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PLATFORM SOCIETY

1) La piattaformizzazione del web


Le piattaforme mediano tra chi produce contenuti e servizi e chi li vuole consumare, intrecciando
livelli operativi diversi:

- Quello delle tecnologie, utilizzate per raggiungere scopi definiti da utenti che sono privati
cittadini/consumatori ma anche politici, giornalisti, strutture editoriali dei legacy media, brand e
organizzazioni pubblicitarie;

- Quello delle relazioni sociali, cioè gli spazi in cui gli utenti connessi partecipano alla
costruzione di dinamiche comunicative e di consumo pubbliche e private;

- Quello delle organizzazioni di tipo commerciale, che producono introiti dalla pubblicità e
dalla mercificazione dei dati degli utenti.
Dinanzi a un processo di “piattaformizzazione”, ciò a cui abbiamo assistito è, da un lato, l’ascesa
della piattaforma come infrastruttura e modello economico dominante del web, e dall’altro, la
convergenza con i social media, in quanto piattaforme, nella costruzione di un ecosistema sempre
più integrato. Per consentire questo processo le tech company hanno operato su dinamiche
relative alla decentralizzazione nella produzione dei dati e ri-centralizzazione della raccolta dei
dati stessi, puntando a:

• Rendere i dati a loro esterni <<platform ready>>;

• Rendere i dati interni utili per lo sviluppo di terze parti.

2) Verso la platform society


Nel testo di van Dijck, Poell e de Waal l’assunzione di un nuovo paradigma: quello della platform
society. Questo termine è un’espressione che enfatizza l’inestricabile relazione tra le piattaforme
online e le strutture sociali. Le piattaforme non riflettono il sociale, ma producono le strutture
sociali nelle quali viviamo.
Il paradigma della platform society segue, in tal senso, quelli della network society e della
connective society. Castells ha definito come network society quella forma sociale caratterizzata
dall’imporsi della tecnologia dell’informazione a cavallo tra anni ’60 e ’70, dal superamento dei
modelli tradizionali del capitalismo e dell’intervento dello Stato nell’economia e dall’emergere di
movimenti portatori di valori sociali e umanitari. Il secondo approccio, quello della connective
society, indaga la normalizzazione della condizione dell’always on e lo sviluppo di una cultura
della connessione che si costruisce nella continuità tra online e offline.

3) Differenza tra piattaforme-infrastruttura e piattaforme di settore


Una piattaforma on-line è “un’architettura digitale programmabile, progettata per organizzare
interazioni tra utenti – non solo utilizzatori finali, ma anche imprese commerciali istituzioni
pubbliche. È orientata alla raccolta sistematica, al trattamento algoritmico, alla circolazione e alla
monetizzazione dei dati degli utenti”.
Un ecosistema di piattaforme è “un assemblaggio di piattaforme interconnesse governare da un
particolare insieme di meccanismi che modellano le pratiche quotidiane”. Attualmente
l’ecosistema occidentale è gestito in massima parte dalle “Big Five”, un ristretto numero di grandi
aziende tecnologiche composto da Facebook, Apple, Microsoft, Alphabet (Google) e Amazon. Le
Big five sono gli esempi della tipologia
“piattaforme-infrastruttura” che costituisce il motore dell’ecosistema di piattaforme. Le piattaforme
infrastruttura, sulle quali si appoggiano le altre piattaforme e app, gestiscono, processano,
incanalano e archiviano il flusso dei dati che circola in rete, svolgendo la funzione di “online
gatekeeper”. Di norma le piattaforme non incluse nel gruppo delle Big Five dipendono da questo
ecosistema per l’approvvigionamento di servizi e informazioni. Tra i servizi infrastrutturali troviamo:
motori di ricerca e browser, data server e cloud computing, social networking, servizi e-mail e
messaggistica istantanea, pubblicità on-line, app store, servizi di identificazione, sistemi di
pagamento, servizi geo spaziali di navigazione, data analytics, eccetera.
La seconda tipologia di piattaforma è quella delle “piattaforme di settore” che fanno riferimento a
piattaforme che operano in uno specifico settore o categoria, ad esempio l’informazione, la
ristorazione, l’istruzione, i trasporti. Alcune tra le più note piattaforme di questa tipologia non
possiedono beni materiali, ma funzionano da connettori tra singoli utenti e singoli fornitori.
La distinzione tra “piattaforme-infrastruttura” e “piattaforme di settore” non è fissata, ma tra le due
tipologie si sviluppa una dinamica costante che le conduce verso l’integrazione, soprattutto perché
i gestori delle piattaforme-infrastruttura hanno l’obiettivo di espandere il proprio potere su specifici
segmenti di mercato. Si pensi ad esempio a Google Scholar legato al servizio principale Google
Search, o al fatto che Google possiede il 20% di azioni di Uber.
Gli elementi essenziali nella definizione di piattaforma sono:

- I dati;

- Gli algortimi;

- Le interfacce;

- Lo status proprietario;

- I modelli di business; - Le condizioni di utilizzo.

4)Quali sono i tre processi che stanno alla base del funzionamento delle piattaforme e che
specificano il loro impatto e identità nella società, costituendone la grammatica di
funzionamento.
Sono la datificazione, la mercificazione e la selezione.
Per datificazione si intende la capacità delle piattaforme di tradurre in dati caratteristiche e
aspetti della realtà che non erano precedentemente quantificabili.
Il meccanismo di mercificazione riguarda la capacità di trasformare contenuti ed emozioni in
merci che possono essere scambiate all’interno e all’esterno delle piattaforme. Queste merci
possono essere valorizzate non solo attraverso il denaro, ma attraverso altre valute come
l’attenzione o i dati. I meccanismi di mercificazione possono produrre sia empowerment che
disempowerment degli utenti.
I processi di selezione indirizzano gli utenti verso specifici contenuti e oggetti secondo un
principio in cui le piattaforme sostituiscono il processo di selezione guidato dalla logica
dell’esperto con un processo di selezione datadriven, alimentato dal flusso di informazioni che
origina dagli utenti. Dalla prospettiva degli utenti tale passaggio appare spesso come più
democratico rispetto a quello expert-driven, ma, nella sua apparente trasparenza, i processi di
selezione delle piattaforme sono invece composti da numerose strategie tecno-commerciali di
black-boxing, presiedute da algoritmi o da processi di influenza sociale guidata dalle dinamiche
reputazionali che si generano all’interno dell’ecosistema.
5)Piattaformizzazione dell’informazione
Le sfide e le difficoltà che Facebook ha dovuto affrontare mettono in risalto due sviluppi
strettamente correlati. Da un lato, le piattaformeinfrastruttura si stanno impegnando al massimo
per diventare nodi centrali nella produzione, circolazione e mercificazione delle notizie,
sviluppando nuovi servizi dati e disegnando funzionalità specifiche per le notizie. Allo stesso
tempo, le piattaforme faticano a svolgere le proprie funzioni e responsabilità editoriali nella sfera
dell’informazione, perché mancano delle competenze giornalistiche necessarie e forse
dell’interesse
verso i principi del giornalismo professionistico per ricoprire adeguatamente questo ruolo.
Come nota Nicholas Carr il giornale in quanto prodotto si presenta come un formato che aggrega
notizie e pubblicità. Sebbene il formato si nato per una necessità economica, l’insieme aggregato
è ciò per cui le persone pagano un abbonamento e che gli inserzionisti contribuiscono a
finanziare, per catturare l’attenzione dei lettori quando sfogliano le pagine. Un passo importante in
direzione della disgregazione di questa originaria configurazione è stato lo sviluppo dei siti di
piccoli annunci. Gli annunci avevano rappresentato per molto tempo un’importante fonte di
guadagno per l’industria dei quotidiani, pertanto la nascita di questi siti ha comportato
l’indebolimento di uno dei modelli di business principali del settore. Carr nota ance che i motori di
ricerca disaggregano anche la relazione tra contenuti informativi e audience, permettendo agli
utenti di cercare e accedere direttamente ai singoli articoli e ai video, aggirando completamente la
“prima pagina”. Se da un lato questo traffico proveniente dai motori di ricerca genera attraverso la
pubblicità nuove opportunità di guadagno per le testate, dall’altro cambia anche il modo in cui gli
editori distribuiscono e sfruttano economicamente il contenuto.
Il processo di disaggregazione è stato ulteriormente alimentato dallo sviluppo di un’ampia varietà
di aggregatori di notizie, che raccolgono contenuti da diverse fonti, come testate online, blog,
podcast e videoblog. Il valore aggiunto di questi servizi web sta nel fatto che operano per
riaggregare il contenuto in un unico posto. L’azione di riaggregazione fa in modo che sia
l’aggregatore il primo gateway per accedere alle notizie. Di conseguenza, il controllo sulla
selezione delle notizie sta ulteriormente passando dalle singole testate alle piattaforme.
Poiché la relazione tra contenuti informativi, pubblico e pubblicità è prima disaggregata e
successivamente riaggregata attraverso le piattaforme, le singole testate stanno perdendo sempre
più il controllo sul modo in cui le notizie sono distribuite, curate e remunerate. Il successivo
passaggio di questo sviluppo sembra essere la funzione di host delle piattaforme rispetto ai
contenuti di informazione. Piuttosto che cercare di spostare le audience verso i siti proprietari, le
testate trasferiscono i propri contenuti sulle piattaforme dove possono essere consumati,
acquistati e connessi alle inserzioni pubblicitarie.
6) Audience quantificate
È solo con lo sviluppo dell’infrastruttura di rete che l’idea di un’audience totalmente quantificabile è
divenuta una realtà. In considerazione della disaggregazione della sequenza contenuti-audience-
pubblicità, diviene essenziale per le testate poter tracciare la circolazione online di ogni singolo
contenuto.
Se si assume la prospettiva del valore pubblico questa evoluzione è particolarmente interessante
perché un processo di produzione e distribuzione delle notizie totalmente drive-driven entra in
conflitto con il principio dell’indipendenza del giornalismo e con una copertura esaustiva delle
notizie, esercitando una pressione commerciale aggiuntiva sui giornalisti affinchè producano
contenuti che sollecitino l’engagement degli utenti. Inoltre, l’integrazione dei dati derivanti dalle
piattaforme nella gestione del lavoro giornalistico crea effettivamente una dipendenza strutturale
poiché le infrastrutture dati delle piattaforme Big Five ridisegnano gli obiettivi del decision making
editoriale.
Negli ultimi anni i servizi di audienece measurement sono stati integrati da nuovi tools che mirano
a supportare specificatamente il decison making editoriale. Questi strumenti estraggono dati dalle
diverse piattaforme online per fornire alle testate informazioni dettagliate sulle modalità con cui gli
utenti sono engaged e condividono i loro contenuti nell’ecosistema delle piattaforme. Attraverso la
dashboard i redattori, guidati dalle metriche sulle audience in tempo reale, possono testate titoli e
formati dei nuovi item proposti e possono anche adattare la struttura della landing page.
La datificazione della piattaforma implica anche che gli standard tecnologici e i modelli economici
delle piattaforme rimodellino i valori professionali e le attività di settore. Quindi un sistema di
produzione e distribuzione delle notizie totalmente data-driven potrebbe produrre un processo
guidato non dai giornalisti o dagli utenti ma rispondente a dinamiche di piattaforma.
7)Produzione e distribuzione delle notizie data-driven
L’Huffington Post e BuzzFeed hanno iniziato la loro attività come aggregatori di notizie nei primi
anni 2000 ma, con il passare del tempo, hanno iniziato a produrre sempre più contenuti originali
trasformandosi con questo processo in grandi media company.
Sin dall’inizio l’Huffington Post è stato concepito e posizionato come un sito d’informazione
mainstream, BuzzFeed, al contrario, ha cominciato l’attività come un esperimento basato sulla
viralità. Anche se Huffington Post e BuzzFeed hanno entrambi organizzato le loro modalità
operative attorno ai meccanismi di datificazione, ciascuna testata ha sviluppato un approccio
differente per decidere cos’è un contenuto rilevante. HuffPost è diventato un sito d’informazione a
carattere generale, BuzzFeed che si focalizza prioritariamente sui dati dei social media, offre
invece contenuto che può essere condiviso.
8)La datificazione delle testate tradizionali
Le testate giornalistiche tradizionali non stanno adottando gli stessi modelli di produzione e
distribuzione dei data-driven. Intrappolati tra la carta stampata e l’online, i quotidiani hanno
continuato ad aggrapparsi a molte delle loro tradizionali routine, norme e valori, mentre provano
gradualmente ad adeguarsi all’ecosistema delle piattaforme.
Sebbene i dati delle piattaforme non dettino ancora del tutto il decision making editoriale, le
metriche degli utenti stanno entrando sempre più a far parte delle routine giornalistiche quotidiane.
Mentre i meccanismi di datificazione mettono chiaramente sotto pressione il valore
dell’indipendenza giornalistica nelle testate tradizionali, questo valore rimane tuttavia
profondamente radicato nella cultura redazionale di queste organizzazioni, in parte anche perché
una fetta importante dei loro pubblici è ancora offline, e dunque un modello di produzione e
distribuzione delle notizie completamente data-driven non può essere realizzato.
L’interrogativo aperto riguarda cosa comporti la datificazione per il tipo di contenuto prodotto e
distribuito dai giornali e per il loro ruolo nella vita politica democratica. La dinamica del processo
datificato di produzione delle notizie non dipende tanto dal lavoro delle singole testate quanto
dall’interazione tra testate, piattaforme, servizi dati e network di pubblicità che popolano il
panorama informativo contemporaneo.

9)La riorganizzazione del modello di business


Nel passato, i giornali e le altre organizzazioni mediali funzionavano come mercati a due versanti
che connettevano lettori, spettatori o ascoltatori agli inserzionisti pubblicitari. Le organizzazioni
mediali esercitavano effettivamente il monopolio sull’accesso alle audience e questo permetteva
loro di esercitare potere sul mercato pubblicitario. Oggi, le piattaforme online hanno ampiamente
conquistato tale posizione privilegiata, abilitando multisided markets che connettono audience,
inserzionisti e produttori di contenuti terzi, come giornali e altre organizzazioni mediali.
In termini di remunerazione, gli Instant Articles, come la maggior parte degli altri programmi di
hosting, consentono agli editori di estendere l’impatto di campagne pubblicitarie acquisite
direttamente, così come di vendere slot pubblicitari liberi attraverso la rete di inserzioni. Per
Facebook e altri operatori di servizi infrastrutturali, l’hosting nativo è evidentemente attraente
poiché mantiene gli utenti sulla piattaforma, consentendo di raccogliere e controllare i dati degli
utenti così come di valorizzare il network di pubblicità gestito direttamente.
10) Strategie di network vs. strategie native
Nell’ecosistema delle piattaforme sono disponibili per gli editori almeno due tipi di strategie di
mercificazione: strategie di network e strategie native. Una strategia di network è incentrata sulla
circolazione di link a contenuti, titoli e anteprime attraverso le piattaforme online per reindirizzare
le audience al sito web dell’editore, dove sono sottoposte a inserzioni, invitate a sottoscrivere un
abbonamento o fare una donazione. In alternativa gli editori possono optare per una strategia
native, che prevede ospitalità per i contenuti dell’editore sulle piattaforme dove possono essere
connessi alla pubblicità.
Turow ha osservato che online la relazione tra contenuti, pubblico e pubblicità genera molti meno
ricavi di quanto non avvenisse in passate offline, e la situazione non sembra essere migliorata.
Molti editori hanno, di conseguenza, adottato un approccio misto, utilizzando l’hosting di tipo
native per parte dei loro contenuti, mentre allo stesso tempo applicano una strategia di network
per altri loro contenuti postando link sulle piattaforme.
Gli editori sono decisamente consapevoli della minaccia posta dalla piattaformizzazione alla loro
indipendenza e alla sostenibilità economica a lungo termine, e hanno recentemente iniziato a
concentrare la loro attenzione su strategie di mercificazione indipendenti dalle piattaforme e
dalla pubblicità. Questo ha condotto a un rinnovato impegno per aumentare gli abbonamenti
online.
Nella variante hard, i lettori possono accedere ad alcuni contenuti gratuitamente mentre devono
pagare per contenuti premium. Il paywall metered consente ai lettori di vedere un certo numero di
articoli prima di richiedere loro la sottoscrizione di un abbonamento. Questa strategia è,
comunque, un’opzione praticabile solo dalle testate giornalistiche che hanno una reputazione forte
e identificabile.
10)La curatela dei contenuti
Il tipo di cambiamenti influenza anche il tipo di notizie che diventano maggiormente visibili. La
maggior parte delle piattaforme tende a includere indicatori di interesse sia personale che globale,
nella selezione algoritmica dei contenuti più rilevanti, principali o di tendenza. Operando in questo
modo tendono a favorire i contenuti che generano rapidamente un maggiore engagement degli
utenti. La selezione automatizzata delle notizie ruota in gran parte attorno ai principi di
personalizzazione e viralità, inducendo gli utenti a condividere i contenuti con i loro amici e
follower e sollecitando quindi una risposta emotiva.
Queste dinamiche di personalizzazione e viralità mostrano ancora una volta che le piattaforme
social sono strutturate per massimizzare lo user engagement piuttosto che per proporre un’offerta
informativa accurata e approfondita a tutti gli utenti.
Inoltre, le pratiche di condivisione degli utenti e la personalizzazione algoritmica generano
potenzialmente filter bubbles, rinchiudendo li utenti nel loro bozzolo informativo.
Dalla prospettiva delle piattaforme è responsabilità dell’individuo e non di redattori professionisti
fare in modo che gli utenti ricevano un’informazione differenziata. Di conseguenza, la
piattaformizzazione tende a trasformare l’accuratezza e la completezza delle notizie da valore
pubblico a valore personale. Ciò indica che la personalizzazione dei contenuti non può
esclusivamente essere attribuita né agli algoritmi di piattaforma né alle preferenze e alle pratiche
degli utenti ma è il risultato di un gioco incrociato che vede coinvolti piattaforme, utenti e testate
giornalistiche.
11) Le strategie di selezione dei contenuti
Il meccanismo di selezione algoritmica influenza anche la quantità di contenuti generati dagli
editori digitali. Poiché solo una piccola percentuale di articoli e video ha la probabilità di diventare
virale, questi editori hanno sviluppato delle vere e proprie fabbriche di contenuti per assicurarsi
che almeno alcuni tra quelli da loro proposti suscitino entusiasmo. Mentre gli editori digitali hanno
ottimizzato sin dall’inizio la produzione e distribuzione di contenuti per l’ecosistema delle
piattaforme, le testate giornalistiche tradizionali stanno provando a cercare un bilanciamento tra la
necessità di adeguarsi all’ecosistema delle piattaforme e la difesa della propria autonomia
giornalistica.
L’ascesa delle piattaforme, se da un lato favorisce la produzione di contenuto leggero e user-
friendly, non elimina dall’altro quello che è generalmente considerato giornalismo di qualità.
Alcune testate sono riuscite ad attrarre nuovi abbonati e a sollecitare donazioni, insistendo
sull’importanza del giornalismo indipendente.
Nel complesso come risposta all’ascesa delle piattaforme, le testate giornalistiche hanno
raddoppiato la produzione di infotaiment e breaking news, che generano molto traffico da parte
degli utenti. La produzione e distribuzione di questo tipo di contenuto è guidata soprattutto dai dati
di piattaforma. In questo senso, la piattaformizzazione sembra mettere sotto pressione
l’indipendenza giornalistica e la copertura accurata delle notizie.
12)La curatela dei contenuti in un contesto democratico
Lo sviluppo economico delle piattaforme, con le piattaformeinfrastruttura delle Big Five al suo
centro, ha fondamentalmente cambiato la dinamica di selezione delle notizie e dei contenuti,
spostando l’onere della selezione sulle preferenze espresse dagli utenti. I meccanismi di
selezione delle piattaforme influenzano la visibilità delle inchieste approfondite ma operano con la
stessa logica per l’infotaiment o per i contenuti di vera e propria disinformazione, prodotti al solo
scopo di innescare processi virali. La conseguenza di ciò è che, anche molto lavoro giornalistico di
qualità è disponibile, c’è la possibilità che questo non raggiunga la massa degli utenti delle
piattaforme. In modo non sorprendente, i contenuti di intrattenimento e a maggiore componente
emotiva tendono a viaggiare molto più velocemente e ad arrivare più lontano rispetto alle hard
news.
Più importante e preoccupante è che anche la disinformazione tende a circolare in modo più
diffuso e ampio rispetto alle hard news. Studiando il diverso grado di diffusione di tutte le notizie,
verificate come vere o false, alcuni ricercatori hanno scoperto che le falsità si diffondono in
maniera significativa più lontano, più velocemente, più in profondità e più ampiamente rispetto alla
verità in tutte le categorie di informazione.
Facebook e Google hanno risposto all’animato dibattito statunitense sulle fake news del 2016
proponendo il fact-checking come uno tra i rimedi più efficaci per combattere la diffusione della
disinformazione. Nel caso di Youtube, un boicottaggio pubblico ha indotto alcuni grandi
inserzionisti pubblicitari a imporre alla piattaforma l’obbligo di garantire che le loro inserzioni non
sarebbero apparse accanto a contenuti problematici. Infine sia Facebook che Google hanno
lanciato progetti per rafforzare il giornalismo, come il Facebook Journalism Project e la Google
News Initiative.
Per alcuni critici tali misure sono insufficienti. Essi affermano che le social media corporation
dovrebbero essere considerate alla pari delle organizzazioni giornalistiche e quindi assumersi la
medesima responsabilità editoriale per il contenuto che è pubblicato tramite le loro piattaforme.
Risulta che i decisori politici, le organizzazioni non governative e gli studiosi di media e
comunicazione che si pongono l’obiettivo di realizzare valori giornalistici chiave hanno bisogno di
concentrarsi in modo onesto e diretto sull’interazione tra i diversi attori nel processo giornalistico
contemporaneo.
La governance democratica del processo dell’informazione deve fondarsi sul continuo
monitoraggio delle strategie messe in atto dalle piattaformeinfrastruttura globali, così come dalle
principali testate giornalistiche. E sulla base di questo monitoraggio, gli standard in termini di
diversificazione dei contenuti, accuratezza e indipendenza del giornalismo dalla pressione politica
e commerciale dovranno essere articolati e mantenuti in modo collaborativo.

GIORNALISMO IBRIDO

1)La ricerca sul giornalismo che si trasforma


Le cause del cambiamento nel campo del giornalismo sono molteplici e talvolta si confondono con
gli effetti, non basta menzionare la combinazione di fattori tecnologici, economici e politici, come
sostiene Hartley, è necessario analizzare il giornalismo anche nel suo contesto storico, culturale,
sociale e allo stesso tempo essere consapevoli che è parte di un mondo globale piuttosto
incasinato.
Come nota Donsbach, una delle principali sfide poste al giornalismo è quella di ricostruire e
fortificare la sua identità. E aggiunge che il rischio, nel caso di un suo definitivo indebolimento, non
è quello di vedere scomparire un’occupazione, ma una funzione sociale.
Esistono diverse ricostruzioni rispetto ai modi in cui i journalism studies si sono occupati di
giornalismo, e vengono identificati principalmente quattro periodi: il primo è legato alle teorie
normative; nel secondo il processo di professionalizzazione del giornalismo va di pari passo con
una svolta sperimentale; Il terzo periodo, attorno agli anni ’70, è costituito dalla cosiddetta svolta
sociologica; infine al quarto periodo abbiamo la svolta comparativa globale.
L’ulteriore ondata di studi, che Domingo definisce come svolta socialcostruttivista, comprende il
porre l’attenzione sui processi più che sugli effetti dell’innovazione tecnologica.
Si possono riconoscere tre diversi oggetti di riflessione e ricerca:

- Il primo è costituito dalla nascita delle redazioni online, per lo studio delle quali erano
utilizzate inizialmente le stesse prospettive e gli stessi metodi applicati agli studi relativi alla
carta stampata;
- Un secondo oggetto di ricerca è stato il lettore nella sua veste di partecipante alla
produzione e alla distribuzione di contenuti informativi;
- Un terzo oggetto di ricerca è identificabile nelle forme di giornalismo orientate
quantitativamente. Questa è una fase che riguarda l’utilizzo di dati e di algoritmi per
selezionare, produrre e distribuire informazione. Rimanda inoltre a un altro orientamento,
che riguarda la pervasività dei dati in termini di indicizzazione e delle conseguenti pratiche
di search engine optimization, ossia le strategie di produzione attivate dalle redazioni per
raggiungere una maggiore visibilità attraverso i motori di ricerca.
2)Il giornalismo digitale: dove sono i taccuini?
Singer sosteneva che la sfida fondamentale che i giornalisti online pongono per i giornalisti
tradizionali non è rispetto ai soldi né alla stabilità del lavoro, ma che riguarda invece la
professione.
Gilbert analizzando i motivi per i quali i media esistenti sono aperti anche alla produzione di
informazione tramite rete, include la percezione di una minaccia che stava arrivando dall’esterno,
dovuta ai newcomers che avrebbero occupato il campo.
Se un giornalista non riesce a convincere il proprio direttore e i propri lettori che quello che ha fatto
è giornalismo, significa allora che è andato oltre i confini della cultura professionale. In relazione
alla partecipazione dei lettori o alla produzione di contenuti informativi da parte dei blogger è più
pressante la domanda relativa a chi sia il giornalista, nel confronto tra giornalismo tradizionale e
digitale la discussione sembra ancora più incentrata su cosa sia il giornalismo.

3)Le voci dei lettori


Prima ancora dell’attenzione ai social media intesi come Twitter e Facebook, molta ricerca è stata
dedicata al ruolo dei blog, che ora sono una forma di giornalismo non solo ampiamente
riconosciuta ma quasi totalmente legata alle testate più istituzionali. Domingo e Heinonen
affermavano che i blog dovessero essere considerati a tutti gli effetti come una nuova forma di
comunicazione delle news.
Un’ altro importante tema è quello relativo al cosidetto citizen journalism. Kus e colleghi lo
rappresentano come una piramide che ha tre differenti livelli:

- La base include le numerose iniziative portate avanti da persone che agiscono in modo
autonomo o sono organizzate in ristretti team con la finalità di produrre informazione su
contesti iperlocali o altamente specialistici;
- Il livello intermedio ha a che fare con un tipo di citizen journalism più complesso in termini di
strutture organizzative e processi di produzione;
- Al terzo e ultimo livello di questa piramide ci sono invece quelli che possono essere definiti
come veri e propri progetti di giornalismo partecipativo.
Domingo sosteneva che nel momento in cui i giornalisti cominciavano ad accorgersi della facilità
attraverso cui si poteva sollecitare e attivare la partecipazione dei media users, proprio il fatto che
tale partecipazione fosse così estranea rispetto ai principi della cultura giornalistica tradizionale
aveva come conseguenza il rifiuto da parte dei giornalisti di esplorarla e utilizzarla a fini
giornalistici. Qualche anno dopo, Graham e Wright hanno dimostrato invece come i commenti
online influenzino i giornalisti, sia in termini di raccolta di nuove fonti sia per quello che riguarda
l’arricchimento dei punti di vista.
Negli ultimi anni si sono irrobustite le posizioni di coloro che sostengono il frame dello pseudo-
power, quello che interpreta i livelli di interazione come conseguenza di una strategia di
rafforzamento del brando da parte delle organizzazioni dei media. I giornalisti non solo possono
utilizzare l’apporto del lettore come fonte, ma possono anche intercettare le reazioni di chi
consuma informazioni o riuscire a fiutare quello che è considerato di interesse pubblico.
Un gruppo di ricercatori sostengono come la tendenza al commento, o a quella che definiscono
come obiettività stenografa, dipenda dal contesto: in accordo alla situazione in cui sono coinvolti, i
giornalisti non solo utilizzano nuove strategie per produrre informazione, ma mettono in gioco la
loro reputazione e il loro posizionamento nel campo.

4)Il data turn: forme di giornalismo orientate ai numeri


Le radici del giornalismo dei dati si fanno risalire agli elementi del “giornalismo di precisione” per
come era stato introdotto da Meyer e al cosiddetto computerassisted reporting. Il giornalismo di
precisione amplificava e rafforzava quei valori professionali basati sull’obiettività, la facticity,
l’attinenza ai fatti.
Le forme giornalistiche contemporanee di utilizzo dei dati assumono caratteristiche tali da
distinguerle dal CAR: sono sfaccettate, difformi, discontinue nelle loro interpretazioni locali dovute
all’ibridazione di principi e valori giornalistici netti e ben definiti, si potrebbe dire globali pur
essendo consapevoli di tutti i limiti semantici di questo termine. Queste nuove forme comprendono
il reporting, l’analisi statistica, l’informatica e le visualizzazioni.
L’etichetta più utilizzata, quella di data journalism, indica una modalità di storytelling dove forme
tradizionali del valoro giornalistico sono mixate all’analisi dei dati, alla programmazione e a
tecniche di visualizzazione. Questo tipo di informazione si basa soprattutto su consistenti
database raccolti da istituzioni pubbliche.
Il computational journalism va oltre il semplice utilizzo dei dati, ma applica procedure informatiche
a tutte le fasi della produzione: dalla raccolta all’attribuzione di senso ai dati, fino ad arrivare alla
loro presentazione.
Algorithmic o robotic journalism implica la (semi-)automatizzazione della produzione di testi
giornalistici attraverso la selezione di dati elettronici da database pubblici o privati, l’assegnazione
di rilevanza a quei dati e la loro restituzione.
Di queste forme giornalistiche quantitative ci sono due aspetti che sono di grande interesse.
Innanzitutto, il fatto che si fondano su un bilanciamento di valori professionali tradizionali e
innovativi e il secondo aspetto sta nel fatto che si basano su concezioni dell’evidenza giornalistica,
cioè della sua epistemologia, diverse da quelle tradizionali.
5)Innovazioni e confini del campo in Italia
Per quanto riguarda il giornalismo mediterraneo, e in particolare quello italiano, le caratteristiche
ad esso attribuite sono quelle del parallelismo politico, della vicinanza e addirittura della simbiosi
tra giornalismo e politica: si tratta dunque di un giornalismo orientato al commento rispetto ai fatti,
che appare lontano da quei valori giornalistici tipicamente anglosassoni. Il giornalismo italiano è
espressione di una professione di èlite, molto vicina alle classi dirigenti; il contenuto che offre è
legato alla copertura di eventi che riguardano quelle stesse classi attraverso rappresentazioni
focalizzate su conflitti personalizzati e dichiarazioni politiche, facendo predominare la forma
narrativa delle news.
C’è un’altra caratteristica, ed è quella che il giornalismo è stato generalmente lento nell’adottare
nuove tecnologie. Le ha introdotte quando ormai avevano cessato di essere sublimi icone della
mitologia o minacce capaci di sconvolgere in maniera definitiva le gerarchie ed erano entrate nel
prosaico mondo della banalità.
Come scrivono Hallin e Mancini i grandi processi della commercializzazione del sistema dei media
o dell’evoluzione tecnologica possono essere considerati variabili endogene ed esogene del
cambiamento dei modelli di giornalismo esistente, nonostante la transizione al digitale sembri aver
modificato solo in maniera minima gli assetti del sistema italiano media.
In virtù di queste considerazioni, in Italia la questione su chi può considerarsi legittimamente
giornalistica, ma soprattutto sul modo in cui stanno cambiando i confini della professione, è ancora
più radicata internamente al campo. Il boundarywork non si è allargato ai prosumers o al
giornalismo partecipativo, ma è concentrato all’interno della comunità stessa dei giornalisti con la
tessera. È nelle pratiche della professione che si disputa il lavoro sui confini, sull’inclusione e sulla
definizione stessa delle professionalità. Non una professione che ha caratteristiche fisse e
immutabili, ma una semiprofessione i cui ambiti sono costantemente negoziati.
6)Le percezioni del cambiamento
Sorrentino, nel volume Attraverso la rete, accentua l’importanza della fine della deadline: se prima
i giornali erano confezionati con una scadenza precisa, nel web questo limite invalicabile non
esiste più.
Quando una redazione arriva a conoscenza di una certa notizia deve pubblicarla nel più breve
tempo possibile. Quel limite temporale invalicabile si scioglie in un flusso senza soluzione di
continuità che viene anche rivendicato, se si pensa alle diverse testate che online affiancano il loro
nome alla dicitura “24 ore su 24”. Usher definisce questo tipo di produzione come hamster
journalism, il giornalismo dei criceti, cioè di chi continua a macinare movimento in una ruota
irrefrenabile. Se infatti le scadenze diventano continue, quell’organizzazione mirata alla
confezione definitiva di un unico prodotto immobile deve essere riadattata.
Non è solo la fluidità temporale ad imporsi, ma anche la vertiginosa dilatazione dello spazio a
disposizione. Con il giornalismo digitale, si passa da uno spazio ristretto a quel numero di battute
che non doveva essere sforato alla potenzialità di uno spazio illimitato. E tutto questo inizialmente
ha significato non tanto ampliare la lunghezza dei testi, quanto corredarli di fotografie e di video.
Tutto questo ha a che fare solo con le affordances delle prime forme di giornalismo prodotto e
distribuito per la rete. L’avvento del cosiddetto “giornalismo 2.0” ha aperto nuove fessure e
abbattuto altri steccati. È il caso del rapporto sempre più stretto con i lettori che diventano
finanziatori e fonte di giornalismo. Questi nuovi ambiti di interazione hanno significato anche la
moltiplicazione degli ambienti in cui distribuire informazione. La notizia, infatti, deve
necessariamente rimbalzare attraverso i diversi canali disponibili: nei 140 caratteri di Twitter, in un
formato adeguato per Facebook e in tutte le altre piattaforme permesse dalla rete.
7)Professione giornalistica e boundary-work
Tunstall sosteneva che il giornalista professionista non altro che colui o colei che lavora in
redazione, distinguendo in tal modo e nettamente l’approccio normativo imposto alla professione
da quello che accade nel lavoro quotidiano. Tale presa di posizione è oggi decisamente poco
proponibile, non solo perché dentro le redazioni possiamo trovare figure che solamente poco
tempo fa nulla avevano a che fare con il giornalismo, ma anche perché molti giornalisti non sono
mai entrati in una redazione.
Secondo Waisbord la professionalità nel giornalismo deve essere vista con l’esterno i propri
confini, i suoi ambiti d’azione, i contesti in cui opera, rendendo allo stesso tempo legittimo il fatto di
essere titolato a produrre uno specifico tipo di conoscenza che identifichiamo generalmente con la
parola informazione. Professionalità significa dunque saper stabilire i confini per esercitare quello
che Waisbord definisce jurisdictional control, il controllo della competenza di una professione.
Gieryn, riferendosi al campo della scienza, definiva il boundary-work come l’attribuzione di
determinate caratteristiche alla istituzione della scienza che come obiettivo ha la costruzione
sociale di confini che distinguono alcune attività intellettuali come non-scienza. Basta sostituire il
termine giornalismo a scienza e troviamo analiticamente lo stesso processo facilmente applicabile
al campo dell’informazione. Secondo Gieryn, nel momento in cui questo lavoro sui confini di una
professione è più evidente e inteso, esistono tre possibili esiti: il primo è l’espulsione; il secondo è
l’espansione; terzo e ultimo è la protezione dell’autonomia.
Bourdieu afferma che nel campo c’è una competizione dove la posta in gioco è il potere di
trasformarlo, dunque di poterne definire i confini, i capitali e gli agenti, richiama indirettamente la
visione del boundary-work di Gieryn. Carlson sostiene che nel campo giornalistico questi esiti
possono avvenire in tre diversi ambiti: quello delle pratiche, quello dei partecipanti e quello della
professionalità.
8)La centralità e l’ambivalenza di Google
Google diventa a tutti gli effetti un attore centrale del campo dell’informazione e lo diventa su più
livelli. Ma c’è un altro livello, ancora più dirimente dal punto di vista degli assetti del campo:
Google, come attore che entra nel campo giornalistico con il suo enorme capitale economico,
diventa parte di quella che Abbott definirebbe struttura sociale della professione.
Come nota Lewis, in riferimento al ruolo della Knight Foundation (una fondazione non-profit che
supporta e promuove la qualità nel giornalismo e l’innovazione nei media, con cui non a caso
Google ha varie partnership proprio legate all’attribuzione di premi giornalistici) questi attori sono
in grado di alterare i confini retorici e materiali della competenza giornalistica. Nel caso della
Knight Foundation è stato uno sforzo costante di aprire il giornalismo verso un più ampio concetto
di informazione capace di coinvolgere nell’innovazione anche la periferia del campo, il citizen
journalism come la “saggezza delle folle”.
9)Processo, tecnologia e prodotto: il dove tutto cambia (e si normalizza)
Per quanto l’analisi delle corrispondenze indichi abbastanza nettamente i discorsi relativi ai
principali cambiamenti del giornalismo contemporaneo, per fare ulteriore chiarezza sono stati
individuati attraverso una cluster analysis cinque gruppi di discorsi omogenei:

- Il primo gruppo individuato è quello che ha a che fare con le differenze fra giornalismo
tradizionale e giornalismo digitale;
- Il secondo racchiude discorsi che parlano di transizioni già avvenute e che viene definito già
come ibridazione di diverse logiche professionali e organizzative;
- Il terzo è legato al dialogo continuo che la rete permette con i propri lettori;
- Gli ultimi due gruppi in particolare hanno a che fare rispettivamente con il ruolo della
tecnologia e con il prodotto inteso come incidenza delle attività del SEO.
Il giornalismo italiano è stato al riparo dalla stringente necessità di difendere i propri confini dalle
invasioni giunte nelle variegate forme del citizen journalism proprio perché difeso dai confini legali.
Per diverse ragioni, la necessità di distinguere il giornalismo tradizionale da quello digitale si è
protratta sicuramente di più rispetto a quanto è accaduto altrove.
10)Giornalismo ibrido: il cambiamento della logica professionale
Chadwick si sforza di superare le rigide dicotomie che contraddistinguono i contemporanei studi
sulla comunicazione, dicotomie che non supera del tutto. L’accento è posto sulla compresenza e
l’interconnessione tra le vecchie e le nuove forme di comunicazione. Quello che Chadwick
respinge è appunto che una sostituisca l’altra. Egli parte da una discussione della logica dei media
e dalla critica della tesi che questa logica sia la cifra per interpretare molte pratiche che
avvengono anche al di là dell’ambito di produzione dei contenuti dei media. Anche la logica dei
media infatti si mischia a sua volta, si ibridizza, cambia. Per quanto il concetto stesso di media
logica sia ambiguo e difficile da afferrare con chiarezza è indubbio che il giornalismo, come altre
professioni, sia contraddistinto almeno analiticamente da una logica precipua che lo definisce e
che a sua volta è da esso definita.
Il riferimento non è solo al processo di gatekeeping, alla selezione delle occorrenze rilevanti e
adatte ad essere trasformate in notizia, ma anche a tutte le analisi sulla conformità dei giornalisti
nei confronti delle linee editoriali, all’uso strategico dell’obiettività e infine a tutte le etnografie degli
anni 70/80 che hanno messo in evidenza la natura organizzativa, burocratica e professione della
news manufacture.
In questo processo di ibridazione non devono però essere considerati solo aspetti professionali e
organizzativi, perché la fluidità di questo processo si insinua su diversi livelli. Ha anche a che fare,
per esempio, con il mischiarsi del tempo libero con quello di lavoro, della vita privata con quella
professionale, come nel caso della gestione degli account di social media.
L’intreccio di logiche professionali, di rinnovati assetti organizzativi, di fluida interazione tra
ambienti prima separati, influenza inevitabilmente il modo in cui i giornalisti concepiscono la loro
autorevolezza e il loro essere legittimi depositari della conoscenza sugli eventi rilevanti da
trasmettere ai diversi pubblici.
11)Gli accessi e i limiti del giornalismo partecipativo
L’interazione tra giornalisti e lettori implica una variegata serie di attività. Il discorso sul citizen
journalism è poco ricorrente tra i giornalisti italiani e quello sulla produzione di informazione
attraverso i blog si mostra già superato o totalmente interiorizzato. L’apporto che i lettori danno
alla produzione di contenuti distribuiti attraverso la rete è stato considerato in modi differenti: come
in grado di creare una nuova cultura partecipativa o come semplice reazione amatoriale a un
contenuto originale e professionale, o addirittura come una forma di sfruttamento.
A livello istituzionale, l’Ordine dei giornalisti ha compiuto un passo importante introducendo due
riferimenti ai social media nel Testo unico dei doveri del giornalista. Il primo stabilisce che i principi
deontologici sono validi nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network; il
secondo riguarda il rapporto con le fonti che vanno sempre citate anche quando si usano materiali
delle agenzie, di altri mezzi di informazione o appunto dei social network. Per fare un esempio le
forme di personalizzazione della homepage, per quanto raramente riscontrate, oppure la scelta di
introdurre un flusso continuo di tweet nella prima pagina sono casi in cui i giornalisti demandano al
lettore l’autorialità sul contenuto prodotto.
Il confronto non è solo con il lettore. In questi casi è la costruzione stessa dell’informazione ad
essere collettiva. Come sostengono Domingo e Le Cam altri attori sociali al di fuori delle
organizzazioni giornalistiche istituzionalizzate sono altrettanto partecipi nella co-costruzione delle
notizie. Suggeriscono dunque di includere nel processo di produzione di informazione chiunque
condivida pubblicamente discorsi di interesse pubblico.
12)La tecnologia reinterpretata
Il mutamento tecnologico è un altro aspetto in cui si attiva il boundary-work, dove il cambiamento
dell’equipaggiamento tecnologico chiama in causa la raccolta, la composizione e la distribuzione
dell’informazione. Ipotetici cambi di era o di paradigma si risolvono in quella che Chadwick
definirebbe ibridazione diluita, intesa come l’adozione della tecnologia con valori e pratiche che
riecheggiano quelle passate.
È inevitabile il riferimento alla teoria dell’articolazione che pone l’accento sulla forza produttiva dei
discorsi, anche e soprattutto, quando si tratta di tecnologia. La tecnologia va dunque intesa come
un significato fissato socialmente e temporalmente e che come tale si adatta ai diversi contesti in
cui è inserita.
13)L’ubiquità dell’algoritmo
La tecnologia ovviamente non comprende solo gli oggetti legati alla quotidianità del lavoro, ma
anche l’attore sociale che c’è dietro. I giornalisti si riferiscono alle aziende
produttrici di tecnologia come attori immanenti che modificano sovente i meccanismi e il
funzionamento dei prodotti che mettono a disposizione. Il riferimento è soprattutto all’algoritmo che
sta dietro l’indicizzazione, come alla scelta dei post che un social media mostra ai suoi utenti.
Anche nelle redazioni italiane che producono informazione per un sito
l’indicizzazione è diventata un obbligo che ha implicazioni sia a livello discorsivo sia a livello
pratico.
Nel momento in cui ci occupiamo di indicizzazione e dell’influenza degli algoritmi che presiedono a
questo processo, comprendiamo di certo attori sociali e pratiche di lavoro, ma anche attanti
tecnologici e differenti tipi di audience.
Uno degli aspetti più dibattuti è il rapporto tra l’indicizzazione e selezione delle notizie. Secondo
Tandoc il monitoraggio dei risultati ottenuti dal sito e le pratiche attivate per migliorarli hanno
implicazioni su tutti i livelli di selezione delle notizie: sull’accesso delle occorrenze, la loro
selezione, il modo di scriverle, di distribuirle e infine di interpretarle.
14)Professionalità e notizia
Come nota Willig, i criteri di notiziabilità che accompagnano le scelte nel processo di gatekeeping
sono un esempio di doxa giornalistica, di quei criteri condivisi che trasformano un’occorrenza in
notizia. Se cambiano i confini nel campo, se cambia la percezione di ciò che è professionale nel
giornalismo, può mutare anche l’universo dei taciti presupposti.
Riprendendo gli esiti introdotti da Gieryn e Carlson, l’impressione è che si delinei la prospettiva
dell’espansione, dell’accoglienza nel campo di attori, pratiche e concezioni della professione che
prima non ne facevano parte e che ora assumono posizioni e interessano una fitta rete di relazioni
determinanti per la struttura del campo stesso.
Se saper scrivere un chiaro titolo di cronaca o un pezzo di contestualizzazione delle questioni
politiche rappresentava la base di partenza per chi ambiva a entrare in relazione prima della
rivoluzione digitale, oggi può essere utile tradurre la notizia in un post accattivante, essere in
grado di scrivere titoli, corredare l’articolo di link, scegliere le giuste parole chiave per migliorare
l’indicizzazione nei motori di ricerca.
Se il giornalismo italiano è stato sempre rappresentato per la sua vicinanza al potere politico,
l’importanza delle partiche del SEO fa capire che le pressioni economiche e il marketing appaiono
invece altrettanto determinanti.

15)Percezione del ruolo, ideologie e valori professionali. Oltre il modello normativo


Waisbord, chiarendo i confini semantici del termine professione legato al giornalismo, sottolinea
come nella maggior parte dei casi a quel termine sia associato un significato normativo
trasversalmente condiviso. Precisamente egli afferma che nel mondo anglosassone la professione
giornalistica è sostenuta da argomentazioni che determinano quali siano gli standard che essa
dovrebbe mantenere proprio per potersi definire tale.
La complessità del reale, le necessità pratiche e contingenti nelle scelte che quotidianamente i
giornalisti compiono, la chiarezza semantica degli stessi termini usati per descriverlo misurano
però la distanza tra il modello normativo e la realtà. Mc-Quail evidenzia quanto sia controverso il
concetto stesso di interesse pubblico. Non solo il significato di quell’attributo non è chiaro ma
essere all’altezza di quel preciso orizzonte normativo non significa necessariamente produrre un
giornalismo capace di essere davvero al servizio del pubblico. Glasser addirittura sosteneva che
quel tipo di professionalizzazione soffocasse la diversità che invece dovrebbe essere la linfa della
libertà di stampa.
Waisbord afferma che globalmente i giornalisti riconoscono un novero comune di norme
professionali che sono proprio espressione di quel modello, e spesso condividono anche molte
routine e molti problemi, ma quando si tratta di stili di produzione, di valori professionali, condizioni
di lavoro e visioni del giornalismo si riscontrano notevoli differenze. Come ben spiegano Hallin e
Mancini, la cultura giornalistica italiana è stata una delle più riottose ad assumere il modello
anglosassone. Non per questo però si deve ritenere che il giornalismo italiano, soprattutto
nell’attuale ecologia dei media, come caratterizzato da una bassa professionalità, come i due
studiosi affermano nel loro quadro sinottico che confronta e racchiude i diversi giornalismi
occidentali, e sui concordano molti altri autori.
16)Valori professionali, percezione del ruolo e stili di produzione
Professionalità, professionalizzazione, professione sono tutti termini con i quali il giornalismo non
è perfettamente a suo agio, se non all’accezione che ne descrive l’aspirazione all’eccellenza. Non
è a suo agio proprio perché in generale non esiste una strada prefissata per l’accesso né un
preciso e ben definito corpo di conoscenze da apprendere, non esistono modi per escludere chi si
comporta in maniera eterodossa.
La field theory spiega come coloro che attraverso traiettorie eterodosse riescono a trovare una
collocazione stabile nel campo ne modificano necessariamente gli assetti.
In seguito al cosiddetto “scandalo Lewinsky”, Williams e Delli Capirni parlarono del collasso della
funzione di gatekeeping da parte dei media tradizionali. Per gatekeeping si intende proprio il
processo di selezione, scrittura e posizionamento compiuto dai giornalisti rispetto alle notizie, o più
precisamente alle occorrenze che diventano successivamente notizie. Dato l’illimitato numero di
fonti capaci di offrire informazioni sulla politica, secondo Williams e Delli Carpini non esistevano
più cancelli attraverso cui le organizzazioni dei media mainstream potessero filtrare quelle fonti.
Broesma definisce lo stile come la scelta tra diversi equivalenti funzionali: se bisogna raccontare
un fatto lo si può fare in maniera pressochè analoga con diversi stili. Da questa premessa
individua due stili giornalistici. Il primo è quello orientato alla notizia, basato sui fatti, che Broesma
suddivide in quelli che definisce information e story model. L’information model è sostanzialmente
discorsivo e trasmette informazioni rispettando gli ideali di obiettività, equilibrio, correttezza e
neutralità; l’obiettivo è qui produrre informazione che possa servire ai cittadini per il buon
funzionamento della democrazia. Lo story model, invece, ha un carattere specificatamente
narrativo, che prova a creare storie che soddisfino il lettore anche dal punto di vista estetico. Il
secondo stile è invece più riflessivo, quello che ha come obiettivo educare, istruire e persuader il
proprio lettore, più orientato al commento e all’analisi.
Waver e Wilhoit rispetto alla percezione del proprio ruolo da parte dei giornalisti identificano tre
ruoli e sono: il ruolo del disseminatore (costruzione di informazione rispetto ai valori dell’obiettività
e dell’equidistanza, capacità di costruire agenda e giornalismo di qualità); quello dell’interprete
(basato sul principio della
contestualizzazione e della spiegazione degli avvenimenti); e infine quello avversario (il più attivo
e finalizzato a mettersi in competizione con chi ricopre ruoli di potere). Successivamente è anche
stato aggiunto quello del populist mobilizer, che rappresenta l’atteggiamento di coloro che
perseguono un ideale professionale più legate alle prospettive del cittadino e focalizzato sulle
informazioni utili per la vita quotidiana.
Donsbach identifica tre tradizioni nella professione giornalistica. La prima è quella che definisce
del servizio pubblico e che ricalca pienamente il modello normativo dominante, egli in questa
tradizione individua la necessità espressa dai giornalisti di raccontare eventi, seguire l’attualità,
distinguere i fatti. La seconda tradizione è quella soggettiva, in cui i giornalisti sono mossi dalla
volontà di esprimere la propria idea. Infine, la terza, è quella economica, dove il giornalismo è un
prodotto di consumo che deve produrre profitti.
17)Lo spazio valoriale del giornalismo italiano
Riguardo alla varietà di approcci valoriali che i giornalisti italiani applicano alla professione, furono
svolte delle interviste per mettere in relazione i valori richiamati dalle parole dei giornalisti (quali
velocity, verify, accuracy, balance, contextualisation) con le ideologie intese come sistema di
senso a cui erano collegate nei discorsi compiuti (quali adversarial, civic, watchdog). Si potrebbe
dire che l’analisi delle corrispondenze avvicina sfere di significato simili: quando si trovano nella
stessa area valori e/o ideologie significa che sono semanticamente congruenti. Questa
distribuzione è ricondotta alle tre tradizioni individuate da Donsbach del servizio pubblico,
soggettiva ed economica.
Nel quadrante centrale si evidenziano valori e ideologie che rinviano alla tradizione del servizio
pubblico: transparacy, reliability, accuracy, autonomy, che nei discorsi compiuti rimandavano a
ideologie come l’obiettività e la professionalità intese proprio come modello normativo
anglosassone ma anche il modello del giornalismo avversario, che tendenzialmente appartiene
alla tradizione soggettiva, è vicino alla tradizione del servizio pubblico.
Nel quadrante a sinistra è evidenziata la tradizione soggettiva caratterizzata dai valori della
contestualizzazione, della dichiarata importanza di saper raccontare le storie, o la costruzione di
senso, compresi nelle ideologie del giornalismo interpretativo o del giornalismo advocacy.
Rispettando l’impostazione di Donsbach, in fondo a destra si trova la tradizione economica, che si
adopera per la sostenibilità economica dell’impresa per cui il giornalista lavora. Questa tradizione
è rappresentata da valori come il
sensationalism, la brevity, il profit e da un’ideologia che richiama principalmente la necessità di
potare lettori ai propri siti e che vengono definiti come traffic.
Attorno si trova un ammasso meno distinguibile di valori e ideologie che appaiono strettamente
collegati a diversi cambiamenti avvenuti nel campo giornalistico. 18)Dove si insinua il modello
anglosassone in Italia
Pur nella consapevolezza della differenza tra la percezione del ruolo, assunta dalle retoriche
discorsive che i giornalisti utilizzano nel raccontarlo, e le performance, è indubbio che nei discorsi
analizzati si trovino tracce di quello che è stato definito il modello normativo del giornalismo. Nel
quadrante centrale sono identificabili valori quali: autonomy, accuracy, transparency, verify, truth,
reliability, selectivity, quest’ultima intesa come quel processo di gatekeeping che Williams e Dalli
Carpini intrepretavano non più territorio esclusivo dei media tradizionali, e che invece qui i
giornalisti reclamano ancora per la loro professione. Comporre l’agenda nel senso di determinare
quali sono le cose importanti e discernerle da quelle che non lo sono, è evidenziata come valore.
Sono poi presenti altre ideologie professionali, quali l’obiectivity, l’investigative e, meno
coerentemente, il cosiddetto modello adversarial.
Pienamente in linea con Donsbach viene individuata dunque la commistione tra quelle che sono le
due principali interpretazioni del modello angloamericano, l’obiettività e il servizio pubblico. Hallin e
Mancini sostenevano che il modello del giornalismo a cui appartiene l’Italia fosse decisamente
troppo distante dall’ultima tradizione appena individuata. Non è un caso che questo tipo di discorsi
e di ideologie appartengano principalmente a giornalisti che lavorano per la carta stampata.
alcuni intervistati ritengono che i contenuti diffusi da Twitter siano intrisi di propaganda; usando le
parole di un caporedattore di una prestigiosa testa, “lì non si trovano notizie per come le intendo
io”. Con adversarial journalism si intende uno stile combattivo e in opposizione che appunto rigetta
l’imparzialità in favore della presa di posizione, anche mischiano opinioni e fatti. Questa
collocazione all’interno della tradizione del servizio pubblico si spiega in quanto il giornalismo
avversario è generalmente guidato da valori come verifica e verità. Infatti i giornalisti che
apertamente dichiarano di seguirlo tratteggiano questo orientamento ideologico rifacendosi proprio
ai valori professionali più saldi. Spesso questo atteggiamento avversario è volto a smontare la
propaganda attuata da chi detiene il potere e utilizza anche i social media per rafforzarlo dal punto
di vista comunicativo.
Per quanto queste retoriche siano più diffuse tra i giornalisti della carta stampata, bisogna notare
che, in particolare per quello che riguarda l’agenda, sono abbracciate anche da chi produce
informazione in via prevalente sui siti Internet. E il cambiamento della professione riguarda
ovviamente anche quello della percezione del lavoro effettuato dal mezzo di riferimento. La
relazione tra percezione del ruolo, cambiamento dei confini professionali e cambiamento delle
funzioni attribuite a determinati mezzi di comunicazione è osmotica.
19)La tradizione soggettiva: tra interpretazione, advocacy e narrazione
La tradizione soggettiva è quella a cui il giornalismo italiano è generalmente riportato: se esiste un
modello prevalente del fare giornalismo in Italia, qui trova la sua collocazione. L’analisi effettuata
su questa tradizione ne contraddistingue quattro valori. Contestualizzazione e produzione di senso
sono i due più peculiari a questa tradizione e, effettivamente, molti giornalisti intervistati paiono
condividerli indipendentemente dal mezzo per il quale lavorano. Gli altri due valori evidenziati
nell’analisi sono quello che si è chiamato come nose, nel senso di fiuto, della capacità di
discernere la notizia, e quello del parallelismo. In questo secondo caso non si trova di un valore
quanto di un disvalore. I giornalisti hanno infatti richiamato spesso questi meccanismi, ovviamente
stigmatizzandoli.
Per quello che concerne invece le percezioni preponderanti del ruolo che i giornalisti assumono in
questa tradizione, si è evidenziato quelle che con Hanitzsch sono state chiamate advocacy e
interpretative journalism. Il primo termine indica un’ideologia professionale che si identifica proprio
nell’uso di tecniche per promuovere specifiche cause politiche o sociali. Il termine è significativo
proprio in opposizione al giornalismo obiettivo, ed è tipicamente legato al giornalismo europeo,
dove per lungo tempo i giornali si sono identificati apertamente in determinate posizioni politiche.
Infatti l’advocacy è sovente riportata al parallelismo tra partiti e politica. Il giornalismo
interpretativo, invece, mira a persuadere il lettore su determinate letture delle occorrenze e,
ancora più dell’advocacy, appare strettamente legato alle ricorrenti ricostruzioni sullo stile
giornalistico italiano.
I giornalisti che conferiscono valore alla narrazione considerano la produzione di informazione
anche come un modo per raccontare storie che sappiano intrattenere: non si è troppo distanti da
quello che Broesma definisce come story model.
20)Il giornalismo che crea profitti (o comunque ci prova)
Come si vede nelle analisi relative al sistema dei media italiano, storicamente una delle questioni
che più lo ha reso fragile è stata l’assenza di “editori puri”, che significa che i giornali, in
particolare, hanno generalmente avuto come proprietari imprenditori con interessi economici che
andavano al di là dell’editoria. Se da una parte ciò ha significato il consolidamento di una stampa
che ha subito pressioni di vario tipo, dall’altra parte quella stessa stampa ha potuto godere di una
sorta di condono dall’impellenza delle questioni economiche, considerato che gli editori
utilizzavano a loro volta il giornale come strumento di pressione sull’opinione pubblica e non come
un modo per fare profitti.
Nel quadro identificato come approccio economico, l’unica ideologia professionale evidenziata è
quella definita semplicemente come profit. Questa è caratterizzata da valori quali sensationalism,
breviy, traffic. Nella più ampia analisi effettuata sugli stralci di intervista, questo approccio è
puntellato anche da valori quali velocity, multimediality e interactivity. In questo insieme si possono
dunque riconoscere due aree, una mirata a contenuti leggeri e un’altra più peculiare alla rete, che
rientra nella questione più volte evocata legata al SEO.
Gli intrecci e i segni di ibridazione professionale sono invece più evidenti nel momento in cui i
giornalisti si riferiscono a tutte le pratiche relative al SEO. In questi casi emerge nettamente il
precipitato del fluido e indistinguibile intreccio di differenti logiche professionali. La forza di questa
ibridazione si afferma proprio perché avviene su più livelli. Innanzitutto un livello che ha a che fare
con le pratiche legate agli stili produttivi.
Scrivere per il web significa adottare nell’ambito di produzione della notizia tutte quelle accortezze
che hanno a che fare con il miglioramento del suo posizionamento nei motori di ricerca. È
un’ibridazione intesa, nei termini di Chadwick, come commistione di logiche professionali
differenti. Una commistione tale che, analizzando gli orientamenti adottati e le restituzioni
discorsive, è praticamente impossibile distinguere le due logiche che la sovraintendono.
Se c’è un livello di ibridazione legato meramente alle pratiche e alla concreta produzione di news,
ce ne sono altri che contemplano tutta una serie di attività apparentemente non attinenti all’attività
del campo, ma che un giornalista fa proprie durante la sua quotidianità lavorativa. Queste logiche
provengono da campi estranei ma sono adottate perché reputate capaci di migliorare il prodotto
giornalistico non solo in termini di profitto.
Il terzo livello di ibridazione è proprio quello organizzativo, che anche quando ha l’effetto di
compartimentalizzare e specializzare determinate pratiche dimostra che esse sono
giornalisticamente rilevanti. Un conto è che un giornalista conosca e applichi le regole SEO, un
conto che nelle redazioni siano introdotte delle figure, generalmente inquadrate come giornalisti,
che svolgono quelle funzioni. A quel punto l’apertura dei confini professionali del campo è ancora
più evidente.

21)It was next (l’unicorno esiste)


Sono vari gli orientamenti del giornalismo italiano come il civic, il watchdog o il giornalismo di
precisione. Il giornalismo di precisione fa riferimento soprattutto ai discorsi compiuti da quella
schiera di giornalisti dei dati intervistati durante gli anni e che, come valori professionali,
richiamano la factivity, la credibility ma anche l’essere collaborative.
L’open journalism, come spiega Porlezza, è da intendersi come un nuovo concetto di giornalismo
basato sull’apertura della redazione al pubblico e sulla collaborazione con lo stesso. Questo
concetto è introdotto come un giornalismo interconnesso alla sovrabbondanza di informazioni che
esiste nella contemporaneità digitale. Nell’analisi delle interviste effettuate, l’orientamento
dell’open journalism ha valori professionali che lo contraddistinguono come l’interactivity,
participation, innovation e multimediality. Ciò significa che un numero crescente di giornalisti ha
fatto riferimento ai possibili livelli di interazione con il pubblico, non solo nella chiave del profitto,
ma anche per aprire un dialogo, per migliorare la propria produzione, per raccogliere prospettive
differenti. Concettualmente questo approccio rimanda al movimento open source che è
eminentemente informatico.
La collaborazione tra programmatori e giornalisti è un fenomeno che ha a che fare
prevalentemente con le forme di giornalismo dei dati; allo stesso tempo, però, quell’ethos
finalizzato alla collaborazione e alla partecipazione si è insinuato anche nella produzione
giornalistica.
Le evidenti tracce di questa ibridazione tra ethos della collaborazione e logica giornalistica
ovviamente non possono far altro che aprire i confini del campo e della professione. Nel confronto
con quanto detto rispetto alla tradizione del giornalismo politico e dei suoi “millecinquecento
lettori”, l’ottica si modifica in maniera decisa. Per esempio, il concetto espresso in uno stralcio di
intervista si ritrova spesso, in particolare, nella combinazione di giornali puramente digitali e che
coprono circoscritti informativi.
Il complessivo sistema di valori che compone l’open journalism è assunto dai giornalisti come già
ibridato; quando i giornalisti adottano questo orientamento ideologico professionale lo fanno
guidati da orizzonti valoriali che appartenevano ad altri campi, ma che, in virtù del mutamento
dell’ecologia dei media, si adeguano perfettamente al campo giornalistico.
C’è un secondo orientamento diverso da quello dell’open journalism, ma con il quale condivide la
natura che, con una prima spigolatura retorica, si definisce ibridazione incorporata. Per forme di
normalizzazione si intendono i modi con cui i giornalisti introducono nelle loro attività quotidiane i
nuovi media riconducendoli a pratiche consolidate. Per forme di ibridazione si intende
l’interdipendenza tra vecchie e nuove logiche dei media che si dispiegano nei valori professionali,
ma che possono instaurarsi anche a livello organizzativo, nei comportamenti, nei generi e nelle
diverse forme di tecnologia.
Queste forme di ibridazione non sono semplicemente la normalità, ma appaiono precedere
qualsivoglia forma di competizione e incontro tra logiche differenti. Hermida e Young, parlando di
giornalismo dei dati e delle competenze che lo creano, discutono di livelli di ibridazione in quanto
cercano quella figura professionale capace di avere abilità informatiche e fiuto giornalistico. L’open
journalism e la forma che si definisce come medium oriented journalism sono degli unicorni, sono
cioè un intreccio di diversi valori che impossibile distinguerli.
La natura già intrinsecamente ibrida di questo orientamento la si evince dai valori professionali che
la circondano, come velocity, accountability, novelty, fluidity. Questo orientamento è
contraddistinto da un adattamento irriflessivo e incorporato alle affordances del mezzo per cui si
producono informazioni. E’ proprio per questo motivo che la velocità è uno dei valori professionali
prevalenti, perché il suo rispetto è dato per scontato.
Esiste di certo la consapevolezza diffusa e condivida anche irriflessivamente che la velocità aiuta
l’indicizzazione, allo stesso tempo però, i giornalisti appaiono essersi totalmente adeguati a quelle
che reputano le caratteristiche del mezzo. Questo senso comune, questa doxa, diventa patrimonio
valoriale anche di coloro che stanno
fuori dallo specifico contesto dell’informazione digitale. Se la velocità è indubbiamente il valore che
più contraddistingue questo approccio alla professione, quel meccanismo opera anche per la
necessità e la cogenza del confronto con il lettore o la possibilità di utilizzare diversi linguaggi e
stili produttivi per raccontare una notizia.
Il risultato è un approccio professionale che spinge a modificare scelte e stili produttivi in base alle
caratteristiche del mezzo che, allo stesso tempo, varia e si modifica costantemente, seguendo
logiche estranee a quelle del giornalismo. Il giornalismo a sua volta si rimodula a quei
cambiamenti introducendoli e facendoli propri, determinando l’assenza di una precisa linea di
confine tra gli e gli altri.
22)L’ibridazione riflessiva come momento di transizione
Sono diversi gli aspetti da sottolineare in un’interpretazione ulteriore rispetto ai modi in cui i
giornalisti italiani hanno reso conto della loro professione. Quella che pare più evidente è che il
giornalismo italiano dimostra vivacità e conserva in nuce o esprime con evidenza una varietà di
approcci alla professione: dal rispetto al tanto discusso atteggiamento obiettivo, passando per il
rafforzamento di orientamenti advocacy, di partigianeria, fino ad arrivare a rinforzare
l’orientamento alla sostenibilità economica o quello all’apertura al dialogo anche con attori
completamente esterni al campo. Questa varietà di approcci intreccia una doppia particolarità: 1)
tali approcci sono distinguibili solo analiticamente ma, in realtà, sono intessuti nell’intelaiatura del
sistema dei media, se non nel singolo giornalista; 2) per quanto sia certo che molti di questi
orientamenti fossero già presenti, si sono accentuati o sono totalmente emersi nel continuo
percorso di digitalizzazione dei contenuti informativi.
Il cambiamento dell’ecologia dei media non ha significato infatti solo introdurre nuovi orientamenti
alla professione, ma ne ha fatti emergere, rinforzandoli, altri pre-esistenti. Il riferimento
interpretativo che legittima questa riflessione non può che essere a The Internet Galaxy di
Castells: si fanno propri e si riadattano orientamenti professionali al di fuori del contesto locale in
virtù del confronto inevitabile e continuo con la <<galassia Internet>>.
Il processo di adozione di orientamenti che apparivano estranei alle tradizioni del giornalismo
italiano non dipende solo dalla frammentazione e dalla molteplicità degli usi degli strumenti
esistenti, ma anche dall’identificazione di un novero di attori ben precisi con cui tutti devono
comunque confrontarsi. In questa dialettica tra apertura e chiusura, esclusività e accessibilità, ci
aiuta molto l’interpretazione di McNair che parla appunto di “caos culturale”, inteso come la
convivenza di una molteplicità di stimoli derivati anche dal confronto con attori globali e
ingombranti quali Google, Facebook, Twitter e spinte locali e di innovazione che si insinuano tra i
principali player. Tutti questi attori invadono il campo con criteri e regole propri, con cui il
giornalismo deve necessariamente relazionarsi.
In generale, l’impressione è che le pratiche abbiano subito un processo di cambiamento molto più
evidente di quanto non emerga dalle interviste. È la stessa convergenza dei media che porta a
modificare ambiti di competenze e, contemporaneamente, a incrementare il numero di linguaggi
attraverso cui il giornalista deve parlare. Se Schudson già sosteneva che un giornalista è in sé un
poliglotta che deve adattarsi ai diversi registri comunicativi, in questo contesto di linguaggi sono
molteplici a seconda dei diversi media, ambiti, progetti, organizzazioni in cui si produce e si
distribuisce informazione.
Il quadro restituito dai valori professionali in cui i giornalisti italiani si riconoscono è tutt’altro che
organico. Emerge che le tradizioni più radicate, quella soggettiva oltre a quella del servizio
pubblico, sono state in grado di fornire delle versioni normalizzate in cui i cambiamenti sono stati
introdotti in sistemi di senso consolidati. Ce ne sono altre che invece segnano il passo della
novità, che si introducono con logiche professionali già riconfigurate.
Ibridazione riflessiva intesa come consapevolezza dell’intreccio di pratiche, di logiche differenti, di
valori e di orientamenti professionali. In questi casi, dunque, non si può parlare di
normalizzazione, ma di transizione consapevolmente ibrida.
23)Come (di)mostrare quello che accade
Ovviamente, una professione non esiste solo in virtù dei suoi valori, ma anche rispetto alle
pratiche di coloro che la esercitano.
Per epistemologia si intendono le regole, le routine e le procedure istituzionalizzate seguite, in un
determinato contesto sociale, per produrre conoscenza. La questione epistemologica include
inoltre i modi in cui gli stessi giornalisti rafforzano la legittimità di quella conoscenza così prodotta.
Il giornalismo è uno trai prodotti culturali più influenti, considerato che produce rappresentazioni
della realtà che hanno un’enorme penetrazione nell’immaginario e nel bagaglio di competenze di
ciascuno di noi. Inoltre, i modi in cui il giornalismo costruisce la realtà, i modelli che utilizza,
influenzano anche la politica e l’economia. È importante perché <<non determina solo quale
informazione è presentata al pubblico, ma anche quale immagine della società è presentata>>.
La verità è, a tutti gli effetti, un valore professionale che i giornalisti seguono nel quotidiano
compimento delle scelte professionali. Questa affermazione, però, non ci dice nulla sui criteri
attraverso cui questo discernimento avviene. Intercettarli è decisivo proprio perché la
legittimazione attribuibile al giornalismo, ovvero la credibilità che questo può avere nel dichiarare il
proprio ambito di competenza, la propria jurisdiction, è intimamente legata alle rivendicazioni che il
giornalista compie rispetto alla veridicità della conoscenza che produce.
Ekström distingue tre livelli su cui la questione epistemologica si dispiega. Il primo riguarda le
forme di conoscenza che il giornalismo produce. Il secondo livello ha a che fare con la produzione,
con le pratiche e le routine utilizzate, le relazioni intessute e con le modalità in cui i giornalisti
decidono cosa sia vero e autorevole tanto da trasformarlo in notizia. Il terzo livello è quello relativo
all’accettazione da parte dei pubblici delle rivendicazioni sulla legittimità della conoscenza
prodotta.
Hanitzsch afferma che la componente epistemologica deve essere classificata rispetto a due
ambiti. Il primo è quello che riconduce all’oggettività. In questo senso, egli intende la distinzione
tra la percezione dell’esistenza di una realtà oggettiva e la concezione della realtà come
ricostruzione in senso procedurale. Chi va oltre la prospettiva costruttivista considera che le
convinzioni dei giornalisti siano basate su eventi esterni esistenti e con cui interagiscono, non le
considerano dunque semplicemente come immagini idealizzate della realtà costruite
proceduralmente. Schudson disse che i giornalisti non creano uragani o tornado, elezioni o
omicidi, ma che semplicemente danno loro forma, ma non possono attribuire arbitrariamente una
forma a loro scelta.
Hanitzsch definisce poi il secondo ambito che caratterizza l’epistemologia come empirismo,
riferendosi ai modi in cui i giornalisti giustificano la veridicità delle loro affermazioni. Ci sono
giornalisti che privilegiano l’osservazione diretta, le testimonianze o altri tipi di misurazioni e che
sono convinti che la verità debba essere sostanziata dai fatti, dall’altro lato ci sono invece modi
per accentuare una giustificazione analitica della verità, ricostruita anche attraverso idee, opinioni,
valori, ragionamento.
Il tipo di fonti che i giornalisti utilizzano sarà determinante per comprendere in quale spettro si
collocano. I sistemi di valori riconosciuti e che sono legati anche alla procedura di selezione e uso
delle fonti, fanno immaginare che nello spettro delle attività dei giornalisti italiano non esistano
solo coloro che orientano il racconto delle occorrenze tramite il ragionamento e le opinioni, ma che
ci sia spazio anche per procedure più legate ai fatti e all’osservazione.
24)Chi ha diritto d’accesso ai media
Il tema delle fonti è probabilmente uno dei più dibattuti all’interno dei journalism studies e ha
assunto ancora maggior rilievo durante il processo di digitalizzazione. La
contemporanea frammentazione dei media permette infatti un flusso di comunicazione
decisamente più complesso rispetto al passato.
La relazione tra giornalisti e fonti è generalmente interpretata come uno scontro di potere per
riuscire ad esercitare influenza nei confronti dell’opinione pubblica. Questa relazione è dunque
basata su una marcata competizione. Per alcuni autori in questa relazione sono proprio le fonti a
prevalere, per altri è invece più frequente un rapporto negoziato ed equilibrato in cui i benefici
sono generalmente reciproci: la fonte ottiene copertura e il giornalista porta a casa il lavoro.
Nella valutazione delle fonti utilizzate dai giornalisti la distinzione più ricorrente separa le fonti
istituzionali da quelle non istituzionali o alternative. Le prime sono legate alle principali istituzioni
sociali, politiche ed economiche. I membri dell’elite hanno accesso ai media. Le fonti alternative
invece sono quelle che normalmente non possiedono autorevolezza per coinvolgere l’attenzione
die media e hanno ancora meno chance di esercitare un’influenza rispetto al dibattito e alle
politiche pubbliche.
Per molti autori, proprio la frammetarietà e la ricchezza dei flussi di comunicazione, la velocità che
impongono, contribuiscono al rafforzamento delle fonti istituzionali. I giornalisti dipendono ancor
più intensamente dal materiale prodotto e distribuito dagli uffici delle pubbliche relazione e dagli
spin doctor.
Studiare il rapporto tra fonti e giornalisti significa approfondire due declinazioni analiticamente
distinte del potere. Innanzitutto una relazione di potere effimera, ma determinante, che ha a che
fare con la formazione dell’agenda: stabilire ciò che è importante sapere. Si parte perciò dal
presupposto che i giornalisti nel loro lavoro quotidiano abbiano il potere di decidere cosa sia
importante che i lettori sappiano. Non compiono questa scelta in modo autonomo, ma
relazionandosi alle fonti, sottostando a un’organizzazione, subendo la linea editoriale o pressioni
esterne.
La seconda declinazione del significato di potere ha sempre a che fare con il lavoro quotidiano
delle imprese che, ripetuto nel tempo, non solo crea agenda, ma rinsalda posizioni di potere, crea
significati duraturi, frame, stereotipi, visioni del mondo.
Hall e colleghi sostenevano che i media non costruissero in modo autonomo le notizie, ma che
piuttosto fossero forzati verso temi specifici proprio da quelle fonti che ritenevano attendibili.
Identificavano quelle fonti come “definitori primari”, a confronto dei news media che invece non
possono che ricoprire un ruolo secondario. Le fonti istituzionali non erano cioè i concreti produttori
di senso rispetto a quella realtà epistemica a cui il lettore conferisce una “patina di verità”.
25)L’uso delle fonti e la ricostruzione di una presunta realtà
Le fonti identificate dai giornalisti sono appunto: le relazioni pubbliche; i social; il “rumore” e che
interpreta il riferimento ai social “per capire gli umori”; i colleghi; ancora i media; i blog; l’agenda; i
contatti; l’agenzia; e infine i siti. Le tre fonti che invece si staccano discorsivamente sono i dati, il
traffico e infine il lettore che rappresenta una macrocategoria sovente evocata.
Nel complesso appare che c’è un gruppo ratificato di fonti ritenute affidabili e sulle quali i giornalisti
contribuiscono abitudinariamente parte della loro produzione. Seguendo le categorie introdotte da
Hanitzsch, questo gruppo di fonti dispone i giornalisti italiani decisamente verso un approccio
procedurale alla realtà, che può essere solo “ricostruita” giornalisticamente. I giornalisti si affidano
principalmente a fonti indirette, che a loro volta propongono interpretazioni degli accadimenti del
reale, che i giornalisti analizzano e ricostruiscono in una notizia coerente. Ciò appare evidente nel
momento in cui si parla di fonti quali relazioni pubbliche, media, contatti personali, agenzie e siti.
Se il giornalista reputa notiziabile il comunicato stampa allora lo trasforma in notizia. Dunque, per
quanto riguarda la dimensione dell’oggettività il giornalista non fa altro che compiere una
mediazione di una mediazione; invece è più problematico collocare con precisione gli
atteggiamenti dei giornalisti dal punto di vista della seconda dimensione, quella che riguarda il
modo in cui viene legittimata la validità della notizia.
Al di là delle valutazioni rispetto alle conseguenze che i social media possano avere nei confronti
della politica o delle politiche pubbliche, è interessante che il giornalista concepisce il contenuto
prodotto attraverso il social media come una realtà oggettiva. Insomma, quello che è raro poter
riscontrare nel giornalismo avviene invece attraverso i social.
La questione relativa al lettore è invece decisamente meno influente dal punto di vista dei
meccanismi attraverso i quali i giornalisti concepiscono gli accadimenti e forniscono prove per le
loro ricostruzioni. I lettori sono tout court un’ulteriore fonte, sia pure indiretta, che fornisce
ricostruzioni, anche se reputata meno attendibile di altre e da verificare con maggiore attenzione.
L’ultimo tipo di fonte ha a che fare con le pratiche relative al miglioramento dell’indicizzazione.
Queste pratiche sono da considerare come una selezione di determinati temi in base ai dati di
lettura, includendo in essa anche l’importanza di seguire i trend di Twitter o Google al fine di
ricostruire risposte a quello che le persone cercano in rete. Per quanto articoli così prodotti siano
spesso giustificati principalmente dall’ideologia professionale del profitto, mostrano anche una
differenziazione nella concezione dell’informazione come servizio, come soddisfacimento delle
esigenze cognitive del lettore, di categorizzazione e di guida.
Zelizer sosteneva che tra gli strumenti interpretativi attraverso cui si valuta il giornalismo
bisognerebbe andare oltre la questione della democrazia.
26)La cornice delle fonti: istituzionali vs alternative
I contatti dei giornalisti, i colleghi, gli altri media e le agenzie di stampa sono tutte fonti che hanno
un bassissimo livello di oggettività, che restituiscono
rappresentazioni degli eventi che poi gli stessi giornalisti racconteranno nelle news prodotte;
questo gruppo di fonti ha inoltre un basso livello di empirismo, cioè i giornalisti per accreditare le
loro ricostruzioni non portano come prove documenti o dati ma semplicemente rimandano a quella
fonte e alla sua autorevolezza.
Il fatto che sia una netta prevalenza delle fonti istituzionali è probabilmente riconducibile alla
difficoltà, anche in un momento di transizione, ad andare oltre alle visioni sedimentate non tanto
della professione, quanto del prodotto offerto. Non stupisce che anche i social medi asiano da
considerare una fonte istituzionale, per il fatto che, in prevalenza, i giornalisti monitorano gli
account ufficiali di coloro che rispettano il criterio di notiziabilità relativo al grado e al livello
gerarchico della persona coinvolta.
In questo caso, la particolarità dell’uso dei social media sta nel fatto che hanno un alto livello di
empirismo e oggettività. Empirismo perché semplicemente il tweet viene “embeddato”, cioè
variamente inserito nel pezzo di informazione, e costituisce l’evidenza fattuale di quello che il
giornalista scrive. Ha anche però un alto livello di oggettività perché in quel caso non c’è bisogno
di una ricostruzione aggiuntiva né di interrogarsi rispetto alla realtà di quell’evento. Quel tweet
esiste, il giornalista può mostrarlo anche visivamente e su quello può ricostruire la sua news.
Detto questo però ci sono altri due tipi di fonte nella produzione contemporanea di informazione
che rimangono equidistanti e non hanno una evidente connotazione
nella dicotomia tra fonti istituzionali e alternative. Ci stiamo riferendo principalmente ai dati e al
lettore.
Il giornalismo dei dati è una delle forme più innovative offerte dal contemporaneo panorama
giornalistico. La forza innovativa sta però soprattutto nella parte di analisi e restituzione del pezzo
di informazione, in quanto le fonti sono generalmente istituzionali. I database più interessanti su
cui lavorare sono infatti prodotti dalle pubbliche amministrazioni. Dai resoconti fatti dai giornalisti è
evidente la differenziazione tra chi rafforza la propria identità professionale precisamente nell’uso
di fonti alternative e chi invece trova debole il ricorso a quel tipo fonti.
Il lettore è esattamente una di quelle fonti alternative a cui i giornalisti tentano di restituire
un’identità professionale diversa, rispetto ai competitori, quanto ai ruoli tradizionalmente attribuiti
al giornalismo.
Nei molti contesti in cui il ruolo del lettore come fonte è stato evocato, si palesava la necessità che
egli fosse in grado di fornire evidenze rispetto alle ricostruzioni o ai suggerimenti che proponeva.
Questo spiega perché le testate sollecitino l’invio di possibili foto o altro tipo di materiale relativo
ad eventi notiziabili. Le puntuali richieste di questo materiale sono dovute anche alla possibilità di
raccogliere evidenze senza spese aggiuntive, per quanto dentro le redazioni si debba comunque
effettuare un lavoro di raccolta, selezione, verifica che è tutt’altro che poco dispendioso; e inoltre
ciò coinvolge pratiche e atteggiamenti professionali differenti rispetto a quelli tradizionali.
27)I fattori epistemici e la questione della post-verità
Il termine post-truth fu la parola del 2016, perché denota circostanze in cui i fatti oggettivi sono
meno influenti per formare l’opinione pubblica rispetto alle emozioni e ai convincimenti personali.
Il contesto contemporaneo, da un lato, aumenta la pressione dei cosiddetti stakeholders
dell’informazione, degli stessi giornalisti e degli studiosi affinchè siano più trasparenti le modalità
attraverso cui il giornalismo fornisce evidenze per legittimare la propria informazione; dall’altro
lato, cresce anche la circolazione di notizie non verificate o totalmente false, che possono avere
influenza sui modi in cui chi le fruisce costruisce rappresentazioni della realtà. I meccanismi
attraverso cui i giornalisti restituiscono le evidenze delle proprie ricostruzioni rappresentano
dunque un ulteriore contesto di conflitto in cui di disputa il boundary-work.
I fattori tecnologici appaiono sovente i più incisivi nel riposizionamento di alcuni giornalisti. Come
sostiene Bucher i software diventano uno strumento epistemico capace di fare capire non
semplicemente le performance degli stessi giornalisti e i comportamenti del lettore, ma anche le
aspettative che esistono a livello manageriale su ciò che costituisce un buon lavoro di produzione
dell’informazione.
La tecnologia, in senso lato, permette con più facilità di produrre evidenze rispetto a determinate
ricostruzioni di news e allora il giornalista privilegia la selezione di fonti che lo consentono invece
di indagare ambiti che sono più complicati da legittimare epistemicamente.
28)Conclusioni: i confini ridefiniti della professione giornalistica italiana
McNair sostiene che il cinema racconta i giornalisti come eroi o malvagi, impavidi cani da guardia
oppure docili figure al soldo del padrone. In quel tipo di rappresentazioni, individuare quale sia il
buon giornalismo e quale no, quale sia la più alta espressione della professionalità e quale è
piuttosto facile. Nel mondo reale, nello stato di crisi economica e di opportunità in cui il giornalismo
versa, nel suo necessario e continuo cambiamento, nella nascita di imprese editoriali nuove, di
sperimentazioni di contenuto di linguaggio compiute dalle redazioni giornalistiche più consolidate,
incarnare quelle rappresentazioni così nette e ben definite è pressochè impossibile.
La situazione si complica ulteriormente considerando che, come sostiene Freidson, nella nostra
contemporaneità è il concetto stesso di professionalizzazione a essere sotto attacco.
Peters e Broesma affermano la necessità di ricalibrare il ruolo sociale e la rilevanza del
giornalismo, di trovare una giustificazione differente che legittimi la sua esistenza.
In un momento in cui il giornalismo è in crisi e sta cambiando, alla domanda sul perché le scienze
sociali se ne debbano occupare non si può rispondere solo perché favorisce la democrazia, è
necessario trovare altre risposte. E per trovarle si suggerisce di cambiare le lenti attraverso cui
osservarlo.
Nella nostra contemporaneità il giornalismo italiano si legittima attraverso una ricchezza di valori e
di orientamenti ideologici prima ignorati. Il termine valori si riferisce alle direzioni e ai modi talvolta
contingenti di interpretare la propria attività giornalistica.
Il boundary-work ha avuto come esito talvolta la protezione dell’autonomia professionale, che però
ha significato il rafforzamento di valori che in realtà erano più tipici di altri modelli giornalistici; altre
volte l’apertura e l’inclusione di valori totalmente estranei alla professione.
Nel cambiamento del sistema dei media, nell’innovazione tecnologica, nella crisi economica
dell’editoria, i giornalisti italiani hanno saputo adattare il proprio capitale giornalistico, lo hanno
cambiato, modificato e arricchito a seconda delle posizioni che si sono trovati via via a ricoprire.
Questo significa non tanto che tutti i giornalisti possano diventare programmatori o cimentarsi nel
giornalismo dei dati senza un’adeguata preparazione, ma significa che uno stesso giornalista sia
in grado di lavorare per una redazione che
contemporaneamente produce notizie online e fa della velocità il suo presupposto, elaborando
lunghi articoli di contestualizzazione e adottando contemporaneamente gli orientamenti
professionali più consoni.
Nonostante l’intensificazione dei flussi comunicativi, le fonti istituzionali appaiono ancora quelle
dominanti e in molti casi più agevoli da utilizzare.
Le culture giornalistiche si manifestano sia nei modi in cui i giornalisti si riflettono sul loro lavoro sia
nei modi in cui agiscono. Weaver sostiene che esistono differenze sostanziali tra le culture
giornalistiche nazionali. A partire dal 2000 le condizioni sono però drasticamente cambiate.
Questo cambiamento è avvenuto in virtù dell’intensificazione dei flussi comunicativi globali che
hanno traiettorie indecifrabili o da imprese tecnologiche, ma che in altri casi possono essere
anche il risultato di intuizioni economicamente e politicamente più stabili.
Seguendo il ragionamento di Hanitzsch, le ideologie professionali devono essere considerate
come la cristalizzazione della varietà di valori, orientamenti e predisposizioni che articolano una
cultura professionale dominante o di valori contro-egemonici. La cultura giornalistica deve essere
dunque interpretata come l’arena nella quale le diverse ideologie professionali competono
istituzionalmente e simbolicamente per imporre l’interpretazione dominante dell’identità e della
funzione sociale del giornalismo.
Cinque punti possiamo prendere in considerazione rispetto alla cultura giornalistica italiana:

1. I giornalisti hanno a disposizione modelli diversi e ben identificati per avvicinarsi alla
professione in termini di valori professionali e approcci epistemologici;

2. I giornalisti possono adottare fluidamente quei modelli a seconda delle circostanze e delle
condizioni di lavoro;

3. Alcuni di questi modelli si formano in tempi molto rapidi;

4. Le combinazioni delle argomentazioni discorsive che li legittimano hanno vari e diversificati


appigli a cui sostenersi;

5. Non esiste più un’ideologia professionale dominante. In altri termini, i giornalisti italiani
condividono molti taciti presupposti, ma spesso motivano il loro lavoro attraverso una
diversa illusio, ossia hanno ragioni differenti per impegnarsi nella produzione
dell’informazione.
La legittimazione della professione giornalistica italiana potrebbe risiedere proprio nella possibilità
di esercitarla con orientamenti professionali differenti e in conflitto. Invece, la difficoltà di
rivendicare e di vedere riconosciuta, la competenza professionale sta proprio nella settorialità
delle rivendicazioni e nell’apparente inconciliabilità dei diversi orientamenti.
Come dice Abbott una definizione seppur ampia di professionalizzazione necessita anche di un
livello di deferenza sociale. Insomma, al di là della coerenza o incoerenza, compattezza o
disgregazione delle valutazioni interne al campo, rimangono questioni legate ai modi in cui la
società stessa accoglie quelle rivendicazioni.
Il giornalismo italiano ha dichiarato (talvolta fieramente, talaltra in maniera riluttante) la sua
vicinanza a poteri politici ed economici, altre volte se ne è manifestamente allontanato o ha fatto
una bandiera della sua indipendenza.
Se nel secolo scorso la perdita di legittimità e di credibilità nei confronti del pubblico era dovuta
alla vicinanza del giornalismo al potere, è probabile che adesso la stessa cosa dipenda proprio da
quella varietà di stili e valori che il giornalismo italiano esprime. Insomma, se all’interno degli studi
del giornalismo ci si interroga se ha ancora senso legittimare il ruolo del giornalismo rispetto alla
democrazia e non bisogna invece trovare altre spiegazioni, è giusto che tali domande se le ponga
anche il lettore, senza darsi risposte adeguate e magari protestando per l’ennesima fotogallery
inframezzata da pubblicità.
È chiaro che il giornalismo italiano non può fare altro che riflettersi nei modi in cui la società
italiana sta cambiando: ciò che questa ritiene accettabile e rilevante si trasforma in stili di
produzione delle news.
Il giornalismo è un prodotto culturale estremamente complesso, soprattutto nella nostra
contemporaneità. Per informarsi in modo adeguato, oggi è spesso necessario impiegare tempo: è
lecito quindi che il pubblico possa avere delle pretese, è giusto che pretenda precisione, onestà,
accuratezza, trasparenza, ma l’uso di scorciatoie risulta generalmente fastidioso. Il suggerimento
per il lettore è di saper cogliere quello che di buono già c’è: quindi ricchezza di informazioni, punti
di vista, orientamenti, stili. Basta prendersi cura dell’offerta, spendere un po’ di tempo, fatica,
eventualmente anche denaro, per capire di chi potersi fidare.

STUDIARE IL GIORNALISMO. AMBITI, LOGICHE E ATTORI


29) Studiare da giornalista o studiare il giornalismo?
Per studiare il giornalismo e capire cosa voglia dire fare il giornalista è utile vedere come Pierre
Bourdieu intendeva il concetto di “campo”: mutuando il concetto dalla fisica, egli vedeva le società
come divise in “campi” – della politica, del potere, intellettuale – che tra di loro si influenzavano,
venivano influenzate dai propri membri, e influenzavano quest’ultimi. Allora anche il giornalismo
può essere inteso come un “campo”.
Secondo l’approccio costruttivista i fatti NON parlano da soli. Ogni evento viene assunto da una
determinata prospettiva, da un punto di vista che è socialmente costruito e che produce il modo in
cui tali fatti vengono raccontati. «Il giornalista non si limita ai fatti, ma delimita i fatti».
Il giornalismo attinge i suoi dati dalla sfera pubblica.
La sfera pubblica è il luogo astratto dove non si prendono decisioni, ma si articolano i problemi
collettivi, il giudizio sull’operato degli organi politici rappresentativi.
Nel mondo moderno, secondo Thompson, la sfera pubblica appare come 1) aperta, in quanto i
fruitori reinterpretano continuamente i contenuti della produzione mediatica, 2) non dialogica,
perché non più necessariamente basata sul dialogo diretto, e 3) non localizzata, dal momento che
non necessita di un luogo fisico in cui gli interlocutori si incontrano.
La sfera pubblica di oggi è densa, popolata da una gran pluralità di attori sociali (Sorrentino).
30)La selezione come principale fattore della comunicazione
La caratteristica principale del giornalismo è l’attività di selezione di quanto si ritiene rilevante di
ciò che accade nella realtà.
Come nella comunicazione interpersonale, quando si comunica si tiene sempre conto
dell’argomento che si vuol trattare, dell’interlocutore a cui ci si riferisce e del contesto in cui ci
troviamo sono le tre fasi della selezione. In qualsiasi atto comunicativo, inoltre, l’oggetto del
comunicare è legato a chi comunica (emittente), a un dove (contesto) e a un destinatario
(ricevente).
Secondo Goffman l’atto comunicativo è un processo di negoziazione tra emittente e ricevente
all’interno di un contesto.
Ogni atto comunicativo deve rientrare in un formato: «le norme e le procedure per definire,
riconoscere, selezionare, organizzare e presentare l’informazione come la notizia» (Altheide)
Per rientrare nel formato è necessario operare una gerarchizzazione delle notizie a disposizione, e
infine una presentazione dei contenuti.

31) Il giornalismo come ricostruzione della realtà


Ogni atto comunicativo nel descrivere la realtà la ricostruisce. E allo stesso modo in cui nella
comunicazione interpersonale si seleziona, gerarchizza e presenta le notizie, così avviene nel
giornalismo. Queste azioni sono quelle che ricostruiscono la realtà. Per questo motivo si parla, in
giornalismo, di distorsione delle notizie.
Essa può essere di due modi: intenzionale, cioè distorsione volontaria dei fatti per il
raggiungimento di uno scopo preciso, e involontaria, che a sua volta si divide in strutturale, che
avviene a causa di fattori quali i vincoli organizzativi o le possibilità tecniche, e quella che Entman
definisce produttiva perché basata su vincoli di mercato e di interessi del pubblico.

32) La negoziazione giornalistica


Schudson afferma che il giornalismo non è pura informazione, ma è invece messa in forma delle
informazioni.
Serve come rappresentazione sociale, cioè prodotto di un’attività mentale tramite la quale un
individuo o un gruppo ricostruisce il mondo e gli attribuisce un significato. Il giornalismo, quindi, è
un processo che si compone nel tempo sulla base della negoziazione fra i vari membri della
società: produttori di eventi (fonti), mediatori (operatori della comunicazione) e fruitori degli stessi
(pubblico).
In tal modo si costruisce un nuovo ambiente cognitivo dove gli individui possono incontrarsi e
riconoscersi, come se i media giornalistici fossero una piazza. Il giornalismo fornisce infatti quelle
cornici interpretative e quegli strumenti di cui le persone hanno bisogno per conoscere il mondo
(funzione orientativa).
33)Il giornalismo come prodotto culturale
La funzione orientativa del giornalismo avviene attraverso 3 termini:

• Condivisione: la stampa fornisce potenzialmente a tutti gli individui di un contesto sociale le


stesse informazioni; perciò il giornalismo viene usato dalle persone nelle loro relazioni sociali a
seconda dei loro interessi.

• Ricorrenza: partendo dal formato della comunicazione giornalistica, gli individui possono
recepire la rilevanza di un argomento (visto che, non avendo molto spazio/tempo, si decide di
parlare di quel fatto) dalla ricorrenza con cui esso viene trattato. Spesso vincolo e risorsa è il
formato che viene usato.

• Rilevanza: i media giornalistici permettono di capire cosa è ritenuto rilevante in un


determinato periodo storico (ad esempio nel XXII secolo le notizie riguardanti il mondo islamico
sono molto cresciute).
34) Media e sfera pubblica
Per “sfera pubblica” si intende quel fenomeno cognitivo che mette in moto «processi di riflessione
che consentano di farsi un’opinione su un problema» (Privitera).
Il termine «pubblico» non si riferisce all’area amministrativa dello Stato, bensì ad un pubblico
come potrebbe essere quello di un teatro. La sfera pubblica presenta una dimensione
specificamente relazionale. Essa è sia uno spazio astratto di discorsi e idee che uno spazio fisico,
che può essere una piazza o un caffè letterario.
La sfera pubblica è oggi diversa da quella che era un tempo, soprattutto a causa degli sviluppi
tecnologici e mediali.
Thompson individua tre caratteristiche base della sfera pubblica mediatizzata:

• È non localizzata, poiché non necessita più esclusivamente dello spazio fisico;
• È non dialogica, poiché, non essendo più necessaria la compresenza, spesso si instaura un
dialogo indiretto fra gli attori attribuibile alla percezione che gli uni si fanno degli altri

• È aperta, poiché i contenuti possono modificarsi e reinterpretarsi senza il controllo dei produttori;
Importante diventa il concetto di appropriazione perché il processo di acquisizione delle
informazioni è attivo e dipende anche dal contesto storico-sociale.
Con la sfera pubblica moderna si è superata la concezione razionalistica della sfera pubblica,
teorizzata da Habermas.
I due aspetti fondamentali di questo approccio erano: la concezione pedagogica delle relazioni
sociali e la visione trasmissiva dell’atto comunicativo, inteso come vettore unidirezionale.
Storia della sfera pubblica= La grande varietà di materiale stampato che circolava fin dal
Cinquecento è il primo segno di sfera pubblica. Da allora la stampa ha avuto per tanto tempo un
ruolo egemone nella costruzione del pensiero. La stampa quotidiana ha trasformato la sfera
pubblica da temporanea a permanente (Schudson), dal momento che grazie alla sua ciclicità i
cittadini potevano seguire le vicende politiche. Già nel Cinquecento sono stati visti i prodromi della
comunicazione a due stadi (two-step flow communication), concetto con il quale si descrive il
meccanismo secondo il quale un numero ristretto di cittadini più colti narrano e veicolano ai
cittadini meno colti le informazioni, con l’influenza che ne consegue.
35) Dalla trasmissione alla condivisione
Il giornalismo è un’istituzione, intesa come spazio sociale organizzato in cui si addensano
pratiche di sense-making (De Leonardis).
I media sono una nuova piazza che risponde all’ambivalente esigenza di individualizzazione e di
condivisione dei cittadini.
Nello studio dei media è stato evidenziato un importante cambio di paradigma, da quello
trasmissivo a quello della condivisione. Il primo considera soprattutto la posizione dell’emittente,
che colpisce i destinatari attraverso
strategie persuasive. Secondo il paradigma della trasmissione la comunicazione è «un processo di
trasmissione di messaggi a distanza a fine di controllo. L’esempio archetipico è quindi la
persuasione» (Carey, 1988). Il secondo, detto anche paradigma rituale, si basa sulla capacità di
creare sintonia comunicativa fra emittente e ricevente. Per il paradigma della condivisione «la
comunicazione è un processo simbolico grazie al quale la realtà viene costruita, conservata,
restaurata e trasformata» (Carey).
Nel mondo moderno viene meno quello che Habermas definiva come rapporto tra centro (dove si
prendono le decisioni) e periferia, che cerca di influenzarlo, dal momento che i media, essendo
luogo d’interconnessione, modificano questa gerarchia.
36) L’accelerazione dell’immagine
Il più ricco patrimonio simbolico offerto dai media contribuisce «a rompere il legame tra posizione
fisica e “posizione” sociale» (Meyrowitz).
Hannerz ripartisce le dimensioni della cultura in:

1. Idee e modi di pensiero


2. Forme di esternazione
3. Distribuzione sociale, cioè il modo in cui i primi due punti si diffondono nelle relazioni sociali
Accettando questa tripartizione, si capisce come i media abbiano creato nuovi modi di fare
esperienza e nuovi modi di pensare attraverso la moltiplicazione dei simboli e dei punti di vista.
Questa moltiplicazione delle possibilità d’interpretazione della realtà agisce sulla strutturazione
dell’opinione pubblica, allargando l’ambito del dicibile e dell’osservabile.
Appadurai distingue tra fantasia ed immaginazione. La prima è irraggiungibile, tende più ad essere
un’illusione. La seconda invece, è una sorta di «palestra per l’azione», un campo organizzato di
pratiche sociali.
37) Il giornalismo come costruzione di fiducia
Lo sviluppo dei nuovi canali di informazione ha ampliato enormemente lo spazio discorsivo della
società. Questo ampliamento ha caratterizzato quello che Jenkins ha chiamato “consumo
partecipativo”, secondo il quale cresce molto il regno della conversazione, del detto e del saputo.
Con i media, l’intensificazione quantitativa e la formalizzazione dei processi d’interazione
producono un allargamento dello spazio dialogico.
Visto questo allargamento, bisogna imparare a riporre fiducia in quelli che Giddens chiama sistemi
esperti: «Sistemi di realizzazione tecnica o di competenza professionale che organizzano ampie
aree negli ambienti materiali e sociali nei quali viviamo». Allora dobbiamo fidarci anche del
giornalismo, essendo anch’esso un sistema esperto, basato sulla costruzione di tipizzazioni
condivise e accettate.
“Routinizzazione dell’imprevisto” (Tunstall, 1977): procedura attraverso cui continuità e
riconoscibilità dell’azione quotidiana sono scandite dal ritmo delle pubblicazioni giornalistiche.
La quotidiana “messa in ordine” del mondo ci rassicura sul costante permanere di abitudini che
regolano la vita sociale.
Per questo, citando Dahlgren (1988): «l’informazione, nel senso tradizionale del contenuto fattuale
che promuove la conoscenza del mondo esterno, può difficilmente essere considerata come il
principale beneficio che si ricava dalle notizie».
Il giornalismo, dal canto suo, è portato a dimostrare la sua credibilità attraverso i processi di
selezione, gerarchizzazione e presentazione delle notizie.
38) Il campo giornalistico
Il sociologo francese Bourdieu ha utilizzato il concetto di campo per studiare il giornalismo. Per
Bourdieu il campo è uno strumento euristico che serve per descrivere realtà fluide e si definisce
razionalmente sulla composizione di interessi specifici e poste in gioco definite dagli attori del
campo. La società è, perciò divisa in campi specifici.
Così esiste il campo giornalistico, che è il luogo di una logica specifica che sottopone
continuamente i giornalisti alla prova dei verdetti del mercato. Anche Bechelloni, per primo in
Italia, ha iniziato a parlare di campo giornalistico, che viene a costituirsi «quando l’attività
specializzata di produrre informazione d’attualità diventa sensibile e rilevante per intere comunità
nazionali».
Quella del giornalista resta una professione “fluida” come la ha definita Ruellan. Lo stesso
Bourdieu ha sottolineato come il successo commerciale del giornalismo negli ultimi decenni infici
l’autonomia del campo, che rischia di diventare esclusivamente market-driven journalism
perdendo, così, la funzione di watchdog.

Il giornalismo deve differenziarsi dagli altri campi.


Hallin e Mancini individuano tre modelli principali di sistema dei media nel mondo:
• Il modello pluralista-polarizzato, sviluppato soprattutto nei paesi dell’Europa mediterranea,
caratterizzato dalla forte contiguità con la politica e da uno stile narrativo di derivazione letteraria;

• Il modello democratico-corporativo, in cui l’alto grado di parallelismo politico ha convissuto


con elevati livelli di diffusione e con una forte professionalizzazione giornalistica dotata di una
discreta autonomia dagli altri poteri.

• Il modello liberale, prevalente nella cultura americana, dove una precoce affermazione della
stampa commerciale a circolazione di massa ha fortemente ridefinito forme e missioni del
giornalismo, nonché il confronto con gli altri poteri.
Il tema dell’obiettività del giornalismo è un tema molto dibattuto perché spesso molti giornali e
giornalisti si sono nascosti dietro questo schermo quando in realtà, come abbiamo detto, essi non
si limitano ai fatti ma li delimitano, per cui hanno sempre responsabilità per ciò che dicono. Da una
parte aumentano le risorse economiche destinate ai media, dall’altra parte c’è bisogno di sempre
più denaro e competenze per competere nel settore, visto che la concorrenza cresce sempre di
più.
39) L’articolazione del campo giornalistico
Per Grossi i media attivano tre specifiche competenze specifiche nel processo di costruzione e
attivazione delle dinamiche d’opinione: 1) attirano l’attenzione su determinati temi e eventi 2)
interpretano climi e umori dell’opinione pubblica 3) modificano la realtà attraverso un processo di
ricostruzione e mediazione simbolica.
Nell’era moderna è avvenuta quella che è stata definita evoluzione delle fonti informative, per cui,
se una volta i giornalisti dovevano “battere la strada” per trovare le notizie, oggi la loro funzione
principale è quella di gatekeeping, di selezione delle notizie. Nascono perciò gli spin doctor, cioè
coloro che “massaggiano il messaggio”, che, facente parte delle agenzie stampa, impacchettano
la notizia per i giornalisti. La funzione dei giornalisti è selezionare le notizie che ritengono più
rilevanti, e decidere in che cornice interpretativa inserirli (quindi, per esempio, la criminalità può
essere vista come un problema economico, socio-culturale o d’ordine pubblico).
Visto il grande spazio sociale che il giornalismo deve rappresentare, diventa inevitabile la finitezza
dello sguardo giornalistico che deve, per forza di cose, raccontare solo una parte della realtà.
Secondo Eisenstein la moltiplicazione dei media è stata forse la più grande trasformazione non
avvertita dell’umanità. Questa moltiplicazione ha avuto effetti sul giornalismo. In primis sui giornali,
che si sono dovuti adattare ai nuovi media puntando molto di più sulla tematizzazione, cioè
sull’argomentazione e approfondimento dei fatti più che sulla presentazione delle notizie.
Anche la stessa televisione ha visto crescere, oltre ai tg, quei programmi di approfondimento che
hanno formule narrative spesso diverse tra loro. Per quanto riguarda i generi giornalistici, sempre
più negli ultimi anni è avvenuta l’ibridazione tra formule espressive tra di loro molto differenti; è
questo il caso dell’infotainment, dalla fusione tra information e entertainment, oppure del
docudrama, nel quale l’approccio realistico del documentario è innervato delle tecniche narrative
della fiction.
Negli ultimi anni questa tendenza alla contaminazione ha trovato la sua esaltazione nella reality
television, dove si assottigliano tanti confini, tra cui quelli tra fiction e realtà. Ovviamente anche i
modi in cui vengono ricevuti i messaggi cambiano e si ampliano fortemente.
40) Verso il dispositivo comunicativo
Per descrivere il campo giornalistico si può pensare alla metafora della rete da pesca, la quale
deve essere usata in uno spazio che sia il più delimitato possibile; così deve fare il giornalismo.
Pierre Lévy prima, con il suo La macchina universo e Manuel Castells (Età dell’informazione) poi,
hanno visto, però, nelle innovazioni tecnologiche (soprattutto per l’approdo al digitale) la fine del
concetto di campo bourdiano. I nuovi media costruiscono delle comunità (che Lévy chiama
collettivi), è evidente quindi che in campo giornalistico non hanno più esclusiva influenza gli attori
della comunicazione, ma anche le tecniche e tutto ciò che influisce l’azione umana. Considerato il
limite descrittivo di non comprendere la tecnologia, il concetto di campo può essere allora
sostituito da quello di ecosistema
comunicativo, che riprende ciò che in biologia si intende per ecosistema, cioè “unità ecologica
fondamentale composta dagli organismi viventi di una determinata area e dall’ambiente fisico”.
Così il giornalismo si iscriverebbe all’interno dell’ecosistema comunicativo. Il limite di questa
definizione è quello di essere troppo legata alla dimensione naturalistica, non tenendo conto di
quella che è l’azione dell’uomo all’interno dei processi comunicativi.
Si può allora guardare al concetto inserito da Foucalt di dispositivo comunicativo. Un dispositivo è
in sé stesso una rete che si stabilisce tra tutti gli elementi che costituiscono un luogo predefinito;
nel nostro caso il giornalismo.
41) Le trasformazioni dei modelli giornalistici: il caso italiano.
In Italia la tardiva alfabetizzazione di massa e il lento sviluppo del mercato pubblicitario hanno
bandito ogni possibilità di diffusione della stampa popolare a distribuzione di massa. Perciò in
Italia non si è avuta la normale distinzione tra stampa popolare e stampa di qualità.
Ne è conseguito un modello unico elitario dal quale si è costruito un giornalismo ibrido
(Bechelloni), in cui notizie “popolari” e giornalismo culturale vengono fondendosi.
A proposito di giornalismo culturale, è un fenomeno tutto italiano quello della terza pagina,
normalmente dedicata alla cultura. Visto che la maggior parte dei quotidiani nati nel periodo
dell’Unità d’Italia sono ancora attivi, è databile con quegli anni la nascita del giornalismo moderno
italiano.
42) La nascita del giornalismo moderno in Italia
La proliferazione di testate che avvenne in Italia negli anni del Risorgimento fu perlopiù opera di
notabili che volevano acquisire seguito a livello locale.
L’analfabetizzazione era ancora molto alta, il che riduceva drasticamente i potenziali lettori. Con
l’Unità d’Italia e il progressivo sviluppo economico crebbe l’alfabetizzazione, e i giornali
aumentarono così il numero di pagine, con i conseguenti mutamenti anche nei contenuti, oltre a
dotarsi di macchinari più efficienti. Nacque la figura del cronista, che aveva un linguaggio più
scarno e semplice rispetto ai giornalisti classici.
La modernità fu un processo che in Italia si svolse lentamente e soprattutto dal punto di vista
industriale, più che culturale. Così il giornalismo veniva visto esclusivamente con funzione
pedagogica, senza peraltro avere possibilità di staccarsi dal mondo della politica.
Non si sviluppò con la funzione di watchdog, come invece accadde in molti paesi europei, bensì
con la funzione di “forgiare” gli individui.

43) L’avvento del fascismo


Durante il fascismo il rapporto stampa-politica si rafforzò molto, perché Mussolini, che del settore
aveva a lungo fatto parte, vide nei quotidiani una possibilità di servirsene per acquisire
benevolenza. I principali editori supportarono il fascismo, così da non inimicarsi il potere e poter
continuare a vendere senza problemi. La riduzione dei quotidiani dal ’26 e del ’33 dovuta alla
fascistizzazione del settore, portò anche alla razionalizzazione dello stesso, mettendo a tacere le
testate anticonformiste.
Con l’ammodernamento dei sistemi di spostamento e di tiratura dei giornali la stampa italiana si
avvicina formalmente a quella europea.
Aumentano le vendite e, vista la censura applicata su politica e cronaca, i giornali si interessano
sempre di più agli sport e agli spettacoli. Durante il fascismo viene accentrata ancora di più la
funzione pedagogica del giornalismo che, parole di Mussolini: «Fatto l’impero, deve fare gli
imperialisti».

44) Educazione, partecipazione e mercato


Con l’avvento della democrazia e l’ammodernamento dello Stato Italiano, non è corrisposto un
livello di diffusione ampio della carta stampata. Questo in primis perché il processo di
alfabetizzazione è stato molto lento, e poi anche per la nascita del primo vero mezzo di
comunicazione di massa, la televisione.
La nascita e la crescita della tv non hanno cambiato il panorama dell’informazione giornalistica
italiana, soprattutto perché, vista la funzione di servizio pubblico del mezzo, il controllo della
politica era ancora più stretto.
Le tre principali caratteristiche del giornalismo italiano si possono riassumere in: formazione,
partecipazione e mercato.
Le tre fasi principali del giornalismo italiano, invece, sono state quella iniziale della logica
formativa, seguita negli anni ’70 da un ideale partecipativo e negli ultimi tre decenni trasformatasi
in centralità del mercato.
Anche la nascita e lo sviluppo del fenomeno televisivo mantiene sempre la funzione primaria
pedagogica. La politica capisce subito l’importanza del mezzo e se ne appropria già dal 1961,
ponendo a capo della Rai Ettore Bernabei, esponente democristiano molto importante che resterà
in carica fino al 1975.
Il modello pedagogico comincia ad entrare in crisi dopo i moti del ’68.
L’avvento della televisione privata, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, porta la crisi della funzione
pedagogica, a favore di una funzione partecipativa dell’informazione, puntando alla crescita
democratica anche attraverso l’utilizzo del mezzo televisivo.
Il termine che diventa centrale in questi anni per i media italiani è quello di pluralismo, poiché,
dopo anni di grande appiattimento governativo, si vuole sancire la libertà d’espressione. In questo
clima si inserisce la prima vera legge di riforma della Rai, datata 1975, nella quale viene
specificato il passaggio del controllo dell’ente dal Governo al Parlamento. Così si voleva anche
inserire all’interno del mercato dei media l’attenzione per la dimensione locale, che è poi il motivo
della nascita e dello sviluppo delle televisioni private.
Un ambito che la tv pubblica ha sempre sottovalutato è stato quello della pubblicità, che
costituisce il grande vantaggio che le reti Fininvest acquisiscono grazie ad una concessionaria di
pubblicità di proprietà: Publitalia ‘80. L’impero di Berlusconi riesce a fatturare nel giro di pochi anni
da 12 miliardi nel 1980 a 880 nel 1984.
Si crea così il duopolio Rai-Fininvest, che sfrutta il vuoto legislativo lasciato dalla politica, che era
al corrente della situazione ma preferiva rimanere in questo stato così da poter controllare sia il
servizio pubblico che quello privato, potendo minacciare le reti private di fare leggi contro di esse.
Nel 1990 questo vuoto legislativo viene riempito con la legge Mammì, che modifica sia il sistema
radio-televisivo che quello giornalistico, sancendo la regolarità delle reti Fininvest e introducendo il
termine pluralismo al centro della gestione della Rai.
45) L’importanza della testata
La maggiore concorrenza implica delle politiche per l’affermazione della marca della produzione
giornalistica, cioè la testata in cui l’informazione è collocata.
Ogni testata costruisce col proprio pubblico un processo di fidelizzazione. Suddetto patto fiduciario
avviene secondo due criteri principali che indirizzano le scelte dei cittadini, i “criteri di
posizionamento”:

• Un criterio territoriale: la scelta di consumo cade sulle testate in grado di fornire


un’informazione esaustiva e dettagliata sui luoghi nei quali abita il ricevente;

• Un criterio politico-ideologico: per cui si predilige la testata che ha una visione politica e/o
partitica vicina a quella del destinatario.
Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 ci sono tre eventi nel mondo dei media italiani che cambiano
radicalmente il panorama dei patti fiduciari tra testate e individui:

1. La nascita del quotidiano “La Repubblica” Nel 1976 Eugenio Scalfari, fondatore del
quotidiano, individua una classe sociale che, a suo avviso, non è rappresentata nel panorama
mediale italiano, quella dei post-sessantottini, che racconti le esperienze dei movimenti
studenteschi, femministi e sindacali; l’idea che però ha reso La Repubblica così popolare è stata
l’intuizione che ebbe il suo fondatore. Egli, infatti, pensò il quotidiano come un “secondo organo di
informazione”, come giornale acquistato oltre a quello di dimensione più locale. Avendo questo
indirizzo, il quotidiano si rivolgeva più verso gli approfondimenti che verso le notizie. La
Repubblica diventa così un secondo quotidiano, ma non rispetto al giornale locale, come era stato
pensato, bensì rispetto ai nuovi mezzi d’informazione (tv e nuovi media) che la modernizzazione
ha portato con sé. Ciò ha conferito al quotidiano di Scalfari un vantaggio posizionale che è stato
mantenuto a lungo;

2. Il successo della televisione commerciale, rappresentata soprattutto dall’affermazione del


Gruppo Fininvest Berlusconi, dopo aver acquistato diverse tv locali e aver creato Canale 5,
acquista da due dei principali gruppi editoriali del paese Rete4 e Italia1; la tv privata può
trasmettere telegiornali soltanto dal 1990, sfruttando fin da subito, però, la palude nella quale
l’informazione pubblica ristagnava. I telegiornali dei tre canali cercano allora di indirizzarsi verso
target specifici, facendo sì che Tg5 offrisse un’informazione generalista, che Tg4, condotto da
Emilio Fede, si rivolgesse ad un pubblico prevalentemente femminile, e che Italia1 fornisse
un’informazione, più difficile da fare, tesa ad accattivare il pubblico dei giovani. Nel complesso,
l’informazione televisiva privata influenza l’intera informazione televisiva con: un taglio più
cronachistico, più soggetti rappresentati, una crescita dei formati che si occupano di informazione
e la nascita di forme narrative miste;

3. Le testate provinciali L’alto costo che stampare quotidiani aveva sempre avuto limitava la
produzione giornalistica locale. Ma con l’avvento delle nuove tecnologie, e la drastica riduzione
dei costi di fare giornalismo, fioriscono tutte quelle testate che si rivolgono alla singola provincia,
contribuendo così all’arricchimento del panorama informativo italiano e destinando grande e
maggiore attenzione alla cronaca locale.
46) Il giornalismo verso il futuro
I cambiamenti emersi nel giornalismo degli anni ’70 rispondono a quattro differenti esigenze
sociali:
-l’ampliamento del numero di soggetti sociali portatori di specifiche istanze;
- la crescita delle agenzie di socializzazione che orientano i ruoli sociali e quindi i comportamenti e
gli atteggiamenti degli individui;

- il pluralismo politico e culturale prodotto da questa più fitta interazione di temi, soggetti e
istituzioni;

- l’evoluzione nelle forme di consumo.


In questo modo i media acquisiscono maggiore centralità sociale nella costruzione dell’opinione
pubblica.
Negli ultimi anni sono nati anche i nuovi media, che cambieranno il futuro del giornalismo.
47) Organizzare le notizie e riempire gli spazi
Vista la grande mole di lavoro che ogni giorno i giornalisti devono affrontare, si sono sviluppate
delle convenzioni che rendono più semplice l’attività di selezione e la reperibilità delle
informazioni.
La prima convenzione risponde ad un’esigenza di messa in ordine delle informazioni, la seconda
contribuisce a stabilire la rilevanza della notizia: quanto più spazio le si riserva tanta più
importanza le si vuol dare.
Le notizie sono divise in macro argomenti proprio per rispondere a queste esigenze. Il peso che si
da ad un argomento rispetto ad un altro dipende dalla readership, cioè dal pubblico di riferimento
della testata; così un quotidiano locale darà maggiore risalto alla cronaca dell’hinterland e un
quotidiano d’opinione all’informazione dall’estero.
L’insieme di fogli che ogni mattina i giornalisti dei quotidiani si trovano davanti sono le pagine del
giornale da riempire, con già inserite le pubblicità. Questo insieme di fogli viene chiamato, in
gergo, il “timone”, che i giornalisti devono riuscire a riempire.
Decidere di quali argomenti parlare definisce l’impaginazione del quotidiano, che serve a rendere
agevole la ricerca delle notizie al lettore e ad esplicitare il punto di vista del quotidiano, la
cosiddetta “linea editoriale”.
48) L’organizzazione redazionale
Un esempio di organigramma tipo di una redazione giornalistica è: direttore – condirettore –
vicedirettore – caporedattori – capiservizio – redattori ordinari.
La raccolta di informazioni= La parte iniziale del lavoro giornalistico consiste nell’attività di
selezione delle notizie. I quotidiani pubblicano al massimo il 10-20% delle informazioni che hanno.
Le informazioni vengono ottenute o attraverso altre agenzie di informazione, oppure attraverso il
contatto diretto dei giornalisti con gli eventi, contatti che possono essere formalizzati (come le
conferenze stampa) o informali (telefonate o colloqui). Obiettivo dell’organizzazione e del
giornalismo in generale è “routinizzare l’imprevisto”, nella felice definizione di Tunstall.
La riunione di redazione= Ogni mattina i capiservizio partecipano alla riunione della redazione,
insieme al vertice del giornale. In queste riunioni si confrontano le scelte del quotidiano con quelle
della concorrenza, giustificando o meno le scelte fatte. Allo stesso tempo si stabilisce una sorta di
scaletta della giornata, stabilendo una prima idea di quella che sarà l’impaginazione del giorno
dopo.
Il taglio alla notizia= Per “taglio della notizia” si intende il punto di vista che un giornale decide
d’assumere per la trattazione di un evento. Le due caratteristiche principali per stabilire il taglio di
una notizia sono la rilevanza che si da e le informazioni che si sottolineano dell’evento.
Il lavoro in redazione= Una convenzione indica con l’attività di desk l’intero lavoro svolto in
redazione, dove adesso il giornalista è in grado di svolgere tutte le funzioni a lui affidate. Con lo
sviluppo tecnologico si parla, in giornalismo, di un notevole aumento del lavoro di desk. Lo stesso
fatto che i giornalisti possano svolgere anche la funzione di tipografi ha aumentato ulteriormente il
processo di “deskizzazione”. Anche il flusso informativo è cresciuto enormemente, tanto che i
giornalisti non devono ora più andare a cercare le notizie, ma spesso vengono recapitate
direttamente sulle scrivanie del desk, che deve pensare a selezionarle e affidarle ai vari reparti.
Questi cambiamenti nel lavoro di redazione hanno portato a “coltivarsi” le proprie fonti con più
difficoltà, ad una maggiore personalizzazione e alla cessione della “parola ai protagonisti”, così da
rispettare il criterio dell’immediatezza.
La redazione dell’articolo= Se l’evento da raccontare era già stato programmato, il giornalista fa in
modo di “andare sul fatto”, recandosi nel luogo in cui accade. Durante la giornata il redattore
decide che taglio dare alla notizia e la comunica al giornalista.
Quanto scrivere= La trasformazione di un evento in notizia avviene soprattutto attraverso processi
discorsivi, calcolando anche vari fattori tra i quali la competenza ed esperienza del redattore.
Parlando dei giornalisti si usa l’espressione “comunità interpretativa”, sottolineando l’abitudine che
essi hanno nel definire le procedure di rielaborazione dei fatti.
Il confronto con i colleghi= I punti cardine del quotidiano vengono fissati nella riunione
pomeridiana, nella quale si decidono i tratti fondamentali. Questo processo avviene davanti ai
colleghi, che offrono una prima idea di come il pubblico reagirà al giornale.
Modalità di scrittura e tecnologie= L’introduzione del computer prima e di Internet poi hanno
completamente cambiato le modalità di scrittura e di gestione del tempo e dello spazio. La
deadline si è molto prolungata per il cartaceo ed è scomparsa sui siti internet, e fino all’ultimo è
possibile modificare la grafica delle pagine, fattore che risulta essere sempre più importante nella
stesura di un quotidiano.
Ultimo punto a cui prestare attenzione è quello dei titoli, oltre all’occhiello, al sommario e alle
finestre, poiché i giornalisti sono consapevoli del fatto che probabilmente l’attenzione del lettore si
fermerà a quello.
50) Quando cresce la raccolta di informazioni: una nuova routine per il giornalismo online
La caratteristica principale introdotta dai nuovi media è stata quella di eliminare, nelle testate
online, la dead-line. Le home page possono essere modificate in qualsiasi momento.
Ciò inficia anche il criterio di notiziabilità, che dipende dalla capacità di un evento di diventare
significativo in uno specifico arco di tempo. Sulla rete il formato è completamente ridefinito rispetto
alla carta stampata. Lo è ancora di più nella modalità dei feed RSS, che mette le notizie secondo
un semplice ordine cronologico, diminuendo drasticamente la funzione di gerarchizzazione del
giornalista.
Nell’informazione radiotelevisiva invece i criteri di gerarchizzazione sono due: la rilevanza della
notizia e l’appartenenza ad una specifica famiglia tematica. La tv e la radio, inoltre, non
permettono a chi fruisce dell’informazione di scegliere quale guardare, poiché seguono delle
logiche spazio-temporali di successione delle notizie. Così, a volte, i telegiornali presentano
all’inizio le notizie di cui parleranno e quando ne parleranno.
Nei siti d’informazione si capisce la rilevanza di una notizia dalla quantità di rimandi che ci sono,
che definiscono una conformazione a stella (Dardano), in cui al centro c’è il fatto che da esso si
dipanano tutte le altre informazioni relative ad esso, come commenti o interviste. Si procede per
accumulazione successiva, non per accumulazione sostitutiva.
Le notizie acquisiscono, grazie al web, un ciclo di vita più lungo, grazie anche e soprattutto agli
UCG (user generated contents) e alla possibilità, online, di aggiungere dettagli o link o immagini
alla notizia anche dopo essere stata pubblicata. Nel giornalismo online la logica di flusso diventa
quella predominante.
La più rilevante trasformazione nel lavoro giornalistico attribuibile alla rete è la sostanziale
ridefinizione del processo di aggregazione dei contenuti. Termine diventato centrale nel mondo
giornalistico è quello di crossmedialità. La crossmedialità è una sorta di versione 2.0 della
multimedialità. Con questo termine, infatti, si intende la proprietà/ capacità di una narrazione
mediale di essere ideata, realizzata, promossa e distribuita su più media e canali comunicativi
secondo una logica di contemporaneità.
L’integrazione produttiva è uno dei motivi per cui i gruppi editoriali sono interessati a entrare in
tutto l’articolato campo della multimedialità.

51) La convergenza crossmediale


La novità maggiore del modello giornalistico crossmediale è quello di far diventare centrale la
notizia e sempre meno il canale attraverso cui il prodotto giornalistico arriva al lettore. Le grandi
testate sono in un momento di transizione e stanno sperimentando nuovi modelli di
organizzazione del lavoro redazionale. Un primo passo che quasi tutte hanno fatto è stato quello
di creare delle redazioni online della testata, che all’inizio era però considerata di serie B e spesso
staccata dalla redazione principale.
Con il crescere di importanza e seguito del web, le redazioni sono state fuse in un'unica
“redazione integrata”, così che si potessero influenzare e aiutare a vicenda. Le skill richieste ai
giornalisti e ai redattori sono oggi molto più ampie, con il risultato che i giornalisti si lamentano di
non avere abbastanza tempo per le notizie e il ricorso, quindi a: un ritorno alle fonti ufficiali, che
permettono una rielaborazione più veloce e tolgono responsabilità a chi scrive, e a modificare i
processi interpretativi con i quali si selezionano le notizie poiché i redattori sono molto più
coinvolti.

52) La variabilità del giornalismo


Oltre ai tre classici attori della negoziazione (fonti, giornalisti e pubblico), non va sottovalutato
l’apparato tecnologico. Sebbene l’influenza della tecnologia nella fruizione e nella produzione di
prodotti giornalistici ci sia sempre stata, oggi, la tecnologia digitale ha cambiato totalmente le sfere
di competenza e i tempi del lavoro giornalistico, ridefinendo lo spazio-tempo del giornalismo.

53) L’evoluzione delle fonti


Una fonte deve sempre tenere conto del contesto in cui è, perciò, per esempio, ad un personaggio
dell’arte o dello spettacolo sarà consigliata un’eccentricità maggiore rispetto ad un imprenditore.
Una fonte deve essere credibile.
La credibilità è dote necessaria e auspicabile anche e soprattutto per i giornalisti ed è definita da
quattro dimensioni:

1 – affidabilità: è la capacità di presentarsi con metodica puntualità ai propri referenti;

2 – attendibilità: è riconosciuta dal grado di legittimazione sociale posseduta dal soggetto;

3 – responsabilità: è la consapevolezza d’agire tenendo conto delle conseguenze prodotte


dalla propria azione;
4 – reputazione: è la credibilità provata; si costruisce nel tempo, ha un carattere pubblico ed è
molto resistente (sia buona o cattiva, è difficile farla cambiare).
Bisogna distinguere tra credibilità del ruolo, che consiste nel grado di reputazione che ad
un’istituzione viene socialmente riconosciuta, e credibilità nel ruolo, che consiste invece nella
capacità del singolo individuo di adeguarsi alle norme socialmente definite dell’istituzione.
Rispettare queste dimensioni significa diventare quelli che Stuart Hall chiama “definitori primari”,
cioè coloro che sono in grado per primi di fornire la definizione di una situazione. Per “accesso” ai
media si intendono lo spazio e il tempo dedicato all’interno della notizia alla fonte in modo che
questa sia adeguatamente rappresentata.
Per “copertura” dei media si intende invece quando si ha tempo e spazio dedicato ad una notizia
fornita dalla fonte senza che questa possa definire il contesto.
Ericson, Baranek e Chan hanno sviluppato un modello di gestione delle notizie interno alla fonte.
In base ai rapporti tra Front Regions – le aree in cui si trattano le informazioni in entrata e in uscita
con il mondo dei media – e Back Regions – luoghi dell’organizzazione aperti solo al personale
ufficialmente autorizzato – con l’esterno, le organizzazioni posso avere rapporti o di enclosures,
quando sono di chiusura, o di disclosures, quando sono di apertura.
In base a questi rapporti i tre autori hanno sviluppato quattro tipi di strategia che l’organizzazione
può adottare:

1 – strategia della segretezza, quando si vuole evitare ogni fuoriuscita di notizia dalle back
regions, che si attua escludendo tutti i soggetti che potrebbero non mantenere tale segretezza;

2 – strategia della censura, quando si vuole bloccare ogni tipo di pubblicità negativa
proveniente dalle front regions;

3 – strategia della pubblicizzazione degli eventi quando si vuole mostrare le comunicazioni


delle front regions;

4 – strategia della confidenza, quando si rivela in via personale un’informazione proveniente


dalle back regions.
Ciò di cui devono tenere conto le fonti nell’accesso ai mezzi di informazione è il punto di vista della
comunità giornalistica a cui si stanno rivolgendo.
Negli ultimi anni le fonti stanno sviluppando sempre più un’intensa attività di negoziazione con i
media, che è stata definita media management. Quest’attività consta di due tipi di strategie: una
prima di news management, che comprende attività che permettano rapporti collaborativi con il
sistema dei news media (strategia della pubblicizzazione), e una seconda di information
management, che si sviluppa con varie attività di influenza del sistema dei media (strategia della
confidenza) come utilizzare politiche che favoriscano determinati gruppi editoriali, influenzare le
nomine delle organizzazioni mediali etc. etc... Per facilitare questa seconda strategia è nata la
figura dello spin doctor, colui che sta “sul messaggio” e fa in modo che le informazioni abbiano un
determinato effetto (spin).
54) Il consumo di informazioni
Esiste un’ambivalenza intrinseca al ruolo di fruitori di informazione giornalistica moderna: quella di
pubblico, che attraverso i media forma la propria educazione, e quella di consumatori, che
possono essere “venduti” dai media alle aziende pubblicitarie.
Queste due dimensioni si mescolano, non escludendo l’una l’altra. È indubbio, però, che i due
modi di intendere i fruitori porti a due strategie comunicative diverse. Nella prima ci si comporta
secondo una concezione pedagogica, trascurando il volere dei cittadini e rendendo meno forte la
negoziazione essendo un processo calato dall’alto. La logica politicopedagogica non prevede un
coinvolgimento dei riceventi, bensì un convincimento. Nella seconda si pone invece maggiore
attenzione nei confronti del ricevente. Habermas, nel suo modello discorsivo di sfera pubblica,
sottolineava l’importanza dei media che orizzontalmente comunicano dalla periferia al centro su
tre livelli:

• Sfera pubblica effimera, consistente nelle comunicazioni informali quotidiane come la


chiacchera da bar o da autobus;

• Sfera pubblica organizzata delle manifestazioni, delle riunioni di partito o delle cerimonie
religiose;

• Sfera pubblica astratta (inesatta), con la quale l’autore definisce la caratteristica dei media
di trasformare l’azione sociale creando nuove forme di azione e interazione.
Il punto centrale della discussione posta da Habermas è il rapporto di interdipendenza tra sfera
pubblica e privata, che è resa ancora più evidente dallo sviluppo del Web. In questo mondo in cui i
significati culturali sono tanti, così come le informazioni che si hanno, diventano centrali gli
intermediari culturali, che esprimono la propria visione agli altri così da farli orientare di più
all’interno del pluralismo di informazioni.
55) Dal citizen journalism al network journalism
Il pubblico che comincia a partecipare al processo negoziale ha portato alla nascita e crescita di
due fenomeni. Il primo è il citizen journalism, o giornalismo dal basso. Consiste in quei contenuti
informativi generati dai cittadini (UGC) e condivisi su piattaforme (come la francese AgoraVox)
adibite a questo tipo di contenuti.
Tra questo tipo di fenomeni è ascrivibile anche il fenomeno di Wikipedia. Ma gli UGC hanno
influenzato anche i media tradizionali, soprattutto attraverso il grassroots journalism (il giornalismo
dei non professionisti), che mandano i propri contenuti alle testate tradizionali. La BBC è stata la
prima a predisporre un ufficio apposito per la ricezione di contenuti creati da non professionisti.
Tutti i grandi media, anche in Italia, devono affrontare il fenomeno del giornalismo dal basso,
cercando di sfruttarlo a proprio vantaggio.
Il contesto di riferimento oggi è quello del Web sociale, con il proliferare di social network che
ridefiniscono ulteriormente la negoziazione. Il secondo è il fenomeno che si sviluppa come
conseguenza della trasformazione della società, la quale, come afferma Castells, è diventata
società network, dove a prevalere sono le reti.
La società teorizzata da Castells influisce anche sul giornalismo, al punto di veder nascere un
nuovo tipo di giornalismo, il network journalism, che ha determinate caratteristiche:

• Non può avere un media di espressione privilegiato, ma deve essere multicanale nella
pratica;

• È dotato di grande consapevolezza per quello che riguarda la propria audience di


riferimento, con la quale ha stabilito un rapporto di fiducia;

• Si tratta di un giornalismo che ha costruito un’efficace sintesi tra riflessività e orientamento.


La network society ha spinto il giornalismo a diventare snodo che da senso alla complessità e alla
liquidità delle società in cui viviamo.
56) Le diverse dimensioni della professionalità giornalistica
Il giornalista ha negli ultimi anni ampliato il suo “raggio d’azione” a causa della diversificazione
della professione (che viene divisa per tematiche e generi), del grande sviluppo degli uffici stampa
e a causa del web, che richiede social media editor per gestire online la testata giornalistica.
Anche per questo il numero degli iscritti all’Albo dei Giornalisti è aumentato sensibilmente.
Bechelloni divide i gruppi di professionisti in tre grandi insiemi: 1) gli iscritti all’Ordine come
professionisti 2) gli iscritti all’Ordine come pubblicisti 3) coloro che, pur non essendo iscritti
all’albo, svolgono le stesse funzioni È evidente perciò l’allargamento del campo giornalistico.
Sempre Bechelloni stabilisce tre tipi di professione giornalistica: quella tecnica, che attiene
all’apprendimento delle modalità di lavoro, quella politica (o relazionale), che si crea sviluppando
una fitta rete sociale, e quella culturale secondo la quale il giornalista deve vedere le cose che gli
altri non vedono. Un giornale si compone delle interazioni tra queste tre personalità.
Problema che il giornalismo moderno sta vivendo è quello dell’affidabilità, della fiducia. Il concetto
di fiducia verso un sistema esperto (Giddens) non è più così valido come lo poteva essere qualche
anno fa. Adesso la fiducia viene riposta più nel giornalista che nel giornale. Il giornalista diventa
garante dell’informazione, non lo è più il sistema esperto. Così però il giornalista diventa star tra le
star e da “produttore” si trasforma in prodotto.
Assistiamo alla crisi della funzione riaggregativa del giornalismo e ad una crisi di fiducia nel
giornalismo come sistema astratto.

57) Organizzare i contenuti informativi


Tutti i giorni i giornali, le tv o chiunque faccia informazione, devono proporre una serie di notizie
stando sempre dentro il formato che ci si è dati. Per farlo devono essere valutati i criteri di
notiziabilità, che possono essere analizzati attraverso la tecnica del newsmaking.
Analizzando come vengono trattate le notizie nei maggiori paesi europei, ci si accorge come il
mercato dei quotidiani sia diviso in due: da una parte i contenuti per le élite, dall’altra parte i
contenuti considerati più “popolari” nel senso di persone comuni.

58) I tre livelli del newsmaking


Gli studi sul newsmaking si sono sviluppati cronologicamente su tre livelli, passando dal primo al
terzo livello nell’arco degli anni. I livelli sono:

- Individuale: si studia quali sono i motivi che spingono un giornalista a scegliere un


argomento piuttosto che un altro. In questo senso i giornalisti sono visti come gatekeepers, perché
decidono loro cosa pubblicare e cosa no. Ma già dagli anni ’50 (con White) comincia ad insinuarsi
l’idea che sì, il giornalista agisce secondo i propri schemi, ma essi vengono controllati dagli
schemi dell’organizzazione all’interno della quale il giornalista si inscrive. Sigelman parla di
socializzazione anticipatoria proprio intendendo il fatto che il giornalista tiene conto delle
prescrizioni ed esortazioni della propria redazione;

- Organizzativo: la selezione delle notizie viene allora vista come condizionata


prevalentemente dal processo produttivo, teso a trasformare l’imprevisto in un flusso informativo
regolare adeguato a precisi formati. Diventa qui centrale il concetto di distorsione involontaria, che
va a sostituire quello di manipolazione esplicita;

- Istituzionale: l’ultimo, e più recente, livello degli studi sul newsmaking è quello che definisce
le istituzioni come routine sia cognitive che pratiche che servono a dare il mondo per scontato, a
standardizzare situazioni, ad organizzare l’esperienza. Per questo gli esseri umani si sono dati
delle istituzioni, e il giornalismo non ne è esente.
59) La costruzione dei processi di notiziabilità
Wolf: «la notiziabilità è costituita dal complesso di requisiti che si richiedono agli eventi». Quindi la
notiziabilità fa direttamente riferimento alla necessità del giornalista di rendere prevedibile e
routinizzabile ciò che succede nel mondo.
Altheide afferma come esista una news perspective (prospettiva della notizia) nella selezione del
giornalismo che porta ad una contestualizzazione dell’evento all’interno di un preciso contesto.
Anche la media logic fa parte del concetto di notiziabilità, che ha 5 componenti fondamentali:

• Criteri sostantivi;
• Criteri relativi al prodotto;
• Criteri relativi al mezzo;
• Criteri relativi alla concorrenza e al mercato;
• Criteri relativi al pubblico;
Gans riassume le caratteristiche dei criteri così: essi devono «essere applicabili facilmente e
rapidamente, essere flessibili, relazionabili, comparabili e orientati all’efficienza».

60) Criteri sostantivi


Con criteri sostantivi si intende l’importanza e l’interesse che un evento può avere e suscitare.
Influiscono sull’importanza di una notizia: il tipo di soggetti coinvolti, la prossimità dell’evento al
luogo della testata, il numero di persone coinvolte e la possibilità che l’evento produca sviluppi
futuri rilevanti.

61) Criteri relativi al prodotto


Con criteri relativi al prodotto si intende la facilità con cui la copertura di un evento è
operativamente traducibile nel particolare formato del medium. Il ciclo della notizia, cioè la
resistenza che una notizia ha all’interno del panorama mediale, si è da una parte allungato perché
la quantità dei media è aumentato vistosamente, dall’altra parte si è però accorciato perché dura
meno al centro dell’attenzione una determinata notizia. Frequenza con cui l’evento avviene,
l’essere una novità, il grado di narratività che può suscitare e il bilanciamento delle notizie
all’interno della stessa testata (importante soprattutto in Italia per la mancata divisione del
pubblico) sono le caratteristiche di questo criterio.

62) Criteri relativi al mezzo


Con criteri relativi al mezzo si intende che nella stesura di una notizia bisogna tenere conto della
sintassi della logica informativa (Sorrentino), che significa dare la giusta e coerente forma e
collocazione alla notizia, tenendo conto dell’organizzazione complessiva della notizia. Altra
componente importante è il formato, che però sta modificando i limiti che pone al giornalismo con
lo sviluppo del Web.

63) Criteri relativi alla concorrenza e al mercato


Valutare in che mercato si opera è un’analisi necessaria per una testata per capire a chi rivolgersi.

In questo senso esistono tre differenti livelli di concorrenza: cognitiva, intermedia e intramedia:
1-La concorrenza cognitiva= Consiste nel disputarsi con l’intera industria della conoscenza le
risorse tempo e spazio del pubblico. Quindi anche con i film, i videogiochi etc. etc;
2-La concorrenza intermedia= Nel momento in cui una testata sceglie come e dove collocarsi nel
mercato informativo, deve tenere conto della differenza che esiste tra i vari media. Tipica
concorrenza intermedia è quella tra carta stampata e televisione;
3-La concorrenza intramedia= È la concorrenza informativa che avviene all’interno dello stesso
media tra le testate. Con l’allargamento dello spazio notiziabile e della visibilità delle notizie, le
testate tendono sempre più a diventare “media-melassa”, che vogliono intrattenere, più che
informare, il lettore. Siccome ormai i criteri di notiziabilità sono rigidi e dicono tutti un po’ le stesse
cose, è nella presentazione delle notizie che le testate recuperano la loro cifra stilistica.
64) Criteri relativi al pubblico
Diventa fondamentale l’immagine che si ha del proprio target. Si è passati da una strategia della
distanza pedagogica in cui il giornalista indicava la strada, ad una strategia della complicità, che
favorisce una più forte identificazione con la testata.
Le testate diventano fondamentali perché nella grande mole di informazioni che il pubblico riceve,
ogni individuo ha bisogno che una testata giornalistica metta ordine per lui. Fondamentale allora
per le testate è creare un patto fiduciario con il pubblico, fidelizzare i cittadini.
65)La cronaca
Quando si parla di cronaca intendiamo due cose: lo stile giornalistico e un ambito di trattazione.
Occuparsi di cronaca può significare o seguire le notizie della comunità locale o più in generale
quelle della società civile.
Cronaca locale= In Italia l’attenzione alla cronaca locale non è mai stata troppa a causa della
necessità del giornalismo di creare un’identità nazionale e quindi concentrarsi non sui campanili
ma su temi di politica nazionale. La cronaca locale si divide tra racconto della devianza (cronaca
nera) e attività delle istituzioni (la cosiddetta cronaca bianca). Con la maggiore articolazione del
sistema sociale e l’esigenza di soddisfare il lettore la cronaca locale ha assunto sempre più peso
nelle testate. La cronaca locale ha una strutturazione organizzativa diversa rispetto alle testate
nazionali, perché il lavoro non viene diviso per settori, bensì per argomenti, come sanità o scuola.
Cronaca nazionale e internazionale= Si può parlare di una progressiva rotocalchizzazione del
giornalismo, se per “rotocalco” intendiamo la stampa periodica che tratta temi di varia umanità.
Inoltre il giornalismo si serve della cronaca per mandare messaggi, poiché raccontando una storia
di vita vera l’attenzione dello spettatore è maggiore. In ultima istanza, la cronaca viene usata
anche per dimostrare che il giornalismo non è elitario, ma parla del popolo, non al popolo.
66)La politica: cambio di passo
Gli ultimi vent’anni sono stati un periodo di grande trasformazione per la politica italiana.
Berlusconi non ha fatto altro che cavalcare e amplificare un mutamento che nella comunicazione
politica stava comunque avvenendo. Anche lo svelamento di gran parte di vita privata e sociale ha
impedito alla politica di continuare il controllo che ha avuto prima di Tangentopoli sul giornalismo e
sui media in generale.

67) La popolarizzazione e la centralità della cronaca nel giornalismo politico


Due sono le tendenze principali riscontrabili nel giornalismo politico: da una parte la
popolarizzazione che, accanto alle policy issues ha affiancato le political issues (quindi alleanze,
ideologie etc. etc.), dall’altra la maggiore concentrazione sulla cronaca locale.
La contrapposizione diventa l’artificio narrativo più adoperato.
Ci si sposta sempre più sulla battuta a effetto, su soundbites sempre più corti e in più ci si rivolge
spesso verso strumenti (come il sondaggio) che rispettano più degli altri i formati giornalistici.
68) La classe politica non costruisce più l’agenda del giornalismo politico
La classe politica ha progressivamente perduto la funzione di “definitore primario” della realtà.
Wolf: il rapporto tra politica e giornalismo è passato dalla collusione alla collisione. I politici devono
imparare il going public, a comunicare direttamente con i cittadini anche attraverso i media.

69) Come si racconta la politica


Ci sono tre categorie generali in cui si può raccontare la politica:

- i resoconti: sono servizi giornalistici in cui si presentano gli eventi soffermandosi sulle
dichiarazioni delle varie parti politiche;

- i servizi politici: sono gli articoli in cui si privilegia il taglio cronachistico e informativo per
raccontare la giornata politica;

- l’approfondimento: esso sta diventando sempre più tipico nei quotidiani, che si spingono
sempre più verso il commento. Ci sono vari modi di fare approfondimento
politico: uno è l’editoriale, o articolo di fondo, affidato ad un personaggio importante e presente
nella parte alta sulla sinistra della prima pagina di un quotidiano. Attraverso questo strumento si
mostra anche il taglio che si vuole dare al giornale. Altro strumento sono i retroscena, le cose non
ufficiali che hanno portato ad un determinato risultato. Poi ci sono l’intervista e l’inchiesta.
70)La cronaca culturale
Sebbene in tempi remoti le pagine e le redazioni culturali dei quotidiani rifiutassero la cultura di
massa, preferendo una cultura alta, d’élite, col tempo ci si è dovuti piegare alla realtà e alle
logiche del mercato, facendo diventare la cultura di massa uno dei pilastri principali delle pagine
culturali.
Col tempo, da luogo dove si lasciava libero spazio alla creatività e alla letteratura, la terza pagina
(quella tipicamente lasciata alla cultura), si è sempre più concentrata sulla notizia culturale più che
sulla critica. Così, oltre ad includere nella cultura anche il cinema, la TV o i viaggi, le pagine
culturali servono più per mostrare cosa c’è che per dire cosa è.

71) Le routine produttive e la costruzione della notizia culturale


Adesso si deve cercare di creare notizie culturali e valutare la loro notiziabilità. Il settore della
cultura diventa esattamente come gli altri settori del giornalismo. Il passaggio dalla centralità della
critica alla centralità della cronaca pone l’accento sulla costruzione della notizia. Le redazioni si
devono munire di redattori con grandi reti relazionali e interessi culturali eterogenei.
Una fortuna è che nel campo della cultura si stanno capendo le logiche giornalistiche e viceversa,
così che la comprensione tra i due mondi sia più ampia. Le pagine culturali, comunque, rimangono
pagine di riflessione, d’approfondimento di temi culturali.

72) Il giornalismo sportivo come via breve alla popolarizzazione dell’informazione


I quotidiani italiani hanno storicamente considerato lo sport come lo strumento per attrare le fasce
più popolari dell’Italia. Per questo è stato sempre un tema centrale nella stampa italiana, e non a
caso la Gazzetta è il terzo quotidiano italiano per vendite.

73) L’incerta sicurezza dell’evento


La notiziabilità dello sport deriva da due componenti fondamentali intrinseche agli eventi sportivi:
da una parte la preprogrammabilità degli eventi e dall’altra la certezza che suddetti avranno un
risultato. È quella che viene definita un’incerta sicurezza, perfetta per l’organizzazione redazionale
dei giornalisti.

74) Il percorso del salmone: dalla centralità della cronaca alla centralità della discussione
Lo sport ha col tempo sviluppato un proprio linguaggio specifico, una retorica tutta sua. Si possono
distinguere tre fasi del giornalismo sportivo:

- giornalismo sportivo come capacità di far immaginare l’evento: è il giornalismo pre


televisione e radio, che faceva del giornalista il punto d’unione tra autore del gesto sportivo
e lettore. Il giornalista svolgeva principalmente la funzione cronachistica. Geniale fu
l’intuizione del “Guerin Sportivo” che aggiunse le immagini alle proprie pagine di sport;
- giornalismo sportivo come capacità di far vivere l’evento: è il giornalismo raccontato dai
media elettronici. Prima dalla radio e poi dalla tv. Il linguaggio perde un po’ in retorica per
guadagnare in efficacia descrittiva;
- giornalismo sportivo come capacità di far rivivere l’evento: la cronaca e l’evento sono
sopraffatti dal “discorso”. Ormai la chiacchera da bar si è trasferita sui media, con
programmi e testate che cercano in tutti i modi di rappresentare il cittadino.

75) Le logiche della notiziabilità nel giornalismo sportivo


La contrapposizione favorisce la comprensione e l’attenzione del lettore. Per fare ciò, le testate
utilizzano varie logiche. La prima è la logica dell’appartenenza, secondo la quale le testate si
schierano naturalmente dalla parte di uno degli attori in gioco (spesso secondo il criterio
territoriale). La seconda è la logica del conflitto, per la quale si sottolinea soprattutto lo scontro tra i
partecipanti.
Tipica è la contrapposizione tra ricco e povero, come anche tra vicini (vedi i derby calcistici). Le
altre due logiche sono entrambe rami della più grande logica della personalizzazione: la logica
dell’eroe e la logica della star.
Con la trasformazione del giornalismo in chiacchera si è vista scemare la logica dell’eroe (che
viene associato ai miti greci), restando solo in alcuni generi quali il ciclismo, a favore di quella
della star, dove i personaggi sportivi sono veri e propri membri dello star system.

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