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occorre osservare la nascita del consumo televisivo di massa, la cui esplosione di mostra alla
congruità del progetto imprenditoriale messi in atto dalla Rai. Il capitalismo italiano trova in effetti
nel nuovo medium o una singolare ipotesi di sviluppo; abbandono altri settori dell'industria
culturale e. Decisamente sulla televisione che, dopo il primo anno di assestamento, vede aumentare
la propria audio e se con indici di incremento rapidi ed elevati.
Proprio laddove maggiore fu il suo consumo, cioè nelle zone sotto sviluppate del sud, fu subito
evidente che lo spettacolo televisivo avrebbe cambiato i modi di vita e le abitudini delle masse
molto più di quanto non avesse fatto la radio né gli anni 30.
Nasce così, con caratteristiche originali, l'apparato televisivo; esso denota un orientamento politico-
culturale dell'industria del tempo libero radicalmente nuovo: il tentativo di creare un pubblico
unificato, al quale proporre modelli di informazione e di comportamento standardizzati.
L'apparato della televisione nasce con connotati del tutto nuovi per l'Italia. Innanzitutto, e se
separato dagli altri apparati del tempo libero e funziona secondo logica di un'impresa orientata a
produrre su scala industriale; in secondo luogo, esso produce beni di consumo in condizioni di
monopolio, quindi con un enorme vantaggio rispetto ad altri produttori; in terzo luogo, l'apparato
televisivo dove sarà tradizionale logica capitalistica, secondo la quale è il mercato che condizionala
produzione, programmando contemporaneamente si era produzione che consumo: l'apparato forma,
cioè, il suo pubblico.
Lo schema orario giornaliero e settimanale è costruito su appuntamenti fissi tuttavia un vero e
proprio palinsesto concepito come progetto, come strategia dell'offerta manca nella televisione dei
gli inizi.
Le prime preoccupazioni relative all'organizzazione dei programmi sono soprattutto di opportunità
politica; da un lato è indispensabile presentare un'offerta ordinata e puntuale, dall'altra o con
l'abituare il pubblico a un ascolto continuo, non casuale e non darà storico, evitando di interferire
troppo bruscamente con la quotidiana organizzazione di studio, di lavoro e di riposo degli italiani,
in tutte le diverse fasce di età.
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massiccia, l'uso del tempo libero. Esso tende a organizzarsi in maniera sempre più ampia all'interno
dello spazio domestico, ed è questo spazio che si pone come sbocco naturale del consumo
televisivo.
Di fronte a questa situazione, ad ogni modo, gli esercenti cercarono di parare il danno ricorrendo a
un accordo diretto con la televisione. In un primo tempo, ad esempio, ottennerolo spostamento di
"la sono doppio?" Da sabato giovedì, per far fronte alla contrazione dei gli incassi al fine settimana,
generalmente i più alti per l'esercizio cinematografico.
5. Pulpito e cattedra
Ai mezzi di comunicazione di massa, dalla radio al cinema, alla stampa per ragazzi, e infine alla
televisione, veniva riconosciuta una indiscussa funzione educativa e di orientamento, una generale
capacità di interpretare le aspirazioni e la domanda culturale della massa. La televisione, per la
forza stessa della sua attrattiva, apparve subito come lo strumento fondamentale di intervento
sociale ed un'occasione irripetibile di modernizzazione della cultura in senso antilaicista. Su altri
centri di produzione culturale e l'influenza delle cartello cattolico-democristiano si era fortemente
ridotta. In quella che possiamo definire storicamente una prime ipotesi di lottizzazione, la
televisione fu dominata dall'area politica che, nel campo dell'industria culturale, non aveva che
pochi strumenti di intervento.
Un nuovo rapporto con il pubblico, ovverola suddivisionela distribuzione dei generi in relazione
alle fasce orarie e alla composizione qualitativamente differenziata dell'audienza, indica che il
gruppo dirigente al quale è stato affidato il compito di espandere, con grande rapidità ed efficacia, il
servizio di televisione in tutto il paese sta lavorando dei segni di un progetto culturale di notevole
maturità. L'attenzione agli aspetti morali della comunicazione per l'immagine, pur se dettata da
preoccupazioni eminentemente religiose, denota già una complessa e articolata concezione del
mezzo.
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la televisione in contro la maggior popolarità tra quelle categorie sociali e in quelle regioni che si
sentivano maggiormente escluso della vita moderna. Per buona parte degli anni cinquanta fu
generalmente considerato come cinema di poveri, e non senza ragione:la semplicità e
l'immediatezza delle immagini televisive sembravano conformarsi perfettamente alle qualità
tradizionali di gran parte della cultura popolare del paese. Una inchiesta ormai storica di
Calamandrei confermò che l'accoglienza favorevole riservata alla televisione fu rapida e generale.
Infatti anche se, c'era solo una minima percentuale di persone che possedevano la televisione (anche
nei locali pubblici), quasi tutte le persone avevano guardato la televisione. Questo apparecchio
agiva, quindi, come una sorta di rito di transizione pur essendo essa stessa uno dei fattori di questa
transizione. Il mondo popolare subalterno, per la prima volta nella storia d'Italia, veniva strappato
dalle sue tradizioni e dal contesto, spesso millenario, delle sue esperienze primarie e veniva spinto a
integrarsi con la grande platea collettiva.
La struttura dell'ascolto favoriva questa integrazione. Le ore di trasmissione erano divisi in due
grandi fasce quella pomeridiana era dedicato ai ragazzi; quella serale, fino alle 23, dedicata agli
adulti. La domenica le trasmissioni sentivano di mattina per i consueti appuntamenti religiosi; la
sera veniva sospeso il telegiornale, che poteva già vantare 516 edizioni annuali per 141 ore di
programmazione. Il telegiornale divenne realmente quotidiano solo nel 1956.
Paolo Monelli mettere in guardia dei pericoli della televisione. Pasolini, in modo più profondo e
angoscioso, si sarebbe interrogato sulla trasformazione di un mondo che aveva visto la scomparsa
delle lucciole. Colpendola televisione si volevano colpire modelli del capitalismo consumistico, il
mito del profitto, i simboli di una società in evoluzione. Per gli intellettuali, soprattutto per quelli
schierati e le "ingannati" nei partiti della sinistra sociale comunista, la televisione minacciava
l'egemonia di un magistero esercitato in quasi tutti i settori tradizionali della cultura. Purtroppo gli
intellettuali saranno gli ultimi a capire quello stava accadendo; la resistenza al cambiamento ed è
segno del timore di perdere uno status che i primi dieci anni di democrazia, nonostante tutto dopo,
avevano loro garantito.
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schermo grandi opere edite italiane e straniere. Il fullieton televisivo e l'ultima trasformazione di
una forma narrativa che si collega ai generi più disparati del romanzo ottocentesco, che mescola gli
ingredienti e i materiali letterari più eterogenei.
la televisione va alla ricerca di una propri identità stilistica per affrancarsi dai condizionamenti e
dall'ipoteca del suo grande rivale, il cinema. Ma nonostante le aperture verso dimensione più
narrative o addirittura cinematografiche, i modelli dell'esperienza teatrale continueranno ad essere
di riferimento privilegiato di questo genere, che rimarrà sostanzialmente immutato per tutti gli anni
sessanta e 70.
Dei territori della drammaturgia televisiva manca invece una consistente produzione di testi
originali, cioè scritti o addirittura commissionati per il piccolo schermo.
Dopo una lunga fase di avvio dell'esercizio la Rai comincia ad affrontare con maggior
consapevolezza anche la questione dell'ampliamento delle proprie fasce d'utenza. Il pubblico dei più
giovani e ancora considerato con rispettosa cautela e, del resto, nell'offerta complessiva di
televisione non mancano programmi, come dire "a tutto campo".
La televisione si preoccupò di integrare nella sua offerta tutti i possibili segmenti generazionali,
arricchendola propria gamma di prodotti congiuntamente con l'estensione degli abbonati. Emerge
così in questo periodo una primavera all'articolazione del palinsesto attuato per scelte qualitativa e
orientata all'individuazione di nuove fasce di ascolto. Ma televisione dei ragazzi cominciassero al
centro delle indagini del servizio di opinioni.
Ai programmi destinati giovani fu data una denominazione precisa, la "tivù dei ragazzi", con tanto
di stile d'apertura e di chiusura, uno spazio ispirato, sia sul versante dell'ideazione che su quello del
consumo, a una singolare mescolanza di evidenti ambienti di pedagogici e risultanti spettacolari.
D'espressione di riuscita di questa tendenza fu "lo zecchino d'oro".
Con la consulenza del ministero della pubblica istruzione avere organizzato, nel 1958, il primo
corso completo d'istruzione secondaria per l'avviamento professionale. Le trasmissioni si
rivolgevano i ceti più poveri e disagiati, ragazzi domiciliato in piccoli paesi di montagna, in località
ma collegate e non fornite di scuole secondarie.
Nasce così "Tele scuola", un esperimento di educazione distanza che prosegue fino a 1966 con
diversa impostazione metodologica e sempre condotto attraverso una capillare anche se modesto
organizzazione depose d'ascolto collettivo.
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In generale, per quanto riguarda il decennio successivo l'inizio del trasmissioni televisive, la prima
reazione della radio sembra quella di "giocare in difesa", puntando sul prestigio della propria
tradizione e sfruttando anche qualche effetto di rimbalzo dei programmi televisivi. L'offerta di prosa
si fa imponente. Si arriva a programmare una commedia al giorno, presentando anche sulla "Radio
corriere" un vero e proprio cartellone teatrale, nel quale vengono messe in rilievo le novità assolute,
le novità per l'Italia e le prime esecuzioni radiofoniche.
Certo, la cultura degli anni cinquanta fu ampiamente trattata con tutte le precauzioni e le censure
richieste dalla casa etica "imparzialità" dei programmi. Tuttavia nessuno scrittore o studioso
possente dei programmi radiofonici. Si registrò anche processo posto a quanto era accaduto
inizialmente: non più il passaggio dal libro alle programma radiofonico, ma dal programma
radiofonico al libro.
5. Ritorno a casa
Surclassando la radio, l'esperienza "leggera" della televisione di questi anni stabilisce
prepotentemente l'egemonia del mezzo, che sconvolge le abitudini degli italiani, che corrisponde
alla domanda assai viva delle "fantasticare". Autori ed interpreti vengono ripresi direttamente dal
grande serbatoio del teatro di vista e varietà.
Infine, e l'incrocio fra i quiz e lo spettacolo leggero che agisce come straordinario moltiplicatore
produttivo, contribuendo in maniera decisiva all'aumento del genere nel palinsesto della televisione
tradizionale.
Appena tre anni dopo l'inizio di "Lascia o raddoppia?" Nascono due programmi che saranno un
definitivo lancio di questo settore: "1,2 e 3" presentato da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, e
"Musichiere", condotto da Mario Riva.
Non solo pubblico è in costante sviluppo ma televisione è sempre più utilizzata come mezzo
privilegiato per l'impiego del tempo libero in ambito privato.
"Carosello" stabilisce il collegamento a fare tradizione di un costume familiare, che scandisce i suoi
tempi lenti nell'universo ancora fondamentalmente provinciale della realtà italiana, è la proposta
innovativa dello spettacolo televisivo che irrompe nel nuovo sistema di riferimento nazionale-
comunitario. Aperti " carosello" rappresenta una storia a se nel panorama di ogni discorso
sull'immagine: una serie di costume e, nello stesso tempo, di linguaggio e di creatività.
Questa trasmissione una nota ricordata come compendio di storia dello spettacolo e del cinema
italiano.
I controlli sulle sceneggiature erano attenti severi. Molte non venivano ritenute adatte alla
realizzazione e ogni regista ricorda piccoli e grandi problemi di censura. C'erano regole fisse per le
durate dei messaggi pubblicitari e per il loro inserimento, che obbligava no a scelte precise di
struttura nelle storie; ma c'erano anche indicazioni rigorose per tutto quanto riguardava ciò che non
poteva essere mostrato in televisione: sesso, adulterio, l'uso eccessivo, oggetti superflui. A
"Carosello" non comparivano mai a ambienti, pur confortevoli e allettanti, che fossero troppo
lontani da quelli conosciuti da una piccola borghesia impiegati sia. La pubblicità non doveva creare
troppi desideri né suscitare odio di classe.
Associare il consumo di beni a uno stile di vita attraente non era un'invenzione italiana; italiano fu
solo il suo adattamento a una realtà molto più semplice e povera di quanto non fosse quella del
paese che aveva scoperto la pubblicità televisiva.
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Nel 1958 di servizi giornalistici riempiono 878 ore di trasmissione, con un incremento del 37%
rispetto all'anno precedente. Sono aumentate anche le dirette. Ma la vita politica era ancora
raccontato con cautela.
Di fronte a una situazione così ben descritta, forse di posizione e quelle laiche e cominciarono una
dura requisitoria contro la televisione, così come era caduto anni prima con la radio; ma se ne
l'aggressività parlamentare delle sinistre non vi erano nere ali proposte nei concreti indicazioni di
cambiamento, nello schieramento laico, al contrario, cominciarono a farsi avanti alcune ipotesi di
trasformazione dell'assetto giuridico della concessionaria Pooh auto la storia della Rai, d'ora in poi,
vedrà strettamente intrecciati di percorso della programmazione, del rapporto con il pubblico, della
crescita e dello sviluppo aziendale, espresso in ore trasmesse e dati di ascolto, con le distanze
politico-sociali che tendevano a cambiare le regole del gioco, apre spazi a tentativi di
privatizzazione, rompere il monopolio. Pastore della radiotelevisione, d'ora in avanti, appare
costellata da una serie di tardi di compromessi attuati pur di conservare la monoliticità del
monopolio alla democrazia cristiana, prima, e alla sua alleanza consociativa con altre forze
politiche, dopo.
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Dal punto di vista Mass media logico tre furono i principali fattori di cambiamento di quest'epoca:
1) della modificazione del consumo nella differenziazione del pubblico; 2) la ristrutturazione
dell'offerta mediante una più avanzata concezione del palinsesto; 3) la decisa influenza delle
tecnologie sul linguaggio televisivo.
Dei primi anni sessanta il consumo di televisione abbia sempre più su base familiare mentre
perdono importanza di gruppi di ascolto spontanei e istituzionalizzati. Poco a poco scompare il
consumo comunitario della televisione, tipico dell'esordio.
È certo però che proprio la televisione e riesce a creare le principali occasione dell'unità familiare.
Si tratta di un nucleo ormai più coeso, più consapevole, più informato, sul quale occorre agire con
strumenti - greggi. Non a caso, nel pieno dei gli anni sessanta, si abbandona il codice di
autoregolamentazione, migliora il telegiornale, si moltiplicano le rubriche di informazione e, nel
campo dello spettacolo, si adottano modelli di maggiore originalità della Rai diventa sempre più
consapevole della propria identità di apparato e non si limita più a presentare materiali fortemente
disomogeneità all'interno delle singole collocazione, non vuole soprattutto guidare e orientare il suo
pubblico attraverso una più raffinata strategie di consumo. L'offerta televisiva non è più vissuta
come fruizione occasionale di un singolo programma, ma tende a trasformarsi in abitudine di
ascolto.
Il campo nel quale il potere di controllo venne invece esercitato con conseguenze immediate sul
linguaggio televisivo e sullo stile della programmazione su quello tecnologico, solo apparentemente
di più neutro pastore dello sviluppo del linguaggio televisivo e infatti la storia del progressivo
sottrarsi della televisione alle possibilità di controllo esercitato dalle tecnologie. Da questo punto di
vista il periodo iniziale del servizio fu anche quello della maggior rigidità del rapporto tra una
struttura che vuole comunicare è un pubblico che riceve la comunicazione. In questa prima fase
della produzione era dominata dallo "studio" e i linguaggi più diffuso quello del romanzo
sceneggiato in diretta, estremamente semplice e immediato.
Queste prime innovazioni influenzerà nel linguaggio potuto decennio. Le trasmissioni informative,
sempre più spettacolo realizzato, modificano profondamente il sistema del giornalismo televisivo;la
nascita di nuovi generi esordisce una fase di pura e semplice riproposizione di quel esistenti e crea
nuovi stili e nuovi divi, che si impongono esclusivamente attraverso la televisione. Il montaggio
elettronico favorisce l'abitudine dello spettatore al ritmo cinematografico del racconto,
determinando un duplice effetto positivo: da un lato, all'inizio di una programmazione
cinematografica di alto livello filmico culturale, e, dall'altro, una autonoma produzione di cinema
per il piccolo schermo che porterà a lavorare per la Rai i più grandi autori italiani. Anche romanzo
sceneggiato, che SI con un momento si era piegato solo in casi di estrema necessità i
condizionamenti della macchina da presa, subisce questo contagio.
Ma, accanto questi risultati, il controllo della tecnologia ed esiti anche negativi attraverso la "rottura
della contemporaneità" in quelle trasmissioni che avrebbero dovuto consacrare l'esaltazione: i
programmi informativi.
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Questa politica dei generi si toglie molto bene, in tutta la storia della televisione, nel rapporto solido
e costante che si stabilisce, nel corso degli anni, tra informazione televisiva e avvenimenti sportivi.
La varietà delle forme con cui questi ultimi sono stati sempre proposti sul piccolo schermo, dà
notizia della rubrica, dalla ripresa di rete integrale a Le sintesi dimostra la duttilità del linguaggio
televisivo non riuscire a spettacolarità dello sport.
Nel gennaio del 1961 il decennio televisivo si apre sullo spettacolo delle gambe, senza casa maglia,
delle gemelle Kessler. Queste propongono un erotismo "fredde", che non emoziona e non turba,
quindi lecito.
Affidata per molti decenni soprattutto alla divulgazione radiofonica che ne celebra,la presenza
dominante nel costume nazionale, l'attenzione e diventata, nell'epoca della televisione di massa, uno
dei capisaldi della programmazione leggera. Il richiamo della canzone aveva già fatto parte degli
spettacoli più dimenticati e curiosi della prima televisione italiana, programmati nel tardo
pomeriggio, senza pubblico, con le semplici scenografie allusivo e di un salotto, di un angolo bar, di
un piccolo locale per bravi ragazzi.
In un paese che aveva fatto della televisione la punta di diamante della propria proposta di
socializzazione culturale, il divismo assume una fisionomia del tutto particolare è "nostrana". Senza
questo retroterra, senza l'assoluta centralità che la televisione aveva assunto nella vita degli italiani,
non sarebbe stato possibile rinascere di personaggi come Pippo Baudo o Raffaella Carla, soprattutto
non sarebbe stato possibile creare uno star system dai connotati così popolari. La concorrenza con la
televisione commerciale svilupperà ancora maggiormente questo trend, ma negli anni sessanta le
premesse c'erano già tutte.
Parve allora che il mezzo televisivo avrebbe potuto inserirsi più intensamente anche nei processi
scolastici attraverso programmi di carattere "integrativo" dell'insegnamento in aula.
Solo con l'inizio degli anni 70 la fusione della televisione scolastica ed educativa verrà di pensata
come allargamento dei contenuti culturali della scuola tradizionale. Il nuovo ciclo nascerà con
finalità ed esigenze completamente diverse, facendosi portatore di proposte didattiche avanzate allo
scopo di stimolare il mondo della scuola ad aprirsi alla sperimentazione le tecnologie educative. In
quegli anni ben ed inoltre sperimentati rapporti di proficua collaborazione con istituti di ricerche
italiane all'avanguardia nel campo della metodologia dell'apprendimento.
La storia in televisione si è stato oggetto di riflessione di approfondimento proprio da parte dei
giornalisti. La televisione ha infatti contribuito a rendere, nel tempo, tornare giornalisti più attente
scrupoloso e, imponendo sistemi di controllo che in passato o venivano tenuti scarsa considerazione
o addirittura trascurati.
5. Lo spettacolo riprodotto
I generi nati dalla specificità del mezzo rappresentato nel presupposto per la costruzione di un
rapporto intenso fra la domanda sociale del pubblico e l'offerta del prodotto televisivo; al contrario,
i generi organizzati su modello dello spettacolo riprodotto affollavano il palinsesto televisivo
soprattutto per ragioni, come dire, istituzionali. Il compromesso che nei primi quindici anni si
stabilisce fra le televisione, da un lato, e i teatri cinema, dall'altro, obbedisce a un primo tempo a
criteri di saccheggio e di fango citazione, ma successivamente si ispira a criteri di doverosa
documentazione di linguaggi espressivi narrativi, che la televisione cattura cercando di facilitarne le
sovrapposizione ed evitare danni reciproci. Se un'intera generazione di italiani ha potuto assistere a
una quantità notevoli di rappresentazione teatrale lo si deve alla televisione.
Fatta eccezione per le riprese "esterne" precedenti l'avvento della video registrazione, un vero
proprio rapporto produttivo fa televisione e teatro comincia solo nel momento in cui il mezzo
elettronico si metta servizio della realtà scenica, "traducendo" è "adattando" di linguaggi di
quest'ultima.
Superata ben presto la fase "radiofonica" della supremazia del testo, il terzo televisivo si avvale
degli elementi propri del linguaggio elettronico realizzando vere e propria messinscena d'autore.
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Non è il palinsesto settimanale della programmazione cinematograficasi articola ora incide d'autore,
rassegne, edizioni critiche presentate e commentate in studio. Sembra di assistere a un grande
cineclub popolare. I telefilm americano, ma anche europeo, padrone di molte serate televisive, non
sembra più incontrare di il favore del passato.
Alla base di questa svolta c'è la consapevolezza che il mezzo si trova in un passaggio delicato della
sua funzione sociale e che per mantenere la propria egemonia occorre procedere a robuste
innovazioni anche strutturali; ma non va trascurata l'aspirazione del gruppo dirigente cattolico di
vedere colmare un vuoto ideologico e stabilire una concorrenza politica e non solo culturale con il
grande apparato commerciale cinematografico ancora influenzato dallo schieramento di sinistra.
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In questo periodo, più che l'autore tradizionale di radiodrammi, si afferma la figura del regista
autore, chiamato a diventare nuove modalità di montaggio su una suggestiva partitura di voci,
musica e suoni. L'originalità del montaggio consentiva di rendere spettacolare anche una rubrica di
informazione sul teatro.
Su queste premesse nascerà nel 1973 alla serie delle "Interviste impossibili", che restano nella storia
della radio un esperimento unico, per valore artistico e prese spettacolare, nei rapporti spesso
scontrosi e diffidenti tra gli intellettuali italiani e la radio e televisione pubblica.
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2. Fermenti nell'etere
D'ora in poi il quadro si complica. Il sistema radiotelevisivo nazionale cominciò a registrare
l'ingresso di numerosi altri soggetti potenziali; inoltre, le trasformazioni dell'assetto economico e
industriale del paese fanno sentire il loro effetto anche sull'attività produttiva della Rai. A partire
dall'ultimo del 1973 alla grande crisi che investe tutti i paesi capitalistici colpisce anche l'Italia con
pesanti ripercussioni sulla sua politica economica e sociale, che durano per tutto il corso dei gli anni
settanta. Diventata una delle nazioni più industrializzato del mondo, l'Italia si trova esposto a una
forte ondata di recessione.
La crisi non determina tuttavia stagnazione ma a 100 e dinamismo, che a nuove forme di
aggregazione, nuove mode, e contemporaneamente distrugge vecchi valori e vecchie mentalità.
Come vedremo, ancora una volta il modello americano e alla base della formazione di nuovo
quadro sociale ma, per quanto riguarda la nuova fase della produzione e del consumo
radiotelevisivo che si sta aprendo, esso sarà mediato e trasformato da caratteristiche del tutto
italiane, al punto da renderelo irriconoscibile. Il processo di privatizzazione dell'attività
radiotelevisiva assume due direzioni. Da un lato l'aggressiva concentrazione di grandi gruppi
editoriali; dall'altro la frammentazione alla polarizzazione delle iniziative ad opera di piccole
imprese sparse su tutto il territorio nazionale.
Tra il 1973 e 1974 le miniere di via cavo che sorgono un po' dappertutto in Italia ricordano
l'entusiasmo amatoriale dei primi radioascoltatori negli anni venti, ma ben diversa e la percezione
del mercato potenziale che si sta trasformando nella varietà dei gli interessi in gioco. Dopo aver
cominciato a trasmettere regolarmente, Telebiella viene fatta tacere nel gennaio del 1973. Solo un
pronunciamento della magistratura autorizza l'emittente riprendere la sua attività dopo aver
contestato uno vuoto giuridico del codice postale che, fermo al 1936, non prevedeva installazioni di
televisioni via cavo. Se il 1972 fu segnato da grandi dibattiti sulla riforma della Rai, l'anno
successivo, accanto a moltiplicarsi delle proposte riformatrici, vide l'ampliasse della battaglia
giuridica sulla legittimità delle stazioni locali via cavo. Queste sono ormai molto numerose e, in
base al nuovo codice postale, modificato dal ministro Gioia, tutte fuori legge. Gran parte del mondo
politico si oppone all'applicazione del nuovo articolo del testo unico: i repubblicani chiesero la
sostituzione del ministro delle poste e telecomunicazioni; comunisti e socialisti definirono del tutto
arbitrario la sua decisione.
Il paragrafo continua a spirando i vari passaggi politici fino alla legittimazione delle reti private.
4. Reti e testate
Soltanto dal primo febbraio 1977 la Rai aveva avviato ufficialmente le trasmissioni televisive a
colori: un ritardo che aveva pesato su tutto il comparto della nostra industria elettronica.
La televisione cambia volto, cambierà domande l'atteggiamento del pubblico del momento in cui
cambiala società italiana. La rottura del monopolio non fu una causa ma un effetto necessario di
queste trasformazioni che la politica riuscì a governare solo in parte. Soltanto con la rottura del
monopolio, l'azienda, anche se a tentoni inizialmente, ma con forte e dinamismo nel volgere di due
anni, riuscirà a superare il vecchio modello di consumo recuperando la sua dimensione d'impresa.
la riforma del 1975 aveva infatti rappresentato il tipico prodotto di una cultura della comunicazione
Palio industriale e anti capitalistica, frutto di un compromesso politico tra i biologi e spesso
addirittura contrapposte che consisteva nel fare proprie le istanze della sinistra mantenendo
inalterata e alle premesse culturali della tradizione cattolica. Il risultato fu un rilancio difficile della
programmazione e la perdita di competitività tecnologica.
Tuttavia la Rai, intorno alla metà degli anni settanta, continuava ad essere il punto di riferimento
centrale della produzione di programmi radiofonici e televisivi, il carrier fondamentali dell'industria
culturale del paese. La sua organizzazione produttiva in questo momento tende d'istituire nuove
fasce di ascolto, poiché è chiaro che il pubblico tradizionale sta rapidamente cambiando la sua
fisionomia. La televisione della riforma, modificando alcune caratteristiche strutturali, produce
continuamente pubblico. Sempre maggiore importanza assume, nella Rai riformata, la
determinazione dei palinsesti sui quali si gioca tutta la riqualificazione dell'audience, ancora prima
che sorga la tirannia degli indici di ascolto.
Una nuova organizzazione aziendale prevedeva l'autonomia delle produzione della programmazione
delle reti televisive (tv1 tv2) delle testate giornalistiche televisive (tg 1 Tg 2 e radiofoniche (gr 1 gr
2 gr 3), delle reti radiofoniche e di una nuova struttura centrale è nata perla produzione di
trasmissioni didattiche, il dipartimento scuola educazione. L'azienda, che era stata tenuta
strettamente unita in tutte le sue parti dalla logica del controllo ha centrato da Bernabei, viene
suddivisa in molteplici centri operativi, dotati di largo autonomia, con i quali si inaugura ma un
regime di concorrenza interna, anche o soprattutto fra differenti aree politico-ideologiche, ma che
avrebbe comunque dovuto esprimere vitalità e ricchezza di nuove alternative nei linguaggi, nelle
formule, nei contenuti, insomma nell'offerta complessiva dei palinsesti anche se ormai
autonomamente concepiti.
Le due reti procedette subito a impostare la propria linea editoriale. Mentre la prima vuole
comportarsi come grande rete popolare, acquisendo personaggi, tematiche, tipologie di programmi
della grande eredità del passato, alla seconda fatico maggiormente a trovare un'identità
riconoscibile, come indicato nelle premesse politico culturale della riforma.
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Con l'inizio delle trasmissioni della terza rete, nel 1979, la Rai intende continuare ad assolvere ad
alcune funzioni ormai del tutto di cadute dei palinsesti delle altre due. In una logica ancora
monopolistica era stato coordinato uno studio preparatorio per questa rete, che avrebbe dovuto
accogliere la richiesta di partecipazione dell'Italia minore alla costruzione televisiva dell'immagine
nazionale. Ma dal punto di vista della strategia del palinsestola terza rete rappresentava già allora
una scelta di retroguardia. Anziché di spiegare con forza tutte le sue possibilità produttive sulle tre
reti, la Rai scelse, o meglio fu costretta a scegliere, per la terza, la strada del giornalismo e della
programmazione para culturale.
E spiegazione del suo sostanziale fallimento sta nel fatto che si era dato vita a qualcosa che nessuno
aveva realmente voluto, tranne le forze politiche e sindacali locali che si battevano danni per il
"decentramento ideativo e produttivo della Rai".
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6. La rottura dei generi
I settori in cui la riforma produsse notevoli cambiamenti strutturali e di contenuto fu quello di
programmi culturali e informativi. Come sappiamo era qui che il progetto pedagogico che aveva
fondato buona parte della televisione tradizionale aveva trovato il suo terreno più fertile per
manifestarsi. Negli anni immediatamente precedenti la ristrutturazione decisa con la legge di
riforma, di quel progetto è ancora possibile osservare tracce qualitativamente levate.
Con la riforma, il sacrificio di programmi culturali comincia a consumarsi, non solo nel senso della
loro progressiva marginali ideazione all'interno dei palinsesti, ma soprattutto in quello della loro
spettacolari d'azione e trasformazione dei modelli linguistici. L'enfasi viene posto sulla diretta, nella
erronea presunzione di una sua supposta maggiore democraticità.
Si inaugura per l'informazione una stagione più agitata, più convulsa, sempre alla ricerca dello
scoop, del colpo di scena, della spettacolari d'azione delle notizie. Ritmo e più serrato, il linguaggio
più sciolto.
Nelle insieme si può dire che è in atto un vistoso processo di modernizzazione che tenta di adeguare
il modello dell'informazione radiotelevisiva italiano a quella liberale borghese d'oltre confine. Era
comunque una ventata di aria fresca, di velocità e di emozione, che entrava prepotentemente
nell'invecchiato rituale di ogni sera. L'obiettivo di rappresentare meglio la società italiana opera una
salutare rimescolamento è travaso di ruoli, di stili, di modi espressivi, e di genere, fra rete e testate
giornalistiche.
Questa rottura dei generi non va vista però come sconfinamento, peraltro abbastanza praticato, su
contenuti altrui, ma come scambio e intreccio di esperienza e di formule.
Gli italiani si stavano orientando verso noi interesse. Accanto le preoccupazioni per l'include dirsi
del terrorismo e alle tensioni derivanti dalla crescita di consensi verso il partito comunista; accanto i
timori per l'economia e i pericoli derivanti dalla crisi dello Stato sociale,, gli italiani cominciavano a
sentire il profumo dei gli anni '80, colla loro stabilità produttiva, il segno di un benessere ormai
diffuso, alla ricerca del piacere sempre più accanita. Il processo di modernizzazione della società
italiana era ormai giunto. Da dover sacrificare non pochi dei suoi valori tradizionali.
In questa fase di transizione, la Rai sa ancora esprimere, per merito del nuovo gruppo dirigente
arrivato con la riforma, il meglio della televisione tradizionale. In molte trasmissioni radiofoniche
televisivi della realtà sociale del paese entra con una forza d'urto e di percussione mai registrate in
precedenza. La rottura dei generi rende possibile una maggiore agilità produttiva. Tra il 1979 e gli
inizi degli anni '80 questa mutazione è visibile in alcuni programmi che, pur non facendo parte di
quel universo simbolico sue vittime del quale si misura inevitabilmente importanza storica di
qualsiasi programma, recano in sé tutti i segni del nuovo stile con cui la televisione affronterà in
seguito i grandi temi sociali.
L'alternanza ideologica e di contenuti delle due reti televisive, qui tra pocosi a giungere alla terza, è
spesso tuttavia a causa di confusione e di coordinamento. Esaurita questa fase di transizione le reti
si troveranno a dover affrontare la concorrenza spietata della televisione commerciale. Entrambe
saranno costrette a rinnegare i presupposti "politici" si quale si era basato il loro esordio. La
devastante in corsolo spettatore di meno infattilo stimolo per un continuo processo di spettacolari
d'azione dei palinsesti sempre più simili, caratterizzate da una progressiva espulsione di programmi
di "impegno" dalla prima serata onde poter lasciare posto a trasmissioni di pura evasione.
7. Il nuovo consumo
Abbiamo già ricordato che, nella storia televisiva, il macrogeneri dello spettacolo leggero va
considerato un luogo importante per l'evoluzione del linguaggio, della sperimentazione, delle
soluzioni tecniche ecc. Sono state le esigenze di questo genere a introdurre l'impiego di tutta una
serie di artifici, di tutti, fantasy registi che ecc. Gli anni settanta rappresentano la fine di questo stile
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e, tranne lo spettacolo del sabato sera sulla prima rete, al cui decadimento inarrestabile si oppone
solo la perdita c'è volontà di tener m'invita, il modello di successo diventa - lussuoso testo rivelante
ed occupa fasce di palinsesto tradizionalmente importate da questo genere.
Dopo la riforma, l'obiettivo della grave consumo televisivo, ottenute con il potenziamento delle
fasce di ascolto, modifiche quindi spazi, ruoli e punti di riferimento nei confronti del pubblico. Sono
cose ormai abbastanza note e ampiamente studiate. Ciò che invece è interessante osservare è che su
questo terreno si produce una vera rivoluzione della comunicazione televisiva. Se nel vecchio
progetto pedagogico le fasce di pubblico erano quanto rigidamente separate, al contrario, nella
nuova offerta che tende alla massima azione dell'ascolto concorrenziale, l'obiettivo del genere
leggero e quello di accontentare contemporaneamente i gusti e interessi più contrastanti.
Questo genere di programma costruisce d'ora in poi la giornata televisiva e rappresenta il tarantino è
essenziale per ancorare l'ascolto alle due reti riformate.
Gli anni immediatamente successivi maturano i presupposti da cui nasce questo genere nuovo: la
riscoperta della diretta, diffusione della radio delle televisioni locali con il loro flusso comunicativo
ininterrotto, la trasformazione della produzione radiofonica della Rai in direzione di un rapporto più
diretto e discorsivo con il pubblico.
Il talk show nasce quindi del flusso comunicativo dei tardi anni settanta come risposta prima
d'inquietudine sociale generato dal terrorismo e degli effetti della crisi economica. Dal punto di
vista della strategia complessiva della Rai gli genere fa balenare alti indici di ascolto attonito
attraverso corsi assai limitati.
Indipendentemente dalla volontà dell'apparato riformato, la televisione sta imboccando, per effetto
del meccanismo di concorrenza, una strada totalmente estranea al quadro progettuale a intenzioni
dei responsabili di rete. Ma, da un certo punto di vista, l'obiettivo della riforma e raggiunto:
raccogliere sul video l'Italia così come, non così come si vorrebbe che fosse. Ristorazione di un
nuovo ordine del palinsesto obbedisce a questo scopo. Quest'ultimo motor attraverso trasgressioni
multiple rispetto all'impostazione rigida e complementare della televisione del monopolio.
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cinema, e cioè la tecnologia che dalla fine della prima guerra mondiale ha gli anni cinquanta ha
dominato la "società dello spettacolo". Il successo della televisione ha rappresentato il segno più
vistoso del superamento di questa società, metropolitane industriale, a cui la sala buia aveva
spalancatolo spazio-tempo dell'immaginario.
E su questa base che si sviluppò modello di programmazione che le cinta in spazi dichiarati la
pubblicità e predispone a priori un offerta paternalistico a mente volta di equilibrare il macrogeneri
dell'informazione, dello spettacolo e dell'educazione. Nulla di strano, quindi, se il broadcasting si
organizza con una struttura autosufficiente, che si occupa di tutto il ciclo che dalla produzione porta
consumo, evitando deliberatamente scambi e sovrapposizioni con altre fabbriche, a cominciare da
quella del cinema.
Le novità costringe i servizi pubblici di radiotelevisione a ripensare compiti funzioni. In modi
diversi, a seconda delle tradizioni culturali e politiche dei vari paesi, le televisioni pubbliche sono
chiamate a riqualificare il broadcasting e alla luce di un sistema che ha di fatto rovesciato il
rapporto tra domanda e offerta.
Che cosa dalla caratterizzate sistema tradizionale del broadcasting della televisione monopolistica?
Innanzitutto la sua separatezza dal circuito economico, con una risorsa pubblicitaria fortemente
minoritaria e controllata, gestite con precisi limiti di ordine del geologico e di programmazione. In
secondo luogo una forte connotazione educativa, sottratta alla dittatura dell'audience, o meglio,
dove l'aumento del consumo era assicurato da un prodotto già venduto prima ancora di essere
diffusa. Infine un mercato di tipo protezionistico dove la riserva del broadcasting e allo Stato
impedisce la presenza di altri soggetti, si è nazionali che stranieri.
Spezzato il monopolio, era necessario armonizzare quanto di esso sopravviveva quella nuova realtà
d'impresa che sta emergendo impetuosamente nel comparto dei media elettronici e, in realtà, alcuni
tentativi in tal senso vennero fatti.
Nel periodo monopolistico l'ala della televisione si rivolgevano a un pubblico omogeneo, con i quali
rapporto era stato di generale affezione e di continua crescita qualitativa e quantitativa. Conla
nascita di nuovi soggetti, che in breve tempo si organizzano e assumono precise identità, si scopre
checi sono tanti pubblici che hanno caratteristiche, gusti e interessi sempre più frammentati. La
scolorita di massa e il benessere economico li ha inoltre resi anche più attenti ed esigenti. Una
domanda culturale così diversificate cresciuta non avrebbe mai potuto trovare un nella televisione
monopolistica il proprio soddisfacimento.
Poco a poco cominciava a diffondersi in Italia una opinione, anche autorevolmente sostenuto, che
subito pubblico non era più in grado di corrispondere a una situazione così profondamente mutata, e
che le nuove opportunità offerte da un sistema di libera concorrenza dono essere sfruttate si è in
fondo proprio per favorire la libertà e pluralismo. Cominciava una lotta combattuta senza esclusione
di colpi tra la radiotelevisione pubblica è il gruppo privato che era riuscito grazie al Silvio
Berlusconi, a conquistare una posizione di assoluto predominio nel mercato dei media.
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gli organizzatori. Ma la Rai che rifiutò a rete Italia la concessione del satellite. Medesimo rifiuto
anche da parte del ministero delle poste. Dopo febbrili trattative venne trovato un accordo.
Dal punto di vista delle opportunità Berlusconi ebbe il merito di capire che motore pubblicitario era
il vero centro propulsiva della televisione privata; dal punto di vista dello scenario esterno non gli
restava che approfittare abilmente sia della mancanza di regole del mercato, sia dell'accesso di
regole che imprigionava la Rai.
3. E il sistema "misto"
L'inizio degli anni '80, per la Rai riformata, e invece un periodo segnato da una profonda crisi,
dovuto alla mancanza di una direzione si piace, alla paralisi del Consiglio dei Ministri azione, con
un presidente già molto malato, alla politici dell'azione estrema di tutte le nomine all'interno del
servizio pubblico, all'aumento dei costi di gestione, alla debolezza di una chiara linea strategica. Da
molte parti si sente la necessità di rilanciarne la sua dimensione d'impresa.
Da questo momento si assiste a uno preoccupante ripiegamento del servizio pubblico che, presi in
contropiede, subisce l'offensiva di una strategia all'americana, la quale non è ancora preparato
rispondere, esso porta il peso di un condizionamento politico che sempre più sembra tradire
l'ispirazione di fondo della riforma.
5. La "fortezza Bastiani"
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Nel mercato dell'informazione si stava formando un grande. Mercato finanziario e industriale che
pareva grandi vantaggi non solo per l'opportunità offerte da un mercato pubblicitario in forte
espansione, ma anche per il disegno strategico che consentiva diversificazione e integrazione
produttiva e commerciale. A pochi si accorsero che, oltre al pluralismo culturale, occorreva
salvaguardare anche quelle pluralismo economico sul quale poter misurare un governo equilibrato
del sistema. Ma con la resistibile scesa del Cavaliere Berlusconi questo pluralismo subiva una
sconfitta molto grave. Essa dimostrava che di indubbia abilità nel condurre proprio gioco
imprenditoriale non poteva essere l'unico criterio per definire la vitalità di un sistema industriale, e
che la stessa nozione di mercato, in assenza di queste si regola, stendeva a perdere molte delle sue
caratteristiche primarie.
L'offerta notava sul prodotto cinematografico seriale, su personaggi vecchi, su pochissime idee
innovative. Tutta la televisione italiana era come bloccata su se stessa, prima di iniziative
fantasiose, di voglia di rischiare, di coraggio anticipazione. S'è tuttavia la logica prima artistica
sommata l'essenza di regolamento azione, mentre avevano creato regole di mercato generali molto
vantaggiose per chi, come Berlusconi, aveva saputo approfittarne, non aveva certo eliminato quella
normativa, ormai vecchia di dieci anni, alla quale il servizio pubblico dopo continuare ad obbedire.
La crisi del servizio pubblico era innanzitutto di carattere finanziario. La stagnazione dei proventi,
derivanti dalla "tetto" pubblicitario e da un canone non rivalutato, in un periodo di inflazione molto
elevata, e con l'aumento vertiginoso dei costi per acquisti e produzione, aveva la prima volta in
dieci anni causato un deficit e nel bilancio. Alle dannose ripercussioni sul conto economico
determinato dalla concorrenza si aggiungeva la campagna contro il pagamento del canone
organizzato dal partito radicale. Inoltre, nel espansione dell'investimento pubblicitario complessivo
la televisione, pubblica e privata, rastrellava la quota del 49%, di cui solo i 14% era appannaggio
della Rai.
Strettamente dipendente dalla competizione pubblicitaria quella dell'ascolto. A partire dal 1981 il
numero totale di telespettatori era andato anche se aumentando. Ma i contendenti si gettarono in un
vero e proprio scontro sull'audience a colpi di annunci e con pronunce sul risultato dell'ascolto.
Una realtà non governato continuò a provocare distorsioni dannose per la Rai che per il sistema
globale dell'informazione italiana. E questi momenti in cui si assiste ai fenomeni di abbassamento
del livello qualitativo dei programmi, di limitazione abnorme dei costi, di ricorso smisuratola
produzione straniera, di ripercussioni negative su altri strumenti di comunicazione, dalla stampa
quotidiana e periodica al cinema, al teatro, alle stesse emittenti locali minori.
6. Mercato e i palinsesti
In questi tre decenni di consumo televisivo talmente cresciuto da coprire vasti spazi della giornata.
Negli anni cinquanta la sua limitatezza produce un'attenzione se concentrata dello spettatore: di
semplice fatto di accendere televisore per un evento. Ma, col passare del tempo, più cresceva la sua
abbondanza dei segnali audiovisivi, divenuta addirittura straripa antico le televisioni private, che si
dilatavano i tempi delle frizioni televisive, divenuta come quella della radio, flusso ininterrotto,
rumore di fondo. Lo sguardo del telespettatore e come lo sguardo distratto del guidatore
d'autostrada, che attraversa senza emozioni scenari sempre nuovi e diversi. A una televisione ed
agonizzante, tutta in gradinata nel palinsesto, supremo regolatore di un'offerta concepita per
promuovere la qualità del consumo, era andato poco per volta sostituendosi un vorticoso momento
di margini apparentemente casuale ma in realtà regolate da un preciso ordine marketing oriented. La
pratica della televisione, dispersa in un enorme quantità di canali, ha finito per abbandonare quelle
che erano alcune delle peculiarità che avevano caratterizzato, al suo nascere, in mezzo di
comunicazione emergente nell'ambito della cultura di massa. La proliferazione delle emittenti, con
il suo flusso omogeneo e indifferente di messaggi di informazioni, aveva modificato l'elemento
primario della sua capacità comunicativa: il genere. E i palinsesti della televisione tradizionale della
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Rai della segmentazione dell'offerta era tutta fidata, come abbiamo ampiamente osservato nei
capitoli precedenti, alla mediazione dei differenti generi televisivi. I criteri ispiratori della
classificazione per generi erano abbastanza semplici: creare gruppi di programmi di più possibile
omogenei a loro interno e più possibile differenziati dagli altri gruppi; far corrispondere alla
tipologia dei programmi utilizzata dall'emittenza con quello utilizzato dal pubblico; mettere esatto
le diverse strutture produttive e promuovendo sempre più una politica di "marchi". I palinsesto della
televisione tradizionale aveva abituati pubblico al concetto di "appuntamento", cioè a una tipologia
di collocazione nella qualelo spettatore riconoscere sul genere preferito adeguando il suo
comportamento di ascolto.
Tutto questo non esiste più nel momento in cui la televisione commerciale comincia a imporla sua
leadership. Perdente nella costruzione di singoli programmi essa diventa vincente nella
pianificazione dell'offerta. Il suo talento non è quello di sapere produrre buoni programmi, come ce
l'abituato la televisione pubblica, bensì di produrre quote sempre più ampie di pubblico da rendere
al mercato dei gli investitori pubblicitari.
7. La neotelevisione
La formazione la moltiplicazione di pubblici differenziati, che le nuove scritture di palinsesti da un
lato frammentano, ma dall'altro contribuiscono ad alimentare, stanno portando, nella società
italiana, a una revisione radicale della "pubblico di massa". E lo stesso concetto di rete televisiva
come organismo centrale che tende a modificarsi, secondo le linee le cui origini risalgono alla fine
degli anni sessanta. Le diverse funzioni si separano;la produzione esterna cresce e crescono le
coproduzioni e gli acquisti; è sempre più si intravedono i nuovi sistemi americani che terminerà
hanno degli anni '90, la televisione via cavo, i satelliti, la televisione pagamento, dove la rete si
riduce al legame provvisorio delle singole stazioni con un'organizzazione di distribuzione
specializzata personalizzata.
A spettatore si scuote dall'inerzia e, dal terminale passivo della programmazione, comincia a
diventare l'artefice dei propri palinsesti. Se il contesto necessario quello di un'offerta molti rete, la
condizione tecnologica e invece esauditola da uno strumento che consente di saltare da un canale
all'altro e di scandire secondo ritiene assolutamente personale di percorsi del consumo. Nessuno
poteva, nessuna garanzia per i produttori, alloggiati in attraverso il telecomando agire qualunque
progetto di rete e, soprattutto, è il primo indizio di un'incrinatura del sistema, articolato quanto si
vuole ma tuttora monolitico, del broadcasting televisivo. Si rompe una dittatura e viene sconvolto
un rapporto unidirezionale.
I primi segni di una profonda trasformazione della natura della comunicazione televisiva si erano
avuti in anni lontani, ancora una volta, nel sistema americano dei media.
La neo televisione ha modificato radicalmente il senso di un comparto ormai primario dell'industria
culturale, ridisegnando completamente il rapporto di coinvolgimento dello spettatore, innovando i
linguaggi, riqualificando i generi, e persino stabilendo nuove forme di contatto con la politica.
La neo televisione determina un sostanziale ridimensionamento di questa funzione anche perché,
contemporaneamente, si assiste allo sviluppo di altre fonti di approvvigionamento culturale del
pubblico, soprattutto al campo editoriale e musicale.
Da questo ruolo, mio parere, nascono i caratteri distintivi della televisione: la serialità ripetitiva, al
conversatività a fabula tori, la proposta trasgressiva (che arriva fino al porno), l'esercizio
demenziale dei nuovi comici; cioè, pensarci bene, caratteri che sono tipici della fa l'autore della
modernità, e che si riscontrano nelle arti figurative, nella moda, in un certo nuovo teatro, in
moltissimo nuovo cinema.
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Nel 1986, in uno dei momenti più acuti della crisi libica, Enzo Biaggi era appena tornato da Tripoli
con un'intervista a di darsi per la rubrica spot. Era uno scoop straordinario ma Biagio Agnes
mediatore messi in onda per timore di tensioni e reazioni emotive (era appena caduto missile su
Lampedusa).
Si può interpretare questo fenomeno come l'ultimo tentativo di conservare la supremazia di un ruolo
pedagogico in quel ultimo lembo di monopolio che, tra l'altro, entro pochi anni sarebbe stato
definitivamente cancellato. Ma, con più realismo, sono persuaso che la profonda e tumultuoso
trasformazione in atto nel sistema di media abbia determinato una radicale ribaltamento anche nel
giornalismo televisivo.
Dopo terremoto del 23 novembre del 1980 la radio è la televisione hanno scritto una pagina
straordinaria di giornalismo popolare. Vorrei precisare che uso quest'espressione nel senso migliore
del termine, e non nell'accezione di "sottoprodotto", ma bensì i "vicino alle attese del popolo" un
tutto il giornalismo popolare, da questo punto di vista, in Italia lo ha fatto la televisione, occupando
uno spazio di mercato nel quale, non a caso, la carta stampata e non è mai riuscita ad avere una
posizione dominante. Il giornalismo popolare, più che dagli scavi telegiornali, è stato fatto da tutte
le trasmissioni che, fin dall'esordio della televisione, hanno mostrato la realtà, sostituendosi ad essa
con la forza delle immagini che vivono sempre di vita proprio.
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Finalmente la Rai, nella fase acuta della sua battaglia con la Fininvest, aveva imparato a
programmare attraverso tecniche utilizzate a tutto campo.
Nella successiva trasmissione, "Indietro tutta", programmato due anni dopo la medesima fascia e
col medesimo obiettivo, Renzo arbore opera definitivamente la distruzione del genere più corrivo, il
contenitore con uso di quiz che infesta le reti pubbliche ma soprattutto quelle private. L'operazione,
in negativo, mostra tutti sui limiti: è un'arma momentaneamente formidabile nella battaglia con la
concorrenza ma non è possibile usarla una seconda volta. È un evento e, come tutti gli eventi, e più
appetibile. Da quel momento la Rai sarà costretta a mettere in campo una dose continua sempre più
giornata di creatività per non arretrare di un solo. Nell'audience.
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Che alla fine degli anni '80 la questione legata alla ricerca di un modo nuovo di fare televisione
fosse un primo piano è ormai un fatto acquisito. Abbiamo già visto quanto programmi tipo drive in
fossero stati all'avanguardia di un uso meno sacrale del fare televisione. Eva francamente ammesso
che, nel 1986, su Italia 1, "striscia la notizia" un effervescente parole del telegiornale creata da
Antonio ricci, rappresenta nel panorama televisivo di quel momento un'imbarcazione di
straordinaria qualità. Ma è Raitre che funge da grande motore dell'innovazione, che rivela
personaggi come Chiambretti di, che progetta "Schegge", "La tivù delle ragazze" "blob" e, in
seguito, "Avanzi". La penultima detta soprattutto, realizza la sintesi di tutte le esperienze televisive
possibili.
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14. La risorsa tecnologica
Da protagonista a comprimario. Con lo sviluppo e la diffusione delle "nuove tecnologie"
elettroniche, dalla televisione si chiude una frase e se ne apre un'altra destinata a ridefinire equilibri
e gerarchia del sistema di medie. Non si può leggere l'ormai decennale impegno sperimentale di un
servizio pubblico come la Rai senza contestuali Zanone processo più ampio che negli anni '80
comincia a trasformare radicalmente il rapporto triangolare fra tecnologie, comunicazione e società
e, quindi, a ridefinire, il ruolo dei servizi pubblici radiotelevisive. L'elettronica non tollera
compromessi. Rappresenta un punto di non-ritorno, per quantità e qualità, da qui nasce una nuova
mappa del sistema della comunicazione che, solo per comodità concettuale, d'escludiamo con le
tradizionali partizione del ciclo classico. Sul versante del consumo e passaggio decisivo e quello
dall'"televisore" all'"vivi". Finisce, cioè, la monarchia di programmi e dei palinsesti etero-diretti, e il
vecchio prete diventa il terminale di una rete multimedia: videoregistratore, computer, pay-tv,
satellite. Davanti adesso non c'è più uno spettatore, ma un utente, collegato con un sistema di
opportunità tecnologiche che modo loro, e diversificano, una soluzione sempre più integrata.
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