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IL DIRITTO ALLA PRIVACY

Privacy è un vocabolo inglese che richiama termini

come riservatezza, segretezza. La normativa

italiana non ne ha fornito una definizione, ma

nella realtà il concetto di privacy ha un duplice

significato in quanto comprende:

il diritto di proteggere la nostra sfera privata,

ossia il diritto di non subire intrusioni da parte

di estranei a conoscere atti, dati e fatti che ci

riguardano;

il diritto di controllare l’uso e la circolazione

dei nostri dati personali, la cui diffusione è

favorita dall’attuale società dell’informazione e,

soprattutto, dall’uso di internet.

Il diritto alla privacy, inteso come diritto alla

protezione dei dati personali (d.lgs.30 giugno

2003 n.196 denominato “Codice in materia di

protezione dei dati personali”), è un diritto

fondamentale di ogni persona, come stabilito anche

dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

europea.

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I dati personali possono essere distinti in tre

gruppi: dati identificativi, dati sensibili, e

dati giudiziari.

I dati identificativi servono ad identificare e

distinguere una persona: nome e cognome,

pseudonimo o nome d’arte, nome in codice o codice

identificativo, codice fiscale, indirizzo, ma

anche un’immagine, un’impronta digitale, una

registrazione vocale, i dati sanitari, i dati

bancari ecc.

I dati sensibili riguardano la condizione

personale di un individuo: stato di salute,

orientamento sessuale, religioso, politico,

sindacale, appartenenza a una razza o etnia ecc.

I dati giudiziari riguardano l’esistenza di

provvedimenti iscritti nel casellario giudiziale:

provvedimenti penali di condanna definitivi,

misure alternative alla detenzione, divieto o

obbligo di soggiorno ecc.

L’autorità che si occupa di tutelare i dati

personali è il Garante della privacy o meglio il

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Garante per la protezione dei dati personali.

Il Garante, che ha sede a Roma, assicura la tutela

dei diritti e delle libertà fondamentali nel

trattamento dei dati personali e il rispetto della

dignità umana. Inoltre esamina i reclami e le

segnalazioni dei cittadini e vigila sul rispetto

delle norme che tutelano la vita privata. Decide

sui ricorsi sottoposti dai cittadini e vieta i

trattamenti illeciti o non corretti dei dati,

infliggendo sanzioni amministrative ai

responsabili.

INTERNET E LE LIBERTA’ DALLE COSTRIZIONI

La difesa della privacy.

Le libertà che internet mette a rischio sono,

innanzitutto, quelle tutelate o che dovrebbero

essere tutelate dal sistema di diritti che siamo

soliti chiamare con il generico nome di privacy.

Forse non siamo abbastanza consapevoli di quanto

ogni nostra visita in rete, ogni post scritto,

ogni foto o video caricato sui social network

lasci tracce che sono difficili da cancellare da

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seguire e quasi impossibili da cancellare del

tutto. Quando accettiamo i termini e le condizioni

di un sito di internet o di un social network, che

nessuno quasi mai legge e comprende fino in fondo,

praticamente sempre cediamo al sito o al social

network in questione il diritto di usare le

informazioni (incluse foto, video ecc.) che noi

postiamo.

Insomma tutte le informazioni che, magari per poca

consapevolezza, carichiamo in rete, diventano di

dominio pubblico: altri utenti possono scaricarle

e a loro volta condividerle. E’ quindi molto

facile perdere il controllo su dove finiscano, e

su quanto vengano diffusi i contenuti che

diffondiamo, riguardanti direttamente noi o altre

persone.

IL DIRITTO ALL’OBLIO

Se, poi, i contenuti postati in rete sono scomodi,

imbarazzanti o direttamente lesivi dei diritti,

allora l’iter di rimozione dalla rete è ancora più

complicato e doloroso per le vittime. Per questo

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da alcuni anni si parla sempre più spesso di

DIRITTO ALL’OBLIO, cioè il diritto per ogni

persona di chiedere la cancellazione dei propri

dati personali e delle informazioni che lo

riguardano da tutti i motori di ricerca e dai

social network. In base al regolamento dello

European Data Protection Board (il Comitato

Europeo per la protezione dei dati), aggiornato

nel 2020 e recepito in Italia dal Garante per la

Privacy è ormai previsto il diritto di chiedere

che motori di ricerca, come Google, social network

e siti internet, cancellino in determinati casi i

dati riguardanti una persona.

La questione, però è tutt’altro che semplice e

spesso si scontra con le resistenze del provider

di servizi web a intervenire in maniera diretta

sui contenuti condivisi dalle persone, anche

perché, proprio grazie allo sfruttamento dei dati

personali, tali provider hanno costruito negli

anni enormi fonti di guadagno.

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IL DIRITTO ALLA LIBERA SCELTA

Il discorso sulle libertà individuali incontra il

mondo della comunicazione digitale soprattutto

quando si approfondisce il falso mito della rete

come territorio neutro, uno spazio neutro, uno

spazio libero e aperto alla libera espressione di

tutti e tutte.

Siamo consapevoli di come i colossi del web

Google, Amazon, Facebook e Apple e dietro di loro

una miriade di siti e provider di servizi online,

realizzino, ogni anno miliardi di euro di

fatturato(2017 Amazon ha fatturato circa 180

miliardi di dollari, Facebook da solo 16 miliardi

di dollari), ma raramente ci soffermiamo a pensare

alle finalità commerciali di queste aziende, e

all’impatto che queste possano sulla nostra

libertà di espressione, sulle scelte che operiamo

e sul libero accesso a un’informazione realmente

plurale.

Prima di essere società che forniscono servizi di

comunicazione (diventati ormai essenziali nella

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vita quotidiana), infatti, i grandi attori della

rete sono aziende con al centro dei propri

interessi l’incremento del fatturato. Per

guadagnare utilizzano invasione di messaggi

commerciali, ma anche mezzi meno visibili eppure

molto pericolosi per la nostra libertà: questi

colossi del web, infatti, danno un valore

economico ai nostri dati personali vendendoli tra

loro e, pertanto, sviluppano le proprie

piattaforme con l’intento di raccoglierne il più

possibile (il risultato è la cosiddetta filter

bubble.

SE NON PAGHI IL PRODOTTO, IL PRODOTTO SEI TU.

Riguardo a questo punto risiede la più grande

differenza tra i vecchi media: riviste, e

televisioni, per esempio, vendono spazi

pubblicitari ad aziende e compagnie private che,

attraverso di essi, tentano di convincere il

pubblico a comprare i loro prodotti. Al contrario,

aziende come Facebook o Google realizzano prodotti

raccogliendo e vendendo enormi quantità di dati,

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che vengono poi utilizzati per creare pubblicità

sempre più personalizzate.

Sono quindi i contenuti creati dagli utenti a

fornire il “bene” che le aziende vendono a terzi

per la realizzazione di pubblicità. I servizi che

ci forniscono piattaforme come Google e Facebook

ci sembrano quindi gratuiti, ma in realtà li

stiamo pagando non con denaro, ma con informazioni

sui nostri comportamenti.

I nostri dati, dunque, diventano proprietà delle

piattaforme a cui ci iscriviamo e ogni nostro

“click” fornisce loro informazioni sempre più

dettagliate su ciascuno di noi: dal nostro numero

telefonico alla nostra posizione sul territorio,

dai nostri gusti in tema di abbigliamento alla

nostra salute fisica, dalle nostre convinzioni

politiche al nostro orientamento sessuale. Se ci

possiamo accorgere di questo ogni volta che Amazon

ci propone di acquistare prodotti che rispondono

più o meno perfettamente ai nostri gusti, la parte

più difficile da cogliere è quella sul modo in cui

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tutto questo sistema di raccolta e profilazione

dei dati influenza le nostre preferenze (non solo

in ambito commerciale ma anche, per esempio, in

tema di scelte elettorali), o dell’impatto che

questi meccanismi hanno su ambiti molto concreti

della nostra vita, come il mercato del lavoro e le

opinioni politiche.

Presentandosi semplicemente come aziende

tecnologiche, i colossi del web tendono ad evitare

di assumersi la responsabilità dei contenuti che

mettono in circolazione, opponendo invece

resistenza a ogni tentativo di regolamentazione

pubblica.

LA NECESSITA’ STRINGENTE DI REGOLE

Il tema della regolamentazione della rete è molto

complesso e comprende ambiti in cui lo Stato e le

autorità sovranazionali (come l’Unione Europea)

saranno chiamati sempre più spesso a pronunciarsi:

per difendere la libertà degli utenti a usufruire

di questi mezzi, sfruttandone il potenziale

creativo ed espressivo;

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per regolamentare il funzionamento, esattamente

come si fa con gli altri settori produttivi. Si

cerca imporre ai colossi del web il pagamento

delle tasse, la responsabilizzazione sui contenuti

che trasmettono direttamente o indirettamente la

trasparenza sui metodi di raccolta, utilizzo

economico dei dati degli utenti.

Un dibattito aperto

Il dibattito su questi temi tuttavia, non si può

ridurre, come spesso invece sembra essere, alla

domanda se l’utilizzo della rete, soprattutto tra

i giovani, sia un bene o un male. Fenomeni come il

bullismo o le fake news esistono da prima di

internet e hanno a che vedere con contesti

culturali ed economico sociali che vanno compresi

e studiati. Il potenziale della rete nel fare da

cassa di risonanza per qualunque genere di

informazioni ha dato, però, una dimensione nuova a

questi fenomeni. Questo ci impone di confrontarci

con interrogativi complessi, una vera sfida

soprattutto per la scuola e per la politica.

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