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Questo libro si interroga, a partire da dati e analisi di scenari sociali e tecnologici, sullo stato
di salute dell'industria culturale più longeva e, nel contempo, più discussa da studiosi,
opinionisti e futurologi: la televisione.
Qualcuno parla dell'imminente morte del mezzo, altri ne prevedono una lunga
sopravvivenza. La parola ricorrente tuttavia è crisi. La crisi indica il momento della scelta che
riguarda la necessità di ridefinire il patto comunicativo tra gli italiani e il linguaggio
audiovisivo.
Quali sono le nuove frontiere della fruizione e della produzione con le quali occorre
misurarci? È chiaro che i network televisivi dovranno fare i conti con i cambiamenti indotti dal
ciclone Internet. Cambiano le abitudini di fruizione e le strategie di avvicinamento ai
contenuti audiovisivi. Emergono nuovi modelli produttivi e nuovi modelli di business: non si
vende più solo agli inserzionisti, ma anche al pubblico (abbonamento, pay per view, video on
demand, ecc).
L'overdose di prodotti e formati porterà alla necessità di selezione in base a criteri di qualità
e di corporate reputation. Ma prima dobbiamo capire cosa ha portato alla crisi, con la storia
di mezzo del mezzo audiovisivo.
CAPITOLO 1 Crisi, transizioni e strategie per il passaggio al futuro. Idee alla ricerca di
definizioni
Le definizioni complesse
In tempi di logorata crisi economica, affrontare la questione televisiva quale chiave di lettura
per il cambiamento e per le sue conseguenze repentine può sembrare riduttivo e fuorviante.
Tuttavia, gli studi di settore hanno trovato un denominatore comune nel considerare il
rapporto delle persone con la comunicazione e con la cultura quale sintomo del profondo
cambiamento sociale. Ma le mutazioni improvvise rischiano di generare crisi, cioè brusche
rotture rispetto al passato.
Pochi si interrogano sul significato sociologico della crisi e sulle sue implicazioni profonde
nell'assetto sociale e culturale di un paese.
Definizioni di CRISI:
● Treccani: termine usato per indicare uno squilibrio traumatico e poi, più in generale,
uno stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e
corrispondenza tra valori e modi di vita. In senso più concreto, ogni situazione, più o
meno transitoria, di malessere e di disagio.
● Definizione in termini sociologici: periodo del sistema sociale caratterizzato
dall'accumulazione accentuata di difficoltà, presenza di tensioni, con conseguenze
conflittuali che inducono complessità nel normale funzionamento del sistema,
scatenando forti pressioni verso il cambiamento.
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La crisi è espressione di una difficoltà temporanea o cronica di un sistema. Viene percepita
in prospettiva sociologica come processo che induce al cambiamento dell'organizzazione di
un sistema: essa coincide con la causa stessa del cambiamento. Se la metamorfosi non è
possibile, la crisi può portare alla disgregazione del sistema.
Il cambiamento generato dalle crisi viene considerato solo una delle tante modalità, poco
efficiente e molto dispendioso. Infatti si è di fronte a un modello di rottura, caratterizzato
dalla sostituzione di un sistema organizzativo quando condizioni di disfunzionalità o di
annullamento del precedente modello.
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transizione verso un graduale superamento del giornalismo —> meno televisione ma
cresce il consumo di cinema, teatro, concerti, mostre e siti archeologici. In questo
periodo in Italia vi è la legge Gasparri che dà il via al digitale terrestre e genera
lamentele perché non si voleva pagare per vedere la TV -schede pirata, illegali-, visto
che il 50% di italiani evadevano le tasse per non dover pagare la televisione pubblica
(invece la televisione commerciale si pagava attraverso la pubblicità). Si arriva al
2003: insostenibile perché non si guadagnava. Quando SKY entra nel mercato
diventa un punto di riferimento per il digitale terrestre. Il digitale terrestre finalmente
scatta quando lo slogan “digitale terrestre gratis” viene contraddetto dall’introduzione
di canali televisivi a pagamento (cinema in prima tv e calcio). Nel 1995/1996 solo il
5% erano in possesso di un telefono cellulare;
4. Dal 2005 al 2012, dentro il TecnoEvo, continua la fase di ridefinizione del rapporto
con i media tradizionali e diventa più decisa la transizione al digitale —> passaggio
dall’analogico al digitale, con l’80% di italiani nel 2005 che possiedono telefoni
cellulari e l’8% che ne possiedono anche più di uno;
5. Dal 2013 in poi con il All digital, caratterizzato dal ritorno all’interesse per il
contenuto e ai linguaggi, e semplificazione delle modalità distributive produttive.
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Che cos'è, dunque, la transizione? La transizione si presenta come un processo di
passaggio da uno stato all'altro, da un tipo d'organizzazione sociale ad un altro.
La transizione è una situazione di ricerca di soluzioni, di prospettive e di strategie per il
futuro: implica progettualità e razionalità. Le stesse dimensioni che spesso tendono a venir
meno in condizioni di stress provocato da crisi.
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In questo contesto, i media e la cultura diventano fondamentali perché estraggono l'individuo
dal tendenziale stato di isolamento, lo espongono al nuovo, stimolando e incoraggiando il
cambiamento. Diventano quella potente forza che permetterebbe la ripresa, il riorientamento
in funzione di valori condivisi e dunque, l'ascesa, con la consequenziale uscita dalla crisi.
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Lo stesso percorso evolutivo della televisione in Italia fa parte integrante della storia
socio-culturale e politica del Paese. Nei suoi 56 anni di storia ufficiale, la tv ha rappresentato
il volano dei sentimenti, a volte propulsore di vere e proprie rivoluzioni nel costume, nel
linguaggio e nel senso comune quotidiano, nell'espressione dei bisogni e dei gusti.
È proprio per la sua centralità nella vita sociale, culturale e politica del paese che si è spesso
trovata al centro di controversie e aspre critiche.
Ancora oggi continuiamo a porci il problema del ruolo della rinnovata tv nella vita sociale e
culturale, soprattutto in condizioni di crisi economica e non solo.
Le fasi evolutive del mercato televisivo si possono sintetizzare in quattro macro periodi, per
illustrare l'alternarsi di crisi e transizioni nella storia d'Italia, dal Secondo Novecento a oggi:
● Pro-industria televisione: si identifica con la fase del monopolio pubblico che dura
circa un trentennio, fino all’inizio degli anni Ottanta. In Italia il monopolio inizia a
rompersi nella seconda metà degli anni Settanta, con la liberalizzazione delle
frequenze radiotelevisive.
Parole chiave: pubblico di massa, autorevolezza delle fonti comunicative, tv broadcast.
● La tv nel MediaEvo: la fase di espansione della televisione commerciale,
caratterizzata dalla convivenza tra reti pubbliche e private. Nascono le società di
rilevazione quantitativa degli ascolti (auditel).
Parole chiave: consumi, duopolio, dieta mediale alla carta, target.
● Tardo MediaEvo. Verso il TecnoEvo: la terza fase, in cui nello scenario televisivo si
affacciano nuovi protagonisti, in particolare le pay tv e le pay per view —> si tratta
dello stadio di nuova verifica dell'offerta di nicchia. Momento importante per lo
sviluppo tecnologico della tv, data la possibilità di sperimentazione del digitale (via
satellite e via cavo). Compresenza di tv broadcast e narrowcast.
Parola chiave: inizio di tele-indipendenza; broadcast, narrowcast, webcast e crossmedialità,
pubblici, target e nicchie.
● L'età dei linguaggi e dell'accesso: la fase di predominio della tecnologia digitale,
che permette la moltiplicazione dei canali, stimola l'interattività evoluta e genera
profondi cambiamenti non solo negli scenari di consumo, ma anche nei modelli di
business.
Parole chiave: media della personalizzazione e della delocalizzazione, ritorno ai contenuti
comunicativi, compresenza di industrie culturali, reti e open source, il soggetto moderno
oscilla tra la condizione di consumer e produttore di contenuti, fruizione multitasking.
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momento della conquista di nuovi spazi pubblicitari e di coltivazione di nuovi modelli di
consumo. La ricerca della felicità e i nuovi bisogni iniziano a colonizzare anche il tempo e lo
spazio dei media.
Siamo di fronte alla prima crisi della tv certificata dai dati Auditel (nasce negli anni 80), a cui
corrisponde l'inizio di una transizione basata su quel fenomeno che viene definito
‘trasgressioni’.
Andando a leggere i dati di ascolto delle due stagioni televisive di fine anni Ottanta, quello
che emerge è una rottura del patto comunicativo tra i pubblici e le principali reti. L'analisi
rivela una singolare coerenza nel declino delle audience della Rai e di Fininvest.
Il pubblico ha scelto di spostare parte della propria fruizione sulla Terza Rete della tv di Stato
e quelle che l'Auditel richiama nelle proprie rilevazioni attraverso la categoria delle altre tv.
Rai Tre e le televisioni collocate fuori dal duopolio aumentano le loro quote di pubblico nei
mesi di gennaio, febbraio e marzo del 1988. Lo stesso periodo di attestata crisi dei principali
network nazionali, coincide con l'inizio della stagione della trasgressione: la trasgressione si
conferma come un terreno per riformulare simbolicamente il rapporto tra individuo e norme,
offrendosi come luogo elettivo dell'innovazione, dell'alterità e del movimento verso codici di
comportamento nuovi.
Si tratta della messa in campo di un comportamento simbolico che esprime appunto
trasgressione nei confronti delle norme sociali, attraverso la tv.
Edgar Morin teorizzava in riferimento alla violenza che caratterizza la cultura di massa: si
attivano processi di trasgressione vicaria, attraverso la sperimentazione di emozioni e statuti
di moralità e di senso, senza pregiudicare il ritorno alla normalità.
Sono stati i giornali e la stessa tv a costituire e legittimare una nozione socioculturale di
trasgressione altamente evocativa.
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Dopo le clamorose elezioni del 1994, il settore televisivo diventa un pezzo del sistema
politico, forse la principale, insieme a quella finanziaria, da usare nella competizione
elettorale. La televisione diventa mira dei dibattiti e contenuto pregiato di tutti gli altri media.
Ma il contesto di logorato utilizzo del mezzo televisivo per la comunicazione politica porta a
un disincanto generale dei pubblici, soprattutto dell'auditorio giovanile: un difficile rapporto
con i pubblici giovani e una tendenziale sfiducia nei confronti dell'informazione televisiva.
Eppure non è l'informazione in crisi: in tutto il mondo si investe sulle notizie.
In America e in Italia i giovani mostrano insofferenza verso i tg. Perché non si sentono
raccontati abbastanza? Se i giovani non vengono raccontati abbastanza, il problema non è il
telegiornale, ma la televisione nel suo contesto —> una televisione datata.
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sopravvivere è il concetto stesso di digitale, rafforzato dall'antitesi con il suo predecessore,
ovvero l'analogico.
La televisione digitale terrestre, è quel tipo di televisione che si contrappone a quella
analogica.
Francesco De Domenico la definisce: una tecnica di trattamento del segnale video che lo
rielabora esclusivamente con codifica numerica.
La tv digitale, in particolare quella terrestre, appare in grado di fornire, a quella parte del
pubblico televisivo che non ha ancora accesso a tali servizi, un prodotto forse più attraente,
meno costoso e più rispettoso delle abitudini e dei modi di consumo del mezzo.
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La televisione si trova in questo momento a dover esplorare nuovi territori per competere
con gli altri mezzi di comunicazione e sta assumendo conformazioni diverse che la
porteranno a sperimentare e a perfezionare nuove forme espressive.
Alla tv per tutti si affianca anche la tv fai da te, dove lo spettatore avrà la possibilità di
scegliere un palinsesto adatto ai propri interessi, attingendo da una nuova offerta
multicanale.
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In definitiva, possiamo ritenere che l'esperienza della tv satellitare in Italia stia contribuendo
a realizzare il sogno di oltrepassare il tradizionale duopolio che pietrifica da decenni lo
scenario televisivo nazionale. Con questa esperienza, la società italiana ha dimostrato di
saper trasferire l'innovazione di comunicazione in vissuto, strategia di cambiamento e
superamento della crisi.
CAPITOLO 4 Tre generi (anche) per il futuro: fiction, informazione, programmazione per
bambini
Tre sono le tipologie di programmazione, fortemente radicate nella storia del mezzo:
informazione, fiction e programmazione per bambini e ragazzi.
Nell'universo dell'offerta, informazione, fiction e programmazione per bambini si adattano in
maniera eccellente alle strategie di crossmedialità e alle esigenze di nuovi e vecchi pubblici
conquistando un posizionamento strategico nelle tv del futuro.
Il palinsesto è un vincolo soprattutto per i fan. Il fandom è liquido, si estende dal prodotto al
genere e si muove con facilità tra piattaforme diverse.
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La questione che si pone in questo contesto riguarda la tipologia di contenuto che si va a
cercare online o altrove: le ricerche attestano che tra i contenuti più pregiati l'audiovisivo
mantiene una posizione dominante.
Il mezzo televisivo va ripensato anche alla luce delle evoluzioni tecnologiche e delle abitudini
e stili di vita delle persone. I contenuti a utilità ripetuta come i film e le fiction sono effimeri,
ma possono trovare spazi privilegiati nel più grande archivio dell'umanità che è internet.
Passaggio al futuro
Stando al rapporto della Fondazione Rosselli, la fiction italiana è scarsamente competitiva
sul piano internazionale e riesce difficilmente a conquistare pubblici diversi da quelli per i
quali è stata progettata. La paura di rischiare, che da anni ha caratterizzato le strategie del
duopolio italiano, emerge ancora una volta, stritolando la creatività.
Emerge la necessità di tracciare alcune indicazioni per il futuro, sia per quello che riguarda
gli scenari di fruizione, sia in relazione alle dinamiche produttive e distributive.
Le parole chiavi si possono sintetizzare in tre categorie:
● Crisi,
● Cambiamento delle abitudini di fruizione, dovuto alle modificazioni degli stili di vita e,
soprattutto, all'innovazione di generazione,
● Diversificazione del mercato.
La crisi economica induce anche un decremento degli investimenti pubblicitari e un relativo
disinvestimento nella produzione.
Alla diminuzione dell'investimento si aggiunge la scarsa sincronizzazione sulle nuove offerte
delle vecchie tv tradizionali, costrette a confrontarsi con i nuovi player, e la difficoltà di
accreditamento della fiction nazionale, spesso fallimentare nel tentativo di copiare prodotti
americani di successo.
Gli scenari di fruizione devono partire necessariamente da una diversa considerazione e
rispetto per i fruitori. Il pubblico reale e soprattutto quello potenziale della fiction è più
interessante di quello che il mondo della produzione e i network pensano: veloce, curioso,
intelligente, multimediale, va catalizzato attraverso moderne strategie di marketing.
Gli scenari di produzione e distribuzione potrebbero essere sintetizzati in tre ordini:
1. Scelte tattiche: vedono il posizionamento di serie americane in prime time, riuscendo
così a convogliare nella fruizione di target commerciale a costi più contenuti.
2. Soluzioni innovative: sfruttano le opportunità della digitalizzazione, individuando nei
nuovi canali, meno competitivi sul piano degli ascolti, veri laboratori creativi. Si tratta
di strategie a medio termine, volte a dare il tempo di crescere e sedimentare a
programmi non di immediata popolarità.
3. Scelte strategiche: le quali prevedono il mantenimento della propria platea di fruitori e
l'integrazione con altre community rintracciabili online, in modo da creare spazi di
comunicazione inter e trans generazionali. È quanto sta già accadendo nel mercato
statunitense, dove le corporation ormai multimediali si rivolgono a nuove generazioni
di consumatori, sempre più competenti nella decodifica dei contenuti narrativi.
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approfondimento, soprattutto quelle Rai, tanto che si parla del 2009 come dell'anno
dell'informazione (tanti ascolti per Annozero di Santoro, Ballarò di Floris, Porta a Porta di
Vespa).
La televisione tradizionale rimane la principale fonte di informazioni, sia per i telegiornali, sia
per gli approfondimenti giornalistici. Eppure l'informazione, contenuto pregiato delle reti
nazionali, non sempre riesce a riscontrare anche la soddisfazione dei telespettatori: lo
dimostrano i dati sulla soddisfazione che i singoli mezzi di comunicazione riescono a
garantire. Anche se la tv viene utilizzata per fini informativi, nel sondaggio su quanto i
telespettatori fossero soddisfatti dal contenuto c'è una percentuale alta di insoddisfatti.
Ma questi sondaggi mettono in evidenza anche la diversità di fonti a disposizione per
reperire informazioni.
Diventa questa una delle principali istanze dell'attore moderno, che somma alla crisi
economica e valoriale, una questione diversa ovvero la difficoltà di controllare e selezionare
le fonti informative a sua disposizione. L'informazione consuma attenzione: quindi
l'abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di
allocale quell'attenzione tra le molte fonti di informazione.
Per questo si sono sviluppati soggetti addetti alla semplificazione come Google o Facebook.
Manifestando interesse e rispetto nei confronti dei pubblici, i media si devono porre come
strumenti di condivisione per contrastare l'economia della disattenzione e l'inquinamento
dell'ecosistema dell'informazione.
Per l'impostazione di un progetto televisivo si parte da un'idea che dev'essere esaminata dal
punto di vista contenutistico, ma soprattutto nella sua fattibilità produttiva e finanziaria: tale
idea viene, in primo luogo, tradotta in termini di costi economici e, solo in un secondo
momento, viene trasformata in prodotto, attraverso il supporto di un insieme di
professionalità artistiche, amministrative e tecniche. Le tecnologie adottate in questo
processo di trasformazione hanno agevolato la formazione di figure ibride, contraddistinte
dall'aver unito aspetto artistico, creativo e comunicativo.
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Per realizzare lo stesso prodotto s'innescano microprocessi finanziari, tecnici e creativi che
richiedono l'attivazione di competenze e vocazioni specifiche, volte soprattutto al
superamento del contesto d'incertezza e di incompleta prevedibilità dei destinatari
dell'offerta, i pubblici televisivi in primis.
Questa è una mappa sintetica dei momenti caratterizzanti la produzione audiovisiva
tradizionale e delle attività specifiche ad ognuna delle fasi concrete:
1. Produzione: comprende tutte le attività necessarie alla costruzione del prodotto,
dall'ideazione alla messa in onda;
2. Archiviazione: consiste nella catalogazione e nella conservazione del prodotto che
permette poi un suo eventuale riutilizzo;
3. Distribuzione e Vendita: si traduce nell'emissione televisiva, diretta, indiretta, in
replica, attraverso dispositivi multimediali, nella gestione degli impianti, nell'attività
editoriale.
Il momento di destinazione e distribuzione del prodotto audiovisivo è delicato, dato che può
influire drasticamente sul successo o sulla perdita di un programma, di una fiction o di un
varietà televisivo. Esemplare il caso di Dallas negli anni Ottanta, il quale - dopo un breve
passaggio sulla RAI - divenne la serie punta di Mediaset, con la sua dimensione seriale di
appuntamento fisso.
La produzione vera e propria può essere frammentata in una serie di sotto-fasi che
prevedono delle attività specifiche, volte alla realizzazione del prodotto televisivo:
1. Ideazione;
2. Pianificazione;
3. Pre-produzione;
4. Produzione;
5. Post-produzione.
Per il prodotto televisivo la comunicazione tra i vari partecipanti al processo è fondamentale
e si riflette sulla qualità del prodotto finale.
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Il problema principale è chiedersi quanto il sistema dell'audiovisivo e dell'ICT sia in grado di
mantenere la propria forza, senza garantire un impianto strutturale di copertura ai propri
operatori: in un mondo dell'impresa e del lavoro organizzato sempre più per network,
dunque, bisogna rafforzare gli strumenti e le strutture di mediazione e convergenza tra le
dimensioni politiche, economiche, di formazione e di ricerca, stimolando occasioni di
dibattito volte alla risoluzione e all'anticipazione dei limiti delle politiche pubbliche.
Solo così si potrà garantire l'equilibrio sociale, la dignità delle persone e delle professioni.
Il digitale cambia le regole del gioco, soprattutto nel settore dell'audiovisivo: aggiornare la
mappa delle professioni nel passaggio dall'analogico al digitale sembra diventata
un'esigenza.
L'economia ed il mercato del lavoro stanno subendo forti trasformazioni dovute a
l'imponente evoluzione tecnologica in atto da tempo in quasi tutti i settori: tale processo di
sviluppo ha fatto sì che nascessero nuove figure professionali flessibili, in grado di lavorare
in ambiti in continua evoluzione.
La tecnologia offre molteplici possibilità di sviluppo —> trasversalità, multifunzionalità,
multidisciplinarietà e flessibilità sono le parole chiave per ricostruire in sintesi l'identikit dei
nuovi professionisti dell'audiovisivo.
Si evincono quindi figure ibride, definite "figure tecniche e di artigianato": anche in momenti
di transizione, la comunicazione mantiene il suo posizionamento strategico tra potere e
società, facendosi carico della rappresentazione e della costruzione della realtà per platee
molto vaste.
INTRODUZIONE
Il futuro vedrà nei minori di oggi, sempre di meno sul piano numerico, gli abitanti legittimi
bisognosi di adeguate politiche di tutela e di cura soprattutto a seguito della pandemia da
Covid-19.
Partiamo con il delineare i nodi tematici che stanno alla base di questo libro:
1. La società del 30%. I minori nelle prospettive del Paese —> dall’inizio di questo
secolo si parla con una certa preoccupazione di un progressivo invecchiamento della
popolazione, documentato dalle varie indagini e dai dati del censimento Istat del
2022. Nel 2022, la popolazione degli over 65 anni (in uscita o fuori dal mercato del
lavoro) rappresenta il 23,8% del totale e, rispetto al 1992, è aumentata del 60%.
Sulla base delle previsioni demografiche, tra vent’anni il 33,7% la popolazione sarà
costituito da anziani; solo 11,5% verrà rappresentato da bambini e ragazzi; il 24,4%
da giovani. Al progressivo aumento della platea degli anziani e alla diminuzione di
quella giovanile, si aggiunge una revisione della sequenza dei cicli di vita: passiamo
da un’infanzia sempre più breve ad una giovinezza sempre più lunga; poi si diventa
adulti, il più tardi possibile; infine arriva l’età in cui si è considerati anziani. In Italia
l’età media è di oltre 47 anni e mezzo, circa quattro in più nell’ultimo decennio. A ciò
si affianca l’evidente e diffusa tendenza a spostare in avanti la giovinezza, a dirsi
‘giovani’ più a lungo, tanto più quando si invecchia: si parla di una fatica di diventare
adulti. In questo quadro di preoccupazioni per il futuro, tra le varie fasi dell’età, a
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catturare l’attenzione è l’adolescenza nel suo rapporto con l’universo dei media:
incertezza, vulnerabilità, rischio, transizioni, mutevolezza, ricerca dell’identità, sono
tutte caratteristiche che si applicano all’età della transizione che è l’adolescenza.
Grazie ai media si partecipa all'elaborazione del carattere simbolico della vita sociale,
dove forma e contenuto, pubblico e privato, sé e altro si mescolano e contribuiranno
al divenire del soggetto. Si potrebbe asserire che i media addirittura potenziano la
forma di riflessiva del sé, perché sottopongono il processo di costruzione identitaria a
stimoli e richieste senza precedenti, fornendo materiali simbolici con cui confrontarsi
e a cui riferirsi a livello di lettura delle pratiche sociali. Ecco che i media non soltanto
esercitano forti influenze nel processo riflessivo di costruzione dell’identità per
l’abbondanza di materiali simbolici che forniscono all’individuo, ma anche a livello
relazionale perché attualizzano pratiche sociali con altri soggetti con i quali si
condividono gusti e costumi mediali (Thompson). Thompson pensa al fandom: la
relazione che si instaura tra celebrità e fan come qualcosa di intimo e normalizzato.
É anche attraverso il fandom o, a livello più generale, l’esperienza connessa
all’essere fan di un contenuto o un personaggio mediale, che gli individui tessono la
loro trama di relazioni e costruiscono i loro immaginari e l’identità di gruppo (oltre che
di genere) —> i giovani fan considerano le celebrità come la loro immagine del sé
idealizzata, cercano di sviluppare o ridefinire atteggiamenti e personalità in modo che
combaciano il più possibile con quelli dei loro idoli.
2. Le paure e la fuga dal futuro —> è legato alla diffusione del ‘sentiment’ di paura reale
e coltivata dai media e l’incidenza sulla percezione del futuro. Infatti, il sentimento
confuso e spiazzante di paura è effetto e causa delle narrazioni mediali intorno a
molti fattori che caratterizzano il mondo contemporaneo, dai cambiamenti climatici
alle migrazioni, dalla criminalità e le guerre alla pandemia; infine la paura domina le
relazioni sociali e le politiche pubbliche intorno alle emergenze dei nostri tempi,
culminate con il terrore e l’insicurezza sociale generali dal COVID-19 e dalla guerra
in Ucraina. Criminalità, terrorismo internazionale, problemi ambientali, pandemie,
amplificati dal nuovo mainstream digitale, sono argomenti che chiamano in causa
una riflessione sull’incidenza dei media nella costruzione dell’idea di realtà, del senso
di sicurezza o della paura per il futuro, nel fornire l’accesso alla cultura condivisa
attraverso le tematizzazioni prevalenti delle televisioni e della grande cassa di
risonanza della rete. Niente più della paura mal gestita può avere effetti devastanti
sulla natura biologica e sociale dell’essere umano, sgretolando la già fragile
piattaforma della fiducia reciproca, oltre a quella delle istituzioni, e il ‘sentiment’ di
sicurezza. Vecchi problemi mai insanabili affiorano più forti e accentuati dalla
stratificazione di paure: povertà, divari sociali, marginalità, immigrazioni,
sottofinanziamento dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, sono stati zittiti dalle
grida di dolore di un paese e di un mondo inginocchiato davanti all’epidemia.
3. L’infanzia e l’adolescenza tra schemi interpretativi e schemi digitali —> i media
audiovisivi determinano una iper-stimolazione di un soggetto ovviamente non ancora
formato. L’impatto sulla mente del bambino, sulle sue abitudini, sulla sua attenzione,
rappresenta un’evidenza empirica, al punto da immaginare un cambiamento
profondo della gestualità del bambino, con interessanti sviluppi di precoci forme di
autonomia e di navigazioni del nuovo (es. la loro capacità di utilizzare i pollici per
svolgere molte dell’attività della vita quotidiana attraverso le tecnologie touch).
Educare ai media significa allenare la mente al pensiero critico, allinearsi ai tempi
che cambiano, in termini di innovazione dei linguaggi e alleanze reciproche, proprio
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nel momento in cui la distribuzione dei saperi (incentivata dai media) implica una
democratizzazione dell’accesso e un aumento delle chances di vita.
4. Dentro il mainstream. Culture e politiche per l’infanzia e per la comunicazione —>
occorre entrare in punta di piedi nell’universo dell’infanzia e dell’adolescenza,
partendo dall’analisi del mezzo che più si è instaurato anche nella vita di minori: la
televisione e l'audiovisivo. Spetta ancora ai media mainstream, in sinergia con le
istituzioni, le scuole, il mondo degli adulti, immaginare strategie di continuità con gli
altri universi mediali anche in termini di tutela e di accompagnamento dei minori nel
complesso universo del cambiamento. Nel mainstream si cercano le risposte nei
momenti di difficoltà, come accaduto durante il periodo della pandemia o quando ci
siamo trovati immersi in un conflitto russo-ucraino. Si può ipotizzare che, in situazioni
di difficoltà e di aumento della paura, si individua nei media e nella buona
comunicazione, la via della conciliazione, della ricomposizione dei legami fra le
generazioni e della convergenza culturale tra soggettività e pratiche sessuali
eterogenei, la strategia per vincere le paure: da questo progetto di società non può
mancare una attenzione ai bambini e ai ragazzi.
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incertezze», permettendo di costruire nuove modalità di adattamento all'ambiente, di
comprensione della realtà e di produzione di nuovi significati.
L'individuo è auto-artefice dell'organizzazione dei tempi, spazi e modalità di produzione. Il
suo rapporto con i media risulta, dunque, sempre più privo di mediazioni, ossia sempre più
immediato e ipermediato.
Chiunque, indipendentemente dalla sua posizione, dal suo grado di scolarizzazione e da
altre variabili sociometriche, può offrire qualcosa, ossia diventare fonte e opportunità di
conoscenza e apprendimento per gli altri. Nell'era digitale «tutti gli esseri umani hanno il
diritto di vedersi riconoscere un'identità di sapere».
Lo scenario post-mediale
La digitalizzazione del sociale ha, di fatto, dato inizio a quella che Ruggero Eugeni definisce
la «condizione postmediale».
Usiamo tranquillamente carte di credito, navigatori satellitari, telefoni cellulari, senza
neppure sospettare la complessità delle strutture e dei processi tecnologici con i quali i nostri
semplici gesti interagiscono. D'altra parte gli stessi dispositivi tecnologici tendono a divenire
piccoli, maneggevoli, portabili: gli schermi televisivi si appiattiscono; i computer vengono
integrati agli stessi schermi che ne visualizzano i dati, oppure si rimpiccioliscono in vari
dispositivi portatili e indossabili (orologi, occhiali, talvolta veri e propri vestiti).
Rapportarsi con i dispositivi post-mediali significa anzitutto «riempirli di senso», ovvero dare
forma al nostro genio creativo. Vuol dire quindi relazionarsi con un pubblico, spesso
differenziato e carico di aspettative nei nostri confronti. Tutto questo avviene in spazi di
connessione permanente che destrutturano l'esperienza tecnologica sempre meno percepita
come difforme da quella sociale, ma a essa sovrapposta e naturale.
Se il nostro rapporto con gli artefatti tecnologici si è sempre giocato nell'ottica di accensione
e spegnimento (accendo e spengo il televisore), di spazi e tempi imposti (devo vedere quel
programma a quell'ora e in quel determinato luogo fisico), oggi si stanno sviluppando
sempre più configurazioni di vita digitale caratterizzate da un'integrazione tra on e off.
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a pagamento) legittimano questo modello decretando il declino (e la futura
scomparsa) dei mass media.
● E anticipano la terza e ultima tappa dell'offerta mediale: il social-casting ossia «la
modalità di trasmissione caratteristica del web sociale e partecipativo, il cui processo
distributivo fa riferimento a una community di persone che decidono in completa
autonomia di aumentare la circolazione di un contenuto grazie alle opportunità di
condivisione rese possibili dalle nuove piattaforme tecnologiche». Con questo tipo di
offerta (tipica del web 2.0) la classica componente tecnologico-trasmissiva si ibrida
con quella socio-relazionale. Sono, infatti, gli individui stessi a decidere in autonomia
le sorti di un contenuto, ampliandone o arginando la circolazione andando a tracciare
un modello «da uno a pochi». Questa autodeterminazione è possibile grazie alle
infinite opportunità di sharing insite nei social media che integrano la dimensione
tecnologica (algoritmica) con una componente simbolica e culturale (umana).
All'interno del complesso universo comunicativo ospitato dalla rete Internet, oltre a contenuti
di tipo verbale, transita una mole gigantesca di materiale: sono filmati di varia natura, dai film
ai trailer, dalle registrazioni ufficiali di eventi (conferenze, lezioni, convention) ai brevi tutorial
amatoriali, dalle inchieste dei telegiornali a brevi frammenti prodotti dagli utenti con il
cellulare, da video originali a materiale di repertorio. Gli utenti della rete sono oggi in grado
di condividere con facilità i video autoprodotti o disponibili sul web: di fatto, il fenomeno del
digital video sharing ha assunto enormi dimensioni, producendo effetti e dinamiche non
● A queste tre tappe se ne sta aggiungendo una quarta caratterizzata dal passaggio
dalla condivisione dei contenuti a un pubblico generalista (come succede sui feed di
Facebook e Instagram) a una condivisione dei contenuti con pubblici sempre più
ristretti attraverso le piattaforme di messaggistica istantanea come WhatsApp o
Telegram. Si tratta di un modello a «uno a pochissimi» tipico dei gruppi di Facebook,
della funzione «amici più stretti» di Instagram o di quella «Circle» di Twitter. Nasce,
quindi, l'era dei social media antisocial abitata da un'utenza giovanile. I più piccoli
vogliono essere se stessi e stabilire amicizie autentiche basate esclusivamente su
interessi condivisi. Desiderano anche privacy, sicurezza e vogliono emanciparsi dalla
moltitudine di persone presenti sulle piattaforme social, che ora includono anche i
loro genitori e i loro nonni.
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Se la produzione tradizionale avveniva (e avviene) sotto l'egida di regole, sanzioni
riconosciute, limiti istituzionali, etica e deontologie professionali, oggi quella digitale riflette la
fragilità di un sistema de-gerarchizzato, aperto, disponibile e usabile intuitivamente.
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Certo, il target di minori era già incorporato in quella fase di monopolio pubblico nelle stesse
mission della RAI, basata su un'offerta che rifletteva il suo spirito di educare, informare e
divertire. Con tali finalità, la tv di servizio pubblico italiana si propose come un ponte per
dialogare con le famiglie, diffondendo diversivi e informazione, senza trascurare gli interessi
dei più piccoli, anzi riservando loro un'attenzione di tipo strategico, in quanto sollecitava
l'approvazione dei genitori, che ne condividevano i contenuti.
La caratteristica della programmazione RAI di quegli anni era l'erogazione di programmi
calibrati per fasce d'età e per sesso disponendo di un palinsesto dedicato ai minori,
prevedendo appuntamenti settimanali, suddivisi in tre grandi blocchi:
● Programmi a contenuto divulgativo-didattico,
● Programmi che proponevano fiabe, spettacoli di burattini e marionette,
● Il blocco formato da telefilm e cartoni animati importati dall'estero, nonché
documentari rivolti sia ai bambini sia alle bambine.
Il nuovo quadro trasmissivo avviato nella seconda metà degli anni Settanta, vedeva le
emittenti private iniziare a programmare animate sia da interessi politici che commerciali e
l'esigenza di procurarsi nuovo pubblico portò all'individuazione di spazi liberi pomeridiani da
dedicare, interamente, all'intrattenimento del pubblico dei più giovani. Iniziò, così, una
disputa concorrenziale che vide la RAI reagire con un mutamento dei palinsesti, guidata
dalla consapevolezza che fosse proprio il pubblico dei più giovani la leva su cui investire.
Fu così che, negli anni successivi, la RAI, nell'ottica di avvicinare i più giovani alle sue
programmazioni, avviò una politica di attenzione al target anche tramite degli studi e
sondaggi aventi a oggetto i loro gusti e preferenze.
21
Siamo in piena seconda fase di sviluppo della tv per ragazzi in Italia che, oltre alla nascita di
programmi-contenitore a copertura strategica di interi blocchi di palinsesto, la accredita
quale importante spazio di programmazione, rilevante anche sul piano
commerciale/pubblicitario.
Questo percorso andò avanti fino ai primi anni del secondo millennio, vero spartiacque nella
storia italiana della programmazione dedicata ai minori.
22
3. L'obbligo di programmazione in determinate fasce orarie;
4. L'obbligo di produzione di contenuti per i minori nei confronti delle emittenti
commerciali, spesso come condizione del rilascio delle licenze;
5. Finanziamenti pubblici, diretti o indiretti, a questo tipo di
programmazione/produzione.
Relativamente ai primi due modelli, essi si traducono nell'imporre alle emittenti pubbliche di
garantire la diffusione di tali programmi. Pertanto, le emittenti a finanziamento pubblico o le
cui maggiori risorse derivino da fonti pubbliche, giocano un ruolo importante nel panorama
dell'offerta.
Il terzo e il quarto modello prevedono quote minime di programmazione o produzione di tali
contenuti. Si fa riferimento alle quote minime necessarie per mantenere l’offerta per i
bambini, ed è rivolta alle principali emittenti commerciali che sono esposte al rischio di
perdita della licenza. Per quanto riguarda l'uso delle «quote minime di programmazione e
produzione» di televisione per bambini, esso è diverso da un Paese all'altro. Per esempio in
Francia, gli obblighi che si applicano al principale canale commerciale generalista, TF1, lo
vedono tenuto a trasmettere una quota annua di programmi per minori, di cui una parte deve
essere dedicata ai documentari e di investire una percentuale pari al 20% del budget in
animazione. In Germania invece non sono stabilite quote specifiche per la televisione dei
bambini, mentre negli USA esiste l'obbligo di messa in onda tre ore a settimana di
programmi per bambini, per evitare che l'educazione dei minori e le esigenze informative
dipendano dalla discrezionalità dei singoli conduttori o autori delle trasmissioni.
Oltre all'obbligo di offerta minima, in alcuni Paesi è previsto anche il sostegno economico da
parte del governo nazionale o regionale che si concretizza nel finanziamento diretto di
programmi per bambini e/o in benefici fiscali.
Le diverse analisi sul tema confermano che tutti i Paesi presi in considerazione reputano la
televisione per bambini e ragazzi un compito imprescindibile del servizio pubblico.
Per quanto riguarda il quinto modello, i finanziamenti, erogati sia direttamente sia tramite
agevolazioni fiscali, sono utilizzati in molti mercati anche come un modo per sostenere la
produzione di programmi che riflettono prospettive nazionali o locali e come misura di
sostegno industriale a tale settore, integrando delle finalità di politica sociale.
23
in questi ultimi due è dovuta alla competizione delle piattaforme satellitari e IPTV,
storicamente rilevanti in questi Paesi (Confindustria Radio Televisioni 2016).
Quanti sono, all'interno di tale sempre più ampia offerta i canali dedicati ai bambini e ragazzi,
lo si può osservare attraverso i dati dell'Osservatorio Europeo sull'Audiovisivo. Si distingue il
caso del Regno Unito, che trasmette il 40% del totale della programmazione europea per
minori, mentre l'Italia copre il 5% dei canali.
Relativamente ai generi di programmazione, sul fronte della DTT free to air (che trasmette
programmi gratuiti) ampio spazio è ancora dedicato al modello generalista (38%),
all'intrattenimento e alla fiction, genere che domina anche nel modello pay insieme allo sport
e ai documentari (18%).
In Europa, dunque, l'offerta free riservata alla tv per minori è pari al 4% sul totale delle
trasmissioni.
Diversa invece la situazione dell'offerta pay, che vede ben 11% del totale dei canali europei
dedicato alla platea dei bambini e dei ragazzi, chiara testimonianza dell'attrattività business
dei contenuti rivolti ai più piccoli.
Ancora diverso è il quadro dell'offerta di canali per bambini e ragazzi accessibile via satellite
che comprende anche l'offerta extra-europea, come, per esempio, programmi trasmessi dal
Bahrain, Iran, Egitto, Mondo Arabo e Hong Kong che approdano nelle case europee anche
sotto forma di contenuti per minori. A questi si aggiungono le reti nazionali norvegesi,
romene, russe, serbe, albanesi e turche che realizzano, tramite il satellite, una discreta
diffusione di programmi per bambini e ancora la ricca offerta di trasmissioni provenienti da
operatori statunitensi. Nella maggior parte dei Paesi europei l'offerta è in sintonia con il
sistema televisivo nazionale.
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Il cinema, quindi, ridefinisce lo sguardo umano che, da attività naturale tipica del singolo,
diventa pratica di massa poiché riproducibile su vasta scala e raggiungibile
contemporaneamente da un grandissimo numero di persone. Nello stesso tempo, allarga le
possibilità di sognare e le aspirazioni delle esistenze individuali.
Possiamo, cioè, vivere catarticamente porzioni di altre vite attraverso l'identificazione con i
protagonisti delle storie e con le vicende narrate.
Quella con la (tele)visione resta una relazione verticale, gestita dall'alto, ovvero da chi
possiede i mezzi di produzione e di distribuzione e, in un certo senso, «subita» da chi e in
basso, una sorta di proletariato mediale che ha da offrire soltanto la propria «forza visiva e di
consumo». Gli spettatori sono sempre in una posizione subalterna che non può essere mai
ribaltata, ma solo interrotta spegnendo l’apparecchio televisivo. Con l'avvento del digitale si
concretizzerà una sorta di lotta di classe: ovvero la spettatorialità audiovisiva sarà investita
da una rivoluzione inimmaginabile.
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più settori dell'industria dei media e della migrazione del pubblico alla ricerca continua di
intrattenimento.
Alla luce di questa metamorfosi, anche consumare un contenuto prodotto dai media diventa
un'esperienza complessa, plurale, ibrida e che va al di là dei comportamenti sociali
consolidati da più di mezzo secolo di offerta televisiva.
All'avvento di Internet e dei media digitali investe le due principali dimensioni della visione: il
tempo e lo spazio:
1. Se ci chiedessero, per esempio, quando guardiamo la televisione (in senso
tradizionale e lineare) saremmo pronti e precisi nel rispondere “la mattina, durante la
colazione, oppure in tarda serata dopo aver cenato”. Diversamente, fatichiamo a
ricordare il momento esatto in cui abbiamo visualizzato un video postato da un nostro
amico su una piattaforma social.
2. Se provassimo a chiedere a qualcuno dove guarda la tv, probabilmente
risponderebbe con precisione: “seduto sul divano, intorno a una tavola imbandita o
steso sul letto”. Potrebbe, altresì, rispondere che si trovava in una stanza specifica
indicando le caratteristiche (es. il colore delle pareti). Di contro, se gli domandassero
dove vedi il video caricato su YouTube, la risposta più probabile sarebbe “ovunque”.
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palinsesti tradizionali, consentendo loro di accedere ai contenuti preferiti secondo la logica
«anytime, anyhow, anywhere».
Le quattro tappe della spettatorialità. Negli ultimi due secoli, grazie alla diffusione delle
tecnologie della comunicazione, il vedere è diventato una dimensione propria della
conoscenza. La nostra è “una cultura dell'occhio”, perché in essa il congegno della visione
costituisce l'asse intorno al quale si organizza sia l'attività cognitiva dei soggetti (io so,
perché vedo), e sia la loro vita relazionale (io interagisco, perché vedo).
La storia dell'umanità è da sempre legata al vedere, considerato sin dalle origini un atto
necessario alla conservazione e allo sviluppo della vita stessa. Tuttavia, la meraviglia di
fronte alla varietà e alla bellezza del mondo trasforma una semplice e meccanica attitudine
in un'esperienza molto più ricca e profonda. È questa la trasformazione dell'homo videns
(l'individuo che vede meccanicamente per sopravvivere) in homo spectator, un soggetto il
cui vedere è come una chiave di accesso a una dimensione ulteriore rispetto alla cura
quotidiana. Si parla di «spettatore originario», il cui vedere supera la semplice percezione
per trasformarsi in un'esperienza coinvolgente: lo spettatore, quindi, si evolve aggiungendo
alla competenza ricettiva passiva, l'interazione con immagini, simboli e significati capaci di
dare senso all’esistenza.
L'invenzione della fotografia e del cinema favoriscono la «parabola evolutiva» dello
spettatore che può proiettare il suo sguardo nei diversi dispositivi ottici, dando spazio a nuovi
significati del vedere mediale e inaugurando la seconda tappa della spettatorialità: lo
«spettatore mediale».
I media moderni diventano il palcoscenico sul quale è possibile sia rivivere la propria storia
(es. fotografia, filmini amatoriali), sia interiorizzare e prendere parte delle realtà e delle
memorie prodotte dalla cultura di massa. Data la sua capacità di riprodurre la realtà
continuamente e perfettamente, l'immagine mediale ricrea il mondo e la dimensione della
conoscenza si dota di strumenti tecnologici capaci di far giungere lo sguardo laddove finora
non era arrivato. Tuttavia, pur in un contesto di potenziamento estremo delle sue facoltà, lo
spettatore mediale vive il limite del framing: la realtà delle immagini mediali è sempre
inquadrata, delimitata dai bordi dell'inquadratura, definita da una prospettiva, sempre
orientata da un punto di vista.
Lo spettatore mediale, in definitiva, dipende sempre da scelte altrui, nonostante assuma
sempre più consapevolezza e capacità di lettura dei contenuti. Diventa cioè un consumatore
sempre più consapevole, seppur limitato esclusivamente alla fruizione.
Queste limitazioni termineranno con la successiva configurazione della spettatorialità (la
terza fase) che possiamo definire «spettatore post-mediale»: associare concetto di
post-medialità allo spettatore significa contestualizzarlo all'interno delle piccole e grandi
narrazioni sociali che circolano nell'età del digitale e dei social network.
Il mondo dello spettatore post-mediale si definisce soprattutto per due elementi:
1. Si colloca in una realtà tecnologica nella quale i dispositivi tradizionali sono in fase di
dissoluzione o inglobati e integrati nelle tecnologie digitali, mobili e altamente
personalizzabili;
2. Egli ha a che fare con tipi di visione che implicano non soltanto prassi consumistiche,
ma soprattutto produttive e riproduttive (quindi relative all'offerta).
Per questo motivo può anche essere definito spettAutore, ovvero un soggetto dotato di
«funzione autore»: di lui non contano più tanto le caratteristiche individuali, psicologiche,
biografiche, ma soltanto la sua funzione cioè i suoi atti, le sue scelte buone o cattive che
siano. Per questo lo “spettAutore post-mediale” si trova investito di grandi responsabilità che
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non sempre è in grado di prendersi: egli è definibile più come un centro di attività piuttosto
che come il possessore dello sguardo consapevole.
È per questo che l’idea di “spettatore post-mediale” necessita di un'ulteriore evoluzione che
riconosca un’identità spettatoriale in grado di capire l’impatto e le conseguenze dei suoi atti.
Parliamo questo proposito di «spettAttore» (la quarta l’ultima fase), ovvero di un agente
sociale che incide nel web inteso come uno scenario comunicativo e relazionale.
Lo spettAtore si muove in un orizzonte onlife, incide sul contesto in cui gravita, rispetta il
prossimo, ha capacità giuridica ovvero è titolare di diritti e di doveri, partecipa, sa
relazionarsi. In una sola espressione: è un individuo socializzato che ha interiorizzato
l'inconsistenza concettuale della dicotomia on/off e percepisce l'online come un pezzo
indistinto e naturale della sua esistenza tout court. Pertanto, le «sue azioni “digitali” hanno lo
stesso impatto - o forse anche maggiore - delle sue azioni “fisiche”, andando a determinare
positivamente le dinamiche storiche della società e della cultura. Lo spett-attore si
caratterizza così per il contributo attivo che è in grado di dare nello sviluppo della società».
Lo spett-attore è, dunque, un cittadino che rispetta le leggi, gestisce l'affettività e usa
l'empatia, esattamente nello stesso modo in cui è stato abituato ed educato a fare prima
dell'avvento delle tecnologie digitali.
Questa educazione alle virtù è ancora più necessaria in coloro che ancora non sono cittadini
compiuti e per cui il processo di socializzazione è ancora in itinere: i bambini e gli
adolescenti.
Honey, We Lost the Kids. Premesse per un'analisi critica del rapporto tra bambini e
tecnologie comunicative
Un impegno che guarda alla co-responsabilizzazione dei singoli attori coinvolti nei processi
di produzione e fruizione mediale, non può prescindere da una riflessione sugli effetti
dell'esposizione ai testi comunicativi da parte delle fasce più deboli, in particolare dei minori:
possiamo distinguere l'influenza nociva della televisione sulla mente di un bambino e sul
forte condizionamento dell'intera vita di una persona esposta alla fruizione tv durante
l'infanzia:
«Sophie, 2 anni, guarda la tv 1 ora al giorno. Questo duplica le sue chance di avere disturbi
di attenzione quando sarà grande.
Lubin, 3 anni, guarda la tv 2 ore al giorno, triplicando così le sue possibilità di diventare in
sovrappeso.
Kevin, 4 anni, guarda programmi per ragazzi violenti come Dragon Ball Z. Questo
quadruplica la sua possibilità di avere dei disturbi di comportamento quando inizierà la
scuola elementare».
Tale punto di vista estremo trova riscontro sia nelle analisi neurologiche e pediatriche,
interessate soprattutto al medium, a prescindere dal contenuto, sia in una certa letteratura
mediologica, improntata sull'incidenza della tv nella diffusione dei fenomeni come la
violenza, le paure, le insicurezze a vari livelli.
Il dibattito, iniziato già negli anni Cinquanta, rimane ancora aperto e pieno di contraddizioni.
Per contestualizzare la portata del fenomeno, riportiamo un ulteriore riferimento che
documenta che i bambini tra i 0-4 anni trascorrono in media davanti alla TV circa 3-4 ore al
giorno, spendendo così il 30-40% del totale del tempo di veglia. Lo studio arriva alla
conclusione che, almeno fino ai 2 anni, un bambino non dovrebbe essere esposto
assolutamente alla tv. Nei primi due anni di esistenza, il cervello triplica la sua dimensione,
da una media di 333 grammi a 1 kg. L'aumento delle dimensioni è direttamente correlato alla
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stimolazione esterna e alle prime esperienze di vita. Le immagini luminose in rapida
successione stancano il cervello dei figli, agitandoli e generando disagi, conclude il
ricercatore.
Tra i risultati dello studio, vengono riportate alcune considerazioni:
1. I programmi televisivi, persino quelli cosiddetti educativi, generano problemi di
sviluppo e ritardo nell’apprendimento dei linguaggi. Il telespettatore-bambino guarda,
ascolta, ma non interagisce con altri oratori, non parla, inibendo o ritardando le
proprie capacità espressive;
2. I bambini in età scolare che hanno guardato spesso programmi televisivi nei primi
due o tre anni di vita hanno performance più deboli nei test di memoria e lettura,
dimostrando anche una più scarsa attenzione e capacità di concentrazione. La
lettura richiede uno sforzo maggiore, un impegno di immaginazione, implica una
concentrazione superiore rispetto alla semplice visione di immagini. Pertanto, ad
esempio, un bambino di 14 mesi può imitare quello che vede in un film, ma
imparerebbe molto di più da una vera e propria esperienza.
Siamo, dunque, in un territorio controverso, che riversa sulla tv le responsabilità di
generazioni con problemi di sviluppo intellettuale, risultati scolastici insoddisfacenti, problemi
di linguaggio, di attenzione, di immaginazione e creatività. Dal punto di vista di questi studi,
sono da mettere sul conto di una scorretta dieta televisiva -somministrata in età precoce- la
violenza, l'alcolismo, disturbi sessuali, comportamenti alimentari sbagliati, obesità e persino
le aspettative di vita.
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Spostando lo sguardo verso la moltitudine di schermi fioriti nel prato digitale, è opportuno
riprendere una ricerca realizzata dall'Accademia delle Scienze francese nel 2013: frutto della
riflessione multidisciplinare di psicologi specialisti per l'infanzia, psichiatri, neuro scienziati,
comunicatori, il rapporto cerca di far luce su una serie di convinzioni, alcune vere e altre
false, e sui cosiddetti “neuro-miti” costruiti intorno all’esposizione massiccia di bambini e
adolescenti davanti agli schermi di qualsiasi tipo.
Mentre tablet, computer e altri schermi vengono presentati come “facilitatori” dello sviluppo
psico-fisico e sociale dei bambini, l'unica incolpata è l'eccessiva televisione senza
«accompagnamento» dei genitori.
È indiscutibile che in questo periodo i bambini siano esposti a vari schermi sempre più
precocemente, anche molto prima del compimento del primo anno d'età. Una varietà di
prodotti, programmi, canali tematici e applicazioni è destinata a questo pubblico.
Sondaggi collegati alle strategie di marketing attorno a questi prodotti tendono a enfatizzare
l'influenza benefica degli schermi sullo sviluppo dell'intelligenza dei bambini e
sull'apprendimento della lingua. D'altra parte, alcuni studi dimostrano che gli stessi schermi
possono provocare un ritardo nello sviluppo delle competenze linguistiche, mentre il modo
migliore per promuovere lo sviluppo del linguaggio nel bambino sia piuttosto l'interazione
con e tra gli esseri umani, raccontando storie e giocando con i propri figli.
Una prima dimensione che restituirebbe al nuovo ambiente digitale una sua funzione
positiva nello sviluppo del bambino, secondo il Rapporto dell'Accademia delle Scienze
francese, è quella esperienziale: mentre nella socializzazione tradizionale l'esperienza del
bambino era limitata al rapporto con l'ambiente familiare di riferimento e con lo spazio fisico
della casa, il nuovo contesto multimediale permette allo stesso di esperire quanto sarebbe
per lui difficile affrontare nello spazio limitato che frequenta. Colori, parole, suoni, volti,
movimenti entrano a far parte e a integrare il suo patrimonio conoscitivo, incentivando in
alcuni casi la sua reattività e capacità di apprendimento e adattamento rispetto a nuove
situazioni.
I supporti visuali e tattili potrebbero generare empowerment, soprattutto quando vengono
introdotti dai genitori, dai nonni o dai bambini più grandi della famiglia, trasformando così il
mondo che passa per gli schermi in quella realtà più affine all'intelligenza dei bambini tra 0 e
2 anni. Di conseguenza, nella costruzione del pensiero simbolico, tra i 2 e i 6 anni, i bambini
devono, per la prima volta, imparare a sperimentare l'alternanza tra il reale e il virtuale (il
verosimile), soprattutto nell'attività di gioco, che inizia nella vita reale, con le bambole e le
persone del suo entourage per poi trasferirsi nelle attività di gioco che vedono la mediazione
degli schermi di qualsiasi tipo.
Tuttavia, quest'età è anche quella in cui, con una certa facilità e spontaneità, il bambino si
può rifugiare e persino nascondere nel mondo degli schermi, dove l'attività specifica
dell'infanzia -il gioco- potrebbe sfuggire agli occhi e alla sensibilità degli adulti. È proprio per
questo che s'impone non il divieto di frequentazione delle tecnologie, ma una pratica
moderata e autoregolata.
Quello che non dobbiamo perdere di vista -concordando con il rapporto elaborato
dall’Accademia delle Scienze francese- è che accanto a un necessario accompagnamento
da parte degli adulti nel mondo degli schermi, i bambini hanno bisogno di un ambiente
formativo istituzionale consapevole delle opportunità e dei limiti delle tecnologie
comunicative.
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Non solo palinsesti per bambini e ragazzi. Il caso Covid-19, la «globalizzazione della
solidarietà» e la nuova avanzata dei minori nei canali generalisti
Una volta esplorate le offerte mediali dedicate all'infanzia e all'adolescenza e i principali
trend nei rapporti con le opportunità digitali, emerge l'esigenza di addentrarsi ulteriormente
nella complessità del rapporto minori/testi mediali, con la consapevolezza che i consumi di
queste fasce di età non possano essere assolutamente ricondotti alla sola programmazione
dei canali appositamente progettati
Risulta, pertanto, opportuno iniziare dall'immersione nel «laboratorio dell’audiovisivo», a
partire dalla restituzione di una foto di gruppo del mondo che cambia anche sotto il peso
dell'emergenza pandemica che ci siamo solo in parte lasciati alle spalle.
La televisione sta cambiando irrevocabilmente: alcuni annunciano con gioia la sua morte,
altri sono meno ottimisti, ma insistono sul fatto che la televisione sta cambiando
radicalmente sotto i nostri occhi. I cambiamenti: siamo di fronte all'offerta più ampia di
contenuti per minori di sempre.
Si possono elencare 8 canali free-tv, 15 canali pay-tv, circa 10 App dedicate, l'offerta di video
on demand di Netflix, Amazon, Timvision, Disney+, Warner, la prateria illimitata di YouTube, i
contenuti sui social network sites e i giochi online.
Tuttavia, a partire dalla fine di febbraio 2020 -periodo della pandemia-, si osserva una
tendenza sorprendente tra i pubblici di bambini e ragazzi. Sembravano ormai persi per la
televisione tradizionale quando la paura, il lockdown, la condivisione degli spazi vitali con gli
altri familiari e il bisogno di informazione certificata, li hanno riportati nuovamente e ancor più
numerosi del passato davanti agli schermi televisivi.
I dati di ascolto fanno emergere un riavvicinamento delle platee di bambini e ragazzi alle
televisioni generaliste, con picchi di incremento percentuale dell'ascolto medio delle sette reti
tradizionali italiane nei mesi di marzo/maggio 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 che
sfiorano il 54% sulla fascia 4-14 anni.
Osservando quello che accade nelle dinamiche della fruizione dei telegiornali nazionali, si
può evidenziare che tutte le principali edizioni dei Tg delle 7 generaliste italiane vedono un
incremento dei propri pubblici, con una sorprendente crescita sui giovani e persino sui
bambini. La vera sorpresa arriva dalla lettura dei valori assoluti, che restituiscono una platea
di minori e giovani under 25 anni più che raddoppiata nel 2020 rispetto al 2019:
● 105.000 contro 53.000 sulla fascia 4-14 anni;
● 62.000 nel 2020 contro i 29.000 del 2019 per la fascia 15-19;
● Una media di 86.000 contro i 39.000 del 2019 per i soggetti tra i 20 e i 24 anni.
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Pertanto, in questi tempi fuori dal comune, sarebbe opportuno rinunciare ai ritorni di
audience e di click, per favorire un'ecologia sociale e mediale, favorevole allo sviluppo dei
bambini e dei ragazzi, ma anche alla rinascita della società nel suo insieme.
Siamo di fronte a scenari che si complessificano ulteriormente con l'ampliamento dell'offerta
lineare e nonlineare: una grande opportunità per media players e pubblici, ma anche una
fonte di nuove vulnerabilità e sovraesposizione a un nuovo spettro di rischi, rispetto ai quali i
bambini potrebbero essere più fragili degli adulti (contenuti nocivi, questioni di sicurezza
digitale e protezione dei dati e privacy precaria).
Genitori, scuole, psicologi, pedagogisti sono chiamati a stringere un’alleanza strategica con
il comparto dei media, per individuare la via della conciliazione tra le caratteristiche e i
fabbisogni formativi, emotivi, relazionali e di empowerment dei minori e le logiche e i
linguaggi narrativi dell’audiovisivo e dei media nella loro complessità.
La qualità del futuro passa anche per la qualità dei testi televisivi, radiofonici, multimediali
che bambini e ragazzi assimilano e traducono in universi simbolici, aspirazioni, progetti di
vita e di società.
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Inoltre, per le varie fasce di età considerate, non sono i canali tematici dedicati a registrare le
maggiori performance di audience, ma i canali generalisti come Canale 5, Italia 1, RAI 1:
1. Canale 5 risulta nel 2016 il canale più seguito nel prime time televisivo sia sul target
4-7 anni sia sul target 8-13 anni e 14-17 anni, seguito sempre da RAI 1.
2. Canale 5 si attesta, inoltre, come il canale preferito dai minori tra 8 e 17 anni anche
nel preserale e nella fascia protetta.
Questi dati si confermano anche a distanza di anni. Analizzando una settimana tipo (2-8
aprile 2023) possiamo osservare che, nonostante i tanti canali dedicati al target dei bambini
e dei ragazzi, i minori si trovano coinvolti maggiormente nel mainstream televisivo e, in
particolare, nei network dedicati alle famiglie, come Canale 5 e RAI 1.
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Nell'universo online un bambino/adolescente può, infatti, essere e fare ciò che desidera,
grazie alle libertà, intuitività e disponibilità, semplicità offerte dai device e dalle piattaforme
nelle quali ormai concretizziamo buona parte delle scelte, relazioni, conoscenze. Se l'essere
digitali può apparire scontato (soprattutto per un utente giovane), ciò che non lo è sono le
conseguenze delle sue azioni.
Come tutti gli spazi di vita, anche quelli digitali possono essere generatori di devianze
diversificate. Si tratta spesso di atti che possiamo classificare secondo tre macro categorie:
1. Media diseasing e disturbi psicologici e psichiatrici;
2. Devianze generiche legate a disturbi di personalità come asocialità, isolamenti,
disadattamenti o distorsioni legate alla percezione del proprio corpo e all'affettività e
sessualità;
3. Reati riconosciuti dalla giurisprudenza (hate speech, pedopornografia online,
revenge porn, cyberbullismo).
Si tratta di pratiche nella maggior parte dei casi borderline, cioè al confine tra la malattia o il
reato, vere e proprie condizioni di pseudo-normalità con manifestazioni devianti.
Può succedere, infatti, che una devianza generica (es. visualizzare continuamente contenuti
online) diventi una patologia generando ansia, stress, panico e depressione. Le ludopatie
(Internet Gaming Disorder) rientrano in entrambe le tipologie essendo considerate da un
lato, disordini compulsivi che possono tradursi in menomazioni cliniche come i sintomi da
astinenza; dall'altro, azioni devianti perché si configurano come processi che incidono sulla
socialità dell'individuo ludopatico, compromettendone le dinamiche relazionali, familiari,
scolastiche, lavorative a causa della quantità di tempo e di energie personali spese
giocando.
Una particolare attenzione riguarda le nuove generazioni perché, a differenza degli adulti, le
possibili ricadute sulla psiche e sulla socialità corrono parallelamente a uno sviluppo
individuale ancora in itinere e possono generare vere e proprie «malattie digitali». Esse
variano in base alle abitudini di utilizzo di Internet degli individui che nei minori è piuttosto
accentuato sia da un punto di vista quantitativo (il tempo vissuto online) sia qualitativo (le
modalità con cui quel tempo è vissuto).
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2. Quelli legati all'isolamento e alla dipendenza (hikikomori, vamping): questi
riguardano anche fenomeni associabili alla vita online come quello degli hikikomori e
del vamping. Il primo è un sostantivo giapponese che rimanda all'azione di staccarsi
dal mondo e rifugiarsi in un luogo percepito come sicuro che è spesso la stanza
dell'abitazione familiare. Nella propria famiglia, infatti, l'hikikomori “non è mai rifiutato,
può provare vergogna senza essere biasimato, la sua rabbia è consentita e persino
la violenza è accettata". Il secondo (vamping) si ispira alle abitudini dei vampiri che
vivono la notte. L'identikit del vamper è, infatti, un adolescente che, durante le ore
notturne, invece di dormire, usa dispositivi connessi al web, presumibilmente perché
si sente libero dagli sguardi indiscreti dei familiari. Questa pratica non intacca
soltanto la questione dell'abuso e della dipendenza da Internet, ma riguarda quelli
che in medicina vengono definiti «disturbi del sonno»: l'uso notturno di device digitali
viene annoverato tra le cause della diminuzione delle ore di sonno nei ragazzi tra i 15
e i 17 anni insieme alla televisione, ai videogiochi e a bevande contenenti caffeina.
3. Quelli legati a disturbi alimentari e alla percezione del proprio corpo (Pro-Ana e
Pro-Mia): oltre al sonno, un altro disturbo mappabile riguarda l'alimentazione.
Pro-Ana (anoressia) e Pro-Mia (bulimia) indicano spazi online dove si promuovono
comportamenti come diete e allenamenti estremi finalizzati a ottenere corpi magri e
tonici. Al di là delle possibili conseguenze in termini di salute e delle implicazioni
giuridiche relative a coloro che propongono illegalmente queste pratiche, il dato più
significativo riguarda i modelli del corpo proposti online. È sempre più evidente,
infatti, scrollando i profili su social network come Instagram e TikTok, che l'archetipo
contemporaneo sia quello «fitness»: un corpo scolpito, definito da ore di palestra o di
allenamenti casalinghi e da una alimentazione sana, biologica, attenta a bilanciare
calorie e materie prime. Sono sempre di più i «content creator digitali» che
«propongono sul mercato brand o temi di cui sono testimonial» e seguirli implica un
processo di fidelizzazione tipico delle logiche di marketing, ma può degenerare
anche in derive comportamentali, quali la frustrazione o degenerazioni dell’anoressia
o bulimia. Pro-Ana e Pro-Mia offrono lo spunto per riflettere su dinamiche tipiche
della Rete che hanno un’incidenza sul corpo degli utenti: essere corpo nella Rete
significa decorpprozzarsi e, nello stesso tempo, incorporare in essa sé stessi, il
proprio aspetto fisico, gli atti personali, i propri volti ed emozioni. Il web, quindi,
esclude il corpo materiale, ma non la sua socialità, i dettagli della sua immagine, i
simboli a cui rimanda.
4. Quelli legati all'alterazione dell'identità (identità multiple o false): fa riferimento a
una configurazione identitaria non integrata e coerente, ma al contrario mascherata,
alterata, sfaldata rispetto alle sue componenti tradizionali di autenticità. È il caso
delle false identità in Rete, che se da un lato rappresentano un reato (furto d'identità),
dall'altro riflettono la distonia tra un sé reale magari poco o per nulla accettato e un
sé ideale. Questo «falso Sé» rimanda al concetto elaborato dallo psicoanalista
infantile Winnicott secondo cui mentre il vero Sé comunica un senso di esistenza
radicato nel corpo e permette all'individuo di sentirsi autentico e creativo, di provare e
trasmettere gioia e piacere, il falsò Sé si svilupperebbe durante l'infanzia come una
struttura difensiva che ha il compito di proteggere il vero Sé dall'aspettativa di eventi
relazionali traumatici. Winnicott lo definiva un vero e proprio «indicatore della salute
mentale», sottolineando l'importanza dei cosiddetti «oggetti transazionali» (es. il
ciuccio) spesso usati dai bambini come dispositivi per calmarsi o addormentarsi e per
simulare una presenza che non percepiscono e sostituiscono, per esempio, con un
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orsetto di peluche a cui dedicano attenzione. In questa logica, lo smartphone
rappresenterebbe un superamento del dispositivo transazionale e diventerebbe un
dispositivo esclusivamente «autistico e narcisistico perché con esso intratteniamo
una relazione narcisistica che ci porta alla solitudine, poiché manca la presenza
dell'altro». Ma potrebbe essere anche una transazione quando, attraverso esso,
appaghiamo mancanze personali. Succede appunto quando ci fingiamo qualcun altro
attraverso la creazione di account fake. Questo ego fantoccio, al di là delle
ripercussioni giuridiche derivate da intenzioni fraudolente (truffe o adescamenti),
acquisisce una dimensione patologica quando tocca la sfera dei sentimenti come
l'amore, il desiderio di vendetta o di punizione. Nel vocabolario della Rete questa
pratica si definisce “catfish”.
5. Quelli legati alla dimensione sessuale o affettiva (ghosting, sexting, sex
addiction): riguarda patologie che implicano disturbi legati alla dimensione affettiva o
sessuale. Anche in questo caso risulta difficile tracciare confini definiti perché tali
pratiche possono scadere nell’atto criminale (es. pedopornografia o il revenge porn),
ecc. È il caso del ghosting, una pratica derivante dal dating online e caratterizzata
dall’interruzione improvvisa di una relazione attraverso il silenzio o la spartizione di
uno dei due partner. Uno studio del 2021 associa il ghosting alla cosiddetta “triade
oscura della personalità” formata da narcisismo, machiavellismo e psicopatia, ossia
comportamenti messi in pratica da soggetti caratterizzati da crudeltà, insensibilità,
assenza di empatia e rimorsi. Nella cornice dei «contro digitali» rientrano alcune
pratiche legate a una distorsione della sessualità come la dipendenza da contenuti
pornografici o il cosiddetto cybersex caratterizzato dalla pratica del sexting, ossia
l'azione di inviare messaggi erotici, che possono includere anche foto e video di nudo
o che ritraggono la persona in atteggiamenti sessualmente espliciti. Malgrado questo
comportamento possa riguardare indifferentemente sia minori sia adulti, diverse
ricerche evidenziano come a essere maggiormente coinvolti siano i giovani
adolescenti. In uno studio italiano del 2016 è stato somministrato il Sexting
Motivations Questionnaire con l'obiettivo di valutare tre principali motivazioni del
sexting (flirtare e aumentare l'intimità); strumentali/aggravate (ottenere denaro o
favori); di rinforzo dell'immagine corporea (verificare se si viene reputati attraenti). Da
una ricerca, emerge che le due motivazione principali sono la prima e la terza: «il
sexting è una sorta di pratica sperimentale e i giovani decidono di praticarla sia per
iniziare e migliorare l'attività sessuale, sia per esplorare la rappresentazione del sé,
l'immagine del proprio corpo e la propria identità»
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agli albori di Internet i crimini venivano commessi perlopiù in ambito finanziario (es. frodi
informatiche), oggi i reati digitali sono aumentati esponenzialmente e includono una gamma
estesa di attività criminali. Questa estensione allaga di fatto il significato del concetto di
cybercrimine, ossia di un atto delittuoso che ha utilizzato il computer come arma per
nuocere. Esempi di cybercrimine sono gli attacchi hacker, lo spionaggio, la pirateria
informatica, il fuori di informazioni sensibili, le truffe, il gioco d’azzardo online.
Si tratta di reati commessi solitamente da criminali che hanno competenze tecniche
altamente qualificate e che, per questo motivo, sono combattuti con strumenti altrettanto
avanzati tecnologicamente.
Esempi sono le attività di cyber security previste dalle organizzazioni o gli antivirus, installati
sulla maggior parte dei dispositivi pedonali. A queste si aggiungono attività di prevenzione,
monitoraggio e sanzione effettuate da appositi organismi istituzionali come la Polizia Postale
o il Nucleo Speciale Tutela Privacy e le Frodi tecnologiche della Guardia di Finanza.
Se volessimo però legare le devianze criminali all'universo dei minori dovremmo andare oltre
la sfera meramente informatica e riposizionarle in un alveo comportamentale che esiste a
prescindere dalle tecnologie. Si tratta, infatti, di comportamenti che non necessitano di
particolari abilità tecniche, ma sono consentite dal semplice accesso alla Rete. Se ne
individuano, a questo proposito, tre macro tipologie:
1. Minacce, calunnie denigrazioni (hate speech e cyberbullismo): il fenomeno
dell'hate speech è un esempio di questa non evidente correlazione con la Rete.
Esso, infatti, si qualifica come indicatore di: “tendenze che non interessano solo la
contemporaneità, non sono appannaggio esclusivo dei linguaggi giovanili ed è
riduttivo correlare sic et simpliciter alla crescente diffusione dei social media. È una
violenza condivisa sia nel mondo reale sia nella rete, ma che nell'online genera rischi
cui vanno incontro soprattutto gli utenti non consapevoli della portata virale che le
parole assumono sul web”. Numerose sono le ricerche sui discorsi di odio, tutte
orientate a confermare uno degli effetti nefasti della comunicazione digitale: la
polarizzazione, ovvero la crescente segregazione degli utenti (facilitata dalla rapidità
della circolazione dei contenuti online) in fazioni contrapposte. Secondo uno studio,
la pandemia ha generato rinnovate forme di intolleranza decretando un aumento del
40% dei discorsi di odio rispetto al periodo precedente all'emergenza Covid. Si tratta
di un odio che «che colpisce in modo trasversale: sessista, omobi-transfobico,
razzista e xenofobo, islamofobo, antisemita, antiziganista, classista. E che aumenta il
rischio di esclusione e di discriminazione di chi è più vulnerabile» come i bambini e
gli adolescenti. Che sono spesso vittime di un altro atto criminale, ossia di
cyberbullismo, un'urgenza sociale così rilevante da diventare non solo oggetto di
analisi, prevenzione e soluzione, ma di regolazione giurisprudenziale. È del 2017 la
legge «Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto al fenomeno
del cyberbullismo» che, per la prima volta, traccia i contorni del fenomeno e ne
affronta le conseguenze, con l'obiettivo di sensibilizzare i più giovani a prendere
consapevolezza dell'importanza di non assumere atteggiamenti aggressivi e
persecutori.
2. Diffusione online di contenuti di natura sessuale (revenge porn): in Italia esiste
anche una norma che stabilisce il reato di revenge porn, ovvero di diffusione di
contenuti di natura sessuale senza il consenso dell'interessato. Si tratta della legge
n.69 del 2019 conosciuta come «Codice rosso», che stabilisce che «chiunque, dopo
averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o
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video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il
consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e
con la multa da euro 5.000 a euro 15.000».
3. Sfruttamento sessuale di minori (grooming e pedopornografia online): un reato
specificatamente legato all'universo minorile è la pedopornografia online sanzionata
dall'articolo 600-ter comma 3 del codice penale italiano. Produrre, divulgare,
diffondere e pubblicizzare, anche per via telematica, immagini o video ritraenti
persone minorenni coinvolte in comportamenti sessualmente espliciti non è però
soltanto un'aberrante azione criminale, ma una vera e propria «piaga planetaria e in
crescita vertiginosa».
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Infatti, la tutela dei minori esposti o coinvolti nei contenuti audiovisivi si inserisce in un
contesto in continua evoluzione, ormai caratterizzato da una galleria di prodotti e servizi
estremamente variegata, fruibile su molteplici piattaforme.
Le parole chiave sono cambiate rispetto a quella della programmazione tradizionale: all
digital, abbondanza dell'offerta, multicanalità e multipiattaforma, second screen. Si tratta di
caratteristiche distintive dello scenario attuale, che comportano il superamento del concetto
di salvaguardia del minore, inteso come soggetto esposto alla visione esclusivamente
passiva di un flusso di programmi, in determinate fasce orarie, all'interno di un palinsesto
prestabilito dagli editori.
L'integrazione di tecnologie e di differenti device fa sì che le nuove generazioni accedano ai
contenuti audiovisivi con modalità estemporanee, libere e personalizzate, senza ancoraggi a
luoghi fisici o a orari fissi, in una continua e pervasiva connessione in Rete.
Dai media tradizionali alle piattaforme. Un passo avanti con il nuovo Testo Unico per i Media
Audiovisivi
Il percorso di tutte le normative che si sono susseguite nel tempo è scandito in vari
documenti pubblici, tra i quali uno dei più completi e affidabili è Il Libro bianco Media e
Minori dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (2013, 2018).
Tuttavia, tra gli ultimi testi normativi, il recepimento a livello nazionale della Direttiva europea
SMAV* sollecita una particolare attenzione proprio in relazione alla tutela delle fasce deboli e
dei bambini e dei ragazzi nello specifico.
L'approvazione del nuovo *Testo Unico per la fornitura di Servizi di Media Audiovisivi a
livello nazionale ha creato delle aspettative rispetto a una diversa attenzione da parte del
legislatore e delle istituzioni nei confronti della qualità del rapporto che s'instaura tra i testi
audiovisivi e le platee cosiddette «fragili» dei minori.
Il nuovo Testo Unico si presenta come una promessa in termini di maggiore vigilanza
rispetto alla qualità della programmazione dell’abbondante prateria digitale, che vede esposti
i minori.
La pandemia da Covid-19, inoltre, ha costretto a una più decisa riflessione sull’importanza
delle misure di tutela e sulla presa di responsabilità, non solo per via dell’emergenza
sanitaria, ma anche per la sua forte incidenza sulle dimensioni socio-psicologiche, su quelle
relative al cambiamento negli stili di vita e sulla sovraesposizione dei minori ai testi mediali.
In tale contesto si è imposta una riflessione sul ruolo che media, istituzioni e società civile
dovrebbero assumersi in termini di accompagnamento delle fasce più deboli nel
perseguimento dei propri diritti e nella loro tutela. Infatti, il messaggio che dovrebbe orientare
politiche pubbliche della comunicazione e l'agire degli operatori nei confronti delle persone
che hanno trovato rifugio nei testi mediali, è proprio il desiderio di sfruttare la scossa della
pandemia per «guardare oltre», scongiurando la coltivazione di un immaginario negativo sul
futuro delle nuove generazioni.
Si tratta di istanze che stanno a monte del Codice Tv e Minori del 2002, ulteriormente
accentuate dal lavoro portato avanti dal Comitato di applicazione del Codice di
autoregolamentazione Media e Minori e dal Ministero di riferimento.
Infatti, scommettere sui bambini e sugli adolescenti significa scommettere sul futuro delle
nazioni e sul progetto globale dell'umanità. Il futuro si presenta anche come un fatto
complesso mediatico e digitale, prova di una responsabilità condivisa che coinvolge tutti gli
stakeholder nella sua costruzione sicura e consapevole: policy maker, organizzazioni
transnazionali, genitori, istituzione educativa e lettori multimediali e digitali.
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L'ambiente digitale da un lato offre grandi opportunità, ricchezza di contenuti, creatività e
supporto all'esperienza offline, dall'altro è anche esposto a trappole, criminalità, reati.
- Una novità importante riguarda l'obbligatorietà del rispetto del Codice di
autoregolamentazione Media e Minori da parte di tutti i fornitori di servizi media, a
prescindere da canale o piattaforma (art. 37, comma 6). L'articolo 37 delega molte
delle responsabilità di tutela all'utilizzo del cosiddetto «parental control»,
presupponendo che la tutela dei più piccoli e dei ragazzi debba far leva su questi
strumenti tecnologici innovativi di protezione e sulla diffusione di una corretta
educazione dell'utenza all'uso di tali dispositivi, dimensione rientrante anche nelle
successive specificazioni relative alle azioni congiunte (iniziative scolastiche «per un
uso corretto e consapevole del mezzo televisivo» o progetti rivolti ai genitori).
Dalla dieta mediale alla qualità dell'alimentazione. Il benessere dei minori e le responsabilità
dell'audiovisivo europeo
Un'attenzione particolare meritano gli aspetti relativi alla protezione dei minori nei confronti
delle comunicazioni commerciali, in particolare del junk food («cibo spazzatura»), a ulteriore
testimonianza di una diversa responsabilizzazione delle istituzioni rispetto alle ricadute dei
contenuti mediali, anche in termini di salute e stili di vita dei minori, adulti del futuro.
«Junk food» è un'espressione popolare inglese utilizzata per indicare alimenti ricchi di sale,
zuccheri semplici e grassi, ma poveri dal punto di vista nutrizionale di vitamine, fibre e
proteine —> “i bambini devono evitare”.
La rilevanza dell'argomento è sottolineata anche dallo studio Global Burden of Disease, che
vede il coinvolgimento di 195 Paesi e che già nel 1998 dimostrava che le diete squilibrate a
livello globale sarebbero state causa di 1 morte su 5.
L'Organizzazione Mondiale per la Sanità invita a lavorare sulla prevenzione dei fattori di
rischio, promuovendo l'adozione di diete equilibrate, a partire dall'infanzia. Tra le
raccomandazioni:
● Introdurre profili nutrizionali, atti a identificare i cibi HFSS - High in saturated fats,
trans fats, free sugars andlor salt;
● Promuovere la loro riformulazione e la riduzione dei consumi di alimenti squilibrati;
● Incentivare l'adozione di rigorosi vincoli a marketing e pubblicità, compresa quella sul
web e sui social network.
Inoltre, l'Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia che un problema da non
sottovalutare è la stretta correlazione tra esposizione dei minori alle comunicazioni
commerciali relative al junk food e problemi quali obesità infantile e malattie correlate.
Tuttavia, una valutazione dello stato di attuazione di tali raccomandazioni evidenzia che le
politiche e i regolamenti emanati dai diversi Paesi sono del tutto insufficienti per affrontare le
continue sfide poste in questo campo dal marketing transfrontaliero e, quindi, a invertire la
rotta di obesità infantile, sovrappeso e malnutrizione, in continua crescita in tutta Europa,
soprattutto nei Paesi mediterranei. Spesso i provvedimenti risultano applicati solo ai media
pre-digitali; ai bambini più piccoli (trascurando il target sensibile degli adolescenti, più
vulnerabile nei confronti della malnutrizione per eccesso o per difetto); ai programmi diretti in
maniera specifica a bambini e ragazzi (piuttosto che a quelli che prevedono un pubblico
composto anche da minori).
Le principali critiche sono:
1. I criteri usati per distinguere un prodotto salutare dal junk food sono troppo vaghi;
2. Restano esclusi dalle restrizioni troppi programmi televisivi guardati regolarmente dai
bambini;
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3. Gli impegni presi dalle aziende sono troppo deboli per disciplinare il marketing negli
ambienti digitali;
4. Le industrie non hanno preso alcun impegno su packaging e uso di gadget;
5. Il meccanismo di segnalazione delle violazioni è lento, complesso da utilizzare per i
consumatori e, in generale, tende a favorire le aziende.
Alla domanda formulata dal Censis nell'indagine 2022 sull'età giusta per accedere a Internet
senza la presenza degli adulti —> la maggior parte degli intervistati dichiara che tale
accesso debba avvenire preferibilmente dopo i 14 anni (14-16 anni per il 61% degli
intervistati; 17-18 anni per il 26,3%) e persino una volta raggiunta la maggiore età (22%), i
dati reali vedono una situazione totalmente diversa.
Infatti, un'elaborazione Censis a partire dalle rilevazioni Auditel 2022 attesta una situazione
completamente diversa: quasi il 70% dei minori tra i 4 e i 18 anni accede alla Rete prima dei
14 anni, di cui il 61,7 persino prima dei 13 anni. Dai 14 anni in poi l'accesso è rilevato su
tutta la platea dei minori.
Il Ministro dello Sviluppo Economico, d'intesa con il Ministro dell'Istruzione, con l'Autorità
garante per l'infanzia e l'adolescenza e con il Presidente del Consiglio dei Ministri, dispone
la realizzazione di:
● Iniziative scolastiche per un uso corretto e consapevole del mezzo televisivo;
● Di programmi con le stesse finalità rivolti ai genitori, utilizzando a tale fine anche gli
stessi mezzi radiotelevisivi, in orari caratterizzati da ascolti medi elevati e soprattutto
nella fascia oraria compresa tra le ore 19:00 e le ore 23:00, e in particolare i mezzi
della società concessionaria del pubblico servizio radiofonico, televisivo e
multimediale.
A questi provvedimenti normativi si aggiunge l'impegno nel garantire un'azione concertata e
la cooperazione a livello nazionale e internazionale per rispettare, proteggere e realizzare i
diritti dei minori nell'ambiente digitale.
Ormai da decenni i minori sono immersi in contesti di fruizione digitale, in grado di fornire
molteplici opportunità: favoriscono la loro istruzione; migliorano la loro creatività; permettono
di sostenere e diffondere le loro libertà civili; garantiscono opportunità sociali e culturali e di
intrattenimento; contribuiscono persino alle esperienze offline e alla loro integrazione.
Al contempo, tale ambiente si presenta complesso, soggetto a rapida evoluzione e ha la
capacità di modellare e rimodellare la vita dei bambini in vari modi fino all'età adulta,
esponendoli a crescenti rischi (es. cyber bullismo, cyber grooming, auto-isolamento, abuso
di dati personali, violazioni della privacy ecc.).
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Strategie di contrasto nazionali e globali alla povertà educativa e digitale
Il quadro teorico e di ricerca fin qui delineato evidenzia la complessità del dibattito sul
rapporto tra media e nuove generazioni, anche in considerazione dei mutamenti introdotti
dalla rivoluzione digitale amplificati dalla pandemia. Una riflessione che non può trascurare
l'apporto prodotto dalle politiche pubbliche, avviate sul piano nazionale e internazionale,
volte a garantire un ambiente mediale sicuro e vantaggioso per i minori, contenuti di alta
qualità e la promozione di consapevolezza e di contrasto alla povertà educativa.
Negli ultimi dieci anni l'attenzione alle politiche di contrasto a questo fenomeno ha
progressivamente caratterizzato le agende e gli impegni di molti Paesi dell'Unione Europea.
Prima della crisi pandemica, i Paesi Membri hanno sollecitato l’inclusione nell’Agenda 2030
delle Nazioni Unite inserendo, ai primi posti tra i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile, la fine
della povertà in tutte le sue forme la garanzia di un’educazione di qualità per tutti.
È soprattutto grazie all’avvio in via sperimentale del Fondo per il contrasto della povertà
educativa minorile, che anche il nostro Paese inizia a dedicare una significativa attenzione
alle necessarie azioni, costruttive e collaborative, da attuare per il bene delle generazioni
future.
Confrontarsi con le questioni legate alla povertà educativa significa interfacciarsi con un
problema sociale ampio che esiste da sempre e che solo negli ultimi tempi è diventato
oggetto di discussione, anche grazie alle stesse istituzioni che hanno avviato una diversa
strategia dell'attenzione investendo risorse nella ricerca pubblica.
Un problema sociale che implica affrontare gli aspetti primari della disuguaglianza, quindi un
ragionamento sugli esiti di un background svantaggiato sui risultati scolastici dei minori, ma
anche sugli effetti che questi producono nel lungo periodo, evidenziando le difficoltà che i
soggetti più giovani possono incontrare nel loro cammino esistenziale, se provengono da
contesti caratterizzati da deprivazione materiale e culturale.
In questa prospettiva, recenti rapporti di ricerca fanno emergere come questa deprivazione
risenta di una nuova transizione digitale che da un lato prevede un'accelerazione del
paradigma bio mediatico (quindi della progressiva compenetrazione tra vita dei soggetti e
dispositivi digitali), ma anche un'accentuazione delle disuguaglianze, soprattutto in relazione
alla categoria dei minori. L'aumento della povertà economica, dovuto a un generale
infragilimento dei contesti familiari di origine, si è infatti accompagnato a una preoccupante
crescita del learning loss, la perdita in termini educativi, favorita dal prolungato mancato
accesso alle attività scolastiche, extra-scolastiche, motorie e ricreative durante l'emergenza
sanitaria.
La povertà educativa, che in Italia già conosceva livelli molto alti nel pre-Covid (circa il
13,5% dei minori abbandonava prematuramente gli studi e 1 su 4 non raggiungeva le
competenze minime in matematica, lettura e scienze), è notevolmente cresciuta con la
pandemia e con l'aumento dell'inflazione, che ha portato a una ulteriore diminuzione delle
spese destinate all'istruzione.
L'aumento della dispersione scolastica, che nel nostro Paese ha di recente registrato il
maggior tasso di incremento a livello europeo, soprattutto tra i bambini e i ragazzi
provenienti dai contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli, in particolare nel
Mezzogiorno, così come il crollo degli apprendimenti, risultano esemplificativi di un trend che
va fortemente a intaccare anche il benessere emotivo e relazionale dei minori coinvolti.
Un'intera generazione che ha dovuto fare tragicamente i conti prima con la discontinuità e la
frammentazione di un'esperienza centrale per il proprio percorso educativo, dovuta alla
chiusura (e all'apertura a intermittenza) delle scuole, e poi con le conseguenze del conflitto
russo-ucraino e della crisi economica.
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La perdita di relazioni con i pari, la riduzione delle attività extrascolastiche, la
sovraesposizione ai contenuti mediali e ai rischi annessi a questo tipo di esperienze, hanno
pesato gravemente sullo sviluppo fisico e su benessere psico-sociale dei bambini che hanno
vissuto, con le loro famiglie, un drammatico impoverimento sotto diversi aspetti.
In questo quadro, non può non essere menzionata la povertà educativa digitale, diretta a
colpire prevalentemente i minori che vivono in contesti svantaggiati dal punto di vista
socio-economico, in abitazioni sprovviste di connessione veloce o affollate, dove lo studio
risulta maggiormente problematico. Una povertà sopita che la didattica a distanza ha fatto
emergere in tutta la sua gravità.
Da mezzo importante ma facoltativo per l'apprendimento, la socializzazione e le attività di
svago, la Rete diventa così il modo primario per molti bambini e ragazzi di interagire con la
scuola, gli amici e la famiglia, mettendo in evidenza significativi ritardi nello sviluppo delle
loro competenze digitali (oltre che dei genitori e degli insegnanti).
L'esperienza della pandemia porta così l'intera società a prendere definitivamente atto delle
profonde lacune nella conoscenza e nell'utilizzo degli strumenti tecnologici di un target che
forse troppo frettolosamente era stato etichettato come «nativo digitale», attribuendo a esso
conoscenze, competenze e, soprattutto, consapevolezze non del tutto acquisite. Alle
carenze più evidenti - difficoltà a condividere lo schermo durante una videochiamata, a
inserire un link in un testo, a scaricare un file da una piattaforma della scuola o a utilizzare
un browser per l'attività didattica - si affiancano infatti quelle, più difficili da rilevare, relative
alla consapevolezza digitale (come la protezione dei device, dei dati e della privacy, della
salute e del benessere individuale, dell'ambiente) che fanno emergere un quadro tutt'altro
che rassicurante.
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