Sei sulla pagina 1di 38

Riassunto "Introduzione ai

media digitali" (Arvidsson,


Delfanti)
Sociologia
Università degli Studi di Milano
37 pag.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI
Capitolo 1. Media e tecnologie digitali
• L’ambiente digitale
Le società contemporanee sono caratterizzate dall’onnipresenza e pervasività crescenti dei media
nelle vite quotidiane degli individui. Attraverso la diffusione di massa di svariate tecnologie, le
persone vivono immerse in flussi di comunicazione continui. Questo fenomeno è stato definito
mediatizzazione, e ad oggi rende la presenza dei media talmente abituale da indurci a sottovalutarne
gli effetti. L’ambiente saturo di media in cui viviamo ci spinge a dare per scontata, o addirittura a
non percepire, la presenza delle tecnologie digitali, e a viverne la mancanza come stressante,
talvolta anche distruttiva. Ma oltre alla sfera comunicativa, i media digitali influenzano quella
sociale, economica, lavorativa e politica, in quanto attualmente sono diffusi nelle attività umane più
disparate, dall’agricoltura alla burocrazia. Dunque, grazie alla capacità di integrarsi e interagire con
la maggior parte delle tecnologie preesistenti, i media digitali hanno assunto un ruolo chiave anche
nell’economia delle società contemporanee.
Piccola parentesi storica: Internet si affermò tra gli anni Ottanta e Novanta, grazie alla diffusione
dei personal computer (PC), a basso prezzo e di facile uso, pensati per un mercato di massa, e
all’introduzione del World Wide Web (WWW). Dagli anni Duemila si diffondono il web
collaborativo, con la nascita di piattaforme on line che permettono agli utenti di produrre contenuti
in prima persona, e le tecnologie mobili, come gli smartphone e i tablet.
Ecologia dei media: metafora secondo cui esiste un ecosistema dei media in cui si stanno evolvendo
nuove forme di vita, come i motori di ricerca e i social network. Oltre a popolarsi di nuove specie,
l’ecologia dei media si arricchisce di nuove strategie di sopravvivenza: ad esempio, i social network
forniscono servizi gratuiti in cambio dei dati degli utenti. E’ un mondo dove non vi è un luogo
centralizzato di controllo, ma piuttosto un insieme di relazioni e interazioni che nel complesso
costituiscono questo ecosistema e lo trasformano. A ciò si ricollega la definizione di ambiente
digitale di rete di Benkler, un ambiente caratterizzato dalle maggiori possibilità di cui godono gli
individui per assumere un ruolo più attivo all’interno del sistema dei media. Allo stesso tempo però
questo ambiente è denso di scontri sul futuro delle relazioni tra gli organismi che lo compongono:
ad esempio riguardo temi sensibili quali il copyright, la censura, ecc.
I media digitali sono oggetto di ricerca rilevante per le scienze sociali in quanto le tecnologie
mediano le relazioni tra individui e sono determinanti nella costruzione delle loro identità. Da una
parte l’emergere di una sfera pubblica in rete e la cooperazione che vige on line tra comunità di
individui, ad esempio nella produzione di informazioni, sono fenomeni legati a cambiamenti sociali
che vanno ben oltre le innovazioni tecnologiche; dall’altra proprio queste ultime sono anche frutto
delle trasformazioni, delle sfide e dei bisogni che la società e gli individui si trovano di fronte.
Dunque tecnologia e società si compenetrano. La prima è dipinta sia come portatrice di democrazia
che come minaccia all’ordine sociale, in quanto i media digitali sono dotati di un potere
trasformativo. Ma essi possono anche ostacolare il cambiamento, essendo altamente sorvegliati.
Insomma, vi sono diverse ambiguità che interessano l’argomento.
• Nuovi e vecchi media
I media digitali sono un insieme di mezzi di comunicazione basati su tecnologie digitali aventi
caratteristiche comuni che li differenziano dai mezzi di comunicazione che li hanno preceduti. Con
il termine nuovi media vengono definiti in modo onnicomprensivo tutte quelle tecnologie basate sui
computer e sulle reti che si sono diffuse dagli anni Ottanta (vedi sopra) affiancandosi e poi

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
integrandosi con i mass media tradizionali o “vecchi”, quali televisione, radio e giornali. Tutta via
l’idea che i media digitali siano nuovi è per alcuni punti problematica:
1. I cosiddetti nuovi media sono costituiti da tecnologie eterogenee e molto diverse tra loro,
per cui racchiuderli tutti in una definizione può risultare fuorviante.
2. I media basati sui computer sono ormai diffusi da decenni e sono ormai quelli predominanti
nel settore; inoltre interagiscono con tutti i media precedenti. Per questi motivi è impreciso
definirli semplicemente nuovi.
3. Tutti i media sono nuovi quando vengono introdotti. Ma studiare i nuovi media non significa
solo studiare i nuovi media di oggi, ma il momento in cui una tecnologia emerge e si
afferma in un preciso contesto storico. Anche la stampa a suo tempo è stata un nuovo media.
4. Il termine “nuovo” implica una visione lineare dell’evoluzione dei media, che porta le
persone a trascurare il contesto in cui sono emersi e a considerarli migliori di quelli
“vecchi”. Al contrario, altri ritengono che i vecchi media siano migliori di quelli più recenti.
5. I nuovi media conservano similitudini con quelli precedenti; dunque non sostituiscono quelli
“vecchi”, ma piuttosto li integrano o li modificano (es: la comparsa della televisione non ha
comportato la scomparsa dei giornali). E’ il processo di rimediazione, che comporta una
relazione di competizione ma anche di coevoluzione, omaggio e cooperazione tra media
diversi, che evolvono da modelli precedenti, in un processo continuo e non lineare.
Ciclo tecnologico di un media emergente:
• Crisi di identità: incertezza sul suo ruolo sociale; il suo significato resta aperto e contestato.
Ma dopo la sua introduzione, il significato e le funzioni di una nuova tecnologia sono
lentamente plasmati dalle abitudini di uso dei media preesistenti e dai desideri dei nuovi
utenti. La fase di crisi si risolve quando una nuova tecnologia sorpassa la fase di novità
iniziale e diviene un prodotto di consumo di massa.
• Domesticazione: la nuova tecnologia viene accettata all’interno della società.
Concludendo, se tutti i vecchi media sono stati nuovi a un certo punto della loro evoluzione, è
anche vero che prima o poi tutti i nuovi media sono destinati a diventare vecchi e ad essere superati
da tecnologie più recenti, che però ne mantengono qualche traccia. In altri casi un media può
sopravvivere in una nicchia di mercato o tornare almeno parzialmente in auge, come il disco in
vinile. Infine, media abbandonati possono essere riportati in vita (i cosiddetti zombie media) e
assumere nuovi significati o scopi, ridiventando nuovi. Si parla in questo caso di archeologia dei
media, e ne è un esempio il Gameboy, oggi utilizzato per produrre musica techno.
• I media digitali
La definizione media digitali è dunque più accurata rispetto a nuovi media, non si presta ad
ambiguità e indica una delle caratteristiche principali di queste tecnologie, che processano e
diffondono informazione digitale elaborata e trasformata in linguaggio umano. Lo studio dei media
digitali, oltre agli strumenti tecnologici quali PC, smartphones, fotocamere, lettori mp3 ecc, include
anche le piattaforme software, i protocolli di rete, le nuove forme di socialità in rete e le
trasformazioni dell’economia e della comunicazione. I media digitali possiedono alcune
caratteristiche principali che li differenziano dai media tradizionali e che sono cruciali per
comprendere il loro legame con le dinamiche sociali, economiche e politiche con le quali
interagiscono. Essi sono:

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• Digitali: trasportano informazione rappresentata da una sequenza numerica che viene poi
rielaborata. Utilizzano codici digitali come quello binario, basato su due soli simboli: 0 e 1.
Le tecnologie digitali possono trasportare molto rapidamente quantità immense di
informazione. I media digitali possono trasformare codici analogici in digitali e viceversa.
Queste tecnologie sono composte sia da hardware che da software.
• Convergenti: diversi tipi di contenuti (scritti, sonori, visivi, ecc) convergono in un unico
supporto, come ad esempio il PC (audio, video, scrittura, ecc). La produzione e la fruizione
di contenuti diversi possono avvenire tramite un unico dispositivo tecnologico.
• Ipertestuali: l’ipertesto è un testo con una struttura complessa, fatta di rimandi ad altri testi
o contenuti tramite link, e fornisce all’utente una lettura multi sequenziale e multilineare.
• Distribuiti: i mass media tradizionali sono centralizzati e unidirezionali; l’informazione
viene trasmessa da una struttura centrale, a un pubblico. I media digitali sono invece
caratterizzati da un modello distribuito di gestione delle tecnologie dell’informazione che si
basa su tre peculiarità:
1. La diffusione di computer, smartphone e tablet a basso costo e quindi accessibili a tutti.
2. L’accesso a Internet e al WWW.

3. I software e le piattaforme che permettono all’utente di creare contenuti.


I mezzi di produzione e distribuzione dell’informazione oggi sono nelle mani di milioni di individui
che comunicano in rete.
• Interattivi: gli utenti hanno la possibilità di interagire direttamente con i contenuti,
modificarli o produrli in prima persona. Gli individui possono:
• Selezionare le informazioni che ricevono.
• Produrre informazioni legate ai contenuti: commentare, votare, ecc.
• Produrre in proprio contenuti mediali (es video).
• Sociali: una parte importante dei servizi e delle piattaforme di comunicazione online si basa
sullo sfruttamento di dinamiche sociali, vedi i social network. Questi servizi sono basati
sulla gestione e sulla formazione di reti sociali, e attraverso essi gli individui contribuiscono
a costruire la propria identità.
• Mobili: le tecnologie mobili di rete, come cellulari, smartphone e tablet, permettono di
scrivere, pubblicare contenuti o cercare informazioni da qualsiasi luogo e in qualsiasi
momento. Permettono anche di produrre e scambiare informazioni legate al luogo e al
tempo di utilizzo.
• Effimeri: le informazioni prodotte e trasmesse tramite media digitali hanno una durata nel
tempo che dipende da diversi fattori. I programmi e i dati vengono continuamente
aggiornati, le periferiche di memorizzazione durano al massimo qualche decennio, le chat
sono altamente effimere. Tuttavia copie e tracce di queste comunicazioni possono essere
memorizzate anche a nostra insaputa per esempio da aziende, governi ecc.

• L’infrastruttura della rete


Internet è un sistema composto da una serie di nodi intercomunicanti:

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
▲ Ha una struttura a rete e distribuita, il che significa che le informazioni che lo compongono
sono posizionate su migliaia di computer chiamati server, ai quali gli altri computer (client)
si ricollegano per chiedere le informazioni desiderate.
▲ E’ una rete ridondante: le informazioni vengono smontate in pacchetti che possono separarsi
e viaggiare su percorsi diversi.
▲ E’ un sistema aperto, dato che chiunque abbia a disposizione una connessione può accedervi
e utilizzare protocolli standard (TCP/IP) e linguaggi (http, HTML) per navigare. Ogni sito
web ha un indirizzo (URI) fornito di un codice chiamato dominio che aiuta la sua
identificazione.
▲ Si basa sul principio della neutralità della rete: gli operatori Internet non possono
discriminare pacchetti di informazione in base al contenuto o alla provenienza. Le aziende
che forniscono contenuti non possono pagare i provider per far passare le proprie
informazioni più rapidamente.
Per comprendere le reti e i media digitali è importante differenziare i livelli che li compongono. I
media digitali e le tecnologie di rete sono composti da livelli differenti, legati tra loro ma diversi.
■ Il primo è il livello fisico, che comprende le risorse naturali, utilizzate ad es per le
comunicazioni radio, e le infrastrutture tecnologiche che costruiscono l’ambiente di rete
(PC, server, cavi, satelliti).
■ Il secondo è il livello logico, rappresentato dai software, dagli standard e dai protocolli su
cui si basano le reti.
■ Il terzo è il livello dei contenuti, ovvero le informazioni in linguaggio umano che vengono
prodotte e scambiate in rete.
■ Infine vi è il livello giuridico, cioè l’insieme delle leggi nazionali e internazionali che
regolano il funzionamento della rete e i comportamenti dei suoi utenti.
Le architetture e i codici che compongono specialmente i primi due livelli dell’ambiente digitale
sono cruciali per comprendere l’evoluzione della società dell’informazione. A proposito del livello
giuridico, il giurista statunitense per evidenziare l’influenza dell’architettura della rete affermò “il
codice è la legge”.
Quadro 1.1: La materialità dei media digitali la digitalizzazione non ha fatto scomparire la
materialità delle tecnologie. Le scienze sociali pongono attenzione alle caratteristiche fisiche dei
computer o dei dispositivi di rete quali cavi, router o antenne per la telefonia mobile. Questi studi
permettono di analizzare i cosiddetti artefatti digitali e di comprendere le condizioni di lavoro
(pessime nei paesi da cui si estraggono i materiali utilizzati nella realizzazione di dispositivi
tecnologici), produttive ed ecologiche che sottostanno al sistema dei media. L’impatto ecologico
delle tecnologie digitali è una questione spesso sottovalutata che riguarda lo smaltimento dei
materiali di cui sono fatti smartphone, tablet, eccetera e il fatto che questi dispositivi necessitino di
grandi risorse energetiche per funzionare. La maggiore diffusione e il continuo ricambio di nuovi
modelli sottoposti dalle aziende a obsolescenza programmata, cioè progettati per avere una duratura
limitata, crea una domanda continua di materiali. In questo modo si è creata un’industria del
riciclaggio, che estrae metalli preziosi da oggetti dismessi per poterli rivendere e così reimmetterli
nel sistema produttivo. Vi sono dunque diverse fasi inquinanti. E’ importante anche il tema del
consumo di elettricità, in quanto le infrastrutture di Internet consumano attorno al 10% della
produzione di energia elettrica globale.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• Tecnologie e società
Le scienze sociali si occupano da tempo delle tecnologie. Le principali teorie sul rapporto fra
tecnologia e società si sono sviluppate a partire dalle tecnologie predominanti nel Novecento. Con
l’emergere delle tecnologie digitali, nuove sfide spingono a rinnovare questi approcci.
Alcune prospettive vedono la tecnologia come un fattore esogeno, cioè una forza esterna il cui
sviluppo è indipendente dai fenomeni sociali. Secondo questo punto di vista, occorre concentrarsi
su quale funzione specifica essa assolva per lo sviluppo di una società. Seguendo questa logica, ad
esempio i computer sono funzionali agli scopi di chi li utilizza, come le istituzioni; non si prende in
considerazione l’idea che le tecnologie siano usate per scopi diversi a seconda di chi ne faccia uso.
Il determinismo tecnologico segue questo approccio, sostenendo che le tecnologie sono fattori
indipendenti in grado di determinare lo sviluppo delle società umane. Le caratteristiche dei media
digitali quindi determinano il modo in cui gli individui interagiscono tra loro, dando vita a forme
particolari di organizzazione sociale, o sono responsabili di cambiamenti nella struttura economica
o politica di una società. Anche nella teoria sociale, versioni più o meno estreme del determinismo
hanno sempre rivestito un ruolo importante. Per Karl Marx, ad esempio, le tecnologie hanno il
potere di strutturare i rapporti di produzione (banalizzando, potremmo dire che la macchina a
vapore è stata uno dei fattori che hanno contribuito all’affermarsi di una società di tipo capitalistico-
industriale). Negli anni Sessanta McLuhan scriveva che “il medium è IL messaggio”, per
sottolineare l’impatto sulla società della tecnologia mediatica (a ciò si potrebbe ricollegare il
discorso “tutto ciò che non viene riportato dai media non esiste”).
La prospettiva determinista appena analizzata resta uno dei principali modi per interpretare la
dimensione sociale ed economica dei media digitali. E’ evidente che le tecnologie hanno un ruolo
fondamentale, che questo approccio gli riconosce, nella società; tuttavia questa visione è ritenuta
troppo monodimensionale, dato che nega la complessità del rapporto fra tecnologie e società.
Una prospettiva opposta a quella appena vista è quella della costruzione sociale delle tecnologie, in
base alla quale la struttura e il successo di una tecnologia dipendono dalla forza, dai bisogni e dai
valori del gruppo sociale che la promuove. La metafora della costruzione indica che l’evoluzione
delle tecnologie è qualcosa a cui le persone partecipano attivamente. Questo approccio sottolinea
come le tecnologie NON siano naturali o esogene, ma dipendano dai processi sociali dai quali
hanno origine e in cui sono immerse le persone che le sviluppano. L’architettura di Internet dunque
non è naturale, ma dovuta alle scelte degli scienziati che l’hanno progettata; attori diversi avrebbero
costruito una rete diversa. Questo approccio riconosce pienamente il ruolo attivo degli utilizzatori
delle tecnologie. Chi utilizza i media digitali può farne usi non previsti o diversi da quelli
immaginati da chi li ha progettati. Detto ciò, occorre aggiungere che la tecnologia NON è neutrale,
proprio perché incarna i valori e i bisogni di una parte della società; anzi, si sostiene che abbia
addirittura una “politica”: il modo in cui sono progettate, oppure la decisione di adottarle o meno
possono avere il fine di ribadire una forma di potere o di autorità.
Infine, altre teorie sociali parlano della coproduzione di tecnologia e società: non è l’una a plasmare
e determinare l’altra, ma piuttosto si influenzano a vicenda, in un processo di coevoluzione in cui i
cambiamenti dell’una producono le altre, e viceversa.
La sociologia utilizza il termine affordance per descrivere le possibilità offerte e i limiti imposti da
uno strumento tecnologico a chi lo utilizza. Le tecnologie possono offrire soluzioni e rendere
possibili nuove forme di azione, ma allo stesso tempo ciò è possibile solo all’interno dei confini
della tecnologia stessa. Twitter, per esempio, è una piattaforma che permette agli utenti di produrre
informazioni, e perciò viene definita una tecnologia abilitante. Però allo stesso tempo consente loro

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
di scrivere messaggi che non superino i 140 caratteri, costringendo di fatto gli utenti all’interno di
uno schema prestabilito. Facendo riferimento anche a questo, con il termine algocrazia viene
definito un ambiente digitale in cui sempre più potere viene esercitato dagli algoritmi, i quali
rendono possibili alcune forme di interazione e ne vietano altre. Talvolta gli utenti si prendono una
“rivincita”, come nel caso del jailbreaking, ovvero la rimozione delle limitazioni presenti nel
sistema operativo iOS di Apple, con conseguente possibilità di installare applicazioni e programmi
non previsti dalla Apple stessa.

Capitolo 2. La società dell’informazione


• Informazione e società
L’espressione società dell’informazione indica una forma di società caratterizzata dall'importanza
della produzione e gestione di informazione, sapere e conoscenza, dove le tecnologie informatiche
sono pervasive e influenzano i processi produttivi, sociali, identitari e politici. La capacità di
produrre, manipolare e distribuire informazione diventa il fattore principale di ricchezza e potere.
La affermazione di questo tipo di società è legata anche ai profondi cambiamenti economici e
politici avvenuti negli ultimi decenni del Novecento, come la fine del bipolarismo USA-URSS e
l’affermarsi di nuovi fenomeni di globalizzazione. Si comincia così a parlare di “società
postindustriale” o “postmoderna”; nasce un nuovo paradigma fondato sull’informazione e sulla
conoscenza, che diventano fattori produttivi chiave della produzione, dell’economia e
dell’organizzazione delle società contemporanee. Le tecnologie per produrre, gestire e distribuire
l’informazione sono caratterizzate da grande diffusione e costi sempre più bassi, perciò vasti strati
della popolazione possono accedervi. Il concetto di società dell’informazione comincia a
diffondersi negli anni Novanta insieme alla diffusione di Internet. Alle visioni di trasformazione
economica si aggiungono speranze utopiche, quali una visione della rete come di un mezzo che
porterà a un accesso diffuso del sapere e a una democratizzazione radicale della politica, fino al
punto di iniziare a parlare della società dell’informazione come di una terza rivoluzione industriale.
Il sistema economico che emerge da questa trasformazione si caratterizza per essere, nella
definizione di Castells:
1. Informazionale
2. Globale
3. A rete.

• Economia in rete e globalizzazione


1. In un’economia informazionale, cioè basata sull’informazione, la produttività, la
competitività e la redditività dipendono dalla capacità di generare e gestire informazione e
conoscenza. La ricerca e lo sviluppo, e quindi l’innovazione, diventano cruciali per
l’impresa. L’informazione è un bene intangibile diverso dai beni materiali, e necessita di
essere regolato da forme di proprietà apposite: nella società dell’informazione i diritti di
proprietà intellettuale acquistano un’importanza inedita. Per un’azienda che produce beni a
elevato contenuto di informazione, possedere brevetti o diritti d’autore diventa cruciale. Le
risorse principali dell’impresa smettono di essere le fabbriche e i macchinari, per diventare
quelle legate all’informazione: brand, brevetti, design, marketing, ecc. La produzione dei
beni materiali è appaltata a produttori esterni, spesso in Asia, mentre le imprese madri
possiedono la proprietà intellettuale (i brevetti sui prodotti e i diritti sul marchio) e

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
gestiscono la ricerca tecnologica, il marketing, eccetera. Il capitale investito in beni
informazionali rende di più di quello investito nella produzione materiale. L’informazione e
la conoscenza diventano sia materia prima, sia prodotto finale dei processi produttivi.
Quadro 2.1: I diritti di proprietà intellettuale la proprietà intellettuale è un apparato di principi
giuridici che permettono a creatori e inventori di esercitare diritti di proprietà sui frutti
dell’inventiva e dell’ingegno. Questi diritti concedono un monopolio sullo sfruttamento di un bene
immateriale e permettono di escludere soggetti terzi dal suo uso. Si dividono in tre tipologie
principali:
• Il diritto d’autore (o copyright) tutela la proprietà delle opere artistiche, letterarie e
scientifiche.
• Il brevetto tutela le invenzioni industriali, ovvero invenzioni che siano riproducibili e
applicabili in attività industriali.
• Il marchio, che contraddistingue un prodotto o un’azienda rendendoli riconoscibili da parte
del consumatore.
La proprietà intellettuale è una concessione temporanea; dopo un dato periodo di tempo, le opere o
le invenzioni diventano di dominio pubblico, in modo che tutta la società possa trarne beneficio.
L’informazione è un bene non rivale (non è esclusivo; come io apprendo una determinata
informazione, ad esempio da un articolo di giornale, così può farlo chiunque nello stesso momento)
che ha un costo marginale (corrisponde al costo di un’unità aggiuntiva prodotta) pari a zero. I diritti
di proprietà intellettuale instaurano invece costi marginali artificiali da pagare per produrre una
copia di un bene immateriale.
2. Nell’economia globale, o meglio globalizzata, le grandi istituzioni economiche hanno la
capacità organizzativa e tecnologica di operare su scala globale. I processi di
globalizzazione sono in atto da secoli, tuttavia con la società dell’informazione la
globalizzazione diventa uno dei fenomeni economici principali e si basa anche sulla nascita
di nuovi soggetti: si affermano le imprese multinazionali, in cui produzione, consumo e
circolazione delle merci vengono organizzati su scala globale. In questo modo nasce una
cultura di consumo globale in cui merci, stili di vita e forme di consumo si diffondono in
tutto il mondo e vengono adattati in contesti locali diversi. Infine, si affermano i mercati
finanziari globali, che vengono gestiti tramite media digitali e tecnologie di rete, e aumenta
l’importanza di entità e trattati sovranazionali che comprendono insiemi di nazioni o intere
regioni del globo.
3. L’economia a rete infine è caratterizzata da forme di produzione più flessibili, in cui vige un
paradigma di organizzazione dei processi produttivi basato su decentramento e autonomia
delle unità produttive (formando così le reti di imprese), al contrario delle rigide gerarchie
del lavoro di fabbrica tipiche della società industriale. Le reti tuttavia non nascono con
questi cambiamenti, ma sono una forma arcaica di organizzazione sociale: le reti di
parentela costituiscono ad esempio una forma arcaica di organizzazione sociale. Con
l’emergere della società dell’informazione, questo sistema a rete è tornato ad essere
competitivo; le tecnologie dell’informazione permettono infatti di organizzare in modo
estremamente efficiente attori che non rispondono a nessuna gerarchia ma hanno parziale
autonomia di decisione. Le reti tornano così ad essere un’alternativa alle organizzazioni
burocratiche.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• Le teorie sulla società dell’informazione
Il dibattito sulla società dell’informazione è stato dominato dalla figura del sociologo Manuel
Castells durante gli anni Novanta. La sua tesi contiene una certa dose di determinismo tecnologico
(vedi sopra). Egli infatti sostiene che come nella società industriale il potere economico e politico
era legato alla produzione di oggetti materiali, così nella società dell’informazione sono i beni
informazionali o intangibili a determinare il successo economico di un individuo. E’ il cosiddetto
capitalismo informazionale. Inoltre Castells descrive la società dell’informazione come una società
strutturata in reti, e perciò la definisce network society. Come conseguenza della loro importanza
nel mondo della produzione economica, le reti diventano dominanti anche nella dimensione sociale.
Esse, secondo Castells, creano uno spazio dei flussi, costituito dagli spazi, fisici e mentali, dove
circolano saperi, competenze, denaro e persone. Questo spazio si configura come una rete aperta, in
cui frontiere e limiti sono sempre meno importanti, ed è popolato da individui che possiedono le
competenze necessarie per plasmare l’informazione. Restano invece tagliati fuori coloro i quali non
hanno accesso a Internet. Per Castells la spaccatura principale della società dell’informazione
avviene tra chi ha accesso ai flussi, e chi ne è escluso. Questi ultimi tendono a contrapporsi alla
cultura cosmopolita e globalizzata dello spazio dei flussi rinforzando identità territoriali o culturali
che diventano modalità di resistenza e di opposizione (esempio: alcuni movimenti di estrema
destra). Al contrario, nello spazio dei flussi che dominano e trainano la società dell’informazione, i
conflitti sono smorzati e gli individui competono liberamente per il successo.
Castells non è l’unico né il primo a parlare di “società dell’informazione”. Questo termine si
diffonde nell’immediato dopoguerra e da subito contiene alcuni elementi che poi Castells
riprenderà, come l’indebolirsi del conflitto tra capitale e lavoro e della sua centralità e il nuovo
ruolo produttivo della circolazione dell’informazione. Come abbiamo visto, il determinismo
tecnologico spinge molti teorici ad enfatizzare gli effetti delle innovazioni sulla società. Inoltre,
visioni utopistiche di democratizzazione universale convivono con visioni pessimiste in cui le
tecnologie mettono a rischio l’ordine sociale.
Il primo a investigare seriamente il nuovo ruolo dell’informazione e della conoscenza come fattore
produttivo nelle economie capitaliste avanzate è stato l’economista Machlup, che negli anni
Sessanta introdusse l’espressione economia della conoscenza nel linguaggio comune. Allo stesso
tempo Drucker, uno dei primi a utilizzare il termine postmoderno, faceva notare come la centralità
dei lavoratori della conoscenza (ricercatori, manager, tecnici) si stesse man mano affermando, e
come la fonte del valore si spostava sempre di più verso l’innovazione e l’organizzazione di
processi complessi. Il sociologo Bell ampliò questa visione di un nuovo ordine economico e sociale
suggerendo che l’importanza della produzione e circolazione di informazione come fattore
economico, e quindi la centralità politica e culturale dei lavoratori della conoscenza avrebbero reso
meno influenti le grandi ideologie della modernità, come ad esempio il comunismo, che erano
organizzate intorno al conflitto tra capitale e lavoro. A suo parere i nuovi lavoratori della
conoscenza sentivano di non avere alcun legame con le visioni ideologiche di destra o di sinistra,
ma erano interessati alla propria autorealizzazione consumista. Si prospettava dunque il diffondersi
di un ceto medio con un orientamento apolitico e consumista. Questa tesi fu ripresa anche da alcuni
sociologi italiani come Alberoni e Pizzorno che le riscontrarono nel ceto medio emerso dal boom
economico degli anni Sessanta in Italia. Himanen parla esplicitamente di una nuova etica del
capitalismo basata su flessibilità, creatività, indipendenza dalle gerarchie e dalle burocrazie
industriali. Emerge dunque una sorta di nuovo spirito del capitalismo che rende quest’ultimo
flessibile e consumistico.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
Nel decennio successivo queste idee si consolidarono convergendo verso l’idea di una nuova
società postindustriale, il cui modello, proposto da Touraine negli anni Settanta e poco tempo dopo
ripreso da Bell, si fondava su tre componenti principali:
✓ La riduzione del peso economico della produzione materiale effettuata nelle industrie e il
consolidarsi di una nuova economia dell’informazione e dei servizi.
✓ La centralità della produzione di sapere, e in particolare della ricerca scientifica, come
motore dello sviluppo economico e sociale.
✓ Il ruolo di potere assunto dalla pianificazione e dall’organizzazione di processi complessi, e
di conseguenza la sostituzione della vecchia classe dirigente con un ceto di burocrati e
tecnici.
Negli stessi anni, i teorici del post fordismo mettevano l’accento sulle trasformazioni delle forme di
produzione, che grazie ai computer e all’automazione dei macchinari diventano più flessibili.
Mentre l’organizzazione del lavoro basata sulla catena di montaggio ideata da Ford era perfetta per
produrre beni di consumo di massa standardizzati, ma modificare un prodotto significava cambiare
l’intera catena, con le nuove macchine ciò è facilmente attuabile essendo queste riconfigurabili e in
grado di rispondere alle richieste di un mercato in costante mutamento.
Negli anni Ottanta al concetto di società postindustriale si affianca l’idea di società post moderna da
una definizione del filosofo Lyotard, secondo il quale i cambiamenti nella produzione di cultura e di
sapere nella politica, con l’affermarsi della società dei consumi, avrebbero come conseguenza un
effetto profondo sulle società moderne. Si sarebbe diffusa una consapevolezza della natura
artificiale della cultura umana; quando tutto è ridotto a informazione, tutto può essere rivisto,
manipolato e maneggiato, e nulla è stabile. Il teorico dei media Marshall McLuhan fu uno dei
propugnatori del ruolo dei nuovi media come strumenti di mutamento sociale. Egli scriveva negli
anni Sessanta, caratterizzati dalla diffusione di massa della televisione commerciale nei paesi
occidentali. Secondo McLuhan i media elettronici come la televisione erano destinati a trasformare
l’umanità in un villaggio globale, ovvero in un mondo in cui i media riducono le distanze
permettendo di comunicare in tempo reale in qualsiasi luogo. Nasce così una sorta di “comunità
globale”.
Anche la diffusione di Internet a metà degli anni Novanta provocò reazioni e aspettative simili a
quelle sviluppate con l’arrivo della televisione e della stampa popolare. In particolare vi furono
alcuni studiosi della Silicon Valley, in California, e tra questi specialmente Negroponte, che
dipingevano la rete come una tecnologia che permette di trascendere le barriere spaziali e
burocratiche che caratterizzano gli stati. L’individuo in rete è un consumatore o un imprenditore che
vive negli spazi digitali e in un mercato libero da condizionamenti statali. Questa visione viene
definita tecno liberismo, in seguito ribattezzato ideologia californiana, con alla base il pensiero
secondo cui la diffusione di Internet porterà a un accesso diffuso a sapere e informazione e quindi
cancellerà le differenze di potere fra lavoratori e datori di lavoro, fra consumatori e produttori, e fra
stato e cittadini. E’ utilizzata per criticare l’idea, radicata nel capitalismo della Silicon Valley,
secondo la quale il flusso libero dell’informazione porterà con sé una democratizzazione della
politica e nuove possibilità di arricchimento economico per chi possiede flessibilità e spirito
imprenditoriale. Effettivamente l’ideologia californiana esaspera il potenziale liberatorio di Internet,
però riesce a cogliere l’importanza di movimenti sociali e idee nello sviluppo della rete (si pensi ad
esempio alla nascita del fenomeno degli hacker, dovuto a particolari condizioni sociali e oggi molto
influenti nella sfera politica).

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
Sempre negli anni Novanta si fa strada l’idea di intelligenza collettiva, che per Lèvy è una
mobilitazione delle intelligenze distribuite, coordinate e valorizzate grazie alle tecnologie
dell’informazione. Da una particolare tradizione di teorici sociali marxisti emerge invece il concetto
di capitalismo cognitivo, cioè una forma di organizzazione della produzione che, grazie ai media
digitali e in particolare alle loro caratteristiche sociali, si basa sullo sfruttamento delle capacità
cognitive degli individui. L’intelligenza collettiva è dunque da un lato sfruttata dal capitalismo,
dall’altro costituisce le possibili basi di una nuova alternativa.
• Storia delle tecnologie informatiche
N.B.: da studiare con a fianco il quadro 2.2 (posto in fondo al paragrafo).
Le tecnologie informatiche hanno una storia legata a quella dei grandi mutamenti sociali e politici
degli ultimi secoli. La prima definizione di computer come macchina che conosciamo oggi viene
dal matematico Turing e risale agli anni Trenta: egli parla di una macchina “capace di imitare tutte
le altre macchine”, ovvero programmabile. Un computer contemporaneo è un insieme di macchine,
che prima vivevano vite distinte: è una macchina da scrivere, un lettore Dvd, un telefono, una
fotocamera, ecc. Tecnicamente questo processo che porta diversi tipi di contenuti a convergere in
un unico dispositivo viene definito, per l’appunto, convergenza. Seguendo questa definizione il
primo computer potrebbe essere considerato il telaio inventato da Jacquard nel 1801. Questo telaio
utilizzava un rotolo di carta perforata che conteneva un programma di istruzioni per l’esecuzione di
un particolare modello. Cambiando il rotolo di carta e quindi il programma, si cambiava il modello.
Sulla base di questa invenzione di Jacquard, il matematico inglese Babbage sviluppò due progetti
per computer meccanici: la macchina delle differenze e la macchina analitica, entrambe macchine
per l’automazione del calcolo ed entrambe destinate a calcolare gli orari per le ferrovie inglesi.
Babbage si proponeva di risolvere due problemi: l’alto costo per macchine simili e la bassa qualità
dei calcoli svolti a mano da esseri umani. Nessuna di queste due macchine fu mai realizzata, ma si
ritiene che la collaboratrice di Babbage, la signora Lovelace, sia l’autrice del primo programma
informatico della storia. E’ evidente come questi primi progetti fossero orientati ad aumentare
l’efficienza della produzione industriale e del controllo e della gestione di organizzazioni
complesse, e ciò dipendeva dai processi di industrializzazione del periodo e dell’espansione che
comportarono.
L’idea che un nuovo atteggiamento scientifico possa essere applicato anche alle vicende umane e
che i fatti sociali seguano regole ben precise era stata sviluppata a partire dal Seicento e rafforzata
durante l’Illuminismo. Da questa nuova mentalità scientifica ha origine l’idea che la società possa
essere misurata e che gli avvenimenti sociali ed economici possano essere calcolati e programmati.
Questo modo di pensare fu enormemente rinforzato dallo sviluppo della statistica. Chiamata in
origine “aritmetica politica”, la statistica rispondeva all’esigenza di misurare e controllare gli
avvenimenti sociali da parte degli stati. Ciò si manifestava in due trasformazioni principali:
• La creazione di eserciti di leva rendeva indispensabile sapere quanti soldati potevano essere
forniti da un particolare paese o regione e quindi avere informazioni attendibili sul tasso
delle nascite, della mortalità o delle malattie;
• La nuova economia di mercato che si stava espandendo nel Settecento rendeva necessarie
misurazioni economiche più precise, dato che la ricchezza di una nazione cominciava
sempre di più a dipendere dalla sua capacità di facilitare e promuovere commercio e
produzione manifatturiera.
Lo sviluppo della statistica tendeva a sua volta a rafforzare l’idea che l’ordine sociale fosse
calcolabile, dato che forniva dati sulla base dei quali si potevano riscontrare regolarità che

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
sembravano leggi quasi naturali. Nei secoli successivi la statistica generò una forte pressione per lo
sviluppo di nuovi metodi di calcolo e di nuove macchine calcolatrici. Quella più diffusa fu la
macchina di Hollerith, che processava dati in forma di schede perforate, un formato derivato da
quello di Jacquard, basato su schede di cartone in cui l’informazione era registrata tramite la
presenza o l’assenza di fori in posizioni specifiche. Hollerith fondò una sua compagnia (oggi si
chiama Ibm ed è una delle maggiori al modo nel settore informatico) che diffuse i computer a
schede perforate nella maggior parte delle amministrazioni statali e delle grandi società
commerciali.
Anche il processo di industrializzazione che si affermava nell’Ottocento creò la domanda per nuovi
modi di automatizzare la produzione; così avvenne, e macchine programmabili come il telaio di
Jacquard potevano aumentare la produttività semplificando il lavoro. Gli operai qualificati infatti
tendevano ad essere anche politicamente attivi, mentre l’automazione permetteva di sostituirli con
immigrati appena arrivati dalle campagne, con poca esperienza politica e disposti a lavorare con un
salario più basso. Questo processo fu alla base dello sviluppo della catena di montaggio negli
stabilimenti della Ford, e in seguito dell’organizzazione generale del lavoro. Intanto le nuove grandi
società e imprese americane stavano espandendo il loro ruolo, prima limitato alla produzione di
beni: nascono così nuove discipline quali il marketing, il management, eccetera, e quindi cresce la
domanda di macchine calcolatrici fornite dall’azienda leader del mercato: Ibm.
La Seconda guerra mondiale diede impulso ulteriore allo sviluppo dei calcolatori e diede forma ai
computer come li conosciamo oggi. Lo sforzo bellico richiese l’applicazione dei computer per
diversi scopi (calcoli complessi per scopi balistici, di controspionaggio, trasmissioni di unità
calcolabili di informazione, ecc). Per lo sviluppo della bomba atomica (Progetto Manhattan) si
dovettero fare calcoli molto complessi; infine le telecomunicazioni assunsero un’importanza
strategica. Turing realizzò Colossus, un computer utilizzato per decifrare messaggi tedeschi in
codice. Anche le donne ebbero un ruolo da protagoniste nella programmazione.
Alcuni anni dopo la guerra i computer cominciarono a diffondersi al di fuori dell’ambiente militare.
Ma il loro costo proibitivo, insieme alla grandezza e la complessità che li caratterizzavano, fecero sì
che rimanessero degli “aggeggi misteriosi”. Il primo super computer elettronico realizzato da Ibm
fu venduto in nove esemplari. All’epoca infatti un computer costava decine di milioni di dollari,
riempiva una stanza intera, necessitava di quantità enormi di energia ed era incomprensibile da
utilizzare per chi non fosse laureato in matematica. Le innovazioni tecnologiche del dopoguerra
cambiarono questo scenario. Sia Ibm che Olivetti (realizzatore nel ’65 del primo personal computer
della storia, la cosiddetta “Perottina”) lanciarono una serie di prodotti destinati alle medie e grandi
imprese e all’amministrazione statale. Nel 1971 Intel inventò il microprocessore, ovvero un
computer collocato su un chip tascabile (e non più in una intera stanza). Questa innovazione
rivoluzionò il mercato dei computer, riducendone drasticamente il prezzo e le dimensioni e
migliorandone le prestazioni. I computer stessi si diffusero così nelle organizzazioni e nelle
imprese ed ebbero un impatto crescente sull’organizzazione dell’economia. Alla fine degli anni
Settanta si poteva parlare dell’emergere di una nuova società dell’informazione basata sui
computer, esaudendo la cosiddetta legge di Moore, una “profezia” a riguardo formulata da uno dei
fondatori di Intel sullo sviluppo costante della potenza dei microprocessori che ne avrebbe
comportato una rapida diffusione. Questo portò, già a partire dagli anni Sessanta, alla formazione
negli Stati Uniti di una cultura di giovani studenti dei neonati dipartimenti di informatica vicina alle
controculture che poi sfociarono nel Sessantotto e che dà vita alle prime comunità di hacker.
Ispirate da un ideale democratico, queste persone vedevano il rigore gerarchico che circondava i
computer come una sfida da contrastare. Al contrario, essi propugnavano un approccio attivo alla
tecnologia, utilizzando i computer per scopi imprevisti; ad esempio, furono gli artefici dei primi
videogiochi. Con le controculture nacquero anche iniziative concrete per diffondere le nuove

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
tecnologie, rendendole di pubblico accesso. Hanno origine da ciò i primi personal computer
destinati a un uso familiare. Intanto, in quella che sarebbe poi diventata la Silicon Valley, hacker e
appassionati di informatica si scambiavano idee e innovazioni, in una sorta di club di cui facevano
parte anche i due futuri fondatori di Apple, Steve Jobs e Steve Wozniak. Da qui nacquero sistemi
operativi a interfaccia grafica come Mac e Microsoft che aumentarono il potenziale dei computer
per famiglie. La trasformazione di questi da tecnologia burocratico-militare a elettrodomestico e
centro di intrattenimento per le famiglie fu quindi frutto dell’appropriazione e riconfigurazione
delle nuove tecnologie da parte di attori come gli hacker, gli attivisti dei movimenti post
Sessantotto, gli imprenditori della Silicon Valley e l’industria dei videogiochi. Anche Internet, come
vedremo nel prossimo paragrafo, ha una storia simile.
Quadro 2.2: Cronologia della storia dei computer
1801: Francia, telaio automatico di Jacquard.
1822: Gran Bretagna, macchina delle differenze e macchina analitica di Babbage.
1843: Gran Bretagna, Lovelace definisce la macchina analitica di Babbage come “programmabile”.
1899: Stati Uniti, macchina tabulatrice di Hollerith, che fonda l’attuale Ibm.
1931: Gran Bretagna, Turing fornisce la definizione di computer. Secondo il test di Turing, una
macchina è da considerarsi intelligente se un essere umano che vi interagisce non si rende conto che
si tratta di un’intelligenza artificiale. Nel 1944 egli svilupperà Colossus.
1959: Stati Uniti. Ibm realizza il primo super computer elettronico.
1965: Italia. Olivetti lancia la Perottina, primo pc della storia.
1969: Stati Uniti. Prima connessione di Arpanet, l’antenata di Internet.
1971: Stati Uniti. Intel commercializza il microprocessore.
1977: Stati Uniti. Viene lanciato Apple II, il primo pc destinato a un mercato di massa.
1982: Mondo. Vengono venduti 17 milioni di un nuovo modello di computer.
1983: Stati Uniti. Motorola commercializza il primo telefono portatile.
1985: Stati Uniti. Microsoft rilascia la prima versione di Windows.
1991: Svizzera. Il Cern di Ginevra lancia il World Wide Web.
2001: Stati Uniti. Nasce Wikipedia.
• L’evoluzione delle reti
Internet è la più grande rete telematica mondiale che connette attualmente alcune centinaia di
milioni di elaboratori. Si avvale di strutture fisiche e collegamenti di vario tipo (fibre ottiche,
collegamenti satellitari, WiFi) con cui mette in contatto dispostivi di varia natura, i cosiddetti host.
Uno dei punti chiave che ha determinato la sua affermazione è stata la capacità di creare uno
standard de facto tra i protocolli di comunicazione delle diverse reti, consentendo ai più svariati
agenti di comunicare tramite un protocollo comune, TCP/IP, relativamente indipendente da
specifiche hardware, da sistemi operativi e dai formati dei linguaggi degli apparati di
comunicazione (modem, router, hub).

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
Per potersi collegare ad Internet, il solo requisito richiesto è la capacità di poter “dialogare” con i
protocolli che controllano l’invio e la ricezione dei pacchetti (unità elementari di contenuto in cui è
suddiviso un messaggio).
L’HTTP, acronimo di Hyper Text Transfer Protocol (protocollo di trasferimento di un ipertesto), è il
principale standard usato per la trasmissione di informazioni sul Web. In altri termini, HTTP è il
linguaggio con cui un client può richiedere una pagina web a un server e con cui un server risponde
a tale richiesta.
URI (Uniform Resource Identifier) è uno standard per esprimere nomi e indirizzi di oggetti (risorse)
su Internet (nel caso del web, tali risorse sono pagine di siti oppure documenti di testo contenenti
dati). Tutte le istruzioni di accesso ai vari specifici oggetti disponibili secondo un certo protocollo
sono codificate come una stringa di caratteri che definisce l'indirizzo dell'oggetto cercato.
Nel 1957, in risposta al lancio dello Sputnik da parte dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti si danno
l'obiettivo di stimolare la crescita in ambito scientifico e tecnologico. Nel 1958 costituirono ARPA,
una nuova agenzia per lo sviluppo tecnologico in grado di riunire sotto un'unica direzione tutte le
attività gestite all'interno del Dipartimento di Difesa. Tra i vari progetti promossi da ARPA, nel
1966 venne dato avvio ad ARPANET con l'obiettivo di sviluppare una rete di calcolatori efficiente
che potesse essere utilizzata per aumentare la produttività dei sistemi di calcolo attraverso la
condivisione delle risorse. L'idea centrale del progetto era di evitare che i calcolatori fossero
connessi per mezzo di un'unica unità centrale di smistamento, poiché questa sarebbe stata
inevitabilmente un punto di debolezza dell'intero sistema. Al contrario, disponendo di percorsi
alternativi, la trasmissione poteva passare di volta in volta attraverso i percorsi liberi.
Inizialmente nel progetto vengono coinvolti quattro centri di calcolo universitari, nel 1969 venne
effettuata la prima trasmissione. Nel 1972, fu svolta la prima dimostrazione pubblica del
funzionamento della rete ARPANET durante la quale furono connesse quaranta macchine
distribuite lungo l'intero territorio degli Stati Uniti.
Per rendere effettiva la comunicazione in rete di macchine differenti, era necessario assicurare un
metodo standard di trasmissione e ricezione delle informazioni. Questi standard di trasmissione
furono chiamati protocolli. Durante gli anni '80, l'International Standard Organization (ISO) si
occupò di definire uno standard per la connessione di sistemi aperti in grado di colloquiare gli uni
con gli altri (modello OSI). Con il termine standard si identifica un insieme di criteri e procedure
che formano un modello predefinito da seguire.
Grazie a questo lavoro fu possibile offrire una base comune per lo sviluppo di standard per
l'interconnessione di sistemi e fornire un modello di riferimento con cui confrontare le varie
architetture di rete. È bene notare come tale modello non includa la definizione di protocolli
specifici (definiti successivamente, in documenti separati).
ARPANET però non era l’unica rete. Le Bbs, nate negli anni Settanta, erano banche dati di
messaggi e informazioni contenute in pc individuali cui si poteva accedere mettendosi in
comunicazione con il singolo utente tramite le nuove tecnologie. Un decennio più tardi le Bbs
crebbero fino a costituire vere e proprie reti alternative.
Nel 1982, lo sviluppo dei protocolli TCP e IP gettò le basi per la realizzazione dell’attuale rete
Internet. Nel 1984, nel Regno Unito fu sviluppata JANET, una rete in grado di collegare università
e organizzazioni scientifiche e militari che venne a sua volta collegata ad ARPANET. Nel corso
degli anni ’80 la tendenza a collegare tra loro reti differenti si consolidò e nel 1990 cessò l’esistenza
di ARPANET. In parallelo si affermò sempre più Internet, una collezione di reti che comunicavano
tra loro adottando il modello TCP/IP. In particolare, furono due i fattori decisivi alla crescita
esplosiva di Internet. Il primo fu il rapido incremento di personal computer adottati sia da utenti
privati che da aziende, un fenomeno che riguardò il mondo intero. I pc diventarono sempre meno
costosi e sempre più potenti mentre i modem, i dispositivi necessari per collegare i computer alla

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
rete telefonica, migliorarono le loro prestazioni permettendo di condividere sia testo che immagini
e suoni. Il secondo fattore chiave fu l’introduzione nel 1991 grazie al Cern di Ginevra del World
Wide Web che permise agli utenti della rete Internet di ritrovare le informazioni di interesse, fossero
queste testo piuttosto che immagini, in modo facile ed immediato. I siti del WWW si basano
sull’HTML, un linguaggio che permette di mettere online documenti ipertestuali in cui un tratto di
testo può essere contrassegnato inserendo etichette o tag inerenti al colore, alla funzione o a un
link. Ad oggi la rete Internet è certamente la principale fonte di informazioni e di intrattenimento,
sia per le imprese che per gli utenti privati.
Altre innovazioni furono di natura legale. Dal 1996 il Digital Millennium Copyright Act regola la
proprietà intellettuale online negli Stati Uniti, proteggendola dall’ illegalità. Contestualmente iniziò
ad emergere la new economy con portali commerciali quali Amazon ed Ebay. L’esplosione di questo
mercato provocò un aumento generale dei costi delle azioni in Borsa delle società coinvolte
nell’ecommerce e una mole di investimenti superiori al valore reale delle società stesse; ciò
comportò lo scoppio della bolla con il crollo dell’indice Nasdaq, che rappresenta l’andamento dei
titoli tecnologici sulla Borsa statunitense. Lo scoppio causò il fallimento di gran parte delle aziende
della rete, aprendo lo spazio a una nuova fase: il web 2.0.
Quadro 2.3: La rete in Italia. Pag. 54.
• Il futuro della società dell’informazione
Riassumendo, le nuove tecnologie informatiche hanno alcune conseguenze sociali fondamentali.
Nella produzione industriale rendono possibile l’automazione e l’organizzazione della produzione
in reti globali di piccole fabbriche connesse tra loro e localizzate per lo più in paesi con bassi costi
salariali. Questo tende a diminuire sia il costo della produzione materiale, sia il potere contrattuale
della classe operaia, mentre la produzione di beni immateriali come innovazione, organizzazione
flessibile e brand diventa più importante. I conflitti, come aveva previsto Castells, hanno luogo tra i
membri della società dell’informazione e coloro che ne vengono esclusi. Nelle imprese come nelle
forme di socialità si diffondono forme di organizzazione sociale a rete diverse dalle organizzazioni
gerarchiche. L’ipotesi della natura egualitaria della nuova società dell’informazione riemerge
ciclicamente ma risulta spesso utopistica.
Il futuro della società dell’informazione è aperto e dipende da molte variabili. Questa società è un
progetto che continua a svilupparsi, evolvendo in nuove direzioni. Ne sono un esempio le smart
city, oppure la sharing economy. Infine, tramite un’alleanza con i giganti del web, i governi
nazionali possono sorvegliare le comunicazioni e le ricerche dei loro cittadini. Il mondo digitale è
quindi destinato ad avere un effetto crescente sull’evoluzione politica ed economica delle società
contemporanee.

Capitolo 3. Culture e identità


• Socialità e media digitali
Le relazioni sociali sono sempre state influenzate dalle tecnologie della comunicazione. Senza un
mezzo di comunicazione in grado di attraversare distanze fisiche e di conservare le comunicazioni
nel tempo sarebbe molto difficile organizzare un sistema sociale complesso. Così come
l’invenzione della scrittura permise la creazione delle prime organizzazioni politiche, le città-stato
dell’antichità, l’invenzione della stampa ebbe lo stesso ruolo fondamentale per le organizzazioni
moderne. Sistemi di comunicazione efficienti e creati per produrre e memorizzare documenti sono
fondamentali per le organizzazioni burocratiche moderne. I media digitali sono importantissimi

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
anche per la costruzione dell’identità individuale e la formazione di gruppi sociali. Essi hanno avuto
una velocità di penetrazione senza precedenti, e sono caratterizzati dal rapido succedersi di nuove
piattaforme di comunicazione. Questa differenziazione rende necessario valutare in profondità le
diverse tecnologie digitali e il loro legame con le relazioni sociali. Due visioni contrapposte
sembrano dominare questo dibattito: da un lato, si afferma che i media digitali rappresentino un
mondo sociale estraneo alla vita reale, quotidiana; dall’altro, che abbiano effetti dirompenti sulle
forme di socialità. Tuttavia i media digitali odierni sono caratterizzati da una forte integrazione tra
la vita online e quella offline, in quanto gli individui tendono a postare in rete contenuti legati alle
attività, alle emozioni o agli avvenimenti che appartengono alla loro vita quotidiana. Le tecnologie
mobili come smartphone e tablet permettono di utilizzare applicazioni come Twitter o Snapchat in
qualsiasi momento della nostra giornata. In questo modo si favorisce uno stile di vita always on,
continuamente online, di cui le relazioni sociali sono il fulcro. Le attività online diventano parte
della vita sociale quotidiana e i profili sui media sociali sono una parte dell’identità complessiva
delle persone. Questi media tendono anche ad affievolire la distinzione tra pubblico e privato, dato
che i dettagli delle vite private degli utenti sono spesso condivise in pubblico e contribuiscono a
costruire una propria identità in rete. I media digitali, concludendo, non sono sempre responsabili di
nuove forme di socialità, ma possono diventare strumenti per riprodurre fenomeni sociali esistenti.
Quadro 3.1: Metodi digitali per la ricerca sociale il progressivo aumento dell’importanza delle reti
ha avuto conseguenze rilevanti anche per la ricerca sociale, che ha sviluppato un insieme di nuovi
metodi di studio, i metodi digitali. Le piattaforme di social media, i siti di e-commerce, le carte di
credito e i motori di ricerca raccolgono masse immense di dati sul comportamento degli utenti, i
cosiddetti big data. Questi rappresentano un patrimonio inestimabile per sociologi e altri scienziati
sociali, dando accesso a masse di dati su intere popolazioni e rendendo così possibile studiare
fenomeni che prima erano inosservabili. Un altro metodo utilizzato è la network analysis, uno
studio delle reti. L’analisi semantica permette di studiare i discorsi che si sviluppano in rete. La
sentiment analysis analizza il contenuto di milioni di tweet e commenti per capire se su Twitter o su
altri media un brand, un prodotto o un politico sono associati a termini positivi o negativi. Un
approccio differente è quello dell’etnografia digitale, usata per comprendere in profondità i modi di
ragionare e comunicare, cioè le culture che caratterizzano alcune forme di vita online. Questo
metodo è basato sull’osservazione di forum, media sociali e siti web. N.B.: è uno studio delle forme
di interazione che si sviluppano online, non di chi vi partecipa.
Attualmente, gran parte del patrimonio costituito dai big data è di proprietà privata; appartiene a
multinazionali come Google e Facebook, che li rendono inaccessibili, oppure li vendono a caro
prezzo. In più non sappiamo come vengano utilizzati dai colossi del web.
• I media sociali
Tra i servizi che dominano il panorama dei media digitali vi è una serie di piattaforme chiamate
social network o media sociali. I media sociali sono siti web basati sulla costruzione e sul
mantenimento di legami sociali che sono esplosi a partire dagli anni 2000. Oggi un numero enorme
di persone li utilizzano. Esistono però diverse piattaforme, utilizzate per gli scopi più vari e con
diverse modalità: LinkedIn (mette in contatto reti professionali), Twitter, Badoo (sito di dating),
Instagram. Secondo una delle definizioni più diffuse, i media sociali sono servizi web che
permettono di:
• Creare un profilo pubblico o semipubblico secondo le possibilità offerte dalla piattaforma
stessa.
• Costruire una rete di contatti (amici, follower) di cui si possono vedere i contenuti e le
informazioni dei profili.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• Creare o aderire a comunità tematiche, gruppi di discussione o reti anche estranei alla
propria cerchia di contatti.
In base a questa definizione il primo social network è stato Six Degrees, lanciato negli Stati Uniti
nel 1997, anche se ebbe maggiore successo Friendster, risalente al 2003. Nello stesso tempo veniva
lanciato MySpace, mentre nel 2004 nasceva Facebook, che esplose a livello di massa nel 2006. Se
alcuni media sociali sono generalisti, nel senso che sono basati sulla condivisione di contenuti
molteplici, altri sono dedicati a temi specifici, come le fotografie su Instagram, gli articoli e i
documenti di testo su Academia.edu, eccetera. Inoltre molti di questi forniscono servizi aggiuntivi
quali chat, email, telefonia, ecc. Dunque un utente di Facebook può utilizzare il social sia per
comunicare privatamente che per informarsi tramite link a contenuti giornalistici, entrando di fatto
in competizione con i motori di ricerca. Molte di queste piattaforme sono state sviluppate per
facilitare l’organizzazione di relazioni sociali intorno ad interessi comuni. I diversi social network si
rivolgono a pubblici diversi, anche se in parte possono essere sovrapposti, e forniscono un insieme
di servizi che sono usati per altri scopi e da altri gruppi, per esempio a fini di marketing da parte di
aziende, partiti politici o associazioni. Non sono sempre globali, ma spesso si articolano su base
territoriale e linguistica. Anche se le piattaforme più grandi, come Facebook e Twitter, sono
utilizzate ovunque, servizi simili ma forniti da attori diversi possono essere più diffusi in alcune
aree geografiche, come i social media asiatici o russi.
Oggi i media sociali sono in grande maggioranza gestiti e sviluppati da aziende private. Queste
aziende hanno sviluppato modelli economici che permettono loro di assicurarsi guadagni a partire
dalle informazioni che gestiscono. La maggior parte dei social network è gratuita, proprio perché le
aziende proprietarie guadagnano sulle informazioni generate dagli utenti del loro sito. Questi dati
vengono aggregati da software di profilazione, che raggruppano e creano target di users in base ai
loro interessi, ai siti che visitano, alle loro amicizie, ecc. Tutte queste informazioni possono essere
vendute a terzi, oppure possono essere utilizzate dal sito stesso per realizzare pubblicità
personalizzata. Non tutti i social media sono a scopo di profitto (es: Diaspora, privo di una struttura
centralizzata e che permette di effettuare comunicazioni criptate), e non tutti sono completamente
gratuiti.
Lo studio dei social network permette di comprendere come questi assumano un loro ruolo nello
strutturare nuove forme di relazioni sociali e contribuiscano alla costruzione delle identità personali
e di gruppo che avvengono in rete. Sono l’effetto dell’affermazione di nuove forme di relazione
sociale e hanno il potere di strutturare il tipo di azioni che gli utenti possono mettere in atto.
• Media e identità
I media digitali, e in particolare le piattaforme dei media sociali, sono importanti strumenti in cui
gli individui mettono in atto strategie attive di costruzione della propria identità. I rituali di
presentazione del sé, studiati da Goffman, attraverso i quali le persone si rappresentano in pubblico
e costruiscono nelle pratiche la propria identità, devono essere ricalibrati per adattarsi ai media
digitali e alle possibilità offerte dalle piattaforme sociali. I media digitali permettono alla metafora
del teatro teorizzata da Goffman di esprimersi fino in fondo, in quanto offrono agli individui un
controllo elevato sulla loro continua costruzione identitaria. Secondo questa metafora, essi
sarebbero dei palcoscenici contemporanei in cui gli individui si rappresentano, dopo essersi
costruirti dietro le quinte. Le persone procedono a definire la percezione che gli altri avranno di
loro. I media sociali più che definire completamente l’identità di una persona, la incorniciano. Molti
dei comportamenti di costruzione dell’identità in rete sono identici a quelli reali, come ad esempio
il conformismo. Talvolta questi media forniscono lo spazio in cui esprimere in forma anonima lati
della propria identità ritenuti socialmente inaccettabili o censurati. Un esempio consiste nel

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
fenomeno chiamato thinspiration, ovvero la diffusione di immagini e messaggi favorevoli ai
disordini alimentari, in particolare l’anoressia. Un altro esempio dell’importanza dei media sociali
per l’identità delle persone è evidenziata anche da fenomeni come l’aldilà digitale: alla morte di un
individuo, è divenuto comune utilizzare il suo profilo personale per annunciarne il decesso e
raccogliere messaggi e ricordi di amici e parenti. Questo processo può creare una sorta di
“immortalità” in cui l’identità digitale della persona deceduta sopravvive alla sua morte. Infine, le
relazioni online si intersecano continuamente con quelle offline. Tuttavia alcune piattaforme
vengono utilizzate per creare i cosiddetti legami latenti, come per esempio alcuni amici su
Facebook, che anche se non si conoscono di persona fanno parte delle stesse cerchie e creano un
legame tramite il social network.
Fattori come la diffusione della connettività grazie a smartphone e tablet negli anni 2000 hanno
fatto parlare persino di un nuovo soggetto generazionale. Con la definizione nativi digitali sono
stati descritti i giovani nati a stretto contatto con i computer, Internet, cellulari, eccetera, abituati sin
dalla nascita a interagire, giocare, imparare per mezzo della rete; non hanno mai conosciuto il
mondo senza queste tecnologie. I migranti digitali invece sono coloro che sono nati prima
dell’avvento di Internet e che si sono formati grazie ai giornali e alla televisione. Ma a un certo
punto della loro vita adulta, essi sono dovuti “migrare” nel mondo delle tecnologie digitali e
imparare un nuovo linguaggio e nuovi comportamenti. Tuttavia questi concetti così rigidi sono stati
accantonati, in quanto un individuo utilizza Internet in un determinato modo a seconda del contesto
e classe sociale, del livello di istruzione e culturale, del genere più che dell’età e della generazione
di appartenenza.
• Pubblici o comunità?
La teoria sociologica classica distingue due forme di relazioni sociali. Da un lato ci sono le
relazioni comunitarie, caratterizzate da alti livelli di fiducia e di conoscenza reciproca. Queste
relazioni si articolano nella forma della comunità, in cui il gruppo viene prima dell’individuo e le
norme che regolano la vita sociale sono molto forti e a volte oppressive. Dall’altro lato, le relazioni
sociali, tipiche della modernità; sono caratterizzate dall’importanza di associazioni dotate di regole
formali ed esplicite, come le organizzazioni burocratiche, i partiti politici, i sindacati o le
associazioni professionali. I diritti e i doveri sono regolati da leggi e regole e l’equilibrio tra
autonomia individuale e norme sociali è più bilanciato. Il senso di identificazione con la collettività
è meno intenso, le forme di interazione meno opprimenti; i livelli di solitudine sono però
potenzialmente più alti. Nella società si è più liberi ma anche più soli che nella comunità.
La diffusione dei media sociali è stata interpretata come l’emergere di una terza forma di relazioni
sociali, che è stata chiamata individualismo in rete. Questo è il risultato della coordinazione di una
grande quantità di opportunità e scelte individuali abilitate dai media digitali. L’individuo tende ad
appartenere a una moltitudine di reti sociali diverse, spesso disconnesse tra loro; questo concetto
trae spunto dalla teoria di Simmel sulle relazioni sociali nelle grandi città. Egli evidenziò come
l’esperienza individuale tipica della modernità sia caratterizzata dalla contemporanea appartenenza
a diverse cerchie. In ogni rete l’individuo può mostrare o sviluppare un aspetto particolare della sua
identità. La costruzione della propria identità si basa dunque sull’appartenenza a gruppi
caratterizzati da norme e codici distinti. Non ci sono appartenenze egemoni o caratterizzanti, dato
che le persone hanno la possibilità di agire attraverso le proprie scelte per definire la loro identità
complessiva. Un approccio attivo nei confronti della costruzione delle proprie reti di appartenenza
è stato enormemente facilitato dalla diffusione dei media digitali e in particolare dei social media.
Internet rende molto più facile identificare e contattare persone con cui si condividono passioni,
interessi e valori e organizzare con loro una rete di interazioni; si parla così di collettivismo in rete,
in cui gruppi di persone tenute insieme da legami deboli riescono a costruire e a mantenere reti

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
durevoli ed efficaci. Alcuni studiosi, per sottolineare la differenza rispetto a gruppi che condividono
legami più forti, hanno definito queste forme di socialità come pubblici connessi, invece che come
comunità. In sociologia infatti il termine comunità implica una forte densità relazionale, mentre nel
caso delle appartenenze costruite grazie ai media digitali è preferibile parlare, come dice Castells, di
auto comunicazione di massa: ognuno comunica con il pubblico che lo circonda, generando
un’opinione e informazioni comuni. Questo pubblico è caratterizzato da legami comunicativi
effimeri, meno duraturi e spesso tra estranei. Il termine pubblico indica che queste collettività sono
meno dense e totalizzanti rispetto alle comunità. Una rete è semplicemente un termine tecnico che
indica un insieme di legami. Il pubblico invece offre ai propri membri la possibilità di identificarsi
con una causa comune e di contribuire alla sua realizzazione, ottenendone un riconoscimento. I
pubblici dei media digitali sono definiti pubblici connessi, e sono più densi delle reti, anche se
meno vincolanti per la costruzione della propria identità sociale. Infine, le comunità tendono a
durare nel tempo conservando gli stessi membri. Uscire da una comunità può essere difficile,
proprio a causa dei legami profondi che vi si creano. Al contrario, i pubblici connessi sono molto
più fluidi e transitori.
Il concetto di identità:
✓ Nelle comunità pre moderne l’identità delle persone era dettata dalla tradizione.

✓ Nelle società moderne le identità dipendevano in parte dalle scelte individuali, in parte da
norme di comportamento vincolanti una volta compiuta una scelta.
✓ Nell’individualismo in rete l’identità viene costruita tramite una serie di scelte (i pubblici
cui appartenere, il grado di coinvolgimento, eccetera).
Quadro 3.2: Sessualità e pornografia. Pag. 73
• Reputazione e influenza
L’emergere dei pubblici connessi e l’importanza dei media digitali come strumenti di costruzione di
relazioni sociali sono intimamente legati a cambiamenti nel modo in cui si forma la reputazione
personale degli individui. La reputazione è un giudizio sulle qualità di una persona, anche
sconosciuta, che viene espresso sulla base di informazioni pubbliche. I media digitali amplificano e
trasformano il modo in cui le reputazioni vengono create e alimentate, e forniscono alle persone
nuovi strumenti per gestire la propria reputazione. Ad esempio, anche i membri stessi del pubblico
acquistano reputazione sulla base del modo in cui gli altri membri giudicano i loro contributi. Molti
servizi e piattaforme hanno sistemi informatici per calcolare e comunicare la reputazione dei propri
membri, che a sua volta ne determina lo status. Questi sistemi si basano su forme di rating: gli
utenti possono valutare un altro utente attribuendogli un punteggio determinato da criteri stabiliti.
La reputazione, anche in questo caso, garantisce una posizione migliore all’interno del gruppo.
La natura comunicativa dei pubblici connessi e la struttura delle piattaforme dei media sociali fanno
sì che l’identità, oltre ad essere vissuta, debba essere anche comunicata. In questo senso l’individuo
deve creare una versione comunicabile della sua identità (un brand personale), includendo alcuni
aspetti e tralasciandone altri. Questo lavoro viene definito self branding, l’identità diventa quindi
una costruzione ragionata e riflessiva destinata ad essere comunicata, in particolare sui media
sociali. I media sociali integrano la vita pubblica con quella professionale e privata. Le
comunicazioni sui social media influenzano e strutturano il lavoro di self branding in quanto sono
caratterizzate da:

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• Persistenza. Significa che ciò che viene comunicato sui media sociali e in rete tende a
restare nel tempo; eventi o scelte del passato possono avere un impatto continuo sulla nostra
identità (es. la funzione “Accadde oggi” su Facebook).
• Replicabilità. Fa sì che comunicazioni avvenute in un ambiente particolare possano essere
modificate o combinate con comunicazioni avvenute in un altro ambiente, generando
qualcosa di nuovo. Es: una foto postata su Instagram può essere inviata su WhatsApp,
uscendo dal suo contesto originario.
• Scalabilità. Significa che i contenuti possono diffondersi molto rapidamente.
• Ricercabilità. I contenuti sono facilmente ricercabili, cioè facili da trovare.
La necessità e le possibilità di maneggiare il proprio brand e le comunicazioni che lo compongono
stanno crescendo con il diffondersi di sistemi per la misurazione dell’influenza degli individui.
Servizi appositi misurano l’influenza delle comunicazioni che si svolgono attorno a una persona;
sono nate anche figure lavorative in questo senso, gli influencer, che hanno forti indici di impatto su
un determinato target di pubblico.
• Critiche alla socialità in rete
Le forme di socialità basate sui media digitali contemporanei sono oggetto di molte critiche. La più
nota sostiene che le relazioni in rete tendano ad essere più fredde e meno coinvolgenti. Il risultato
sarebbe una serie di individui emotivamente slegati l’uno dall’altro, con legami deboli e forme di
solidarietà superficiali che rischiano di sfasciarsi alla prima sfida reale. Questa critica è in parte
fondata. Rispetto alle comunità, i legami che caratterizzano i pubblici online contemporanei sono
meno forti e le forme di solidarietà meno vincolanti. In ogni caso occorre tenere presente che
l’arrivo di nuove tecnologie di comunicazione genera sempre ondate di critiche e addirittura di
panico morale, sfociando nel tecnopessimismo. L’argomento principale di altre critiche rivolte alle
tecnologie digitali è che la natura immersiva dell’esperienza online tende ad assorbire le persone in
un mondo parallelo, isolandole le une dalle altre, e rendendole vicine ma lontane, insieme ma da
sole (es: immaginiamo in metropolitana un gruppo di persone sedute vicine ma assorte nello
smarthpone fisicamente compresenti ma ognuna assorbita nel suo mondo privato e lontano).
Le ricerche effettuate in questi anni però concordano nel tracciare un quadro molto differente. Le
persone che usano la rete tendono ad avere reti sociali più estese e diversificate. Gli utenti di
Internet anzi hanno in media una vita associativa più ricca. La rete e i media sociali sono parte
integrante della vita sociale degli individui, e non uno strumento per allontanarsene.
Un altro tema importante è quello della privacy. Le forme di socialità in rete spingono gli individui
a condividere e mostrare informazioni personali e intime, di cui però sono pienamente responsabili.
Non è possibile però ignorare la necessità di norme stringenti per la tutela della privacy e di
tecnologie che permettano il diritto all’oblio. Concludendo, se da un lato gli individui hanno
parzialmente rinunciato a una concezione della privacy come diritti a una sfera privata inaccessibile
ad altri, dato che ciò pregiudicherebbe una partecipazione a pieno titolo alle forme di socialità in
rete, oggi le persone sanno riconoscere i livelli di privacy per creare un controllo attivo, svolto da
loro stesse, sulle informazioni che le riguardano.

Capitolo 4. Collaborazione online


• I media collaborativi

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
Fra le trasformazioni tecnologiche, economiche e organizzative della società dell’informazione un
posto di rilievo è occupato dai fenomeni di partecipazione attiva e collaborazione alla produzione di
contenuti e informazione che coinvolgono gli utenti della rete. Gran parte dei servizi presenti online
sono infatti interattivi e permettono la partecipazione del pubblico o addirittura si basano su forme
di produzione affidate completamente agli utenti. Il web stesso è caratterizzato da software e
piattaforme semplici da utilizzare e facilmente accessibili a tutti (social media, blog, Wikipedia,
ecc), che hanno contribuito a creare una cultura della partecipazione basata sulla collaborazione
online, ovvero sulla creazione di contenuti da parte degli utenti; l’utente ha dunque un ruolo
centrale: può esprimersi senza barriere e condividere i contenuti creati, e tutto ciò scaturisce dalla
sensazione che il proprio contributo abbia un valore per la comunità (Jenkins).
Vi sono svariati esempi di applicazioni collaborative:
■ I blog sono diari o giornali online, che danno vita alla blogosfera, cioè un ambiente formato
da blog in comunicazione tra loro e connessi ai social network e altre piattaforme. Chiunque
può creare un blog e pubblicare i propri contenuti.
■ I wiki sono software di scrittura collettiva, che permettono a più persone di lavorare
contemporaneamente a uno stesso testo o documento. L’esempio più noto è Wikipedia,
un’enciclopedia online. Essi sono liberamente accessibili a chi vuole consultarli. Esistono
altri software collettivi basati però su fotografie o video, come YouTube o Instagram, o sulle
recensioni dei clienti, come eBay o Amazon.
■ Le piattaforme di mashup permettono di aggregare informazioni prese da fonti diverse per
creare un sito o un’applicazione. Es: Google Maps.
■ Le tecnologie che permettono il tagging, grazie al quale gli utenti possono aggiungere a un
contenuto un tag, ovvero un’etichetta che lo definisce e permette a chiunque di ritrovarlo
facilmente.
■ I sistemi di rating, che consentono agli utenti di votare rispetto a un contenuto (Amazon,
Trip Advisor, eccetera). Essi funzionano al meglio quando aggregano diverse votazioni
definendo un trend generale (il voto a un ristorante è un risultato aggregato e non di una
singola recensione).
L’esplosione del web collaborativo è una questione sia tecnologica che culturale. Il pubblico si
trasforma in una pluralità di pubblici attivi che partecipano attivamente alla produzione e diffusione
di contenuti, diventando così prosumer (producer\consumer, ovvero produttori\consumatori).
Jenkins studiò le comunità di fan (di qualsiasi tipo), sottocultura chiamata fandom, notando che essi
sono sempre più spesso coinvolti attivamente nella produzione di contenuti alternativi a quelli
ufficiali, come video, fiction, videogiochi, cartoni animati. Da ciò deriva un maggiore
coinvolgimento emotivo nei confronti del prodotto mediale cui fanno riferimento. Temi molto
sensibili in questo senso sono il copyright, che i fan non devono violare nella produzione dei loro
contenuti tratti dal film\canzone\ecc originale, l’atteggiamento della casa produttrice coinvolta
(permissivo o repressivo), l’utilizzo di strategie di marketing basate sulle comunità di fan da parte
delle major.
• Il dilemma della partecipazione
Le prime ricerche sul web collaborativo e sulla cultura della partecipazione tendevano a dipingere
questi processi come forme di democratizzazione dell’ambiente dei media. Tuttavia questa visione
idealizzata è stata presto criticata, partendo dall’uso stesso della parola partecipazione. Questo
concetto nella modernità sottintende una distribuzione del potere verso i cittadini tramite processi

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
decisionali democratici e relazioni di potere egualitarie. Da questa prospettiva però ci accorgiamo
che in rete gli utenti contribuiscono solo marginalmente ai processi decisionali; sono le grandi
imprese del web a decidere le “regole del gioco”, in un sistema che non è partecipativo. Accesso,
interazione e partecipazione hanno accezioni molto diverse tra loro (Carpentier): la semplice abilità
di accedere all’informazione tramite i media digitali è differente dalla possibilità di interagire per
scambiare contenuti, mentre forme di partecipazione caratterizzano piattaforme come Wikipedia, i
cui utenti possono decidere almeno parzialmente l’evoluzione dell’enciclopedia. Scendendo nel
dettaglio si possono analizzare alcuni dei fattori organizzativi e politici che determinano la
differenza tra semplice condivisione o produzione di contenuti da parte degli utenti, poi aggregati
da aziende private a fini di profitto, e forme di collaborazione in cui invece si può parlare di vera e
propria partecipazione democratica a un progetto collettivo (Hyde):
• Intenzionalità: i partecipanti sono consapevoli di pendere parte a una collaborazione e
hanno obiettivi condivisi oppure i contenuti da loro creati vengono gestiti da altri?
• Controllo delle modalità: gli utenti possono mettere in discussione le regole della
partecipazione oppure possono solo accettarle passivamente?
• Accessibilità: chi può partecipare e come?
• Uguaglianza: ci sono delle gerarchie oppure tutti i partecipanti hanno lo stesso peso nei
processi decisionali?
Questa ambivalenza è sfruttata dalle grandi imprese che gestiscono servizi come YouTube,
Facebook o Google, e si definiscono piattaforme, per ribadire l’apertura dei propri servizi agli
utenti e per presentarsi come spazi democratici e neutrali in cui un individuo può esprimersi. Dietro
a questa retorica si cela un’ideologia fondata su scopi commerciali: i contenuti prodotti dagli utenti
(foto, video, commenti, interessi, eccetera) vengono sfruttati economicamente come fonti di profitto
per l’impresa che li gestisce. Viceversa, le stesse aziende si dichiarano neutrali quando devono
prendere le distanze da contenuti illegali pubblicati dai propri utenti.
• Dal software libero al Peer-To-Peer
Il successo delle pratiche di cooperazione in rete ha imposto all’attenzione delle scienze sociali la
produzione peer-to-peer (P2P), o produzione sociale basata sui beni comuni, che consiste in una
forma di produzione affidata alla libera collaborazione di individui online. In questi progetti di
peer-to-peer molti individui collaborano in forma coordinata, senza nessuna gerarchia: per questo si
parla di gestione orizzontale, in cui le decisioni vengono prese grazie alla partecipazione di tutti gli
utenti. Un esempio di questo tipo è quello del free software Gnu\Linux, creato inizialmente dalla
comunità hacker da un’intuizione del programmatore Stallman. Questo software si differenzia da
quelli proprietari (come Microsoft Windows) in quanto chiunque può ottenere il suo codice
sorgente (il testo originario del programma), studiarlo ed eventualmente modificarlo. E’ libero
nell’accezione di libertà di parola, che si adatta ad un software nel senso che qualsiasi utente ha il
diritto di modificare, adattare e redistribuire un programma; tuttavia ciò non significa che questi
programmi possano essere usati in modo indiscriminato, essendo soggetti a specifiche licenze.
Talvolta questi software sono anche gratuiti, e secondo Stallman si definiscono liberi quando
garantiscono quattro “libertà fondamentali”: http://www.unimi.it/studenti/1162.htm
▲ Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo (libertà 0).
▲ Libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo in modo da adattarlo alle
proprie necessità (libertà 1). Per fare ciò è necessario l’accesso al codice sorgente.
▲ Libertà di redistribuire copie in modo da aiutare il prossimo (libertà 2).

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
▲ Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati
dall’utente, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (libertà 3).
Quadro 4.1. Il copyleft e le licenze Creative Commons il termine copyleft indica una forma di
copyright alternativo che in italiano si potrebbe definire permesso d’autore invece di diritto
d’autore (in inglese gioca sui termini “right” e “left”). Questa è una forma di proprietà intellettuale
che tutela l’autore di un’opera ma allo stesso tempo permette a chiunque di compiere alcune azioni
senza chiedere permesso o pagare royalty all’autore, in modo da eliminare gli ostacoli alla
diffusione e condivisione delle informazioni creati dalle leggi sul copyright. Il copyleft è nato da
un’intuizione di Stallman, che nel 1989 ha scritto la Gpl (General Public License) per permettere la
diffusione del software Gnu. Tuttavia le licenze copyleft più famose sono quelle sviluppate da
Creative Commons (CC), un’organizzazione non profit. Chi decide di proteggere un’opera
dell’ingegno con una licenza CC permette a chiunque di riprodurre, distribuire, rappresentare
l’opera stessa. Esistono quattro clausole principali che l’autore può combinare per scegliere quali
diritti concedere agli utenti:
• La clausola Attribuzione (by) significa che chi esegue o redistribuisce l’opera deve indicare
l’autore e riconoscere la paternità.
• La clausola Non uso commerciale (nc) significa che non sono consentiti utilizzi a fine
economico.
• La clausola Non opere derivate (nd) impedisce di modificare l’opera.
• La clausola Condividi allo stesso modo (sa) significa che chi trasforma l’opera e ne
ridistribuisce una versione modificata deve pubblicarla secondo le condizioni della licenza
scelta dall’autore originale.
Le licenze CC hanno valore legale a tutti gli effetti e sono sempre più diffuse.
Negli anni Settanta il sistema operativo Unix circolava liberamente ed era aperto alla
collaborazione; il suo codice sorgente era disponibile e i miglioramenti apportati dalla comunità
scientifica venivano messi in circolazione a disposizione di chiunque. Un decennio più tardi però la
compagnia proprietaria (la AT&T) decise di “privatizzare” Unix, e fu proprio in seguito a questo
evento che Stallman si mise a lavorare a un sistema operativo simile ma basato sui principi di
condivisione al pubblico. Nasce così Gnu, acronimo di Gnu is Not Unix, e contemporaneamente
Stallman e altri programmatori scrivono licenze che traducono in termini legali i loro ideali,
impedendo la privatizzazione di Gnu: nasce così la Gpl da cui derivano altre licenze (CC) che
istituiscono il cosiddetto copyleft (vedi quadro 4.1).Negli anni Novanta un giovane programmatore
finlandese, Linus Torvalds, sviluppò una parte molto importante del sistema operativo di Gnu
(definita kernel) e lanciò di fatto il progetto Gnu\Linux. L’intuizione vincente fu quella di
coinvolgere centinaia di membri delle comunità hacker nel debugging, cioè nella ricerca di
problemi da risolvere. Questo è un esempio di forking, un fenomeno esistente grazie alle licenze
Gpl che permettono a chiunque di deviare dal progetto originario per lavorare ad una propria
versione. La storia ed il funzionamento di Gnu e Linux, due sofwtare liberi, vengono presi spesso
come esempio delle forme di cooperazione online per diversi motivi:
♦ Si sono dimostrati in grado di competere con i sistemi operativi tradizionali.
♦ Hanno dimostrato l’esistenza di una nuova forma di cooperazione mediata dalle tecnologie
tradizionali.
♦ La licenza Gpl ha creato nuove forme di proprietà intellettuale alternative.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
Alla base di queste forme di peer-to-peer vi sono alcune premesse tecnologiche, ma anche sociali ed
economiche, legate alla nascita di un ambiente digitale in rete:
✓ L’informazione costituisce sia l’input che l’output dei processi P2P. Ma il costo marginale
della produzione di informazione tende a zero; infatti, una volta creato un contenuto
digitale, il costo da affrontare per produrne una copia è molto basso.
✓ La larghissima diffusione dei computer connessi alla rete.

✓ L’emergere di forme di protezione dei contenuti alternative al diritto d’autore o al brevetto


che rimuovono le barriere d’accesso e danno vita a beni comuni, definiti commons (e da qui
le licenze Creative Commons).
✓ Lo sviluppo di software e piattaforme che permettono la collaborazione online.

✓ La diffusione di fenomeni produttivi che non rispondono ad esigenze di mercato, ma


producono valore d’uso per una comunità di utenti sotto forma, ad esempio, di servizi
gratuiti e accessibili a chiunque.
✓ L’espansione di forme di organizzazione orizzontali e flessibili.

Una caratteristica importante del P2P è infatti la sua capacità di intercettare motivazioni individuali
che spingono le persone a contribuire. Altre caratteristiche sono la modularità, ovvero la possibilità
di suddividere un progetto in parti, i moduli, che possono essere sviluppati indipendentemente dalle
altre, e la granularità, che è la possibilità di dividere un compito in parti (chiunque può fornire un
piccolo contributo, che sarà comunque utile per lo sviluppo complessivo del progetto). E’ però
consolidata l’idea che la maggior parte delle persone che vi partecipa lo fa nella prospettiva di
accumulare reputazione, che serve poi come capitale sociale da monetizzare in altri contesti (VS
teoria dell’economia del dono=lo fanno solo per altruismo).
La metafora del peer-to-peer usata per definire queste forme di cooperazione deriva
dall’informatica. Le reti P2P sono reti di computer usate per scambiare file, con la particolarità di
non essere dotate di luoghi centralizzati in cui risiedono le informazioni, come ad esempio un
server. Ogni computer della rete ha un ruolo paritario, e questo sistema funziona grazie alla sua
ridondanza: le stesse informazioni sono disponibili su molte macchine e possono viaggiare
seguendo molti percorsi alternativi. Uno dei principali teorici di questi fenomeni, Michael
Bauwens, parla di una nuova economia politica dell’informazione basata su una “produzione P2P”,
e riferendosi a reti di individui che collaborano in modo decentrato, distribuito e orizzontale, senza
gerarchie prestabilite, condividendo il prodotto della cooperazione, proprio come i computer nei
sistemi peer-to-peer. Un’altra metafora utilizzata per descrivere questo fenomeno è quella del bazar,
contrapposto alla cattedrale. Per costruire una cattedrale serve una struttura di comando
centralizzata e gerarchica, piramidale; un bazar invece è molto più flessibile e dinamico, ricco di
progetti e approcci diversi.
Concludendo, è importante sottolineare come le forme di organizzazione viste in questo capitolo e
spesso idealizzate nascondano talvolta anch’esse gerarchie e squilibri di potere. Inoltre
l’informatico Lanier ha criticato la, a sua detta, saggezza della folla espressa online rispetto a forme
più tradizionali di produzione di sapere. Nel suo pensiero, la produzione sociale online favorirebbe
la scomparsa dell’argomentazione razionale in favore del cinismo e di forme di argomentazione
populiste.
• Open source e innovazione

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
Dall’esperienza del software libero è nato l’open source (letteralmente “sorgente aperta”), un
modello che sin dagli anni Novanta ha cercato di rendere appetibile per le imprese commerciali il
modello aperto rappresentato dal copyleft e dall’innovazione distribuita. Molte imprese
informatiche hanno adottato principi open source per i loro prodotti. Negli anni Settanta il fondatore
della Microsoft, Bill Gates, era vicino al circolo di hacker e appassionati di informatica della
Silicon Valley; egli divenne un “nemico” del circolo per via della sua Lettera aperta agli hobbisti,
in cui si lamentava della circolazione di copie illegali del software che lui stesso produceva
accusando apertamente gli hacker di rubarlo e diffonderlo. Gates infatti riteneva che fosse
impossibile sviluppare un software di qualità in forme diverse da quelle proprietarie. In realtà il
software libero e open source produce lavoro per migliaia di programmatori, è competitivo o
addirittura fornisce la base per molti programmi di successo, ma allo stesso tempo viene condiviso
liberamente online. La stessa Microsoft lo ammise suo malgrado quando, alla fine degli anni
Novanta, una serie di documenti interni riservati (ribattezzati Halloween Documents) venne resa
pubblica. In questo dossier la stessa Microsoft si dimostrava consapevole dell’esistenza di “prove
molto forti che la qualità di un prodotto commerciale può essere raggiunta o superata da progetti
open source”.
I principi dell’open source si sono presto diffusi ben al di là del settore del software. Oggi infatti
l’innovazione basata su diritti di proprietà intellettuale alternativi, la partecipazione aperta e la
disponibilità del codice sorgente si trovano applicate in settori lontani tra loro, dalla progettazione
di automobili alla scienza, dalla musica al design. Inoltre sono sorte altre forme di cooperazione
simili; un caso piuttosto noto è quello della condivisione delle risorse di calcolo. SETI@home è una
sorta di super computer virtuale, formato da migliaia di pc connessi a Internet. Installando questo
software su un pc, gli utenti donano parte della loro potenza di calcolo, che viene sfruttata per
individuare segnali da parte di intelligenze extraterrestri. Questo esempio è stato seguito per creare
modelli commerciali come il cloud computing, basato sul sistema delle “nuvole”, che sfruttano il
potere di calcolo di processori a grandi distanze tra loro.
L’open source è diventato anche uno strumento per raccogliere innovazioni sviluppate all’esterno
dell’azienda. E’ infatti sempre più comune che le imprese dei media digitali chiedano al pubblico,
tramite strategie di marketing, di contribuire allo sviluppo e all’innovazione dei propri prodotti.
Questo fenomeno di esternalizzazione di un processo produttivo viene definito crowdsourcing
(crowd significa “folla”). Ciò permette di risparmiare denaro ma soprattutto di raccogliere
suggerimenti e idee direttamente dal pubblico. Ad esempio Apple permette a chiunque di sviluppare
applicazioni secondarie da installare nel sistema operativo iOS, mettendo a disposizione
gratuitamente il proprio kit di sviluppo delle applicazioni. Tuttavia la vendita e la distribuzione delle
app stesse vengono controllate dall’azienda tramite l’App Store, il suo sistema di vendita. Google in
risposta ha sviluppato Android.
Queste forme di innovazione e produzione basate sull’open source si sono espanse e diffuse anche
alla produzione di oggetti materiali, ad esempio grazie alle stampanti 3D, che permettono di
riprodurre oggetti materiali disegnati al computer o scaricati dalla rete, in un processo che si chiama
fabbricazione digitale.
Quadro 4.2. Pirateria e innovazione la pirateria è un’attività di copiatura e distribuzione illecita di
contenuti digitali, che ad oggi produce una quantità enorme di contenuti copiati illecitamente.
Questo trend negativo viene contrastato da nuove tecnologie anticopia e da contromosse legali,
come l’estensione del copyright nel tempo (fino a 120 anni dalla creazione di un’opera) e
l’estensione della portata e della durata dei brevetti. Vi sono tuttavia fenomeni di innovazione
importanti, come la remix culture, che descrive una forma di produzione culturale che incoraggia il
taglia e cuci di prodotti esistenti per crearne di nuovi (es: il campionamento di una canzone per

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
creare una base hip hop). Lo sviluppo di questa cultura si basa di fatto sullo sfruttamento di
esenzioni dal copyright o sulla pirateria. Un ultimo esempio è quello della shanzhai economy,
ovvero una rete di produttori cinesi di telefoni cellulari shanzhai (ovvero pirata), caratterizzati dal
basso prezzo e legati a un’estetica pop (addirittura un modello ha il retro di un iPhone e il fronte di
un Blackberry), che vendono i loro prodotti nei mercati di strada asiatici, mediorientali e africani.
Quadro 4.3. Le istituzioni della rete aperta. Pag. 103.
• Il valore nell’economia della condivisione
Il P2P venne interpretato da molti come fautore di un processo di democratizzazione delle società
dell’informazione, essendo una forma di produzione liberatoria, in quanto secondo alcuni autori:
a. Metterebbe nelle mani dei lavoratori i mezzi di produzione (i computer connessi in rete)
insieme alla possibilità di controllare input e output del processo produttivo; questo
favorirebbe la redistribuzione di ricchezza.
b. Rappresenterebbe un aumento di autonomia e libertà individuale grazie al controllo
esercitato dagli utenti.
c. Risponderebbe a obiettivi di sviluppo, mettendo a disposizione dei paesi più poveri nuove
risorse di informazione.
Questi punti sono effettivamente riscontrabili nella realtà, ma non hanno scalzato, anzi coesistono e
sono complementari a processi produttivi di tipo commerciale che rispondono a logiche di mercato
e si basano su forme proprietarie di gestione dell’informazione. Diversi autori di ispirazione
marxista hanno criticato l’idea che la cooperazione in rete sia di per sé sorgente di giustizia
distributiva. Tiziana Terranova sottolinea come le imprese sfruttino la collaborazione degli utenti
per fare profitti, rendendo l’attività di questi un “lavoro gratuito”. Tuttavia queste critiche che si
rifanno alla teoria del valore di Marx applicata alla produzione online presentano diverse
contraddizioni:
♦ L’esperienza d’uso di Facebook è molto diversa dall’esperienza del lavoro salariato; l’utilizzo
dei social media non viene vissuto dagli utenti come una forma di sfruttamento simile a quello
subito dai lavoratori.
♦ La creazione di valore online non presenta una relazione lineare tra valore e tempo di lavoro,
sulla quale si basa la teoria del valore di Marx.
♦ Il valore realizzato direttamente dal lavoro degli utenti di Internet è ridotto: le imprese web si
basano principalmente sulla capacità di raccogliere capitali finanziari, non su quella di generare
profitti.
Infine le forme di cooperazione flessibile sono state adattate per interagire con l’economia di
mercato e le grandi imprese multinazionali. Un esempio è quello della sharing economy, composta
da piattaforme online tramite cui le persone possono instaurare processi di scambio di beni, di
servizi, o di saperi. Oggi viene presentata come una soluzione sia alla crisi economica che
all’alienazione delle società contemporanee. Facilita la costruzione di piccole comunità di
collaborazione e condivisione che sono anche in grado di generare nuove reti relazionali; allo stesso
tempo però si tratta di un settore dominato da grandi capitali finanziari che usano il loro potere di
mercato e la loro capacità di lobbying per ristrutturare mercati interi. Esempi: Airbnb, Uber,
eccetera.
Quadro 4.4. Blockchain e Bitcoin Bitcon è la moneta elettronica di gran lunga più diffusa al
mondo. Negli ultimi anni un numero crescente di istituzioni ha cominciato ad accettare pagamenti

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
in Bitcoin, che permettono il trasferimento anonimo di valuta via Internet. Questo sistema è basato
su una rete di computer peer-to-peer; le transazioni di Bitcoin sono registrate in Blockchain, un
registro basato sui computer degli utenti stessi. E’ suddiviso in blocchi di informazione (da qui il
nome “catena di blocchi”), che sono conservati su tutti i computer che partecipano al sistema. Con
un certo intervallo le informazioni vengono aggiornate e trasformate in un nuovo blocco.

Capitolo 5. Sfera pubblica e potere


• Dal pubblico ai pubblici attivi
Nella tradizione degli studi sui media e sulla comunicazione il pubblico è considerato attivo. Gli
individui che ricevono un messaggio sono in grado di interpretarlo, valutarlo e rispondere in forme
differenti. L’audience dei media è quindi attiva. Se questo è vero per i media broadcast, ovvero
quelli distribuiti da pochi a molti (televisione, radio e stampa), con i media digitali il pubblico si
diversifica ulteriormente (e perciò si parla ormai di pubblici) e acquista un ruolo sempre più diretto.
I media broadcast sono strutture ad architettura centralizzata e unidirezionali; le decisioni sulle
notizie o sulle informazioni da comunicare sono prese da pochi e la comunicazione arriva al
pubblico da un solo punto, uno studio televisivo o la redazione di un giornale. Alcune categorie
professionali, dai giornalisti ai politici, hanno inoltre un accesso privilegiato a questo tipo di media,
riuscendo a raggiungere l’opinione pubblica. Questi media possono essere anche definiti
commerciali quando sono sostenuti da vendite e pubblicità. I media digitali invece intervengono a
modificare radicalmente questa situazione. Il loro effetto principale è la nascita di un sistema
mediatico molto più complesso e diversificato, accessibile a tutti, decentrato e distribuito; tutto ciò
è possibile grazie a una serie di caratteristiche che li contraddistingue:
I. L’accessibilità: il costo dell’apertura di un canale di comunicazione, la produzione e la
distribuzione dell’informazione stessa, si è abbassato al punto di diventare quasi nullo,
rendendo blog, giornali online, forum, eccetera accessibili a chiunque.
II. La struttura distribuita: si passa da un’architettura centralizzata tipica dei mass media
commerciali all’architettura decentrata e distribuita della rete. Dai media broadcast si passa
a quelli sociali e distribuiti.
III. La commistione tra pubblico e privato: la partecipazione alla vita pubblica è espressa
tramite la condivisione di contenuti personali attraverso i profili privati sui media sociali. Le
conversazioni dei pubblici in rete sono quindi ibride, tra il pubblico e il privato.
IV. La sorveglianza: la maggior parte delle attività che avvengono in rete sono sorvegliate dalle
imprese del web e dai governi in modo diffuso, continuo e sistematico.
Alcuni tipi di pubblici, infine, intervengono attivamente su tutti i livelli dell’ambiente digitale: non
solo sui contenuti, ma anche sull’infrastruttura tecnologica della rete, sulle piattaforme software e
sulle forme di gestione dell’informazione; Kelty li definisce pubblici ricorsivi. Sono quei gruppi di
individui che producono e mantengono le piattaforme che utilizzano per produrre attivamente
informazione e conoscenza. In questo contesto Castells parla della capacità di riprogrammare le reti
di comunicazione.
• La sfera pubblica
Grazie alla diffusione dei media digitali abbiamo assistito a un allargamento della platea di chi può
accedere alla produzione di informazione, e così si è creata quella che è stata definita da Benkler
sfera pubblica in rete. La sfera pubblica è il luogo dove le persone si incontrano per discutere nelle

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
società moderne; qui si radunano insieme e agiscono per negoziare le regole di vita comune
(Arendt). Questa metafora include sia gli spazi fisici (piazze, luoghi di aggregazione, circoli,
eccetera) che quelli mediati (stampa o ambienti digitali). I media a stampa (giornali, libri, riviste)
furono da subito fondamentali per la nascita della sfera pubblica, insieme a luoghi di ritrovo quali
un tempo erano i Caffè (Habermas). E’ in questa dimensione di discussione e confronto che avviene
la formazione dell’opinione pubblica. Nelle società liberali moderne un’opinione pubblica ricca,
vitale e talvolta critica è cruciale per il funzionamento della democrazia, in quanto permette un
controllo diretto sul potere; questa funzione fondamentale si esprime tramite i mass media. Ciò però
può avvenire anche al contrario, quando il potere si impossessa anche del controllo dei mezzi di
informazione, creando il cosiddetto quarto potere.
I media digitali hanno trasformato il funzionamento della sfera pubblica pur preservandone alcune
dinamiche cruciali. La rete permette innanzitutto di diversificare le fonti di informazione; gli utenti
hanno accesso a una molteplicità di fonti, anche indipendenti o alternative a quelle del sistema dei
mass media. In questo modo sono i cittadini a svolgere la funzione di sorveglianza democratica che
compete tradizionalmente alla stampa. Dunque la sfera pubblica in rete fornirebbe un bacino più
ampio di raccolta di informazioni e un filtro più partecipato e aperto all’attività dei singoli individui
per scegliere i temi rilevanti.
Uno dei processi di trasformazione della sfera pubblica nell’era digitale è quello della
disintermediazione, cioè l’aumento di indipendenza da figure professionali che hanno storicamente
un ruolo di intermediarie tra il pubblico e l’informazione. Grazie alle tecnologie digitali e alla rete,
gli individui hanno accesso diretto a una mole immensa di informazioni che erano prima
appannaggio di esperti, tecnici o professionisti. Inoltre dispongono di vie di comunicazione
indipendenti dal sistema tradizionale dei mass media. La disponibilità di strumenti per pubblicare
contenuti di uso semplice e accessibile a chiunque ha reso possibile la nascita di fenomeni di
produzione di informazioni (news) di nuovo tipo. Il citizen journalism è la produzione e
distribuzione di notizie da parte di individui che non sono giornalisti professionisti e attraverso
canali alternativi, come i blog. Il primo esempio di questo tipo fu il sito di informazione
Indymedia, piattaforma per la pubblicazione di contenuti informativi da parte degli utenti. Gli stessi
giornali tradizionali si sono adattati al cambiamento in atto, aprendo edizioni online via sito web o
applicazione per smartphone e tablet, ma l’interazione con i lettori è al centro dell’attività
comunicativa. I confini tra i mass media e le nuove forme di comunicazione scompaiono, e i
giornali integrano le news online con sistemi di interazione con i lettori, come blogging, commenti
agli articoli, uso di social network, eccetera. Questi strumenti e queste pratiche hanno modificato in
profondità il sistema con cui le notizie vengono prodotte e distribuite. Una delle funzioni principali
dei giornali è quella del gatekeeping, cioè il potere di selezionare quali notizie raggiungono il
pubblico e quali vengono scartate. Secondo diversi autori la funzione di gatekeeping (letteralmente
“guardiano”) non è più nelle mani dei media broadcast, ma piuttosto è distribuita tra gli utenti della
rete che producono, selezionano e vagliano notizie e informazioni. Infine, è cambiato anche il ruolo
dei mass media tradizionali come detentori del potere di agenda setting, cioè la capacità di dettare
l’agenda del dibattito pubblico seguendo le notizie e i temi di cui si parlerà. Oggi le notizie rilevanti
possono emergere tramite diffusione dai media sociali o dai blog minori a quelli più importanti, fino
a raggiungere le grandi testate online o i mass media. La sfera pubblica in rete sarebbe così in grado
di garantire i filtri di attendibilità e rilevanza un tempo riservati ai mass media, diventando la nuova
intermediaria tra cittadini e informazione.
La rete ha anche favorito l’emergere di attori come WikiLeaks, una piattaforma nata nel 2006 per la
pubblicazione di leak, cioè “perdite” o “fughe” di notizie, che hanno un ruolo importante nella
ridefinizione della sfera pubblica in rete. E’ un organizzazione non profit internazionale basata su
un sistema di raccolta di documenti coperti da segreto di stato o industriale che le persone possono

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
fornire in forma anonima; questi vengono poi controllati e verificati, e in seguito pubblicati allo
scopo di denunciare “comportamenti non etici di governi e aziende”, per aumentare la trasparenza
dei governi e delle imprese tramite una nuova forma di controllo. WikiLeaks è famosa per la
pubblicazione di file riservati sulla gestione del campo di prigionia statunitense di Guantanamo e
per il rilascio di migliaia di messaggi segreti della diplomazia Usa riguardanti i governi e i capi di
stato europei. Per diffondere tutto ciò questa organizzazione ha collaborato con alcuni importanti
quotidiani, dal The Guardian al New York Times; anche a causa di questo motivo la piattaforma si
è ritrovata a subire censure e tentativi di chiusura. Esempi come WikiLeaks sembrano decretare
definitivamente la democraticità della sfera pubblica in rete. In realtà alcuni autori, analizzando il
ruolo delle imprese private e le forme di controllo e censura che caratterizzano la rete, hanno
sottolineato l’importanza di evitare di definire la nuova sfera pubblica “democratica”. Costoro
sostengono che la rete sia uno spazio pubblico altamente privatizzato, più che una sfera pubblica
compiuta (Papacharissi). Dean ha parlato di capitalismo comunicativo per descrivere un sistema di
appropriazione basato su una parvenza di sfera pubblica che in realtà è soggetta allo sfruttamento e
al controllo da parte delle aziende del web. Non dimentichiamoci che la maggior parte delle
interazioni online avvengono su piattaforme possedute e controllate da privati. Da un’analisi dei
blog e dei social network infine emerge un fenomeno chiamato cyberbalcanizzazione, ovvero la
polarizzazione del dibattito che scaturisce dalla creazione di piccole enclave omogenee al proprio
interno e in perenne lotta tra loro. Infatti sul web contenuti simili richiamano contenuti simili,
riducendo la diversità e il confronto tra le idee; in questo modo vengono a mancare il confronto e il
dibattito tra orientamenti e prospettive diversi che caratterizzano una sfera pubblica virtuosa.
• Politica e democrazia
Nella società in rete il potere diventa potere della comunicazione (Castells), perciò l’emergere di
nuove forme comunicative online e la nascita di una nuova sfera pubblica sul web influiscono
inevitabilmente sulla società in cui si verificano. Per i paesi autoritari vi è la forte necessità di
controllare i flussi di informazione che attraversano la rete e di evitare la diffusione di notizie che
potrebbero nuocere al regime o creare movimenti di opposizione; per questo motivo in paesi come
la Turchia o la Corea del Nord si sono messe in atto politiche per ostacolare la diffusione di
tecnologie digitali tra la popolazione. Esistono poi governi non democratici che intervengono in
modo più sfumato, ma sempre al fine di controllare l’accesso alle informazioni e talvolta
censurarle: è il caso della Cina, che utilizza il Great Firewall of China, un software che filtra i
contenuti (gioco di parole tra wall, muraglia, e firewall, software). Ciò avviene tuttavia anche nei
paesi democratici: la libertà di espressione e il diritto all’informazione non possono essere mai dati
per scontati (ad esempio l’Italia secondo Reporter senza frontiere è al 52esimo posto nella classifica
inerente all’argomento; l’Islanda invece si è posta l’obiettivo di diventare un porto franco [luogo
sicuro] per giornalisti, editori, utenti di tutto il mondo).
La stessa attività politica è ormai profondamente influenzata dai media (esempi: campagna
elettorale di Obama nel 2008, utilizzo dei social da parte di Trump, ascesa del Movimento 5 Stelle
e di Podemos). Nelle società avanzate, le pratiche politiche dipendono in modo rilevante dalla
capacità di analizzare l’elettorato con tecniche derivate dalle scienze sociali per produrre strategie
di marketing politico mirate ai diversi media utilizzati. Se le tendenze più ottimiste vedono in
Internet un mezzo per creare forme di democrazia diretta destinate a sostituire le istituzioni
democratiche, quelle più pessimiste vi vedono solo un rinforzo delle gerarchie esistenti; è
probabilmente più corretto affermare che la rete rende possibile nuove e diverse strategie di
mobilitazione e partecipazione. Ne è un esempio il Movimento 5 Stelle, esponente come Podemos
della cosiddetta democrazia liquida, in cui ognuno è libero di esprimersi tramite blog, forum,
eccetera ed elaborare proposte che vengono poi votate da tutti gli utenti.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• I movimenti sociali
Se il potere politico risiede nella capacità di programmare le reti, i movimenti che vogliono
contrastare quel potere o agire per il cambiamento sociale devono basare la propria azione sul
tentativo di riprogrammare la reti, cioè utilizzarle per comunicare i propri contenuti e i propri valori
modificandone lo scopo originario o trovando nuovi modi per sfruttarne le caratteristiche
tecnologiche e sociali. I media digitali che permettono la cooperazione online e i social network
sono una parte importante di questi processi, anche perché hanno effetti sulla partecipazione
politica, dato che la rete permette un più facile e immediato accesso alla vita politica attiva e ne
influenza le forme. Questa forma di attivismo politico è stata definita azione connettiva, e avrebbe
sostituito le forme classiche di azione collettiva.
I movimenti sociali sono sempre stati sperimentatori e innovatori nel campo dell’azione politica
tramite i media digitali. Si possono citare moltissimi esempi: dal movimento zapatista messicano
nel 1994 alla primavera araba del 2011, dal NoBerlusconiDay del 2009 a Occupy Wall Street nel
2011. Critici del ruolo dei media digitali riguardo alla partecipazione politica hanno sottolineato che
la maggior parte degli utenti della rete si limita a mettere in campo attività di slacktivism (gioco di
parole tra slacker, pigro, e attivismo), come ad esempio postare commenti o foto di significato
politico sui propri profili oppure firmare petizioni online; tutte attività che richiedono un
investimento minimo. I media digitali spesso hanno fornito l’input per ingenti proteste e
manifestazioni di piazza, come quando, tra il 2014 e il 2015, si diffusero sul web una serie di video
di omicidi di afroamericani da parte di poliziotti bianchi negli Stati Uniti. Le tecnologie mobili
quindi contribuiscono in forma determinante all’evoluzione di queste forme di organizzazione
politica online. Rheingold ha chiamato smart mob (folle intelligenti) i gruppi di utenti della rete che
coordinano comportamenti collettivi tramite l’uso di dispositivi mobili, mentre Castells li ha definiti
comunità insorgenti istantanee. Infatti questi media riescono a coinvolgere e mobilitare per una
causa comune cittadini non facenti parte di particolari partiti o gruppi politici, ma in grado di
scambiarsi informazioni e organizzarsi in tempo reale grazie alle nuove tecnologie. Da questo
contesto nascono movimenti che creano nuove forme di potere e metodi decisionali; esiste però un
team al loro interno che li gestisce e organizza, in contraddizione con l’idea che essi siano non
gerarchici, spontanei e “liquidi”. Questi gruppi di controllo, che riuniscono persone dotate di
capacità politiche e tecniche, sono stati definiti avanguardie digitali dotate della capacità di dirigere
almeno parzialmente la direzione presa dall’azione collettiva del movimento. Gli stessi movimenti
tuttavia si percepiscono e definiscono in pubblico come privi di leader.
Concludendo, i media digitali permettono anche l’emergere di movimenti che fondano la propria
attività esclusivamente sulle reti, come Anonymous, un movimento di hacker con ideali anarchici e
di critica al potere politico e finanziario.
Quadro 5.1. La primavera araba. Pag. 127.
• Sorveglianza e controllo
La gran parte delle informazioni prodotte in rete non è nelle mani degli utenti, ma viene utilizzata
da terzi per scopi al di fuori del loro controllo; ciò viene definito partecipazione passiva. Qualsiasi
attività in rete lascia delle tracce che vengono raccolte e monitorate per scopi di controllo sociale o
di profitto. Questa forma di partecipazione passiva è creata da due processi distinti ma legati tra
loro:
• La cattura dei dati è una forma di controllo che usa le informazioni raccolte
dall’attività online degli utenti per aumentare l’efficienza delle forme di produzione
delle aziende del web.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• La sorveglianza è invece un processo di raccolta e analisi dei dati da parte di attori
pubblici (stati) e privati (imprese del web) al fine di controllare il comportamento
degli individui.
Negli anni Settanta Michel Foucault ha descritto la nascita nell’era moderna della società
disciplinare, caratterizzata dalla pervasività di istituzioni dedicate a osservare il comportamento dei
cittadini per normalizzarlo. Per descrivere il potere disciplinare, egli ha usato l’esempio del
panopticon: l’architettura di questo edificio permette a una sola persona di controllarne diverse, che
non sanno esattamente quando sono osservate. Dunque, istituzioni che sorvegliano cittadini.
Viceversa, un altro filosofo, Deleuze, teorizzò la società del controllo, in cui è la popolazione stessa
a esercitare un controllo continuo e istantaneo.
Nel 2013 l’informatico statunitense Edward Snowden ha rivelato al mondo l’esistenza di
programmi segreti di spionaggio messi in campo da un organismo governativo Usa, la Nsa. Grazie
a queste rivelazioni sappiamo che diversi governi occidentali gestiscono sistemi di sorveglianza che
permettono di registrare tutte le interazioni online e telefoniche dei propri cittadini, indistintamente,
anche senza il mandato di un giudice. Tutto ciò chiaramente è dovuto alla collaborazione con i
governi delle grandi imprese del web.
Quadro 5.2. Resistere alla sorveglianza la consapevolezza crescente della pervasività della
sorveglianza negli ambienti digitali dà vita a forme di resistenza. La crittografia utilizza un insieme
di tecniche di codifica che permettono di leggere un testo solo a chi possiede la chiave di
interpretazione. Le tecniche di offuscamento si basano invece sula produzione di informazioni
fuorvianti, false o ambigue, che rendono la cattura dei dati più difficile e meno affidabile.
• Cultura civica e informazione
L’emergere di forme di organizzazione politica tramite strumenti e piattaforme online ha fatto
parlare della nascita di una nuova cultura civica. Politologi come Putnam sottolineano che il
coinvolgimento civico delle popolazioni dei paesi occidentali è in declino da decenni. Le
organizzazioni di massa come i sindacati hanno sempre meno partecipanti, e sempre meno persone
votano alle elezioni o partecipano attivamente alla vita dei partiti politici. Secondo Putnam ciò
sarebbe dovuto in gran parte al consumo televisivo. In realtà il rapporto tra media e partecipazione
politica è più complesso. Attualmente, le forme di attivismo e coinvolgimento politico in rete
stimolano la formazione di una nuova cultura civica, riunendo individui con uno scopo in comune
e profondamente coinvolti; allo stesso tempo però tendono a esasperare i conflitti e a ridurre
l’interazione con persone che la pensano diversamente. Il confronto e la diversità possono così
venire meno. La politica online tenderebbe quindi a una polarizzazione della società, per la quale
gli individui interagiscono solo con i loro simili.
In chiusura del capitolo occorre evidenziare che le grandi imprese del web oggi assumono il ruolo
di nuovi intermediari, senza però essere necessariamente più accessibili, aperte o democratiche di
quelli precedenti. Spesso si tratta di imprese commerciali volte al profitto, e perciò non sono
neutrali ma esprimono precise visioni del mondo, valori e interessi.

Capitolo 6. Economie digitali e lavoro


• I modelli economici del web
Internet e i media digitali hanno una grande rilevanza economica; dispositivi come personal
computer, smartphone, televisori o tablet rappresentano un mercato di prodotti di consumo a
diffusione globale. Questo mercato sostiene le economie sia dei paesi produttori di componenti e

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
hardware, come quelli asiatici e nordici, sia dei paesi che gestiscono i processi di innovazione e
marketing, come gli Stati Uniti o la Cina. Inoltre sui media digitali si basa un’economia sviluppata
direttamente online in termini di servizi venduti (siti dot com [.com]) e mercato pubblicitario da
parte delle grandi imprese del web. Con la diffusione di Internet si sono scatenate ondate di
investimenti e sono sorti nuovi modelli economici, introducendo nuove possibilità e nuovi vincoli
alle imprese che producono informazione.
La coda lunga è il modello su cui si basano giganti come la libreria online Amazon, e si riferisce
alla massa di opportunità marginali che con i media digitali diventa possibile gestire. Invece di
vendere solo pochi titoli molto popolari, Amazon realizza gran parte dei guadagni vendendo poche
copie ciascuno di moltissimi libri, che rappresentano la coda del mercato. Quindi anche se ognuno
di questi titoli ha vendite marginali, il loro insieme costituisce una massa tale da contribuire in
modo sostanziale ai guadagni dell’azienda. Tutto ciò è possibile grazie al fatto che Amazon è in
grado di accumulare i libri in giganteschi magazzini automatizzati e gestiti per via informatica,
riuscendo di fatto a svolgere il lavoro di centinaia di piccole librerie che, invece, avendo spese
elevate e mancanti dello spazio fisico necessario, devono selezionare solo quelli che vendono più
copie.
Negli anni Novanta, con l’avvento di Internet, nacquero i siti “dot com”; alcuni di questi sono
definiti content provider, cioè fornitori di contenuti, e facevano pagare l’accesso ai contenuti online
che fornivano. Questo modello di business esiste ancora in alcuni settori professionali, ma con
l’avvento di servizi gratuiti come YouTube, Facebook eccetera è diventato sempre meno sostenibile
in tanti altri settori. E’ stata importante anche la diffusione dei sistemi di file sharing, come eMule,
che però hanno reso difficile il controllo della diffusione e della circolazione (in sostanza, della
pirateria) di contenuti prodotti dall’industria musicale e cinematografica. Altre innovazioni: Netflix,
integrazione tra libri, film, videogiochi e fumetti come per Harry Potter, nascita di Internet mobile
e quindi sviluppo delle app, diffusione degli eBook.
Un altro aspetto del variegato mercato online si è sviluppato con la nascita del web collaborativo: i
modelli economici di molte aziende in rete si basano sulla co-creazione da parte degli utenti, che
vengono quindi coinvolti nel business. Esempi: TripAdvisor, app di dating (per appuntamenti
romantici), eccetera.
Occorre a questo punto menzionare i videogiochi (settore del gaming), che compongono un mercato
sia per le vendite che registrano che per la diffusione di dispositivi (hardware) necessari a utilizzarli
come console e computer. Come abbiamo visto nel citato caso di Harry Potter, i videogiochi sono
anche strumenti utilizzati per il marketing: di fatto questa industria alimenta in modo significativo
anche quella di film, libri, giocattoli, eccetera, che usano gli stessi personaggi o producono giochi
legati ai propri prodotti.
Un altro ramo dell’economia del web è composto dai motori di ricerca, di cui il più importante è
Google. Alla base del suo funzionamento vi è un sistema chiamato page rank, un ranking
(classifica) dei siti più rilevanti per la ricerca svolta, e che quindi permette all’utente di visualizzare
i risultati migliori per lui, calcolato tramite algoritmi che lavorano su parole chiave e sulla
pertinenza. Google è in grado di fornire servizi gratuiti perché usa le informazioni raccolte sugli
utenti (profilazione) per fornire pubblicità personalizzata, e perché gli inserzionisti possono
pubblicare annunci a pagamento sulle sue pagine di ricerca. I social network seguono modelli molto
simili.
Fondamentale è il mercato pubblicitario, dato che gran parte dei siti web e dei servizi gratuiti che
popolano la rete dipende dagli investimenti pubblicitari. In questo settore vi sono modelli
sofisticati, con sistemi come il click throught, in cui gli inserzionisti pagano sulla base di quanti

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
visitatori di un sito cliccano sulla pubblicità e quindi accedono effettivamente ai suoi contenuti.
Uno dei modelli prevalenti di sostentamento economico del web è quindi la fornitura di servizi
gratuiti resi possibili dalla raccolta di introiti pubblicitari massicci, anche se finora poche aziende, e
su tutte Google, sono riuscite ad attrarre investimenti pubblicitari sufficienti.
Le tecnologie digitali hanno permesso anche l’emergere di grandi imprese che si basano sulla
sharing economy, o economia della condivisione. Queste imprese sono basate su applicazioni web
o mobili che mettono in contatto domanda e offerta e trattengono un profitto su tutte le transazioni
economiche; svolgono di fatto la funzione di intermediari (Uber non poissiede automobili, né
Airbnb case) per evitare le regolazioni a cui sono sottoposte le imprese tradizionali.
Infine occorre citare il crowfunding; letteralmente “finanziamento della folla”, è un sistema di
raccolta di fondi per progetti non profit o per imprese start up basato su piattaforme online. Gli
individui possono contribuire con finanziamenti anche molto limitati, dato che questi servizi
puntano su grandi numeri di persone disposte a donare piccole somme. Se il progetto raggiunge il
budget prefissato, l’utente che lo ha lanciato riceve il denaro e la piattaforma di crowfunding
trattiene una piccola percentuale.
Quadro 6.1. L’economia delle startup le grandi imprese come Twitter o Airbnb sono frutto
dell’economia startup, ovvero basata su nuove imprese emergenti. Il fenomeno è legato allo
sviluppo della Silicon Valley negli anni Settanta e si è consolidato attorno ad alcune caratteristiche.
• Le startup per lo più sono lanciate da giovani con in mente un prodotto, solitamente
digitale, come una app, che ancora non esiste.
• Il percorso delle startup spesso passa per un incubatore, cioè un luogo che fornisce
un percorso di formazione in cui l’impresa viene assistita nel realizzare la sua idea di
partenza, sviluppando un business plan e coltivando un pitch, una breve
presentazione per i potenziali investitori. Alla fine del percorso di incubazione le
startup sono pronte a competere nel mercato.
• Molte startup fanno uso di piattaforme di crowfunding per accumulare un piccolo
capitale iniziale; se la campagna ha successo, spesso attira investitori.
• I fondi di venture capital (capitalismo di avventura) puntano su investimenti ad alto
rischio: selezionano una serie di piccole startup, scommettendo sul fatto che le poche
che avranno successo realizzeranno guadagni cento o mille volte maggiori a quelli
iniziali. Questi fondi acquisiscono una quota del loro capitale sociale, che può essere
venduta in caso di successo.
• Questa logica fa sì che il suddetto successo sia misurato in termini di valutazione
finanziaria e non di crescita sul mercato. Il valore si può concretizzare in due modi:
la vendita a una società più grande oppure la quotazione in borsa.
Due parole chiave del sistema startup:
I. Ideas are cheap: il successo dipende dalla qualità delle persone e del team, non da quella
dell’idea. E’ importante fare lavoro di squadra, dare una forma alle idee e costruire un brand
(come viene insegnato nella fase di incubazione).
II. Disruption: i guadagni si fanno con la capacità di capovolgere intere industrie, come
accaduto per Amazon con le librerie o Uber con i taxi. Un’impresa veramente disruptive
crea nuovi bisogni: nessuno desiderava Facebook prima del suo lancio.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
• Produzione immateriale: brand e finanza
Nell’economia dell’informazione la creazione di valore si sposta dalla produzione di beni materiali
alla produzione di beni immateriali. La centralità degli oggetti materiali nell’economia industriale è
occupata nell’economia dell’informazione dalle risorse intangibili, dato che la capacità di produrre
beni materiali è ormai sempre più diffusa, e ciò crea una contrazione dei suoi margini di profitto. Al
contrario, le maggiori fonti di valore diventano attività che richiedono competenze di elaborazione
dell’informazione (e quindi immateriali) che sono meno diffuse. L’innovazione è la capacità di
creare continuamente novità sia tecnologiche, sia di design e di stili di consumo (esempio di Apple
con prodotti come iPhone e iPad). La flessibilità è la capacità di rispondere rapidamente alla
domanda di mercato in modo che il numero pressoché esatto di merci necessarie si trovi al posto
giusto al momento giusto. Infine il brand, che è sia il marchio di un prodotto che la capacità di
generare la percezione pubblica di una differenza tra un prodotto e un altro. In generale, il peso
complessivo delle risorse intangibili nelle aziende industriali rappresenta il 70% del valore di
mercato delle stesse; il brand da solo vale circa il 30%. La sua importanza è cresciuta con la
standardizzazione della produzione in seguito alla rivoluzione industriale; da quel momento si è
iniziato a produrre prodotti simili che necessitavano di una differenziazione. Il brand è anche un
elemento utile per catalizzare l’attenzione, l’affettività e la creatività dei consumatori. La sua
creazione e quella di tante altre risorse intangibili è sempre più socializzata, nel senso che si poggia
sulla capacità di mettere al lavoro la socialità, il sapere e le capacità comunicative spontanee degli
individui instaurano relazioni sociali nell’ambiente digitale (customer relations management=
gestione delle relazioni con i clienti). I media digitali hanno permesso di allargare queste pratiche.
Oggi i consumatori discutono in rete delle proprie marche preferite e dei propri stili di consumo,
creando di fatto una brand community, cioè comunità legate dall’interesse e dall’affetto per un certo
marchio. Talvolta i consumatori possono fornire suggerimenti all’azienda e votare e discutere le
idee altrui.
N.B.: il fatto che il brand sia una risorse intangibile non toglie che le sue caratteristiche siano legate
alle proprietà materiali di un prodotto. Dunque, invece di termini come intangibili o immateriali si
può parlare dei beni dell’economia dell’informazione come di beni ibridi, composti da un livello
materiale (computer tastiera, schermo, eccetera) insieme a un livello informazionale (i componenti
di un brand) per diventare un’entità unica.
Un’altra dimensione importante dell’economia dell’informazione è quella dei mercati finanziari. Il
volume di denaro che circola nei mercati finanziari è circa sessanta volte superiore al volume di
denaro che accompagna la circolazione delle merci; inoltre, economia finanziaria ed economia delle
merci sono a tal punto integrate da risultare difficili da analizzare separatamente. Le risorse
intangibili gestite tramite le reti e grazie ai media digitali, come flessibilità, innovazione e brand,
vengono valutate direttamente sui mercati finanziari, in quanto il loro valore non è facilmente
misurabile con i parametri della classica contabilità aziendale. Allo stesso tempo è avvenuto un
processo di informatizzazione della finanza stessa. In seguito il mercato stesso si è spostato
gradualmente sulle reti informatiche.
• Lavoro e precarietà
I media digitali sono legati a trasformazioni nelle dinamiche di lavoro e di consumo; a un livello più
superficiale, questi cambiamenti sono legati all’emergere di nuovi mestieri e nuove professioni
direttamente connessi ai media digitali. Inoltre, le professioni esistenti sono cambiate grazie
all’integrazione dei computer e delle reti nell’attività quotidiana di ogni lavoratore. Anche le attività
di consumo si avvalgono sempre più spesso della rete, tramite i siti per acquisto online e i sistemi di
pagamento come PayPal. Come abbiamo già sottolineato, a un livello più profondo, nell’economia

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
dell’informazione, la creazione di valore si sposta dal controllo dei processi di produzione materiale
verso i beni immateriali. In questo quadro si inserisce la tendenza verso una fusione progressiva tra
le attività produttive e le attività di consumo che caratterizzano la vita quotidiana, dando vita ai
prosumer (vedi sopra, producer\consumer). In merito alcuni autori hanno redatto il Cluetrain
Manifesto, in cui affermano che “i mercati sono conversazioni” (ovvero Internet fornisce agli
individui la possibilità di entrare in mercati virtuali in cui discutere dei prodotti tramite recensioni,
forum, eccetera) e che le aziende devono tenere conto di questi consumatori informati e partecipare
alle loro conversazioni. Un altro approccio sostiene che il prosumer produca gratuitamente
informazione che crea valore per l’impresa fornitrice del servizio. Questo modello ha dato luogo ad
accuse di sfruttamento per le imprese del web.
La diffusione e l’utilizzo dei computer e della rete nei luoghi di lavoro ha prodotto
un’organizzazione più fluida, orizzontale e flessibile; e anche i lavoratori hanno assunto queste
caratteristiche. Si comincia a considerare fondamentale la capacità sociale di questi, in quanto le
nuove forme organizzative del lavoro mettono in atto la loro abilità a socializzare; per questo, essi
sono soggetti a nuove strategie di motivazione e stimolazione da parte del management, che un
tempo era solito solo svolgere una funzione di controllo.
Classe creativa è un’espressione che descrive le nuove forme lavorative della conoscenza messe in
atto da professionisti urbani che lavorano nelle cosiddette industrie creative legate spesso ai media
digitali, cioè alla produzione di brand, comunicazione, eventi e design. L’economia di intere città
come Londra, New York o Milano si sposta verso queste forme di produzione; ne è un esempio il
city branding. Secondo Richard Florida le industrie creative nascono dalla presenza di un gruppo di
persone della classe creativa che sono critiche riguardo alcuni aspetti di una città. La sua ricetta per
porre rimedio a ciò è creare un ambiente urbano consono ai gusti e agli stili di vita di queste
persone critiche. Ciò è davvero accaduto in città industriali in declino, ad esempio in Inghilterra, ma
ha dimostrato un legame debole con lo sviluppo economico. Inoltre, le teorie sulla classe creativa si
basano su presupposti contestati. Florida sostiene che jobs follow people, cioè che basta attirare
persone con talento ed esse creeranno aziende e opportunità di lavoro. In realtà questa funzione
attrattiva viene svolta dall’offerta di posti di lavoro qualificati, in quanto le persone più produttive
nella nuova economia della conoscenza sono i membri del ceto medio, non una classe creativa
attirata da un particolare stile di vita. Non sono attratte dalle “tre T” di Florida (Talento, Tecnologia
e Tolleranza) ma piuttosto dalle “tre S” (Sole, Sobborghi e Scuole) che hanno sempre fatto presa sul
ceto medio. Questo è composto anche da masse di studenti, attivisti e artisti che vivono un’esistenza
più povera e precaria di quella della classe creativa benestante; il metodo proposto da Florida tende
a espellerli dal processo. Per questo la promozione di città creative può essere controproducente;
viceversa, hanno avuto successo esperimenti come Manchester, che combinano la possibilità di
vivere a basso costo, attirando così artisti con pochi mezzi ma tanta creatività, a una struttura
imprenditoriale efficiente che commercializza i prodotti di questi creativi.
La creazione di valori intangibili tende ad avvenire tramite l’impiego di lavoratori freelance che
non godono della sicurezza o della stabilità dei loro colleghi precedenti che venivano assunti da
organizzazioni rigide e gerarchiche; i lavoratori della conoscenza perdono di fatto alcuni diritti,
dalla continuità del lavoro alle ferie pagate, e via così. Questi fenomeni di aumento della flessibilità
o di precarizzazione, promossi dalla politica e dalle imprese come fattori positivi di indipendenza,
hanno effetti diversi a seconda della tipologia di lavoratore: per chi ha una forza contrattuale elevata
possono risultare liberatori, viceversa diventano schiaccianti. Si crea così una nuova massa di
lavoratori precarizzati e sensibili, a cui i sindacati non sanno dare risposte. Spesso essi devono
anche provvedere a pagare da sé la loro formazione o gli spostamenti; da questa necessità è nato il
coworking, con lo scopo di collettivizzare alcune di queste spese, affittando ai freelance scrivanie,
stampanti o rete wifi. Il cosiddetto lavoro digitale ha creato ampi settori lavorativi esternalizzati e

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
sottopagati, organizzati tramite la rete. Un esempio è il già citato crowdsourcing, un servizio che si
basa sull’aggregazione del lavoro di migliaia di individui pagati a cottimo in base al numero di
compiti svolti. Queste forme lavorative, spesso retribuite pochi centesimi a compito svolto, sono
spesso svolte da individui residenti nei paesi in via di sviluppo (come l’India) e vengono definite
microlavori. Le imprese della sharing economy operano in modo simile: non assumono ma
organizzano e coordinano migliaia di individui indipendenti (come gli autisti di Uber, che lavorano
quando vogliono ma hanno tutte le spese della loro automobile). Diversi autori parlano di un
arretramento dei diritti e di una nuova condizione di precarietà per nuove classi di lavoratori, che
non hanno accesso al sistema dei diritti conquistato nell’era industriale. Come abbiamo già
accennato, anche i sindacati tradizionali faticano a intervenire in questo contesto.
Le nuove forme di organizzazione del lavoro intellettuale tendono anche a far sfumare la differenza
tra tempo di lavoro e tempo libero. La flessibilità richiede agli individui di lavorare in qualsiasi
momento, e i media digitali rappresentano lo strumento ideale per questo scopo. Sono solo gli strati
più privilegiati, come quelli manageriali, che possono permettersi di essere maggiormente
disconnessi per diminuire lo stress dovuto alla sovrapposizione completa di vita e lavoro.
Quadro 6.2. L’economia digitale a San Francisco San Francisco, in California, è da decenni uno
degli epicentri dell’economia digitale, e ciò influisce anche a livello di trasformazioni economiche
e sociali. La vicinanza della Silicon Valley e la presenza in città di sedi dei colossi del web come
Twitter e Dropbox hanno creato migliaia di posti di lavoro e potenziato l’economia locale. Questa
ricchezza però non è distribuita equamente. L’afflusso di centinaia di ingegneri e informatici (i
techie), che percepiscono salari molto maggiori della media della popolazione, ha un effetto sulle
dinamiche sociali della città. Chi non lavora nell’industria tecnologica non può permettersi gli
affitti cresciuti in maniera smisurata; inoltre i techie sono principalmente giovani bianchi, mentre
sono presenti in città folte comunità latinoamericane. Le popolazioni storiche e le fasce più deboli
sono quindi esposte al rischio di espulsione dalla città verso aree sempre più distanti. Recentemente
sono stati oggetto di violente proteste i Google bus, autobus di lusso provvisti di wifi per far
lavorare i dipendenti anche durante gli spostamenti forniti dalle imprese. L’industria digitale di San
Francisco non ha redistribuito la ricchezza, ma ha esacerbato le disuguaglianze di fondo della
società statunitense.
• Il capitalismo digitale
Il successo delle imprese che producono tecnologie o servizi informatici è immenso. I magnati della
rete, da Gates a Zuckenberg, sono tra gli individui più ricchi del mondo e le loro aziende
controllano capitali superiori a quelli delle aziende petrolifere. Nel 2016 Google e Apple valevano
500 miliardi di dollari ciascuna. I colossi della rete sono talmente ricchi da andare oltre la
dimensione comunicativa, arrivando a influenzare lo sviluppo del capitalismo globale tramite i
propri investimenti. Bill Gates ha auspicato la nascita di un capitalismo senza frizioni mediato dalle
tecnologie digitali in cui i flussi di capitale, informazione, merci e lavoro possano scorrere senza
impedimenti causati da regolamentazioni o barriere nazionali.
In relazione a questi fenomeni, negli ultimi anni un numero crescente di autori ha cercato di fornire
un’interpretazione per le trasformazioni economiche e sociali degli ultimi decenni; impresa non
semplice, perché la società dell’informazione è in costante cambiamento e in rapida evoluzione.
Anzitutto, dopo la crisi del 2008 molti autori si sono concentrati sulla finanziarizzazione
dell’economia: i cicli del capitalismo sono soggetti a fasi di crisi in cui la finanza prende il
sopravvento fino a quando un nuovo paradigma produttivo non riesce ad emergere. Il tentativo di
definire questo nuovo paradigma ai giorni nostri si è concentrato sulla capacità delle imprese del
web di organizzare processi produttivi distribuiti e di sfruttare le capacità comunicative e cognitive

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
degli individui. Con la definizione capitalismo delle piattaforme alcuni autori hanno sottolineato la
capacità del capitale contemporaneo di utilizzare le piattaforme web al fine organizzare processi
produttivi basati su forme di cooperazione sociale e ricavarne un profitto (es: sharing economy).
Altri hanno parlato della nascita di un capitalismo comunicativo, in cui le capacità affettive e
comunicative rappresentano gli elementi principali della produzione capitalista. In questo modello
le attività di comunicazione sono paragonate a delle merci. Un passaggio ulteriore è quello
compiuto dai teorici del capitalismo cognitivo, che sono influenzati dal famoso “frammento sulle
macchine” in cui Marx aveva profetizzato forme di automazione che avrebbero liberato l’umanità
dal lavoro (intelletto generale= il sapere incorporato nelle macchine). Secondo le teorie sul
capitalismo cognitivo, le tecnologie informatiche sviluppate dal capitalismo digitale sono invece
costruite per sfruttare i processi cognitivi e cooperativi degli individui connessi in rete. Le
tecnologie sarebbero quindi adibite a controllare il lavoro anche al di fuori dei luoghi in cui
solitamente si svolge; in un certo senso, il capitale avrebbe conquistato la stessa intelligenza e
socialità umane. Il capitalismo digitale ha anche optato per forme di produzione peer-to-peer,
sfruttando ambienti lavorativi uguali ad ambienti ricreativi e creando così una produzione P2P, la
quale fornisce una vera e propria infrastruttura culturale che insegna ai lavoratori forme che
producono innovazione cooperativa e socializzata che hanno luogo nelle imprese del web.
Quadro 6.3. Automazione e lavoro l’automazione e l’economia industriale sono sempre esistite
insieme, dalle prime macchine antiquate fino alla computerizzazione del lavoro. In particolare
quest’ultimo processo ha ridimensionato notevolmente sia la tradizionale classe operaia sia il ceto
medio impiegatizio, contribuendo alla crescita della disoccupazione. Oggi stiamo attraversando un
ulteriore processo di automazione in cui la robotica e l’intelligenza artificiale promettono di
sostituire sia mansioni standardizzate che professioni che fino ad ora richiedevano creatività ed
ingegno umano. Questa nuova ondata di automazione potrebbe generare una nuova ondata di
disoccupazione. Le riposte a questo cambiamento dipendono principalmente da scelte politiche.
• Diseguaglianze globali e sviluppo
Nonostante la retorica di uguaglianza e democrazia che circonda i media digitali, nella società
dell’informazione le risorse sono tutt’altro che distribuite equamente. Il digital divide, o divario
digitale, è la disparità tra chi ha accesso ai media digitali e chi non lo ha. Banda larga e dispositivi
mobili sono fattori fondamentali per l’accesso alla rete. La differenza nell’accesso ai media digitali
viene tipicamente considerata una fonte di diseguaglianze sociali ed economiche, dato che incide
sulla possibilità degli individui o dei paesi del mondo di partecipare alla sfera pubblica in rete e
alle economie basate sulla produzione di informazione. La disparità più visibile è quella tra paesi
ricchi e paesi poveri in via di sviluppo. Alcune aree del mondo infatti soffrono di uno sottosviluppo
cronico che si riflette anche nell’accesso ai media digitali. Allo stesso modo però il divario digitale
può essere presente anche tra regioni diverse di uno stesso paese (es: Nord e Sud Italia). Vi sono poi
altre possibili problematiche: i paesi autoritari limitano l’accesso a siti e servizi online; altri
subiscono scelte imposte dall’esterno, come l’embargo statunitense su Cuba. Questo divario può
essere legato non solo alla capacità di accedere alle tecnologie, ma anche a quella di saperle usare:
intervengono fattori culturali ed educativi che rendono gli individui consapevoli e in grado di
sfruttare appieno le possibilità che offrono i media digitali. Altre differenze dipendono dalla classe
sociale, dal genere, e infine nello stesso territorio intercorrono tra aree rurali ed aree urbane, meglio
servite dalla banda larga. Risolvere o colmare il divario digitale è uno degli obiettivi che
ciclicamente vengono riproposti dalle istituzioni internazionali. L’Onu ha redatto nel 2000 un
documento in cui si impegnava ad aumentare entro il 2015 la disponibilità delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione come premessa per ampliare la possibilità di cooperazione
a livello globale. Sicuramente il divario digitale è legato allo sviluppo economico, e perciò non è
stato sufficiente, come è accaduto più volte in passato, fornire un maggiore accesso alle tecnologie

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)
dell’informazione a un paese povero per risolvere queste disuguaglianze. Diversi progetti si
occupano invece di favorire l’accesso alle conoscenze, e quindi effettuano operazioni di
alfabetizzazione ed educazione alle tecnologie informatiche. Secondo questo approccio la
differenza la fa l’accesso all’informazione più che quello alle tecnologie.
Quando si analizza il divario digitale occorre sempre tenere presente che il legame tra sviluppo e
innovazione tecnologica è complesso e sfaccettato. Secondo alcuni economisti lo sviluppo sarebbe
convergente, cioè andrebbe in direzione di una maggiore eguaglianza tra paesi ricchi e poveri. I
paesi poveri infatti potrebbero colmare il divario di sviluppo grazie all’innovazione tecnologica, che
sarebbe esogena. Tramite meccanismi di mercato, un dispositivo tecnologico può essere trasferito
da un paese ricco ad uno povero, che appropriandosene dall’esterno potrebbe riavvicinarsi ai paesi
che fanno innovazione; questo approccio è riassumibile nello slogan chips are chips: non c’è
differenza tra patatine e microchip, dato che un paese che produce le prime può esportarle per
importare i secondi. Secondo una prospettiva opposta, lo sviluppo sarebbe divergente, e il
livellamento delle differenze su scala globale basato sul trasferimento tecnologico molto più
difficile. L’innovazione tecnologica sarebbe quindi un fattore endogeno, cioè il risultato di scelte e
investimenti da parte delle aziende e dei governi. Infatti i paesi importatori di tecnologie
dall’esterno rischiano di trovarsi in una situazione di dipendenza.
Le disuguaglianze a livello globale restano presenti. Ciò in parte è dovuto al fatto che alcune attività
economiche o tecnologiche possono concentrarsi in alcune aree per diversi motivi, creando il
fenomeno della path dependence: le scelte a disposizione in un determinato contesto dipendono dal
cammino intrapreso in passato, che spesso è irreversibile (Silicon Valley VS regioni dell’Africa in
cui si estraggono i materiali per i dispositivi elettronici). Concludendo, il supporto statale alla
ricerca e allo sviluppo ha una ricaduta positiva molto elevata sull’economia di un paese.
Conclusioni
In un suo vecchio saggio Umberto Eco divideva i critici dei media in due categorie che sono tuttora
applicabili: gli apocalittici e gli integrati. Per gli apocalittici le nuove tecnologie mediatiche
tendono a sovvertire i valori tradizionali, alienare le persone l’una dall’altra e generare solitudine e
stupidità. Gli integrati invece vedono le nuove tecnologie come un passo verso una modernità
radiosa che contiene la promessa di risolvere i problemi dell’umanità. Nei discorsi sull’impatto
sociale di Internet e dei media digitali si può trovare una polarizzazione simile. Chi ha ragione?
Probabilmente entrambi. I media digitali stanno cambiando il mondo e le nostre vite ma l’esito di
questi mutamenti dipende da molti fattori sociali, economici e politici, come abbiamo visto
dettagliatamente nei capitoli qui riassunti. Quello che è certo, è che queste nuove tecnologie
saranno al centro del futuro delle nostre società.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: francesca-cioce-1 (francescacioce24@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche