, ossia se sono adeguate e se non esista una misura meno incisiva che permetterebbe comunque di
soddisfarlo99. Ad esempio, nel caso Laboratoire de prothèses oculaires100, la Corte europea (su rinvio della Cour
de Cassation francese) è stata chiamata a valutare la giustificabilità del code de la santé publique francese che
vieta la vendita delle lenti a contatto da parte di coloro che non possiedono il diploma di ottico (o equivalente)
alla luce dell’art. 36 TFUE (motivi di salute). La CGUE stabilisce innanzitutto che la suddetta disciplina, che
riserva la vendita di un determinato prodotto ad una certa categoria di professionisti, consiste in una misura di
effetto equivalente a una restrizione quantita alle importazioni ex art. 34 TFUE. La Francia adduceva la sua
giustificabilità alla luce della necessità di tutelare la salute dei consumatori. In armonia, la Corte riteneva che una
normativa nazionale con cui si riservava ad operatori qualificati la vendita di prodotti destinati ad una funzione
propria dell’organismo fosse giustificata dalla tutela della salute e che questa fosse proporzionale in quanto sia
idonea a raggiungere l’obiettivo, sia perché non andava oltre il necessario per farlo. Ancora, nella causa
DocMorris101, la Corte era stata chiamata a valutare la compatibilità con l’art. 36 TFUE di una normativa tedesca
che circoscriveva la vendita dei farmaci alle farmacie e pertanto aveva come effetto quello di vietare l’acquisto
di medicinali tramite internet (ciò che veniva criticato dalla Germania a Docmorris, SPA olandese che smerciava
farmaci anche per corrispondenza). In casu, la giustificabilità di questa disciplina era stata analizzata
distinguendo tra i medicinali che necessitavano di una prescrizione e quelli che invece potevano essere venduti
senza. La Corte europea conclude che un fondato interesse alla tutela della salute sussista soltanto per i primi (si
pensi, ad esempio, alla necessità di verificare l’autenticità delle ricette) e che, relativamente a questi, la misura
contestata fosse proporzionata, nella misura in cui era idonea a soddisfare l’interesse tutelato e necessaria, poiché
non comprometteva più di quanto dovuto gli scambi intracomunitari. Diversamente, il divieto di vendere tramite
internet i medicinali cd in automedicazione risultava eccessivo.
In ogni caso, queste misure non devono mai costituire un mezzo di discriminazione o una
restrizione dissimulata del commercio.
L’art. 36 c. 2 TFUE conclude infatti che “tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di
discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”.

99
DRAETTA, U. e PARISI, N. Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte speciale. Il diritto sostanziale, Milano:
Giuffré Editore, 2010, p. 121
100
Sentenza della Corte 25 maggio 1993, causa 271/92, Laboratoire de prothèses oculaires.
101
Sentenza della Corte 11 dicembre 2003, causa 322/01, Docmorris.

20
L’art. 36 TFUE presenta forti somiglianze con l’art. XX GATT102 e, come questo, infatti, elenca le
ragioni per cui uno Stato può legittimamente adottare delle restrizioni o delle misure di effetto
equivalente al commercio di beni. A differenza di quest’ultimo, e nonostante le eccezioni ivi
indicate siano state concepite come un elenco tassativo, l’art. 36 TFUE è stato tuttavia interpretato
più ampiamente, facendovi talvolta rientrare anche delle eccezioni non espressamente previste dal
suo testo. Invero, l’emersione di nuovi interessi ed esigenze non ricompresi nella lettera della sua
disposizione (rimasta invariata dal Trattato di Roma) hanno spinto la giurisprudenza a concepire
una nuova categoria di eccezioni, conosciute come “esigenze imperative”103. Anche in questi casi,
però, la giustificabilità di misure limitative al commercio intracomunitario per esigenze imperative
deve essere valutata alla luce del principio di proporzionalità.
Questa categoria è stata dapprima elaborata nella celebre sentenza Cassis de Dijon (in cui la Corte ha ammesso
che uno Stato può addurre il rifiuto all’ingresso di merci provenienti da un altro Stato membro solo qualora
questo dipenda dall’esistenza di esigenze imperative relative alla tutela di interessi generali)104 e poi
ulteriormente elaborata tanto a livello normativo, quanto a livello giurisprudenziale. Ad esempio, nella sentenza
Cotonella, è stata ravvisata l’esigenza imperativa di tutelare i consumatori: in casu, e nonostante con sentenza di
appello del Tribunale di Milano fosse stato vietato perché considerato ingannevole, la società Fransa continuava
a distribuire in Italia i prodotti del marchio Cotonella. Contro quest’ultima agisce innanzi al Tribunale di
Chiavari la società Graffione che, a partire dalla pronuncia delle sentenza del Tribunale di appello di Milano,
aveva invece smesso di rifornire i propri clienti. Quest’ultima propone un’azione inibitoria contro la Fransa per
concorrenza sleale; da parte sua, la Fransa, sostiene invece che la sentenza del Tribunale di Milano costituisce
una misura d’effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazione contraria all’art. 30 trattato
CEE, poiché impedisce di importare e commercializzare in Italia un prodotto in libera pratica in altri Paesi
(Francia). Il Tribunale di Chiavari sospende quindi il giudizio e rinvia alla CGUE. La Corte europea stabilisce
innanzitutto che questa decisione costituisce una misura d’effetto equivalente: invero, questa ha come
conseguenza non soltanto quella di vietare al titolare del marchio di commercializzare determinati prodotti, ma
impedisce anche ai commercianti di importarli da altri paesi. D’altra parte, la Corte ricorda che suddette misure
possano essere ammesse alla luce di esigenze imperative, e purché siano proporzionate allo scopo perseguito. In
questo caso, la Corte rileva che la sentenza con cui si impedisce a tutti i rivenditori la commercializzazione dei
suddetti prodotti sia idonea a tutelare il consumatore e che non esista una misura che permetta di imporre un
sacrifico minore. Pertanto, la misura è stata ritenuta compatibile con gli artt. 30 e 36 trattato CEE. Al contrario,
nella causa Pasta – Zoni105, la CGUE ha ritenuto che il divieto di importare e di vendere pasta a grano tenero per
tutelare i consumatori italiani fosse sproporzionato rispetto allo scopo: invero, secondo la Corte europea, la
garanzia della possibilità per i consumatori di operare una scelta consapevole poteva essere soddisfatta anche con
mezzi meno invasivi rispetto al divieto di importazione come, ad esempio, la predisposizione di un sistema di
etichettatura adeguato o di informazione nei ristoranti. In Italia, con la Legge n. 580/1967 (in particolare: artt. 29
e 36) era stata invero vietata l’importazione e la commercializzazione di pasta a grando tenero. Il Signor Zoni,
che era stato scoperto a vendere pasta a grano misto (duro e tenero), era stato pertanto sottoposto a procedimento
penale. Con rinvio pregiudiziale alla CGUE, il Tribunale di Milano aveva chiesto che venisse valutata la
compatibilità della suddetta normativa nazionale con gli artt. 30 e 36 trattato CEE, sollevando la possibilità di
eccepirvi per la necessità di tutelare i consumatori. La Corte, dopo avere valutato il caso, stabilisce che questa
normativa è in realtà incompatibile con la disciplina europea perché costituisce una misura di effetto equivalente
sproporzionata rispetto alla necessità di tutelare il cittadino: tale obiettivo può essere infatti perseguito anche
attraverso misure che impongono un sacrificio minore.

102
Sul punto si confrontino gli appunti di diritto internazionale, pt. II, pp. 24 ss.
103
PONCELET, C. Free movement of goods and environmental protection in EU law: troubled relationship,
International Community Law Review, 2013, 15(2), p. 182.
104
Sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, punto 8: “gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria
derivanti da disparità delle legislazioni nazionali relative al commercio dei prodotti di cui trattasi vanno accettati
qualora tali prescrizioni possano ammettersi come necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in
particolare, all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e
alla difesa dei consumatori”.
105
Sentenza della corte 14 luglio 1988, causa 90/86, Pasta Zoni

21
2.2 La libera circolazione delle persone e dei servizi
Come già accennato, il mercato interno europeo è una forma di cooperazione più elaborata
dell’unione doganale, poiché non prevede soltanto la libera circolazione delle merci, ma anche, fra
le altre, quella delle persone. Nel Trattato di Roma, la libera circolazione delle persone era stata
pensata solo in senso economico, ossia per facilitare unicamente quegli spostamenti finalizzati
all’espletamento di un’attività economica transfrontaliera. Nonostante questa iniziale
predisposizione, nel corso degli anni, il diritto dell’Unione ha riconosciuto questa libertà alla quasi
totalità delle persone che hanno la cittadinanza di uno Stato membro, indipendentemente quindi
dalla necessità di svolgere o meno un’attività lavorativa106.
Ad esempio, è stato riconosciuto che possano liberamente circolare nel territorio dell’Unione i cittadini europei
alla ricerca di un lavoro e gli studenti che vogliano formarsi professionalmente. Questo nuovo approccio alla
libera circolazione delle persone, inteso alla definizione di un regime applicabile a tutti 107, è stato accolto nella
Direttiva 2004/38/CE, che riconosce a tutti i cittadini EU e ai loro famigliari il diritto di circolare e soggiornare
liberamente sul territorio dell’Unione.
Ai fini del TFUE, sono considerate persone:
1. Le persone fisiche  L’art. 21 TFUE prevede che “Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni
e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi”.
L’art. 21 TFUE riconosce il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione a tutti i
cittadini che hanno la cittadinanza europea ossia, seguendo l’art. 20 TFUE, a chiunque “abbia la cittadinanza di
uno Stato membro”: questo implica che lo status di cittadino europea dipenda dal previo riconoscimento della
cittadinanza da parte di uno stato membro.
2. Le persone giuridiche  Specularmente, l’art. 54 TFUE ammette che “Le società costituite
conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale,
l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono
equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche
aventi la cittadinanza degli Stati membri”.
Come per le persone fisiche, anche nei confronti di quelle giuridiche non viene prevista una regola generale che
definisca in maniera armonizzata chi siano le società che possono godere di questi diritti: il loro riconoscimento
dipende, in ultima istanza, dalle modalità di attribuzione previste a livello nazionale108. Invero, per quanto attiene
a queste ultime, non è necessario che il Paese di costituzione e quello in cui la società ha la sua sede,
amministrazione o centro coincidano: si pensi, ad esempio, alla Fiat s.p.a costituita in Italia e avente ora la sua
sede legale nei Paesi Bassi.
Nonostante la libera circolazione sia ad oggi estesa a tutte le persone (fisiche/giuridiche) aventi la
cittadinanza di uno Stato membro, la circolazione economica (quindi dei lavoratori) ricopre ancora
un’importanza fondamentale.
Nonostante la libera circolazione economica raggruppi tre distinte libertà (libera circolazione dei lavoratori
subordinati, libera circolazione dei lavoratori autonomi e libera circolazione dei prestatori di servizio) le
condizioni per godere dei diritti che vi discendono sono tuttavia le medesime 109:
 Cittadinanza di uno Stato membro  Come già specificato, la libera circolazione viene garantita a tutte quelle
persone che posseggono la cittadinanza di uno Stato membro. Invero, le modalità di acquisizione della stessa
variano di Stato in Stato. Ad esempio, in Italia, la cittadinanza delle persone fisiche può essere acquisita iure
sanguinis (nascita o adozione da parte di cittadini italiani), iure soli (nel caso di genitori apolidi o ignari) o,

106
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit, p. 477.
107
GODIVEA, G. e LECLER, S. Droit du Marché intérieur, op. cit., p. 95.
108
Ivi, p. 128.
109
CONTALDI, G., Diritto europeo, op. cit., pp. 80 ss.

22
ancora, se uno straniero soggiorna per almeno 10 anni nel territorio nazionale (fermi restando gli ulteriori
requisiti posti dalla legge) o per matrimonio110.
 Attività lavorativa  In secondo luogo, è necessario che la persona si sposti per svolgere un’attività lavorativa,
ossia un’attività economica retribuita. Il soddisfacimento di questo requisito è stato invero ampiamente
interpretato dalla Corte. Ad esempio, nel caso Jundt111, la Corte ha chiarito che anche le attività svolte in
regime di quasi gratuità possono essere classificate come “lavorative” se vengono economicamente
corrisposte: in casu, seppur il signor Jundt avesse ricevuto una cifra irrisoria per la sua attività di
insegnamento, la sua attività era nondimeno classificabile come “economica”, in funzione del fatto che fosse
stata retribuita (e quindi indipendentemente dal quantum).
 Situazione transnazionale  Infine, è necessario che l’attività lavorativa venga svolta in uno Stato diverso da
quello di cui il cittadino possiede la cittadinanza. In altre parole, sono quindi escluse dall’applicazione delle
disposizioni europee le situazioni puramente interne. Anche questo requisito è stato però ampiamente
interpretato dalla Corte europea: ad esempio, nel caso Bouchouca112, la Corte europea ha ritenuto che potessero
essere invocati i diritti di circolazione previsti dal diritto europeo anche da quei cittadini che, pur esercitando
l’attività economica nello Stato di cui possiedono la cittadinanza, hanno tuttavia concluso il percorso di studi
all’estero.
Nondimeno, alcune misure sono vietate per tutte e tre le libertà113.
Invero, il fulcro di questa parte del Trattato è rappresentato dal divieto di discriminazioni in base alla nazionalità
(art. 18 TFUE)114, in forza del quale gli Stati non possono impedire l’accesso ai cittadini provenienti da altri
Paesi membri nel proprio territorio. È da questo principio che discende pertanto il divieto di tutte quelle
condizioni discriminatorie a sfavore degli stranieri, siano esse dirette o indirette. In tal senso, si fa
rispettivamente riferimento a tutte quelle discriminazioni esplicitamente fondate sulla nazionalità e a tutte quelle
che, pur non essendo fondate sulla nazionalità, implicano tuttavia una situazione sfavorevole per gli stranieri
rispetto ai cittadini nazionali115. Accanto a questo divieto, per garantire la parità di trattamento, il diritto europeo
sancisce, attraverso il principio del trattamento nazionale, che i cittadini di altri paesi dell’Unione, una volta
entrati nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di origine, hanno il diritto ad essere trattati come se
fossero dei cittadini nazionali: in questo senso, sarebbero ad esempio vietate le retribuzioni discriminatorie
piuttosto che la previsione di regimi diversi di ferie tra nazionali e stranieri.

2.2.1 La libera circolazione dei lavoratori subordinati


Innanzitutto, l’art. 45 TFUE116 riconosce il diritto alla libera circolazione nell’Unione a tutti i
lavoratori subordinati. Ai fini di questa disposizione, è da intendersi come lavoratore subordinato
“la persona che, per un certo tempo, esegue a favore di un’altra e sotto la direzione di questa
prestazioni in contropartita delle quali percepisce una remunerazione”117. Per potere beneficiare di
questa libertà (anche definita diritto di accesso) la persona deve:

110
L. 5 febbraio 1992, n. 91 (1), Nuove norme sulla cittadinanza.
111
Sentenza della Corte 18 dicembre 2007, causa 281/06, Hans-Dieter Jundt e Hedwig Jundt c. Finanzamt Offenburg.
112
Sentenza della Corte 3 ottobre 1990, causa 61/89, Marc Gaston Bouchoucha.
113
CONTALDI, G., Diritto europeo, op. cit., pp. 80 ss.
114
“Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è
vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando
secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni”.
115
CONTALDI, G., Diritto europeo, op. cit., p. 86.
116
“La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. Essa implica l'abolizione di qualsiasi
discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la
retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica
sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi
liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di
svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che
disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali; d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di
regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. Le
disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione””.
117
Sentenza della Corte 12 maggio 1998, causa 85/96, Martinez-Sala.

23
1. Essere cittadino (persona fisica) di un Paese membro118;
2. Deve svolgere un’attività in uno Stato membro diverso da quello di origine;
3. E questa attività deve essere un’attività economica dipendente (cioè svolta sotto la
direzione di un altro soggetto) e salariata (retribuita).
Come specificato dall’art. 45 c. 3 TFUE, la libertà di circolazione per il lavoratore subordinato
implica il diritto di accettare delle proposte di lavoro in uno Stato membro diverso da quello di
origine e, a tal fine, di recarvisi e risiedervi liberamente. Anche in questo caso, sono vietate tutte
quelle misure che implicano una discriminazione fondata sulla nazionalità e deve essere garantito il
rispetto del trattamento nazionale.
L’art. 45 TFUE vieta tanto le discriminazioni dirette quanto quelle indirette o dissimulate. Un esempio
interessante di discriminazioni dirette è quello offerto nel caso Bosman119, in cui la Corte aveva finito con il
classificare come discriminatorie quelle norme adottate da numerose federazioni calcistiche belga con cui veniva
limitata la possibilità di ingaggiare e di fare partecipare al campionato dei cittadini stranieri. Per quanto attiene
invece alle discriminazioni indirette, un esempio interessante è fornito dal caso Allué120, in cui la Corte aveva
classificato come discriminatorie quelle disposizioni italiane con cui veniva limitato il rinnovo dei contratti nelle
Università italiane ai docenti di lingua straniera.

2.2.2 La libera circolazione dei lavoratori autonomi


Accanto alla libera circolazione dei lavoratori dipendenti, il diritto dell’Unione riconosce all’art. 49
TFUE121 che possano circolare liberamente anche le persone fisiche e/o giuridiche che intendano
svolgere una qualsiasi attività a titolo indipendente, ossia in maniera non subordinata ma stabile122.
Queste persone sono classificate come lavoratori autonomi.
Criterio fondamentale per la distinzione tra lavoratori autonomi e prestatori di servizi è la durata della
prestazione: i lavoratori autonomi sono quelli che svolgono una prestazione indipendente in maniera stabile,
protratta nel tempo, mentre i prestatori di servizi espletano un’attività a titolo occasionale. Si pensi, per esempio
al caso di un architetto italiano che decide di svolgere la sua attività indipendendente in Francia per due anni e a
quello che decide, dopo avere vinto una gara di appalto, di recarsi nel territorio francese una volta al mese solo
per seguire l’andamento dei lavori: nel primo caso all’architetto verrà applicata la disciplina prevista per i
lavoratori autonomi, nel secondo quella relativa ai prestatori di servizi.
Pertanto, rientra in questa categoria:
 La persona fisica o giuridica avente la cittadinanza di uno Stato membro;
 Che intenda svolgere la sua attività in uno Stato diverso da quello di origine;
 E purchè la summenzionata attività sia caratterizzata da autonomia e costanza.

L’art. 49 riconosce loro il diritto di stabilimento, consistente principalmente nel diritto di entrare e
di soggiornare in uno Stato membro diverso da quello di origine.

118
TESAURO, G. Diritto dell’Unione Europea, op. cit., pp. 499-503.
119
Sentenza della Corte 15 dicembre 1995, causa 415/93, Union royale belge des sociétés de football association ASBL
e altri contro Jean-Marc Bosman e altri.
120
Sentenza della Corte 30 maggio 1989, causa 33/88, Allué e Coonaan c. Università degli studi di Venezia.
121
“Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative
all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro
Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la
costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni
definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo
relativo ai capitali”.
122
Artt. 49-55 TFUE.

24
Tale diritto può essere invocato sia dal soggetto che rinuncia ad essere stabilito nel paese di origine (cd
stabilimento primario), sia dal soggetto che invece decide di mantenere con quest’ultimo un legame (cd diritto di
stabilimento secondario)123. Si pensi, ad esempio, al summenzionato caso dell’architetto italiano: questi godrà
dei diritti derivanti dalla libera circolazione sia che decida di chiudere il proprio studio in Italia e di svolgere la
sua attività unicamente in Francia, sia che invece decida di mantenerle entrambe.
Come per la categoria dei lavoratori subordinati, anche in questo caso la libera circolazione è
garantita solo se i lavoratori autonomi stranieri non vengono discriminati rispetto a quelli nazionali,
tanto direttamente, quanto indirettamente.
Ad esempio, in questi casi, sono stati a più riprese sanzionate quelle clausole che imponevano al lavoratore
persona fisica l’obbligo di residenza, ossia l’obbligo di risiedere nello Stato in cui veniva svolta l’attività
lavorativa124.

2.2.3 La libera circolazione dei servizi


Infine, il diritto EU125 prevede che la libertà di circolazione debba essere riconosciuta anche ai
prestatori di servizi, intesi come quei soggetti (siano essi persone fisiche o giuridiche) che accedono
al territorio di uno degli Stati membri per esercitare un’attività economica indipendente a titolo
temporaneo. Pertanto, anche in questo caso, affinché la persona possa godere delle libertà derivanti
dalla libera circolazione dei servizi è necessario che:
 Sia una persona fisica o giuridica avente la cittadinanza di uno Stato membro;
 Che intenda svolgere la sua attività in un Paese diverso da quello di origine;
In questo caso, si parla di carattere transfrontaliero della prestazione in quattro situazioni principali:
- Quando si sposta il prestatore di servizio (per esempio il caso dell’avvocato austriaco che fornisce un
servizio temporaneo in Olanda);
- Quando si sposta il destinatario del servizio (per esempio un turista);
- Quando si muove il servizio (si pensi, per esempio, ai servizi di telecomunicazione)
- E, infine, quando si spostano tanto il prestatore quanto il destinatario del servizio (ad esempio, quando
una comitiva di giovani portoghesi si reca in Spagna con la propria guida portoghese).
 E infine che la sua attività venga prestata in maniera indipendente ed occasionale.

Come i lavoratori subordinati e autonomi, anche i prestatori di servizio non possono essere
discriminati.

2.2.4 Le eccezioni alla libera circolazione delle persone


Anche la libertà di circolazione delle persone conosce delle eccezioni: seppur formalmente diverse
(cfr. art. 45 parr. 3 - 4 per i lavoratori subordinati; artt. 51 – 52 per i lavoratori autonomi e art. 61
per i prestatori di servizi), le ipotesi derogatorie previste dal TFUE sono tuttavia identiche nelle tre
libertà sopra analizzate. Queste misure, che eccepiscono ad una delle libertà fondamentali del
mercato interno, devono essere oggetto di un’interpretazione quanto più restrittiva126 possibile (nel
senso che l’applicazione della norma deve essere limitata).
In particolare, si possono distinguere due tipi di deroghe:
1. Innanzitutto, la deroga che fa salve le limitazioni per motivi di ordine pubblico, pubblica
sicurezza e sanità pubblica;

123
CONTALDI, G., Diritto europeo, op. cit., p. 93.
124
Ivi, p. 94.
125
Artt. 56-62 TFUE.
126
CODINANZI, M., LANG, A. e NASCIMBENE, B. Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone,
Giuffré Editore: Milano, 2006, p. 152.

25
Come specificato all’art. 27127 parr. 1 della direttiva 2004/38128, i provvedimenti adottati per motivi di ordine
pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica non possono essere invocati per fini economici. Inoltre, l’art. 27
parr. 2 della direttiva stessa specifica altresì che i provvedimenti fondati su motivi di ordine pubblico e pubblica
sicurezza devono essere proporzionati. In questi casi, la proporzionalità del provvedimento deve essere valutata
non soltanto con riferimento all’idoneità e alla necessità del provvedimento stesso, ma anche in relazione al
grado di integrazione del cittadino a cui il provvedimento è indirizzato: ad esempio, nella causa Tsakouridis129, la
Corte ha specificato che la fattibilità dell’ipotesi di allontanamento di un cittadino deve essere valutata alla luce
del grado di integrazione dello stesso nello Stato membro. In casu, il sig. Tsakouridis, di origine Greca ma da
sempre soggiornante in Germania, era stato condannato a 5 anni di reclusione per traffico di stupefacenti. La
Germania aveva pronunciato un provvedimento di allontanamento, ritenendo che il sig. Tsakouridis costituisse
una minaccia per la sicurezza pubblica nazionale. La CGUE, una volta investita del caso, stabilisce che il giudice
del rinvio dovrà verificare la proporzionalità del provvedimento in base a “la natura e la gravità della violazione
commessa, la durata del soggiorno dell’interessato nello Stato membro ospitante, il periodo trascorso dalla
violazione commessa e la condotta dell’interessato durante tale periodo nonché la solidità dei legami sociali,
culturali e familiari con lo Stato membro ospitante”. Inoltre, questi provvedimenti devono avere carattere
personale, nel senso che devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento della persona a cui
sono indirizzati. Per quanto riguarda nello specifico questo ultimo aspetto, sempre l’art. 27 prevede due ulteriori
specificazioni: innanzitutto, queste misure non possono essere adottate semplicemente perché in capo alla
persona pende una condanna penale e, in secondo luogo, che queste sono giustificate se la persona rappresenta
effettivamente una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da potere pregiudicare un interesse della
società. Per quanto attiene, invece, alla sanità pubblica, l’art. 29 130 specifica che le malattie che possono
giustificare questo limite sono quelle a potenziale epidemico (come definite dall’OMS: ad esempio, il
coronavirus) e quelle infettive o parassitarie contagiose, sempre che si applichini anche ai cittadini dello Stato
membro ospitante.
2. E, in secondo luogo, la deroga relativa agli impieghi nella pubblica amministrazione.

127
“1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un
cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici. 2. I provvedimenti adottati
per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati
esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La
sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti. Il comportamento
personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse
fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non
sono prese in considerazione. 3. Al fine di verificare se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico o la
pubblica sicurezza, in occasione del rilascio dell'attestato d'iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, entro
tre mesi dalla data di arrivo dell'interessato nel suo territorio o dal momento in cui ha dichiarato la sua presenza nel
territorio in conformità dell'articolo 5, paragrafo 5, ovvero al momento del rilascio della carta di soggiorno, lo Stato
membro ospitante può, qualora lo giudichi indispensabile, chiedere allo Stato membro di origine, ed eventualmente agli
altri Stati membri, informazioni sui precedenti penali del cittadino dell'Unione o di un suo familiare. Tale consultazione
non può avere carattere sistematico. Lo Stato membro consultato fa pervenire la propria risposta entro un termine di due
mesi. 4. Lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta di identità riammette senza formalità nel suo
territorio il titolare di tale documento che è stato allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di
salute pubblica da un altro Stato membro, quand'anche il documento in questione”.
sia scaduto o sia contestata la cittadinanza del titolare.
128
Direttiva 2004/38/CE Del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini
dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica
il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE,
75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
129
Sentenza della Corte 23 novembre 2010, causa 145/09, Land Baden-Württemberg contro Panagiotis Tsakouridis
130
“1. Le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale
epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell'Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie
infettive o parassitarie contagiose, sempreché esse siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai
cittadini dello Stato membro ospitante. 2. L'insorgere di malattie posteriormente ad un periodo di tre mesi successivi
alla data di arrivo non può giustificare l'allontanamento dal territorio. 3. Ove sussistano seri indizi che ciò è necessario,
lo Stato membro può sottoporre i titolari del diritto di soggiorno, entro tre mesi dalla data di arrivo, a visita medica
gratuita al fine di accertare che non soffrano di patologie indicate al paragrafo 1. Tali visite mediche non possono avere
carattere sistematico”.

26
Nel rispetto dell’interpretazione restrittiva, la Corte ha specificato nella causa Commissione c. Belgio131 che
rientrano in questo divieto solo “i posti che implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio dei
pubblici poteri ed alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato e delle altre
collettività pubbliche”. Così, ad esempio, è ammissibile che la libera circolazione sia limitata per quanto attiene
alla professione di magistrato, ma non a quella di avvocato.

2.2.5 La disciplina del mutuo riconoscimento dei diplomi


Logicamente, se l’esercizio di una determinata professione è subordinata al possesso di un titolo (si
parla in tal caso di professioni regolamentate), la libera circolazione dei lavoratori o dei prestatori di
servizio sarebbe limitata se i titoli che ne legittimano l’esercizio a livello nazionale (si pensi alle
lauree o ai certificati) non venissero automaticamente riconosciuti in tutti gli Stati Membri. A tal
fine, l’art. 53 TFUE sancisce che: “(…) il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo
la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono direttive intese al reciproco riconoscimento dei
diplomi, certificati ed altri titoli e al coordinamento delle disposizioni legislative‚ regolamentari e
amministrative degli Stati membri relative all'accesso alle attività autonome e all'esercizio di
queste”. Si parla, in tal senso, di principio del mutuo riconoscimento, in base al quale ogni Stato
Membro deve riconoscere ai diplomi ed altri titoli rilasciati ai cittadini degli Stati membri lo stesso
valore dei diplomi ed altri titoli rilasciati nel medesimo132. In questo modo si volevano ridurre, per
quanto possibile, i divari esistenti tra gli Stati membri in relazione ai percorsi di formazione
professionale, modo da consentire ai professionisti di potere effettivamente esercitare la propria
attività anche all’estero133.

Al fine di permettere a chi possiede un titolo di svolgere la medesima professione in ogni Stato membro, con la
direttiva qualifiche professionali134 sono stati introdotti tre regimi di riconoscimento dei titoli:
 Generale (artt. 10 – 15) In base a questo regime, viene previsto che l’accesso a una professione
regolamentata (si pensi, ad esempio, alla professione di ingeniere in Italia) in uno Stato membro deve essere
riconosciuto a coloro che dispongono del titolo di formazione prescritto per poterla esercitare in un altro Stato
membro o che, in mancanza, dimostrino di avere esercitato a tempo pieno la suddetta professione per almeno
due anni (nei 10 anni precedenti). In questi casi, gli Stati possono anche imporre dei provvedimenti di
compensazione, ossia delle misure tese ad accertare che il richiedente sia effettivamente in grado di esercitare
la professione: si pensi, ad esempio, alla previsione di un tirocinio o di una prova attitudinale.
 Automatico (per le esperienze professionali) (artt. 16 – 20)  In questi casi, il riconoscimento è basato
sull’esperienza professionale, ossia è sufficiente dimostrare di avere esercitato la suddetta attività in un altro
Stato membro per un certo periodo di tempo. Si pensi, ad esempio, alle persone che prestano la propria attività
in industrie del legno, di lavorazione della plastica o del vetro, chimiche etc.
 Automatico (coordinamento delle condizioni minime di formazione) (artt. 21 ss.)  Per tutte quelle
professioni esercitabili in forza di un titolo ottenuto nella cornice di uno dei percorsi formativi che gli Stati
membri si sono adoperati ad armonizzare (si pensi, ad esempio, alla previsione di materie di studio similari,
piuttoso che di tirocini formativi obbligatori), vale infine il secondo regime di riconoscimento automatico. La
ratio di questo regime riposa sul fatto che il professionista goda di una formazione che non risente del luogo in
cui è stata conseguita. In questa categoria rientrano, ad esempio: i medici; gli/le infermieri/e; gli architetti; i/le
veterinari/e; i/le farmacisti/e etc.

3. Gli accordi bilaterali CH-UE


Negli anni successivi ai due Conflitti mondiali, la Svizzera si è distinta nel panorama internazionale
per un certo isolazionismo, che le ha congiuntamente permesso di diventare, nel corso della seconda

131
Sentenza della Corte 17 dicembre 1980, causa 149/79, Commissione c. Belgio.
132
BORGHI, M. e DE ROSSA GISIMUNDO, F. Compendio, op. cit., p. 871.
133
DRAETTA, U. e PARISI, N. Elementi di, op. cit., p. 154.
134
Direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

27
metà del ‘900, una potenza economica contraddistinta da un’ineguagliabile stabilità politica135,
capace di saper mediare attraverso i buoni uffici i conflitti nel panorama internazionale (tanto da
conquistare il nominativo “fortress of the alps”).
Fra le altre cose, questa sua neutralità136, l’ha spinta a stare fuori dal processo d’integrazione
europea avviato nel secondo dopoguerra (che ha portato nel tempo alla creazione della CECA, della
dell’Euratom e della CEE, le cd Comunità europee)137 e a prediligere piuttosto la realizzazione di
una zona di libero scambio commerciale.
Inizialmente la Svizzera chiese al Consiglio dei ministri dell’Organizzazione per la cooperazione economica
europea (OECE, un’organizzazione internazionale attiva dal 1948 al 1961) di intavolare delle negoziazioni per la
creazione di una “zona di libero scambio dei prodotti industriali”, progetto che naufragò tuttavia nel 1958 138.
Così la Svizzera, insieme agli altri Stati contrari alla cessione della propria sovranità, ha contribuito
nello stesso periodo alla creazione dell’Associazione Europea di Libero Scambio (AELS/EFTA),
un’organizzazione internazionale che comportava unicamente una cooperazione intergovernativa di
natura economica, senza coinvolgimenti di natura politica e quindi senza cessione di sovranità139.
L’AELS è nata nel 1960 sotto la spinta della Gran Bretagna (gli altri Stati che firmarono la Convenzione di
Stoccolma che ne segnò la nascita erano l’Austria, la Danimarca, il Portogallo, la Norvegia, la Svezia e la
Svizzera; a questi si affiancarono successivamente l’Islanda, il Liechtenstein e la Finlandia) e si proponeva come
modello di cooperazione alternativo alla Comunità Europea, le cui ambizioni erano però limitate
all’eliminazione delle restrizioni al commercio tra gli Stati Membri, e quindi ad una cooperazione economica tra
governi, senza cessione di sovranità. Con la progressiva adesione di tutti gli Stati membri dell’AELS all’UE
(Inghilterra, Portogallo, Svezia, Danimarca e Austria) o alla SEE (Spazio economico europeo: Norvegia, Islanda
e Liechtestein), l’AELS ha iniziato a perdere inevitabilmente importanza.
Con il principale fine di ridurre progressivamente le restrizioni agli scambi, la Svizzera ha firmato
nel 1972 un Accordo di libero scambio con i Paesi della (allora) CEE, inteso essenzialmente ad
abbattere i dazi doganali per una serie di prodotti industriali provenienti dagli Stati firmatari, senza
però istituire alcuna unione doganale140.
Questo accordo fu per lungo tempo l’unico Trattato che legava la Svizzera alla CEE, in quanto per il resto, in
quegli anni, la Svizzera aveva prediletto la conclusione di una serie di accordi bilaterali con alcuni o con tutti gli
Stati membri della CEE ma separatamente141;; quando però questi hanno iniziato a cedere le loro competenze
all’Unione europea e, quindi, a ridurre progressivamente la loro capacità di concludere autonomamente degli
Accordi bilaterali con altri Stati, la Svizzera ha dovuto stipulare degli accordi direttamente con la CEE, che
completavano appunto quello sul libero scambio: si pensi, ad esempio, all’Accordo concernente l’assicurazione
diretta diversa dall’assicurazione sulla vita 142 o all’Accordo sul trasporto di merci e passeggeri 143.

135
Si tratta della cosiddetta formula magica, ossia del modello di concordanza dei rapporti tra il Centrodestra e la
Socialdemocrazia.
136
Fra gli altri citati, si vedano altresì: STOVALL A.P., The neutrality of Switzerland, in The Georgia Historical
Quaterly, Vol. 6, n. 3, 1922, pp. 197-210, HABICHT, M. The special position of Switzerland in International Affairs, in
International Affairs, Vol. 29, n. 4, 1953, pp. 457-463 e ANDREY, M. Security Implications of Neutrality: Switzerland
in the Partnership for Peace Framework, in Connections, Vol. 9, n. 4, 2010, pp. 83-96.
137
Supra, p. 4.
138
ZIEGLER, A. Droit international économique. Une introduction (y inclus le droit des relations économiques
extérieures de la Suisse), Berna : Stämpfli Verlag AG, 2017, p. 71.
139
Una panoramica sulla nascita e sugli obiettivi dell’EFTA è offerta da SCHOPFLIN A.G., EFTA: The other Europe,
in International Affairs, Vol. 40, n. 4, 1964, pp. 674-684.
140
NORMAN, V., HORN, H. e SIEBERT, H. EFTA and the Internal European Market, in Economic Policy, Vol. 4, n.
9, 1989, p. 423.
141
BESSON, S. Droit constitutionnel européen. Abrégé de cours et résumés de jurisprudence, Berna: Abrégé Stämpfli,
p. 210.
142
Accordo tra la Confederazione Svizzera e la Comunità economica europea concernente l’assicurazione diretta
diversa dall’assicurazione sulla vita, 10 ottobre 1989, RS 0.961.1.

28
La creazione del mercato interno europeo ha spinto nuovamente gli Stati dell’AELS a chiedersi
come relazionarsi con la CEE: è stato così che, alla fine degli anni ’80, questi hanno intrapreso le
prime trattative per la creazione di uno Spazio Economico Europeo (SEE)144. Questo era
essenzialmente concepito come una nuova forma di partenariato maggiormente strutturato e
comprendente istituzioni comuni (ovvero organi amministrativi, di gestione degli accordi e organi
decisionali, di vigilanza sulla loro applicazione) e aveva come obiettivo fondamentale quello di
estendere il mercato interno dell’UE (nonché alcune politiche orizzontali e di accompagnamento
come, ad esempio, quelle sulla libera concorrenza e sugli aiuti di Stato) ai Paesi dell’EFTA. Il
relativo trattato, firmato il 2 maggio 1992 e sostenuto dal Parlamento federale, era caratterizzato da
elementi sovranazionali (ovvero dal primato del diritto comunitario su quello nazionale in certi
ambiti prescelti) e prevedeva come detto l'istituzione di organi comuni (Consiglio SEE e Comitato
misto SEE), nonché di una corte di giustizia e di un'autorità di vigilanza per gli Stati dell'AELS.
Presentava quindi elementi di integrazione, seppur meno pronunciata rispetto a quella dell’UE,
ragione per la quale la sua ratifica non ha superato lo scoglio del referendum obbligatorio, che in
effetti il 6 dicembre 1992 ha visto uscire dalle urne un duplice rifiuto, di popolo (50,3%) e cantoni
(18 su 26)145.
Il carattere obbligatorio di questo referendum è stato invero profondamente discusso: seppur il Consiglio
federale fosse dell’opinione che l’Accordo SEE non implicasse l’adesione ad una comunità sopranazionale,
chiese comunque alle Camere di sottoporre l’Accordo al referendum obbligatorio, sottolineandone la vastità del
campo d’applicazione materiale, l’applicabilità diretta di sue numerose disposizioni, le modifiche costituzionali
derivanti dall’adesione, nonché per l’assoggettamento della Svizzera alla competenza di organi esterni, quali la
Corte AELS e dell’autorità di vigilanza AELS 146.
La Svizzera, che contestualmente a tali trattative aveva depositato a Bruxelles una domanda di
adesione all’UE, congela la richiesta e si trova a dovere ridefinire la strategia delle proprie relazioni
con l’Unione. Di fronte ad un rifiuto dell’approccio multilaterale e più globale (ossia
dell’integrazione, quindi contro l’adesione ad un’istituzione sovranazionale), la diplomazia
svizzera147 dà cosi inizio alla via delle relazioni bilaterali e settoriali (o via bilaterale) che, dopo
diversi anni di trattative, si sono concretizzate i due “pacchetti” successivi di Accordi (Bilaterali I e
II), adottati rispettivamente nel 1998 e nel 2004148; questi Accordi soddisfano sia la necessità della
Svizzera di intrattenere rapporti economici con l’UE preservando la propria indipendenza (seppur
cercando di ridurne l’isolamento istituzionale), sia la necessità dell’UE di applicare in maniera
quanto più uniforme la sua regolamentazione (almeno ai Paesi che non fanno parte della Comunità).

143
Accordo fra la Confederazione Svizzera e la Comunità europea1 sul trasporto di merci e di passeggeri su strada e per
ferrovia, 21 giugno 1999, RS 0.740.72.
144
Accordo sullo Spazio Economico Europeo, n. L 001 del 3.1.1994.
145
Decreto Federale sullo Spazio Economico Europeo – Votazione del 6 dicembre 1992. Questa votazione è stata
considerata una dei pochi errori della democrazia diretta. Sul punto, si veda fra gli altri l’intervento di TACCHI P.,
L’adesione della Confederazione elvetica all’UE: da “obiettivo strategico” a “semplice opzione”, in Quaderni
Costituzionali, 2/2006, 375.
146
Messaggio concernente l'approvazione dell'Accordo sullo Spazio economico europeo del 18 maggio 1992, p. 370 ss.
147
Per una panoramica completa delle relazioni CH-EU si veda: MAIANI, F. e BOILLET, V. (ed.), Relations Suisse –
EU: textes choisis, Basilea: Helbing Lichtenhahn, 2017.
148
Gli Accordi Bilaterali I vertono su: la libera circolazione delle persone, ostacoli tecnici al commercio, appalti
pubblici, agricoltura, trasporti terrestri, trasporto aereo, ricerca; gli Accordi Bilaterali II, invece, trattano
Schengen/Dublino, fiscalità del risparmio, lotta contro la frode, prodotti agricoli trasformati, ambiente, statistica,
MEDIA, pensioni. Si consideri, peraltro, che la Svizzera e l’Unione Europea hanno concluso anche moltissimi accordi
settoriali cd. secondari, ampliando nuovamente l’integrazione tra i due sistemi.

29
3.1 Gli accordi bilaterali: una breve panoramica del contenuto e delle loro caratteristiche
istituzionali
Nonostante il referendum del 1992 abbia avuto esito negativo, l’intensificazione di un processo di
omogeneizzazione del diritto svizzero con quello comunitario si è rivelato ormai irreversibile; la
Svizzera ha infatti dichiarato di volere comunque mantenere aperte tutte le opzioni di relazione e, a
partire da quel momento, ha sviluppato la sua politica europea su due binari paralleli: innanzitutto,
come accennato poc’anzi, tramite l’approvazione degli Accordi bilaterali I e II (rispettivamente nel
1998 e nel 2004) ; d’altro lato, contemporaneamente, attraverso un processo volontario di
europeizzazione del proprio diritto interno, ovvero di adattamento autonomo delle proprie leggi agli
sviluppi dell’ordinamento comunitario149.
L’autonoma europeizzazione del diritto svizzero risale ai primi anni ’90 quando, precisamente, venne introdotto
il dovere per il Consiglio federale di contemplare, nei messaggi accompagnatori ai disegni di legge con un
potenziale impatto sulla politica economica, un capitolo che ne esaminasse la loro compatibilità con le normative
europee. Fu poi rafforzata con il programma Swisslex che, avendo come scopo quello di rigenerare l’economia
Svizzera, ha ripreso moltissime normative comunitarie che ne potessero garantire una revisione in questo senso
(positiva)150. Fra gli altri, esempi ne sono la legge sul mercato interno (LMI) e la legge federale sugli ostacoli
tecnici al commercio (LOTC)151, così come la disciplina sulla protezione del consumatore e del danno da
prodotto152. Un altro esempio interessante di adattamento volontario è fornito dal settore dei mercati finanziari:
dopo la crisi del 2008, al fine di evitare che gli Stati dovessero nuovamente intervenire con delle importanti
iniezioni di liquidità, l’Unione europea ha adottato la Direttiva MiFID II153 e il Regolamento EMIR154, con il fine
specifico di tutelare gli investitori e di promuovere la trasparenza, l’efficienza e la resistenza dei mercati
finanziari. Il legislatore svizzero, per garantire l’accesso al mercato interno, ha quindi adottato la LInFI155, che
riprende palesemente alcune disposizioni europee, sempre però tenendo conto delle specificità svizzere156: ad
esempio, pur avendo recepito gli obblighi cardine del commercio di derivati (compensazione di transazioni in
derivati tramite una controparte centrale, comunicazione delle transazioni in derivati a un repertorio di dati sulle
negoziazioni e riduzione dei rischi delle transazioni in derivati) la Svizzera, a differenza dell’UE, ha però
adottato delle eccezioni per parti contraenti minori.
Il primo pacchetto di Accordi è caratterizzato da impegni intesi a garantire l’accesso reciproco ai
mercati (ossia garantire in settori economici strategici l’accesso reciproco delle imprese dei vari
Stati) e disciplina157:
1. Libera circolazione delle persone158;

149
Sul punto si veda, ad esempio: KOHLER, E. Le rôle du droit de l'Union européenne dans l'interprétation du droit
suisse, Berna: Stämpfli, 2015, p. 20 ss.
150
DE ROSSA GISIMUNDO, F. Interpretazione del diritto svizzero secondo il diritto europeo recepito
autonomamente?, in RTID, I-2010, p. 5 ss.
151
Queste leggi sono state rispettivamente approfondite e menzionate nella prima parte del corso; sul punto si possono
anche consultare gli appunti di diritto nazionale, parte 2, p. 32 ss.
152
Anche a questi temi si è accennato nella prima parte del corso; sul punto si possono consultare gli appunti di diritto
nazionale, parte 3, p. 44 ss.
153
Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 , relativa ai mercati degli
strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE Testo rilevante ai fini del SEE
154
Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 , sui mercati degli
strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 Testo rilevante ai fini del SEE
155
BINGGELI, A. L’influence du droit européen sur le droit suisse des marchés financiers, in AA.VV. (ed.),
L'influence du droit de l'Union européenne et de la Convention européenne des droits de l'homme sur le droit suisse,
Zurigo: Schulthess, 2016, pp. 214-215.
156
Legge federale sulle infrastrutture del mercato finanziario e il comportamento sul mercato nel commercio di valori
mobiliari e derivati del 19 giugno 2015 (LinFI, 958.1).
157
Una trattazione puntuale è offerta da KADDOUS, C. e FELDER, D. (ed.) Accords bilateraux Suisse – UE, Basilea:
Helbing Lichtenhahn, 2001. Sul punto si vedano altresì BORGHI, M. e DE ROSSA GISIMUNDO, F. Compendio, op.
cit., p. 920 ss.
158
Infra, sez. 3.2.

30
2. Ostacoli tecnici al commercio  Questo accordo facilita gli scambi commerciali nella
misura in cui consente il reciproco riconoscimento delle valutazioni di conformità alle
prescrizioni tecniche legislative per l’introduzione di nuovi prodotti industriali sul mercato;
3. Appalti pubblici  Questo accordo ha esteso l’applicabilità dell’Accordo sugli appalti
dell’OMC a tutte le parti contraenti e ha prescritto quali tipologie di acquisti debbano essere
assoggettati ad una gara di appalto internazionale. In questi settori, è riconosciuto che le
imprese svizzere godano dei medesimi diritti previsti per quelle EU;
4. Agricoltura  L’accordo agevola il trasferimento dei prodotti agricoli tra CH-EU tramite
l’abolizione o la riduzione di ostacoli quantitativi (dazi, altre misure tariffarie e contingenti)
e qualitativi (prescrizioni tecniche), e regolamenta il reciproco e automatico riconoscimento
delle sigle DOP (denominazione origine protetta) e IGP (indicazioni geografiche protette);
5. Trasporti terrestri  L’accordo liberalizza l’accesso al mercato di trasporti stradali e
ferroviari per merci e persone;
6. Trasporti aerei  Questo accordo disciplina l’accesso delle compagnie aeree ai mercati del
trasporto aereo: ad oggi, ad esempio, la Svizzera non è più discriminata in materia di diritti
di traffico aereo;
7. Ricerca  Glii accordi sulla ricerca garantiscono la partecipazione dei ricercatori svizzeri ai
programmi di ricerca dell’UE (attualmente Horizon 2020) a condizioni paritarie rispetto ai
ricercatori degli Stati membri.
Il secondo pacchetto di Accordi firmato nel 2004, invece, contiene una serie di impegni intesi a
rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri e la Svizzera in settori collaterali, ma strategici per il
migliore funzionamento dell’accesso ai mercati. Questi accordi, pertanto, non vogliono
regolamentare l’accesso al mercato in sé, ma mirano piuttosto a garantire una cooperazione tra tutti
gli Stati con l’idea di migliorare il contesto economico generale. Questo pacchetto tratta le seguenti
discipline159:
1. SCHENGEN/DUBLINO  Con il primo sono stati aboliti i controlli alle frontiere (a fronte
dell’aumentata cooperazione tra autorità inquirenti e di polizia), mentre con il secondo sono
state coordinate le politiche d’asilo (ossia le domande di asilo presentate nei vari Stati e le
relative procedure);
2. Accordo sullo scambio automatico di informazioni (SAI) ai fini fiscali tra la Svizzera e
l’Unione europea (UE): esso sostituisce il precedente accordo sulla fiscalità del risparmio e
contribuisce a rafforzare la lotta contro l’evasione fiscale transfrontaliera. L’Accordo attua
lo standard globale SAI dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(OCSE) negli ordinamenti delle parti contraenti.;
3. Lotta contro la frode  Migliora la cooperazione CH-EU per la lotta al contrabbando e altri
delitti inerenti alla fiscalità indiretta, le sovvenzioni e gli appalti pubblici;
4. Prodotti agricoli trasformati  Disciplina il commercio di prodotti agricoli trasformati
(come, ad esempio, la cioccolata) e consente l’esportazione di prodotti agroalimentari
Svizzeri senza che vengano apposti dei dazi;
5. MEDIA  Incentiva l’industria cinematografica;

Un interessante quadro esplicativo è rinvenibile in KADDOUS, C. e GREINER M.J., Accords Bilatéraux II Suisse –
159

UE et autre accords récents, Basilea : Helbing Lichtenhahn, 2006.

31
6. Ambiente  Regola la partecipazione della Svizzera all’Agenzia Europea dell’Ambiente,
consentendole in particolare un accesso all’importante e strategica base dati esistente;
7. Statistica  Adatta il rilevamento di dati statistici svizzeri alle regole vigenti in EU e
permette altresì l’accesso ad una piattaforma comune che raccoglie dati economici, politici e
sociali;
8. Pensione  Abolisce la doppia imposizione per gli ex funzionari EU domiciliati in
Svizzera;
9. Educazione, formazione e gioventù  Permette la partecipazione della Svizzera ai
programmi di formazione professionale, educazione e gioventù promossi dall’UE (Erasmus
+).
Gli Accordi Bilaterali I e II sono stati sospesi nella parte relativa alla ricerca e alla educazione,
formazione e gioventù dopo l’approvazione dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”. Ad oggi
delle soluzioni transitorie sono state poste in essere, al fine di non precludere alla Svizzera qualsiasi forma
di partecipazione.
Tutti gli Accordi bilaterali sono accomunati dalle seguenti caratteristiche istituzionali, che di fatto
concretizzano la volontà della Svizzera di mantenere la sua indipendenza istituzionale:
1. Equivalenza delle legislazioni  A livello nazionale, la Svizzera s’impegna ad introdurre
nel proprio ordinamento dei diritti o una disciplina normativa equivalenti a quelli garantiti
nella legislazione europea cui fanno riferimento gli accordi bilaterali (ovvero alle direttive o
regolamenti UE menzionati nei singoli accordi), senza tuttavia obbligarsi a riprendere
direttamente il diritto derivato. In altri termini, sulla base del principio di equivalenza, i
diritti e gli obblighi derivanti dall’Accordo sono garantiti dalla Svizzera attraverso
l’adozione di regole nazionali equivalenti160 a quelle che li rendono operativi a livello
europeo, e non quindi attraverso l’applicazione diretta ed immediata del diritto europeo
stesso161. Questo principio consente alla Svizzera di mantenere una certa autonomia
nell’attuazione degli impegni assunti con l’UE poiché le lascia un relativo margine di
manovra nella scelta delle misure da adottare affinché possano esplicarsi all’interno della
Confederazione degli effetti equivalenti a quelli garantiti dal diritto europeo. In sostanza, la
Svizzera non è quindi obbligata a riprendere letteralmente quanto statuito dall’Unione
europea, ma è semplicemente vincolata a garantire i medesimi effetti attraverso il diritto
nazionale162.
In questo senso, l’obbligo di equivalenza si distingue dalla ripresa automatica del diritto europeo, in quanto ha
come finalità quella di rendere omogenei i diritti in un determinato settore, piuttosto che identici 163.

160
BESSON, S. Droit constitutionnel, op. cit., p. 215.
161
MAZILLE, C. L'institutionnalisation de la relation entre l'Union européenne et la Suisse. Recherche sur une
construction européenne, Ginvera: Schulthess Verlag, pp. 231 ss
162
SANNA C., Gli accordi tra Svizzera e Unione Europea: un modello per le future relazioni con il Regno Unito?, in
Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, 2017, 18, 8. Sicuramente, l’Accordo sulla libera circolazione
delle persone (ALC) pone le maggiori sfide: sul punto, è interessante valutare l’atteggiamento dinamico già adottato dal
Tribunale Federale, il cd pluralismo metodologico (o pragmatico). I giudici, disconoscendo l’esistenza di una gerarchia
tra i criteri interpretativi, riescono a raggiungere il proprio obiettivo, in questo senso definito pragmatico. Sul punto si
veda BESSON, S. e AMMANN, O., L’interprétation des accords bilatéraux Suisse-UE. Une lecture de droit
international, in A. EPINEY, S. DIEZIG, Annuaire suisse de droit européen 2013/2014, Schulthess Juristische Medien
AG, 2014.
163
Per un’analisi critica su questo tema si veda MAZILLE, C. L’institutionnalisation, op. cit., pp. 234 ss.

32
Va tuttavia rilevato che poi in pratica l’attuazione del diritto europeo nell’ordinamento svizzero avviene un po’
diversamente. Accade in effetti abbastanza regolarmente che le ordinanze federali che attuano gli impegni
bilaterali – soprattutto negli ambiti tecnici - riprendano quasi testualmente il diritto derivato UE pertinente,
oppure addirittura che vi rinviino direttamente. In altri casi, laddove il legislatore svizzero non avesse ancora
adottato le normative interne necessarie per conferire l’equivalenza, il Tribunale federale ha riconosciuto che il
diritto derivato fosse direttamente applicabile (self-executing), al fine di non privare dell’effetto utile gli impegni
assunti con l’UE.
2. Staticità  L’equivalenza, però, si riferisce al diritto europeo vigente al momento
dell’approvazione degli Accordi ed è quindi da intendere in maniera statica: infatti, eccetto
per alcuni specifici settori (SCHENGEN/DUBLINO e trasporti aerei), la disciplina
nazionale non è automaticamente adeguata all’evoluzione di quella europea: capita infatti
che in Svizzera vengano applicate norme ormai abrogate a livello europeo, in quanto tutte le
modificazioni successive (della normativa europea) sono recepite tramite procedure
istituzionali lunghe e complesse in seno a comitati misti (composti da rappresentanti
Svizzeri e Europei), che devono decidere all’unanimità164. Invero, questa modalità
d’interazione era stata scelta con il principale fine di tutelare l’indipendenza della
Confederazione e la conseguenza è che al momento attuale non esistono strumenti che
permettano d’integrare puntualmente le evoluzioni del diritto comunitario successive alla
firma degli accordi165. Se è vero che la staticità garantisce in un certo senso la conservazione
della sovranità della Confederazione (che potrebbe essere messa a rischio da un
adeguamento automatico degli impegni assunti dalla Svizzera agli sviluppi del diritto
comunitario)166, questa limita allo stesso tempo inevitabilmente la possibilità di avere (nei
settori coperti dagli Accordi) una legislazione euro-compatibile, un parallelismo giuridico
tra i due ordinamenti che renda armonica l’applicazione degli Accordi bilaterali. .
3. Preminenza  Il diritto derivante dagli Accordi bilaterali, come il diritto internazionale – ed
in particolare i Trattati che garantiscono i diritti umani, prevale su quello nazionale
contrario167.
4. Ghigliottina  Per il principio del simul stabunt, simul cadent viene previsto che il mancato
rispetto di anche soltanto uno degli Accordi dei pacchetti, fa cadere tutti gli altri.
Per evitare che in votazione popolare venissero respinti quegli Accordi che non presentavano un interesse per la
Svizzera, la Commissione europea aveva appunto previsto questa clausola, con cui gli Accordi sono stati “legati”
gli uni agli altri168. Questa particolarità è però soltanto prevista per gli Accordi del pacchetto I, e non quindi per i
bilaterali II169.

3.2 Quale futuro per la via bilaterale nella politica europea della Svizzera?
La via bilaterale presenta un’indubbia utilità economica per la Svizzera; si tratta della strada che
ancora recentemente, nella strategia per la politica europea 2021-2024, il Consiglio federale ha
ribadito di voler continuare a percorrere. Già nel rapporto “Europa 2006”170 il Consiglio federale si

164
DE ROSSA GISIMUNDO F., Accordi bilaterali CH-UE: temi ricorrenti e tendenze, tra staticità (istituzionale) e
dinamismo (giurisprudenziale), in Rivista Ticinese di Diritto, n. 1, (2013): p. 440.
165
KOHLER E., Le rôle du droit, op. cit., p. 34.
166
Ibidem.
167
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, op. cit., p. 391. Sul punto si consultino anche gli appunti di diritto
internazionale, parte I, pp. 38 ss.
168
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, op. cit., p. 385.
169
KRAUS, D., JAAG, T., UMBRICHT, G.C., L'Union européenne. Ses institutions et ses relations avec la Suisse,
Zurigo: Schulthess, 2009, p. 136.
170
Rapporto Europa 2006 del 28 giugno 2006, FF 2006 6461.

33
espresso a favore dell’ulteriore sviluppo della via bilaterale tre condizioni: a) che la Svizzera
venisse, da una parte, coinvolta nell’adozione delle decisioni relative agli Accordi e che, in tutti gli
altri settori, potesse mantenere la sua autonomia, b) che l’Unione europea si dimostrasse disponibile
a sviluppare ulteriormente la via bilaterale e infine c) che le condizioni – quadro economiche non
evolvessero in maniera sfavorevole per la Svizzera171. È proprio relativamente a questa seconda
condizione che l’Europa ha manifestato una certa perplessità, rilevando che alla crescente
evoluzione del mercato interno europeo non si accompagnava mai una coordinata crescita della
Svizzera e che ciò andava a discapito dell’obiettivo di avere e di applicare un diritto europeo quanto
più uniforme possibile. È per questo motivo che l’UE ha deciso di subordinare l’eventuale
conclusione di nuovi accordi di accesso al mercato alla condizione che la Svizzera si impegnasse in
futuro a garantire un adattamento automatico dinamico dei nuovi accordi all’acquis (ossia
all’evoluzione del diritto europeo) e la loro interpretazione omogenea (attraverso una presa in
considerazione sistematica della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE), nonché a
sottoporsi ad un meccanismo supranazionale di sorveglianza sull’applicazione degli accordi e,
infine, ad istituire un organo di risoluzione di eventuali controversie dovessero sorgere tra le Parti
contraenti in merito all’applicazione degli accordi172.
In sostanza, l’Europa chiede alla Svizzera di adeguare automaticamente il proprio diritto all’evoluzione di quello
europeo, di garantire un’omogeneità anche attraverso lo strumento interpretativo e di accettare l’istituzione di un
tribunale superiore che possa effettivamente vigilare sulla loro applicazione.
Conosciuta anche come la questione istituzionale, la necessità di concludere un Accordo quadro (o
istituzionale) che garantisca in ultima istanza l’”attualizzazione” dinamica di alcuni accordi
bilaterali è divenuta la questione nodale del futuro dei rapporti tra la Svizzera e l’UE.
Pur non avendone interamente bloccato le negoziazioni (si pensi, ad esempio, all’Accordo concernente la
cooperazione in materia di concorrenza, che comunque ha potuto vedere la luce nel frattempo)173, il mancato
raggiungimento di una soluzione concorde sul punto ha prodotto delle importanti ripercussioni sotto il profilo
negoziale: si pensi, ad esempio, al fatto che i negoziati tra la Svizzera e l’Unione europea per la stipula di un
accordo bilaterale nel settore elettrico, iniziati nel 2007, sono ancora oggi sospesi in attesa dell’accordo
istituzionale, o al fatto che sono stati sospesi per un periodo gli accordi relativi alla ricerca o, ancora, al fatto che
nel giugno 2019 la Commissione europea non ha rinnovato l’equivalenza della regolamentazione borsistica che
permetteva ai commercianti europei di valori mobiliari (titoli) di negoziare azioni svizzere valutate nelle borse
svizzere; tale decisione ha poi indotto la Confederazione ad adottare delle contromisure (prevedendo che i titoli
svizzeri non possano più essere negoziati nelle borse e nei sistemi di scambio UE).
Le negoziazioni di questo Accordo hanno però subito un’importante battuta di arresto nel 2014, con
l’accettazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa.
Il popolo ha infatti accettato una disposizione costituzionale attraverso la quale alla Svizzera viene riconosciuto
il diritto di contingentare i permessi agli stranieri174, ciò che viola la libera circolazione delle persone consacrata
nell’ALC. Per evitare che a causa dell’effetto ghigliottina insieme all’ALC cadessero anche tutti gli altri Accordi
del pacchetto I, il Parlamento (la cui scelta è stata appoggiata anche dal Consiglio) ha accolto le modifiche
introdotte dal novello art. 121a Cost. fed. tramite l’introduzione nella Legge sugli stranieri175 di una misura di

171
Ivi, p. 6621.
172
MAIANI, F. e BIEBER, R. Précis de droit, p. 386.
173
Accordo tra la Confederazione Svizzera e l’Unione europea concernente la cooperazione in merito all’applicazione
dei rispettivi diritti della concorrenza del 17 maggio 2013.
174
Per una spiegazione più approfondita dell’Iniziativa si consultino gli appunti di diritto nazionale, parte I, pp. 21 ss.
175
Legge federale sugli stranieri e la loro integrazione del 16 dicembre 2005, (LStrl, RS 142.20)

34
“preferenza nazionale light”176, che consente in sostanza di contingentare l’accesso soltanto a quei settori che
presentano un certo tasso di disoccupazione 177.
Ad oggi, non è ancora stata trovata una soluzione che soddisfi le esigenze di entrambe le parti178.
La difficoltà di conciliare le peculiarità svizzere con gli impegni europei si è tra l’altro ripresentata con la recente
iniziativa sull’immigrazione moderata179 che, se accettata, potrebbe verosimilmente fare sorgere nuovamente la
necessità di dovere mediare tra (come già avvenuto nel caso dell’iniziativa contro l’immigrazione di
massa)180questi opposti interessi.

3.3 L’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC)


La libera circolazione delle persone è un principio che esiste sin dal 1957, a seguito della creazione
della Comunità Economica Europea181; inizialmente, questo era circoscritto a garantire
l’espletamento di un’attività economica da parte di un lavoratore dipendente, indipendente o di un
prestatore di servizio182 e, soltanto con il corso del tempo, è stato riconosciuto anche alle persone
che non si dovevano spostare per motivi di lavoro.
L’ALC invece si limita sempre solo a garantire la libera circolazione economica, ossia quella dei
soli lavoratori e prestatori di servizio che si devono muovere da uno Stato europeo alla Svizzera e
viceversa per svolgere un’attività economica. Questo significa in ultima istanza che nell’ALC non
viene consacrato un concetto equivalente a quello di “cittadinanza europea” che nel mercato interno
consente una libera circolazione ai cittadini (europei appunto, ma anche alle persone giuridiche)
anche a prescindere dallo svolgimento di un’attività economica, ma piuttosto un diritto (concepito
ad hoc per la Svizzera) a spostarsi solo per svolgere una prestazione lavorativa183. D’altra parte,
però, accanto ai diritti attinenti e derivanti dall’espletamento dell’attività economica, alla persona
che deve effettuare uno spostamento vengono altresì riconosciuti dei diritti accessori (come, ad
esempio, il diritto al ricongiungimento familiare o il diritto di rimanere dopo il pensionamento).
Ad esempio, l’art. 3 ALC prevede che nel momento in cui un cittadino dell’UE/AELS acquisisce il diritto di
risiedere in Svizzera può farsi raggiungere dai suoi familiari, per tali intendendosi il coniuge, i figli minori di 21
anni o a carico, gli ascendenti del lavoratore o del coniuge a carico e, infine, nel caso di studenti, il coniuge e i
figli a carico.

176
MAIANI, F. Libre circulation Suisse-UE et « stop à l’immigration de masse » : Much Ado about Nothing?, in EU
Immigration and Asylum Law and Policy, 2017: http://eumigrationlawblog.eu/libre-circulation-suisse-ue-et-stop-a-
limmigration-de-masse-much-ado-about-nothing/.
177
LStrl, art. 21a, in particolare cpv. 3 e 4: “Nei gruppi professionali, nei settori di attività o nelle regioni economiche
con un tasso di disoccupazione superiore alla media, i datori di lavoro annunciano al servizio pubblico di collocamento i
posti di lavoro vacanti. L’accesso alle informazioni riguardanti i posti annunciati è riservato, per un periodo di tempo
limitato, alle persone che sono registrate presso il servizio pubblico di collocamento in Svizzera. 4 Il servizio pubblico
di collocamento trasmette al datore di lavoro, entro breve termine, i dossier delle persone in cerca d’impiego che sono
registrate e che ritiene adeguate. Il datore di lavoro invita i candidati che corrispondono al profilo richiesto a un
colloquio di assunzione o a un test di attitudine professionale. I risultati sono comunicati al servizio pubblico di
collocamento”.
178
PREVIGNANO, L. Le développement du droit européen et la Suisse / La politique européenne durant l’année 2018,
in EPINEY, A., HEHEMANN, L. E ZLATESCU, P.E., Schweizerisches Jahrbuch für Europarecht / Annuaire suisse de
droit européen 2018/2019, Berna: Schulthess, 2018, pp. 1 – 21.
179
Sul punto si vedano gli appunti di diritto nazionale, parte I, p. 16.
180
Supra, p. 34.
181
Supra, p. 4.
182
KADDOUS C., La libre circulation des personnes, la directive 2004/38 et l’Accord bilatéral CH-UE, in RSDIE,
(2006): p. 213.
183
EPINEY, A. e BLASER, G. II. Freizügigkeitsabkommen Schweiz-EU und Zugang zu staatlichen Leistungen -
Accord sur la libre circulation des personnes CH–UE et accès aux prestations étatiques / L’accord sur la libre
circulation des personnes et l’accès aux prestations étatiques in EPINEY, A. e GORDZIELIK, T. (ed.)
Personenfreizügigkeit und Zugang zu staatlichen Leistungen / Libre circulation des personnes et accès aux prestations
étatiques, Zurigo: Schulthess Verlag, 2015, p. 38.

35
Il diritto alla libera circolazione, che costituisce un pilastro dell’acquis, è appunto entrato a fare
parte, seppur secondo modalità specifiche ai rapporti bilaterali tra Svizzera e UE, anche
dell’ordinamento svizzero tramite l’ALC184, con il quale le parti hanno appunto inteso “attuare la
libera circolazione delle persone tra loro basandosi sulle disposizioni applicate nella Comunità
Europea”185.
L’ALC è un accordo statico, sia dal profilo del diritto comunitario a cui fa riferimento, sia dal profilo della sua
applicazione186. Da un lato, l’art. 16 cpv. 1 ALC prevede che la Svizzera debba adottare tutte le misure
necessarie per garantire dei diritti e degli obblighi equivalenti a quelli contenuti nel diritto della Comunità
europea, al momento della firma dell’Accordo, senza che quindi questo diritto possa applicarsi direttamente.
D’altra parte, l’art. 16 cpv. 2 ALC stabilisce che al momento dell’applicazione delle disposizioni dell’accordo, le
nozioni di diritto comunitario che l’accordo richiama devono essere interpretate alla luce della “giurisprudenza
pertinente della Corte di Giustizia UE precedente alla data della sua firma”, ovvero delle sentenze rese dalla
Corte prima del 1999. Così, questo Accordo, in principio, si fonda sul diritto vigente al momento della sua
conclusione e non impone alla Svizzera alcun obbligo di adattamento automatico alle evoluzioni dell’acquis,
ossia non obbliga la Svizzera ad integrare automaticamente nuove direttive o regolamenti adottati dalle
istituzioni UE successivamente alla sua firma. In occasione di ogni revisione o novità rilevante in seno all’UE,
sarà il Comitato misto che gestisce l’Accordo a doversi pronunciare sull’opportunità di adattare anche l’ALC.
Siccome il voto è all’unanimità, la Svizzera ha di fatto un diritto di veto sulla ripresa di evoluzioni del diritto
europeo cui lei non desidera adattarsi. Riguardo poi alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE successiva
alla firma, l’Accordo si limita a stabilire che essa “(…) verrà comunicata alla Svizzera. Per garantire il corretto
funzionamento dell'Accordo, il Comitato misto determina su richiesta di una delle parti contraenti, le
implicazioni di tale giurisprudenza”. L’assenza di un obbligo per i giudici svizzeri di tenere in considerazione gli
sviluppi della giurisprudenza successivi alla firma dell’Accordo ha portato in passato a situazioni complesse,
nelle quali il giudice svizzero doveva fare riferimento a sentenze della Corte di giustizia europea che ormai a
livello comunitario erano invece superate da precisazioni o cambiamenti di giurisprudenza successivi. Pertanto,
il Tribunale federale, ha perseguito, sin dall’inizio, l’obiettivo di garantire una certa omogeneità tra il diritto
europeo e quello bilaterale, stabilendo, in principio, che le sentenze rese dopo il 21 giugno 1999 possono essere
“prese in considerazione” ed utilizzate “ai fini interpretativi”, in particolar modo se si limitano a precisare una
giurisprudenza precedente187; poco dopo, nel contesto del ricongiungimento famigliare 188, il Tribunale Federale
si è spinto ad ammettere che anche le sentenze che modificano (e dunque non semplicemente puntualizzano) la
legislazione (primaria o secondaria) anteriore possono (ma non devono) essere considerate, in modo da garantire
alle parti (come già esplicitato nel Preambolo ALC) di muoversi in una situazione giuridica parallela (eine
parallele Rechtslage) tra la Svizzera e gli Stati UE. Per di più, il Tribunale federale ha sancito che, seppur
l’adattamento dinamico non sia vincolante, un allontanamento dall’interpretazione europea deve avvenire in
presenza di “fondati motivi”189 e che, un eventuale scostamento da una giurisprudenza della Corte, non deve
essere deciso “alla leggera” (nicht leichthin)190.
Questo meccanismo implica in sostanza che per certi versi l’accordo riprende un regime equivalente
a quello europeo (ma non il regime stesso), e in altre situazioni crea invece soluzioni specifiche al
contesto di questi accordi bilaterali. In generale, tutti i diritti che conferisce si incardinano attorno al

184
L’Accordo sulla libera circolazione (ALC) è composto da tre Allegati: I, libera circolazione delle persone; II
Coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale; III Reciproco riconoscimento delle qualifiche personali.
185
Preambolo ALC.
186
DE ROSSA GISIMUNDO F., “L’influsso della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla
giurisprudenza del Tribunale Federale. Tendenze e questioni aperte”, in AA.VV., Giurisprudenza recente del Tribunale
federale. Sentenze di principio, cambiamenti di prassi e questioni lasciate aperte. Atti della giornata di apertura
dell’Anno giudiziario 2016-2017, CFPG, 2016, Vol. 39, pp. 181-182.
187
DTF II 113 consid. 5.2, DTF 132 V 423 consid. 9.2 e DTF 132 V 53 consid. 2.
188
In particolare ci si riferisce alle DTF 136 II 5 e DTF 136 II 65.
189
La cui portata è stata poi chiarita in DTF 142 II 35.
190
Sempre in DTF 136 II 5 e DTF136 II 65.

36
principio fondamentale del divieto delle discriminazioni (consacrato dall’art. 2 ALC)191, che poi
viene declinato rispetto alle singole libertà specifiche.
Il principio di non discriminazione vieta tutte le discriminazioni in ragione della nazionalità di una persona, siano
esse dirette (ossia palesemente fondate sulla nazionalità) o indirette (ossia dissimulate): ad esempio, è fatto
divieto di impedire l’accesso a un determinato lavoro a chi ha la cittadinanza del Paese X, così come è impedito
pretendere che per quello stesso lavoro la persona che verrà scelta debba avere necessariamente effettuato le
scuole e ottenuto diploma e laurea in Svizzera. Al contrario, ad esempio, non si può invocare il divieto di
discriminazioni quando è lo stesso ALC a limitare la portata di un diritto: così, ad esempio, nella sentenza
2C_820/2018 il Tribunale federale ha stabilito che l’art. 30 della Legge sull’istruzione pubblica ginevrina 192 in
forza del quale il Cantone garantisce la presa a carico delle spese di pedagogia specializzata per i/le bambini/e
con delle difficoltà di apprendimento residenti nel Cantone, non comporta alcuna discriminazione indiretta
(criterio della residenza) a svantaggio dei figli di lavoratori non residenti. In casu, il Canton Ginevra aveva
negato al figlio della signora A., cittadina residente in Francia, il diritto al rimborso delle suddette spese in forza
del fatto che la famiglia non risiedesse più nel Cantone Il Tribunale federale ha rilevato che sebbene un criterio
quale quello di residenza possa effettivamente fondare delle discriminazioni indirette, in questo caso il bambino
non poteva tuttavia prevalersene, in quanto lo stesso ALC prevede all’art 3 cpv. 6 (allegato 1)193 la condizione
della residenza per i figli degli stranieri che invocano i diritti riconosciuti dall’Accordo stesso.
Tale principio generale non è assoluto e soffre di un limite generale, individuabile nell’art. 5 ALC,
il quale stabilisce che “i diritti conferiti dalle disposizioni del presente Accordo possono essere
limitati soltanto da misure giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e pubblica
sanità”.
Si tratta di un’eccezione ad un principio (quello della libera circolazione), che quindi come tale deve essere
applicata in maniera restrittiva. La giurisprudenza ha così precisato che per poter giustificare una
discriminazione (e quindi un ostacolo alla libera circolazione), la minaccia all’ordine pubblico deve essere
effettiva, grave e imminente194 (ossia tale da mettere effettivamente a repentaglio l’ordine pubblico o la sicurezza
pubblica nazionale in questo momento) e che la limitazione deve essere proporzionale al pericolo presunto.
Questo significa che non basta il semplice fatto che un lavoratore in passato abbia commesso un reato195 per
negargli l’accesso in Svizzera (si pensi, ad esempio, al caso di un fiduciario che alcuni anni prima aveva
concluso un’operazione rischiosa a causa della quale aveva fatto perdere molti soldi al suo cliente che lo aveva
poi denunciato), in quanto il fatto di avere precedenti penali di per sé non costituisce una minaccia alla sicurezza
o all’ordine pubblico in generale. Invero, il Tribunale federale ha specificato che non è sufficiente invocare un
intento di prevenzione generale o la semplice esistenza di precedenti penali per limitare la libera circolazione di
una persona, ma che devono sussistere dei reati gravi, ripetuti e atti a mettere a repentaglio effettivamente la
sicurezza o l’ordine pubblico nazionale: ciò è di solito il caso in relazione a reati legati ad organizzazioni
terroristiche o mafiose, al traffico di stupefacenti, alla detenzione di armi o a personalità inclini a commettere
omicidi o lesioni gravi). Così, ad esempio, nella DTF 139 II 121 il Tribunale federale ha riconosciuto che
costituisse una minaccia grave, reale e attuale all’ordine pubblico svizzero la persona che era stata condannata
ripetutamente per reati attinenti al traffico di stupefacenti e alla violazione delle regole sulla circolazione
stradale; in casu, nei confronti di un cittadino portoghese era stato spiccato un divieto di entrare in Svizzera della
durata di 10 anni, dopo che tra il 2002 e il 2009 egli era stato condannato in Svizzera (dove si trovava a titolo di
ricongiungimento familiare con la madre) per ripetute e gravi violazioni delle leggi summenzionate. D’altra
parte, l’Alta corte, fondandosi sulla situazione personale, sul grado d’integrazione, sulla durata del suo soggiorno
in Svizzera nonché sugli svantaggi che una misura come questa potrebbe provocare a lui e alla sua famiglia
(questi ha avuto infatti una figlia con una cittadina svizzera), ha tuttavia concluso che un divieto di 10 anni
risultava essere sproporzionato, e l’ha pertanto ridotto a 5 anni.

191
“In conformità delle disposizioni degli allegati I, II e III del presente Accordo, i cittadini di una parte contraente che
soggiornano legalmente sul territorio di un’altra parte contraente non sono oggetto, nell’applicazione di dette
disposizioni, di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità”.
192
Loi sur l’instruction publique del 17 settembre 2015 (LIP, C 1 10).
193
“I figli di un cittadino di una parte contraente che eserciti, non eserciti, o abbia esercitato un’attività economica sul
territorio dell’altra parte contraente sono ammessi a frequentare i corsi d’insegnamento generale, di apprendistato e di
formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono”.
194
Sul punto si veda DTF 136 II 5, consid. 4.2.
195
Ibidem; DTF 134 II 10, consid. 4.3.

37
3.3.1. I diritti conferiti dall’ALC: cenni
Sulla base del principio generale summenzionato, l’ALC riconosce poi una serie di diversi diritti
specifici ai cittadini rientranti nelle seguenti categorie:
1. Lavoratori dipendenti (domiciliati o frontalieri, salariati – artt. 6 – 11 ALC, Allegato I) 
L’accordo prevede innanzitutto che può entrare (art. 1 ALC, All. 1) e soggiornare (art. 2
ALC, All. 1) in Svizzera chi dimostra di avere un contratto di lavoro in qualità di
dipendente, cioè chi esercita un’attività retribuita sotto la direzione di un’altra persona,
senza quindi assumersene il rischio imprenditoriale.
Come per il diritto europeo196, anche nell’ALC non viene fornita una definizione precisa di lavoratore salariato:
tuttavia, è generalmente ammesso che la definizione fornita dalla CGUE per il mercato interno EU valga anche
per quanto riguarda l’interpretazione dell’ALC 197. Inoltre, l’Accordo distingue tra i lavoratori frontalieri (che
entrano in Svizzera solo per lavorarvi, mantenendo il proprio centro degli interessi nel loro Paese di origine e
rientrandovi tutte le sere o almeno una volta alla settimana, art. 7 ALC, Allegato I) e i lavoratori che entrano in
Svizzera per lavorare soggiornandovi in maniera stabile; questi ricevono un permesso di dimora o di domicilio in
funzione della durata del soggiorno e del contratto di lavoro.
Invero, l’art. 2 cpv. 1 all. I ALC riconosce il diritto a soggiornare in Svizzera anche alle
persone alla ricerca di un impiego: all’interno di questa categoria vengono fatti rientrare sia i
cittadini europei che decidano di recarsi in Svizzera per cercare un lavoro, sia quelle persone
che, dopo avere lavorato in Svizzera per non più di 12 mesi, decidano di rimanervi per
trovare un nuovo impiego.
Lo stesso articolo stabilisce espressamente che i cittadini europei alla ricerca di un impiego hanno il diritto, al
pari dei cittadini svizzeri, ad ottenere l’assistenza fornita dagli uffici di collocamento per trovare un lavoro.
D’altra parte, questo specifica anche che, durante questo soggiorno, i cittadini stranieri non sono però legittimati
a ricevere l’assistenza sociale, ossia quell’assistenza fornita su base cantonale alle persone dimoranti in Svizzera
che riversano in una situazione di bisogno.
L’art. 9 cpv. 1 all. I ALC riconosce, in forza del principio di non discriminazione, che ai
lavoratori dipendenti debba essere garantito il diritto di accedere al mercato alle stesse
condizioni previste per i cittadini nazionali.
Come specificato dallo stesso articolo, questo significa innanzitutto che le condizioni di impiego e di lavoro (in
particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se
disoccupato) debbano essere le medesime. Ad esempio, questo comporta concretamente che non possano essere
legittimate delle condizioni di licenziamento differenti a seconda della cittadinanza o che non possano esserci
delle differenze di retribuzione tra i cittadini svizzeri e quelli stranieri (e viceversa). È proprio relativamente a
questo ultimo aspetto che si discute di sovente della necessità di tutelare il mercato del lavoro svizzero da
pratiche di dumping salariale e sociale, ossia da un abbassamento generale delle condizioni salariali e di
protezione sociale derivante dalla disponibilità di manodopera proveniente da altre Parti contraenti a condizioni
di retribuzione più basse. Questo timore si era inizialmente concretizzato nel 2004 con l’allargamento
dell’Unione europea a Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia
e Slovenia. In quella occasione, gli Accordi bilaterali del pacchetto I erano stati estesi ai nuovi Paesi membri, ad
eccezione dell’ALC, la cui estensione era stata oggetto di nuove negoziazioni tra la Svizzera e l’Unione
europea198. Per ovviare al rischio di un abbassamento generale dei salari, a fronte dell’apertura del mercato del
lavoro ai nuovi paesi membri199, la Svizzera ha quindi adottato delle misure di accompagnamento alla libera

196
Supra, p. 24.
197
EPINEY, A. e BLASER, G. II. Freizügigkeitsabkommen Schweiz-EU, op. cit., p. 40.
198
GENOUD, R. e FAVRE, M., La libre circulation des personnes Les accords bilatéraux, un bilan positif, in L'expert-
comptable suisse, 4, 2004, p. 311.
199
MATTHEY, B. Bilatérales et emploi à genève: une ouverture dynamique, progressive et contrôlée, in La Semaine
judiciaire – doctrine, II, p. 95.

38
circolazione, autorizzate dall’UE200, ossia di misure come i salari minimi o i contratti collettivi di lavoro che
consentono di garantire il rispetto delle condizioni lavorative e salariali minime usualmente praticate in Svizzera.
Queste misure sono state applicate a partire dall’1 giugno 2004 (alla fine del primo periodo transitorio di
apertura del mercato del del lavoro) e costituiscono tutt’oggi una cd. linea rossa che il Consiglio federale pone
come limite invalicabile nella negoziazione dell’accordo istituzionale.
L’art. 9 cpv. 2 All. I ALC stabilisce che, oltre alle condizioni di impiego, il lavoratore
dipendente e i membri della sua famiglia godono altresì dei medesimi vantaggi sociali e
fiscali riconosciuti al lavoratore dipendente nazionale e ai membri della sua famiglia.
Relativamente ai vantaggi sociali, questa disposizione riprende gli artt. 7 – 9 del Regolamento 1612/68/CE201 (ad
oggi non più in vigore, ma ripresi sostanzialmente nel Regolamento 492/2011202 e nella Direttiva 2004/38/CE203)
e, quindi, in forza dell’art. 16 cpv. 2 ALC deve essere interpretata alla luce della pertinente giurisprudenza
CGUE204. Di conseguenza, la nozione di vantaggi sociali viene interpretata in maniera estensiva,
ricomprendendo “tutti quelli che, connessi o meno a un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai
lavoratori nazionali in relazione, principalmente, della loro qualifica di lavoratore o al semplice fatto della loro
residenza nel territorio nazionale” 205. In questo senso, quindi, sono fatti rientrare in questa categoria gli aiuti
sociali, le borse di studio o, ancora, gli assegni maternità o paternità 206, che non possono quindi essere negati in
maniera discriminatoria ai lavoratori in regime di libera circolazione.
Relativamente ai vantaggi fiscali, il Tribunale federale ha invece stabilito che, per i lavoratori frontalieri che
risiedono all’estero ma percepiscono in Svizzera la quasi totalità del loro reddito (il 90% almeno) il regime delle
deduzioni forfettarie previsto nelle tariffe d'imposizione alla fonte in base al diritto federale e cantonale viola il
divieto di discriminazione di cui agli art. 2 ALC e 9 cpv. 2 All. I ALC. Questa categoria di contribuenti
(denominata dalla dottrina “quasi-residenti”) si trova infatti, dal profilo fiscale, in una situazione paragonabile a
quella dei veri e propri residenti e meita di essere fiscalmente trattata come tale; ciò implica che a loro no
debbano essere applicate delle deduzioni forfettarie come normalmente previsto nel regime dell’imposizione alla
fonte, ma che la loro situazione personale e familiare possa essere tenuta in debita considerazione attraverso la
possibilità di operare deduzioni fiscali specifiche. 207 A seguito di questa sentenza, il legislatore federale ha
modificato di conseguenza la legislazione tributaria al fine di eliminare qualsiasi discriminazione208.
L’art. 10 All. I ALC stabilisce che ai lavoratori dipendenti in regime di libera circolazione
può essere rifiutato di occupare un posto nella pubblica amministrazione “legato
all’esercizio della pubblica podestà e destinato a tutelare gli interessi generali dello Stato o
di altre collettività pubbliche”.
Conformemente alla giurisprudenza europea pertinente 209, la nozione di “pubblica autorità” o “podestà” deve
essere interpretata restrittivamente, ossia può essere limitata la libera circolazione delle persone solo
relativamente a quelle attività che implicano direttamente l’esercizio di un’attività che attiene alla sovranità
statale. Così, ad esempio, possono essere esclusi dal corpo di polizia i cittadini stranieri, così come può essere
negato loro il diritto di partecipare a concorsi per la carica di magistrato o per altre cariche in qualità di alti
funzionari dell’amministrazione. Al contrario, e proprio perché non implica direttamente l’esercizio di un’attività
relativa alla sovranità statale, non può essere ad esempio ristretta la libera circolazione relativamente a una
professione come quella di docente, ancorché di una scuola pubblica, oppure di impiegato di una società di

200
KADDOUS, C. e GRISEL, D. Libre circulation des personnes et des services, Basilea: Schulthess Editions
romandes, 2012, p. 856
201
Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori
all'interno della Comunità.
202
Regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera
circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione
203
Direttiva 2004/38/CE Del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini
dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
204
Supra, p. 36.
205
Sentenza della Corte 27 maggio 1993, C-310/91, Arbeidshof Brussels, pt. 18.
206
EPINEY, A. e BLASER, G. II. Freizügigkeitsabkommen Schweiz-EU, op. cit., p. 42.
207
DTF 136 II 241.
208
https://www.efd.admin.ch/efd/it/home/dokumentation/nsb-news_list.msg-id-70404.html
209
Supra, p. 26 ss.

39
sicurezza privata, poiché quest’ultima attività ad esempio non implica la prerogativa dell’uso della forza
pubblica come è invece il caso per un agente di polizia.
2. Lavoratori indipendenti o autonomi (domiciliati o frontalieri, con rischio a carico proprio
– artt. 12 – 16 ALC, Allegato I)  L’ALC riconosce il diritto di accedere e di soggiornare
in Svizzera anche ai lavoratori indipendenti, ossia a coloro (liberi professionisti,
imprenditori, artisti, etc.) che esercitano un’attività professionale in proprio, e non quindi
sotto la direzione di un’altra persona che se ne assuma il rischio imprenditoriale.
Secondo la giurisprudenza CGUE210, il legame di subordinazione è l’elemento che permette di distinguere tra i
“lavoratori dipendenti” e i “lavoratori indipendenti”. In linea di massima, rientrano quindi in quest’ultima
categoria i lavoratori che possono pianificare autonomamente il proprio lavoro e i propri mezzi, che devono
assumersi il rischio della propria attività e che lavorano per uno o più clienti 211. L’accesso dei lavoratori
indipendenti in Svizzera è subordinato alla dimostrazione dell’esistenza dell’attività indipendente: invero, le
autorità possono legittimamente richiedere alla persona che vuole entrare in Svizzera delle informazioni (ed
eventualmente di esibire dei documenti giustificativi) relative alla sua attività come ad esempio, dove intende
svolgerla o se ha già almeno intrapreso le misure necessarie per poterlo fare (come per le società l’iscrizione al
registro di commercio)212. Così, ad esempio, nella sentenza 2A_169/2004 il Tribunale federale ha deciso di non
riconoscere i diritti garantiti ai lavoratori autonomi dall’ALC a un cittadino spagnolo che sosteneva di essere un
broker indipendente, ma che non lo aveva mai dimostrato alle autorità competenti. Inoltre, l’ALC ammette che
possa essere riconosciuta la qualifica di “lavoratore indipendente” anche ai frontalieri 213.
Come sancito dall’art. 15 All. I ALC, in questo caso la non discriminazione deve essere
garantita relativamente all’accesso e all’esercizio dell’attività indipendente in oggetto.
D’altra parte, l’obbligo di assoggettarsi alle medesime condizioni valide per i professionisti originari del Paese di
arrivo (in casu la Svizzera) può implicare anche che le condizioni di accesso e di esercizio dell’attività
indipendente siano più severe rispetto a quelle previste nel Paese di provenienza. Si pensi, ad esempio, al caso di
un architetto che si reca in Svizzera per espletare autonomamente la sua attività a cui, a tal fine, viene richiesto di
iscriversi all’albo degli architetti: se questi vuole praticare questa attività in Svizzera sarà pertanto vincolato a
farlo, e ciò anche se nel suo Paese di origine non fosse istituito alcun albo.
La libertà di circolazione dei lavoratori indipendenti può essere ulteriormente limitata alla
luce dell’art. 16 ALC, All. 1 secondo cui “al lavoratore autonomo può essere rifiutato il
diritto di praticare un'attività legata, anche occasionalmente, all'esercizio della pubblica
autorità”.
Anche in questo caso, come visto sopra per le professioni dipendenti, l’eccezione va interpretata restrittivamente
e diventa sempre più difficile giustificare una condizione legata alla nazionalità o alla sede attraverso questa
clausola. Alcuni anni fa ad esempio, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha sancito che la professione di
notaio, sebbene in parte legata all’amministrazione della giustizia e quindi ad attività di pubblica potestà,
contempla ormai una componente predominante legata ad aspetti contrattuali, ragion per cui condizioni legate
alla nazionalità per lo svolgimento della professione di notaio in un Paese costituiscono un ostacolo alla libera
circolazione, e non possono più essere considerate attività che partecipano all'esercizio dei pubblici poteri214. Il
Tribunale federale ad oggi non si è ancora espresso sulla portata di tale giurisprudenza nel contesto dell’ALC; la
questione è quindi aperta.
3. Prestatori di servizi di breve durata (artt. 17 – 23 ALC, Allegato I) Il diritto ad accedere
in Svizzera è altresì riconosciuto a coloro che vi devono prestare dei servizi di breve durata,
ossia alle persone che intendono entrare in Svizzera per svolgervi un’attività lucrativa

210
Si veda, ad esempio, sentenza della Corte del 27 giugno 1996, causa 107-94, P. H. Asscher contro Staatssecretaris
van Financiën.
211
POSSE-OUSMANE, S. Les conditions d’admission et de séjour des travailleurs hautement qualifiés dans l’UE
Une analyse de la Directive Carte Bleue, Berna: Carl Grossmann Verlag, 2017, p. 42.
212
MERZ, L. Le droit de séjour selon l’ALCP et la jurisprudence du Tribunal fédéral, in RDAF, I, 2009, p. 271.
213
Art. 13 All. I ALC.
214
Sul punto si vedano Sentenza della Corte 24 maggio 2011, Causa 47/08, Commissione europea c. Regno del Belgio e
sentenza della Corte 10 settembre 2015, Causa 151/14, Commissione europea c. Repubblica di Lettonia.

40
indipendente per un periodo complessivo (anche non continuativo) di massimo 90 giorni
civili all’anno215. Se il periodo di prestazione del servizio supera invece il summenzionato
limite, si entra allora nel regime ordinario dei lavoratori indipendenti.
Si pensi, ad esempio, all’avvocato di Milano che, avendo dei clienti con degli affari in Ticino, deve in qualche
occasione entrare in Svizzera per seguire le loro cause: a questi viene riconosciuto l’accesso in qualità di
prestatore di servizio, e sempre che non presti la sua attività per più di 90 giorni in un anno.
L’Accordo prevede poi un regime speciale per le società o imprese che necessitano di inviare i loro dipendenti in
Svizzera per svolgere prestazioni per un periodo, appunto, limitato: si pensi all’impresa edile italiana che per
realizzare un appalto manda i suoi operai. Si parla in questo caso di “lavoratori distaccati”, ed è possibile
distaccare dipendenti per un massimo di 90 giorni. Anche in questo caso, i lavoratori che l’impresa distacca in
Svizzera dovranno essere retribuiti secondo le condizioni salariali e sociali minime valide in Svizzera, al fine di
evitare un fenomeno di dumping sociale.
Per consentire alle autorità che vigilano sul mercato del lavoro e alla polizia di controllare
chi entra e chi esce dalla Svizzera, è necessario che il prestatore di servizio si annunci
all’autorità competente, con una notifica a seguito della quale l’autorità competente può
svolgere controlli in relazione ad esempio al possesso di titoli e certificati adeguati.
L’accesso dei prestatori di servizio stranieri in Svizzera non è però subordinato al possesso di un permesso, ma
soltanto all’adempimento delle formalità di annuncio. A questo proposito, la legge sui lavoratori distaccati 216
precisa che la notifica deve essere effettuata almeno 8 giorni prima dell’inizio del lavoro per cui si deve entrare
in Svizzera. Si noti che questo termine di attesa di otto giorni costituisce un nodo importante nelle negoziazioni
attuali sull’accordo istituzionale, termine che la Svizzera non vuole abbandonare per paura di non poter più
svolgere adeguati controlli, ma che l’UE considera un ostacolo eccessivo alla prestazione facilitata di servizi.
L’ALC prevede inoltre che anche ai destinatari dei servizi (ad esempio, turisti, pazienti
medici, clienti di banche) debba essere garantito l’accesso e il soggiorno in Svizzera senza
discriminazione.
In questo senso, l’art. 23 All. I ALC prevede che il destinatario del servizio non deve possedere una carta di
soggiorno se la durata di questo è inferiore o pari a tre mesi; nei casi in cui viene superato questo limite, al
destinatario del servizio deve essere fornita una carta di soggiorno della durata pari a quella della prestazione.
Così, ad esempio, il cittadino francese che si reca in Svizzera odontoiatrica in giornata non dovrà munirsi di
alcun permesso. Al contrario, invece, questo dovrà essere fornito al cittadino che si reca in Svizzera per subire
un’operazione chirurgica che prevede una degenza ospedaliera superiore a tre mesi.
4. Categorie di cittadini che non svolgono un’attività economica  Infine, in taluni casi
vengono riconosciuti dei diritti anche a chi non svolge un’attività economica. Si tratta in
particolare delle seguenti costellazioni:
- Ingresso e soggiorno senza attività economica (art. 24 All. I ALC): esso è possibile solo a condizione di
dimostrare di disporre per sé e per i membri della famiglia di mezzi finanziari sufficienti per evitare di dover
ricorrere all’assistenza sociale e di un’assicurazione malattia (§1); è indifferente da dove provengano i mezzi in
questione, può anche trattarsi di una rendita sociale o di un contributo di mantenimento accordato da un terzo,
purché consenta alla persona in questione di non cadere nell’assistenza sociale. L’Accordo conferisce poi un
diritto di entrata e soggiorno a scopo di studio/formazione: in tal caso, occorre inoltre dimostrare di essere
ammesso in un istituto di formazione riconosciuto (§4) e non è possibile svolgere un’attività lavorativa se non
a titolo accessorio.
- Come visto sopra, a determinate condizioni (ovvero di effettuare una ricerca attiva del posto di lavoro e di
non richiedere prestazioni dell’assistenza sociale), l’Accordo conferisce un diritto di soggiorno limitato per la
ricerca di un impiego

215
BUENO, N. L’admission des prestataires de services étrangers en Suisse - Une approche nationale, bilatérale et
multilatérale, in RDAF, p. 116.
216
Legge federale dell’8 ottobre 1999 concernente le misure collaterali per i lavoratori distaccati e il controllo dei salari
minimi previsti nei contratti normali di lavoro (Ldist, RS 823.20), art. 6 cpv. 3.

41
- Ricongiungimento familiare (Art. 7 lett. d) ed e) ALC e art. 3 All. I ALC): al fine di facilitare la libera
circolazione dei lavoratori, l’accordo conferisce anche ai membri della sua famiglia il diritto di soggiornare in
Svizzera, lavorando o meno a seconda dei casi, e di godere dei medesimi vantaggi sociali e fiscali cui hanno
diritti i membri delle famiglie di cittadini svizzeri residenti (ad esempio, gli assegni figli, ecc.).
- Infine, al termine di un’attività economica a seguito del pensionamento o del verificarsi di un’invalidità
permanente, il lavoratore e i membri della sua famiglia hanno il diritto di scegliere di rimanere nell’ultimo
Stato in cui hanno svolto la propria professione (e dove si presume essi abbiano intessuto le relazioni sociali e
familiari più strette): (Art. 7 lett. c ALC e art. 4 All. I ALC)
Tutti questi diritti elencati sono effettivamente assicurati grazie a delle garanzie accessorie, come
l’automatico riconoscimento dei diplomi217 e il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, che
in sostanza assicura che l’esercizio delle libertà di circolazione non pregiudichi il diritto alle/o
l’entità delle prestazioni sociali, ad esempio in caso di malattia, congedi parentali, invalidità,
infortuni, rendite vecchiaia e decesso, assegni familiari e indennità disoccupazione.

217
Il regime Svizzero riprende quello europeo: supra, p. 27 ss.

42

Potrebbero piacerti anche