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Purtroppo, l'evoluzione del mercato e la poca attenzione dedicata dai politici alle
tecnologie, e in particolar modo a quelle con un impatto sui contenuti, hanno fatto
in modo che la maggior parte dei servizi sul desktop, e in particolare quelli legati
alla produttività individuale, fossero appannaggio di pochi fornitori, che in questo
modo sono riusciti a crescere al punto da poter sviluppare strategie in grado di
limitare la capacità di scelta dei fornitori stessi da parte delle organizzazioni e dei
singoli utenti.
Una situazione che ha diversi effetti funesti per il mercato, e in particolare per
l'Europa, visto che entrambe le aziende – a cui si aggiunge Amazon per i servizi
cloud – hanno sede negli Stati Uniti, per cui non contribuiscono all'evoluzione del
settore hi-tech nel nostro continente, controllano l'evoluzione dell'innovazione in
funzione delle proprie strategie commerciali (che non coincidono quasi mai con le
esigenze del mercato), e limitano le opportunità di sviluppo delle aziende europee
in quanto eliminano – di fatto – la possibilità di competere per la fornitura dei
servizi sul desktop e nel cloud.
In primo luogo, non c'è alcuna prova che i protocolli aperti e le piattaforme
distribuite siano meno sicuri del software chiuso e dei servizi centralizzati. In
realtà, è quasi sempre il contrario. L'apertura aiuta lo scrutinio collettivo e la
pronta risoluzione dei problemi non appena essi vengono scoperti.
Infine, i molteplici approcci alla moderazione dei contenuti adottati dalle aziende
attive nei diversi mercati europei offrono un maggior numero di opportunità per la
conversazione pubblica e la diversità culturale, senza che questo riduca l'obbligo –
da parte di tutti i fornitori di servizi – di rispettare tutte le regole esistenti e future
sulla responsabilità e la rimozione dei contenuti.
Gli obiettivi del Parlamento Europeo e dei governi nazionali dei Paesi UE
dovrebbero essere quelli di favorire l'apertura dei mercati e creare una situazione
in cui tutti i vendor sono in grado di competere sulla base dei propri punti di forza
e non su quella di posizioni determinate dalle quote di mercato. Per raggiungere
questi obiettivi, l'interoperabilità diventa un principio architettonico indispensabile
e deve essere garantita per tutte le piattaforme, per tutti i servizi di base e per tutti
i documenti.
Queste aziende sanno benissimo che il 95% delle persone non cambiano mai le
impostazioni di default né del PC né dello smartphone, sulla base di un fenomeno
psicologico noto come "default bias", per cui non mettono quasi mai in dubbio le
scelte del produttore. Lo stesso avviene per l'attivazione delle versioni di prova
dei software, comunque presenti – soprattutto sui PC – anche se non richieste, che
spesso nascondono contratti con clausole di tacito rinnovo che portano l'utente
all'interno di un "walled garden" da cui è sempre più difficile uscire.
Tra l'altro, le applicazioni preinstallate – che sono quasi sempre state sviluppate
per l'utenza statunitense e non per quella europea – spesso non rispettano le norme
europee sulla privacy perché sono strutturate in modo tale da esportare i dati verso
server distribuiti in altri continenti senza che l'utente ne sia consapevole (tanto che
alcune sentenze della Corte Europea le dichiarano incompatibili con il GDPR),
oltre a uccidere la concorrenza e soffocare l'innovazione.
Se l'obiettivo del Parlamento Europeo – e quello dei governi dei singoli Stati – è
quello di aumentare l'apertura del mercato, dando potere ai consumatori e creando
le condizioni per cui essi possano fruire appieno dei propri diritti di cittadinanza –
anche digitale – è indispensabile che le leggi siano scritte, e applicate, in modo da
creare una situazione equa, in cui le aziende competono in base al valore offerto
dalle proprie tecnologie e dai propri servizi, che gli utenti scelgono secondo le
proprie esigenze, senza alcun condizionamento (occulto o palese).