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Riassunto “La crisi della Tv”

Teorie e tecniche della comunicazione multimediale


Università degli Studi di Roma La Sapienza (UNIROMA1)
18 pag.

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Il primo talk show della tv italiana? “Bontà loro” di Maurizio Costanzo 1976
3 Gennaio 1954 l’anno della nascita della televisione in Italia —> Fulvia Colombo è la prima
ambasciatrice della TV (partecipa la selezione della RAI e le viene affidato il primo annuncio
in tv) “Radio Televisione Italiana”. La configurazione della prima giornata della TV
-palinsesto, ovvero scansione giornata- assomiglia a quello della radio)
1924 nasce la radio

LA CRISI DELLA TV. LA TV DELLA CRISI - Mihaela Gavrila

Questo libro si interroga, a partire da dati e analisi di scenari sociali e tecnologici, sullo stato
di salute dell'industria culturale più longeva e, nel contempo, più discussa da studiosi,
opinionisti e futurologi: la televisione.
Qualcuno parla dell'imminente morte del mezzo, altri ne prevedono una lunga
sopravvivenza. La parola ricorrente tuttavia è crisi. La crisi indica il momento della scelta che
riguarda la necessità di ridefinire il patto comunicativo tra gli italiani e il linguaggio
audiovisivo.
Quali sono le nuove frontiere della fruizione e della produzione con le quali occorre
misurarci? È chiaro che i network televisivi dovranno fare i conti con i cambiamenti indotti dal
ciclone Internet. Cambiano le abitudini di fruizione e le strategie di avvicinamento ai
contenuti audiovisivi. Emergono nuovi modelli produttivi e nuovi modelli di business: non si
vende più solo agli inserzionisti, ma anche al pubblico (abbonamento, pay per view, video on
demand, ecc).
L'overdose di prodotti e formati porterà alla necessità di selezione in base a criteri di qualità
e di corporate reputation. Ma prima dobbiamo capire cosa ha portato alla crisi, con la storia
di mezzo del mezzo audiovisivo.

CAPITOLO 1 Crisi, transizioni e strategie per il passaggio al futuro. Idee alla ricerca di
definizioni
Le definizioni complesse
In tempi di logorata crisi economica, affrontare la questione televisiva quale chiave di lettura
per il cambiamento e per le sue conseguenze repentine può sembrare riduttivo e fuorviante.
Tuttavia, gli studi di settore hanno trovato un denominatore comune nel considerare il
rapporto delle persone con la comunicazione e con la cultura quale sintomo del profondo
cambiamento sociale. Ma le mutazioni improvvise rischiano di generare crisi, cioè brusche
rotture rispetto al passato.
Pochi si interrogano sul significato sociologico della crisi e sulle sue implicazioni profonde
nell'assetto sociale e culturale di un paese.

Definizioni di CRISI:
● Treccani: termine usato per indicare uno squilibrio traumatico e poi, più in generale,
uno stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e
corrispondenza tra valori e modi di vita. In senso più concreto, ogni situazione, più o
meno transitoria, di malessere e di disagio.
● Definizione in termini sociologici: periodo del sistema sociale caratterizzato
dall'accumulazione accentuata di difficoltà, presenza di tensioni, con conseguenze
conflittuali che inducono complessità nel normale funzionamento del sistema,
scatenando forti pressioni verso il cambiamento.

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La crisi è espressione di una difficoltà temporanea o cronica di un sistema. Viene percepita
in prospettiva sociologica come processo che induce al cambiamento dell'organizzazione di
un sistema: essa coincide con la causa stessa del cambiamento. Se la metamorfosi non è
possibile, la crisi può portare alla disgregazione del sistema.
Il cambiamento generato dalle crisi viene considerato solo una delle tante modalità, poco
efficiente e molto dispendioso. Infatti si è di fronte a un modello di rottura, caratterizzato
dalla sostituzione di un sistema organizzativo quando condizioni di disfunzionalità o di
annullamento del precedente modello.

Crisi e transizione nella storia italiana della comunicazione


Ai fini di questo contributo, la crisi sarà trattata come occasione per fare il punto sullo stato
delle cose, sul funzionamento delle organizzazioni complesse, sui motivi di squilibrio di un
sistema, e, soprattutto, quale opportunità per sostituire soluzioni organizzative che si sono
dimostrate nel tempo poco efficienti
Percorrendo le parole chiave della modernità, si evolve uno scenario pieno di rivoluzioni —>
un assunto che viene confermato dalla stessa storia della comunicazione italiana, che
consta di 5 scenari:
1. Quello che dal 1946/1950, ovvero il periodo del dopoguerra caratterizzato da povertà
di accesso ai servizi e quindi impossibilità ad accedere ai prodotti culturali e
comunicativi, fino alla fine degli anni Settanta si è configurato come un
Mega-scenario di Protoindustria culturale —> pre-industria, per riuscire ad avere
un’industria prima dobbiamo avere un sistema di produzione, un universo di
fruizione. I mezzi che nascono prima della televisione sono la radio, i giornali e il
cinema: la televisione riprende elementi da questi contesti per arricchirsi (fase della
scarsità dell’offerta), ad esempio dalla radio riprende il suono mentre il cinema ha
trasferito molte persone nelle TV che viaggiavano nelle produzioni cinematografiche
in quelle televisive per l’immagine e la regia. Questo periodo è caratterizzato da una
forte lentezza (immobilismo della società che usciva da poco dalla guerra e stava per
andare incontro ad un’evoluzione) nell’assimilare i cambiamenti, difficoltà nel
produrre contenuti a causa delle poche risorse e professionalità, povertà e scarsa
alfabetizzazione. Negli anni 70 c’è il passaggio alla TV a colori: da una parte spinta
all’innovazione ma dall’altra innovazione criticata per un’opposizione proveniente da
PCI (tv a colori concessione al capitalismo) e industria automobilistica Fiat perché
cambiare apparecchio televisivo aveva costi importanti e sarebbe accaduto con la tv
a colori, di conseguenza avrebbe portato a disinvestire dall’acquisto di una
automobile. Si conclude con un periodo di transizione dal '75 al '79 legato ad una
innovazione normativa perché nel 1975 ha inizio la prima stagione di riforma del
sistema radiotelevisivo italiano con il quale si passa dalla televisione pubblica gestita
dallo Stato (Rai) alla nascita di realtà private;
2. Il quindicennio dal 1980 al 1995, il cosiddetto MediaEvo: periodo caratterizzato
l’exploit dell’industria culturale diffusa. Vi è un rapporto contraddittorio tra politica e
televisione perché alcuni partiti hanno preso nel tempo le distanze dalla televisione,
considerato strumento del capitalismo e non aderente alla propria ideologia. Si inizia
ad avere accesso ad un’offerta più ampia: televisioni private, tante TV locali e TV
pubblica. Porta con sé la stabilizzazione delle principali industrie e si conclude con
una fase di forte critica ai media tradizionali;
3. Il decennio successivo 1996-2005, il Tardo MediaEvo, rappresenta l'inizio della
diversificazione culturale, avvento delle tecnologie e si conclude con un periodo di

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transizione verso un graduale superamento del giornalismo —> meno televisione ma
cresce il consumo di cinema, teatro, concerti, mostre e siti archeologici. In questo
periodo in Italia vi è la legge Gasparri che dà il via al digitale terrestre e genera
lamentele perché non si voleva pagare per vedere la TV -schede pirata, illegali-, visto
che il 50% di italiani evadevano le tasse per non dover pagare la televisione pubblica
(invece la televisione commerciale si pagava attraverso la pubblicità). Si arriva al
2003: insostenibile perché non si guadagnava. Quando SKY entra nel mercato
diventa un punto di riferimento per il digitale terrestre. Il digitale terrestre finalmente
scatta quando lo slogan “digitale terrestre gratis” viene contraddetto dall’introduzione
di canali televisivi a pagamento (cinema in prima tv e calcio). Nel 1995/1996 solo il
5% erano in possesso di un telefono cellulare;
4. Dal 2005 al 2012, dentro il TecnoEvo, continua la fase di ridefinizione del rapporto
con i media tradizionali e diventa più decisa la transizione al digitale —> passaggio
dall’analogico al digitale, con l’80% di italiani nel 2005 che possiedono telefoni
cellulari e l’8% che ne possiedono anche più di uno;
5. Dal 2013 in poi con il All digital, caratterizzato dal ritorno all’interesse per il
contenuto e ai linguaggi, e semplificazione delle modalità distributive produttive.

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Che cos'è, dunque, la transizione? La transizione si presenta come un processo di
passaggio da uno stato all'altro, da un tipo d'organizzazione sociale ad un altro.
La transizione è una situazione di ricerca di soluzioni, di prospettive e di strategie per il
futuro: implica progettualità e razionalità. Le stesse dimensioni che spesso tendono a venir
meno in condizioni di stress provocato da crisi.

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In questo contesto, i media e la cultura diventano fondamentali perché estraggono l'individuo
dal tendenziale stato di isolamento, lo espongono al nuovo, stimolando e incoraggiando il
cambiamento. Diventano quella potente forza che permetterebbe la ripresa, il riorientamento
in funzione di valori condivisi e dunque, l'ascesa, con la consequenziale uscita dalla crisi.

In risposta alla crisi: cultura, comunicazione e comportamenti giovanili


Per la prima volta, dalla metà degli Anni Novanta, si inizia a percepire la comunicazione
come una nuova moneta di scambio per i moderni, nel momento in cui l'Italia si avvia
finalmente a diventare un Paese allineato con gli standard europei. La comunicazione si
rivela, mai come oggi, la misura più autentica dello scambio simbolico ed economico tra
soggetti contemporanei.
I cambiamenti intensi e veloci emergono con chiarezza dalla lettura dei numeri che
percorrono le statistiche sociali. Gli stessi numeri della società italiana, dimostrano quanto
piccoli mutamenti quotidiani possono segnalare l'arrivo delle grandi scosse.
Mentre in passato capitava qualche anno di impennata, ma gli andamenti della lettura, del
teatro, delle mostre, dei musei e del cinema presentavano risultati altalenanti, da qualche
anno si afferma il pacchetto: questi modelli di consumo culturale tendono a presentare le
stesse caratteristiche di incremento quantitativo.
La fruizione di quella cultura che si autodefiniva d'êlite conosce un processo di allargamento
delle sue basi sociali.
I moderni, alfabetizzati ormai alla scuola di Internet, continuano i percorsi virtuali, passando
dalla Rete delle Reti alla rete di relazioni metropolitane e culturali.
Nella nuova modernità di linguaggio, la parola, scritta o messa in scena, si riveste di
significati trasversali alle varie evoluzioni dei mezzi di comunicazione, riacquisendo il suo
grande valore depositario di forme organizzate di memoria individuale e collettiva.
La comunicazione si presenta come territorio naturale di rivoluzioni: ha plasmato nuove
esperienze sociali fatte di moltiplicazioni nell'attitudine ad entrare in contatto con gli altri, è
espressione della possibilità di vita reale o virtuale e stimola un sostanziale aumento degli
scambi comunicativi a qualsiasi livello.
In questo contesto, il mondo dei giovani diventa un serbatoio di conoscenza ed ispirazione: i
giovani rappresentano i principali driver del cambiamento nelle società contemporanee, in
grado di giocare un ruolo decisivo nell'esplorazione nella definizione e nell'ampliamento dei
consumi del tempo libero dentro e fuori i media. È nell'universo giovanile che prendono
forma le nuove tendenze: una dinamica di innovazione dal basso, alimentata in modo
massiccio sia dalla vetrina dei media, che dall'interazione diretta con i coetanei.
Ai media della crisi non dovrà sfuggire quello che accade negli universi giovanili. Siamo di
fronte a utenti più aperti alla conoscenza e più coinvolti nelle dinamiche del mercato, che
promuovono un nuovo valore e elemento di giudizio.

CAPITOLO 2 Tele-visioni in transizione


Uno scenario in movimento
A distanza di più di mezzo secolo dall'affermazione come nuovo mezzo di comunicazione, la
televisione riesce ancora a rientrare tra le priorità nell'agenda dei media e degli studiosi.
Da oltre un decennio la tv inizia un processo di riconfigurazione. È maturo il tempo per il
passaggio ad una società della conoscenza e della comunicazione che garantisce ai
soggetti sociali un pieno diritto di cittadinanza nelle reti tecnologiche e dunque nel futuro.

La tv nell'Italia che cambia. Tra crisi, transizioni e riposizionamento

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Lo stesso percorso evolutivo della televisione in Italia fa parte integrante della storia
socio-culturale e politica del Paese. Nei suoi 56 anni di storia ufficiale, la tv ha rappresentato
il volano dei sentimenti, a volte propulsore di vere e proprie rivoluzioni nel costume, nel
linguaggio e nel senso comune quotidiano, nell'espressione dei bisogni e dei gusti.
È proprio per la sua centralità nella vita sociale, culturale e politica del paese che si è spesso
trovata al centro di controversie e aspre critiche.
Ancora oggi continuiamo a porci il problema del ruolo della rinnovata tv nella vita sociale e
culturale, soprattutto in condizioni di crisi economica e non solo.
Le fasi evolutive del mercato televisivo si possono sintetizzare in quattro macro periodi, per
illustrare l'alternarsi di crisi e transizioni nella storia d'Italia, dal Secondo Novecento a oggi:
● Pro-industria televisione: si identifica con la fase del monopolio pubblico che dura
circa un trentennio, fino all’inizio degli anni Ottanta. In Italia il monopolio inizia a
rompersi nella seconda metà degli anni Settanta, con la liberalizzazione delle
frequenze radiotelevisive.
Parole chiave: pubblico di massa, autorevolezza delle fonti comunicative, tv broadcast.
● La tv nel MediaEvo: la fase di espansione della televisione commerciale,
caratterizzata dalla convivenza tra reti pubbliche e private. Nascono le società di
rilevazione quantitativa degli ascolti (auditel).
Parole chiave: consumi, duopolio, dieta mediale alla carta, target.
● Tardo MediaEvo. Verso il TecnoEvo: la terza fase, in cui nello scenario televisivo si
affacciano nuovi protagonisti, in particolare le pay tv e le pay per view —> si tratta
dello stadio di nuova verifica dell'offerta di nicchia. Momento importante per lo
sviluppo tecnologico della tv, data la possibilità di sperimentazione del digitale (via
satellite e via cavo). Compresenza di tv broadcast e narrowcast.
Parola chiave: inizio di tele-indipendenza; broadcast, narrowcast, webcast e crossmedialità,
pubblici, target e nicchie.
● L'età dei linguaggi e dell'accesso: la fase di predominio della tecnologia digitale,
che permette la moltiplicazione dei canali, stimola l'interattività evoluta e genera
profondi cambiamenti non solo negli scenari di consumo, ma anche nei modelli di
business.
Parole chiave: media della personalizzazione e della delocalizzazione, ritorno ai contenuti
comunicativi, compresenza di industrie culturali, reti e open source, il soggetto moderno
oscilla tra la condizione di consumer e produttore di contenuti, fruizione multitasking.

1. La prima crisi: la tv degli Anni Settanta, tra rivoluzione sociale e interessi


economici.
Alla fine della prima fase della televisione italiana, collocata in prossimità della prima riforma
del sistema televisivo italiano, nel 1975-1976, corrisponde anche l'inizio di un periodo di forti
critiche al mezzo.
È una stagione di riformismo che mette al centro la rivendicazione di un reale diritto
d'espressione, attraverso l'appropriazione dei mezzi di comunicazione.
Nella seconda metà degli anni Settanta il monopolio statale sulla tv inizia a incrinarsi e, in
meno di un decennio, si scioglierà in quasi tutti i paesi dell'Europa Occidentale.
È un terreno proficuo per la nascita delle emittenti libere, che iniziarono le trasmissioni via
cavo prima e via etere poi, diffondendo programmi realizzati a basso costo.
Ci troviamo in piena crisi di legittimità del modello monopolistico di televisione.
Dietro il nuovo progetto di televisione della transizione c'è anche un progetto economico.
Una volta superata la fase dell'etica del risparmio per industrie e consumatori è arrivato il

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momento della conquista di nuovi spazi pubblicitari e di coltivazione di nuovi modelli di
consumo. La ricerca della felicità e i nuovi bisogni iniziano a colonizzare anche il tempo e lo
spazio dei media.

2. La seconda crisi: 1987/1988. La trasgressione come retorica del nuovo.


Alla fine degli Anni Ottanta siamo nel pieno di un secondo momento di avvertita debolezza
della tv. Questo secondo periodo dà la parola ai pubblici. Ma come nel precedente caso si
accompagna l'inizio di una nuova stagione di provvedimenti legislativi.
È il periodo preparatorio della Legge Mammì del 1990, un disegno di legge per la disciplina
radiotelevisiva. A Ottobre 1989 viene emanata la direttiva europea "Televisione senza
frontiere", che contribuisce a risolvere alcune controversie sul piano normativo.
Le novità sono:
● Si stabilisce la libertà d'antenna per i privati;
● Viene imposto il limite di possedimento di reti televisive (tre) e chi le possiede può
detenere giornali che coprono solo fino all'8% della tiratura nazionale;
● Chi si trova ad avere una rete tv può avere giornali che coprono solo il 16%, chi non
possiede reti televisive, non oltre il 20%;
● Viene istituito il Garante per la radiodiffusione e l'editoria;
● Si realizza il piano di concessioni nazionali: Rai (tre), Fininvest (tre) e a tre network
nazionali: Rete A, Telemontecarlo e Videomusic;
● Si espande la possibilità di diretta tutte le emittenti, che sono inoltre obbligate alla
realizzazione di un telegiornale;
● Si regolamentano gli intervalli pubblicitari;
● Si legittima il duopolio Rai- Fininvest e il loro dominio.

Siamo di fronte alla prima crisi della tv certificata dai dati Auditel (nasce negli anni 80), a cui
corrisponde l'inizio di una transizione basata su quel fenomeno che viene definito
‘trasgressioni’.
Andando a leggere i dati di ascolto delle due stagioni televisive di fine anni Ottanta, quello
che emerge è una rottura del patto comunicativo tra i pubblici e le principali reti. L'analisi
rivela una singolare coerenza nel declino delle audience della Rai e di Fininvest.
Il pubblico ha scelto di spostare parte della propria fruizione sulla Terza Rete della tv di Stato
e quelle che l'Auditel richiama nelle proprie rilevazioni attraverso la categoria delle altre tv.
Rai Tre e le televisioni collocate fuori dal duopolio aumentano le loro quote di pubblico nei
mesi di gennaio, febbraio e marzo del 1988. Lo stesso periodo di attestata crisi dei principali
network nazionali, coincide con l'inizio della stagione della trasgressione: la trasgressione si
conferma come un terreno per riformulare simbolicamente il rapporto tra individuo e norme,
offrendosi come luogo elettivo dell'innovazione, dell'alterità e del movimento verso codici di
comportamento nuovi.
Si tratta della messa in campo di un comportamento simbolico che esprime appunto
trasgressione nei confronti delle norme sociali, attraverso la tv.
Edgar Morin teorizzava in riferimento alla violenza che caratterizza la cultura di massa: si
attivano processi di trasgressione vicaria, attraverso la sperimentazione di emozioni e statuti
di moralità e di senso, senza pregiudicare il ritorno alla normalità.
Sono stati i giornali e la stessa tv a costituire e legittimare una nozione socioculturale di
trasgressione altamente evocativa.

3. La terza crisi: 1997/1998. Le antenne in bilico.

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Dopo le clamorose elezioni del 1994, il settore televisivo diventa un pezzo del sistema
politico, forse la principale, insieme a quella finanziaria, da usare nella competizione
elettorale. La televisione diventa mira dei dibattiti e contenuto pregiato di tutti gli altri media.
Ma il contesto di logorato utilizzo del mezzo televisivo per la comunicazione politica porta a
un disincanto generale dei pubblici, soprattutto dell'auditorio giovanile: un difficile rapporto
con i pubblici giovani e una tendenziale sfiducia nei confronti dell'informazione televisiva.
Eppure non è l'informazione in crisi: in tutto il mondo si investe sulle notizie.
In America e in Italia i giovani mostrano insofferenza verso i tg. Perché non si sentono
raccontati abbastanza? Se i giovani non vengono raccontati abbastanza, il problema non è il
telegiornale, ma la televisione nel suo contesto —> una televisione datata.

CAPITOLO 3 L'ultima stagione di cambiamento, ossia la lunga transizione al digitale


La tv è morta. Viva la tv
La curva degli ascolti dal 1987 al 2008 ripropone all'attenzione dello studioso di
comunicazione l'ipotesi di un indebolimento progressivo del rapporto tra gli italiani e la tv.
Quest'ultima stagione di difficoltà della tv è stata accompagnata da una serie di piccole
rivoluzioni sul piano sociale, culturale e tecnologico.
Già alla fine del 2001 la first lady italiana, Franca Ciampi, invitava i giovani a prendere le
distanze da quella deficiente della tv, innescando così l'ennesimo dibattito sulla qualità della
televisione.
È il periodo di logorato utilizzo del concetto di tele indipendenza, del ritorno alla fruizione
collettiva della televisione, attraverso la visione delle partite di calcio e del Grande Fratello
negli spazi pubblici, dalla maggior copertura di Internet e dell'esplorazione del digitale
soprattutto attraverso una diversificazione delle modalità di utilizzo del cellulare.
La televisione si trova a dover esplorare nuovi territori, nel competere con gli altri mezzi di
comunicazione, assumendo conformazioni diverse.
L'evoluzione del mercato della tv digitale, tanto a pagamento quanto in chiaro, sta
modificando profondamente lo scenario competitivo che abbiamo conosciuto finora.
Ma il caso italiano si presenta nuovamente con elementi di specificità. Varata la legge
66/2001, che delinea il velocissimo passaggio del sistema televisivo italiano dall'analogico al
digitale; nel settembre 2002, il ministro delle Comunicazioni Gasparri presenta un disegno di
legge per il riordino del sistema radiotelevisivo.
Le strategie di lancio del digitale terrestre verranno affiancate dall’affermazione del satellite,
una forma distributiva e fruitiva di tv, perlopiù a pagamento, che a lungo è stata considerata
un competitor debole dei principali network nazionali.
Nel 2003 nasce Sky Italia, che eredita tutti gli abbonati delle pay tv italiane, che cesseranno
di esistere. Nasce un competitor forte, che inciderà sulle regole del mercato e sui
comportamenti di fruizione degli italiani.

Verso il digitale. Questioni di definizione.


Nella corsa a ostacoli culturali ed infrastrutturali verso l'innovazione tecnologica non è stata
né la telefonia mobile, con il suo noto exploit, né gli altri hardware informatici a garantire
l'eccesso della parola digitale nel lessico degli italiani, ma la stessa tv.
Un decollo tutt'altro che realistico, in cui la tv digitale viene affiancata alla retorica della
gratuità e dell'interattività. Fallimentare soprattutto perché ingannevole: non era una tv del
tutto gratuita e l'interattività non rappresentava una strategia convincente in un periodo
caratterizzato da un basso utilizzo dei servizi interattivi. L'unico elemento che è riuscito a

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sopravvivere è il concetto stesso di digitale, rafforzato dall'antitesi con il suo predecessore,
ovvero l'analogico.
La televisione digitale terrestre, è quel tipo di televisione che si contrappone a quella
analogica.
Francesco De Domenico la definisce: una tecnica di trattamento del segnale video che lo
rielabora esclusivamente con codifica numerica.
La tv digitale, in particolare quella terrestre, appare in grado di fornire, a quella parte del
pubblico televisivo che non ha ancora accesso a tali servizi, un prodotto forse più attraente,
meno costoso e più rispettoso delle abitudini e dei modi di consumo del mezzo.

Prove di società...con le altre tv


Le varie formule che si alternano ed integrano l'offerta tv tradizionale dovrebbero garantire
alcune risposte all'indebolimento della vecchia televisione. Da circa un decennio si inizia ad
intravedere il cedimento dell'audience: i network commerciali americani perdono, già a
partire dal 2001, progressivamente pubblico e pubblicità —> il 5% ogni anno, a favore delle
tv alternative.
Si assiste ad un duplice cambiamento, sia dal lato della domanda che da quello dell'offerta
di contenuti televisivi. Dal punto di vista della domanda, si delinea, a livello nazionale ed
internazionale, la tendenza verso una minore omogeneizzazione dei gusti e delle scelte dei
telespettatori, idonea ad aprire nuovi segmenti di mercato che potrebbero essere soddisfatti
dall'offerta di operatori neo-entranti.
Il mutamento culturale della società che spiega l'allontanamento degli individui dall'offerta
base dei principali network nazionali fa emergere nuove tendenze interpretative.
È lo scenario della nuova ipotetica strada alla televisione di seconda generazione, concepita
per la promozione di servizi più mirati e dedicata a segmenti di pubblico più esigenti: ma
questo implicherà che il suo utilizzo sarà limitato ad una nuova generazione di utenti, più
povera di socializzazione effettiva e che andrà a cercare e a costruire reti sociali avvalendosi
della grande potenza delle tecnologie.
Il passaggio al digitale si presenta soprattutto come una questione di infrastrutture
tecnologiche: c’è più continuità che rottura tra le vecchie e le nuove televisioni.

La diffusione della televisione digitale in Europa. Verso la Digitalia


A dicembre 2007 quasi la metà delle abitazioni in Europa occidentale ha ormai un accesso
alla tv digitale. Nel Regno Unito il digitale terrestre ha già superato il satellite, pay o free,
diventando in assoluto la prima piattaforma distributiva. Anche in Francia e in Spagna la
diffusione del digitale ha avuto notevole impulso.
In Italia, come negli altri paesi europei, la sfida del digitale terrestre si giocherà soprattutto
sui contenuti e sulla capacità di rispondere a quella parte dell'audience dimenticata dalla
televisione tradizionale: i giovani.
Fino al 2008 il digitale viaggiava sul calcio e sui classici contenuti premium, trovandosi ad
affrontare un avversario più forte come l'offerta della tv satellitare.
In Italia il digitale terrestre decolla timidamente, con alcune repliche dell'offerta analogica,
con canali sperimentali ma trascurati in termini di finanziamento per la Rai e killer application
calcistiche per Mediaset.
Il lancio dell'offerta terrestre e l'accesso sempre più ampio e diversificato ai contenuti
premium, hanno notevolmente accresciuto le opportunità di accesso ai contenuti audiovisivi,
trasformando la struttura complessiva del mercato e dell'offerta televisiva, che oggi diventa
sempre più multicanale e multipiattaforma.

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La televisione si trova in questo momento a dover esplorare nuovi territori per competere
con gli altri mezzi di comunicazione e sta assumendo conformazioni diverse che la
porteranno a sperimentare e a perfezionare nuove forme espressive.
Alla tv per tutti si affianca anche la tv fai da te, dove lo spettatore avrà la possibilità di
scegliere un palinsesto adatto ai propri interessi, attingendo da una nuova offerta
multicanale.

Il satellite come incipit


Sky ha un ruolo importante nella ridefinizione degli scenari televisivi.
Finora la tv digitale satellitare è stata relegata entro quadri pregiudiziali - interdetta perché a
pagamento. Oggi la situazione sta cambiando, al punto che Sky Italia è diventata un
competitor interessante sia dal punto di vista delle preferenze dei fruitori che da quello degli
investitori pubblicitari.

La tv oltre la tv. Il digitale satellitare come strategia


Una volta superata la prima fase in cui hanno fatto da apripista killer application come il
calcio e il cinema, la pay tv inizia ad andare controcorrente rispetto alla dimensione
pregiudiziale della classe politica ed intellettuale italiana, svolgendo una funzione di
acculturazione rispetto a contenuti spesso deboli nei palinsesti tradizionali.
Il satellite si propone come una risposta di mediazione. Infrastruttura tecnologica e
adattamento ai nuovi trend di consumo e stili di vita trovano riscontro in una
programmazione che armonizza elementi di continuità e di rottura con le vecchie e le nuove
tv.
È questa la chiave del successo delle sat tv: pur aperta a l'interattività e a nuovi contenuti, si
propone di garantire ai propri fruitori elementi di continuità con la tv tradizionale, con gli altri
media, con la società che cambia. La strategia vincente in termini di contenuto è stata la
trasformazione e l'adattamento degli stessi ai nuovi comportamenti di fruizione, soluzioni che
hanno garantito la possibilità di condividere - e a volte anche di sottrarre quote di audience
con/alla vecchia tv.

Nuovi palinsesti per nuovi e vecchi pubblici


Genere e fascia oraria: i due concetti chiave del palinsesto nella tv generalista, in questo
contesto, sembrano scompaginarsi. Il genere resta legato ad un determinato target ma per
estendersi in più canali dove il tempo si è dilatato.
Il terzo polo (sky, satellite) è espressione della sinergia di contenuti riconducibili a vari gruppi
editoriali. Il satellite in Italia si propone quasi come un garante di terzietà comunicativa.

Prove generali di tv.. digitale


I numeri di Sky documentati da Auditel a partire da aprile 2007, seppur difficilmente
comparabili con le grandi percentuali delle reti tradizionali sono interessanti in termini di
qualità della fruizione e di risposta a soggetti che hanno difficoltà nel ristabilire il patto
comunicativo con le vecchie tv.
I primi a sfuggire alle maglie della programmazione generalista sono i giovani. Comprendere
ed elaborare strategie di inclusione dei giovani, vuol dire recuperare e orientare il punto di
vista di una genere razione non più dominata dalla monocultura.
La tv viene inglobata all'interno di altri consumi quotidiani, permettendo così un più ampio e
diversificato rapporto governato da bisogni ed interessi individuali entro una cornice di senso
del comune.

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In definitiva, possiamo ritenere che l'esperienza della tv satellitare in Italia stia contribuendo
a realizzare il sogno di oltrepassare il tradizionale duopolio che pietrifica da decenni lo
scenario televisivo nazionale. Con questa esperienza, la società italiana ha dimostrato di
saper trasferire l'innovazione di comunicazione in vissuto, strategia di cambiamento e
superamento della crisi.

CAPITOLO 4 Tre generi (anche) per il futuro: fiction, informazione, programmazione per
bambini
Tre sono le tipologie di programmazione, fortemente radicate nella storia del mezzo:
informazione, fiction e programmazione per bambini e ragazzi.
Nell'universo dell'offerta, informazione, fiction e programmazione per bambini si adattano in
maniera eccellente alle strategie di crossmedialità e alle esigenze di nuovi e vecchi pubblici
conquistando un posizionamento strategico nelle tv del futuro.

La fiction tv nella stagione dell'abbondanza


La fiction televisiva si può interpretare in base a una dicotomia fornita da Umberto Eco: da
una parte i programmi di informazione, attivando nel pubblico attese di verità secondo criteri
di rilevanza e proporzione, separando informazione e commento; dall'altra parte programmi
di fantasia o finzione.
Per questa seconda tipologia di programmazione lo spettatore attua per consenso la
sospensione dell'incredulità, ammettendo che i programmi di finzione veicolino una verità in
forma parabolica.
Le classifiche dei programmi più visti nel 2009 vedono, dopo la prima serata del Festival di
Sanremo, diretto e condotto da Bonolis, alcuni momenti rappresentativi per il calcio e due
fiction ormai quasi istituzionali per la Rai (Un medico in famiglia) e per Mediaset (i Cesaroni).
Navigare nella multimedialità con la bussola dei pubblici
Per attivare con successo un tale processo di estensione di possibilità narrative e
commerciali, bisogna monitorare con attenzione la navigazione dei pubblici tra una
piattaforma e un'altra, sapere quello che accade nell'universo della fruizione, e soprattutto
come si rapportano al prodotto fiction e perché.
È proprio per questi motivi che risulta fondamentale aprire una riflessione su quelli che sono
i punti deboli del patto comunicativo tra l'universo della produzione e quello della fruizione,
quello dei pubblici giovani. Il racconto televisivo storico e mitizzante deve mantenere al
centro le persone, la loro sensibilità e la loro sceneggiatura per il passaggio al futuro.
Osservando attentamente l'evoluzione delle audience delle principali reti televisive italiane,
in funzione della fascia di età, emerge con chiarezza un tendenziale invecchiamento delle
platee della fiction.
C'è quindi sempre la necessità di far dialogare continuamente industria e pubblici di
riferimento —> anche nelle strategie di riposizionamento della fiction televisiva, stare dalla
parte del telespettatore tradizionale conviene: egli garantisce la pancia dell'ascolto
attraverso processi di fidelizzazione ed appuntamenti all'interno del palinsesto oppure quello
nuovo, diviso tra fruizione tradizionale e fandom, che non vuole vincoli, soprattutto temporali,
seguendo le serie dalla linea narrativa orizzontale, mettendosi in gioco dal punto di vista
cognitivo e tecnologico.

Il palinsesto è un vincolo soprattutto per i fan. Il fandom è liquido, si estende dal prodotto al
genere e si muove con facilità tra piattaforme diverse.

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La questione che si pone in questo contesto riguarda la tipologia di contenuto che si va a
cercare online o altrove: le ricerche attestano che tra i contenuti più pregiati l'audiovisivo
mantiene una posizione dominante.
Il mezzo televisivo va ripensato anche alla luce delle evoluzioni tecnologiche e delle abitudini
e stili di vita delle persone. I contenuti a utilità ripetuta come i film e le fiction sono effimeri,
ma possono trovare spazi privilegiati nel più grande archivio dell'umanità che è internet.

Passaggio al futuro
Stando al rapporto della Fondazione Rosselli, la fiction italiana è scarsamente competitiva
sul piano internazionale e riesce difficilmente a conquistare pubblici diversi da quelli per i
quali è stata progettata. La paura di rischiare, che da anni ha caratterizzato le strategie del
duopolio italiano, emerge ancora una volta, stritolando la creatività.
Emerge la necessità di tracciare alcune indicazioni per il futuro, sia per quello che riguarda
gli scenari di fruizione, sia in relazione alle dinamiche produttive e distributive.
Le parole chiavi si possono sintetizzare in tre categorie:
● Crisi,
● Cambiamento delle abitudini di fruizione, dovuto alle modificazioni degli stili di vita e,
soprattutto, all'innovazione di generazione,
● Diversificazione del mercato.
La crisi economica induce anche un decremento degli investimenti pubblicitari e un relativo
disinvestimento nella produzione.
Alla diminuzione dell'investimento si aggiunge la scarsa sincronizzazione sulle nuove offerte
delle vecchie tv tradizionali, costrette a confrontarsi con i nuovi player, e la difficoltà di
accreditamento della fiction nazionale, spesso fallimentare nel tentativo di copiare prodotti
americani di successo.
Gli scenari di fruizione devono partire necessariamente da una diversa considerazione e
rispetto per i fruitori. Il pubblico reale e soprattutto quello potenziale della fiction è più
interessante di quello che il mondo della produzione e i network pensano: veloce, curioso,
intelligente, multimediale, va catalizzato attraverso moderne strategie di marketing.
Gli scenari di produzione e distribuzione potrebbero essere sintetizzati in tre ordini:
1. Scelte tattiche: vedono il posizionamento di serie americane in prime time, riuscendo
così a convogliare nella fruizione di target commerciale a costi più contenuti.
2. Soluzioni innovative: sfruttano le opportunità della digitalizzazione, individuando nei
nuovi canali, meno competitivi sul piano degli ascolti, veri laboratori creativi. Si tratta
di strategie a medio termine, volte a dare il tempo di crescere e sedimentare a
programmi non di immediata popolarità.
3. Scelte strategiche: le quali prevedono il mantenimento della propria platea di fruitori e
l'integrazione con altre community rintracciabili online, in modo da creare spazi di
comunicazione inter e trans generazionali. È quanto sta già accadendo nel mercato
statunitense, dove le corporation ormai multimediali si rivolgono a nuove generazioni
di consumatori, sempre più competenti nella decodifica dei contenuti narrativi.

L'informazione televisiva: una killer application tra passato e futuro


Se la questione della sopravvivenza dei quotidiani cartacei ai tempi di internet è legata a una
nuova considerazione del patto con i lettori, non è molto diversa la situazione
dell'informazione televisiva, sempre più spesso contrastata dai critici della tv che ne
profetizzano la morte. Stando ai dati di ascolto però, a fronte di un leggero incremento dei
pubblici dei principali tg nazionali, si presenta uno scenario di rinascita delle trasmissioni di

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approfondimento, soprattutto quelle Rai, tanto che si parla del 2009 come dell'anno
dell'informazione (tanti ascolti per Annozero di Santoro, Ballarò di Floris, Porta a Porta di
Vespa).
La televisione tradizionale rimane la principale fonte di informazioni, sia per i telegiornali, sia
per gli approfondimenti giornalistici. Eppure l'informazione, contenuto pregiato delle reti
nazionali, non sempre riesce a riscontrare anche la soddisfazione dei telespettatori: lo
dimostrano i dati sulla soddisfazione che i singoli mezzi di comunicazione riescono a
garantire. Anche se la tv viene utilizzata per fini informativi, nel sondaggio su quanto i
telespettatori fossero soddisfatti dal contenuto c'è una percentuale alta di insoddisfatti.
Ma questi sondaggi mettono in evidenza anche la diversità di fonti a disposizione per
reperire informazioni.
Diventa questa una delle principali istanze dell'attore moderno, che somma alla crisi
economica e valoriale, una questione diversa ovvero la difficoltà di controllare e selezionare
le fonti informative a sua disposizione. L'informazione consuma attenzione: quindi
l'abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di
allocale quell'attenzione tra le molte fonti di informazione.
Per questo si sono sviluppati soggetti addetti alla semplificazione come Google o Facebook.
Manifestando interesse e rispetto nei confronti dei pubblici, i media si devono porre come
strumenti di condivisione per contrastare l'economia della disattenzione e l'inquinamento
dell'ecosistema dell'informazione.

Una nuova killer application: la programmazione per bambini e minori


Nel 2009, tra i programmi più visti, si posiziona anche una fortunata edizione di “Chi ha
incastrato Peter Pan?”. Questa volta siamo in casa Mediaset, con un format Endemol, che
testimonia la presa sui pubblici, non solo giovanissimi, di una tipologia di programmazione
particolare: quella rivolta ai bambini e ai minori.
Si tratta di una tv che assume un ruolo di catalizzatore dell'attenzione, di un pubblico
multigenerazionale svolgendo un ruolo di agenzia di informazione e di socializzazione, che
passa attraverso i linguaggi e gli stili espressivi dell'intrattenimento. Attraverso la
programmazione per le fasce più deboli della società dovrebbero passare numerose
opportunità di crescita culturale e di empowerment del soggetto. Progettare e analizzare
questi universi vuol dire offrire ai ragazzi contesti di apprendimento stimolanti e opportunità
di crescita personali.
Il posizionamento dei prodotti per bambini e ragazzi nei palinsesti tradizionali non è tra i più
incoraggianti. È un'evidenza documentata dai dati di ascolto, che vedono l'invecchiamento
progressivo delle platee tv. Le fasce di età più piccole sono migrate verso le offerte satellitari,
in quanto si apre una stagione di pluralità di canali tematici, spesso distinte per fasce di età.
Il successo della programmazione per bambini e ragazzi si evince in modo sorprendente
dalla graduatoria dei canali più visti proprio sulle piattaforme digitali, satellitare e terrestre,
consapevoli solo in parte dell'importanza in termini sociali, culturali e commerciali di un
target come quello dei minori.

CAPITOLO 5 Il Public Service al tempo della complessità


Tra crisi e sfide future
In tempi di crisi economico-finanziaria, la questione successiva che iniziano a porsi gli
scienziati e analisti sociali riguarda la crisi socio-culturale. Questa preoccupazione è legata
all'assenza di investimenti in quelli che sono i settori più deboli del nostro sistema —> la

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formazione e la cultura. Si tratta di quelle dimensioni della società che dovrebbero garantire
il futuro del Paese.
Tra queste istituzioni possiamo inserire anche il Servizio Pubblico Radiotelevisivo o
multimediale. Anche se apparentemente la tv mantiene percentuali rilevanti di fruizione, ci
sono le condizioni per parlare di forti segnali di debolezza del mezzo e del suo ruolo.
I dati sui consumi e sulle diete mediali mostrano da tempo le difficoltà che ha la tv a
innovarsi e a continuare a fare da navigatore del cambiamento.
In tempi di evidente orientamento multimediale di una platea sempre più estesa di
telespettatori, risulta naturale l'indebolimento del ruolo della televisione tradizionale.
Convivono entro le stesse case madri, analogico, digitale terrestre, digitale satellitare, Iptv,
WebTv e persino mobile tv. L'ultima sfida comunque si sta disputando sul web.
Anche in Italia si assiste a un certo movimento in questa direzione: sia la Rai che Mediaset,
facendo seguito all'esperienza di La7, hanno investito sull'online, sulle news,
sull'intrattenimento prodotto in casa, su quella tipologia di produzione per la quale si è in
possesso dei diritti per Internet.

Il caso italiano. Principali player e Servizio Pubblico


In Italia, la questione del passaggio al digitale terrestre è stata spesso affrontata in chiave di
moltiplicazione dei soggetti operanti sul mercato. Dopo decenni di pietrificazione nel
duopolio, società civile, imprese e del mondo politico iniziano a vedere lo spiraglio del
cambiamento nei risultati di ascolto di Sky. Ma sulla piattaforma digitale sono coinvolti
sempre gli stessi: Rai, Mediaset, La7 e qualche altro piccolo network.

Quale digitale? La questione della moltiplicazione delle piattaforme


L'ultima stagione della televisione vede la convivenza tra varie piattaforme trasmissive, con
un predominio della tecnologia digitale.
Rispetto al passato, le categorie interpretative cambiano: alla tv si sostituiscono le tv, così
come la radio viene sostituita dalle varie radio. Si assiste ad un duplice cambiamento, sia dal
lato della domanda che da quello dell'offerta di contenuti televisivi e radiofonici, dovuta in
particolare all'evoluzione degli scenari tecnologici.
Dal punto di vista della domanda, si delinea a livello nazionale e internazionale, la tendenza
verso una minore omogeneizzazione dei gusti e delle scelte dei telespettatori, idonea ad
aprire nuovi segmenti di mercato che potrebbero essere soddisfatti dall'offerta di nuovi
operatori. Appare evidente la disponibilità delle persone a cambiare abitudini di fruizione e
piattaforme, spesso navigando tra le offerte disponibili.

La questione dei contenuti e della qualità


Il problema dei contenuti è la prima vertenza che si apre in tempi di moltiplicazione delle vie
di diffusione. Si rischia di avere tante opportunità in termini di reti senza riuscire a garantire
altrettanti contenuti di qualità. Alla questione dei contenuti si affianca, dunque, quella della
qualità televisiva e della professionalità degli addetti ai lavori.
Si prospetta, non solo una televisione con un'offerta decisamente più ricca rispetto al
passato, ma anche uno spostamento di focus dall'organizzazione dei palinsesti a quella dei
contenuti, dando la possibilità al telespettatore di gestire con il telecomando il tempo di
informazione e di intrattenimento entro i tempi e gli stili di vita moderni.
Alle tv per tutti si affiancherà un'offerta più tematica, interattiva e multimediale, attraverso
pay tv e tv digitale.

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Il futuro del mezzo televisivo, pur mantenendo gran parte delle sue caratteristiche e
linguaggi, sarà molto coerente con quello del Web: un’unione che potrà generare un sistema
in grado di fornire una serie di servizi multimediali interattivi di tipo domestico.
L'evolversi della storia della comunicazione in relazione all'introduzione delle tecnologie ha
indotto cambiamenti che non si limitano a incidere sullo sviluppo dei rapporti comunicativi,
ma che hanno penetrato l'esistenza quotidiana di milioni di persone, modificando modi e stili
di vita.
Investire nella produzione dei contenuti, in modo da poter lanciare con convinzione e con
dignità l'offerta digitale terrestre, free o a pagamento, rappresenta una delle chiavi di volta di
un'industria che dovrebbe rispondere alle esigenze del soggetto moderno.
Più che sull'interattività si dovrebbe investire nella pubblicizzazione di una televisione digitale
terrestre che permetta una migliore visione dei canali esistenti, un'apertura verso contenuti
più specifici, tematici e di servizio, con la garanzia di identificazione tra la qualità dell'intento
e la qualità del trattamento interpretativo ed estetico.

Nell'impegno di mantenere la necessaria simmetria tra contenuti e esigenze del pubblico


risulta utile l'indagine Censis del 2009. Seguendo la graduatoria delle preferenze del
pubblico, si osserva la tendenza ad apprezzare tipologie di programmazione informative e di
approfondimento:
● Telegiornali,
● Eventi sportivi,
● Dibattiti politici,
● Inchieste giornalistiche,
● Documentari.
La mainstream television può vantare la possibilità di ri-costruire e di potenziare un'offerta
complessiva di target e stili di vita che nessun medium sarebbe in grado di mettere insieme:
una maggior interazione con il pubblico.
Le innovazioni applicate alla tv digitale permetteranno l'elaborazione di strategie più raffinate
nella revisione del rapporto dell'individuo con lo schermo.
Il soggetto moderno vive, nella sua solitudine, gli stessi drammi e le stesse gioie del mondo
che abita. È importante, da un punto di vista interpretativo e strategico, lo studio degli stili di
vita, delle motivazioni, delle energie e delle aspirazioni che movimentano la quotidianità.
Lo si nota nel successo di un format controverso e forte, in termini di ascolto, come quello
dei reality nella scala di gradimento dei pubblici —> dice lunga sul bisogno delle persone di
rinnovare il patto comunicativo con il mezzo televisivo.
I nuovi linguaggi devono rispondere sia all'esigenza di tutela dei pubblici deboli, ossia di quei
soggetti per i quali la televisione è l'unico mezzo di arricchimento socio-culturale, sia alla
necessità di rinnovare il proprio modo di comunicare.

Giovani e innovazione di generazione


È impossibile non prendere atto dei tanti segnali di stanchezza verso l'offerta disponibile che
viene dall'auditorio giovane.
È ormai evidente e opportuno un recupero, in termini di interesse per il mezzo, delle fasce
più giovani della popolazione attraverso una programmazione mirata. La televisione
andrebbe reinterpretata in base alle sue capacità di garantire risposte differenti in funzione
dei vari referenti.
Diventa d'obbligo reinterpretare in chiave moderna una delle missioni fondamentali che ha
caratterizzato la tv: la coltivazione e la gratificazione delle audience giovanili. Una platea alla

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quale soprattutto le tv di servizio dovrebbero garantire l'indirizzo culturale e le competenze
per la comprensione e per l'agire sociale.
I giovani sono destinati ad avvicinarsi più facilmente ad una televisione che, almeno dal
punto di vista tecnologico, si presenta più complicata all'accesso.
Si tratta non solo di un superamento di una barriera conoscitiva, ma anche di una serie di
ostacoli temporali: dal diverso investimento in consumi e beni materiali alla necessità di
razionalizzazione di tempi individuali e sociali.
All'interno di questa zona individuale, anche la tv deve sapere come ritagliarsi il proprio
spazio, e riuscirà a entrare solo se saprà piacere. Attraverso il linguaggio audiovisivo, di
forte impatto nell'immaginario e nella sensibilità dei giovani fruitori, si potrebbe restituire ai
giovani il perduto senso del noi, dell'appartenenza e della partecipazione a un progetto di
società esclusivo.

Il dilemma della qualità: un decalogo del Servizio Pubblico multimediale quale strategia di
superamento della crisi
Il dilemma della qualità rimane il tema più difficile da affrontare in questo contesto: tale
concetto induce i pubblici a definizioni che poggiano sull'impegno richiesto nell'atto di
fruizione e gli esperti alla citazione delle consuete casistiche internazionali che vedono nella
BBC inglese, nella statunitense PBS e nella giapponese NHK la massima manifestazione.
Una televisione di qualità non può prescindere dalla professionalità di chi la produce.
Un secondo concetto è l'universalità, annoverato come un aggettivo caratterizzante per la
televisione moderna.
Non poteva essere assente l'auspicio ad una tv educativa ed impegnata nella diffusione
della cultura, ma non mancano nemmeno il senso di familiarità e di fidelizzazione, garantito
anche attraverso la professionalità dei conduttori, la libertà da qualsiasi forma di autorità
politica e la consequenziale attenzione all'etica, e l’attenzione ai minori e alle minoranze.

Struttura aperta, aggiornabile e fondata sul tentativo di mediazione tra la qualità


dovuta/erogata e quella percepita/attesa:
1. Garantire l'universalità di accesso,
2. Innovare nei linguaggi e nei formati,
3. Garantire strumenti di empowerment del soggetto,
4. Recuperare il ruolo di leader del mercato e di anticipatore di trend, investendo anche
nella produzione interna,
5. Acculturare e garantire gli strumenti per la navigazione della modernità e del
cambiamento,
6. Diffondere la cultura digitale e del cambiamento,
7. Porre attenzione alle questioni etiche e deontologiche dei professionisti della tv, della
radio e del multimedia,
8. Recuperare il patto comunicativo con i giovani e coltivare i pubblici deboli,
9. Garantire strumenti per la coltivazione della cittadinanza europea,
10. Fare dell'informazione strategia per il futuro.

CAPITOLO 6 Professioni e professionisti dell'audiovisivo tra analogico e digitale


La questione tecnologica
L'evoluzione degli scenari tecnologici non porta solo ad una moltiplicazione delle vie di
comunicazione, ma incide anche sulla complessità e sulla ridefinizione delle competenze
richieste ai professionisti dell'audiovisivo e dell'ICT. L'evoluzione delle figure di tali

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professionisti si basa sull'osmosi tra diversi apparati dell'audiovisivo: negli anni Settanta, le
fasi di progettazione, produzione e post-produzione erano rigidamente separate, mentre
oggi, causa migliorie tecnologiche, c'è una convergenza tra queste.
Sei le fasi principali:
● Anni '50-'60 l'urgenza dei mestieri: modello artigianale, mestieri mutuati dal cinema.
● Anni 60-'70 il ruolo della dirigenza aziendale: sviluppo delle figure manageriali, si
rafforza la Rai.
● Anni '70-'80 la nascita spontanea di figure ad hoc: sviluppo di ruoli, proliferazione reti
private.
● Anni '80-'90 l'assestamento: competizione pubblico/privato, crescita selvaggia di
professioni.
● Anni '90-'2000 la rivisitazione tecnologica: nascita di nuovi ruoli.
● Anni '2000-in poi, periodo di simulcast: invenzione di figure professionali per il
digitale.

Per l'impostazione di un progetto televisivo si parte da un'idea che dev'essere esaminata dal
punto di vista contenutistico, ma soprattutto nella sua fattibilità produttiva e finanziaria: tale
idea viene, in primo luogo, tradotta in termini di costi economici e, solo in un secondo
momento, viene trasformata in prodotto, attraverso il supporto di un insieme di
professionalità artistiche, amministrative e tecniche. Le tecnologie adottate in questo
processo di trasformazione hanno agevolato la formazione di figure ibride, contraddistinte
dall'aver unito aspetto artistico, creativo e comunicativo.

Per realizzare lo stesso prodotto s'innescano microprocessi finanziari, tecnici e creativi che
richiedono l'attivazione di competenze e vocazioni specifiche, volte soprattutto al
superamento del contesto d'incertezza e di incompleta prevedibilità dei destinatari
dell'offerta, i pubblici televisivi in primis.
Questa è una mappa sintetica dei momenti caratterizzanti la produzione audiovisiva
tradizionale e delle attività specifiche ad ognuna delle fasi concrete:
1. Produzione: comprende tutte le attività necessarie alla costruzione del prodotto,
dall'ideazione alla messa in onda;
2. Archiviazione: consiste nella catalogazione e nella conservazione del prodotto che
permette poi un suo eventuale riutilizzo;
3. Distribuzione e Vendita: si traduce nell'emissione televisiva, diretta, indiretta, in
replica, attraverso dispositivi multimediali, nella gestione degli impianti, nell'attività
editoriale.
Il momento di destinazione e distribuzione del prodotto audiovisivo è delicato, dato che può
influire drasticamente sul successo o sulla perdita di un programma, di una fiction o di un
varietà televisivo. Esemplare il caso di Dallas negli anni Ottanta, il quale - dopo un breve
passaggio sulla RAI - divenne la serie punta di Mediaset, con la sua dimensione seriale di
appuntamento fisso.

Un altro interrogativo riguarda la proporzione tra i prodotti di acquisto e quelli realizzati in


casa, entrambe le categorie da leggere in base alla dicotomia tra:
● Prodotti audiovisivi di utilità immediata (trasmissioni con via breve come quiz, tg,
reality);
● Prodotti audiovisivi a utilità ripetuta (es. film, telefilm, serie, fiction, documentari).

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La produzione vera e propria può essere frammentata in una serie di sotto-fasi che
prevedono delle attività specifiche, volte alla realizzazione del prodotto televisivo:
1. Ideazione;
2. Pianificazione;
3. Pre-produzione;
4. Produzione;
5. Post-produzione.
Per il prodotto televisivo la comunicazione tra i vari partecipanti al processo è fondamentale
e si riflette sulla qualità del prodotto finale.

Le nuove dinamiche delle organizzazioni produttive coinvolgono, anche se in misura diversa,


l'insieme delle forme di lavoro.
La produzione e la distribuzione audiovisive si presentano come attività economiche
complesse: con la rivoluzione digitale e la conseguente crescita e diversificazione
esponenziale delle imprese di comunicazione, si sono verificate delle conseguenze sulla
produzione e la stessa distribuzione.
Inoltre, i professionisti fanno i conti con la flessibilità: l'incertezza delle strategie, i costi
dell'innovazione e la riduzione di quelli della produzione, la velocità delle risposte operative
impongono cambiamenti strutturali nell'organizzazione del lavoro di varia natura.
La nuova economia si configura come un fattore di forte dinamicità che va a favorire una più
ampia autonomia personale. L'iniziativa personale diventa una rilevante componente del
successo imprenditoriale nella logica d'approccio con i nuovi mercati (Internet, finanza, etc.).
Il problema principale è chiedersi quanto il sistema dell'audiovisivo e dell'ICT sia in grado di
mantenere la propria forza, senza garantire un impianto strutturale di copertura ai propri
operatori: in un mondo dell'impresa e del lavoro organizzato sempre più per network,
dunque, bisogna rafforzare gli strumenti e le strutture di mediazione e convergenza tra le
dimensioni politiche, economiche, di formazione e di ricerca, stimolando occasioni di
dibattito volte alla risoluzione e all'anticipazione dei limiti delle politiche pubbliche.
Solo così si potrà garantire l'equilibrio sociale, la dignità delle persone e delle professioni.

Il digitale cambia le regole del gioco, soprattutto nel settore dell'audiovisivo: aggiornare la
mappa delle professioni nel passaggio dall'analogico al digitale sembra diventata
un'esigenza.
L'economia ed il mercato del lavoro stanno subendo forti trasformazioni dovute a
l'imponente evoluzione tecnologica in atto da tempo in quasi tutti i settori: tale processo di
sviluppo ha fatto sì che nascessero nuove figure professionali flessibili, in grado di lavorare
in ambiti in continua evoluzione.
La tecnologia offre molteplici possibilità di sviluppo —> trasversalità, multifunzionalità,
multidisciplinarietà e flessibilità sono le parole chiave per ricostruire in sintesi l'identikit dei
nuovi professionisti dell'audiovisivo.
Si evincono quindi figure ibride, definite "figure tecniche e di artigianato": anche in momenti
di transizione, la comunicazione mantiene il suo posizionamento strategico tra potere e
società, facendosi carico della rappresentazione e della costruzione della realtà per platee
molto vaste.

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