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Bruno Neri
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Premessa
La presente edizione contiene, in forma di bozza, gli appunti tratti dal corso di Elettronica per le
Radiofrequenze da me tenuto per circa dieci anni nell’ambito del Corso di Laurea in Ingegneria
Elettronica. Si tratta di una formulazione preliminare che necessita certamente di una profonda
revisione sia dal punto di vista dei contenuti che da quello della veste editoriale. Ho preferito
procedere ad una stampa in questa forma non definitiva per due motivi principali: il primo consiste
nel fatto che desideravo onorare l’impegno preso con gli studenti dell’A.A. 2008/2009 a produrre
un testo, sia pure preliminare, prima dell’inizio della stagione degli esami; il secondo discende dal
fatto che il corso verrà tenuto nella forma attuale ancora solo per un anno a causa dell’avvento del
nuovo ordinamento dei Corsi di Studi in Ingegneria Elettronica che nell’AA 2010/2011 si estenderà
anche alla Laurea Magistrale. Pertanto: ora o mai più. E allora, in attesa di riunire e riorganizzare
il materiale didattico prodotto in questi anni per i corsi di Elettronica per le Radiofrequenze,
Circuiti Integrati a Microonde, Elettronica dei Sistemi Mobili di Telecomunicazione al fine di
renderlo idoneo e funzionale al nuovo ordinamento, mi è sembrato opportuno cominciare a dargli
forma “leggibile” per gli studenti sia per avere una prima base su cui lavorare, sia per accogliere
suggerimenti, critiche, richieste di modifiche e integrazioni. Questi appunti rappresentano, quindi,
il primo passo di questo lavoro che richiederà certamente diversi mesi per essere condotto a
termine. Invito, pertanto, tutti coloro che, trovandosi a leggere queste poche pagine, lo ritenessero
opportuno, a farmi pervenire le loro critiche, osservazioni e segnalazioni.
Un ringraziamento ed un riconoscimento particolare sono dovuti a due ex studenti del corso che mi
hanno dato una mano riversando in formato elettronico con attenzione e competenza gli appunti
presi a lezione: l’Ing. Martina Mincica per i Capitoli 1, 2, 3, 4, 6 e l’Ing. Alessandro Fonte per il
Capitolo 5.
Bruno Neri
2
Introduzione
3
denominazione convenzionale delle diverse gamme di frequenza, mentre in Fig. 1.1b sono
rappresentate le lunghezze d’onda corrispondenti.
f
LF MF HF VHF UHF (SHF) (EHF)
Fig. 1a
Fig. 1b
LF: low-frequency
MF: medium-frequency
HF: high-frequency
VHF: very high-frequency
UHF: ultra high-frequency
SHF: super high-frequency
EHF: extra high-frequency
v
Come è noto la frequenza f e la lunghezza d’onda λ sono legate dalla relazione λ = dove v è la
f
velocità della luce nel mezzo di propagazione del fenomeno. Considerando onde che viaggiano nel
vuoto (v = 3·108 m/s), otteniamo che a 300 MHz corrispondono onde con λ = 1m ecc. come
rappresentato in Fig. 1.1b
Fino agli anni ’60 le dimensioni tipiche dei circuiti e dei componenti elettronici erano di qualche
centimetro perciò si parlava di microonde per λ< 1 m. Al giorno d’oggi le dimensioni dei dispositivi
si sono molto ridotte. Per dispositivi integrati le zone attive sono addirittura dell’ordine del µm.
Comunque le dimensioni di un circuito integrato dipendono in definitiva dal package che sarà di
qualche mm fino a qualche cm. Per questo motivo si comincia a parlare di microonde con frequenze
superiori ad alcuni GHz.
4
Obiettivo del Corso di Elettronica per la Radiofrequenze è la descrizione dei principi di
funzionamento, dei circuiti e delle architetture, dei sistemi di radiocomunicazione. I sistemi di
radiocomunicazione servono, come già detto, a trasferire un’informazione a distanza senza fili.
L’informazione, nella sua accezione più generale, è rappresentata da una grandezza fisica s(t) che
varia in funzione del tempo. Tale grandezza, prima di essere trasmessa a distanza mediante le onde
elettromagnetiche, deve subire una serie di elaborazioni che la rendono idonea alla trasmissione.
Innanzi tutto è necessario trasformare la grandezza fisica in un segnale elettrico. Questa funzione
viene assolta dal blocco denominato trasduttore.
Tipicamente il segnale elettrico e(t) in banda base è contenuto in un range frequenziale che va da da
qualche Hz a qualche MHz. Un segnale a queste frequenze non è adatto ad essere trasmesso a
distanza in quanto sarebbero necessarie antenne di dimensioni paragonabili o maggiori alla
lunghezza d’onda e quindi di diverse decine di metri. Il segnale elettrico viene perciò “traslato” a
frequenze maggiori “mescolandolo” con un segnale a radiofrequenza del quale modulerà la fase,
l’ampiezza o ambedue. Questa operazione viene effettuata da un sottosistema denominato
“modulatore”. Prima di arrivare all’antenna che trasmetterà il segnale modulato è necessario
amplificarlo adeguatamente. A seconda delle applicazioni il segnale trasmesso avrà una potenza che
potrà variare da poche decine di milliwatt fino a diverse centinaia di kilowatt ed oltre. In Fig. 1.2 è
rappresentata questa parte del trasmettitore. L’oscillatore locale genera la portante a radiofrequenza
da “mescolare” al segnale in banda base.
mixer antenna TX antenna RX
Oscillatore
Locale
Fig. 2
5
Il segnale trasmesso raggiunge il ricevitore con una potenza molto inferiore a quella di trasmissione
a causa dell’attenuazione geometrica e delle perdite nel mezzo di trasmissione. In alcuni casi il
segnale ricevuto avrà una potenza di poche decine di femtowatt (1fW= 10-15 W): tanto basta ad
ottenere una ricezione intelligibile, ovvero ad essere in grado di ricostruire l’informazione trasmessa
con una probabilità di errore accettabile.
L’antenna si presenta come un generatore di segnale (il segnale ricevuto) con una impedenza
interna (l’impedenza di antenna) in ingresso ad un amplificatore a basso rumore.
Il primo blocco attivo in ricezione è perciò un amplificatore a radiofrequenza a basso rumore.
Il segnale amplificato, che è ancora un segnale modulato a radiofrequenza, è adesso abbastanza
“robusto” da essere elaborato dal blocco successivo che ha la funzione di riportarlo in banda-base
(eventualmente dopo una o più traslazioni in basso in frequenza). Questa operazione avviene
all’interno del demodulatore in Fig. 1.3
e’(t)
Demodulatore
O.L
.
Fig. 3
Dopo un’elaborazione in banda-base il segnale può esser eventualmente riportato nella forma della
grandezza di origine.
Fig. 4
Nel sistema di radiocomunicazione vi saranno parti a radiofrequenza ed altre in banda base (queste
ultime, in genere, dedicate all’elaborazione digitale del segnale).
In questo corso ci occuperemo esclusivamente delle parti a radiofrequenza e di quelle che
immediatamente le precedono e seguono nella catena di rice-trasmissione, ovvero i modulatori e i
demodulatori, come indicato in Fig. 5.
6
s(t)
TRASD. MOD PA LNA DEMOD Elab TRASD
Radiofrequenze
Fig. 5
7
Capitolo 1
Amplificatori a radiofrequenza
Il primo blocco attivo di un sistema di ricezione è l’amplificatore di antenna che, essendo sempre un
amplificatore a basso rumore, viene solitamente indicato con l’acronimo LNA (Low Noise
Amplifier). Si tratta di un amplificatore che lavora con un range dinamico (rapporto tra la potenza
del massimo segnale amplificabile con basse distorsioni e quella del minimo segnale intelligibile)
molto ampio (anche maggiore di 100 dB) introducendo, al contempo, il minor contributo possibile
al rumore.
La principale caratteristica di un amplificatore è la capacità di introdurre un guadagno di potenza
significativamente maggiore di 1. Gli amplificatori a radiofrequenza sono caratterizzati da guadagni
di potenza generalmente compresi tra 15 e 25 dB.
In generale può essere visto come un quadripolo (sistema a due porte), di fatto un terminale di
ingresso e uno di uscita sono spesso collegati a massa quindi si riduce ad un tripolo in cui la porta di
ingresso e quella di uscita hanno un nodo a comune.
P(t)
Power V 2 (t )
P(t ) =
R
Si può dimostrare che bastano 4 parametri per caratterizzare un tripolo. Un esempio tipico è la
caratterizzazione mediante i parametri h definiti dal sistema di equazioni:
8
v1 = hi ⋅ i1 + hr ⋅ v 2
i2 = h f ⋅ i1 + ho ⋅ v 2
i1 i2
+ + matrice a hi hr
H =
v1 v2 parametri
h f ho
_ _ ibridi
v1 v1
hi = = [Ω] hr = : adimensionale
i1 v2 = 0
v2 i1 = 0
i2 i2
hf = : adimensionale ho = = [Ω-1]
v2 v2 = 0
v2 i1 = 0
Questi parametri sono detti ibridi perché non hanno tutti la stessa dimensione. Per misurarli si
devono realizzare sia cortocircuiti (v = 0) che circuiti aperti (i = 0).
I set di parametri possibili sono molteplici : h, z, y, s, ABCD. La scelta si fa sia in base alle modalità
operative di misura, che possono risultare più o meno “comode” a seconda della frequenza di
lavoro, sia in base alla potenzialità messe a disposizione del progettista da ciascun set di parametri.
Anche queste potenzialità dipendono dalla frequenza e dalla specificità degli obiettivi che il
progetto deve conseguire.
Ad esempio un circuito aperto in bassa frequenza è facilmente ottenibile “tagliando” un filo di
connessione o una pista. In realtà, i due monconi a distanza limitata tra loro rappresentano una
capacità, ovvero una reattanza che, ad alte frequenze, fa si che i due fili non possono più essere
considerati un circuito aperto.
1
1pF @ 1GHz costituisce una reattanza pari a ≅ 160Ω
2π ⋅ 10 9 ⋅ 10 −12
Operativamente in alta frequenza un circuito aperto è difficilmente realizzabile.
9
Un circuito chiuso può a sua volta introdurre un’induttanza. Qualche mm di filo corrisponde a
un’induttanza dell’ordine del nano Henry, ovvero una reattanza di alcuni ohm nel range delle
microonde.
1nH @ 1GHz costituisce una reattanza pari a 2π ⋅ 10 9 ⋅ 10 −9 ≅ 6.28Ω
A frequenze molto elevate anche i cortocircuiti diventano difficilmente realizzabili.
Nel campo delle radiofrequenze il set di parametri più utilizzato in passato è stato quello dei
parametri Y che, negli ultimi anni, ha ceduto il passo ad un altro set di parametri: i parametri S
utilizzati estensivamente nel campo delle microonde. Per facilitare l’approccio ad una disciplina
abbastanza specifica come quella della progettazione a radiofrequenza e microonde, si utilizzerà nel
seguito il set di parametri Y che, per la sua “somiglianza” con altri set di parametri utilizzati in corsi
di base (parametri h e Z, per esempio) permette una più immediata comprensione e facilità di
utilizzo.
1.1.1 Parametri Y
I parametri Y mettono in relazione le correnti di ingresso e uscita con le rispettive tensioni.
i1 = y I ⋅ v1 + y R ⋅ v 2 y yR
Y = I : [Ω-1] si tratta di ammettenze
i2 = y F ⋅ v1 + y O ⋅ v 2 yF y O
Definizioni operative:
i1 i1
yI = yR =
v1 v2 = 0
v2 v1 = 0
i2 i2
yF = yO =
v1 v2 =0
v2 v1 = 0
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I pedici stanno per:
I: input relativo al rapporto tra grandezze in ingresso
O: output relativo al rapporto tra grandezze in uscita
F: forward relativo all’effetto dell’ingresso sull’uscita
R: reverse relativo all’effetto dell’uscita sull’ingresso
+ +
v1 v2
- -
i1 Yx i2
i1 +
yI = =Yx
v1 v1 v2=0
v2 = 0
-
i2
yF = =-Yx (i 2 = −i1 v )
v1 2 =0
v2 =0
11
I1A I2A
+ + I 1 A = YIA ⋅ V1 A + YRA ⋅ V2 A Y YRA
V1A YA V2A Y A = IA
I 2 A = YFA ⋅ V1 A + YOA ⋅ V2 A YFA YOA
_ _
I1B I2B
+ + I 1B = YIB ⋅ V1B + YRB ⋅ V2 B Y YRB
V1B YB V2B YB = IB
I 2 B = YFB ⋅ V1B + YOB ⋅ V2 B YFB YOB
_ _
I1A I2A
+ +
V1A YA V2A
- -
I 1 = YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2
I1 I1B I2B I2 I 2 = YF ⋅ V1 + YO ⋅ V2
+ + + +
V1 V1B YB V2B V2
- - - -
I 1 = I 1 A + I 1B
I 2 = I 2 A + I 2B Y +Y YRA + YRB YI YR
YA = IA IB =
V1 = V1 A = V1B YFA + YFB YOA + YOB YF YO
V2 = V2 A = V2 B
Come esempio di applicazione di quanto appena visto, consideriamo un quadripolo con reazione di
tensione parallelo. Il collegamento dell’ammettenza di reazione Yx equivale a porre in parallelo al
quadripolo di partenza un quadripolo caratterizzato dai seguenti parametri Y
YIx = Y X = YOx
YFx = −Y X = YRx
12
Yx
I1 I2
+ +
V1 Yp V2
- -
YItot = YIp + Y X
YFtot = YFp − Y X
YRtot = YRp − Y X
YOtot = YOp + Y X
I1
I 1 = YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2 YR = misura l’effetto dell’uscita V2 sull’ingresso I1
V2 V1 = 0
I1 I2
+
V2 YR=0 I1=0
V1=0
-
I 1 = YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2
I 2 = YF ⋅ V1 + YO ⋅ V2
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Il circuito equivalente a parametri Y è il seguente:
I1 I2
+ +
YRV2
YI YO YL
V1 V2
YFV1
- -
Osservazione: il guadagno di tensione risulta dipendere dal carico e non dall’impedenza di sorgente.
ZS
+ +
IS YS +
V1 VS V1
-
- -
Norton Thevenin
YR ⋅ YF
L’ammettenza d’uscita : YOUT = YO − dipende dall’ammettenza di sorgente YS.
YI + YS
14
Se il quadripolo è unidirezionale (YR=0) YIN=YI ; YOUT=YO
In radiofrequenza non si può trascurare la YR , come spesso accede alle basse frequenze, perciò i
quadripoli non sono mai unidirezionali.
La presenza di una YR≠0 rende di fatto il sistema reazionato in quanto lìuscita risente dell’effetto
dell’ingresso e viceversa. Questo può determinare l’instabilità cioè l’instaurarsi di oscillazioni
spontanee in assenza di qualunque sollecitazione.
I2 YF ⋅ YL
E’ possibile calcolare il guadagno di corrente : AI = =
I 1 YI ⋅ (YO + YL ) − YR ⋅ YF
YX
YIt = YI + YX
YOt = YO + YX
YFt = YF − YX
Q
YRt = YR − Y X
Se YX=YR → YRt=0
Questo non è sempre possibile utilizzando un bipolo passivo al posto di Yx. In tal caso, infatti, Yx
avrà parte reale positiva e l’unilateralizzazione sarà possibile solo se YR ha parte reale positiva.
Se GR<0 (quadripolo con elementi attivi) → non è possibile unilateralizzare il quadripolo con la
tecnica prima descritta.
Osservazione: si noti che collegando tra ingresso e uscita l’ammettenza YX cambia non solo il
valore di YRt, ma anche quello dei rimanenti parametri Y.
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YS
+ YL=GL+jBL
VS
-
PL
Guadagno operativo di potenza : G P =
Pin
PAout
Guadagno di potenza disponibile : G A =
PAin
Dove PL rappresenta la potenza media sul carico, Pin quella in ingresso al quadripolo, PAout quella
disponibile sulla sua uscita e PAin quella disponibile del generatore di segnale.
La massima potenza disponibile è la massima potenza che un generatore con impedenza interna a
parte reale positiva può fornire ad un carico di valore opportuno. Dato un generatore VG con
impedenza interna ZG, se realizziamo l’adattamento complesso coniugato ZL=ZG* otteniamo il
massimo trasferimento di potenza dal generatore al
ZG
carico. Questo vale solo se Re{ZG}>0. In caso
contrario la potenza trasferibile al carico non è
+
VG ZL superiormente limitata e scegliendo un valore
-
dell’impedenza di carico “prossimo” a (- ZG) è
possibile, in linea di principio, ottenere potenze in
uscita “grandi quanto si vuole”. Ciò a scapito delle
garanzie di stabilità del sistema che può, in tal caso, presentare le condizioni per l’innesco di
oscillazioni secondo quanto indicato dalle condizioni di Barkhausen all’innesco.
Se (VG, ZG ) è l’equivalente di Thevenin di una rete attiva, ZG può essere a parte reale negativa,
ovvero: Z G = − RG + jX G
VG
In questo caso se scegliamo Z L = − Z G = RG − jX G si ottiene IG = ∞ e
ZG + Z L
la potenza dissipata su ZL risulterebbe infinita.
Perciò la coincidenza tra potenza disponibile e massima potenza erogabile vale solo per generatori
con impedenza interna a parte reale positiva.
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Nel seguito, a prescindere dal segno della parte reale dell’impedenza interna, indicheremo col
termine “potenza disponibile” la potenza erogata su un carico ZL=ZG*.
La potenza disponibile in ingresso è quella del generatore di segnale. Si possono ripetere,
ovviamente, le stesse considerazioni fatte in precedenza.
In particolare se, detta ZIN l’impedenza di ingresso del quadripolo, risulta
Z IN = Z S* con Z S = R S + jX S Z IN = RS − jX S
allora il generatore di segnale trasferisce in ingresso al quadripolo una potenza pari a quella
disponibile del generatore, PAin, che può essere calcolata come segue:
ZS
1
N.B. RS = ℜ{Z S } = ℜ
YS
+ V2
VS ZIN V 2 = M valore efficace di VS
2
-
V2 V2
I M = M2 = 2 M 2
Z R +X
VSM V
IS = = SM
RS + jX S + RS − jX S 2 RS
RS ⋅ I S2 V SM
2
PAin = =
2 8 RS
ZOUTh
+
VOUTh ZL
-
2
VOUTh
PAout = coincide con la massima potenza erogabile solo se Re{ZOUTh}>0
8 ROUTh
P
Il guadagno di potenza disponibile G A = Aout è un rapporto di potenze virtuali. PAout coincide con
PAin
la potenza effettiva sul carico solo se ZL=ZOUT*. In generale le potenze effettive sono minori di
quelle disponibili.
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Non è detto che sia sempre possibile adattare contemporaneamente ingresso e uscita del quadripolo,
infatti il sistema:
YIN (YL ) = YS*
YOUT (YS ) = YL
*
PL
GP = 1 1
PIN YL N.B. RL = ℜ ≠
YL G L
+
RL
+ + BL
1 BIN V2 1 V2
V1
- G IN - GL
- XL
18
2
YF GL
GP =
YO + YL G IN
dipende solo da YL quindi è una funzione della terminazione d’uscita : GP (YL)
Con opportune elaborazioni, a partire dalla definizioni possiamo calcolare il guadagno di potenza
disponibile e quello di trasduttore. Si ottiene:
2
YF G S
GA =
{
ℜ (YO YS + YO YI − YR YF )(YI + YS )
*
}
dove YS = GS + jXS ammettenza interna del generatore di segnale
2
4G S G L YF
GT =
(YS + YI )(YO + YL ) − YRYF 2
Con impedenze di carico e di sorgente passive e impedenze di ingresso e di uscita a parte reale
positiva, risulta:
- PAout ≥ PL
GT ≤ GA
- PAin ≥ PIN
GT ≤ GP
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1.3 Stabilità incondizionata
Definizioni e criteri:
Allora nel sistema si innesca una oscillazione a frequenza iniziale f0 che si auto esalta.
Se per un dato quadripolo ad una frequenza f0 collegando in ingresso e uscita tutte le possibili
coppie di impedenze a parte reale positiva non si ottengono mai le condizioni di BArkhausen
all’innesco, allora si dice che il quadripolo è incondizionatamente stabile alla frequenza f0. Se esiste
almeno una coppia di impedenze in corrispondenza delle quali si verificano tali condizioni, allora il
quadripolo si dice potenzialmente instabile. Un quadripolo potenzialmente instabile ha guadagno di
trasduttore non superiormente limitato.
Si può dimostrare che il verificarsi delle condizioni sulle impedenze di ingresso e di uscita riportate
nel seguito coincide con l’incondizionata stabilità.
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Lo dimostriamo solo in un senso, ovvero dimostriamo che il verificarsi delle condizioni suddette è necessario
alla stabilità incondizionata. Ovvero, dimostriamo che se una di queste due condizioni non si verifica il
quadripolo è potenzialmente instabile e può essere utilizzato per realizzare un oscillatore.
ZOUTh
+
ZL VOUTh ZL
YS
-
YS YRV2 YL
YI YO
YFV1
Per prima cosa dobbiamo individuare un taglio e, quindi, un anello di reazione. Il quadripolo è
intrinsecamente reazionato tramite la YR la quale riporta in ingresso l’effetto dell’uscita.
21
IP
+ + +
YR V2
YS YI YP + YO YL
V1 VR VP V2
YFV1
-
- - -
YF V1 YF YRV 2
VR = − =− − V2 = V P
YO + YL YO + YL YS + YI
YF YR
βA = dipende dal carico YL a dal generatore di segnale YS
(YI + YS )(YO + YL )
verifiche : - quadripolo unilaterale (YR=0) : βA=0 non c’è reazione
- cortocircuitando l’uscita (V2=0) : βA=0 (YL → ∞)
- cortocircuitando l’ingresso l’ingresso (V1=0) : βA=0 (YS → ∞)
Dal sistema, mediante elaborazioni di una certa complessità che in questa sede non vengono
riportate, si ricava un criterio basato sul cosiddetto Fattore di Stern K definito nel seguito.
Se
2( g I + g S )( g O + g L )
K= >1⇒
ℜ{YR YF } + YR YF
Il sistema NON ha soluzione, ovvero, fissati due valori di gS e gL che rendono K>1 , non esiste
soluzione al sistema qualunque sia la coppia di bS e bL dove:
YS = g S + jbS
YL = g L + jbL
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In altri termini, una volta trovate gS,gL che rendono K>1, anche variando le parti immaginarie le
condizioni di Barkhausen all’innesco alla frequenza f0 non potranno essere verificate.
Osservazione: se la condizione sul K vale per una data coppia di valori di gS,gL vale sicuramente
anche per valori maggiori, essendo gi>0 e go>0.
Questo perchè partiamo dal presupposto che go>0, gi>0 altrimenti il quadripolo sarebbe
potenzialmente instabile. Infatti si otterrebbe:
Y R YF
YIN = YI − scegliendo YL→ ∞ (corto circuito) => YIN=YI (con parte reale negativa).
YO + YL
Scegliendo YS=-YI (con parte reale positiva) si otterrebbe una maglia ad impedenza nulla con
ovvie conseguenze sulla stabilità, ovvero:
YL → ∞
verifica le condizioni di Barkhausen.
YS = −YI
K è una funzione crescente di gS e gL. Il denominatore è la somma di una parte reale e del modulo
dello stesso vettore che è maggiore sia della parte reale che di quella immaginaria. Perciò il
denominatore è sicuramente positivo.
La condizione sul fattore di Stern è molto utile alle radiofrequenze. Gli accoppiamenti capacitivi e
induttivi spuri possono far variare le parti reattive delle impedenze di sorgente e di carico e generare
oscillazioni, ma questo non accade se K>1.
K>1 non equivale a dire che il quadripolo è incondizionatamente stabile perché si riferisce ad una
particolare coppia (gS,gL).
Se calcoliamo K nella situazione peggiore gS=0, gL=0 e verifichiamo che esso risulta positivo,
sicuramente continuerà ad esserlo per ogni coppia gS>0, gL>0 ovvero il quadripolo risulterà
incondizionatamente stabile
In altri termini, i quadripoli che verificano la condizione:
2g I gO
> 1 sono certamente Incondizionatamente Stabili
ℜ{YR YF } + YR YF
23
Un quadripolo è incondizionatamente stabile se e solo se il fattore di Linvill è compreso tra 0 e 1.
Caso particolare : YR=0 → C=0 quadripolo unilaterale
situazione di marginale stabilità,va trattata separatamente
gI > 0
si controlla se ⇒ I .S .
gO > 0
Il fattore di Stern dipende da gS e gL quindi non può essere fornito dal costruttore il quale, in genere,
fornisce il fattore di Linvill al variare della frequenza. Il range di frequenze in cui C è compreso tra
0 e 1 è il range di frequenze in cui il quadripolo è caratterizzato da Incondizionata Stabilità (IS).
Dalla IS discende che, qualunque sia la coppia di impedenze di carico e di sorgente, purchè a parte
reale positiva, risulta:
ℜ{YIN } > 0
ℜ{YOUT } > 0
Pertanto:
GP > 0
GA > 0
GT > 0
GT ≤ G P
Le condizioni : sono certamente verificate
GT ≤ G A
E’ possibile dimostrare che, se un quadripolo è incondizionatamente stabile, è possibile realizzare
contemporaneamente l’adattamento complesso coniugato in ingresso e in uscita, ovvero esiste (ed è
unica) la soluzione del sistema di equazioni:
YIN (YL ) = YS*
YOUT (YS ) = YL
*
24
E’ anche possibile dimostrare che i valori di YS e YL soluzioni del sistema coincidono con il punto
di massimo della funzione GT(YS, YL), ovvero sono i valori di ammettenza di sorgente e di carico
che massimizzano il guadagno di trasduttore.
Detto ancora in altri termini; se si studia GT come una funzione di 4 variabili e limitatamente al caso
gL>0, gS>0, la ricerca del massimo ha soluzione e la soluzione è unica se e solo se il quadripolo è
incondizionatamente stabile, ovvero:
∃(YSopt ; YLopt ) : GT (YSopt ; YLopt ) = GT max ⇔ il quadripolo è I.S.
YOUT (YSopt ) = YLopt
*
[2 g I g O − ℜ{YRYF }]2 − YR YF 2
G Sopt =
2gO
ℑ{YR YF }
B Sopt = −bI +
2gO
gO
G Lopt = G Sopt
gI
ℑ{YR YF }
B Lopt = −bO +
2g I
Se sostituiamo YSopt e YLopt nella formula del GT si ricava il GTmax.
2
YF
GT max =
2 g I g O − ℜ{YR YF } + [2 g I g O − ℜ{YR YF }]2 − YRYF 2
2
4G S G L YF
nel caso in cui : -YR=0 → GT =
(YS + YI )(YO + YL ) 2
-gi,go>0 → I.S.
2
YO* = YL Y
→ GT = GTUmax * → GT max = F
YI = YS 4g I gO
25
Talvolta si usa il GTMAX come fattore di merito di un componente attivo anche nel caso di
quadripoli non unilaterali, sebbene esso non abbia un significato ben individuabile.
Quando si progetta un amplificatore il generatore e il carico sono fissati. In genere viene richiesto di
massimizzare il guadagno di trasduttore e/o di minimizzare la cifra di rumore.
Per fare ciò si possono utilizzare opportune reti di adattamento M1 ed M2 in figura che fanno si che
il quadripolo “veda” le ammettenze opportune al conseguimento dell’obiettivo fissato a specifica.
M1 M2
26
PIN
Z1
+ Z2
V1
-
ZIN POUT
Dimostrazione:
V12M
Per ipotesi: Z IN = Z 1* ⇒ PIN = PAin = = potenza in ingresso Z IN = Z 1* ⇒ Z OUT = Z 2*
8 R1
I 22M
POUT = R2
2
V12M
perciò = 4 R1 R2
I 22M
Spegniamo V1 e usiamo la reciprocità inserendo un generatore di tensione in serie a Z2.
I1 Z2 I 12M 1
2
=
V2 M 4 R1 R2
+
Z1 V2
- V22M
I 12M =
4 R1 R2
P1 P2
V22M R1 V22M
P1 = = potenza che fluisce sul carico Z1
4 R1 R2 2 8 R2
Rete passiva, non dissipativa → P2=P1
Il generatore V2 sta erogando una potenza pari a quella disponibile perciò sta lavorando in
condizioni di adattamento complesso coniugato ovvero.
Z OUT = Z 2* C.D.D.
Abbiamo così dimostrato che l’adattamento c.c. in ingresso ad una reta passiva, non dissipativa e
reciproca garantisce l’adattamento c.c. anche in uscita.
27
Corollario: il guadagno di potenza disponibile di una rete passiva non dissipativa e reciproca è
unitario.
Dimostrazione:
PAin
PAout
ZS GA =
PAin
ZOUT*
ZIN=ZS*
ZS
+ Q1 Q2 ZL
VS
-
PL P P
GTtot = = L ⋅ Ain 2 = GT 2 G A1
PAin1 PAin 2 PAin1
28
POUT
PIN
PAin PL
YS M1 Q M2 YL
YSV YLV
POUT
PIN
PAin PL
M1 Q M2
YSV YLV
RS
CP
RP
CS
29
RP
jω C P RP R (1 − jωRP C P )
ZP = = = P
R P + jω C P 1 + jω R P C P 1 + ω 2 RP2 C P2
1 1
Z S = RS + = RS − j
jωC S ωC S
Affinché le due reti siano equivalenti devono avere la stessa parte reale e la stessa parte
immaginaria.
RP
RS =
1 + QP2
1 + QP2
CS = CP
QP2
N.B. L’equivalenza vale solo ad una frequenza in quanto in QP compare la pulsazione ω.
|Z|
R R
Z L R
C
2
f
f1 f2
30
1
Esiste una frequenza alla quale si ha risonanza: = ω 0 L . Il gruppo LC risulta un circuito
ω0C
aperto. L’ammettenza vista è nulla, l’impedenza vista → ∞
Per f > f0 la capacità predomina nel parallelo ∠Z > 0
Per f < f0 l’induttanza predomina nel parallelo ∠Z < 0
Le frequenze f1 ed f2 alle quali l’impedenza diminuisce di 3dB rispetto a |Z|max individuano la
banda passante del circuito. f2-f1=B
f0
Q≡ fattore di qualità: al crescere di Q la banda B si restringe, a parità di frequenza centrale.
B
R 1 1
Q = ω 0 RC = ω0 = pulsazione di risonanza C=
ω0 L LC ω 02 L
Se immaginiamo di alimentare il gruppo RLC con una corrente sinusoidale alla frequenza di
risonanza, nel gruppo LC passa comunque corrente anche se il generatore vede un’impedenza
infinita. In L e in C passano correnti uguali in modulo e opposte in segno (sfasate di 180°).
Nel caso del circuito RLC serie il fattore di qualità Qs è definito come segue
L
R C |Z|
1 ω L
QS = = 0 fattore di qualità
ω 0 RC R
R
f
• QS elevato significa una banda passante stretta ω 0 L >> R
1.4.5 Esempi
Supponiamo di avere una resistenza di 100Ω e di volerla trasformare in una da 50Ω a f0=100MHz.
Si può ottenere questo risultato interponendo una rete di adattamento M opportunamente
dimensionata. Si mette in parallelo a Rp = 100 Ω una capacità Cp di valore opportuno in modo tale
che l’equivalente serie sia costituito da una capacità CS in serie ad una resistenza RS = 50 .
31
R P = R S + RS Q P2
M
100Ω R P − RS 100 − 50
QP = = =1
RS 50
50Ω
.
Dal valore di QP appena determinato si ricava CP e, quindi CS come indicato nel seguito
CS
RP=100Ω
Q P = ωR P C P
CP
RS=50Ω QP
CP = = 15 pF
ωR P
Per neutralizzare l’effetto di CS basta mettere in serie un’induttanza che risuoni con CS alla
frequenza di interesse.
1 + Q P2
CS = CP = 30 pF
Q P2
CS LX
1
− + ωL X = 0
ωC S
1
LX = 2
≅ 80nH
ω CS
Con una capacità di 15pF e un’induttanza di 80nH alla frequenza di lavoro abbiamo trasformato la
resistenza da 100Ω in una da 50Ω.
LX
100Ω
CP
32
RVout=50Ω
Esaminiamo, adesso, il caso duale: si vuole trasformare una resistenza in una di valore maggiore. A
tal fine si useranno le proprietà della trasformazione serire-parallelo. Descriviamo subito con un
esempio questo tipo di trasformazione.
Esempio: 100Ω → 200Ω @ 100MHz
In maniera duale a quanto fatto in precedenza individuiamo i valori di RP e CP dell’equivalente
parallelo a partire da quello serie
1
CS QS =
CP ωR S C S
RS
RP RS = 100Ω
RP = 200Ω
QS2
(
R P = RS 1 + QS2 ) CP = CS
1 + QS2
RP − RS 200 − 100 1
QS = = =1 CS = ≅ 15.9 pF
RS 100 ωR S C S
CS
LX
RS
CP
RP
QS2
CP = CS ≅ 8 pF
1 + Q S2
L’aggiunta dell’induttanza LX in parallelo a CP ha la funzione di neutralizzare la parte
immaginaria:
1 1
B P + B X = 0 → ωC P − = 0 → LX = 2 ≅ 300nH
ωL X ω CP
Quindi la rete di adattamento sarà costituita anche in questo caso da una squadra LC:
33
CS
200Ω
100Ω
LX
La rete seguente è in grado di effettuare la trasformazione 100Ω → 200Ω: vediamo cosa accade
delle tensioni
15.9pF
V1S=V1Mcos(ωt)
300nH
R
+
V1S
-
34
1 1
1° caso: <
G1 G 2
trasformazione in salita da SERIE a PARALLELO
jX1
jB1
1
G1 R1
R1 jX1 -jX1
1
CP RP =
RS RP G2
La parte reale desiderata è stata così ottenuta. Per quella immaginaria bisogna aggiungere in
parallelo a CP una suscettanza BX tale che B X + BP = B2
35
-jX1 CS
Infine sostituiamo alla
serie
Y1 1
BX −j − jX 1 un’unica
ωC S
reattanza di valore
Esempio:
Y1 = (100 + j 50)mS → Y2 = (10 − j 20)mS @ f0 = 150MHz
1 1
= 10Ω < = 100Ω
G1 G2
G1 B R1 = 8Ω
Z1 = 2 2
− j 2 1 2 = (8 − 4 j )Ω
G + B1
1 G1 + B1 X 1 = − 4Ω
-j4Ω j4Ω CS
CP
8Ω
RP
RP=100Ω
100 − 8 1 1 1
QS = = 3.39 QS2 = 11.5 QS = CS = = = 39.14 pF
8 ωR1C S ωR1QS 8 ⋅ 150 ⋅ 10 6 ⋅ 3.39
QS2
CP = CS = 36 pF
1 + QS2
B X + ωC P = −20mS
CP B X = −ωC P − 20mS = −53.9mS
BX
RP
suscettanza negativa → induttanza
1
BX = − L X = 19.6nH
ωL X
1
X = 4− = −23.2Ω
ωC S
reattanza negativa → capacità CTOT
Y1
1 LX
CTOT = − = 45.7 pF
ωX
36 Y2
1 1
2° caso: > trasformazione in discesa da PARALLELO a SERIE
G1 G2
La procedura è esattamente duale: si calcola Z2 = 1/Y2
R2
1 1 jX2
jB1 jB2
G1 G2
jX2 jXX
CP R2
-jB1
G2 B
Z2 = 2 2
−j 2 2 2
G + B2
2 G 2 + B2
G2 1 G 1 1
R S = R2 = > R2 = 2 2 2 < <
G + B22
2
2 G1 G2 + B2 G2 G1
1
− R2
G1 ωC P
QP = =
R2 G1
QP G1
CP = → CS
ω
1
XX = − X2
ω0C S
XX
BTOT = C P // − jB1
BTOT 1
BTOT = − j − jB1
ωC P
37
Abbiamo, pertanto, dimostrato che è sempre possibile utilizzando due elementi reattivi, trasformare,
ad una certa frequenza, qualunque ammettenza in qualunque altra.
Gli effetti resistvi e capacitivi sono dovuti al fatto che le spire hanno dimensioni non nulle e si
accentuano con la frequenza
In entrambi i casi si avrà risonanza per una certa frequenza oltre la quale il comportamento
dell’elemento reattivo non è più quello previsto dalla semplice schematizzazione con L o C.
38
caso
caso serie parallelo
f f
fr fr
Ogni componente reattivo va utilizzato al di sotto della propria frequenza di risonanza indicata dal
costruttore.
Più è alto il valore nominale della capacità o dell’ induttanza, più è bassa la frequenza di risonanza
fr e minore sarà il range di frequenze in cui il bipolo può essere utilizzato.
A puro titolo di esempio si citano alcuni valori indicativi per componenti commerciali:
C = 1µF → fr = 100 MHz
C = 1nF → fr = 1 GHz
L ≅ 100nH ⇒ f r ≅ 1GHz
39
In Elettronica si definisce col termine “Rumore” una variazione aleatoria della grandezza fisica
sotto osservazione della quale non è possibile fornire una descrizione deterministica. In alcuni casi,
però, di tali fluttuazioni aleatorie è possibile fornire una descrizione di tipo statistico.
Indicando con x(t) il fenomeno aleatorio (o Processo stocastico) che si sovrappone al valore
deterministicamente dato della grandezza sotto esame, si può definire il suo valor quadratico medio
come segue:
2 1 t1 +T
x(t1 , T ) = lim ∫ x 2 (t )dt
T →∞ T t1
In generale il valore quadratico medio dipenderà dall’istante iniziale t1 e dalla durata del tempo di
osservazione T. Se, per T “abbastanza grandi” il risultato dell’operazione di integrazione non
dipende da T e da t1, allora diremo che il processo x(t) è stazionario rispetto al suo valore quadratico
medio. Molte delle sorgenti di rumore presenti nei materiali e nei dispositivi elettronici godono
della proprietà della stazionarietà rispetto ad alcuni parametri statistici (come il valore quadratico
medio, oppure il valor medio).
Se x(t) rappresenta la tensione ai capi di una resistenza R, allora la potenza istantanea P(t) dissipata
sulla resistenza e quella media P0 sono date da:
+ x 2 (t )
P (t ) =
R
x(t) R
x 2 (t ) x 2 (t )
T
1
- P0 = lim
T →∞ T ∫ R
dt =
R
0 potenza media
+ + |H(ω)|
x(t) xu(t)
- -
ω
ω1 ω2
La densità spettrale di potenza del processo aleatorio x(t) (DSP) è definita dalla seguente relazione:
f2
∫ S ( f )df
f1
x = xu2 (t )
Ovvero, il suo integrale tra f1 ed f2 coincide col valore quadratico medio del segnale aleatorio xu(t)
che si otterrebbe filtrando x(t) col filtro ideale di cui sopra.
Se x(t) è la tensione ai capi di una resistenza R e si sceglie f2=f1+df, allora
SX(f)df è il valore quadratico medio della tensione di uscita al filtro → δ xu2 (t ) in un intorno
infinitesimo di f1. Questo spiega la denominazione di “densità spettrale di potenza” la quale si
V 2 A2
misura in (se x(t) =[V]), oppure in (se x(t) = [A]).
Hz Hz
41
Nel caso in cui Sx(f) non dipenda dalla frequenza, ovvero sia costante, il processo X(t) ed il suo
spettro si dicono “bianchi”. Per un processo aleatorio bianco in ogni intervallo di frequenze l’uscita
Si è detto che ad una resistenza è associata una fluttuazione aleatoria di tensione (rumore termico)
rappresentato con un generatore eT in figura. Nyquist ha dimostrato che il rumore termico è bianco e
che la sua densità spettrale di potenza ST è data da: .
eT
+-
R ST = 4KTR
Più in generale Nyquist ha dimostrato che un bipolo generico di impedenza Z = R+jX può essere
rappresentato mediante un’impedenza non rumorosa con in serie un generatore di tensione con
densità spettrale di potenza pari a S T = 4 KTR
+-
Z = R+jX Z noiseless
Su = Si H (ω)
2
H(ω)
xi(t) xu(t)
Prima di proseguire diamo qualche indicazione circa l’ordine di grandezza delle quantità che
abbiamo introdotto.
Es: R=1KΩ
42
su una finestra di 1Hz il valore quadratico medio del generatore di tenzione aleatoria che
xeff = S x ∆f dà una misura del valore efficace: in questo caso equivale a quello di una sinusoide
di ampiezza 1nV.
Rumore di corrente
Finora abbiamo sempre fatto riferimento ad un processo stocastico con le dimensioni di una
tenzione (generatore di tensione di rumore), ma esistono delle sorgenti di rumore che è più
immediato rappresentare con un generatore stocastico di corrente. Un esempio è il rumore shot o
“rumore di giunzione”. Il rumore shot si rappresenta con un generatore di corrente aleatorio con
densità spettrale di potenza che dipende dalla corrente media che scorre nella giunzione, in parallelo
alla resistenza differenziale che rappresenta la giunzione medesima.
rd A2
Io S I = 2qI o
in Hz
− 22 A2 pA
Es: Io=1mA S I = 3.2 ⋅ 10 S I = 17
Hz Hz
Si tratta di fenomeni che su 1Hz di banda danno un valore efficace di
corrente di decine di picoAmpere.
43
sempre presente col suo spettro costante. Da una certe frequenza in su, detta frequenza d’angolo fC,
il rumore bianco prevale sul flicker che risulta trascurabile.
10 log S f ( f )
Scala bilogaritmica
fc può assumere
valori in un range
molto ampio
Hz ÷ MHz
f
log
fo
fc
Il rumore flicker diminuisce con l’area attiva del dispositivo (maggiore è l’area, minore il rumore).
Alle radiofrequenze il rumore flicker è pressocchè trascurabile in quanto il punto d’angolo si trova,
in genere, molto più in basso del range di frequenze di interesse. Nella zona alta delle frequenze di
lavoro si osserva una componente di rumore divergente (cresce con ω2) non tanto perché sia
generata da una sorgente con caratteristiche di questo tipo, bensì a causa di effetti filtranti dei
componenti reattivi intrinseci e parassiti su sorgenti originariamente bianche.
10 log S f ( f )
2
SH ∝ f
f
log
fc fo
44
il rapporto segnale rumore rimarrà invariato. L’effetto di degrado di tale rapporto introdotto
dall’amplificatore si misura mediante un parametro denominato “Cifra di Rumore” indicato, in
genere, con la sigla NF (Noise Figure).
ZS en1 +
Q
vs(t)
vu(t)
eT
in1 en2
en
+ --
Noise +
less vu(t)
in -
I generatori di rumore equivalenti esterni possono essere descritti mediante le DSP associate.
V 2 A2
Sen ; Sin 4
Hz Hz
Data una sorgente di rumore in serie ad un bipolo ZS, se chiudiamo il circuito in serie ad
un’impedenza ZS*, la tensione ai suoi capi sarà:
45
+
eT eT e e
-- vD = *
RS = T RS = T
+ Z + ZS 2 RS 2
vD ZS* S
ZS -- vD 1 SeT
= Sv D =
eT 2 4
1
2 è la funzione di trasferimento tra eT e vD
Poiché questa scelta è quella che realizza l’adattamento complesso coniugato, essa è anche quella
che permette di trasferire sul carico la massima potenza disponibile.
Sv D ∆f SeT ∆f v D2 (t )
P= = = ha le dimensioni di una potenza.
R 4R R
Nel caso di rumore termico la densità spettrale di potenza disponibile (che si misura in W/Hz) è
data da:
SeT 4 KTR W
SA = = = KT Densità Spettrale di Potenza disponibile.
4R 4R Hz
Più in generale, dato un generatore di rumore di tensione in serie e un’impedenza si definisce la sua
densità spettrale di potenza disponibile come segue:
SX
ZS S AX =
4 RS
+
x(t)
-
f2
PA= ∫S
f1
AX df [W] Potenza disponibile
Rappresenta la massima potenza che il generatore di rumore può cedere a un carico nell’intervallo
f2-f1 . tale risultato si consegue in condizioni di adattamento c.c.
46
Il rumore totale in uscita è dovuto sia al quadripolo (sorgenti en,in) sia all’impedenza del generatore
di segnale che è affetta da rumore termico eT, mentre il rumore in uscita dovuto a ZS dipende solo
da eT.
Sotto certe condizioni, dette “di indipendenza” tra i diversi processi aleatori, lo spettro del processo
risultante si ottiene semplicemente sommando i singoli spettri. Lo stesso vale, quindi, per le
potenze di rumore.
eT en
+- +-
Noise N UeT + N Uenin NUQ
ZS in less NF = = 1+
N UeT N Uin
ZS
Le condizioni, dette “di indipendenza” tra en e in, sono, in genere, rispettate fino a fT/10 dove fT è la
frequenza di taglio del transistore.
2
Se n + Si n Z S
NF = 1 +
4 KTR S
47
quindi, alla ricerca del minimo al variare di ZS, osservando che, certamente, NF sarà minimo per
XS=0.
NF = 1 +
(
Se n + RS2 + X S2 Si n)
4 KTR S
Si cercano gli zeri della derivata prima
d ( 2
)
(NF ) = 2 RS Sin 4 KTR S − Sen 2+ RS Sin 4 KT = 0 → ( )
4 KT RS2 Sin − Se n = 0
dR S (4 KTR S )
Sen V
Z ON = RON = A
Sin
Poiché ZS è, di norma, fissata dalle specifiche di progetto, bisognerà introdurre delle reti di
trasformazione di impedenza tra la sorgente e l’ingresso dell’amplificatore per far si che esso veda
l’impedenza ottima dal punto di vista del rumore.
Per valutare l’effetto di tali reti su NF utilizziamo una formula dovuta a Friis che permette di
calcolare la cifra di rumore globale di una rete costituita dalla cascata di due o più quadripoli.
Con ovvio simbolismo si ottiene per la cifra di rumore totale NFTOT
Q1 Q2
NF2 − 1 NF3 − 1
NFTOT = NF1 + + + ...
G A1 G A1G A 2
La formula di Friis mostra in termini analitici una considerazione ovvia: per minimizzare la cifra di
rumore totale di un sistema, bisogna usare come primo stadio quello a cifra di rumore più bassa ed
assicurarsi che introduca un guadagno quanto maggiore possibile.
Nel caso in cui Q1 sia una rete di adattamento (passiva, reciproca e non dissipativa) la sua cifra di
rumore NF1 sarà unitaria (non contiene generatori interni di rumore) come anche il suo guadagno di
potenza disponibile GA1. Pertanto
NFTOT=NFQ2
Ovvero la cifra di rumore totale coincide con quella del quadripolo attivo.
Si può facilmente dimostrare, infine, che laa cifra di rumore così come è stata definita, coincide col
rapporto tra il rapporto segnale rumore in ingresso e quello in uscita:
48
Si
NF = Ni
Su
Nu
Si Su
quindi NF = 1 ⇒ =
Ni Nu
Riusciamo a controllare NF ottimizzando la terminazione in ingresso tramite un’opportuna rete di
adattamento che non deteriora la cifra di rumore.
ZSon
ZL*
M1 Q M2
ZL
NuTOT NuTOT
NF = =
Nu in KT ⋅ GT ∆f
49
Capitolo 2
Oscillatori a radiofrequenza
Gli oscillatori sono sistemi in grado di generare autonomamente senza sollecitazioni esterne una
forma d’onda periodica. Se la forma d’onda è sinusoidale, si parla di oscillatori sinusoidali. La
teoria degli oscillatori è basata sul Teorema di Scomposizione e sulle condizioni di Barkhausen.
βA f = 1
Condizioni di Barkhausen: 0
∠β A = 0
YS YI YRV2 YL YR YF
YO βA =
YFV1 (YI + YS )(YO + YL )
Nel caso in cui il quadripolo sia un transistore bipolare i suoi parametri Y possono essere ricavati
dal circuito di Giacoletto. Ad esempio per un BJT in configurazione CE si ottiene:
CT 1
YIe = + jω (C b 'e + CT )
rb 'e
+ gmvb’e + YFe = g m − jωCT
rb’e Cb’e v2
v1 YOe = jωCT
- -
YRe = − jωCT
YOeYIe
YR YF
βA = ℜ{YIe } > 0
YI YO YOe
YIe ℑ{YIe } > 0
La situazione è quella rappresentata
in figura dalla quale risulta evidente ℜ
che il β A ha fase diversa da zero..
ℜ{YFe } > 0
Aggiungiamo adesso YS,YL scegliendoli in modo da far si che i fasori del numeratore e del
denominatore risultino sovrapposti. In figura
ℑ
sono rappresentati due fasori YS,YL che
ℜ
YS
YF
YL
YR
Sia YS che YL sono pure suscettanze negative (conduttanza nulla). Si tratta quindi di due induttanze
di valore opportuno da porre in parallelo all’ingresso e all’uscita.
51
A questo punto è garantito il verificarsi della condizione sulla fase e, per ottenere le condizioni di
innesco, bisognerà che sia garantita anche quella sul βA > 1
Bisogna osservare che aggiungendo il carico RL l’ammettenza YL non risulta più puramente
immaginaria e, pertanto il vettore YO+YL non risulta più sovrapposto a YR. Per compensare ciò
bisognerà scegliere una YS, sempre puramente induttiva, ma di valore maggiore (induttanza minore)
rispetto al caso precedente, come si può desumere dalla costruzione grafica in figura.
YO YI
YL
YR
YF
52
Esiste anche una variante a base comune dell’oscillatore di Hartley, come mostrato in figura.
VCC
RFC RFC
CA
R1
L1
R2
CBE RL
CB RFC
RFC
RE L2
L’oscillatore di Hartley necessita di due induttanze esterne, mentre può essere preferibile limitare
l’uso degli induttori che risultano ingombranti, costosi e poco accurati. In questi casi è conveniente
una seconda configurazione di oscillatore detta di Colpitts . A tale configurazione si perviene
aggiungendo tra collettore e base una induttanza (che risulta in parallelo alla capacità CT) scelta in
modo che sia
53
1
ω o L <<
ω o CT
Si possono calcolare, adesso, come nel seguito indicato i parametri del quadripolo risultante
L
CT
rb’e Cb’e
gmvb’e RL
1 1
YIt = + jω (C b 'e + C 'T ) +
rb 'e jω L
1 1
YFt = g m − jωCT − = g m − j ωC T −
YR YF jω L ωL
βA =
(YI + YS )(YO + YL ) 1 1
YOt = jωCT + = j ωC T −
jω L ωL
1 1
YRt = − jωCT − = − j ωC T +
jω l ωL
Nella figura seguente sono riportati i fasori che rappresentano i diversi parametri Y nell’ipotesi che
1
risulti ω o L < e, di conseguenza, negativa la parte immaginaria di Yit
ω o (CT + C b 'e )
On analogo procedimento al caso di Hartley scegliamo YS,YL in modo da sovrapporre i vettori:
Yit+YS e Yot+YL rispettivamente a YFt e YRt ovvero, utilizziamo due capacità
YL = jωC1
YS = jωC 2
Si ottiene in tal modo l’oscillatore di Colpitts ad emettitore comune.
54
ℑ
YRtYFt
YFt
YRt YS
YL
YIt
YOt
YOtYIt
RL
C1
C2
55
La C in serie ad
L serve per il
punto di riposo
Analogamente a quanto fatto per quello di Hartley si può costruire una versione dell’oscillatore di
Colpitts a base comune come in figura:
56
2.2 Analisi e progetto di un Oscillatore di Colpitts
Vogliamo dimensionare un oscillatore di Colpitts a base comune adottando alcuni accorgimenti che
rendono la frequenza di oscillazione indipendente dalle caratteristiche del componente attivo
(ovvero dai suoi parametri Y).
Utilizziamo nello studio il Teorema di Scomposizione per individuare un anello e calcolare il
relativo guadagno β A .
Vr C1
βA = Vin = V p
Vp C1 + C 2
Vin C1 V p
I in = =
Z in C1 + C 2 Z in
I 2 = AI I in
YF YL
AI = C1 V p
YI (YO + YL ) − YR YF Vr = − I 2 Z p = − AI Z p
C1 + C 2 Z in
Vr C1 AI
βA = =− Zp
Vp C1 + C 2 Z in
Per avere ∠β A = 0 ⇒ β A ∈ ℜ ⇒ Z p ∈ ℜ
Allora:
C1 R L
βA =
C1 + C 2 Re f = f0
Tale frequenza (che impone la condizione sulla fase) risulta, pertanto, indipendente dalle
caratteristiche del componente attivo. Perché si inneschi l’oscillazione, comunque, è necessario
verificare anche la condizione sul modulo del β A .
58
Verifichiamo, adesso, se e sotto quali condizioni le ipotesi assunte strada facendo risultano
verificate.
YRbYFb
Yin = YIb − YRb trascurabile → In prima approssimazione Yin ≈ YIb
YOb + YL
Ad esempio, nel caso del transistore 2N4957 alla frequenza di 100 MHz risulta Z in ≈ 20Ω e,
inoltre, Zin ≈ 1/ YIb non è reale. Per far sì che l’ipotesi di lavoro utilizzata sia verificata possiamo
aggiungere una Re in serie a Zin molto maggiore del modulo di quest’ultima, in modo tale che
risulti:
' '
Z in = Z in + Re ≈ Re Z in ∈ ℜ Ad esempio: Re=200Ω
Z
Perché sia rispettata la condizione sul modulo del β A deve essere certamente R L > Re
1
Perché risulti << Re scegliamo: C1 = C 2 = 100 pF ⇒ C S = 50 pF e, di conseguenza:
ω (C 2 + C1 )
1
L= ≈ 50nH
2
ω CS 0
Poichè il carico è, di norma, fissato dalle specifiche di progetto, se risulta R L < 400Ω bisognerà
interporre una rete di trasformazione di impedenza per garantire un valore della resistenza vista
maggiore di 400 Ω .
Proviamo a fare una verifica interessante: calcoliamo l’impedenza vista da RL guardando verso
l’uscita dell’oscillatore nelle condizioni di β A =1 .
59
C1
Vin = VG
C1 + C2
VG
Zv RL =
IG
C1 VG
IG = I2 + I p = I2 Ip =0 IG = −
f = f= C1 + C 2 Re
C1 + C 2
VG = − Re
C1
C1 RL C1 + C 2
βA f = f = R L = β A ⋅ Re
0
C1 + C 2 Re C1
R L = − β A ⋅ Zv RL
β A ≈ 1 ⇒ Zv R L f = f0
= − RL
60
2.3 Autoregolazione dell’ampiezza
Lo studio dei meccanismi attraverso i quali l’oscillazione, una volta innescatosi, dà origine ad un
fenomeno di autoregolazione dell’ampiezza investe l’analisi del funzionamento non lineare del
componente attivo ed è, pertanto, estremamente difficoltosa da condurre in senza l’aiuto di un
simulatore circuitale evoluto. Possiamo, però, fornire in questa sede una descrizione intuitiva di tali
meccanismi che non ha, certamente, alcuna pretesa di rigore.
Supponiamo che l’oscillazione si sia innescata e che la VBE assuma un andamento sinusoidale di
ampiezza crescente intorno al suo valor medio iniziale VBEQ come in figura:
IB
Punto di
riposo
VBEq VBE
61
Lo stesso accade per le correnti IC e IE. Questo fenomeno fa sì che il valor medio di tali correnti,
inizialmente pari, rispettivamente, a IBQ, ICQ, IEQ, tenda a crescere. Poiché la componente di
valor medio di una corrente non può attraversare, a regime, i condensatori di accoppiamento e
bypass, essa deve richiudersi attraverso le maglie resistive causando una caduta in continua in
eccesso rispetto a quella che si aveva a riposo. Per questo motivo la tensione di base VB tende a
diminuire e quella di emettitore VE tende a crescere: in altri termini , la tensione VBE diminuisce. Si
ottiene, in tal modo, un fenomeno di depolarizzazione della base e la retta intorno alla quale si
sviluppa l’andamento di VBE tende a spostarsi verso sinistra, facendo sì che la frazione di periodo
durante la quale il transistore è in zona attiva tenda a diminuire. Ci si potrebbe chiedere, a questo
punto, per quale motivo si è supposto che la componente variabile della tensione VBE continui a
presentare un andamento sinusoidale. La risposta sta nel fatto che, tale componente, essendo la base
a massa per le variazioni, è dovuta alla componente variabile della tensione VE e, quindi, è una
partizione della tensione ai capi del gruppo LCS alimentato dalla corrente pulsante IC ( si ricordi
che la IC ha lo stesso andamento della IB). Se ipotizziamo, come è opportuno fare, che il gruppo
RLLC sia caratterizzato da un elevato valore del fattore di qualità Q, ecco, allora, che le componenti
armoniche della corrente IC , filtrate dal gruppo RLLC che risuona alla frequenza di oscillazione,
non causano caduta di tensione apprezzabile su RL e solo la prima armonica contribuisce a tale
tensione che risulta, pertanto, quasi sinusoidale.
VB
VE
I B ↑⇒ V B ↓
IE VBE ↓⇒ I B
I E ↑⇒ V E ↑
62
2.4 Oscillatori controllati in tensione
Per ottenere un oscillatore la cui frequenza sia controllabile/modulabile mediante una tensione si
utilizzano elementi circuitali che presentano una capacità variabile con la tensione di
polarizzazione, ovvero, dei varicap. Esistono moltissime soluzioni circuitali di questo tipo: ne
esaminiamo in dettaglio una tra le tante che prende il nome di Oscillatore di Clapp.
VS rappresenta la tensione modulante (o di controllo), mentre l’induttanza RFC è un corto circuito alle basse
frequenze ed è un circuito aperto alle radiofrequenze, pertanto, isola l’oscillatore vero e proprio dalla parte
di controllo. Il diodo polarizzato in inversa attraverso la batteria E si comporta come una capacità variabile.
Il gruppo LCV serie presenta una reattanza pari a
1 1 − ω 2 LCV 1 − ω 2 LCV
jωL + = = − j
jωCV jωCV ωCV
L
Se
CV
1
CV : ωL >
ωCV
allora si tratta di una reattanza induttiva e la configurazione risultante è quella di Colpitts a base
comune con la possibilità di modulare tale reattanza mediante la tensione VS. Si ottiene, in
definitiva, un oscillatore controllato in tensione o VCO (Voltage Controlled Oscillator).
63
Esaminiamo più in dettaglio come avviene la modulazione della capacità CV e, quindi della
frequenza di oscillazione.
Z→∞
CA
RFC
Ro RS
VS
E
RL
In continua la tensione ai capi del diodo è VCOQ = E.
RL + RO
Nel range di frequenze di VS , CA può essere considerato un corto circuito, pertanto al valore continuo della
R0
VCQ si aggiunge una componente variabile VCOQ (t ) = VS
RL + RO
E’ questa componente variabile che modifica in maniera dinamica il valore di CV il quale riosulta
legato alla tensione di controllo da una relazione del tipo di quella riportata nella figura
Per piccole variazioni di VS si ottiene una modulazione “quasi” lineare della frequenza di
oscillazione intorno alla frequenza centrale.
64
indeterminazione a causa delle tolleranze di produzione e, per finire, il loro valore può dipendere
dall’invecchiamento e dalle condizioni ambientali.
X
XL
C1
Re CT
RE C2
-XC
f0 f
Nella figura precedente è rappresentata la soluzione grafica che permette di individuare la frequenza
di innesco. A causa, però, degli effetti appena citati, sulla capacità effettiva CS bisogna prevedere un
certo grado di indeterminazione e di variabilità, pertanto, ciò che si può affermare è che con alta
probabilità la curva che rappresenta la sua reattanza al variare della frequenza sarà contenuta tra due
curve limite che da tali indeterminazioni e variabilità dipendono. La situazione è rappresentata nella
figura seguente dalla quale si evince che anche la frequenza di oscillazione, piuttosto che essere un
valore ben preciso, risulterà compresa tra un minimo e un masssimo.
Infine, se anche l’induttanza presenta una certa variabilità il range che contiene la frequenza
effettiva di innesco risulta ulteriormente allargato come si evince dalla figura seguente:
65
Se immaginiamo, adesso, di sostituire l’induttanza con un bipolo induttivo la cui reattanza varia
molto velocemente nell’intorno di f0 la situazione è quella rappresentata in figura.
Più ripido è l’andamento della reattanza equivalente induttiva, minore sarà l’effetto della
indeterminazione e della variabilità della reattanza equivalente CS. Il risultato sarà un oscillatore
con frequenza di innesco accurata e stabile. Queste caratteristiche possono essere riscontrate nei
quarzi.
Il quarzo è un materiale che presenta caratteristiche piezoelettriche. Applicando una forza tra due
facce di un parallelepipedo di materiale piezoelettrico e, quindi, causando una micro deformazione,
si rileva sulle facce ortogonali una differenza di potenziale. L’effetto piezoelettrico è reversibile,
ovvero, applicando una tensione, si osserva una micro deformazione. Da un punto di vista elettrico,
se si metallizzano due facce non contigue di un cristallo di quarzo e si applicano ad esse degli
elettrodi, l’impedenza vista tra tali terminali è rappresentabile mediante il circuito equivalente
semplificato in figura. In realtà nel quarzo reale sono presenti anche degli elementi in grado di
66
dissipare potenza media che andrebbero rappresentati aggiungendo delle resistenze al circuito
semplificato di figura. L’impedenza ZQ vista ai capi è calcolata nel seguito.
1 1
Ls +
C S CP s
s 1 + LC S s 2
ZQ = =
Ls +
1
+
1 LC S C P s 2 + (C P + C S )s
CS s CP s
1 − LC S ω 2
Z Q ( jω ) =
C C
jω (C P + C S )1 − L S P ω 2
CS + CP
1
Definiamo una frequenza di risonanza serie: ω S2 =
LC S
1
E una frequenza di risonanza parallelo: ω P2 =
C C
L P S
CP + CS
2
ω
1 −
ω
S
Quindi: Z Q =
ω 2
jω (C S + C P )1 −
ω P
Risulta sempre CP >> CS, (ad esempio CP = 103~105 CS) pertanto ωP, sebbene sempre maggiore di
ωS, in realtà è molto prossima a quest’ultima.
67
π
Per ω→0: comportamento capacitivo, |Z| → ∞, circuito aperto ∠Z = − ,
2
π
Tra ωS e ωP: comportamento induttivo, ∠Z = +
2
π
Per ω→∞: comportamento capacitivo, |Z| → 0, corto circuito ∠Z = −
2
Se si tiene conto degli elementi di perdita, trascurati in precedenza, l’effettivo andamento del
modulo e della fase di ZQ risultano modificati come in figura, ma, se ωS e ωP risultano molto
vicine tra loro, l’effetto di garantire una frequenza di oscillazione dipendente quasi esclusivamente
dalle caratteristiche del quarzo permane.
68
I quarzi possono essere realizzati a basso costo di produzione con accuratezza delle frequenze ωS e
ωP molto elevate, stabili nel tempo e indipendenti dalla temperatura. Sostituendo all’induttanza un
quarzo si possono realizzare, a basso costo, oscillatori con frequenza di risonanza affetta da errori
estremamente bassi (poche parti per milione o anche meno).
L’aggiunta di una capacità variabile consente di effettuare un tuning molto fine nell’intervallo tra
ωS e ωP.
I quarzi sono disponibili sul mercato per frequenze di risonanza da alcune centinaia di KHz fino al
centinaio di MHz. Oscillatori al quarzo in ambiente termostatato permettono stabilità in frequenza
di frazioni di parti per milione o di qualche parte per miliardo (10-9).
69
Capitolo 3
Mixer
Un mixer è un sistema che, alimentato da due o più segnali in ingresso, presenta in uscita un segnale
contenente prodotti non lineari dei segnali di ingresso. In generale il segnale di uscita può essere
rappresentato da una somma di termini ciascuno dei quali è una potenza di ordine diverso della
combinazione lineare dei segnali di ingresso. Nella sua realizzazione più semplice le porte di
ingresso sono due e l’uscita contiene un solo termine proporzionale al prodotto tra i due segnali
applicati agli ingressi. Per motivi “storici” e in dipendenza da quella che risulta essere
l’applicazione più frequente del mixer nei sistemi a radiofrequenza, le due porte di ingresso
prendono il nome di “porta a radiofrequenza” e “porta dell’oscillatore locale”, mentre quella di
uscita prende il nome di “porta a frequenza intermedia”. In figura è rappresentata l’applicazione
classica del mixer utilizzato per traslare in basso la frequenza del segnale ricevuto dall’antenna di
un ricevitore.
Il mixer “mescola” i 2 segnali di ingresso in maniera non lineare producendo segnali a frequenze
diverse, fra cui f FI 1 = f RF − f OL ed f FI 2 = f RF + f OL . Se l’obiettivo è quello di traslare in basso il
segnale ricevuto dall’antenna, si selezionerà la frequenza fFI1 alla quale daremo nel seguito il nome
di “frequenza intermedia”.
Consideriamo il caso di un segnale VRF(t) modulato in ampiezza a doppia banda laterale (DSB) con
portante fRF , applicato all’ingresso a radiofrequenza del mixer e sia f OL la frequenza del segnale
monocromatico applicato sulla porta dell’oscillatore locale. Il risultato è la traslazione dello spettro
alla frequenza differenza e alla frequenza somma (quest’ultima non rappresentata in figura).
70
f FI f RF f OL f
V RF (t ) = V AM [1 + m a x(t )]cos(ω RF t )
Vediamo più in dettaglio e con qualche esempio come una non linearità possa dare origine al
termine prodotto. A tal fine supponiamo che il mixer si comporti come un sistema senza memoria
ovvero la cui tensione di uscita xu(t) all’istante t dipende solo dal valore assunto allo stesso istante
dalle tensioni di ingresso xi(t) e non dai valori assunti negli istanti precedenti. Nel caso di due soli
ingressi, x1 e x2, immaginando di poter approssimare con una espansione polinomiale la
dipendenza non lineare di xu(t) dagli ingressi potremo scrivere:
xu = a1 ( x1 + x2 ) + a 2 ( x1 + x2 ) 2 + a3 ( x1 + x2 ) 3 + ...
Nel caso più semplice di due soli segnali di ingresso VRF e VOL con
VRF (t ) = VRFM cos(ω RF t )
xi = V RF (t ) + VOL (t )
VOL (t ) = VOLM cos(ωOLt )
Un circuito che realizza in maniera estremamente semplice questo risultato è il FET, grazie alla sua
caratteristica parabolica. Nel seguito è rappresentato un mixer a FET nel quale il gruppo LC è
dimensionato in modo da risuonare alla frequenza fFI= (ωOL − ω RF ) /2π.
VGS (t ) = − E + V RF (t ) − VOL (t ) nell’ipotesi che la capacità CA si comporti come un corto circuito alla
radiofrequenza e l’induttanza di blocco come un circuito aperto.
Sotto queste condizioni la corrente di drain, fornita dalla ben nota equazione parabolica per VGS
compreso tra 0 e la tensione di pinch-off VP, contiene un termine dipendente dal quadrato della
differenza tra VGS(t) e VOL(t).
71
ID
IDSS
VD
VP
2
V
I D = I DSS 1 − GS
VP
ID =
I DSS 2
(
VP − 2VGSVP + VGS2 )
VP2
Sviluppando il doppio prodotto si ottiene:
1
− 2V RFM VOLM [cos((ω OL + ω RF )t ) + cos((ωOL + ω RF )t )]
2
L’ampiezza della componente a frequenza intermedia f FI = f OL − f RF risulta essere data da:
I DSS
VFI M = VRFM VOLM RL .
V P2
rapporto tra la potenza della componente a frequenza intermedia e la potenza disponibile del segnale
a radiofrequenza:
PFI
GC =
PARF
72
Si noti che PFI non rappresenta tutta la potenza che si misura sulla porta a f FI sulla quale sono
presenti anche altre componenti frequenziali oltre a quella a fFI, ma solo quella dovuta a quest’ultima
componente. Nel caso del FET prima esaminato:
I DSS
(2
V RFM VOLM R L ) 2
VP
PFI =
2 RL
2
V RF
PARF = M
8 RS
2 2
I DSS VOL
GC = 4 M
RL RS
VP4
Si osservi che il guadagno di conversione non dipende dal segnale a radiofrequenza e, pertanto, la
componente a frequenza intermedia, a VOLM costante, risulta proporzionale, secondo la costante GC,
a quella a radiofrequenza, ovvero
PFI = GC PARF
PFI dBm
= 10 LogPFI [mW ] = 10 LogGC + 10 LogPARF [mW ] = GC dB
+ PARF
dBm
10 log(PFI [mW ])
1W→0dB
1000mW→10log103→30dBm
10dB / dec
GC dB
(
10 log PARF [mW ] )
Il grafico costruito per via sperimentale presenta una deviazione dall’andamento lineare previsto. Il
punto di compressione a 1 dB è il valore della potenza disponibile a radiofrequenza in cui la curva
sperimentale si discosta di 1 dB dall’andamento lineare a tratteggio.
1dB
1dBCP
Di fatto è come se GC, da un certo valore di PARF in poi, cominciasse a diminuire. Si tratta di un
effetto in genere dovuto a non linearità di ordine superiore i cui effetti, oltre un certo livello del
segnale a radiofrequenza, non possono più essere trascurati.
Di norma il mixer viene usato con una PARF tale da mantenere il funzionamento al di sotto del punto
74
.
O.L.
Si possono definire fino a 6 tipi di isolamento, anche se, sostanzialmente, solo 3 sono di effettivo
interesse. Cominciamo col definire l’isolamento I RFFI della porta a RF sull’uscita a FI come il
rapporto tra la potenza disponibile a radiofrequenza e la potenza della componente a radiofrequenza
PA
sulla porta a FI: I RFFI = 10 log RF
PRFFI
Gli altri due isolamenti di interesse sono I OLFI , I OLRF definiti, con ovvio simbolismo, dalle seguenti
relazioni:
P ARF
I OLFI = 10 log
POLFI è la potenza della f OL misurata sulla porta a FI
POLFI
PA
I OLRF = 10 log OL
POLRF è la potenza della f OL misurata sulla porta a RF
POLRF
L’effetto dell’OL sulla porta a RF può essere particolarmente “fastidioso” nei ricevitori in quanto
rappresenta una componente alla frequenza dell’oscillatore locale che “fluisce” verso l’ingresso del
ricevitore. Poiché quello dell’oscillatore locale è sempre un segnale di notevole potenza (anche
qualche decina di dBm) di fatto un isolamento non infinito, nei confronti di questa componente, può
essere indice di un segnale che viaggia in direzione dell’antenna e che da questa può essere irradiato
con ovvie conseguenze negative in termini di interferenze e inquinamento elettromagnetico.
Il costruttore del mixer fornisce questi parametri all’interno di range frequenziali ben determinati
per le tre porte. Ciascun isolamento viene misurato in condizioni ben specificate. In figura è
rappresentata la configurazione circuitale per la misura di IRFFI:
50Ω
+ In uscita a frequenza f RF si
MIXER osserva una componente di
VRF
- 50Ω V
ampiezza RFM dalla quale si
ricava PRFFI
O.L
.
75
3.2 Mixer a moltiplicatore
Invece che utilizzando una non linearità, l’operazione di mescolamento (o mixaggio, con un brutto
neologismo) si può realizzare mediante dei moltiplicatori. Il caso più frequente è quello della
moltiplicazione per un’onda quadra q(t) che ha frequenza fondamentale pari a fOL. In figura è
rappresentata q(t) insieme col suo sviluppo in serie di Fourier.
q(t)
1 ω0 =
2π
T0
π
∞
sin n
1 2
t q (t ) = +∑ con (nω 0t )
2 n =1 π
n
T0 2
Il circuito in figura permette di ottenere in uscita una tensione proporzionale al prodotto di VS(t) per
l’onda quadra q(t):
Per ottenere il risultato è necessario che il tasto sia comandato da un fenomeno periodico all
frequenza dell’oscillatore locale. Si può ottenere il risultato col circuito rappresentato nella figura
seguente che assume il nome di Mixer a diodi singolarmente bilanciato.
VOL è una tensione periodica di forma qualunque purchè di ampiezza sufficiente a mandare
alternativamente in conduzione o in interdizione i diodi. Nel semiperiodo in cui VOL è alta,
considerando Vγ=0 (trascurabile), tutti e quattro i diodi conducono ed è come se il tasto fosse
chiuso, nell’altro semiperiodo risultano interdetti ed è come se il tasto fosse aperto.
Nel seguito si effettuerà il calcolo del guadagno di conversione e l’isolamento per questo mixer.
:
76
PFI
GC = con RS=RL=50Ω
PARF
1 1 V RFM 2 2π
V FI (t ) = V RF (t )q (t ) V FI M = cos (ω 0 − ω RF ) ω0 =
2 2 4 π T0
V RF2
PFI = M
4 ⋅ 2π 2 R L
V RF2
P ARF = M
8R S
V RF2 8R S 4
GC = M
2 2
= ≅ 0.1
4 ⋅ 2π R L V RF π2
M
¼ della potenza disponibile a RF si ritrova in uscita sulla porta a FI. L’isolamento è scadente e
corrisponde al fatto che una aliquota significativa della potenza a radiofrequenza non viene
convertita, ma ricompare in uscita. Per migliorare le prestazioni di questo mixer sia in termini di
77
guadagno che di isolamento, si utilizza una configurazione opportunamente modificata in cui
compare un’onda quadra bipolare (con valor medio nullo) a differenza di quella unipolare con valor
medio ½ utilizzata prima. E’, infatti, la presenza della componente continua nello sviluppo di q(t) a
degradare l’isolamento.
π
∞
sin n
q q (t ) = 2 ∑
2
cos(nω0t )
n =1 π
n
2
RL 1
V FI (t ) = V RF (t ) q q (t ) = V RF (t )q q (t )
RL + RS 2
211 V RF2
V FI M = V RF M 2 PFI = M
π 22 2π 2 R L
In questo caso tutti e tre gli isolamenti di interesse risultano, nel caso ideale, infiniti.
Mentre il mixer precedente era bilanciato solo nei riguardi dell’OL (singolarmente bilanciato),
questo lo è sia nei riguardi dell’OL sia nei riguardi dell’RF (doppiamente bilanciato).
La realizzazione circuitale sfrutta un ponte a diodi come in figura
78
D 1
RS RL
2:1 2 1:2
VRF C A VOL
4
3
B
RL
+ VFI -
I diodi conducono a coppie per effetto del segnale di comando sulla porta dell’oscillatore locale.
Quando VOL è nel semiperiodo positivo conducono i diodi 2 e 3 (VA=VB), mentre i diodi 1 e 4 sono
interdetti (VFI=VCB).
Quando VOL è nel semiperiodo negativo conducono i diodi 1 e 4 (VD=VA), mentre i diodi 2 e 3 sono
interdetti (VFI=VCD)
A parte un coefficiente moltiplicativo, il segnale viene trasferito sulla porta a FI per metà periodo
col suo segno e per metà perido cambiato di segno.
Dal punto di vista del primario (porta a RF) esso vede sempre sul secondario una resistenza RL in
entrambe i semiperiodi. La resistenza RL viene riportata sul primario moltiplicata per il quadrato del
rapporto spire. Nel seguito, con ovvio simbolismo, sono riportati i passaggi che conducono al
calcolo del guadagno di conversione.
4
V 1M = V RF M V2M è l’ampiezza della tensione sul secondario del
5 2 21 4
V FI M = V RF M 2 = V RF M
2 5 π 2 5π trasformatore della porta RF: essa viene
V 2M = V RFM
5
moltiplicata per l’onda quadra e si ritrova ai capi
Pertanto:
del carico RL sulla porta a FI.
V RF2 16 8R S 64 1
GC = M
= ≅ ⇒ −6dB
2 2 2
25π 2R L V
RF
25π 4
M
Questo tipo di mixer in configurazione ibrida trova applicazione fino a diversi GHz.
Si possono trovare le caratteristiche funzionali di diverse famiglie di mixer basati su questa
topologia sul sito: www.minicircuits.it.
79
CAPITOLO 4
RICEVITORI
80
frequenza fissa chiamata frequenza intermedia fFI alla quale operano tutti i circuiti di filtraggio e
demodulazione successivi.
Questo risultato si ottiene utilizzando un mixer e scegliendo opportunamente la frequenza fOL con il
quale far “battere” il segnale ricevuto applicandola sulla porta del mixer riservata all’oscillatore
locale. Posizionando intorno alla frequenza fFI un filtro selettivo, sarà poi possibile filtrare il segnale
desiderato, eliminando tutti quelli che si trovano fuori dalla banda del filtro. Per ottenere lo stesso
risultato sarebbe, altrimenti, necessario utilizzare un filtro passa banda con frequenza centrale pari a
fRF da posizionare subito dopo l’antenna o il LNA (v. figura). Questa seconda soluzione è
estremamente difficile e più costosa da realizzare. È, infatti, molto complicato dal punto di vista
tecnologico, realizzare filtri altamente selettivi (ad alto fattore di qualità) che presentino, al
contempo, frequenza centrale variabile.
Filtro
passa-banda
Tanto per fissare le idee, immaginiamo di voler selezionare un singolo canale per una
comunicazione secondo il più diffuso standard di telefonia mobile: il GSM. In questo caso la
larghezza di banda di un canale è 200 KHz , mentre la frequenza centrale può essere intorno ai 2
GHz. Per ottenere il risultato sarebbe necessario un filtro a frequenza variabile su tutta la gamma di
frequenze assegnata al segnale (da 30 a 60 MHz a seconda degli standard) con Q=10.000: si tratta
di una soluzione non realizzabile in pratica a causa del limite non superiore a qualche centinaio del
fattore di qualità di componenti reattivi (induttanza o capacità) di valore variabile.
Quindi, invece di spostare il filtro sulle frequenze volute si fa la cosa opposta: si trasla il segnale a
bassa frequenza dove può essere filtrato più agilmente. Per traslare il segnale lo si moltiplica per
un’oscillazione a frequenza opportuna in modo che uno dei prodotti della moltiplicazione
(tipicamente il segnale a frequenza differenza) cada in corrispondenza della frequenza intermedia
prescelta. Infatti, gli oscillatori variabili sono più facilmente realizzabili dei filtri a frequenza
variabile. Lo schema base di un ricevitore supereterodina è rappresentato in figura
81
LNA MIX AFI
OL
Questa architettura, ampiamente la più diffusa da quasi 90 anni, introduce, però, un problema:
quello della frequenza immagine. Infatti, sia il canale che si desidera ricevere, sia qualunque altro
interferente situato in posizione simmetrica a questo, rispetto alla frequenza dell’oscillatore locale,
vengono traslati, per effetto della moltiplicazione, in corrispondenza della frequenza intermedia.
Per comprendere meglio il problema conviene descrivere un esempio specifico e fare riferimento ad
uno standard relativo ad un servizio esistente. Utilizziamo, a questo fine, lo standard per la
radiodiffusione in modulazione di ampiezza ad onde medie.
Al servizio è destinata la banda che va da 540 kHz ÷ 1.6 MHz, sulla quale sono identificati 106
canali distanzianti di 10 KHz. Ciascun canale “ospita” un segnale a radiofrequenza modulato in
ampiezza da un segnale audio la cui banda va da 300 Hz a 4.5 kHz (v. figura).
Per selezionare un singolo canale si dovrebbe disporre di un filtro con frequenza centrale variabile
f 0max 1.6MHz
nel range [540 kHz ÷ 1.6 MHz] dotato di un fattore di qualità: Q ≅ = > 160
B f RF 10kHz
82
intermedia: fFI = 455 kHz . Si è ottenuta, in tal modo, una forte riduzione dei costi dovuta all’ovvio
effetto di una economia di scala.
Pe risolvere il problema, basta inserire, prima del mixer, un filtro che introduca una attenuazione
adeguata in corrispondenza della frequenza immagine a 1450 kHz. L’architettura del front end
viene, dunque, modificata come in figura:
OL
Il filtro per la frequenza immagine (di norma denominato “filtro a radiofrequenza” per distinguerlo
da quello contenuto nell’amplificatore a frequenza intermedia detto anche “filtro di canale”) deve
avere selettività adeguata e attenuare la fIM di una quantità che varia da una trentina ad una
settantina di dB, a seconda delle applicazioni.
Esso deve essere “accordato” con l’oscillatore locale e variare la sua frequenza centrale di pari
passo a quella generata da quest’ultimo. Gli intervalli (o gamme di frequenza) occupati dal segnale
83
a radiofrequenza, dall’oscillatore locale e dalla frequenza immagine, sono riportati con ovvio
simbolismo in figura.
BIM
BOL
BRF
fFI = 455 kHz
Come si può osservare, l’intervallo della radiofrequenze (BRF ) e quello della frequenza immagine
(BRF) sono parzialmente sovrapposti e questo impedisce, sia pure a livello teorico, di utilizzare un
filtro a frequenza fissa con banda passante corrispondente all’intervallo BRF in Figura e banda
bloccata corrispondente all’intervallo BIM. Nel caso in cui la frequenza intermedia fosse risultata
abbastanza elevata da fari si che i due intervalli risultassero sufficientemente lontani, il filtro a
radiofrequenza avrebbe potuto essere a frequenza fissa.
Per quanto riguarda il filtro a radiofrequenza, le realizzazioni più semplici prevedono l’utilizzo di
una topologia del tipo in Figura
Dove la capacità variabile era ottenuta, in tempi passati, modificando, mediante la rotazione di una
manopola di sintonia, la geometria di un condensatore ad armature piane, attualmente con l’utilizzo
di un varicap. In ambedue i casi, comunque, risulterebbe difficile ottenere dei valori del fattore di
qualità QV > 30.
Valori del fattore di qualità significativamente più elevati possono essere ottenuti nel caso di filtri a
parametri concentrati (L/C/R) a frequenza centrale fissa: QF ~ 100 ÷1000. Molto meglio si può fare
84
con filtri monolitici, come quelli al quarzo, che permettono di superare agevolmente il valore di
1000.
QV QF
Elimina la fIM OL
La frequenza intermedia fFI è legata al fattore di qualità del filtro AFI e alla larghezza di banda del
singolo canale Bch.
f FI
QF = ⇒ f FI = QF Bch = 100 × 10kHz = 1MHz
Bch
Dovremmo, quindi, per ricevere le frequenze nell’intervallo [117 ÷ 136] MHz, traslare il canale da
ricevere a 1MHz.
La banda coperta dall’OL sarà [118 ÷ 137] MHz e l’intervallo delle frequenze immagine sarà [119
÷ 138] MHz. Quanto appena detto è schematizzato nella figura seguente:
BIM
BOL
fFI
f(MHz)
85
Gli intervalli di frequenza della delle fIM e della fRF si sovrappongono: per questo è necessario
utilizzare un filtro a RF con frequenza centrale variabile il quale presenterà, però, un Qmax = 30. In
tal caso la banda passante BFRF sarà ricavabile come segue:
f RFmax f RFmax 136MHz
QV = ⇒ BFRF = = = 4.5MHz
BFRF QV 30
Pertanto la fIM che si trova a 138 MHz, quindi dentro la banda del filtro RF, e non viene attenuata,
mentre si desidera, tipicamente, introdurre un’attenuazione della fIM di almeno 40dB.
Il problema si risolve modificando la struttura proposta nella maniera rappresentata in Figura dove è
rappresentata una architettura del tipo “a doppia conversione”. Il principio di funzionamento è
descritto nel seguito.
Si passa, utilizzando un mixer ed un oscillatore locale a frequenza variabile, ad una prima frequenza
intermedia, superiore rispetto a quella finale alla quale si realizza il filtraggio di canale. Quindi si
opera una seconda traslazione tra la prima e la seconda frequenza intermedia utilizzando un
oscillatore locale a frequenza fissa. Il fatto che fFI1 sia molto maggiore di fFI2 permette di
“allontanare” la frequenza immagine della prima conversione così da poter ridurre la selettività
richiesta al filtro a RF.
.
fc
LNA fRF MIX1 AFI1 fFI1 MIX1 AFI1 fFI2
OL1 OL2
La prima frequenza intermedia fFI1 si ricava imponendo che la frequenza immagine della prima
conversione fIM1 sia “sufficientemente lontana dal canale che si desidera ricevere centrato su fRF.
Per esempio:
f IM1 = 1.5 ⋅ f FRF = 204 MHz
86
(si è assunto f FRF = 136 MHz che è la situazione peggiore).
fFI
f
fRF fOL fIM
L’oscillatore locale 2 produrrà una frequenza fissa pari a 35MHz: esso deve permettere la
traslazione di segnale in posizione fissa a 34MHz(fFI1) e lo portarlo a 1MHz.
Potrebbe ancora verificarsi il problema della frequenza imagine sulla seconda conversione: è
opportuno verificare che ciò non accada. Il filtro AFI1 deve essere in grado di reiettare la seconda
frequenza immagine fIM2. E’ un filtro a frequenza fissa con Q > 100 pertanto
f FI1 34MHz
BAFI1 = 340kHz = =
Q 100
La fIM2 è chiaramente fuori dalla banda del filtro che presenterà dei fianchi molto ripidi (Q>100) e,
pertanto verrà pesantemente attenuata. Per una valutazione esatta bisognerebbe, comunque,
conoscere con precisione la tipologia e l’ordine del filtro utilizzato.
f
1 34 35 36
Potrebbe accadere ( anche se è estremamente raro) che due conversioni non siano sufficienti, in tal
caso si può arrivare a 3 o più. L’attuale disponibilità di filtri monolitici a frequenza centrale fissa e a
basso costo scongiura, di fatto, questa eventualità.
87
4.2 Filtri monolitici passivi
Esistono diverse tecnologie per realizzare filtri a frequenza fissa con caratteristiche particolarmente
spinte in termini di selettività. Fra queste la più diffusa, anche per il costo abbastanza contenuto, è
quella basata sull’utilizzo di cristalli di quarzo opportunamente sagomati. Il materiale utilizzato ha
caratteristichistiche piezoelettriche, ovvero a fronte dell’applicazione di una tensione tra due facce
di un parallelepipedo il materiale piezoelettrico presenta una microdeformazione e, viceversa, se,
applicando una forza opportuna si causa una deformazione, allora si osserva su direzioni ortogonali
a quelle della deformazione, una differenza di potenziale. Si tratta, di fatto, di un sistema in grado di
trasformare sollecitazioni elettriche in meccaniche e viceversa. La struttura di un filtro al quarzo è
rappresentata in maniera schematica in figura.
La sollecitazione meccanica causata dall’applicazione di
+ +
una tensione variabile Vin tra due metallizzazioni deposte ad
I filtri al quarzo, da unto di vista elettrico, possono essere schematizzati con una rete a scala in cui i
tratti orizzontali sono costituiti da circuiti risonanti serie e quelli verticali da circuiti risonanti
parallelo, ambedue alla stessa frequenza di risonanza f0.
CS CS
LS LS
.
+ +
Vin CP Vu
LP
- -
88
RS Il filtro viene caratterizzato inserendolo
Un’altra tipologia di filtri monolitici per radiofrequenza è quella dei Filtri SAW (Surface Acustic
Wave) . Si tratta di blocchi di materiale piezoelettrico su cui sono realizzate metallizzazioni con
opportune geometrie interdigitate che permettono di ottenerere una risposta in frequenza selettiva e
sagomata in maniera particolare. Sono disponibili in commercio fino a frequenze di qualche GHz..
I principali parametri che caratterizzano il front end di un ricevtore sono elencati e brevemente
descritti nel seguito.
Selettività: misura la capacità del ricevitore di reiettare i canali indesiderati.
89
Si misura come segue: con un generatore si impone un certo segnale a frequenza fRF e si rileva la
potenza in uscita dall’AFI in condizioni di perfetta sintonia (potenza massima in uscita).
Quindi, mantenendo la sintonia dell’oscillatore locale si varia la frequenza del segnale in ingresso di
una quantità ∆f e si rileva la nuova potenza del segnale in uscita dall’AFI senza modificare la
sintonia. Adesso il segnale in uscita all’AFI non è più centrato su fFI, ma spostato di una quantità
pari a ∆f e, di conseguenza, l’uscita risulta attenuata rispetto al caso precedente..
La selettività è data dal rapporto, espresso in dB, di queste due potenze rispetto al ∆f (ad es: 30dB a
100kHz).
90
P
- Si definisce la reiezione alla frequenza immagine come 10 ⋅ log FIRF .
PFIIM
Allo stesso modo si opera inviando in ingresso, invece che la frequenza immagine, quella
intermedia fFI. Si definisce, con ovvio simbolismo la reiezione alla frequenza intermedia come
P
10 ⋅ log FIRF . Il fatto che la fFI sia presente sull’uscita a frequenza intermedia è dovuto ad un
PFIFI
cattivo isolamento della porta a radiofrequenza su quella a frequenza intermedia del mixer.
In questa sezione esaminiamo alcuni esempi di ricevitori per determinati standard trasmissivi.
OL
455 MHz
91
In tal caso il filtro a radiofrequenza è seguito direttamente dal mixer.La demodulazione del segnale
AM si effettua con un rivelatore asincrono costituito da un circuito identico al raddrizzatore a filtro
capacitivo a singola semionda.
sgancia. R deve essere di valore abbastanza elevato affinchè la costante di tempo τ =RC causi una
t
−
scarica sufficientemente lenta. Poiché durante la scarica la tensione sul diodo è VC = Vmax e τ
si
deve avere τ >> TFI = 2p/fFI affinché la tensione VC non si allontani in maniera significativa
2π
dall’inviluppo (vedi figura). Quindi : RC >>
ω FI
VAM 1 + ma x ( t )
x ( t ) < 1
C ma < 1
R
Esempio:
C = 0.1 µF (elevata)
ωFI ~ 2π500 kHz TFI = 2µs
→ τ = 10 TFI = 20µs
RC = τ → R = τ/C = 200Ω
92
La costante di tempo τ, comunque, deve avere anche un limite superiore altrimenti la scarica
risulterebbe troppo lenta e la tensione VC non riuscirebbe a seguire l’inviluppo; in altri termini, il
demodulatore tenderebbe a funzionare come rivelatore di picco. Per valutare il massimo valore di t
compatibile con un corretto funzionamento del demodulatore imponiamo la condizione che la
velocità di scarica sia, in modulo, maggiore della “velocità” con la quale varia l’inviluppo, ovvero
della derivata rispetto al tempo dell’inviluppo medesimo. Supponiamo, per semplificare, che
l’inviluppo abbia andamento cosinusoidale con pulsazione W.
inviluppo
Scarica troppo
lenta
Scarica troppo
veloce
∂
( inviluppo ) = −VAM ma Ω sin ( Ωt *)
∂t
∂ ∂ V
( scarica ) = VAM (1 + ma cos ( Ωt *) ) e τ = − AM (1 + ma cos ( Ωt *) )
−t
∂t ∂t τ
VAM 1 + ma cos ( Ωt *)
τ
(1 + m a cos ( Ωt *) ) > VAM ma Ω sin ( Ωt *) ⇒ τ <
ma Ω sin ( Ωt *)
Per ogni t* si ottiene un τ diverso: affinchè la condizione sia sempre verificata è necessario e
sufficiente che lo sia in corrispondenza del valore di t* per cui l’espressione a destra della
93
∂ 1 + ma cos ( Ωt *)
= 0 ⇒ −ma Ω sin ( Ωt *) ma Ω sin ( Ωt *) − (1 + ma cos ( Ωt *) ) ma Ω cos ( Ωt *) = 0
2
∂t ma Ω sin ( Ωt *)
cos ( Ωt *)
−ma2 Ω2 sin 2 ( Ωt *) − ma Ω 2 cos ( Ωt *) − ma2 Ω2 cos 2 ( Ωt *) = 0 ⇒ ma 1 +
ma
Il valore di t* per cui si ottiene il minimo è quello per cui: cos ( Ωt *) = −ma
In corrispondenza si ottiene:
1 − ma2 1 − ma2
τ< =
ma Ω 1 − ma2 ma Ω
Nel caso in cui il segnale non sia monocromatico, la valutazione di massimo si fa sostituendo a Ω
la Ωmax del segnale.
1
1 − ma2 ma 0.9 ⇒ τ max 100 µ s
τ max = 2Ω max
ma Ω max
τ min 20 µ s
Facciamo adesso alcune considerazioni sull’ampiezza che l’inviluppo deve assumere per una
corretta rivelazione. Immaginando di utilizzare n diodo al germanio con Vγ = 0.3 V, deve risultare
L’inviluppo varia con x(t) e sappiamo che |x(t)| < 1 quindi nel caso peggiore x(t) = -1
VAM(1-0.9) > 3V = 10Vγ → VAM > 30V
Per ottenere questo risultato, ovvero un amplificatore a frequenza intermedia con ampiezza
massima della tensione di uscita pari a 30 V, bisognerebbe utilizzare una tensione di alimentazione
ancora maggiore: soluzione incompatibile con i limiti di ingombro, peso e autonomia di qualunque
sistema portatile. Per ovviare a questo inconveniente si può utilizzare un altro tipo di rivelatore:
quello sincrono.
Rivelatore sincrono.
Questa soluzione è descritta in figura
94
MIX AFI RF FI
OL
LIM
Filtro passa-basso
OL
che elimina le
componenti a 2ωFI
Moltiplicando VAFI = VAM 1 + ma x ( t ) cos (ω FI t ) per cos(ωFIt) l’inviluppo viene moltiplicato per
1
un termine del tipo 1 + cos ( 2ω FI t )
2
Il filtro passa basso elimina la componente dell’inviluppo modulata a frequenza 2 fFI
Il limitatore si realizza con un semplice comparatore, ovvero con un sistema avente la seguente
caratteristica ingresso uscita che, alimentato col segnale modulato, genera un’onda quadra come
quella rappresentata in figura, mediante la quale si può pilotare, ad esempio, un mixer a diodi
doppiamente bilanciato che funge da moltiplicatore.
Vu
Segnale
modulato
Vo AM
Vi
t
-Vo
In tal caso il moltiplicatore necessita di una tensione > 2Vγ per funzionare correttamente.
95
Controllo automatico del guadagno.
Esaminiamo, adesso, un problema tipico dei ricevitori per segnali modulati in ampiezza: quello del
fading. .Poichè le caratteristiche del canale variano in maniera imprevedibile per diverse ragioni,
l’ampiezza della portante è soggetta ad una variabilità che può essere anche di ordini di grandezza
nel giso di pochi minuti (ad esempio nel caso di un ricevitore su un mezzo che si muove ad alta
velocità in ambiente urbano), In realtà VAM è una funzione del tempo lentamente variabile:
VAM = VAM(t). Si tratta, comunque, di fluttuazioni molto lente il cui spettro è centrato intorno alla
continua e si estende, al massimo, fino a frequenze di qualche Hertz (v. figura)..
VAM(ω)
Il problema si risolve utilizzando un anello di controllo che prende il nome di controllo automatico
del guadagno (CAG). Si tratta di prelevare dall’uscita demodulata un segnale proporzionale
all’ampiezza della portante ed utilizzarlo per controllare il guadagno dell’AFI, come
schematicamente rappresentato in figura.
Ovviamente il sistema deve agire in modo tale che, a fronte di un aumento dell’ampiezza della
portante il guadagno dell’AFI venga ridotto e,viceversa, esso venga aumentato a fronte di una
diminuzione. Bisogna utilizzare un amplificatore con guadagno controllabile mediante una tensione.
Si ottiene il risultato, ad esempio, usando la tensione VAM per controllare il punto di riposo di un
96
transistore il cui gm viene, in questo modo, modificato opportunamente agendo, in tal modo, sul
guadagno totale dell’AFI.
Tenuto conto di tutte le osservazioni fatte in precedenza circa la necessità di controllare l’ampiezza
della portante in uscita all’AFI, si perviene ad uno schema circuitale del tipo rappresentato in figura
in cui l’ampiezza VAM(t) viene utilizzata per modificare il punto di riposo del transistore 1
dell’AFI.
DEMODULATORE
RF FI
MIX AFI ABF
OL
LIM
OL
VAM(t)
VAM ( t ) 1 + ma x ( t )
Vcc
RL
R1
DEMOD
VFI=VIN
1
Ic2
R2
VAM(t)
2
97
4.4.2 Ricevitore per radiodiffusione in modulazione di frequenza
pulsazione istantanea il cui scostamento dalla pulsazione della portante è dato da:
θ& ( t ) = ω D x ( t )
Per convenzione, si assume che che |x(t)| < 1 in modo tale che la quantità ωD<<wRF rappresenti la
massima deviazione della pulsazione istantanea dalla pulsazione della portante wRF.
Definiamo:
ωD
fD = deviazione di frequenza
2π
fD
D= indice di modulazione
Bm
Bm : banda del segnale modulante x(t)
Calcolare lo spettro del segnale non è facile. Per valutare la banda occupata dal segnale modulato si
sfrutta una relazione dovuta a Carson che, sotto certe ipotesi, permette di individuare l’intervallo di
frequenze, detto banda di Carson BC, che contiene buona parte dell’energia del segnale modulato:
BC = 2 Bm ( D + 1)
Come esempio di riferimento analizziamo lo standard che regola il servizio di radiodiffusione FM.
L’intervallo di frequenze assegnato al servizio dal Piano Nazionale delle fequenze è compreso tra
88 e 108 MHz . Risulta, inoltre:
Bm = 30 Hz ÷ 15kHz
BC fD
D= −1 5 D= ⇒ fD 75kHz
BC = 180kHz 2 Bm Bm
Esaminiamo una possibile procedura di dimensionamento del front end il cui schema a blocchi è
rappresentato nella seguente figura. Come si vedrà, in questo caso, almeno in linea di principio, il
filtro a radiofrequenza può essere fisso dal momento che il range della radiofrequenza e quello della
frequenza immagine risultano separati.
98
LNA MIX AFI
OL
Il filtro a frequenza intermedia che immaginiamo contenuto all’interno dell’AFI è, come nel caso
precedente, quello che seleziona il canale che si desidera ricevere. Supponiamo anche questa volta
che, per renderne possibile la realizzazione a basso costo il suo fattore di qualità sia QF ~ 50,
pertanto risulta fFI = QFBC ~ 10MHz
Per mantenere il range della frequenza immagine separato da quello della radiofrequenza (vedi
figura) le associazioni di costruttori concordarono agli inizi un valore di fFI = 10.7MHz.
∆fOL
∆fIM
∆fRF
109.4
f
Questa scelta, come già detto, consente di usare come filtro di antenna un filtro a frequenza fissa
che faccia passare tutto l’intervallo ∆fRF reiettando quello ∆fIM.
L’utilizzo per il filtro a radiofrequenza di un filtro fisso (eventualmente di tipo monolitico) permette
di contare su una forte reiezione nella banda bloccata (dove cade la frequenza immagine) e, quindi,
di immaginare una soluzione a singola conversione.
Una volta traslato il segnale a frequenza fFI = 10.7MHz e filtrato il singolo canale, il demodulatore
deve estrarre l’informazione che s causate dalle variazioni delle caratteristiche del canale.
Se si fa passare il segnale VFM AFI = VFM A cos (ω FI t + θ ( t ) ) attraverso un derivatore si ottiene in uscita
ovvero, un segnale modulato in ampiezza oltre che in frequenza (si ricordi che wD<wRF e, quindi
ω FI + θ& ( t ) > 0 ).
99
Tramite un rivelatore d’ampiezza si può estrarre l’inviluppo e, quindi, la sua componente variabile
proporzionale a x(t). In definitiva il demodulatore può essere realizzato secondo lo schema a
blocchi di figura::
θ& ( t ) = ω D x ( t )
Mediante un filtro passa alto con limite inferiore di banda di alcuni Hertz, si può eliminare la
componente continua .
Per risolvere il problema del fading che rende VFMA una funzione dipendente, sia pure lentamente,
dal tempo ( VFM A = VFM A ( t ) ) si fa passare il segnale modulato, prima della demodulazione,
attraverso un limitatore che produce in uscita un’onda quadra di ampiezza 2V0 picco-picco
indipendentemente dall’ampiezza della portante.
Vu
V0
Vi VU Vi
AFI LIMIT.
-V0
La tensione a onda quadra VU così ottenuta ( si ricordi che si tratta, comunque, di un’onda quadra
modulata in frequenza a banda stretta) si filtra con un filtro passa banda centrato sulla frequenza fFI
in modo da filtrare la componente spettrale centrata sulla prima armonica.
100
ωFI 3ωFI 5ωFI
Non è richiesto il controllo automatico del guadagno purchè l’ampiezza della portante sia in grado
di mandare in saturazione l’uscita del limitatore.
Ampiezza minima
della portante
Esaminiamo adesso una possibile soluzione circuitale per la realizzazione del derivatore. Si
potrebbe usare un circuito derivatore basato sull’utilizzo di un amplificatore operazionale a larga
banda come in figura:
dvi
i (t ) = C
dt
dv
vu = − RC i
dt
Oppure un amplificatore trans-conduttivo con carico induttivo come realizzato mediante un FET
come in figura
101
.
Dove vu = − g m vgs jω L
ovvero
id = g m vgs
dvgs
vu = − Lg m
dt
Il “guadagno” del derivatore è il rapporto tra il modulo della tensione di ingresso e quello della
tensione di uscita, ovvero wFILgm.
102
Il guadagno di rivelazione del sistema è tanto più elevato quanto più la retta è inclinata, ovvero
quanto più L è grande.
In realtà e facile dimostrare che il carico induttivo può essere sostituito da una qualunque
impedenza ZQ il cui modulo risulti essere una funzione lineare della frequenza solo nella banda
occupata dal segnale modulato. Questa funzione può essere assolta da un filtro RLC con una
frequenza di risonanza prossima, ma non uguale a fFI. Se fFI cade nella zona a sinistra della
frequenza di risonanza in cui la pendenza di |ZQ(f)| risulta molto maggiore di L, si ottiene un
significativo aumento del “guadagno” del derivatore (vedi figura) senza utilizzare induttanze di
valore improponibile a causa degli ingombri e delle inevitabili perdite dovute alla componente
resistiva degli avvolgimenti utilizzati.
Eventualmente al posto del carico risonante si potrebbe anche usare un quarzo (filtro monolitico)
che presenta un Q elevato e, di conseguenza, fianchi estremamente ripidi della funzione |ZQ(f)| .
Vu
L C
R
RS CA
RFC
vF
E0
FM Stereo
Come è noto la maggior parte delle stazioni che utilizzano questo servizio trasmettono un segnale
audio stereofonico. Per garantire la compatibilità tra stazioni trasmittenti in monofonia e in
103
stereofonia e ricevitori predisposti, oppure non per la ricezione di segnali streofonici, si opera una
particolare codifica del segnale a partire da un segnale somma (canalle destro+ canale sinistro) e da
un segnale differenza (canale destro – canale sinistro). Il segnale differenza viene modulato in
ampiezza senza portante intorno ad una frequenza di 38 kHz e, quindi, sommato al segnale somma.
Il segnale così ottenuto (che occupa una banda di 53 kHz) viene quindi modulato in frequenza alla
portante di trasmissione in modo da ottenere una banda di Carson di 180 kHz e, quindi, da occupare
la stessa banda di un canale monofonico.
E’ opportuno fornire, in questa sede, alcune indicazioni sull’architettura dei ricevitori destinati a
questo tipo di servizio. Si tratta, in genere, di ricevitori integrati su singolo chip (almeno per quanto
riguarda la parte di front end), destinati a lavorare a frequenze che vanno da 900 MHz ad lcuni GHz
a seconda dei casi. Ricevitore e trasmettitore vengono integrati sullo stesso chip e prendono il
nome di Transceiver. Facciamo riferimento allo standard più diffuso al momento della stesura di
questi appunti: lo standard GSM.
Esso adotta un metodo di accesso al canale di tipo FDM (Frequency Division Multiplexing) con una
ripartizione fra 8 utenti in suddivisione temporale (TDMA) all’interno di ogni canale. Ovvero
ciascun canale, della larghezza di 200 kHz, è utilizzato da 8 utenti che lo occupano a turno
utilizzando a rotazione slot temporali di 9 ms ciascuna.
Questa complessità è necessaria per avere una buona efficienza spettrale visti l’affollamento della
banda. Questa gestione apparentemente complessa della risorsa “canale” è realizzabile a basso costo
solo grazie ad un livello di integrazione molto spinto.
Tipicamente un ricevitore può essere realizzato con due soli chip quello del Transceiver e quello per
l’elaborazione in banda base.
In teoria, poiché si può usare la stessa tecnologia per i due chip, sarebbe possibile una soluzione
single chip che, però, non viene di solito utilizzata a causa delle forti interferenze che la parte di
elaborazione digitale causerebbe sul ricevitore. Mediante un dispositivo denominato duplexer, che
104
in questo caso è, sostanzialmente, un commutatore, si può utilizzare la stessa antenna per
trasmettere e ricevere. Infatti, sebbene la sensazione che ha l’utente è quella di una comunicazione
full duplex, in realtà gli slot temporali dedicati alla trasmissione sono separati da quelli dedicati alla
ricezione sullo stesso terminale mobile..
Per la banda GSM con frequenza centrale attorno ai 900 MHz esaminiamo una soluzione con
architettura supereterodina come quella in figura:
Il passa banda dopo il duplexer ha la funzione di eliminare i blockers e di introdurre una prima
attenuazione nei confronti della frequenza immagine. I due filtri dopo il LNA ed il mixer hanno la
funzione di attenuare la frequenza immagine e di selezionare il singolo canale che si vuole ricevere,
rispettivamente. Si dovrà realizzare un filtraggio molto selettivo intorno a 900 MHz ed uno intorno
alla fFI (in genere tra 40 e 70 MHz). A questo valore della fFI si perviene immaginando di utilizzare
un filtro di canale di tipo monolitico e con un fattore di qualità di qualche centinaio. Si ricorre a
filtri monolitici che non sono compatibili con la tecnologia integrata e, pertanto il segnale deve
essere portato fuori dal chip, filtrato e reintrodotto all’interno per le successive elaborazioni. Tutto
ciò comporta costi di realizzazione e montaggio aggiuntivi, oltre a richiedere un budget di potenza
105
non trascurabile a causa dell’elevato valore di corrente necessario per pilotare a queste frequenze le
capacità inevitabilmente connesse alla presenza dei pad di ingresso/uscita dal chip.
Per ovviare ad alcuni degli inconvenienti dell’architettura supereterodina, derivanti,
prevalentemente, dalla necessità di un elevato grado di integrazione, sono state proposte soluzioni
alternative..
Architettura omodina.
In questo caso la frequenza intermedia è nulla in quanto l’oscillatore locale lavora alla stessa
frequenza della portante. Il segnale viene quindi traslato in continua perciò il filtro di canale è un
passa-basso.
Il problema della frequenza immagine non sussiste. Il filtro passa basso che agisce come filtro di
canale, anche se molto selettivo, è comunque integrabile perché lavora a 200kHz e può essere
realizzato con tecnologie compatibili con l’integrazione (ad esempio mediante la tecnica dei
condensatori commutati).
Un problema potrebbe essere quello dell’accoppiamento dell’oscillatore locale con l’ingresso del
ricevitore che è sintonizzato sulla stessa frequenza (omodina vuol dire proprio questo). Essendo il
primo un segnale di notevole potenza e l’accoppiamento controllato da fenomeni aleatori (tipo la
posizione del ricevitore, l’orientamento dell’antenna, ecc,) questo fenomeno può produrre in uscita
al mixer una tensione “quasi continua” (DC offset) nociva alla corretta demodulazione.
Un altro problema abbastanza serio è costituito dal rumore flicker il cui spettro si concentra intorno
alla continua (vedi figura):
106
Per limitare questo problema si dovrebbe lavorare con un AFI in grado di filtrare l’intervallo che va
dalla continua fino alla frequenza di corner del rumore flicker, ovvero, utilizzare un valore della fFI
di alcune centinaia di kHz: tipicamente f FI = 200kHz ÷ 1MHz . Questa scelta porta ad una
Architettura LOW-IF:
Questa architettura è caratterizzata da un valore della frequenza intermedia talmente basso da
rendere praticamente impossibile la realizzazione del filtro a radiofrequenza che risulta troppo
“prossima” alla frequenza immagine. Oltre ad essere estremamente selettivo il filtro dovrebbe a
frequenza centrale variabile.perchè il range RF si sovrappone al range IM.
Il problema si risolve eliminando il filtro per la frequenza immagine (rimane la necessità di un filtro
RF esterno per eliminare i blockers prima del LNA) ed utilizzando un particolare tipo di mixer
denominato “ Mixer a Reiezione della Frequenza Immagine” che è in grado di trattare in maniera
differenziata il canale centrato sulla fRF , che si trova a sinistra della frequenza dell’oscillatore
locale, da quello centrato sulla fIM che si trova in posizione simmetrica a destra. In figura è
schematizzato l’intero transceiver integrato che non richiede alcuna uscita intermedia dal chip e
permette di conseguire enormi vantaggi in termini di costo, ingombro, consumo ed affidabilità.
20dBm
PA TX
107
CAPITOLO 5
Anelli ad aggancio di fase (Phase Locked Loop)
Il PLL (Phase Locked Loop – anello ad aggancio di fase) è un sistema reazionato la cui uscita è un
segnale con frequenza pari a quella del segnale di ingresso ed una relazione di fase fissa rispetto a
questo. La forma d’onda del segnale di uscita (ovvero il suo contenuto armonico) può essere diversa
da quella del segnale di ingresso. Ad esempio: segnale di ingresso a onda quadra, segnale di uscita
sinusoidale agganciato alla prima armonica di quello di ingresso.
Il PLL è molto usato nei sistemi di telecomunicazioni, ad esempio come sintetizzatore di frequenza
o per estrarre componenti spettrali da segnali periodici complessi.
In questo capitolo dapprima sarà illustrato il funzionamento di un semplice PLL, e successivamente
saranno illustrate alcune applicazioni.
5.1 Generalità
dθ O
ωi = ω0 +
dt
dove:
dθ O
= K D vC (t )
dt
Questa relazione, con K D costante caratteristica del VCO, stabilisce la dipendenza tra Vc(t) e θ0(t).
t
θO (t ) = K D ∫ vC (τ )dτ
0
KD
ΘO ( s ) = VC ( s )
s
Gli ingressi del Phase Detector sono i segnali in ingresso ed in uscita al PLL, vS (t ) e vO (t ) .
109
vS (t ) = VSM cos [ω0t + θ S (t ) ]
Il segnale in uscita al Phase Detector è un segnale di ampiezza proporzionale alla differenza fra gli
argomenti dei segnali in ingresso. Nel dominio dei segnali trasformati:
VE ( s) = K E [ Θ S ( s) − ΘO ( s )] = K E Θ E ( s)
VC ( s) = VE ( s ) F ( s) = K E ( s) [ Θ S ( s) − ΘO ( s) ] F ( s)
L’uscita del filtro F ( s ) è l’ingresso del VCO; dunque l’uscita del VCO è data da:
KD K
ΘO ( s ) = VC ( s ) = D K E [ Θ S ( s ) − ΘO ( s )]
s s
Con semplici passaggi si arriva all’espressione della funzione di trasferimento del PLL, H ( s ) , che
lega la fase del segnale in uscita al VCO con la fase del segnale in ingresso al PLL.
Θ O ( s ) [ s + K D K E F ( s ) ] = K D K E F ( s )Θ S ( s )
ΘO ( s ) K D K E F (s)
H ( s) = =
ΘS ( s) s + K D K E F ( s)
Si supponga che ad un certo istante la fase del segnale in ingresso abbia una variazione a gradino
∆θ
pari a ∆θ . La trasformata di Laplace del segnale di ingresso è, quindi, . La risposta al gradino
s
110
∆θ
di fase del PLL sarà pari a H ( s ) . Il teorema del valore finale consente di valutare il valore che
s
assumerà la fase del segnale in uscita al PLL a regime, ovvero quando il transitorio si sarà esaurito.
∆θ ∆θ K D K E F ( s )
lim θ O (t ) = lim s H ( s ) = lim s = ∆θ
t →∞ s →0 s s → 0 s s + K D K E F ( s)
Dunque dopo un transitorio, la fase del segnale in uscita al PLL tende ad agganciarsi alla nuova
fase del segnale in ingresso (figura 5.2).
L’andamento esatto del transitorio dipende, ovviamente, dall’andamento della funzione F(s), ma il
valore finale è, comunque, ∆θ.
Gradino di frequenza
La funzione di trasferimento del PLL che lega le frequenze dei segnali in uscita ed in ingresso al
PLL è la medesima di quella che lega le fasi:
ΩO ( s ) sΘO ( s ) K D K E F (s)
= = = H ( s)
Ω S ( s ) sΘ S ( s ) s + K D K E F ( s )
111
dove ΩO ( s ) e Ω S ( s ) sono le trasformate di Laplace delle pulsazioni del segnale di uscita e di
∆ω
La trasformata di Laplace del gradino di frequenza è pari a . Come già visto nel caso del
s
gradino di fase, applicando il teorema del valore finale, si vede come la frequenza del segnale di
uscita a regime tende ad agganciarsi a quella dell’ingresso (figura 4.3).
∆ω ∆ω K D K E F ( s )
lim ωO (t ) = lim s H ( s ) = lim s = ∆ω
t →∞ s →0 s s →0 s s + K D K E F ( s)
112
VC (t ) = K E [ Θ S (0) − ΘO (0)] F (0)
∆ω
Sostituendo a VC ( s ) il termine , si ha:
KD
∆ω
Θ S (0) − ΘO (0) =
K D K E F (0)
Affinché il PLL assuma la stessa fase a regimedel segnale in ingresso, deve essere
Θ S (0) − ΘO (0) = 0 . Da quest’ultima espressione si può vedere che l’unico modo affinché il PLL
possa agganciare la fase del segnale in ingresso di riferimento anche ad una pulsazione ωi ≠ ω0 è
che risulti F (0) → ∞ . Un quadripolo che ha un guadagno che tende all’infinito per s → 0 è
l’integratore, che ha una risposta del tipo:
A0
F (s) =
s
Esso può essere approssimato, ad esempio con un amplificatore operazionale, come mostrato in
figura 5.4. L’integratore di figura 5.4, nel range di frequenza in cui è utilizzabile il metodo del
cortoi circuito virtuale, presenta una funzione di trasferimento pari a:
1
AI ( s ) = −
R1Cs
113
5.3 Sintetizzatori di frequenza
Una delle applicazioni più diffuse del PLL è il sintetizzatore di frequenza. Si realizzano in questo
modo sistemi in grado di sintetizzare un insieme discreto di valori di frequenza che possono trovare
impiego nei casi più disparati, dalle applicazioni audio (ad esempio strumenti musicali elettronici)
fino a quelle radio del range dei GHz o delle decine di GHz. I sintetizzatori di frequenza sono di due
tipi: quelli ad N intero e quelli ad N frazionale. Nel seguito verrà esaminato solo il primo tipo.
In figura 5.5 è mostrato lo schema a blocchi di un sintetizzatore a N intero.
Si ha che:
ωQ ω0 ωQ
= ⇒ ω0 = N (4.1)
M N M
Esso consente, al variare di N, di ottenere, a partire da una oscillazione generata mediante un
oscillatore stabile (in genere un oscillatore al quarzo), un set di frequenze caratterizzate dalla stessa
ωQ
stabilità relativa dell’oscillatore di riferimento e distanti l’una dall’altra di una quantità pari a
M
che rappresenta, quindi, la risoluzione in frequenza del sintetizzatore.
Si osservi che il P.D. lavora ad una frequenza pari alla risoluzione ed a fronte di una variazione
dell’ingresso è necessario un tempo almeno dello stesso ordine di grandezza del periodo
2πM
perché l’uscita vada a regime.
ωQ
114
5.4 Modulatore di frequenza indiretto
In questo caso l’oscillazione di riferimento viene fornita da un oscillatore stabile (ad esempio un
oscillatore al quarzo) ed il segnale modulante x(t) viene prima integrato, quindi inserito nell’anello
di controllo attraverso un sommatore.
Con riferimento alla figura, i segnali nei diversi punti del sistema e le rispettive trasformate sono
date dalle seguenti relazioni:
x(s)
ω si ricava:
Da cui passando alla forma in jω
Ovvero:
E, pertanto, si può concludere che lo scostamento istantaneo di frequenza dell’uscita del PLL risulta
proporzionale al segnale modulante, ovvero l’uscita v5 del PLL è un segnale modulato linearmente
in frequenza da x(t).
Se il segnale vs(t) in figura è modulato in frequenza dal segnale x(t), vogliamo dimostrare che vc(t) è
proporzionale al segnale modulante x(t).
116
Poiché
Si ottiene:
Passando alla forma in jω e sotto le stesse ipotesi assunte nel paragrafo precedente si ottiene:
117
CAPITOLO 6
Oscillatore
Locale
118
Mentre l’architettura dello stadio di modulazione dipende, ovviamente, dal tipo di modulazione
utilizzata, l’amplificatore di potenza presenta alcune caratteristiche comuni a tutti gli stadi di
potenza e, quindi, indipendenti dal tipo di modulazione. Come si vedrà nel seguito, comunque, il
fatto che la modulazione agisca sull’ampiezza del segnale o sul suo argomento (modulazioni ad
inviluppo costante) pone delle condizioni imprescindibili sulla scelta dell’amplificatore di potenza.
6.1.1 Definizioni
Iniziamo la trattazione introducendo e, in qualche caso, definendo alcune caratteristiche tipiche
degli amplificatori di potenza.
1. Linearità
Una potenza di 1 W su un carico di 50 Ω equivale a una tensione/corrente pari a
2
V UM
PL = 1W = ⇒ V UM ≅ 10V
2 ⋅ 50
2
I Um
1W = ⋅ 50 ⇒ I UM ≅ 200mA
2
Il comportamento non lineare dei componenti attivi, in queste condizioni, non può essere
trascurato
2. Efficienza di conversione:
PU
l’efficienza di conversione η = è il rapporto tra la potenza utile in uscita PU e la potenza
PE
erogata dalle batterie PE. Essa fornisce una misura del rendimento col quale la potenza erogata
119
dalle batterie viene convertita in potenza utile del segnale trasmesso. Ovviamente risulta
sempre:
η ≤1
E’ opportuno osservare che un elevato valore dell’efficienza di conversione oltre che risultare
vantaggioso dal punto di vista del consumo di potenza e dell’autonomia delle batterie, ha come
conseguenza la riduzione della dissipazione sul componente attivo con evidenti vantaggi sul suo
costo e su quello di eventuali sistemi necessari ad asportare il calore generato al suo interno
onde evitarne il danneggiamento irreversibile.
3. Fattore di utilizzo:
PU
il fattore di utilizzo θ u = è il rapporto tra la potenza utile ed il prodotto tra i
V CE max I C max
valori massimi istantanei della tensione VCE e della corrente di collettore. Sebbene tale prodotto
abbia le dimensioni di una potenza, non rappresenta alcun potenza effettivamente osservabile
nell’amplificatore. Infatti, essendo VCEmax e ICmax, rispettivamente, il massimo valore della
tensione collettore emettitore e della corrente di collettore non esiste alcun istante del ciclo di
funzionamento in cui queste due grandezze risultano contemporaneamente assumere il loro
valore massimo.
θu ha, piuttosto, il significato di fattore di merito: più esso è grande più significa che, a parità
di potenza sul carico, il prodotto VCEmaxICmax risulta piccolo. In altri termini, a parità di potenza
utile in uscita, il transistore sarà chiamato a sopportare tensioni/correnti massime più piccole.
Di fatto questo significa che il transistore, a parità di potenza utile, avrà un costo inferiore
poiché ad esso saranno richieste prestazioni più limitate. I transistori per applicazioni di
potenza possono sopportare dissipazioni di centinaia di watt.
4. Classi di funzionamento
Come si vedrà nel seguito, per motivi di efficienza, si ricorre, talvolta, a soluzioni circuitali
nelle quali il transistore si trova in zona attiva solo per una frazione del periodo. Si definisce,
allora, l’angolo di circolazione θ come la metà della frazione di periodo, misurata il radianti,
durante il quale il transistore è in zona attiva. A seconda del valore di θ si parlerà di
amplificatore in classe A (θ=π), in classe B (θ=π/2), in classe C (θ<π/2), oppure in classe
ΑΒ (π/2<θ<π).
120
- classe A: θ = π
- classe B: θ = π/2
- classe AB: π/2 < θ < π
- classe C: 0 < θ < π/2
Nel seguito esamineremo alcune configurazioni circuitale e modalità di funzionamento tra le più
diffuse e, per ciascuna, calcoleremo i parametri prima definiti. Si continuerà a fare riferimento al
caso di amplificatori a transistori bipolari, ma, quanto segue, con ovvie trasformazioni, può
applicarsi al caso di componenti attivi diversi.
121
Infatti, per sopportare elevati valori di corrente dovranno avere aree attive molto grandi e, su
superfici così ampie, è più difficile garantire spessori di base molto piccoli, requisito necessario ad
un alto valore di hFE che, in genere, è nell’intervallo 10 ÷ 100. A questi valori di corrente di
collettore il ruolo stabilizzante della RE è svolto già parzialmente dalla resistenza parassita di
dispersione.
Dall’analisi della maglia di ingresso e con l’utilizzo della caratteristica di ingresso del componente
attivo si ricava il valore della corrente di base a riposo IBQ.
La retta di carico statico è verticale e, in continua, VCEQ = VCC , pertanto, il valore di IBQ fissa il
punto di riposo P(VCEQ,ICQ).
Il punto istantaneo di funzionamento P[VCE(t),IC(t)] si muove su una retta con pendenza
1
− = tg (ϕ )
RL
vce = - RL ic
V CE (t ) = V CE Q + v ce (t )
ic
+
RL I C (t ) = I C Q + i C (t ) ∆V CE = − ∆I C R L
Vce
-
122
A partire dal punto di riposo una variazione di vce(t) determina una variazione di ic(t) che fa
muovere il punto istantaneo di lavoro sulla retta di carico dinamica rappresentata in figura. Se la
sollecitazione è simmetrica lo spostamento lungo la retta sarà simmetrico. Finchè il transistore è in
zona attiva si considereranno costanti i suoi parametri differenziali e pari ai loro valori medi.
L’escursione massima della VCE(t) e della IC(t) dipendono dall’inclinazione della retta di carico
dinamico e, quindi , dal valore della RL. Si può facilmente dimostrare che, nell’ipotesi di poter
considerare trascurabile la tensione di saturazione VCESAT, il valore di RL per cui si può consegnare
al carico la massima potenza è RL= VCEQ/ICQ.
.
Le diverse condizioni sono rappresentate nella figura seguente nella quale la retta di carico
dinamica di massima potenza è rappresentata con tratto più solido e corrisponde al suddetto valore
PU
di RL Sotto queste condizioni calcoliamo l’efficienza di conversione: η = precisando ch PU è la
PE
potenza utile sul carico, ovvero quella relativa alla frequenza di trasmissione di prima armonica. Ai
fini del calcolo, quindi, non si considerano né eventuali componenti in continua né quelle
derivante da componenti armoniche di ordine superiore rispetto alla fondamentale. Sotto queste
condizioni risulta:
123
2
VCC
PU =
2 RL
Se trascuriamo la potenza dissipata in base e sulle resistenze di polarizzazione di base (comunque
piccola rispetto alle altre potenze in gioco), PE dipende solo dalla corrente ICQ e dalla tensione di
alimentazione. Infatti, una eventuale componente variabile (comunque non presente a causa del
blocco introdotto dall’induttanza RFC) essendo a valor medio nullo non produrrebbe alcun
contributo alla potenza media erogata dalla batteria.
Pertanto:
PE = VCC I CQ
2
VCC 1 1
Quindi: η= =
2 R L VCC I CQ 2
Ovvero la massima efficienza di conversione è del 50%. E’ opportuno osservare che quello
calcolato è il valore massimo che si ottiene solo in presenza di un segnale abbastanza ampio da
causare la massima escursione della VCE e della IC. Se l’ampiezza del segnale è minore, poiché la
potenza erogata dalla batteria è indipendente dal segnale, si ottiene un valore minore di h. Di fatto
l’efficienza dipende dall’ampiezza del segnale.
Calcoliamo, adesso, il fattore di utilizzo a partire dalla sua definizione:
124
PU
θu =
VCE max I C max
Per l’amplificatore in classe A risulta:
2
VCC 1 V R 1
θu = = CC L = = 0.125
2 R L 2VCC 2 I CQ 8 R L VCC 8
VCC
1
RS
vu
vs RL
+
_ 2
Ipotesi di lavoro:
- Vγ = 0
- Transistori PNP ed NPN con
caratteristiche simmetriche
-VCC
Risulta evidente che i due transistori non potranno essere contemporaneamente in zona attiva
poiché sono caratterizzati dallo stesso valore della tensione base-emettitore e, di conseguenza,
quando questa è positiva risulterà 1 in zona. attiva e 2 in interdizione, quando è negativa il
viceversa.
Analizziamo la situazione a riposo, ovvero per vs = 0-
I transistori risultano ambedue interdetti, infatti, se, per assurdo, ipotizziamo che 1 sia in zona attiva
( e 2 interdetto) avremo corrente in RL e, di conseguenza VE1 > 0 → VB1 = VE1 + Vg > 0 .
125
La corrente di base risulterà IB1 = -VB1/RS < 0 ovvero corrente di base negativa in un transistore
NPN in zona attiva: conclusione ovviamente non accettabile. Lo stesso ragionamento potrebbe farsi
a partire dall’ipotesi di 1 interdetto e 2 in zona attiva, pertanto l’unica soluzione possibile è che
ambedue i transistori risultino interdetti.
In definitiva, a riposo:
A riposo per il transistore 1:
vu = 0 → VCE1 = VCC VCE1 = VCC
→ punto di riposo
IC = 0 I CQ1 = 0
Esaminiamo adesso cosa accade se vs è sinusoidale. Nella figura seguente sono indicate la tensione
Vs e le correnti di collettore (quella del transistore 2 è rappresentata con segno opposto a quello
convenzionale e risulta, pertanto positiva).
126
Nel semiperiodo negativo conduce 2 e 1 è interdetto Il transistore 2 funziona in configurazione
inseguitore di emettitore e, se RL(hfe+1)>>hie+RS , risulta ancora:
VU ≈VS
La corrente sul carico è IL = -IC2
Ciascun transistore funziona in classe B.
Il punto istantaneo di lavoro del transistore 1 percorre la traiettoria tracciata a tratto continuo nella
figura seguente:
IC1
Max ampiezza
consentita al segnale
IC1max
Il segnale può non Retta con pendenza: -1/RL
avere la massima
ampiezza consentita VCC VCE1
I° semiperiodo II° semiperiodo
PU
Calcoliamo adesso l’efficienza di conversione η = . Anche in questo caso la calcoliamo in
PE
corrispondenza della massima escursione consentita al punto istantaneo di funzionamento senza
entrare in zona di saturazione. Il calcolo viene fatto ancora una volta supponendo trascurabile la
tensione di saturazione VCESAT.
2
I CM VCC
PU = RL I CM max =
2 RL
127
Per quanto riguarda la potenza erogata, bisogna tenere conto del fatto che ci sono due batterie.
Pertanto:
I CM
PE = VCC ⋅2
π
I CM
Dove è il valor medio della sinusoide raddrizzata a singola semionda.
π
2
I CM π I Rπ V πRL π
Quindi: η = RL = CM L ⇒ η max = CC = ≅ 0.78 ⇒ 78%
2 2 ⋅ VCC I CM 4VCC RL 4VCC 4
In conclusione: in classe B l’efficienza di conversione massima migliora del 28% rispetto a quella
ottenibile in classe A , mentre la potenza dissipata sui due transistori, a parità di potenza utile,
risulta più che dimezzata (meno di ¼ su ciascun transistore rispetto alla classe A).
PU
Passiamo al calcolo del fattore di utilizzo: θ u =
VCE max I C max
VCC
I CE max =
RL
2
VCC RL 1
Quindi: θ u = = = 0.25
2 RL 2VCCVCC 4
Il fattore di utilizzo aumenta, ma, dal punto di vista del fattore di costo non è direttamente
confrontabile con quello della classe A poiché bisogna tenere conto del fatto che, nel push-pull,
sono necessari 2 transistori invece che 1.
128
Nell’ipotesi di CA di valore sufficientemente elevato e caduta trascurabile su RS, si ottiene:
VB = Vs + E B
VS = VSM cos(ωt )
vBE
VT
EB
ωt
IC
ICM
ωt
θ
129
EB < VT ⇒ classe C
π
EB > VT I C ≠ 0 per θ >
2 ⇒ classe AB
Se:
EB − VSM < VT
EB = VT ⇒ classe B
EB − VSM > VT ⇒ classe A
Dal bilancio delle correnti al nodo di collettore, con ovvio simbolismo, risulta:
I RFC − I C − I CA = 0
I CA = I RFC − I C
130
Detta iC(t) la componente a valor medio nullo della corrente di collettore, risulta :
IC = IC0 +iC
IRFC=IC0
ICA=IRFC-IC= iC(t)
Ovvero la corrente nel condensatore CA è l’opposto della componente variabile della corrente di
collettore.
Il gruppo RLC viebe dimensionato in modo da risuonare alla frequenza della fondamentale e,
pertanto, alla frequenza di risonanza, LC è un circuito aperto.
1 1
ω0 L = → ω0 =
ω0C LC
La 1a armonica della ICA passa tutta nel carico RL. Le armoniche successive si ripartiscono nei tre
rami R, L e C in proporzione inversa al modulo dell’impedenza di ciascun ramo. Ad esempio, per
quanto riguarda la 3a armonica si ha:
1
3ω0 L = 9
3ω0C
Pertanto la corrente in C predomina su quella in L (è 9 volte maggiore). Per le armoniche superiori
la differenza è ulteriormente accentuata a favore della componente che scorre i C rispetto a quella
che scorre in L. Se si tiene conto del valore del fattore di qualità Q definito come:
RL
Q = ω 0 RL C =
1
ω0C
1
Al crescere di Q ( per esempio per Q = 10) risulta RL >> e, pertanto, per tutte le armoniche
ω0 C
superiori alla prima si può trascurare nel parallelo con C l’effetto di RL e concludere che
131
l’impedenza vista decresce con l’ordine dell’armonica N come la reattanza 1/(Nw0C). Poiché anche
l’ampiezza delle armoniche dello sviluppo in serie della corrente decrescono con N risulta evidente
che, se Q è abbastanza elevato, allora le componenti armoniche della tensione ai capi del gruppo
RLC risultano evanescenti rispetto alla fondamentale e, pertanto, la tensione sul carico è quasi
sinusoidale. In maniera sintetica si dice che il gruppo RLC esercita un effetto filtrante sulla ICA tale
da ottenere sul carico una tensione sinusoidale pur essendo il gruppo RLC alimentato con una
corrente pulsata. In altri termini le componenti armoniche superiori vengono mandate a massa
passando attraverso la reattanza capacitiva e producono una tensione ai capi di RLC trascurabile
rispetto alla fondamentale. La funzione del gruppo RLC è quella di filtrare la corrente pulsata per
ottenere una tensione sinusoidale di ampiezza: VUM = I C1M RL , dove IC1M è l’ampiezza della 1°
armonica dello sviluppo in serie di Fourier della IC. Anche in questo caso l’efficienza di
conversione dipende dall’ampiezza del segnale da cui dipendeil valore di IC1M. In particolare, si
osserva che il valore di IC1M è limitato dalla saturazione del componente attivo. Infatti
l’andamento della tensione di collettore è quello in figura: si evince che, per evitare la saturazione
(VC=0) deve essere:
I C1M RL < VCC
In corrispondenza del valore di IC1M massimo ricavabile dalla precedente disuguaglianza si ottiene
la massima efficienza di conversione. Se si riporta tale efficienza in funzione dell’angolo di
circolazione si ottiene l’andamento in figura:
132
Che sembrerebbe indurre alla scelta di valori dell’angolo di circolazione tendenti a 0 per
massimizzare l’efficienza. In realtà , però, bisogna tenere conto anche di un altro parametro: il
fattore di utilizzo θu il cui andamento in funzione di θ è riportato in figura.
133
6.1.5 Amplificatore in classe D
L’amplificatore in classe D fa parte di una classe di amplificatori detti “ad alta efficienza”, capaci,
almeno in linea teorica, di lavorare con efficienza di conversione unitaria. Per fare ciò si deve
ridurre al minimo la potenza dissipata sul componente attivo, facendo in modo, al limite, che
VCE(t) IC (t) = 0 per ogni t. Quindi quando il dispositivo attivo è in conduzione (IC ≠ 0) la tensione ai
suoi capi deve essere nulla, mentre quando la tensione è diversa da zero esso deve risultare
interdetto (corrente nulla). In altre parole il suo comportamento deve essere simile a quello di un
interruttore.
Lo schema di principio di un amplificatore in classe D è rappresentato in figura:
La tensione che aziona l’interruttore è un’onda quadra derivata da una sinusoide: V0 cos(ω 0 t ) . Il
gruppo RLC serie risuona alla pulsazione ω0 e si suppone sia caratterizzato da un valore di Q
abbastanza elevato (Q>10).
ω0 L 1 1
Q= = ; ω0 =
RL ω 0 CR L LC
2π
T0 = è il periodo di commutazione del tasto tra le posizioni 1 e 2.
ω0
La tensione VC risulta, pertanto, un’onda quadra di ampiezza VCC e valor medio VCC/2. Il suo
andamento è rappresentato nella figura seguente. Si osservi che alla frequenza della fondamentale il
gruppo LC risuona serie e, pertanto, si comporta come un corto circuito. Ciò significa che la com
ponente di prima armonica di VC e quella della tensione ai capi del carico RL sono uguali.
134
Alle armoniche superiori, nella serie tra L e C prende il sopravvento la componente induttiva che,
già alla terza armonica, assume un valore di reattanza 9 volte maggiore rispetto a quello della
componente capacitiva il cui effetto decresce ulteriormente al crescere dell’ordine dell’armonica.
Sviluppando in serie di Fourier la tensione VC(t) si ottiene:
1 ∞ sin n 2
π( )
cos ( nω0t ) VCC
2 ∑
VC = +
n =1 nπ
2
La componente continua viene bloccata dal condensatore C e, pertanto, il suo effetto sul carico è
nullo. La prima armonica della tensione di uscita, in base a quanto prima osservato, risulta:
2
VU 1M = VCC
π
Se si calcolano le componenti armoniche superiori si ottiene, per esempio, per la terza armonica:
2 RL ω0 L
VU 3M = VCC RL =
3π 1 Q
R L + j 3ω 0 L +
j 3ω 0 C
2 RL 2 RL VU 1M
VU 3M = VCC ≅ VCC ≅
3π ω 0 L 1 3π 3ω 0 L 9Q
+ j 3ω 0 L +
Q j 3ω 0 C
135
necessario fare alcune considerazioni a cui verrà dedicato spazio nell’ultima parte del Caapitolo.
Vediamo, adesso, come realizzare il commutatore utilizzando dei componenti attivi che lavoreranno
in commutazione. Una possibile soluzione è rappresentata in figura:
La VBE1 e la VBE2 sono sempre in opposizione di fase: se l’ampiezza della tensione di controllo V0 è
sufficiente, alternativamente, uno dei due transistori è interdetto e l’altro è in saturazione. V0 sarà
una sinusoide oppure un’onda quadra (la sua forma non ha effetti diretti sul funzionamento del
sistema purchè l’ampiezza sia in grado di commutare opportunamente i transistori). Nella realtà i
tempi di commutazione non saranno mai nulli, quindi si avrà comunque dissipazione di potenza sui
transistori negli intervalli di tempo in cui corrente e tensione risulteranno contemporaneamente
diversi da zero. Con questi sistemi non si ottiene quindi un’efficienza di conversione effettiva del
100%. Un buon risultato è considerato un valore di h = 80% a frequenze di qualche centinaio di
MHz.
Sebbene in prima approssimazione se il commutatore si comporta in maniera ideale ci si potrebbe
aspettare ci si potrebbe aspettare un’efficienza di conversione unitaria, in realtà bisogna ricordare
che, ai fini della potenza utile, anche quella dissipata sul carico, ma alla frequenza delle armoniche,
è da considerarsi persa. Infatti nella definizione di potenza utile si fa, correttamente, riferimento
alla sola potenza di prima armonica sul carico. E’, pertanto, opportuno, calcolare l’efficienza di
conversione tenendo conto di questa considerazione.
PU
Calcoliamo l’efficienza di conversione: η =
PE
2
VCC 4 2
PU = 2 la tensione di 1a armonica sull’uscita è: VCC
π 2 RL π
Detta ICC(t) la corrente erogata dalla batteria, risulta:
136
T T
1 V
PE = ∫ VCC I CC ( t ) dt = CC ∫ I CC ( t ) dt
T 0 T 0
Per metà periodo, quando il transistore 1 è interdetto, ICC(t) è nulla e la corrente che attraversa il
carico si richiude attraverso il transistore 2 che è in saturazione. Per un calcolo rigoroso della
potenza erogata bisognerebbe valutare tutte le armoniche della corrente ICC(t) e calcolare di
conseguenza l’integrale che fornisce la potenza media erogata. Ma, se consideriamo trascurabili le
armoniche superiori della corrente rispetto alla prima (Q→∞), allora la corrente nel carico risulta
sinusoidale e, durante il semiperiodo in cui il transistore 1 conduce, la corrente ICC(t) è un arco di
sinusoide coincidente con la corrente nel carico RL.
Si ottiene, pertanto, quanto di seguito rappresentato:
T
1 VU 1M
∫ I CC (t )dt =
T 0 πRL
valor medio
137
6.2 Trasmettitori
q (t )
θ ( t ) = arctg
x (t )
Dove q(t) è il segnale in uscita ad un filtro di Hilbert ideale al cui ingresso è posto il segnale
modulante x(t). Come si vede, si tratta di un segnale modulato sia in ampiezza che in fase e,
pertanto, sarà necessario utilizzare un amplificatore di potenza in classe A o B.
L’amplificatore in classe C, invece, ha un comportamento non lineare nei riguardi dell’ampiezza del
segnale di ingresso: basti pensare al fatto che, al crescere dell’ampiezza del segnale di ingresso VSM,
fintanto che non risulta EB+VSM>VT l’angolo di circolazione è nullo e l’uscita rimane a zero.
Superata la suddetta soglia la caratteristica di trasferimento che riporta l’ampiezza della prima
armonica del segnale di uscita in funzione di quella del segnale di ingresso, è del tipo riportato in
138
figura e presenta una forte non linearità caratterizzata da una soglia inferiore e da una soglia di
saturazione.
L’amplificatore in classe C, pertanto, è idoneo ad amplificare segnale modulati in frequenza, ma
non in ampiezza. Infine, l’amplificatore in classe D produce una forma d’onda d’uscita di ampiezza
proporzionale alla tensione di alimentazione e indipendente, quindi, dall’ampiezza del segnale di
ingresso utilizzato per pilotare il commutatore. Anche in questo caso l’unico utilizzo possibile
sembra ristretto al caso di segnali modulati in frequenza da implementare facendo controllare il
commutatore ad un segnale modulato in frequenza a basso livello di potenza.
Un altro blocco circuitale presente solo nel trasmettitore è il modulatore. Limitatamente al caso di
modulazioni analogiche esamineremo, nel seguito, a seconda del tipo di modulazione, le modalità
realizzative del modulatore e la scelta dell’amplificatore di potenza.
Esistono due possibilità di realizzare il trasmettitore ciascuna con vantaggi e svantaggi caratteristici.
139
x(t) Ax(t)cos(ω0t)
x + APRF
A1
ma =
A2
O.L. ARF A2cos(ω0t)
Questa soluzione è caratterizzata dai seguenti aspetti negativi: l’efficienza di conversione non sarà
mai quella massima possibile in classe A o in classe B poiché questo risultato è conseguibile solo se
l’ampiezza del segnale è costantemente pari a quella massima accettabile dall’amplificatore senza
andare in saturazione e/o interdizione. E’ ovvio che un segnale modulato in ampiezza non può
soddisfare ad ogni istante tale condizione (altrimenti sarebbe di ampiezza costante!). In ogni caso il
limite del 50% e del 78% rispettivamente per le due classi suddette risulta invalicabile.
Questi aspetti negativi sono controbilanciati da un aspetto positivo: si tratta di una soluzione a larga
banda poiché, contrariamente al caso della classe C e D non vengono impiegati filtri selettivi.
Questo rende la soluzione a basso livello idonea ad applicazioni in multiplexer frequenziale (molti
canali trasmessi contemporaneamente con grande occupazione di banda), oppure nel caso in cui si
debba di continuo cambiare frequenza di trasmissione spaziando su un range di frequenza
razionalmente ampio (caso delle trasmissioni ionosferiche).
2
VU 1M = VAM [1 + ma x(t ) ]
π
vu ( t ) = VU 1M cos (ω0t )
140
La tensione VCC(t) di collettore si compone, adesso, di due parti: una costante VCC0 fornita dalla
batteria, ed una variabile, controllata dal segnale modulante, che si somma alla prima mediante un
accoppiamento a trasformatore. Ovvero:
A
VCC = VCC 0 + AvS (t ) = VCC 0 1 + vS (t )
VCC 0
dove la costante A dipende dal rapporto spire e da un eventuale amplificatore a bassa frequenza da
interporre tra il segnale modulante ed il primario del trasformatore di accoppiamento. Ricordando
che il segnale modulante varia molto lentamente rispetto alla portante, potremmo ripetere la
trattazione fatta nel paragrafo 6.1.5 semplicemente sostituendo VCC(t) a VCC. La tensione di uscita
(quasi sinusoidale nell’ipotesi di Q maggiore di 10) risulterebbe, in questo caso, avere un’ampiezza:
2
VU 1M = VCC (t )
π
con
A
VCC (t ) = VCC 0 [1 + v s (t )]
VCC 0
E, pertanto, se il coefficiente di modulazione risulta
A
m a= vS ( t ) < 1
VCC 0
APBF
vS(t) +_
141
Esistono diverse soluzioni che consentono a basso costo di amplificare un segnale a bassa frequenza
con elevata efficienza di conversione come, ad esempio, l’amplificatore in classe S.
[Nota: Nell’amplificatore in classe S il segnale da amplificare viene utilizzato come soglia di un
comparatore all’altro ingresso del quale viene inviata un’onda triangolare a frequenza molto più
alta. Il risultato è un’onda rettangolare di valore picco-picco grande quanto si vuole (dipende
dall’ampiezza della tensione di alimentazione) e con duty-cycle proporzionale all’ampiezza
istantanea del segnale modulante. Filtrando con un passa basso l’onda rettangolare si riottiene la
forma d’onda modulante. Si tratta di un amplificatore switching che, in base allo stesso principio
che sta alla base del funzionamento ad alta efficienza dell’amplificatore in classe D, permette di
funzionare con efficienza virtualmente unitaria].
Il vantaggio di questa soluzione consiste in una efficienza virtualmente unitaria e indipendente
dall’ampiezza del segnale modulante.
Lo svantaggio, rispetto alla soluzione a basso livello, consiste nella limitazione introdotta sulla
banda passante dalla presenza del filtro ad alto Q.
Per quanto riguarda i modulatori vi sono due possibili soluzioni: modulatori diretti e modulatori
indiretti.
Nel primo caso il segnale modulante viene utilizzato per far variare il valore di un parametro
circuitale dal quale dipende la frequenza istantanea di oscillazione di un oscillatore.
142
Nel secondo caso il segnale modulante viene prima integrato e poi utilizzato per modulare in fase
un oscillatore a frequenza stabile (ad esempio un oscillatore quarzato). Un esempio di questo tipo di
soluzione è descritto nel paragrafo 4. e impiega un PLL. Questa seconda soluzione, a fronte di una
maggiore complessità circuitale, presenta il vantaggio di una frequenza centrale (frequenza della
portante) stabile e affidabile, in quanto ottenuta con un riferimento al quarzo. Nel seguito è
rappresentato lo schema a blocchi di un modulatore diretto.
Un esempio di questa modalità di funzionamento è stato esaminato nel Cap.2 con l’oscillatore di
Clapp il schema circuitale è riportato in figura.
143
-
A questa soluzione circuitalmente molto semplice, si accompagnano, purtroppo alcuni
svantaggi:
1) la frequenza di oscillazione a riposo (in assenza di segnale modulante), ovvero la frequenza
della portante, dipende dal varicap, dalle condizioni ambientali (derive termiche),
dall’invecchiamento. Essa è scarsamente stabile ed affidabile;
2) la caratteristica che lega la capacità del varicap alla tensione è non lineare e, a sua volta, non
lo è nemmeno quella che lega la frequenza istantanea di oscillazione al valore della capacità.
In questo modo è praticamente impossibile realizzare una modulazione di frequeza lineare
se non per piccolissimi valori del segnale modulante e piccolissime variazioni della capacità
intorno al suo valor medio.
144
Solo per deviazioni di frequenza fD molto piccole si può linea rizzare la dipendenza della frequenza
di oscillazione dal segnale modulante. Questo significa che si possono ottenere valori molto piccoli
dell’indice di modulazione ( D ≈ 10-2 ÷ 10-3).
Per quanto riguarda le derive della frequenza della portante si può ricorrere ad una soluzione
denominata CAF (Controllo Automatico della Frequenza) la quale funziona però solo sotto certe
condizioni per altro facilmente verificabili. Si osservi che le derive termiche e quelle dovute
all’invecchiamento costituiscono un disturbo a bassissima frequenza che risulta sempre separato da
quello del segnale modulante. Indichiamo con ε(t) tale disturbo e con ε(f) il suo spettro (v. figura
seguente).
f
1Hz
Lo schema a blocchi di un anello per il controllo automatico della frequenza è riportato nella
seguente figura
ε
Moltiplicatore di frequenza
x(t) + 2 MOD 3 4
xN PA
1 FREQ
-
7 6 DISCR 5
- X ωQ
FREQ
Inversione di polarità
145
Supponiamo che il disturbo ε (t ) agisca sotto forma di un contributo additivo nel modulatore.
L’espressione del segnale nei vari nodi dell’anello è riportata nel seguito per ciascun nodo:
V2 = x(t ) − V7 (t )
0 0
A questo stadio si realizza un valore di dell’indice di modulazione molto minore di quello previsto
dallo standard adottato per la particolare applicazione. In tal modo si può supporre lineare il
modulatore. Per ottenere, poi, il valore finale di D richiesto dall’applicazione, si utilizza un
moltiplicatore di frequenza per N. Il moltiplicatore per N si realizza con una o più non linearità in
serie (p. es. quadratori, limitatori ecce un opportuni filtraggi per selezionare l’armonica desiderata.
L’uscita del moltiplicatore di frequenza e:
0
Lo spostamento in frequenza che si ottiene è N volte maggiore di quello in uscita al modulatore:
ωD
f D' = N ⇒ D ' = ND
2π
Nell’anello di controllo viene usato come riferimento un oscillatore quarzato con pulsazione ωQ .
L’uscita del mixer viene inviata ad un discriminatore (demodulatore) di frequenza. Esso genera in
uscita una tensione proporzionale allo scostamento della frequenza istantanea di ingresso rispetto ad
una frequenza di riferimento. Come pulsazione di riferimento del discriminatore si sceglie
ωRIF = ωQ-Nω0 . Si ottiene:
V5 = V5 M cos (ωQ − Nω0 )t − Nω D ∫ [x(t ) − V7 (τ ) + ε (τ )]dτ
t
0
V6 = − K D Nω D [x(t ) − V7 (t ) + ε (t )]
Il filtro passa basso lascia passare solo le componenti a bassisima frequenza del segnale V6, quelle
dovute a ε(t). Si ottiene, pertanto:
146
V7 = K D Nω D [− V7 + ε (t )] K D Nω D ε (t )
V7 =
V7 [1 + K D Nω D ] = K D Nω D ε (t ) 1 + K D Nω D
(1 + K D Nω D )ε (t ) − K D Nω D ε (t ) ε (t )
ε (t ) − V7 = =
1 + K D Nω D 1 + K D Nω D
Quindi:
t
ε (t )
V3 = VFM cos(ω 0 t ) + ω D ∫ x(τ ) + dτ
0
1 + K D Nω D
147
Si adotta, allora, la soluzione descritta in figura in cui ad una prima moltiplicazione per N = 36
segue una traslazione in basso mediante un mixer ed una successiva moltiplicazione per N=36. Le
operazioni sono chiaramente descritte in figura:
t
V2 = VFM cos 2π ⋅ 36 ⋅ 3 ⋅ 10 6 t + 36ω D ∫ x(τ )dτ
0
Con la seconda moltiplicazione, eliminando la componente somma, si ottiene in 3 solo il termine
differenza:
t
V3 =V FM cos 2π ⋅ 111 ⋅ 10 6 t − 2π ⋅ 36 ⋅ 3 ⋅ 10 6 t − 36ω D ∫ x(τ )dτ
0
t
= VFM cos 2π ⋅ 3 ⋅ 10 6 t − 36ω D ∫ x(τ )dτ
0
Il segnale è nuovamente centrato su 3 MHz ma con uno scostamento di pulsazione pari a 36ωD .
Con una successiva moltiplicazione per N=36 si ottiene il risultato desiderato.
1
f
-π/2
Supponiamo di voler modulare una portante a 30 MHz in SSB con un segnale audio la cui banda sia
compresa tra 300 Hz e 4.5 kHz.
Modularlo intorno a 30 MHz e filtrare la banda laterale sinistra con un filtro a 30 MHz
richiederebbe la disponibilità di un filtro dalle caratteristiche estremamente spinte in grado di
introdurre una attenuazione di diverse decine di dB in una banda frazionale strettissima (600 Hz su
30 MHz!).
Il problema può essere aggirato adottando una soluzione in due successive conversioni di
frequenza: una prima traslazione intorno a 600 KHz, quindi, dopo avere eliminato con un filtro
passa-alto la banda laterale sinistra, si opera una seconda traslazione ed un ulteriore filtraggio
elimina banda.
149
Prima traslazione e filtraggio (si noti che la distanza tra le bande, pur essendo immutata in assoluto,
risulta razionalmente molto più alta rispetto al caso della modulazione diretta a 30 MHz):
Seconda traslazione A 30 MHz (adesso la banda da eliminare è distante 1.2 MHz da quella
passante):
600KHz 30MHz
MOD
X
AM
30MHz-600KHz
OL
La modulazione in banda laterale singola, come è noto, può essere fatta anche nel dominio del
tempo a partire dall’espressione del segnale modulato SSB:
150
Il problema è quello di ricavare, a partire da un unico riferimento, le due oscillazioni sinusoidali in
quadratura di fase per comandare gli oscillatori locali dei due mixer. Saranno esaminate, nel
seguito, due soluzioni: una molto semplice, ma a banda stretta, l’altra, circuitalmente più complessa,
ma a banda larga.
vu 1
vi
f0 f
−π vu 1
4 ∠
vi
−π
2
vu 2
π vu 2
∠ vi
2 vi
π
4
f0 f
151
Sia il passa-alto che il passa basso hanno lo stesso polo
Alla frequenza f0:
Lo svantaggio di questa soluzione rispetto alla prima è che si deve partire da una frequenza doppia
rispetto a quella desiderata e questo si paga in termini di massima velocità richiesta al circuito e di
consumi.
Come amplificatore di potenza per un segnale SSB che è modulato sia in fase sia in ampiezza,
bisognerebbe utilizzare la classe A oppure la classe B, con conseguente limitazione sulla massima
efficienza di conversione conseguibile.
Una soluzione alternativa è quella denominata a “eliminazione e ricostruzione dell’inviluppo”.
In questo caso dal segnale modulato SSB a basso livello vengono estratti: i) l’inviluppo e utilizzato
per modulare di collettore un amplificatore in classe D; ii) un’onda quadra con fase
q (t )
θ ( t ) = arctg utilizzata per comandare il commutatore. Lo schema circuitale è rappresentato in
x (t )