Gli studi sulla trasmissione di immagini a distanza in Italia vediamo protagoniste due aziende leader nel
settore: SAFAR e Magneti Marelli entrambe milanesi; infatti, la città assieme a Torino sono le due culle della
televisione italiana. È a Roma però che vedremo nel 1938 la costruzione del primo vero trasmettitore.
La televisione appare come una minaccia per il cinema, Antonioni dice che questa nuova invenzione è
limitata, la libertà creativa e l’originalità sarebbero infatti mortificate sebbene sia un mezzo per la
rappresentazione della cronaca e della realtà.
Durante il regime fascista la televisione diviene un mezzo per “disciplinare con le dovute cautele” il popolo
italiano ma anche strumento di propaganda e di vigile nella “sicurezza dello stato”.
Le prime trasmissioni televisive sono di 2 o 3 ore al giorno, sono una bozza di palinsesto in cui i programmi
spaziavano da numeri musicali, canzoni sceneggiate, balletti, scenette comiche, imitazioni, l’operetta del
Conte di Lussemburgo, conferenze, monologhi… si sperimentano lucie ed effetti sonori, scenografie e
inquadrature sempre più raffinate, stacchi e dissolvenze. Nel 1940 in occasione della Fiera Campionaria
sono effettuate in diretta riprese di esterni e dopo 5 anni grazie all’uso di trasmettitori con cavi coassiali o
ponti-radio questo fenomeno può verificarsi a livello nazionale. Ma la guerra arriva come una grande
mannaia che taglia tutti i fondi destinati alla ricerca e lo sviluppo di questo nuovo settore. Eppure, grazie ai
fondi della RCA a Torino e a Roma si riprendono le sperimentazioni servendosi di ricetrasmettitori
americani General Eletric inviati in Italia.
Dal settembre del 1952 l’attività è potenziata e il palinsesto assume una sempre più chiara architettura, ne
è responsabile Sergio Pugliese autore di commedie brillanti, critico teatrale per la “Gazzetta del popolo” e
nel dopoguerra sarà direttore del Secondo Canale radiofonico che contribuirà in modo memorabile alla
programmazione dei primi 10 anni della televisione: inizialmente guarda maggiormente al palinsesto
inglese piuttosto che a quello francese considerato troppo scialbo, la domenica mattina vediamo un
programma religioso, seguono varietà e sport, poi film, rubriche e una commedia. Sebbene non fossero
molte le persone all’epoca che potevano permettersi di guardare la televisione sorsero molte critiche in
quanto l’offerta non era abbastanza variegata cosa che preoccupa la Rai in quanto se si pensasse che la
televisione sia un oggetto mediocre e costoso perderebbe molti acquirenti.
Nel secondo dopoguerra la Rai cerca di difendersi dagli attacchi provenienti dal settore del mondo politico
che ha il monopolio sulla radio e cerca di estendere anche alla televisione. Nel gennaio del 1954 vengono
inaugurate le trasmissioni ufficiali e buona parte dell’Italia era servita, l’altra lo sarebbe stata di lì a 3 anni.
Non si tratta solamente di una conquista tecnologica e di un’eccellente prova organizzativa è anche la
traccia netta dell’azione aggregante e identitaria che la Rai tiene a perseguire.
La tv dei ragazzi è aperta e chiusa da una sigla e si articola per fasce d’età e per genere ed è molto curata,
nel 1955 a Milano ci fu un convegno di dirigenti, psicologi, insegnanti per discutere della tv per i ragazzi,
l’attenzione che la Rai ha per il pubblico di minori è notevole e in una fase in cui il dibattito sull’influenza del
cinema e del fumetto hanno sulla popolazione, la televisione si prende sgomitando uno spicchio di questa
classifica tanto da iniziare a interessare anche settori dell’opinione laica e cattolica (quest’ultime stipulò un
codice sul corretto uso della televisione da osservare e far osservare anche ai minori).
La Rai crea anche dei programmi scolastici con lo scopo di contribuire all’emancipazione dei ceti esclusi da
qualsiasi forma di istruzione. Nel 1951 in Italia il 59% ha concluso le elementari, 13 milioni ancora non
possiedono un titolo di studio e di questi 5 milioni e mezzo sono ancora analfabeti, solamente l’1% ha una
laurea.
Il progetto di scolarizzazione della Rai è il suo fiore all’occhiello e in sintonia con il programma governativo,
inoltre è appoggiato dal centrosinistra il quale capisce che la televisione sta portando a termine un progetto
che difficilmente si sarebbe verificato in così poco tempo senza questo mezzo a causa della grande scarsità
di strutture dedite all’istruzione. Nel 1958 prende piede quindi Telescuola un ciclo di appuntamenti di tre
anni volti a creare una conoscenza professionale e permettere così l’inserimento nel mondo del lavoro, le
materie e le modalità sono le stesse previste dai programmi ministeriali. Le lezioni occupano le ore
mattutine del palinsesto e di anno in anno gli studenti aumentano notevolmente, tutto il servizio è pagato e
sponsorizzato dal ministero del Lavoro.
Fanno storia a sé i momenti del palinsesto che vengono incontro al sentimento religioso ancora molto
radicato, come i programmi della Messa domenicale e alcune rubriche curate da padre Nazareno Taddei,
un critico cinematografico e teorico del cinema che recensisce “La Dolce vita” di Fellini come un’opera
profondamente spirituale.
Negli anni ’50 è molto ricca l’offerta di teatro, liriche, grandi classici, alcune edizioni di opere liriche
costituiscono una conquista stilistica da parte della televisione italiana basata sui primi piani, un’attitudine
registica condotta da Sergio Pugliese direttore di quelli che verranno chiamati programmi “neorealista
intimista”.
Per quanto riguarda il settore dell’informazione, ne è perno il telegiornale, le cui ore di trasmissione
aumentano gradualmente anche grazie alle dirette, la fattura e i toni sono filogovernativi come ricorda
giornalmente la stampa dell’opposizione e l’enfasi è posta su una visione della realtà italiana edulcorata se
non patetica “cani che si buttano nei torrenti per salvare le persone, pastori che difendono il gregge dalle
aquile”. I servizi, quindi, sono penalizzanti per la televisione, oltre a una morsa stretta imposta dalla politica
che non le permette di trattare eventi di cronaca nera e giudiziaria.
La televisione diventa una novità accattivante in tutte le comunità, nelle grandi città o in periferia, riesce a
interessare tutti i ceti sociali ed esercita una grande influenza sull’opinione pubblica facendo risentire il
mercato dell’avanspettacolo, il teatro minoro e il cinema. Alla fine di dicembre del 1960 gli abbonamenti
televisivi hanno superato il traguardo dei 2 milioni, un numero limitato solamente dal costo importante
degli apparecchi, ma prende il primato in Europa superando gli indici di ascolto di paesi come l’Inghilterra e
la Francia, in cui la televisione ha esordito prima. Ciò che risulta ancora più incredibile è che la televisione
primeggia in quelle zone di Italia più povere, che vede un pubblico meno abbiente o isolato
geograficamente, disposto a sostenere sacrifici economici maggiori pur di possedere questo mezzo di
intrattenimento oramai imprescindibile. I dati utili a un confronto tra Nord e Sud vedono una grande
disparità, nella zona del Mezzogiorno considerata ancora terra di conquista radiofonica la televisione
arriverà con tre anni di ritardo sebbene brucerà però tutte le tappe.
La reazione del mondo della cultura: gli intellettuali e cineasti per anni si sono interrogati se questa nuova
invenzione sia un’arte o meno e sulla sua autonomia artistica. In questa fase, gli interventi sulla televisione
vanno letti alla luce del dibattito più ampio della cosiddetta cultura di massa e sull’industria culturale,
sebbene ci siano molti intellettuali disdegnano con critiche molto pesanti quella cultura fatta per le masse,
considerate di serie B e controproducenti, agli antipodi della cultura alta elitaria. Inoltre, molti
rappresentati di sinistra hanno la convinzione che la televisione si presti a una strumentalizzazione da parte
delle classi egemoni che se ne servono per influenzare l’opinione pubblica.
Eugenio Montale crede che la televisione violi la dimensione domestica e l’intimità che questa comporta:
“le persone non si sentiranno più dentro, tutti si sentiranno sempre fuori, sempre partecipi, eternamente in
ballo”. Paolo Monelli invece crede che questo sia uno strumento di dittatura nel campo dello spirito e della
coscienza che andrà a compromettere i rapporti famigliari. La cultura insomma non deve essere un orpello
dei palinsesti, ma circolare in forme vivaci e partecipative contando sulla presenza costruttiva degli
intellettuali.
Sono veramente pochi, dunque, gli entusiasti di questa nuova invenzione, coloro che pensano che la
televisione sia un modo per comunicare con il mondo, soprattutto per quelle persone che si trovano in una
condizione geografica isolata.
Centro e periferie: Milano avrebbe tutte le caratteristiche economico-tecnologiche per essere capitale della
tv, ma a far detenere il primato a Roma è l’influenza della politica, la DC infatti vuole mantenere il controllo
su questo potente mezzo di comunicazione. La Rai costituisce una visione nazionale, in cui l’accentramento,
oltre che strumento di controllo, è matrice di un processo di unificazione, in un’accezione che esclude gli
interessi locali = la televisione deve servire come ulteriore unificazione del suolo italiano e come educatrice
di un popolo italiano coeso.
Si cerca, di conseguenza, di lanciare una televisione privata e indipendente ma nel 1952 si estende il
monopolio della Rai all’intero palinsesto. Ma Milano non si arrende e nel 1956 crea il Centro milanese
cinetelevisivo, una società di produzione di cortometraggi e documentari televisivi sostenuto dai cittadini e
gruppi finanziari facoltosi che investono circa 100 milioni con aumenti fino a 5 miliardi ovviamente anche
con doppi fini (il proprietario del Milan acquista una fetta di azioni sul programma “Sorrisi e Canzoni”).
Nasce così nel 1957 la Televisione Libera (TVL) una società per azioni presieduta dall’ingegnere Figari,
importa apparati moderni dagli USA che consentono la trasmissione su una frequenza, la UHF, diversa da
quella della Rai (la VHF). Vediamo anche la nascita di un’altra società televisiva privata chiamata Tempo-tv
la quale riesce a coprire quelle regioni come il Lazio, Campania, Toscana che il palinsesto della Rai non
copriva. L’unico punto a sfavore di questi nuovi palinsesti è il fatto che l’abbonamento è abbasta caro
soprattutto per lo scarso spazio consentito, si decide quindi di optare per una trasmissione a livello locale in
modo tale da non farsi subito mangiare dalla concorrenza essendo delle televisioni appena nate e si decide
di optare per una pubblicità orizzontale anziché quella verticale e nazionale decisamente più costosa e
dispersiva.
Il 1957 esordisce Carosello collocato tra il tg delle 20:30 e il programma di prima serata che prevede delle
regole ben precise come il messaggio promozionale degli spot (4/5 per puntata). Questo programma è un
vero e proprio spettacolo, composito e sempre diverso, che gioca su elementi persistenti come i jingle, gli
slogan, le battute. L’esigenza a cui si deve rispondere è la costruzione di una pubblicità che vada incontro ai
nuovi bisogni del pubblico, il quale si sta affacciando al consumismo e che per la maggior parte è di
modeste possibilità economiche.
Interessante è la direttrice che ha preso il PSI, in cui sono maturate aperture nei confronti dei privati anche
nell’immediato dopoguerra e un’avversione netta all’ipotesi di concedere alla Rai anche i servizi televisivi. I
socialisti sono tra i più pressanti nella polemica contro l’accentramento e colgono la nascita dell’iniziativa
milanese per soffiare sul fuoco della questione del monopolio. La DC sembra quindi profilarsi una posizione
più cauta, che intende far leva sulla vicenda per compiere qualche passo verso il controllo democratico
della televisione di Stato e una più spregiudicata, apertamente favorevole ai privati, in testa ai socialisti
milanesi.
Nel 1958 l’avventura di TVL si conclude, i funzionari delle Poste, della Questura e delle Telecomunicazioni
sigillano gli impianti, la TVL e la Tempo-tv imboccano quindi la strada giuridica facendo appello alla Corte
costituzionale, ma la sentenza emanata nel 1960 riafferma il monopolio della Rai: la forza politica della DC e
quella del suo progetto culturale sono ancora tali da mettere all’angolo l’ipotesi di una concorrenza nella
televisione e saranno consolidate dal varo del centrosinistra che comporterà una parziale correzione della
gestione della Rai in senso più inclusivo rispetto alle componenti laiche della società italiana.
APOGEO E CRISI: LA TELEVISIONE DI BARNABEI
La televisione al tempo del centrosinistra: Barnabei è il nuovo direttore della Rai, un giornalista che nel
1956 prende in mano il giornale della DC “Il Popolo” e fa delle sue pagine culturali una tribuna vivace e
aggiornata, e durante la sua nuova dirigenza si avvicendano iniziative audaci, interventi censori e brusche
marce a ritroso; l’opinione pubblica cattolica e conservatrice aveva sempre apportato al mondo del teatro e
del cinema censure su determinati temi che potevano minacciare la “morale”, ma per i programmi televisivi
non esisteva questo tipo di controllo, ragion per cui i dirigenti Rai erano tenuti ad adottare dei codici di
autodisciplina interni che però non li tutelavano del tutto (il dirigente precedente venne fatto allontanare
perché aveva permesso ad una ballerina di andare in scena senza le calze nere). Ma alla Rai urge una
strategia può duttile e illuminata che tenga conto di voci diverse, con cui la dirigenza cattolica possa
misurarsi sulla scorta di un forte e compatto ideale di “cultura popolare”, nel senso di cultura per tutti, solo
a questo patto la televisione può essere un legante di trasmissione tra il potere politico e la società e
costruire terreno di mediazione tra le sue componenti così divise. Su tali presupposti Barnabei procede ad
un adeguamento dei programmi, l’informazione innanzitutto. Rivoluziona infatti la scaletta: in primo piano
la cronaca, in particolare quella giudiziaria, privilegia filmati, sfonda i servizi sui protagonisti della politica e
membri della maggioranza governativa. Questa nuovo giornale viene definito sempre tendenzioso e
filogovernativo ma con un passo diverso, da uno stile parrocchiale, paludato e grigio, a uno stile più
disinvolto e borghese.
I programmi e la filosofia editoriale: il 4 novembre 1961 iniziano le trasmissioni del secondo canale, limitato
a due ore e poche regioni ma che nel 1966 raggiungerà l’86% della popolazione. D’altra parte, la Rai
intimorita dalla concorrenza privata cerca di arricchire la programmazione in modo tale da arrivare ad un
pubblico sempre più ampio dando ai suoi spettatori informazioni su “tutti i fatti della vita”, anche se la
maggior parte ha un’istruzione piuttosto basica. Chi dirige il secondo canale sono Angelo Romanò, cattolico
di sinistra e amico di Pasolini, e Pier Emilio Gennarini, un esperto giornalista.
Il palinsesto è studiato in questo modo: i programmi forti vengono trasmessi sul “Nazionale”, quelli di
nicchia sul Secondo. La Rai adotta alcune innovazioni come la registrazione videomagnetica introdotta nel
1962, è una svolta in quanto permette al canale di preparare e immagazzinare programmi liberandosi così
della diretta, permette libertà nell’uso di immagini di repertorio nella limatura dei tempi morti. Nello stesso
anno il satellite Telestar permetterà le dirette da e verso gli USA, nel 1967 la Rai assisterà al collegamento
via satellite con i 5 continenti. Nel pubblico italiano hanno un forte impulso le telecronache e le edizioni
legate ai grandi eventi, di cui si enfatizza la spettacolarità, mentre la cronaca politica si accresce in virtù
della necessità di dare più spazio ai partiti, i servizi dell’estero si moltiplicano e i così detti “speciali”
approfondiscono un ampio dettaglio di temi, si prende inoltre la figura del giornalista-speaker del modello
inglese che ha un’impostazione fredda, misurata, che utilizza un linguaggio elegante ma immediato, un
espediente che cerca di rendere più spettacolare il telegiornale italiano.
Molto più interessanti sono i contenuti di TV7 (1963-71) in cui la rubrica si ispira più al quotidiano che al
settimanale nella sua struttura molto articolata: 7/8 servizi brevi si cui solo uno di 15/18 min, e tratta
aspetti più politici e sociali che umani e di costume, agli eventi e alla novità più che alla teatralità della vita
comune, la sigla ha un ritmo più moderno e disinvolto, informale e personale rispetto alle strettoie imposte
dal TG. Tratta inoltre anche temi di sport, spettacolo e scottanti come la vita nella fabbrica, le condizioni di
lavoro delle donne, sui riformatori, la guerra in Vietnam e inchieste passate alla storia come quella sull’uso
di estrogeni negli allevamenti.
Con la nascita delle Tribune politiche ed elettorali e sindacali nate sulla base della convinzione che la
televisione sia un potente strumento nel contatto diretto tra partiti e opinione pubblica, la stampa ne
registra i momenti salienti come i battibecchi, gli scontri oltre a valutare la performance e la telegenia dei
politici.
Nel frattempo, la Rai porta aventi il progetto della Telescuola ampliando il grado di istruzione che alla fine
del 1964 vede tutte e tra le classi delle medie per poi arrivare anche a quelle superiori. Un’ulteriore svolta è
il fatto che i programmi non sono più pensati per singole classi e materie, bensì per fasce di apprendimento
configurandosi come metodologico che didattico.
Nasce anche l’Approdo basato sulla formula del “salotto”, tra conversazione, conferenza e dibattitto, si
occupa di letteratura, teatro e musica, arte e architettura con uno sguardo all’attualità e che tocca
l’irraggiungibile equilibrio tra alta cultura e larga divulgazione in quanto non tutto il pubblico italiano ha gli
strumenti e le conoscenze per riuscire a cogliere tutti gli aspetti che venivano trattati.
Il TELEROMANZO è il genere che ha raggiunto maggior successo nella televisione italiana, caratterizzato da
un’elaborazione sempre più raffinata di equilibrio tra testo e spettacolarità e dall’adozione di tecniche e
strumentazioni sempre meno rudimentali. Inizialmente il prodotto televisivo conservava un impianto
ancora fortemente teatrale nonostante l’introduzione videomagnetica. Uno dei Teleromanzi più amanti e
meglio riusciti fu “Odissea” di Franco Rossi, un film a episodi coprodotto dalla Rai e da De Laurentiis, che
vede un cast internazionale. Ne seguiranno poi altri progetti di spessore culturale e spettacolare che
giocano sul taglio cinematografico, tra i quali l’Eneide o classici dell’800 per lo più inglesi o americani. Ma gli
sceneggiatori si allontanano dal cliché della letteratura d’appendice e spaziano con maggiore disinvoltura su
tutto il territorio del romanzo per cementare più solidamente, con i “materiali nobili” della letteratura
romantica e post-romantica, ma con incursioni opportune in quella del 900 e la struttura portante delle
costruzioni narrative che la caratterizza: “I Promessi Sposi” diretto da Bolchi e sceneggiato da Bacchelli.
I momenti di palinsesto dedicati alla pubblicità, a parte Carosello, aumentano gradualmente dal 1959 con
Tic Tac, Girotondo, Arcobaleno, Intermezzo facendo così guadagnare alla Rai il corrispettivo di 750000
abbonamenti.
Televisione, società e cultura negli anni ‘60: secondo un’inchiesta istituita nel decennale dell’inizio delle
trasmissioni televisive, si scopre che una famiglia che percepisce uno salario minimo è disposta a pagare di
più tra rate e canone pur di non rinunciare alla tv considerato ormai un bene irrinunciabile: è un
divertimento per i bambini perché mostra loro il mondo e possono imparare e un bene per gli adulti che
possono imitare modelli di comportamento più “mondani”. la televisione è diventata simbolo del
benessere, elemento propulsore, oggetto del desiderio.
Nel 1956 una famiglia su 3 possiede un televisore e l’ascolto medio è in forte crescita. In questi anni la
televisione, regina dei mass-media, è oggetto di studi e di analisi, soprattutto da parte degli intellettuali
appartenenti all’area laico-liberale, alle prese con un confronto con il mondo dell’impresa. I mass media
sono i mezzi di comunicazione culturale che possono essere veicolo efficace di prodotti rispondenti al gusto
della massa, sebbene siano anche suscettibili di diverso impiego. Le stesse nozioni massa, cultura di massa e
uomo-massa sono sottoposte a verifica, al di là di ogni pregiudizio.
È in questa indagine sociologica sulla televisione che nel 1961 si inserisce la critica all’azione della Rai: una
spinta alla modernizzazione del paese e all’acquisizione di condizioni materiali di vita migliore, ma anche
un’azione massiccia di rafforzamento di tradizioni, opinioni, atteggiamenti che potremmo definire pre-
democratici o pre-costituzionali, dunque la Rai si impegna nella conservazione di tradizioni civili, religiose,
sociali, culturali, in contrasto con le esigenze di sviluppo della democrazia italiana. In conclusione, in un
momento in cui quasi tutta la società italiana è proiettata in avanti, l’opera della Rai viene ad assumere una
vera e propria strozzatura.
Anche la linguistica si muove in esplorazione di questo nuovo mezzo di comunicazione: i modelli linguistici
irradiati dalla televisione, raggiungono una forza di immediata penetrazione ignota ad ogni tipo di
trasmissione e fissazione di segni linguistici. Attraverso la televisione hanno imparato la lingua italiana
parlata in modo formale e informale.
Alla televisione possiamo attribuire dei valori positivi come: mettere in moto processi di emancipazione,
l’evasione dal microcosmo geografico e culturale di cui l’individuo fa parte, l’acquisizione di modelli e
linguaggi nuovi, di conoscenze interessi e aspirazioni. Dall’altra però detiene il potere di inibire il senso
critico degli spettatori, di minarne la personalità, di intorbidire le menti.
Pasolini nel 1975 propone l’abolizione della televisione in quanto questo strumento possiede una volgarità
intrinseca che deriva dalla sua sottocultura e che ha nella sua funzione culturale tutta la prepotenza del
potere, calata in una realtà produttiva che “altera il significato di famiglia, e ne fa non più un nucleo di
innocenti conservatori, ma un nucleo di ansiosi consumatori”.
Tra crisi e trasformazioni, verso la riforma: alla fine degli anni ’60 la Rai è un’azienda elefantiaca e
dispendiosa. Nel 1971 nasce Telebiella, fondata da Giuseppe Sacchi, ex regista Rai, utilizza le tecnologie del
cavo e della videoregistrazione, e ha l’obiettivo di proporre un’informazione locale alternativa, di matrice
laica e centro-destrorsa, ma anche di realizzare una televisione dal basso dando voce alla “pancia” della
provincia italiana. È la prima televisione privata che riesce a trasmettere in Italia e colei che inizierà la
battaglia che porterà alla rottura del monopolio detenuto dalla Rai. MA Giovanni Gioia, ministro delle
Poste e delle Telecomunicazioni del governo Andreotti, interviene decretando la chiusura di Telebiella e
seguiranno poi lo smantellamento dei ripetitori delle tv straniere scaturendo proteste contro la Rai e
l’esecutivo.
Il progetto di riforma della Rai è alimentato dall’aumento dell’ascolto delle tv estere, dalla nascita delle
prime esperienze locali, ma anche da una crescente domanda di partecipazione alla vita pubblica che anima
quegli anni intensi di scontri e proteste sociali e politiche.
La Rai dopo la riforma, ristrutturazione e nuove strategie editoriali: la conferma del monopolio della Rai su
scala nazionale; semaforo verde per le emittenti private via cavo basta che non ecceda di 150000 abitanti,
possibilità di ripetizione di tv straniere, messa in cantiere di una rete decentrata che dia voce alle istanze e
alle culture locali e regionali, imposizione di un tetto pubblicitario fissato a 5% del monte ore totale. Inoltre,
si concede alla DC il controllo della prima rete, ai socialisti la seconda annesse rispettive testate
giornalistiche. Si decide inoltre che sia più conveniente la trasmissione via etere, uccidendo sul nascere la tv
via cavo che decollerebbe solo nella versione pluricanale, si perde in questo modo un’occasione di sviluppo
per un comparto a tecnologia avanzata.
Il primo canale era diretto dal cattolico Mimmo Scarano, in linea con la tradizione e del taglio
nazionalpopolare: mentre il secondo era più sperimentale e anticonformista espressione della cultura laica
e socialista. tale combinazione aiuta a riprogrammare i palinsesti, a svecchiarli, a trovare format inediti,
a ispirare modelli e linguaggi di indubbia originalità e grazie al secondo cale, a sfoggiare una vena più
creativa e libertaria. La rivoluzione è sancita ufficialmente il 1° febbraio 1977 con l’adozione del colore nelle
tv italiane.
Il dibattito sulla terza rete partorisce il “topolino” Raitre: nei primi anni ’60 vediamo l’esigenza di presentare
realtà locali nell’area dell’informazione e nella rappresentazione televisiva. Questa è una richiesta da parte
delle regioni che cercano di difendersi dal monopolio pubblico, incentivando una partecipazione alla
gestione della Rai e la rivendicazione di un’autonomia produttiva che consenta di cogliere, attraverso una
lente della dimensione regionale, un’immagine viva e reale. La riforma ad ogni modo raccoglie parzialmente
istanze regionalistiche.
Tra i partiti, quello più entusiasta della creazione di un terzo canale è quello della PCI che vuole una rete
decentrata, orizzontale, un’occasione per aggirare il fortino a struttura verticale della Rai.
L’arma delle tv private; dalle stazioni locali ai grandi network: fino agli anni ’70 la distribuzione nazionale
delle frequenze non assegna all’Italia canali sufficienti per più di 4 reti nazionali, quindi inizialmente le locali
e i network occupano illegalmente gli spazi esistenti prescindendo dalla quantità del segnale e delle
interferenze, e collegandosi in interconnessione per allargare il bacino di irradiazione, poi con l’avvento dei
satelliti si incrementeranno fisiologicamente il numero di canali disponibili. La corsa all’occupazione delle
frequenze radiofoniche e televisive disponibili vede un’eterogenea pattuglia di editori, partiti, imprenditori
e selfmade men di provincia.
L’ascesa di Belusconi; da Telemilanocavo a Canale5: la carriera di Silvio Berlusconi editore inizia con
l’acquisto nel 1974 di una quota azionaria del “Giornale” di Motanelli, e l’anno successivo di
Telemilanocavo, per un semplice discorso di schieramenti politici in quanto di fronte allo spostamento a
sinistra di alcune testate nazionali “la classe imprenditoriale stava a guardare”. Ma se sulla carta stampata
riceveva grandi consensi da parte della borghesia e dei conservatori, in TV non accade = perché’ una TV sia
“buono” deve piacere al maggior numero di persone, essere ottimista, serena e rilassante. Con l’aito
finanziario della società Fininvest inizia la costruzione dei ripetitori e l’acquisto su tutto il territorio
nazionale di frequenze e di altrettante stazioni televisive già operanti.
Canale5 si configura come un network sui generis: non è costituito da una rete madre, ma da un fitto
numero di emittenti acquisite. Ciò permette a breve il varo di due circuiti macro-regionali: nel settembre
1980 il gruppo di emittenti del Nord comincia a trasmettere con il nome Canale5, il gruppo Centro-Sud con
il nome di Canale10. Tutte presentano cassette videoregistrate con i medesimi programmi e dirette da
un’unica centrale operativa. È di fatto il primo network nazionale. Il PALINSESTO vede scorte accumulate di
prodotti imbottiti di pubblicità che si appoggia a tecniche di marketing e sperimenta modalità di vendita
aggressive, elastiche e fantasiose. Per concorrere sia con la Rai che con i network omologhi a Canale5
vediamo un’americanizzazione nell’offerta, nei toni, nell’enfasi delle pubblicità, nell’uso della serialità e
negli stratagemmi per tenere alto l’ascolto. Ci si preoccupa di coprire spazi lasciali dal palinsesto della Rai,
nasce così Buongiorno Italia, sottraendo pubblico ai canali radiofonici della Rai.
una delle prime mosse è quella di convincere Mike Buongiorno, icona della Rai, a condurre il quiz I
sogni nel cassetto per coprire un territorio il più vasto possibile, le videocassette vengono spedite
alle emittenti consociate che possono trasmetterle contemporaneamente.
un’altra grande battaglia vinta è la fidelizzazione del pubblico con la fiction seriale con Dallas 1981,
protagonista una famiglia di petrolieri texana, una serie trasmessa inizialmente dalla Rai ma in un
orario che non le fece ottenere il successo che meritava; quindi, Canale5 gioca d’astuzia
programmandola in modo opportuno (durante un quiz trasmesso su Rai1 da Mike Buongiorno)
rubando così una grande fetta di ascolti.
successivamente a questo grande aumento di ascolti con Dallas si decide di attuare la tecnica del
“trascinamento”; quindi, si programmano un ciclo di film adatti al medesimo pubblico in modo tale
da mantenere l’ascolto e garantirsi il primato serale in assoluto.
Un altro grande colpo avviene nel 1980 quando la Finivest compra i diritti del Mundialito, un torneo
di calcio che vede le sette nazioni vincitrici di un Mondiale scontrarsi.
Canale5 mette quindi appunto una miscela inedita e per certi versi di rottura rispetto ai canoni
televisivi.
Nel 1982 Mike Buongiorno passa ufficialmente a Cabale5
Nasce anche Italia1 con un palinsesto dedicato ai più giovani con I Puffi programmati durante la stessa
fascia oraria dei telegiornali Rai.
Le reti Fininvest distribuiscono programmi facili, spensierati, adatti alle famiglie, sono gratuite in quanto
non richiedono un canone, si assolvono dal compito portato avanti dalla Rai di educare e informare.
Berlusconi potrà contare sull’appoggio di diversi partiti sia laici che cattolici, avrà anche l’appoggio di Craxi il
quale aveva sempre giudicato la Rai come un palinsesto catto-comunista.
L’età della concorrenza: il boom televisivo vede non solo un aumento di ore di programmazione ma anche
uno sfrenato impulso all’ascolto (da 3 ore al giorno per famiglia si passa un 5 ore nel 1983). Sala alla ribalta
una nuova classe imprenditoriale di piccoli industriali e commercianti che ha bisogno delle pubblicità per
rafforzarsi e proiettarsi in una dimensione nazionale. La televisione commerciale ha quindi creato ricchezza
e sostiene il trend positivo di desideri e propensione all’acquisto.
Nel 1981 la Rai sperimenta il meter, un congegno applicato a un campione di ricevitori che rivela il canale
sintonizzato e trasmette i dati a un calcolatore centrale: ma anche in questo caso viene contestata tra
soggetto e oggetto dell’indagine.
Nel 1984 nasce quindi Auditel posseduto dalla Rai, il quale monitora un numero di famiglie sempre più alto
e incide in maniera sempre più forte sull’organizzazione dei palinsesti (si affidano di più a programmi con
conduttori carismatici che sulla qualità dei testi) e sulla fattura dei programmi.
Nel 1988 vediamo uno dei programmi bandiera delle reti Fininvest ovvero “Striscia la notizia” un
telegiornale satirico che vede una coppia di presentatori, attori comici e due veline, di invenzione di Ricci.
Per la Rai invece l’inizio degli anni ’80 è un momento difficile, mentre langue la neonata Rai3, mentre lo
slancio creativo dei primi anni sembra essersi spento, la dirigenza stenta a imboccare la via del
rinnovamento. La Rai non riesce ad essere competitiva con Canale5, perdendo in due anni 1/3
dell’audience anche negli appunti considerati intaccabili come il TG e i film del lunedì sera. Ciò che farà
rimettere la Rai in campo saranno i programmi di coproduzione o autoprodotti come: “I promessi sposi”, “la
piovra” che vede la storia di un commissario veduto dal Nord in Sicilia, “il generale”… un altro asso nella
manica da parte della Rai è l’informazione culturale e d’attualità con: Quark che fa della scienza una delle
regine dell’audience grazie anche all’abilità del conduttore e Mixer un programma che fa leva sull’ottimo
montaggio, una scrittura accattivante. Un contributo molto significativo per la Rai, in termine di audience
avviene quando passa sotto il controllo del PCI, il quale imposta format a basso costo, con l’obbiettivo di
ottenere alti ascolti puntando alla massima compattezza, alla chiarezza del dettaglio, alla competenza e
scioltezza dei conduttori e al coinvolgimento continuo del pubblico chiamato a interagire e costruire una
sorta di “piazza elettronica”.
I palinsesti delle reti generaliste: l’inserimento dei telegiornali e la possibilità della diretta hanno subito
effetti benefici sull’intera programmazione delle reti Fininvest, che per il resto non registrano rivoluzioni
nelle loro linee portanti. Fininvest strappa ai Rai2 il programma Beautiful e compra i ditti del Giro d’Italia,
l’anno dopo le reti di Berlusconi riescono a raggiungere uno share complessivo di 44,7% poco meno di
quelle Rai.