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Storia della televisione italiana

(modulo 222)

Alessandro Denti
Università di Roma Tre

Ultima revisione 4 Novembre 2008

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ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

Presentazione del modulo

Il modulo passa in rassegna la oltre cinquantennale vicenda vissuta dalla televisione italiana, dalle
sue prime trasmissioni nei primi anni Cinquanta all'inizio del XXI secolo, evidenziando anche
l'importanza che questo mezzo di comunicazione ha avuto nella vita e nel costume degli italiani.

Nelle cartelle si considerano i vari generi adottati dalla televisione italiana (da quelli iniziali, come i
quiz, gli sceneggiati e gli spettacoli di varietà, a quelli più recenti, come i serial, i talk-show e la
real-TV), le personalità più importanti dello spettacolo e le caratteristiche dell'informazione e del
giornalismo televisivo. Un altro tema conduttore del modulo è il passaggio dal monopolio della RAI
alla nascita delle televisioni private, e tra queste alla predominanza delle tre reti Mediaset, fino
all'affermazione delle TV satellitari e via cavo, e della relativa legislazione italiana.
ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

Guida al modulo

Scopo del modulo

Scopo del modulo è far conoscere una pagina sempre più significativa dello spettacolo in Italia e
soprattutto mettere in relazione l'evoluzione di questo mezzo di comunicazione di massa con la
storia politica, sociale e di costume dell'Italia degli ultimi cinquanta anni. Il modulo offre di volta in
volta delle definizioni generali di tipo sociologico e mediologico, che possono inquadrare in modo
più rigoroso i fenomeni profondi connessi alla forza di penetrazione televisiva.

Lista degli obiettivi

UD 1 - La TV delle origini

Obiettivo di questa unità didattica è descrivere le caratteristiche della televisione italiana nelle sue
primissime stagioni.

Sottoobiettivo: conoscere il contesto storico-politico in cui iniziò ad operare la RAI.

Sottoobiettivo: considerare la funzione educativa, soprattutto da un punto di vista di


uniformazione linguistica, dalla televisione italiana.

Sottoobiettivo: analizzare i generi della televisione delle origini, sia quelli derivati
dall'estero (quiz), sia quelli ripresi dalla radio e dal teatro (varietà e sceneggiato).

Sottoobiettivo: conoscere le caratteristiche della spettacolo televisivo di varietà.

Sottoobiettivo: comprendere l'importanza dell'iniziale fruizione collettiva delle


trasmissioni televisive e le conseguenze che il nuovo mezzo ebbe sul cinema.

UD 2 - Gli anni del boom: divertimento e impegno

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere l'evoluzione della televisione italiana nel corso degli
anni Sessanta.

Sottoobiettivo: comprendere il clima politico in cui si affermarono le prime critiche al


monopolio democristiano all'interno della RAI.

Sottoobiettivo: comprendere cosa si intende per palinsesto.

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Sottoobiettivo: conoscere le caratteristiche del giornalismo sul primo e sul secondo canale
RAI.

Sottoobiettivo: analizzare l'evoluzione dello sceneggiato televisivo nel corso degli anni
Sessanta.

Sottoobiettivo: comprendere perché il varietà televisivo può essere considerato uno


"spettacolo totale".

UD 3 - Contestazione generale e riforma della televisione

Obiettivo di questa unità didattica è comprendere i cambiamenti avvenuti nei vari programmi
televisivi in base ai nuovi valori e i nuovi costumi emersi dalla contestazione del 1968.

Sottoobiettivo: conoscere alcuni nuovi programmi rivolti prevalentemente al pubblico


giovanile.

Sottoobiettivo: comprendere l'importanza delle trasmissioni sportive in diretta, anche


come affermazione del sentimento nazionale.

Sottoobiettivo: comprendere la portata innovatrice della figura di Raffaella Carrà e il


nuovo e più libero uso della parola, dell'ironia e dell'esibizione dei corpi in televisione.

Sottoobiettivo: analizzare il fenomeno della nascita delle radio e TV private locali, le


reazioni ad esse da parte della RAI, e i provvedimenti legislativi in materia.

Sottoobiettivo: conoscere le direttive fondamentali della legge n. 103 del 1975 sull'assetto
radiotelevisivo nazionale.

UD 4 - Affermazione della TV commerciale

Obiettivo di questa unità didattica è comprendere le caratteristiche della televisione italiana dalla
metà degli anni Settanta, in seguito alla concorrenza tra la RAI e le emittenti private.

Sottoobiettivo: comprendere l'importanza del cosiddetto "traino" tra una trasmissione e


l'altra e della diversificazione tra le testate giornalistiche dei primi due canali RAI.

Sottoobiettivo: conoscere le fasi dell'affermazione delle reti private, prima locali e


progressivamente a diffusione nazionale.

Sottoobiettivo: comprendere cosa si intente per "fidelizzazione" del pubblico e


l'importanza di telenovelas e soap-operas.

Sottoobiettivo: comprendere le motivazioni "sociali" e psicologiche delle trasmissioni che


prevedono il contatto con lo spettatore.

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UD 5 - La piazza televisiva

Obiettivo di questa unità didattica è comprendere le caratteristiche della televisione sia pubblica sia
privata nel corso degli anni Ottanta.

Sottoobiettivo: comprendere l'importanza di varietà e sit-com autoprodotti dalle reti


private e le loro finalità commerciali.

Sottoobiettivo: conoscere le caratteristiche del terzo canale RAI, sia nella testata
giornalistica, sia nei programmi comici e della cosiddetta utility-TV.

Sottoobiettivo: comprendere l'importanza della trasmissione Samarcanda nel clima di


rivolgimento politico-giudiziario dei primi anni Novanta.

Sottoobiettivo: analizzare le caratteristiche della fiction di contenuti sociali, in particolare


de La Piovra.

Sottoobiettivo: conoscere le caratteristiche dei telegiornali delle reti Mediaset e in


particolare del TG 4 di Emilio Fede.

UD 6 - Neotelevisione e il superamento dei generi

Obiettivo di questa unità didattica è considerare le caratteristiche della televisione degli anni
Novanta.

Sottoobiettivo: comprendere le caratteristiche della neotelevisione: il flusso continuo di


trasmissioni, l'autoreferenzialità e la ripetizione.

Sottoobiettivo: conoscere i motivi del successo dei grandi eventi televisivi.

Sottoobiettivo: analizzare le caratteristiche delle trasmissioni che fondono informazione e


intrattenimento.

Sottoobiettivo: conoscere le peculiarità dei programmi di cosiddetto emoteinment.

UD 7 - Duopolio dell’etere, monopolio Sky, nuovi accessi incompiuti

Obiettivo di questa unità didattica è individuare l’attuale assetto generale della televisione in Italia,
osservabile nell’ultimo decennio. In essa si propongono diverse visuali integrate, a cominciare dal
quadro legislativo relativo alle telecomunicazioni in Italia dal 1990, fino alla sistemazione delle
diverse tipologie di piattaforma televisiva – etere, satellite, digitale ecc. Uno sguardo tecnico, cui si
accompagna una breve rassegna delle scelte maggiori operate in questo periodo sui contenuti e sugli
stili assunti dalla programmazione televisiva italiana.

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Sottoobiettivo: conoscere le tappe fondamentali della controversa normativa


radiotelevisiva, dal 1990 ad oggi.

Sottoobiettivo: saper collocare in prospettiva l’attuale assetto del servizio pubblico RAI, e
i passaggi contesi degli anni 2001-2002.

Sottoobiettivo: riconoscere le principali forme di programmazione affermatesi, dalla


fiction al reality, con i nomi dei loro maggiori protagonisti.

Sottoobiettivo: inquadrare il ruolo inedito acquisito dalla televisione satellitare e dal


pacchetto Sky, e i nuovi fenomeni di televisione interattiva, digitale e del web.

Contenuti del modulo

Il modulo è composto da:


1. il testo delle unità didattiche;
2. un corredo audiovisivo.

Attività richieste

Lettura e studio dei materiali che compongono il modulo. Svolgimento degli esercizi.

Materiale facoltativo di approfondimento

Lettura di alcune pagine tratte dai seguenti moduli:

- m00040 [Com'è governata l'Italia]: 4.5


- m00069 [Politica e istituzioni nell'Italia repubblicana]: 7.4, 7.5
- m00148 [Il cinema degli anni Sessanta e Settanta]: 2.3, 3.3
- m00272 [Il cinema italiano dalla seconda metà degli anni Settanta alla fine del secolo (1977-
2000)]: UD 2

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Indice delle unità didattiche

UD 1 - La TV delle origini

L'unità didattica indaga i primordi, negli anni Cinquanta, della televisione italiana.

1.1 - Nascita della TV italiana. Il contesto politico-sociale

1.2 - Una priorità educativa e morale

1.3 - Diffondere cultura, diffondere una lingua

1.4 - I generi scelti dalla televisione

1.5 - Dal teatro leggero allo spettacolo televisivo

1.6 - Quiz, ascolto collettivo e crisi del cinema

UD 2 - Gli anni del boom: divertimento e impegno

L'unità didattica accompagna la piena affermazione sociale della televisione nel decennio 1960-70.

2.1 - Autorità democristiana e compromesso storico

2.2 - Una televisione forte e originale

2.3 - Il grande giornalismo

2.4 - Una creazione originale: lo sceneggiato

2.5 - Il varietà o lo spettacolo totale

UD 3 - Contestazione generale e riforma della televisione

Questa unità didattica affronta il nodo turbolento dei grandi cambiamenti degli anni Settanta.

3.1 - 1968, contestazione generale

3.2 - Lo sport come espressione unificatrice

3.3 - Raffaella Pelloni, in arte Carrà

3.4 - L'esplosione radiotelevisiva privata

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3.5 - La legge di riforma

UD 4 - Affermazione della TV commerciale

In questa unità didattica si focalizza l'attenzione sulla concorrenza prodotta dal sistema misto.

4.1 - Palinsesto, nuova definizione

4.2 - Nascita della concorrenza: la forza di un network assoluto

4.3 - Il fenomeno della fidelizzazione

4.4 - Il filo diretto con il pubblico

4.5 - TV e cinema

UD 5 - La piazza televisiva

L'unità didattica analizza il nuovo e intenso rapporto tra TV e società che si forma negli anni
Ottanta.

5.1 - Dal magazzino alle reti

5.2 - La nuova RAI Tre

5.3 - La piazza della politica

5.4 - Ascesa della fiction "buona": il segno della Piovra

5.5 - L'informazione dei privati

UD 6 - Neotelevisione e il superamento dei generi

L'unità didattica è dedicata alla riflessione sulle logiche della cosiddetta neotelevisione.

6.1 - Definizione di neotelevisione

6.2 - I grandi eventi e la kermesse sanremese

6.3 - La vita in diretta. Utilità sociale della TV

6.4 - Autoironia e denuncia, oltre se stessa

6.5 - L'amore della televisione

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UD 7 - Duopolio dell’etere, monopolio Sky, nuovi accessi incompiuti

7.1 - Una sistemazione bipolare. Leggi Mammì, Maccanico, Gasparri eccetera …

7.2 - L’“ordine” del 2001-2002

7.3 - La guerra persa del satellite. L'Italia sotto Sky

7.4 - I contenuti tra lobby, format e fasce protette

7.5 - Nuovi accessi: web-tv, digitale terrestre, TV di strada, "TV mobile"

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UD 1 - La TV delle origini

L'unità didattica indaga i primordi, negli anni Cinquanta, della televisione italiana.

1.1 - Nascita della TV italiana. Il contesto politico-sociale

1.2 - Una priorità educativa e morale

1.3 - Diffondere cultura, diffondere una lingua

1.4 - I generi scelti dalla televisione

1.5 - Dal teatro leggero allo spettacolo televisivo

1.6 - Quiz, ascolto collettivo e crisi del cinema

1.1 - Nascita della TV italiana. Il contesto politico-sociale

All’alba dell’anno 1954 nasce un modello di comunicazione di massa destinato a cambiare


completamente l’ordine dei valori culturali della società italiana: comincia cioè le sue attività la
televisione italiana.

Preceduta da un periodo di sperimentazione lungo più di vent’anni e interrotto dalla guerra, la


tecnologia televisiva riesce a unire nella sua rete in pochi anni, dal 1952 al 1955, l'intero territorio
italiano. Il nome e lo statuto di quest’attività d’emissione TV si inseriscono negli spazi ereditati
dall’azienda radiofonica di Stato, ossia la RAI (Radiotelevisione Italiana), a sua volta istituita sulle
ceneri dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), alla caduta del fascismo nel 1944.

Il paese, in questi anni, sta appena uscendo dalla ricostruzione, ma ormai ha già posto le basi della
sua grande trasformazione industriale. L’Italia, proprio nel decennio 1950-60, da paese segnato da
un’economia fortemente agricola, diviene una delle "locomotive" mondiali dell’industrializzazione
più avanzata, e le campagne, i piccoli paesi, la terra vengono ormai abbandonati per riempire, in
modi spesso tristi e traumatici, le grandi città con le loro enormi e numerose fabbriche. Una forte
spinta di emigrazione, anche e soprattutto interna agli stessi confini nazionali, caratterizza questa
fase storica del dopoguerra italiano. È insomma il momento cruciale della sua modernizzazione.

Sia il cinema, dai tempi del neorealismo, che la letteratura avevano saputo cogliere molti degli
aspetti problematici di questo grande cambiamento storico. In effetti, gli intellettuali di quell’epoca
si rivelarono estremamente sensibili alle contraddizioni sociali che il modello "occidentale"
capitalistico di società poteva, nei suoi grandi "balzi" in avanti e ristrutturazioni, creare ogni volta.
Soprattutto l’idea di "impegno intellettuale" poneva cineasti e autori, come pure molti letterati,
spesso sulla via di un rifiuto delle nuove forme di comunicazione popolari, o dello stesso cinema
quando non era integralmente concepito come una testimonianza artistica o sociale elevata; perciò il
mondo degli intellettuali e della sinistra finì per diffidare della radio, ma ancora di più del nascente
mezzo televisivo.

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Anche a causa di ciò, ma pure in conseguenza di un lucido progetto del potere d’allora, la
televisione italiana visse il suo lungo periodo iniziale quale territorio di dominio quasi assoluto del
partito di governo, della forza di maggioranza politica di quel tempo, la Democrazia Cristiana.
Dalle sue fila, per decenni, sarebbero usciti i presidenti, i direttori generali, gli Amministratori
delegati dell’azienda, primo dei quali fu Filiberto Guala. Guala gestì la RAI, in qualità di
amministratore delegato, in modo piuttosto rigido e autoritario, e legandone per lo più i contenuti a
esigenze di moralizzazione cattolica. Egli impose in azienda, per tale obiettivo, anche un severo
codice d’autodisciplina, rivolto ad autori, giornalisti e agli stessi uomini di spettacolo; e, un po’
come il codice Hays per il cinema in America, determinò un esordio ben poco "aperto" e molto
controllato della prima programmazione televisiva italiana.

1.2 - Una priorità educativa e morale

Come detto, la televisione in Italia parte controllata dall’organo di maggioranza del governo. In
realtà, il progetto culturale che sostiene le prime attività della TV italiana è parallelo a quelli
sostenuti e promossi nel resto d’Europa, e in particolar modo in Inghilterra: il motto programmatico
della BBC "educare, informare, divertire", adottato già ai tempi della radio, fu a sua volta
pienamente sposato dai dirigenti della TV italiana. È il modello pubblico di TV che vince in tutta
Europa, a differenza che negli USA, dove regnava un regime concorrenziale. In Italia, la RAI -
azienda statale inserita nel gruppo IRI (Istituto per la Ricostruzione Italiano) - aveva ottenuto già
dal 1952 una concessione di durata ventennale, che oltre ai servizi radiofonici garantiva all’azienda
di Stato anche l’esclusiva di quelli televisivi futuri. Nessun soggetto privato, d’altronde, a
quell'epoca poteva sostenere economicamente l’impresa di istituire sull’intero territorio un servizio
tecnologicamente adeguato.

La televisione, dunque, pensata come una "grande educatrice di massa": a questo fine, più che a
quello più gratuito di divertire o a quell’altro più raffinato di sperimentare dei nuovi linguaggi, si
indirizzarono gli sforzi nella prima fase di programmazione televisiva della RAI. Negli spazi
dell’unico canale televisivo nazionale, che rimarrà tale fino al 1961, vengono collocati numerosi
momenti di valore prima di tutto formativo, se non proprio pedagogico. Le trasmissioni, che
cominciano verso le 16 e finiscono puntualmente prima della mezzanotte, non riescono soprattutto
in questi primissimi anni a proporre una buona qualità estetica dell’immagine; ciò che conta però è
la meraviglia del nuovo mezzo in se stesso, che affascina e conquista in profondità la sensibilità
degli italiani.

E il successo, comunque, non si fa attendere: nel volgere di pochi anni, aumenta clamorosamente il
numero degli apparecchi riceventi diffusi tra la popolazione, che dai 366.000 del 1956 arrivano a
circa 4.500.000 attorno al 1960.

1.3 - Diffondere cultura, diffondere una lingua

Dunque, in pochi anni la TV assume una centralità sempre più autorevole, e come un magnete
attrattivo lega a sé in profondità l’attenzione degli italiani. La gente trova, nel piccolo schermo
dentro una stanza, lo stupore di immagini provenienti dal mondo intero, dotate di una nuova e
sconosciuta forza informativa sugli eventi quotidiani.

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La TV riuscì così a sfruttare con intelligenza la suggestione provocata sull’attenzione della


popolazione, assumendosi con risolutezza un ruolo nell’opinione pubblica del paese. Il telegiornale
delle ore 20, dall’enunciazione linguistica scarna e con pochi servizi documentari, diviene
comunque un appuntamento obbligato nelle abitudini degli italiani; ma come tale diventa pure la
guida di riferimento più vincolante per una popolazione che, molto spesso, non aveva molto diffusa
l’abitudine di leggere i giornali.

Rubriche come Una risposta per voi col maestro Cutolo (1954) o Sguardi sul mondo condotto dal
religioso Padre Mariano (1955; dal 1959 La posta di Padre Mariano), capaci di offrire nozioni
acculturanti con gradevolezza e un linguaggio semplice, giungono al grande pubblico con successo,
e rappresentano emblematicamente la capacità della televisione italiana di quei primi anni di calarsi
con grande efficacia nel ruolo di educatrice di un paese in piena evoluzione, del quale seppe
accogliere la richiesta di trasformazione e crescita, tanto culturale quanto di promozione sociale. Ma
il programma più emblematico di questa trasformazione fu Non è mai troppo tardi (1960) [Video 1]
condotto dal maestro Manzi, che costituiva una vera e propria scuola di alfabetizzazione di base,
elementare: essa ricosse non solo il gradimento, ma anche un successo concreto delle migliaia di
persone che grazie a essa riuscirono ad ottenere la licenza elementare.

Video 1: Non è mai troppo tardi, 1960.

La TV, dunque, accompagnò e sviluppò essa stessa la mutazione antropologica - forse la più
radicale degli ultimi secoli - della società italiana, e lo fece diffondendo ogni giorno una lingua,
quella italiana, ancora in quell’epoca poco utilizzata dalla maggior parte della popolazione non
intellettuale, e che proprio l’azione della televisione riuscì a diffondere in profondità nel quotidiano
stesso della gente. Ecco allora che i tanti "divulgatori" presenti sul teleschermo nei primi anni della
TV nazionale, con il loro tono affabile e vicino alla gente, costituiscono un momento non solo dello
spettacolo in Italia, ma anche della formazione culturale e dell'integrazione dei suoi tanti piccoli
"popoli" diversi.

1.4 - I generi scelti dalla televisione

Pur "contenuta" nei suoi primissimi anni in forme e stili improntati a sobrietà, la TV italiana
soprattutto dal 1956 in poi acquisisce una certa vivacità di linguaggio e attraversa molti generi di
spettacolo o di informazione. Infatti, in questo periodo andarono definendosi e pian piano fissandosi
quelli che potremmo definire i gusti del "tipico" telespettatore italiano, che la TV stessa contribuì
proprio allora a modellare, e che, d’altra parte, mutavano assieme alla mutazione sociale vertiginosa
vissuta in quei tempi.

Come già riconosciuto, per qualche anno la TV italiana godette di un successo immediato e, per
così dire, gratuito, concessole da un pubblico ancora "puro" e ingenuo. Ma presto la televisione
introdusse ed elaborò dei percorsi sempre più mirati di programmazione, scoprendo così dei generi
televisivi baciati da grande successo di pubblico. Tali generi derivavano ognuno, per forza di cose,
da arti o contesti diversi dalla televisione: a cominciare da quel genere che in TV diverrà lo

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"sceneggiato", che discendeva direttamente da una forma di narrazione radiofonica di grande


successo, il cosiddetto "radiodramma", a sua volta derivato dal dramma teatrale; mentre dal teatro
leggero, spesso dall’avanspettacolo, acquisì ispirazione e linguaggi il "varietà" televisivo, che già
alla fine degli anni Cinquanta seppe intrattenere con lunghe serate spensierate e brillanti gli italiani.

La propensione divulgativa e pedagogica, come già sottolineato molto importante in quegli anni
(vedi 1.2), aveva avuto i propri modelli in numerose rubriche radiofoniche, soprattutto a partire dal
1951, quando era stato istituito il Terzo Programma Radiofonico, un canale radio dedicato
completamente alla cultura e al sapere, mentre l’inchiesta documentaria, che trovò in Sergio Zavoli
o in Mario Soldati [Video 2] dei grandi testimoni negli anni della televisione, era stata già anticipata
da una recente tradizione di documentarismo radiofonico realizzato da figure come Guido Piovene
o lo stesso Zavoli.

Semplificando, possiamo dire che la TV in Italia ebbe due grandi "maestri" da cui ereditò molte
delle sue forme e dai quali prese ispirazione per l’elaborazione dei propri generi: la radio e il teatro,
sia drammatico sia brillante. A questi modelli locali, "autoctoni", la televisione italiana aggiunse
anche un altro grande maestro, ossia lo show americano, che all’epoca rappresentava una formula
altamente collaudata di spettacolo specifico per la televisione. Dallo show americano la RAI ereditò
con successo soprattutto la formula del "quiz" a premi [Video 3], il cui stile di comunicazione agile
e veloce contribuì, una volta innestato in Italia, a rendere molto più "sciolta" e leggera l’andatura
espressiva della televisione.

Video 2: Mario Soldati, Viaggio Video 3: Telematch. Video 4: Topo Gigio, 1961.
lungo le rive del Tirreno, 1960.

Alla propria fascia pomeridiana, inoltre, la RAI decise di dedicare una programmazione rivolta ai
più piccoli, creando la cosiddetta "TV dei ragazzi" [Video 4], che accompagnerà inalterata per
vent’anni i pomeriggi di bambini e adolescenti italiani, e che era dotata oltre che di cartoni animati
– soprattutto a partire dagli anni Sessanta - anche di animazioni in studio, di giochi a quiz per
ragazzi e di approfondimenti tematici in funzione didattica.

Un altro genere che si affacciò alla fine degli anni Cinquanta fu il giallo poliziesco: anch’esso si
rivelerà una scelta di pieno gradimento presso il grande pubblico, in grado di durare per decenni sul
piccolo schermo. Da ricordare le leggendarie e appassionanti serie di Perry Mason - acquistate con i
telefilm di Hitchock sul mercato americano - e di Giallo Club (1959-62), che con le avventure del
Commissario Maigret furono autoproduzioni RAI completamente autosufficienti (dal 1964 per
diverse stagioni).

In effetti, se la TV italiana si trovò all’inizio a ereditare semplicemente forme, stili, generi dal
teatro, dalla radio o da altri mezzi d’espressione, col passare del tempo essa seppe però adattare
pienamente i linguaggi d’origine a quello specifico richiesto dal nuovo mezzo, e fece nascere così
dei generi televisivi originali, sopravvissuti al "battesimo del fuoco" di uno sconosciuto gusto
promesso dalla visione di massa.

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1.5 - Dal teatro leggero allo spettacolo televisivo

Nei ricordi di chi c’era e nelle sensazioni di chi a posteriori la considera per la prima volta,
s’insinua un’immagine della TV italiana fine anni Cinquanta piuttosto spensierata, leggera, quasi
improntata a gaiezza. È, quest’immagine felice, forse una corrispondenza parallela di quella
dinamica leggerezza che, dopo le durezze della guerra e della ricostruzione, toccò in sorte all’Italia
del cosiddetto boom economico proprio durante questi anni, che furono d’altronde anche quelli
della "dolce vita".

A rappresentare meglio questo clima positivo e brillante, in televisione furono i tanti programmi
"leggeri" che andavano dal varietà al quiz alle rubriche culturali ma scherzose o molto immediate,
come quelle di Cutolo o di Lombardi, dove, ad esempio, questi due conduttori oltre che divulgatori
seri divenivano anche dei veri e propri personaggi. Naturalmente il ruolo di divertire in televisione
fu assunto soprattutto dagli spettacoli dove la musica, la comicità, il balletto e la creatività libera
delle scenografie potevano proporsi e integrarsi senza limitazioni, cioè gli spettacoli del sabato sera,
appunto di "varietà".

Il varietà (su cui torneremo a proposito degli anni Sessanta, quando esso trovò il suo culmine
artistico e di successo, in 2.5), era una forma di spettacolo leggero che, a cominciare dal suo nome,
derivava direttamente dal teatro brillante. Come nella forma sviluppatasi sul palcoscenico, il varietà
televisivo assemblava l’una dietro l’altra una serie di performances artistiche di tenore diverso: dal
"numero" del comico di turno, spesso un monologo, alle canzoni del repertorio sia classico sia
moderno interpretate da cantanti di successo ingaggiati per l’intera durata delle puntate, ai balletti
modellati su sempre più fantasiose e ricche coreografie, da un attore del cinema quasi sempre
presente, fino alle scenette altrettanto leggere e ironiche, magari in costume, che parodiavano con
simpatia opere e romanzi celebri.

Come si può facilmente dedurre, in questi spettacoli leggeri della TV italiana giocarono un ruolo
fondamentale tanto la comicità tipica dell’avanspettacolo, capace di coinvolgere con poche battute
il pubblico, quanto ancora di più la musica, che in mille forme s’insinuò nell’intrattenimento
televisivo più gradito agli italiani. In effetti, il successo dei programmi basati su diversi inserti
musicali in una chiave leggera dimostrava, una volta di più, la naturale propensione nazionale alla
canzone.

La musica fu il meccanismo vincente non solo del varietà, ma anche di molti quiz: per esempio del
Musichiere [Video 5] o di Un, due, tre, che sviluppavano una gara musicale dove i concorrenti
dovevano indovinare alcuni motivi musicali proposti in forma mascherata, e che avvinceva il
pubblico invitandolo a sua volta a indovinare da casa, in gruppo, i motivi nascosti. Fu
fondamentale, in questo contesto, la capacità di coinvolgimento immediato, verace e pieno di ritmo
esibito da parte dei presentatori di questi programmi: se in radio, con La Corrida, Corrado Mantoni
si era saputo ritagliare uno spazio insostituibile di conduzione ironica e pungente, Mario Riva fece
altrettanto in televisione, contribuendo sensibilmente ad avvicinare il grande pubblico alla
televisione italiana; mentre il ruolo di musicisti "scherzosi" come Lelio Luttazzi e del Quartetto
Cetra fu senz’altro altrettanto significativo.

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Video 5: Il Musichiere. Video 6: Carosello.

In realtà, la combinazione vincente teatro leggero-musica leggera fu il cocktail che accompagnò al


successo anche lo speciale "quadretto" riservato alla pubblicità, che dal 1957, con la nascita di
Carosello, piccola fascia pubblicitaria serale che giungerà fino al 1977 [Video 6], saprà inserire il
messaggio pubblicitario nella televisione italiana dandogli una forma originale simpaticamente
vicina al linguaggio infantile, ma adatto a un grande pubblico, come tale, allora ancora molto
giovane.

1.6 - Quiz, ascolto collettivo e crisi del cinema

Già si è mostrata la capacità di avvincere a sé il pubblico italiano dello spettacolo basato sulla gara
musicale, e dunque sul quiz. Ma uno spazio a parte merita il quiz vero e proprio, e soprattutto la
figura, ormai leggendaria in Italia, che lo introdusse in Italia negli anni Cinquanta, Mike Bongiorno.
"Mike", come più affettuosamente viene chiamato, era un giovane "emigrante di ritorno" cresciuto
negli Stati Uniti, da dove importò la speciale forma di spettacolo televisivo del gioco a premi.
Programmato al giovedì sera, secondo una caratterizzazione giornaliera del quiz che ancora oggi
talvolta rispunta nei palinsesti italiani, Lascia o raddoppia? (1955) [Video 7] fu una trasmissione di
fondamentale importanza nella storia della televisione italiana, perché attraverso di essa la TV riuscì
a riunire in modo massiccio per la prima volta una cospicua fetta appassionata di popolazione
italiana davanti ai teleschermi. L’incalzante sequenza del quiz, fatta di domande e risposte sempre
più difficili, ma anche il brivido di un possibile raddoppio delle vincite, e la stessa meraviglia di
un’elargizione così spettacolare di cifre altissime per l’abitudine degli italiani del tempo, colpirono
particolarmente il pubblico, "legandolo" a sé in serate d’ascolto record, che introdussero davvero
l’appuntamento televisivo serale nella vita degli italiani.

Video 7: Lascia o raddoppia, 1955.

Va peraltro ricordato il modo tipico di seguire la TV di quegli anni pionieristici: essendo ancora
troppo alto per la maggioranza della popolazione il costo degli apparecchi ricettori, ogni televisore
veniva seguito a gruppi di 20 o 30 persone nelle case che lo avevano, e anche di 50, 100 o più
persone in esercizi pubblici come bar o ristoranti. In questo periodo, cioè, la fruizione della
televisione era per lo più "collettiva", comunitaria, e non ancora individuale, "privata", come diverrà
sempre maggiormente nel corso degli anni successivi.

In questo modo, la TV funse allora da grande "unificatore sociale" di un paese che, sin dalla sua
formazione nel secolo precedente, non aveva quasi mai saputo trovare una reale "unificazione
culturale", oltre che economico-politica, delle sue tante e sottilmente differenti popolazioni.
L’impresa di unire in profondità l’Italia, probabilmente, è stata, meglio che da qualsiasi altro mezzo

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o tentativo, realizzata, almeno parzialmente - e con esiti spesso criticabili, d’altronde - proprio dalla
televisione; e le spinte più forti, come detto, vennero allora da programmi in cui la suspense e lo
spettacolo leggero si mescolavano sapientemente, come in Lascia o raddoppia?, o ne Il Musichiere
(1957), e in tanti altri del genere.

Tale massificazione al seguito della televisione determinò un inevitabile e clamoroso calo nella
frequentazione delle sale cinematografiche (vedi il modulo Il cinema italiano dalla seconda metà
degli anni Settanta alla fine del secolo [1977-2000], UD2) dopo i bagni di folla che ne avevano
segnato il trionfo nel decennio 1946-1956. Comincia infatti la lenta decadenza del cinema al
botteghino degli incassi e per il cinema non è più il tempo dei grandi numeri. Tuttavia, lasciando
alla televisione il "basso" compito d’intrattenere la massa, i film italiani si dedicheranno con
successo per un altro ventennio alla più evoluta ricerca puramente "artistica".

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UD 2 - Gli anni del boom: divertimento e impegno

L'unità didattica accompagna la piena affermazione sociale della televisione nel decennio 1960-70.

2.1 - Autorità democristiana e compromesso storico

2.2 - Una televisione forte e originale

2.3 - Il grande giornalismo

2.4 - Una creazione originale: lo sceneggiato

2.5 - Il varietà o lo spettacolo totale

2.1 - Autorità democristiana e compromesso storico

Gli anni Sessanta costituiscono gli "anni belli" della società italiana moderna, durante i quali il
paese visse la propria grande crescita, mescolando la spensieratezza già presente alla fine del
decennio precedente con un elemento di critica politica e di conflitto sociale, che esploderà dopo il
1968 e occuperà spesso con durezza il decennio successivo. L’alba degli anni Sessanta peraltro si
apre con la prima significativa protesta di massa, lo sciopero operaio di Genova, e la prima risposta
dell’allora governo Tambroni, che giunse anche a sparare sulla folla, nel giugno del 1960.

In effetti, il governo a esclusiva guida democristiana non poteva più resistere come tale al mutato
scenario sociale e culturale dell’Italia: un’apertura politica si rendeva ormai indispensabile, e ciò fu
progettato prima e realizzato poi dal rinnovato ceto dirigente del partito di maggioranza, soprattutto
nelle persone di Amintore Fanfani e di Aldo Moro. Culmine temporaneo di questa apertura fu il
primo grande compromesso storico, che inserì nelle fila governative, oltre a esponenti DC, anche
rappresentanti del Partito Socialista e del Partito Socialdemocratico - dunque della sinistra moderna
- e di altri partiti laici quali PRI (Partito Repubblicano Italiano) e PLI (Partito Liberale Italiano).

L’esigenza di "aprire" il governo del paese a nuove forze parve altrettanto urgente e necessaria per
quel che riguardava il controllo dei grandi mezzi di comunicazione di massa come radio e
televisione, sull’occupazione dei quali la sinistra ormai cominciava a chiedere una maggiore
partecipazione, in nome della diversità ideologica e culturale del paese, non del tutto adeguatamente
rappresentata dalla RAI.

Sempre nel 1960, fra l’altro, viene chiamata a pronunciarsi in materia di regolamentazione
radiotelevisiva la Corte Costituzionale, che ribadì l’esclusiva al servizio pubblico delle frequenze
radiotelevisive stesse, giustificando però questa riserva solo con l’eccessiva onerosità per un privato
di mantenere una struttura estesa sull’intero territorio nazionale; spiegazione che, come tale, apriva
tra le righe l’ipotesi di un servizio anche privato della radio e della televisione, rimandandone però
la realizzazione a un indefinito futuro tecnologicamente più evoluto. A interpellare la Corte
Costituzionale era stato un tentativo degli editori del giornale Il Tempo, legati all’area laica - né
democristiana né comunista - e imprenditoriale del paese, che avevano già progettato e parzialmente
realizzato la possibilità in nuce di un servizio televisivo privato.

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In questo clima una grande svolta costituì, dunque, la scelta, operata direttamente dal nuovo leader
della DC Fanfani, di un nuovo direttore generale della RAI, destinato a dominare la scena della TV
pubblica per oltre un decennio: Ettore Bernabei, sotto la cui direzione l’azienda televisiva di stato
vivrà la sua stagione più ricca di soddisfazioni, prima dell’avvento, dopo il ’75, di un modello
nuovo di televisione che ne minerà l’esclusivo privilegio.

2.2 - Una televisione forte e originale

Ettore Bernabei si rivelò un direttore davvero autoritario. Non allontanava la posizione dell’azienda
da un’appartenenza cattolica ferma e convinta, né poteva con lui dirsi debole il contatto diretto con
la DC; egli però seppe aprire in modo intelligente e concreto le porte della RAI a istanze sia
politiche sia artistiche nuove e molto più variegate rispetto ai primi anni televisivi.

Cambiò radicalmente lo statuto della TV in Italia l’apertura di un secondo canale - nel linguaggio
familiare detto semplicemente "il secondo" -, all’alba dell’anno 1962 [Video 8].

Video 8: Nascita del secondo canale, 1961.

L’introduzione di questo secondo spazio ridisegnò l’intera logica della proposta televisiva: innanzi
tutto, dal punto di vista politico-ideologico, fu soddisfatta almeno in parte l’esigenza di pluralismo
richiesta ormai da tempo dalle aree politiche laiche e della sinistra, poiché l’organigramma direttivo
e organizzativo di questo secondo canale era formato per lo più da giornalisti e intellettuali socialisti
o socialdemocratici. Ma, oltre a ciò, si ebbe una sorta di scossa rigeneratrice dal punto di vista
espressivo, linguistico, estetico, poiché la nuova programmazione del secondo cercava di percorrere
strade poco o per nulla battute, sino a quel momento, dalla RAI col suo unico canale. Fu soprattutto
il settore dell’informazione giornalistica, e in genere dell’approfondimento documentario, a trovare
un nuovo impeto negli spazi del secondo canale.

D’altronde, a partire dal 1963, la RAI si vede chiamata a elaborare una più complessa politica di
programmazione, proprio per integrare e far coesistere senza sovrapposizione o conflitti le proposte
diverse dei due canali. Comincia così la "politica dei generi", cioè una più forte e definita capacità
di legare un tipo di programma a un corrispondente e adeguato tipo di pubblico; fatto che comportò
contemporaneamente una prima stesura rigorosa del cosiddetto palinsesto. Cos’è il palinsesto? Il
palinsesto è la "griglia" con cui si struttura la programmazione integrata sia sulla durata giornaliera,
sia settimanale, che su più lunghe distanze di tempo. Esso individua lo schema con cui si ritiene più
efficace organizzare la collocazione temporale dei vari programmi.

Per esempio, si considerò più adatto posizionare lo spettacolo di varietà il sabato sera, la "Tribuna
Politica" - che nel frattempo era stata introdotta come uno spazio televisivo aperto al dibattito
istituzionale della politica - il venerdì sera, il quiz - come già visto - il giovedì [Video 9], mentre gli
sceneggiati ed i gialli-tv, con la loro suspense, si ritenne ideale collocarli la domenica sera, assieme
alle trasmissioni d’informazione sportiva; il lunedì sera, giornata dopofestiva per eccellenza, per
lunghi anni in Italia è stato sempre programmato un film del cinema, con il quale "la voce della
televisione" usciva per un momento di scena.
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Video 9: Rischiatutto.

Negli anni Sessanta, insomma, la complessità sociale e dei linguaggi comincia a entrare molto più
spesso all’interno degli spazi televisivi nazionali.

2.3 - Il grande giornalismo

La creazione di un secondo canale televisivo, dunque, rinnova la TV italiana e le somministra una


sana iniezione di energia e di idee nuove, oltre che di nuovi uomini.

Uno dei comparti che più risentirono di tale ventata di rinnovamento fu l’informazione, e l’attività
giornalistica ed editoriale d’approfondimento in genere [Video 10 e 11].

Video 10: Rotocalco televisivo. Video 11: Almanacco.

Il primo telegiornale del secondo canale, in effetti, era stato affidato alla direzione di un giornalista
laico, moderato e di buon successo, Enzo Biagi, il quale si prefisse il compito di aprire e arricchire
la paludata (e controllata dai governi) informazione telegiornalistica offerta dal primo canale. Ma il
suo progetto, dopo poco, si scontrò con la "ragion di stato" e il desiderio di controllo
dell’indipendenza delle scelte giornalistiche, fatte pesare dall’universo istituzionale dei politici;
Biagi si dimise da questo incarico. Nonostante ciò, il cammino del giornalismo sul secondo canale
riuscì a procedere comunque e a offrire grandi prove di maturità e di testimonianza del proprio
tempo.

Nato nel 1963, il rotocalco giornalistico televisivo TV 7 [Video 12] costituì per anni un punto di
riferimento sensibile e obiettivo in grado di cogliere con precisione le molte e disparate istanze
diffuse nella realtà moderna in pieno mutamento. Esso davvero cambiò, grazie al contributo di
spregiudicati servizi di documentazione sul campo, la rigida presentazione distaccata degli
avvenimenti che aveva caratterizzato il contributo giornalistico fino a quel momento dentro il
servizio pubblico. Anche temi "difficili", prima un po’ elusi dall’indagine giornalistica della tv, ora
vengono avvicinati; mentre le stesse categorie di lettura dei fenomeni sociali trovano in redazioni
culturalmente preparate un ottimo referente. Giornalisti come Andrea Barbato o Furio Colombo, per
esempio, scrissero pagine importanti di testimonianza del proprio tempo. TV 7 non fu l’unico spazio
conquistato dalla grande informazione in televisione: numerose rubriche d’approfondimento si
succedettero negli anni Sessanta, tra cui ricordiamo Cordialmente (1964) e Zoom (1966);
ugualmente vanno ricordati alcuni "speciali", cioè dei documentari d’inchiesta sul campo, tra i quali
rivestono speciale importanza Clausura, premiato già nel 1958 con il Prix Italia, Nascita di una
dittatura del 1969 [Video 13], entrambi firmati da Zavoli, e La Sicilia del Gattopardo, opera
documentaria del 1960 di Ugo Gregoretti.
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Video 12: TV 7, 1968. Video 13: Sergio Zavoli, Video 14: Ugo Gregoretti, La
Nascita di una dittatura, 1972. Sicilia del Gattopardo, 1960.

Sempre Zavoli, nell’ambito del giornalismo sportivo, scrisse emozionanti pagine della storia
televisiva italiana, riuscendo a cogliere e a far palpitare con intensità la sofferenza agonistica degli
atleti nel suo Processo alla tappa, che per anni accompagnò i destini del giro ciclistico d’Italia. La
magistrale testimonianza giornalistica di Zavoli ancora oggi si rivela nella capacità di far uscire i
sentimenti e le propensioni più profondi dei personaggi intervistati o seguiti dalla sua indagine; la
realtà, nello sguardo di Zavoli, sapeva emergere con tutta la sua forza problematica.

Lo stile di Ugo Gregoretti, invece, si presentava in maniera radicalmente differente in confronto a


quello di Zavoli: l’indagine di Gregoretti, infatti, s’aggirava con furba leggerezza di toni, sempre in
realtà venati di un’attenta ironia, attorno a contesti e personaggi poco comuni ma spesso altrettanto
poco visibili della realtà italiana. La "Sicilia del Gattopardo" [Video 14] che Gregoretti fa scaturire
dalla propria inchiesta è fatta di sguardi, giudizi, gesti caratteristici di un’etnia che altrimenti non si
svela, a parole, molto facilmente e la cui cultura più vera è quella, poco trattata dalle cronache
ufficiali, del sapere popolare.

2.4 - Una creazione originale: lo sceneggiato

Per molti anni, in certe ore ben precise, la TV italiana sapeva far sognare i suoi telespettatori
spingendoli fuori del proprio tempo nelle braccia dei suoi sceneggiati. Lo sceneggiato è una tipica
elaborazione originale creata e prodotta dalla TV italiana: esso mescola in sé tanto i tratti del
radiodramma, quanto i gesti e i toni del teatro di prosa e alcuni spunti del cinema, soprattutto nei
prodotti più recenti. Per circa vent’anni, in tempi immediatamente successivi alle origini della
televisione fino agli anni Settanta inoltrati, lo sceneggiato accompagnò le serate della domenica
degli italiani, contribuendo in modo sensibile a quell’intenzione di acculturazione di massa
promossa dalla RAI di quel tempo. Molto spesso, infatti, lo sceneggiato consisteva in un
riadattamento per la televisione di qualche romanzo, qualche grande testo della letteratura italiana e
universale. La parola stessa "sceneggiato" si riferisce alla traduzione, al passaggio obbligato del
testo letterario in "sceneggiato per un film televisivo", ricalcando così lo stesso significato che la
parola ha nel cinema, dove la "sceneggiatura" costituisce una fase scritta che però già descrive le
immagini e le scene in sequenza da riprendere.

All’inizio, fino ai primissimi anni Sessanta, le riprese degli sceneggiati si realizzavano su veri e
propri palcoscenici e avvenivano - con un ritmo giornaliero incalzante - molto spesso "in presa
diretta", cioè senza la ripetizione delle scene, esattamente come se gli attori fossero a teatro, davanti
al pubblico.

Si capisce allora come lo sceneggiato, oltre a diffondere la conoscenza di alcune storie narrate dalla
letteratura universale, diffuse anche l’abitudine di contemplare delle lunghe recite teatrali. Dunque,
lo sceneggiato degli inizi si fondava soprattutto sulla grande capacità di recitazione teatrale - basata
sulla dizione verbale più che sul movimento o la mimica sottile del cinema - e sulla sobrietà
dell’azione; doveva però rinunciare alle brillanti scenografie, ambientazioni, costumi che solo le

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riprese in esterno o gli studi allestiti per il cinema potevano garantire, e che d’altronde molti testi
letterari promettevano nella loro trama. Con questi metodi "teatrali" e con questi mezzi tecnici e
produttivi piuttosto limitati, furono comunque realizzati sceneggiati come Il Mulino del Po, dal
romanzo di Bacchelli, La Cittadella, da Cronin, I fratelli Karamazov, David Copperfield, gli stessi
Promessi Sposi manzoniani, la Figlia del capitano, e molti altri, quasi sempre con grande successo.
Lo sceneggiato, in questi anni, costituì peraltro anche la "fonte", alternativa allo spettacolo di
varietà, di un nuovo divismo televisivo ormai in aperta competizione con quello cinematografico:
attori come Alberto Lupo, Nino Castelnuovo, Ilaria Occhini, Nando Gazzolo e altri godettero in
poco tempo di grandissima popolarità e stima come attori, pur essendo esclusivamente attori di
televisione e non del cinema - fatto nuovo e significativo del rapporto oramai quasi invertito
nell’ordine di importanza tra i due mass-media.

A metà degli anni Sessanta, addirittura, sono alcuni esponenti anche di spicco del cinema a cercare
un originale rapporto creativo con il nuovo mezzo televisivo: da ricordare senz’altro l’avventura in
televisione di Roberto Rossellini (vedi il modulo Il cinema degli anni Sessanta e Settanta, 2.3), che
firmerà dei veri e propri capolavori, cioè dei film per la televisione originali, pensati e realizzati per
meglio rispondere alle caratteristiche di questo mezzo. La presa del potere di Luigi XIV [Video 15],
del 1966, Gli Atti degli Apostoli, L’età del ferro rimangono delle piccole perle della produzione
RAI di sempre.

Video 15: Roberto Rossellini, La presa del potere di Luigi XIV, 1966.

Anche il giovane Bernardo Bertolucci, in quegli anni, ebbe l’opportunità di cimentarsi con la
televisione per la quale girò degli interessanti documentari, tra cui ricordiamo La via del petrolio.

D’altronde, col passare degli anni il modello teatrale dello sceneggiato fu progressivamente
abbandonato: la RAI, infatti, con notevoli investimenti di denaro, trasforma lo sceneggiato in un
film televisivo, girato con metodi, materiali e stili tipicamente cinematografici. Si può così dire che,
già alla fine degli anni Sessanta, sia la televisione a prendere in mano il cinema, e non più
viceversa.

2.5 - Il varietà o lo spettacolo totale

Al fenomeno del varietà, in 1.4, abbiamo già dedicato un breve accenno. Abbiamo visto come esso
discendesse, in linea più o meno diretta, dal teatro di varietà, dal genere molto diffuso sui
palcoscenici italiani del "teatro brillante" e dalla forma di rappresentazione, ancora più "povera" e
popolare, che era l’avanspettacolo. Si è anche accennato al ruolo centrale assunto nel varietà
televisivo dalla musica, presente in esso sotto molteplici vesti: canzoni, balletti, accompagnamenti
ai numeri comici e le stesse sigle, spesso rimaste per sempre come un sigillo nella memoria di quei
programmi.

In questi spettacoli riuscirono dunque a fondersi alcune doti "classiche" della performance artistica
più popolare, col risultato di confezionare una macchina di intrattenimento tanto forte quanto

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elastica ed in grado di trasformarsi con gli anni. Se nelle sue prime stagioni, nel periodo 1954-61
circa, la cornice del varietà rimase ancora sobria se non povera nei mezzi e nelle sue finalità
spettacolari, nel pieno degli anni Sessanta la ricerca e i desideri di nuove soluzioni maturarono e la
tv italiana si permise di allestire una serie davvero memorabile di "spettacoli televisivi totali".
Totali, perché l’ambizione era proprio quella di fondere armonicamente insieme tutte le istanze
dello spettacolo popolare e dello spettacolo più colto: la musica leggera con tanto di grandi
interpreti e di orchestra, il balletto con le coreografie più ricercate, l’ospite di grido internazionale,
la primadonna amabile e ammirevole, lo spazio "colto" di qualche estratto del repertorio teatrale
"impegnato" e l’elemento comico degli sketch, magari con qualche sottile intenzione satirica di
costume al proprio interno.

Su questi presupposti, e all’incirca seguendo queste tappe di scena come scaletta, si succedettero
parecchi varietà di successo nel decennio 1961-73, di cui è opportuno ricordare le straordinarie
prove di popolarità raggiunte da Studio Uno (1961) [Video 16], spettacolo-tv diretto da Antonello
Falqui - uno dei grandi registi dello spettacolo in televisione, assieme a Enzo Trapani, Gino Landi,
Piero Turchetti, Franco Miseria, e vari altri - condotto da Mina in qualità di soubrette, funzione
centrale nell’economia di questo genere di programmi, e in cui fecero epoca le gemelle Kessler
[Video 17], due tedesche identiche danzanti e cantanti - in italiano - che incarnarono in quel periodo
"la promessa trasgressiva" per l’immaginario erotico dei maschi. Dopo Studio Uno, seguirà negli
anni Sessanta una lunga serie di "gran varietà" o di belle riviste stagionali: dalle tante edizioni di
Canzonissima (dal 1958 al 1962 e dal 1968 al 1974) [Video 18], spettacolo collegato alle lotterie di
Capodanno, a Cantatutto (1963), pieno dell’ironia di autori come Amurri e Faele, a Napoli contro
tutti, Scala reale, Partitissima, L’amico del giaguaro, fino a Senza rete a metà dei Settanta. Il
varietà poi cambierà, infarcendo nei suoi spazi sempre meno musica e sempre più satira [Video 19]:
al punto che negli anni più recenti, gli ultimi veri eredi del varietà possono soprattutto considerarsi
gli spettacoli comici, come l’Ottavo Nano o Superconvenscion, al momento essi stessi sempre più
rari.

Video 16: Studio Video 17: Video 18: Video 19: Video 20:
Uno, 1961. Canzonissima, Canzonissima, Fantastico, 1979, Fantastico, 1985.
1969. 1968. con Beppe Grillo.

Rimane però sempre l’obbligo della spensieratezza artistica del sabato sera: perché in Italia, il
sabato sera, tutti ci siamo ormai abituati all’obbligo senza impegno del varietà [Video 20].

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UD 3 - Contestazione generale e riforma della televisione

Questa unità didattica affronta il nodo turbolento dei grandi cambiamenti degli anni Settanta.

3.1 - 1968, contestazione generale

3.2 - Lo sport come espressione unificatrice

3.3 - Raffaella Pelloni, in arte Carrà

3.4 - L'esplosione radiotelevisiva privata

3.5 - La legge di riforma

3.1 - 1968, contestazione generale

In tutta Europa, in tutto il mondo, il 1968 è stato un anno di passaggio cruciale che ha
contrassegnato l’affermazione di nuovi valori e di nuovi costumi.

Anche in Italia la contestazione generale esplose con fragore in quegli anni, proiettando però, a
differenza di molti altri paesi, le proprie "schegge" per circa un decennio contrassegnato da grandi
trasformazioni sociali, quello degli anni Settanta [Video 21 e 22]. Evidentemente, non poteva
sottrarsi alle critiche la situazione particolare della televisione e della radio, esempi piuttosto
emblematici del controllo forte ancora mantenuto dallo stesso partito di governo sui mass-media.
Non solo dalla piazza in fermento, ma anche da disparati settori della società - costituitisi
soprattutto attorno a giornali laici come l’Espresso o il Corriere della Sera - veniva sempre più
spesso contestata la chiusura politica della RAI al proprio interno. Sarà, alla fine, una nuova e
rivoluzionaria legge, nel 1975, a definire e rispondere, almeno in parte, a tutte le nuove esigenze
intervenute.

Video 21: Faccia a faccia, 1968. Video 22: Diario di un maestro, 1973.

Ma nel 1975, accanto alla nuova TV pubblica riformata, già si stavano agitando tante nuove
televisioni e radio private, nate quasi d’incanto come una fioritura di primavera - i "cento fiori",
come vennero definite allora - che occupò l’intero territorio nazionale nel volgere improvviso di
pochi anni, i primi Settanta.

Come abbiamo detto, soprattutto attorno al 1968 e alla contestazione generale, il mondo giovanile
acquisisce una nuova forza e una nuova coscienza di sé: una generazione entra prepotentemente
nella storia da protagonista assoluta. Ed è da notare come, nonostante l’accusa perdurante in
quell’epoca di immobilismo e burocratismo, la televisione e la radio italiane in fondo seppero
raccoglierne, almeno in parte, la novità. È ciò che realizzarono trasmissioni di straordinario

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successo, prima di tutto radiofonico, come Alto Gradimento, dal 1970 in poi, o come Bandiera
Gialla, programma musicale che intratteneva il pubblico giovane assecondando proprio
l’evoluzione frenetica nella musica leggera di quegli anni, il decennio Settanta. Vanno senz’altro
ricordati gli autori-conduttori di queste trasmissioni: Renzo Arbore e Gianni Boncompagni; essi,
nascendo come disc-jokey negli anni Sessanta, riuscirono a diventare poi dei brillanti presentatori-
attori dei loro programmi sempre scherzosi e leggeri, venati di un’ironia che, nel corso degli anni,
avrebbe loro permesso di creare delle proposte televisive tanto comiche quanto innovative sull
piano del costume. Alto Gradimento risultò un esperimento che introdusse, finalmente, un nuovo
tipo di linguaggio, meno formale o convenzionale, all’interno dello spazio comunicativo "ufficiale"
dell’emittenza nazionale: un linguaggio dove il non-sense, l’assurdo, il paradossale e il sarcastico
trovavano una loro importante funzione di fondo. Era, più che altro, una forma quasi di goliardia
che s’introduceva nel servizio pubblico; le contestazioni più violente arriveranno più tardi.

3.2 - Lo sport come espressione unficatrice

Nel momento in cui la società italiana, alla fine degli anni Sessanta, scopre le proprie contraddizioni
e vede diffondersi nuovi costumi, la televisione si afferma come l'industria culturale più forte e
pervasiva del paese, in grado di abbracciare la quasi totalità della popolazione nazionale.
L’affermazione della TV in Italia accultura "a modo suo" gli italiani, lasciando in posizione
minoritaria la lettura e la diffusione dei giornali.

Certo, attorno al giro di boa del 1970, la fruizione della TV risulta ancora piuttosto limitata
nell’arco della giornata: le ore serali fino alle 24 circa e, di pomeriggio, la già citata TV dei ragazzi,
dalle ore 16. Ma vanno, allora, registrati alcuni "grandi momenti", che, proprio grazie al mezzo
televisivo, hanno costituito eventi di condivisione collettiva, memorabili nella considerazione e
nell’identità degli italiani. Lo sport in tal senso ha rappresentato in quegli anni una grande
esperienza, in grado di toccare e suscitare immediatamente il senso d’un diffuso coinvolgimento
collettivo. Abbiamo già accennato all’importanza, durante gli anni Sessanta, della narrazione
televisiva legata al ciclismo, soprattutto al Giro d’Italia, ma di ancora maggiore interesse e centralità
nell’attenzione nazionale furono i grandi eventi calcistici di quegli stessi anni. Come un’epopea
inaspettata, il Mondiale in Messico del 1970 travolse di una passione dall’aspetto nuovo gli italiani,
che scoprirono per la prima volta in memorabili collegamenti notturni "via satellite" una nazionale
di calcio finalmente vincente, dopo trent’anni di delusioni. Ancora oggi, incontri come Italia-
Germania o Italia-Brasile rimangono scolpiti nel ricordo di tutti, e si potrebbe perfino azzardare che
in quei momenti trepidanti del luglio 1970 venne a cementarsi qualcosa in più nel senso d’unità
nazionale. Nando Martellini, in tal senso, quale telecronista di quelle partite così intensamente
vissute da un paese intero, fu il narratore di una storia che in certi momenti - come sarà
successivamente nel Mondiale del 1982, vinto dall’Italia - assumerà l’aspetto di una favola, ancora
oggi spesso rievocata.

La telecronaca sportiva, insomma, possiamo dire abbia accompagnato e favorito il grande


"abbraccio" nazionale promosso dalla televisione italiana. Accanto a Martellini, voce per decenni
legata alle imprese della Nazionale di calcio italiana, ricordiamo altre importanti voci che hanno
saputo con trasporto e puntigliosità narrare l’evento sportivo: il decano storico del ciclismo
televisivo Adriano de Zan, capace di trasmettere per quarant'anni tanto la competenza quanto
l’intima passione di questo sport, o Guido Oddo e Giampiero Galeazzi per il tennis; un vero
"principe" del commento sportivo in televisione fu Franco Rosi, capace di sostenere il non facile
compito di acculturare il pubblico italiano all’atletica leggera durante i Giochi olimpici, ma anche di
seguire con il preciso distacco del grande esperto l’epopea del pugilato italiano, soprattutto nelle

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imprese di Benvenuti - altre "dirette" entrate nella storia del TV italiana - in una cronaca scandita
dal rigore e dall’emozione, come in una visione newyorkese di un film di Kubrick o di Coppola.

3.3 - Raffaella Pelloni, in arte Carrà

C’è un brivido che si aggira nelle menti degli italiani attorno al 1970: è l’ombelico di Raffaella
Carrà, le sue gambe, il suo caschetto biondo sbattuto da un ritmo frenetico davanti e dietro gli occhi,
come in una trance. Raffaella Pelloni, in arte Carrà, si può dire rappresenti una di quelle figure che
non solo risultano protagoniste di una forma di spettacolo, ma si rivelano perfino come il "simbolo
vivente" di esso: in questo caso, della televisione italiana stessa. Fino ai nostri tempi la Carrà ha
saputo, infatti, occupare lo spazio televisivo offertole letteralmente accendendolo, illuminandolo di
una carica, di una forza e di una classe che sempre hanno conquistato il gusto del grande pubblico.
Oggi, "Raffa", come viene affettuosamente chiamata, raccoglie soprattutto l’attenzione dei "cuori
sensibili" in trasmissioni come Carramba che sorpresa! (1995), dove al centro di tutto stanno i
sentimenti del legame familiare, dell’amore filiale o parentale; ma prima, in quegli anni di
vertiginosa mutazione del costume in Italia, la Carrà scatenava ben altre sensazioni, molto più forti
e in qualche modo "proibite". In effetti, il "brivido" citato all’inizio tocca in primo luogo la
dimensione sessuale: questa giovane danzatrice si dimenava in modo sfrenato, con tanti movimenti
spezzati che orchestrano un ritmo battente mai entrato prima, con la sua sensualità violenta, nella
televisione italiana. E con il ritmo, che in qualche modo introduce un elemento afro, quasi tribale
nella tranquilla visione domestica degli italiani di allora, assieme a Raffaella entrano
nell’immaginario famelico nazionale nuove rappresentazioni estetiche, come i suoi costumi di scena
così "ridotti" e clamorosamente spezzati al di sopra dell’ombelico rimasto scoperto - il clamore e
l’eccitazione nei primi Settanta furono grandi per questa esibizione -, il suo caschetto biondo tinto
ed eccessivo, la fragorosità solare e immediata della sua voce, un misto di sensualità e di
ingiunzione al comando.

Raffaella, dunque, contribuì ad accompagnare la sensibile mutazione dell’immagine della donna, e


nello stesso tempo promosse comportamenti più spregiudicati nel modo di porsi sia della televisione
sia della vita quotidiana stessa. Ciononostante la Carrà non costituì mai un fenomeno di vera
rottura, di scandalo senza ritorno: anzi, questo personaggio della TV italiana riuscì ad armonizzare
il nuovo costume giovane, sessualmente molto meno represso, con il buonsenso della moralità
tradizionale, poiché Raffaella è sempre stata semplice e immediata nel suo modo di porsi, nonché
rispettosa dei "valori" della famiglia ed in genere delle forme morali tradizionali.

Accanto al fenomeno Carrà, si delineò nel corso dell’intero decennio tra il 1969 e il 1979 tutta una
serie di esperienze televisive dichiaratamente trasgressive. La censura, dapprima rigorosa e
inflessibile si trovò via via costretta a indietreggiare di fronte all’incedere delle nuove conquiste del
dicibile e del visibile. Possiamo, molto succintamente, distinguere tre grandi tipi di "trasgressione" e
di novità assoluta entrata in questi anni nella televisione. In primo luogo, l'irruzione di una parola
nuova, di un linguaggio molto più libero, talvolta "sboccato", e spesso dichiaratamente esibito in
sempre più diffusi dibattiti televisivi - ricordiamo il primo talk-show italiano, Bontà loro, condotto
da Maurizio Costanzo nel 1976. Secondariamente la rappresentazione dei corpi, prima censurata e
ora, in sceneggiati, fiction, perfino nei varietà - come in Stryx del 1977 - pienamente svelata, spesso
in nudi il cui grado di scandalosità diminuì con il passare degli anni. Infine si sviluppò l’autoironia
del mezzo televisivo su se stesso, in trasmissioni in tal senso epocali come L’Altra Domenica, nata
nel 1977 sulla seconda Rete (i canali, dopo la legge di riforma, erano diventati "reti") per rispondere
in modo goliardico e paradossale alla "normalità" di Domenica in, programma "contenitore" in onda
sulla prima rete dal 1976 fino al nostri giorni, che intrattiene gli italiani per tutta la domenica

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pomeriggio. L’Altra domenica, condotto da Arbore e De Crescenzo, lanciò provocazioni e


linguaggi, anche comici, piuttosto alternativi; e tra gli altri, ebbe il merito di lanciare nell’orbita del
grande spettacolo nazionale un comico dal nome di Roberto Benigni.

3.4 - L'esplosione radiotelevisiva privata

A cominciare all’incirca dal 1971-72, in Italia cominciarono concretamente a diffondersi le


cosiddette "antenne libere". Abbiamo visto, in 2.1, come già da tempo in Italia stesse crescendo un
fronte politico e d’opinione che chiedeva un’apertura al regime di monopolio pubblico delle
telecomunicazioni nazionali, e come proprio nel 1972 scadesse la concessione ventennale dei
servizi alla RAI; in questo clima di grande fermento nacquero, in posti anche molto lontani sul
territorio nazionale, svariate esperienze d’emittenza privata. Inizialmente per lo più radiofonica -
ricordiamo la prima radio privata, nata in Sicilia - poi sempre di più anche televisiva. Ma la prima e
più significativa esperienza di emittenza televisiva privata non voleva trasmettere "via etere", ossia
attraverso dei ripetitori del segnale che sfruttavano le onde elettromagnetiche nello spazio celeste,
quanto "via cavo", cioè mediante un sistema di cavi sotterranei come avveniva già in molti altri
paesi. Infatti, la prima TV privata fu TeleBiella, una TV via cavo - come poi altre in Abruzzo, per
esempio - che nel 1972 aveva cominciato a trasmettere, naturalmente solo a livello locale: ma le sue
trasmissioni furono dopo poco bloccate dall’azione della magistratura, attivata da un ricorso
proposto dalla RAI, che rivendicava ancora l’esclusiva radiotelevisiva nazionale. A minare peraltro
tale esclusività della RAI concorrevano anche alcune TV straniere, come Telemontecarlo, dal
Principato di Monaco, Capodistria, dalla vicina Jugoslavia o la TV Svizzera, le quali, trasmettendo
in lingua italiana da postazioni vicinissime al territorio peninsulare riuscivano a farsi "captare" in
molte zone del paese. Anche in questo caso, il gestore pubblico RAI denunciò questa "invasione":
ma la sentenza della Corte Costituzionale del 1974 determinò la piena legittimità di queste
emittenti, poiché la loro posizione extraterritoriale le poneva al di fuori della giurisdizione nazionale
italiana; e, d’altra parte, pur riservando ancora all’esercizio pubblico una forma d’esclusività a
livello nazionale dell’emittenza radiotelevisiva, apriva in teoria la possibilità di una legittimazione a
livello locale dell’esercizio privato televisivo e radiofonico.

Ormai, si avvertiva l’assoluta necessità di una nuova legge in materia radiotelevisiva. La mancanza
però di una legislazione sicura, che rendesse conto delle nuove capacità tecnologiche più diffuse (in
quest’epoca, fondare e far funzionare una TV e ancor di più una radio, almeno a livello locale,
divenne piuttosto facile) e della mutata sensibilità culturale maturata nel paese, dove sempre più
soggetti sociali da semplici spettatori passivi volevano "dire la loro" e diventare autori e attori attivi,
non impedì, nella pratica dei fatti, lo sviluppo di una straordinaria stagione di emittenza radiofonica
e televisiva privata su base locale. Fu la stagione cosiddetta dei "cento fiori", cioè delle
innumerevoli esperienze autonome, spesso intime e artigianali di radio locali, nate da un giorno
all’altro grazie all’aiuto reciproco e al gusto dell’avventura di gruppi di amici, che in ogni parte
d’Italia facevano nascere una nuova voce radiofonica. Radio Alice a Bologna, Radio Radicale,
Radio Popolare furono tra le più note e tra le prime a nascere: le seguì negli anni immediatamente
successivi una miriade di altre esperienze, talvolta aperte e chiuse nel breve volgere di una sola
stagione.

Molte di queste radio e TV costituirono, alla loro nascita, un nuovo grido politico: nel corso del
tempo, però, la "parola politica" lasciò sempre di più spazio alla musica, e infine all’intrattenimento
commerciale fondato sul finanziamento della pubblicità.

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3.5 - La legge di riforma

Dopo anni di crisi, polemiche e proposte in merito provenienti dalle più disparate posizioni
politiche, nell’aprile del 1975 viene finalmente approvata la legge n.103 di riforma delle
telecomunicazioni in Italia. Questa nuova regolazione dell’assetto radiotelevisivo avrebbe dovuto
segnare per molto tempo ogni pratica e ogni esperimento in tale campo: di fatto, cambiò in modo
sostanziale il rapporto tra le istituzioni politiche e la RAI, così come la logica organizzativa della
RAI stessa; ma, in una lettura storica più generale, si rivelò insufficiente, soprattutto dopo che una
nuova sentenza del 1976 della Corte Costituzionale smentì in parte questa legge e dette legittimità
anche all’emittenza privata via etere, anche se solo limitata all’ambito locale.

La legge come tale, infatti, aveva fissato tre punti di riferimento essenziali.

Prima di tutto, la riserva su scala nazionale dei programmi via etere allo Stato, la cui concessionaria,
la RAI, doveva però garantire il massimo di pluralismo politico e culturale al proprio interno. In
secondo luogo, allo scopo di ottemperare in modo adeguato a questa richiesta di maggior
pluralismo, la legge determinava un nuovo tipo di rapporto istituzionale tra sistema politico e
assetto RAI: i vertici dell'ente non dovevano più essere scelti dal governo ma dal parlamento,
coinvolgendo in questo modo non solo le forze di maggioranza ma l’intero arco istituzionale della
rappresentanza politica nazionale.

Infine, all’interno del servizio pubblico RAI, doveva essere creato anche uno spazio per le istanze
locali o legate all’associazionismo cittadino extraparlamentare, cioè un nuovo canale propriamente
decentrato, ossia gestito non solo dalla "testa" centrale della RAI romana, ma da tante più piccoli
redazioni dislocate a livello regionale.

Sintetizzando, possiamo riconoscere nella legge di riforma del 1975 due grandi linee-guida che ne
avevano ispirato le indicazioni: l’esigenza sia di un maggiore pluralismo sia di una forma nuova di
decentramento. Per rispondere a quest’ultima indicazione, fu progettato e poi varato in circa tre anni
un nuovo canale, "il Terzo", che vide effettivamente la luce nel 1979 [Video 23]; esso rispose in
pieno, almeno per un certo periodo, all’esigenza del decentramento, poiché fu organizzato
soprattutto su base locale e nei suoi spazi trovarono molto spesso accoglienza i cosiddetti
"programmi dell’accesso", cioè trasmissioni riservate a interventi - spesso molto poco "televisivi" e
piuttosto tediosi - di valore "sociale", fatti da diverse associazioni di cittadini, il cui passaggio in TV
realizzava così il "pluralismo orizzontale".

Video 23: Inaugurazione della terza rete, 1979.

Quanto al "pluralismo verticale", cioè la coloritura variopinta e completa di tutte le rappresentanze


politiche parlamentari all’interno della RAI, esso fu realizzato organizzando l’azienda non più in
"canali" quanto in "reti": in ogni "rete" doveva essere riprodotto, dal più alto al più basso livello, un
organigramma pluralistico, appunto come una "rete" costituita da tanti intrecci orientati nelle
diverse direzioni. Si fece distinzione, infine, tra rete e testata giornalistica: il settore

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dell’informazione, quindi dei telegiornali, in questo modo venne svincolato dal controllo della rete,
e affermò così l’ennesima chance del pluralismo realizzato nella terra della "comunicazione di
massa".

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UD 4 - Affermazione della TV commerciale

In questa unità didattica si focalizza l'attenzione sulla concorrenza prodotta dal sistema misto.

4.1 - Palinsesto, nuova definizione

4.2 - Nascita della concorrenza: la forza di un network assoluto

4.3 - Il fenomeno della fidelizzazione

4.4 - Il filo diretto con il pubblico

4.5 - TV e cinema

4.1 - Palinsesto, nuova definizione

I grandi mutamenti intervenuti nel decennio Settanta attorno alla televisione ne trasformarono
inevitabilmente anche il linguaggio, lo stile, la logica organizzativa di fondo. La RAI è ancora al
centro di tutto, ma si trova affiancata da decine di nuove tv locali, in piena espansione; il modello
commerciale non si è ancora affermato, ma comincia già a farsi sentire il richiamo del "grande
pubblico", cioè della ricerca prioritaria dei grandi ascolti, più che delle buone opere.

Il primo grande risultato, nella tv pubblica, fu una prima parziale trasformazione del palinsesto. La
giornata televisiva, in primo luogo, si amplia, "conquistando" via via le ore pomeridiane prima e
mattutine poi; ma soprattutto, comincia a diventare molto importante saper legare i programmi
l’uno all’altro, di modo che ognuno divenga il "traino" di quello seguente. Questo meccanismo,
oggi "disciolto" in ogni territorio del palinsesto, in Italia ebbe tra i primi suoi esempi Furia cavallo
del West, un telefilm per ragazzi in onda dal 1977 per due stagioni che, invece di rimanere
"ancorato" alla tradizionale fascia pomeridiana per ragazzi dalle ore 15 alle 17 circa, fu spostato alle
19.20. In questo modo, si spostava anche la gran massa del pubblico giovanile su quell’orario di
ascolto, che "trainava" l’intera famiglia tra le braccia del telegiornale delle ore 20. Il telegiornale
stesso, con il passare del tempo, comincia a "trainare" a sua volta il pubblico verso il cosiddetto
"prime-time", cioè la prima serata, la fascia oraria cruciale e solitamente quella nella quale l’ascolto
e l’attenzione risultano maggiori.

Peraltro, la distinzione tra reti e reti e tra reti e testate promosse una sorta di concorrenza interna alla
stessa RAI; fatto che trovò una prima differenziazione significativa nella diversa impostazione,
durata per molti anni, dei telegiornali della prima e seconda rete. Il telegiornale della prima rete, più
tradizionale e conservatore, rimase sempre fedele a uno schema sobrio, a un linguaggio più
compatto e severo; quello della seconda rete invece fu impostato privilegiando alla cronaca più
secca il tentativo di approfondimento, perseguito attraverso numeri speciali - i Tg2 Dossier - e una
più agile strutturazione dei servizi. Sin da allora, la seconda rete rappresentò un’istanza più
"colloquiale" e immediata nel linguaggio.

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Video 24: Odeon.

In definitiva, in questi anni la struttura della programmazione si complica: contemporaneamente, si


assiste a una progressiva "rottura dei generi", ossia al mescolamento dei generi classici della TV
italiana l’uno nell’altro. Ne sono un grande esempio i nuovi rotocalchi, come Odeon (1976) [Video
24], trasmissione giornalistica il cui taglio d’indagine di costume fece ricorso a un registro non più
sociologico e "serioso" ma scanzonato e ironico, e ancora di più la già citata Domenica in, che dal
1976 diverrà il "programma-contenitore" per definizione, nel quale per lunghe ore s’intrecciano
spettacolo, sport e tante chiacchiere, per riempire il passaggio del tempo con simpatia ma, forse,
senza l’arte dello spettacolo più compiuto.

4.2 - Nascita della concorrenza: la forza di un network assoluto

Canale 5, negli anni Settanta, è solo una fra le tante TV private locali nate come funghi in quel
periodo in Italia. Ma il suo giovane proprietario, un certo Silvio Berlusconi ben arricchitosi nel
settore edilizio, non era tipo che sapesse accontentarsi di una semplice esperienza di tipo amatoriale,
come per tanti altri era l’attivazione di una televisione privata. Nel volgere di pochi anni, infatti,
molte delle televisioni locali nate attorno al periodo 1974-77 già vedevano profilarsi difficoltà
importanti: e fu così che molte di esse cambiarono proprietario, andando pian piano a costituire dei
nuovi network, cioè dei circuiti televisivi unificati e posti trasversalmente sul territorio italiano.
Varie TV locali, cioè, vennero acquistate e unite da uno stesso proprietario e, non avendo in
quell’epoca la possibilità di mandare in diretta le proprie trasmissioni, programmavano spesso in
differita lo stesso programma in regioni diverse tramite le differenti emittenti locali e un sistema di
duplicazione delle cassette registrate del programma. Uno di questi circuiti fu creato proprio da
Berlusconi, con Canale 5; accanto a esso, si costituirono Rete 4, circuito allestito dall’editore
Mondadori, Italia 1, fondato da un altro editore, Rusconi, e infine Odeon TV.

Per qualche anno - circa dal 1981 al 1984 - questi circuiti convissero, sfidando in modo ancora
"morbido" l’ammiraglia della RAI, e riducendo però di gran lunga l’incidenza amatoriale,
spontanea, liberamente creativa della prima fase dell’emittenza privata a base locale. Sono anni in
cui la carica ideologica, talvolta impegnata politicamente o nel sociale delle prime TV private,
lascia spazio a una concezione sempre più commerciale e concorrenziale dell’emittenza
radiotelevisiva. Si può dire, utilizzando una terminologia filosofica, che, in questo periodo tra il
1979 e il 1985, il sistema delle neonate TV private visse una fase di "razionalizzazione", sia per la
riduzione del numero delle voci televisive libere, sia per il nuovo assetto capitalisticamente più forte
nelle mani di sempre meno soggetti.

Ma, nell’anno 1984, giunge a compimento un’ulteriore riduzione e razionalizzazione di questo


"insano" sistema d’emittenza privata, poiché Berlusconi, l’una dopo l’altra, accosta sia Rete 4 sia
Italia 1 a Canale 5, realizzando in questo modo un polo televisivo praticamente parallelo a quello
pubblico rappresentato dalla RAI, però privato e in mano a un unico editore.

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La situazione, in effetti, parve subito abnorme: il problema era che, nonostante tutto, mancava una
legge che sapesse regolamentare in modo rigoroso la materia; di fatto, la sentenza del 1976 (vedi
3.5), che decretava la legittimità dell’emittenza privata solo in ambito locale, aveva lasciato aperto
il problema, né offriva soluzioni a questa nuova situazione, segnata dal dominio di un unico
soggetto produttore privato, addirittura dotato di tre rete trasmittenti a carattere nazionale.
Intervennero solo, nel 1984, alcuni pretori, che a Pescara e Torino per qualche giorno ordinarono di
sospendere le trasmissioni della TV "del biscione" (simbolo di Canale 5): ma un’intesa tra il
Presidente del Consiglio dell’epoca Bettino Craxi e il direttore della RAI Biagio Agnes generò un
decreto che "salvò" le TV di Berlusconi, rinviando ancora una volta la possibilità di una legge.

Era stato, ed era ancora, una specie di "far-west dell’etere": ma, come spesso accade nei western, al
pubblico in fondo non dispiaceva forse poi così tanto…

4.3 - Il fenomeno della fidelizzazione

Eh sì, al grande pubblico, in fondo le tv private erano proprio piaciute. Ma quali furono i
meccanismi vincenti di questa nuova forma di televisione?

Il primo meccanismo fondamentale che determinò questo successo fu quello che in termini tecnici
viene definito come il "processo di fidelizzazione" del pubblico, ossia l’istituzione di un rapporto di
lunga durata tra il pubblico e alcune trasmissioni, e, nelle situazioni ottimali, tra un segmento di
telespettatori e una rete. Le TV private prima di quelle pubbliche, cioè, seppero intessere un
rapporto "profondo" con determinati segmenti di pubblico, indotto da una sorta di ipnosi in una
condizione di dipendenza da qualche programma particolarmente azzeccato. Ma con quali tipi di
programmi riuscì questa impresa? La risposta è molto semplice: tramite una massiccia proposizione
di telenovela sudamericane, di soap-opera americane, di telefilm d’importazione sia statunitense,
ancora una volta, sia europea.

A partire dalle stagioni 1981-82, si riversarono sul telespettatore italiano un numero impressionante
di fiction di lunga durata, caratterizzando in modo addirittura esclusivo canali come OdeonTV o
Rete4, e lo stesso Canale5; e fu decisiva la loro funzione di "ammaliatrici in profondità" della
sensibilità della gente, in grado di legare fortemente il pubblico all’attesa della puntata successiva -
spesso con cadenza quotidiana - nella sovrapposizione sempre più sistematica e oppressiva del
mezzo televisivo alla vita quotidiana in Italia. Tra l’altro, la programmazione di queste lunghe serie
abbatte i costi - si tratta infatti per lo più di comprare al mercato internazionale, e non di produrre in
proprio - e "colonizza" una nuova fascia oraria, solitamente quella del primo pomeriggio. Tra le
telenovela sudamericane, ricordiamo Dancing days (1982) o Topazio; fra le soap-opera
nordamericane invece Dallas (1981) e Dynasty (1982); fra i telefilm in onda dai primi anni ottanta,
- che vanno peraltro annoverati non nella serialità di lunga durata ma nei serial - Falcon Crest,
Colombo, Miami Vice e molti altri polizieschi; tra i prodotti europei, da citare L'ispettore Derrick,
capostipite di una discreta linea editoriale di successo del telefilm tedesco, spesso poliziesco.

A proposito di Dallas, celebre soap-opera americana, va ricordato il fatto che, in un primo


momento, era stata la RAI a proporre le prime puntate nella televisione italiana; ma in RAI, al di là
di un puro valore di intrattenimento, non si riconobbe a questo prodotto quella potenzialità di
penetrazione e di "cattura" sulla lunga durata del pubblico che invece capì al volo Canale5, rete che
comprò i diritti e ritrasmise Dallas collocandolo in posizione strategicamente molto più efficace, in
prima serata. Si creò infatti un appuntamento fisso e "rituale", in grado di occupare le attenzioni in
esclusiva, a lungo andare, di un vasto pubblico quasi ipnotizzato.

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4.4 - Il filo diretto con il pubblico

Negli anni Ottanta, la TV non si accontenta più di rimanere uno spettacolo di fronte ai suoi
telespettatori: essa diventa sempre maggiormente uno spettacolo con i telespettatori [Video 25].
Durante questo periodo, cioè, la televisione fa direttamente entrare gli spettatori nelle sue
trasmissioni e un "filo diretto" si dipana dalle case degli italiani alla scena dello spettacolo
televisivo.

Video 25: Uno mattina. Video 26: Pronto chi gioca?, 1983.

Gran maestra di questa avvenuta trasformazione, in quanto "pioniera fondatrice" di questo nuovo
genere di programma, fu ancora una volta Raffaella Carrà che, con Pronto chi gioca? [Video 26],
nel 1985 all’inconsueto orario di mezzogiorno prese appunto a giocare con le persone da casa
tramite il telefono; obiettivo di tutto ciò era l’immancabile premio in denaro messo in palio dalla
televisione, se il telespettatore sapeva indovinare facili o del tutto aleatori quesiti. In realtà, il fine
vero di questa trasmissione era proprio quello di far intervenire il pubblico e di dare la sensazione
che il programma fosse "aperto" a tutti. È come se la televisione volesse mostrarsi meno lontana e
inaccessibile, dunque più "democratica" nei confronti della massa: il confine tradizionale tra la zona
della scena e la zona del pubblico subisce da allora sempre più incursioni che compromettono le
vecchie distanze, quasi che la televisione venisse a raccogliere le persone normali per portarle
dentro di sé, concedendo loro, con ciò, un grande privilegio.

Una linea di tendenza che è proseguita, semmai confermandosi negli anni più recenti: a tutt’oggi,
basta accendere la televisione per intercettare qualcosa di simile, su qualsiasi canale ci si fermi: ed è
da notare anche un altro importante aspetto legato a questo tipo di trasmissioni, ossia il
preponderante ruolo che in esso finisce per ottenere il richiamo all’elemento emotivo, al
coinvolgimento dei sentimenti del pubblico. Attivare la commozione, indurre qualche buon
sentimento diventa funzionale, evidentemente, alla tv che gioca con gli spettatori da casa: due modi
contrari di avvincerlo sempre meglio a sé, inserendolo quasi senza che se ne accorga nella grande
piovra consumistica della comunicazione pubblicitaria, vera finalità sotterranea della tv
commerciale dominata dalla concorrenza.

4.5 - TV e cinema

Che la televisione potesse costituire un'insidia per la centralità del cinema, già si era visto negli anni
Cinquanta, quando l’irruzione del nuovo mezzo era arrivata quasi a dimezzare il pubblico al
botteghino. Ma l’entrata in scena, negli anni Settanta, accanto al servizio RAI, di tante nuove
emittenti private sconvolse quasi definitivamente l’industria cinematografica italiana (vedi il
modulo Il cinema italiano dalla seconda metà degli anni Settanta alla fine del secolo [1977-2000],
UD2). Infatti, soprattutto durante la programmazione notturna - che fu proposta per prima dalle
televisioni locali, fino a notte fonda, e solo dopo dalla TV pubblica - il numero di film "passati" in

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televisione aumentò a dismisura, specialmente dall’anno 1977 in poi: ciò ebbe due grandi
conseguenze.

La prima, di tipo economico-strutturale, logico risultato di questa invasione di film nelle case
italiane, fu un calo drastico degli spettatori nelle sale cinematografiche, che presero a chiudere in
massa, soprattutto nei piccoli centri - in Italia c’era ancora un cinema in ogni paese, in quell’epoca.

La seconda, di tipo artistico e culturale, riguarda l’affermazione nel gusto dominante di una
sensibilità molto semplice e disimpegnata: infatti, i film "notturni" che educarono quasi di nascosto
l’Italia in quegli anni erano film ritenuti di "serie B", cioè di ben poca ambizione sia artistica sia
culturale in senso lato, molte volte di sapore puramente goliardico e, come si diceva allora, un po’
"scollacciati", ossia infarciti di allusioni o esibizioni legate al sesso. Anche da qui, insomma, parte
quella decadenza del cinema italiano, impoverito per più di un decennio sia nei mezzi sia nei
contenuti, che hanno visto privilegiati sempre di più il qualunquismo, la comicità facile e una certa
sciattezza formale e di sceneggiatura.

Capitò così che fu la televisione, divenuta l’industria dello spettacolo più potente in Italia, a farsi
carico del cinema. Abbiamo già visto (in 2.4) il ruolo di Rossellini in tale impresa, negli anni
Sessanta e Settanta, con i suoi straordinari film per la televisione; ma oltre al maestro del
neorealismo la RAI si decise a produrre anche molte altre opere, sia sperimentali, come con un
gruppo innovativo di giovani registi "contestatori" autori di documentari impegnati - i cosiddetti
"sperimentali", appunto - sia destinate al più grande pubblico, come avvenne per fortunate serie di
film televisivi, di cui L’Odissea (1970) di Franco Rossi costituì l’esperienza di punta [Video 27].
Nel corso degli anni, la RAI finanziò film di grande valore artistico, e destinati in primo luogo non
alla TV ma alle sale cinematografiche: ne sono esempi gloriosi L’albero degli zoccoli di Ermanno
Olmi (1978), Padre padrone dei fratelli Taviani (1978, vedi il modulo Il cinema degli anni Sessanta
e Settanta, 3.3), E la nave va di Federico Fellini (1983).

Video 27: Franco Rossi, Odissea, 1970.

Anche Bertolucci, Bellocchio, Antonioni, tra altri, ebbero la possibilità di trovare finanziamento per
i loro film grazie alla RAI. Una stagione dunque paradossale, in cui la fine del cinema, causata dalla
televisione, fu molto spesso impedita proprio dalla sensibilità e dalla lungimiranza artistica di alcuni
grandi dirigenti della stessa televisione, sensibilità scomparsa sia nella carne sia nello spirito della
televisione commerciale di oggi.

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UD 5 - La piazza televisiva

L'unità didattica analizza il nuovo e intenso rapporto tra TV e società che si forma negli anni
Ottanta.

5.1 - Dal magazzino alle reti

5.2 - La nuova RAI Tre

5.3 - La piazza della politica

5.4 - Ascesa della fiction "buona": il segno della Piovra

5.5 - L'informazione dei privati

5.1 - Dal magazzino alle reti

Gli esordi della TV privata portano, letteralmente, l’America in Italia. Un gran numero di prodotti
americani, soprattutto statunitensi, ma anche latini, venne acquistato a prezzi bassi e a stoccaggi
d’interi "pacchi" di telefilm o soap-opera comprati in blocco. In questo modo, la TV privata si
dotava di una sorta di magazzino: ciò le permetteva di colmare inizialmente la sua inferiorità di
mezzi rispetto al collaudato servizio pubblico. Era insomma più conveniente comprare all’estero dei
"sottoprodotti" di larga "tiratura", che allestire una struttura tecnica completa per creare dei prodotti
propri in autonomia.

Fu così che, nei primi anni Ottanta, l’ascesa delle reti Fininvest (Canale5, Rete4 e Italia1) si fondò
non su grandi operazioni televisive originali, ma su prodotti d’importazione "sparati"
massicciamente per tutta la giornata: costo dell’operazione, oltre al prezzo - basso - d’acquisto
originale, l’inserimento meccanico di una semplice cassetta. Accanto alla convenienza economica, è
necessario però saper cogliere anche un altro aspetto di tipo più sottilmente culturale in questa
scelta: ossia la tendenza a importare, proporre e diffondere alcuni dei prodotti più "tipici" e
caratterizzanti del modello televisivo americano, da sempre fondato su un "patto commerciale" e
non solo "formativo" con la massa dei telespettatori, cercando in questa maniera anche di
"americanizzare" il pubblico italiano, rendendolo così più adatto a "consumare" una tv di natura
commerciale.

Ma dopo l’invasione di miriadi di soap-opera, telefilm, fiction di tutti i tipi, giunse in seconda
battuta un’operazione contraria a trasformare di nuovo lo scenario. Proprio partendo da Canale5, si
diffuse dal 1984 circa in poi una nuova tendenza autoproduttiva, basata prima di tutto su varietà o
sit-com "caserecci": essi sfruttarono il prestigio e le capacità di molte vecchie glorie dello spettacolo
televisivo nazionale. Da Iva Zanicchi a Domenico Modugno, dai coniugi Vianello a Corrado allo
stesso Costanzo e molti altri, tutti guidati dal capostipite di questa migrazione dalla RAI alla
Fininvest, cioè Mike Bongiorno, molti furono i personaggi di punta di una TV privata che
improvvisamente, accanto all’apertura "internazionale", americanizzante, riscopre e ripropone a
modo suo un gergo dell’intrattenimento tipicamente nazionale e profondamente popolare. Alcune
trasmissioni storiche di questa stagione furono OK Il prezzo è giusto (1983), La Corrida (1986),

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Premiatissima (1983), La ruota della fortuna (1989), e Casa Vianello (1988), una sit-com
all’italiana.

Un posto speciale occupò Drive-in (1983) di Antonio Ricci: esso fece epoca perché, mimando in
parodia i loro nuovi linguaggi, riuscì a catturare la vasta attenzione dei giovani, rivelandosi come
un’innovazione sia nella comicità sia nel gusto estetico "eccessivo", basato sul recupero delle tinte
forti rubate all’immaginario tipicamente consumistico della società americana (di cui il drive-in,
santuario irriverente della sovrapposizione commerciale cinema/fast-food/automobile, costituisce la
metafora più emblematica e rivelatrice dell’idea di cultura del nuovo corso commerciale della
televisione italiana).

5.2 - La nuova RAI Tre

Per più di cinque anni, dal 1979 al 1985, la terza rete RAI aveva trascinato la propria povera
esistenza decisamente ai margini della vivace evoluzione televisiva intervenuta sulle altre reti, tanto
pubbliche che private. Essa, come già accennato, era stata ideata per rispondere all’esigenza tratta
direttamente dalla legge del 1975 (vedi 3.5), di un’articolazione territoriale capillare del servizio
pubblico, in grado di offrire ai cittadini uno spazio d’accesso democratico e diffuso. Quanto di
meno commerciale o spettacolare ci poteva essere: per anni la programmazione della rete procedette
tra interventi di associazioni, dibattiti amministrativi, servizi informativi regionali o cittadini e una
prima discontinua proposta di "operazioni culturali" elevate - teatro, arte, politica, scienza. Lo share
medio giornaliero, all’epoca delle prime rilevazioni Auditel, difficilmente superava il 3%: la terza
rete si presentava davvero come la sorella povera e abbandonata dell’ammiraglia RAI.

Ma tra il 1986 e il 1987 le cose cambiarono, e, una volta tanto, in meglio. Giunse infatti alla
direzione della rete Angelo Guglielmi, intellettuale di sinistra e da sempre dirigente di spicco
dell’impresa radio televisiva. Egli dispose una trasformazione radicale di questa rete: non più spazio
di servizio ma nuova proposta culturale. Guglielmi infatti lasciò libero impulso all’immissione,
nella nuova RAI Tre, di stili, linguaggi e tematiche decisamente innovative. A cominciare dal
telegiornale: il cosiddetto "TeleKabul" - per la naturale filiazione dei suoi dirigenti dall’area
comunista - di Alessandro Curzi "svecchiò" sia l’immagine scenica del TG in Italia, sia la qualità
informativa stessa, contribuendo ad articolare la proposta giornalistica in un modo più agile e
approfondito tramite la moltiplicazione dei documentari sul campo e degli spazi di dibattito vivo e
aperto in studio.

Ma anche lo spettacolo vero e proprio fu rinnovato dalla mutata RAI 3: una giovane generazione di
comici esordì proprio in questo contesto, in programmi d’avanguardia come Avanzi (1991) o La TV
delle ragazze (1988), che portarono al successo figure come Serena Dandini, Corrado e Sabina
Guzzanti, Francesca Reggiani, Cinzia Leone, soprattutto una generazione di donne comiche prima
mai permessa dalla TV tradizionale.

Rivoluzionario fu anche il rapporto nuovo istituito col pubblico e con la società da Samarcanda,
trasmissione condotta a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta da Michele Santoro, in cui erano
rappresentate voci di piazza, prese nella spesso violenta contrapposizione tra le parti messa in scena
dalla trasmissione.

Sempre dalla nuova RAI 3 escono infine le prime prove della "TV verità", come pure della TV di
servizio, o utility-TV: ne sono rispettivamente testimonianza Telefono giallo con Corrado Augias e

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Chi l’ha visto, prove sperimentali di grande successo, cui si è affiancata anche una discreta
produzione di programmi d’interesse naturalistico, come ad esempio Geo & Geo con Licia Colò.

5.3 - La piazza della politica

Abbiamo accennato in 5.2 alla novità costituita da Samarcanda di Santoro (1987) [Video 28]: essa
ha rappresentato una tappa fondamentale nella storia della televisione italiana, ma anche
parallelamente del costume politico e delle sue espressioni in Italia. Con Samarcanda entra in
televisione la voce della gente, il grido della piazza: una piazza quasi sempre colta nel suo stato di
alterazione, una piazza "arrabbiata".

Video 28: Michele Santoro, Samarcanda.

La voce critica della gente raccolta da Santoro è insomma una sorta di reazione parallela, sul piano
politico, della voce telefonica della gente che gioca con la Carrà o con i mille giochi a premi della
TV commerciale. L’esigenza già sottolineata in quei programmi leggeri di democratizzare la
comunicazione radiotelevisiva viene presa terribilmente sul serio da Santoro e dai vari suoi epigoni
di successo, come Gad Lerner - fondamentale, negli anni Novanta, la sua conduzione di Milano
Italia (1992), sempre sul terzo canale -, Lucia Annunziata e lo stesso show-man romanesco
Gianfranco Funari.

Con Samarcanda, infatti, il pubblico o la piazza non sono interpellati in vista di un divertimento
leggero, ma su importanti questioni politiche e sociali. Con grande tempismo, Santoro ha saputo
cogliere in realtà l’inquietudine profonda legata a un passaggio epocale della storia italiana, il quale
proprio negli anni tra il 1988 e il 1993 circa ha trasformato la politica, il costume, le forze in campo
del potere e i loro simboli. In fondo, l’agitazione di piazza inquadrata per la prima volta dalla TV
con enfasi, e non coperta o nascosta con vergogna come nel passato, anticipa il grande rivolgimento
politico-giudiziario dei primi anni Novanta (vedi il modulo Com'è governata l'Italia, 4.5), che
eliminerà letteralmente dalla scena i politici e i partiti, e infine anche alcune istituzioni, della
cosiddetta Prima Repubblica.

In questo modo, la televisione contribuisce a trasformare l’espressione stessa della politica, che,
istigata a un confronto diretto e plateale dai toni spesso agitati e fortemente reattivi negli spazi di
Samarcanda o di Milano Italia, perde la virtù - o il vizio - del proprio linguaggio settoriale e
specialistico (il cosiddetto "politichese") e si trova costretta a costruire personaggi di forte impatto
comunicativo, capaci di adottare la terminologia degli slogan e di cavalcare l’onda emotiva
dell’opinione pubblica rivoltata. Anticipando, in effetti, gli esiti di una politica divenuta
performance, la cui patente forza d’affermazione si trova, oggi, sotto gli occhi di tutti.

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ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

5.4 - Ascesa della fiction "buona": il segno della Piovra

Se i toni polemici della società "che protesta" scuotono, da parte loro, l’orizzonte controllato
dell’informazione giornalistica, alcune opere di finzione contribuiscono nello stesso periodo a
sensibilizzare egualmente il pubblico di fronte ad alcuni grandi problemi che tormentano il paese.
Nasce una fiction "sociale" che uno dopo l’altro costruisce per un decennio - fino ai nostri giorni -
una schiera di personaggi "positivi" impegnati nelle loro storie a far vincere i valori civili e la
sensibilità al servizio del prossimo: marescialli, poliziotti, medici, preti, dottoresse, talvolta anche
detective, magistrati e avvocati. Da Amico mio (1993) al Maresciallo Rocca (1996) alla Dottoressa
Giò, a Un Prete per amico, la schiera delle fiction buone ma anche capaci di "svelare" e denunciare
i nuovi mali della società è molto lunga, e baciata dal grande successo soprattutto dei loro attori
protagonisti, tra i quali ricordiamo Massimo Dapporto, Ferruccio Amendola, Gigi Proietti, Stefania
Sandrelli, Barbara D’Urso, Barbara De Rossi, Gioele Dix, Sergio Castellitto e vari altri.

Video 29: Michele Placido in La piovra.

Ma l’opera fiction dal respiro maggiore, allungata per molte stagioni di nuove serie, è stata
senz’altro La Piovra e i suoi sequel ( in onda la prima serie nel 1984; poi nel 1986, 1987,1989,
1990, 1992, 1995,1997, 1998) [Video 29]. Nata nel pesante clima di violenza e sopraffazione
mafiosa degli anni Ottanta, La Piovra raccoglie la sfida che l’attualità proponeva, presentando una
storia forte dalle profonde tonalità drammatiche, modulate in un sapiente affresco della realtà senza
mancare mai all’esigenza della suspence narrativa. Se da una parte l’elemento quasi poliziesco
domina in superficie il clima di tutte le puntate, più in profondità si dipana in realtà una vera e
propria saga, che segue le vicende incrociate dell’avventura criminale mafiosa e delle disperate
storie di coloro che la combattono. La Piovra costituisce così un contrappunto drammatico,
sapientemente diviso tra la naturale inclinazione di adesione alle imprese dei personaggi positivi e
la misteriosa attrattiva parallela dei protagonisti malvagi, colti non solo nella loro brutalità ma
anche nella loro cupa angoscia.

Accompagnando le sere delle domeniche d’inverno, La Piovra ha contribuito ulteriormente a


diffondere il senso critico nei confronti della corruzione della politica legata ai poteri forti; essa
instillava un’inquietudine sottile nel pubblico mostrando la risolutezza feroce del potere,
accompagnato a sua volta dal sottofondo musicale dissonante in minore e da alcuni squarci
panoramici dell’angoscia siciliana.

5.5 - L'informazione dei privati

È senz’altro degno di attenzione e di una qualche considerazione il fenomeno legato alla


concessione della diretta anche alle TV private. Questo, soprattutto, ha permesso l’istituzione di
notiziari competitivi per i privati stessi, i quali sin dal primo momento possibile non si sono fatti
sfuggire l’occasione di sfidare il monopolio tradizionale della RAI. In effetti, i telegiornali privati

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ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

sono nati circondati da un notevole alone di attesa e di curiosità: ma, a conti fatti, si può dire che
dopo un decennio il contributo dell’informazione privata si è rivelato quasi banale, se non modesto.

Oggi, in Italia, anche le televisioni private locali più piccole riescono a mettere in piedi un
telegiornale o dei servizi d’informazione: essi spesso costituiscono, pur sostenuti da servizi in
esterno colti con mezzi di ripresa non certo impeccabili e assediati da ore interminabili di
televendite, l’unico vero fiore all’occhiello di queste emittenti. Ma, naturalmente, la parte più
significativa nell’informazione privata televisiva è stata e viene svolta da Mediaset, e soprattutto dai
telegiornali impaginati da Rete4 e da Canale5.

Il TG 5, diretto da Enrico Mentana dal 1992 al 2004, si è segnalato per la discreta completezza della
sua proposta informativa, sufficientemente aperta e piuttosto incisiva nell’enunciazione linguistica
degli avvenimenti. Va però obiettivamente registrata l’incalzante costruzione "catastrofistica" della
sua scaletta alquanto nevrotizzante, ben condotta in tal senso da Mentana stesso, noto per i toni di
voce sempre sopra le righe e dispensatori di una certa agitazione. D’altronde, come vedremo in 6.1,
ormai il telegiornale è diventato un’occasione d’intrattenimento, di rapimento dell’attenzione, molto
più che un servizio d’informazione: ecco perché i TG cercano sempre l’effetto drammatico, dove la
scaletta - cioè la presentazione in flash successivi dei principali fatti e argomenti del giorno - viene
sparata come una scarica di shock, e la voce e il "recitato" dei conduttori sono simili a quelli di un
attore di teatro.

In questo senso, anche il ruolo del conduttore è decisamente mutato negli ultimi anni. Il conduttore,
sempre più spesso, diventa, in effetti, esso stesso un personaggio: magari sfiorato da ammiccamenti
un po’ perturbanti, come è accaduto con varie conduttrici del TG 2, quali Lorenza Foschini, Lilli
Gruber, Carmen Lasorella, Maria Luisa Busi.

Ma il vero, grande, discusso personaggio che il telegiornale italiano ha creato è Emilio Fede. Questo
conduttore, formatosi in RAI e protagonista a sua volta del telegiornale del secondo canale negli
anni Settanta, ha messo in piedi negli ultimi quindici anni oramai un "suo" quasi personale regno
dell’informazione televisiva, il noto TG 4, sugli spazi di Rete 4. Decisamente, nel panorama non
solo nazionale ma anche internazionale questo telegiornale rappresenta sulla scena televisiva non
tanto un notiziario, quanto una - neppure tanto sottile - celebrazione del proprio padrone, che poi
non è altri che l’attuale Presidente del Consiglio Berlusconi (2008). L’officiante di questa
celebrazione - che avviene tre volte al giorno come minimo - è Fede stesso: egli sa trasformarsi in
un attimo da giornalista in attore, modulando come a teatro i toni delle parole e la mimica
straordinaria del suo volto. Non è raro che Fede si lanci durante questi telegiornali in lunghe
disquisizioni, quasi sempre critiche nei confronti della sinistra e così smodatamente elogiative verso
il grande leader che, in fondo, la figura di Fede col suo telegiornale va più ascritta all’opera comica
che a un’informazione seria.

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UD 6 - Neotelevisione e il superamento dei generi

L'unità didattica è dedicata alla riflessione sulle logiche della cosiddetta neotelevisione.

6.1 - Definizione di neotelevisione

6.2 - I grandi eventi e la kermesse sanremese

6.3 - La vita in diretta. Utilità sociale della TV

6.4 - Autoironia e denuncia, oltre se stessa

6.5 - L'amore della televisione

6.1 - Definizione di neotelevisione

L’avvento di una dimensione concorrenziale, come si è visto, ha trasformato nettamente sia il


rapporto tra la televisione e i suoi telespettatori sia la definizione della TV su se stessa, dei propri
obiettivi e del proprio linguaggio specifico. Si è così, da parte di alcuni intellettuali tra cui Umberto
Eco e Gianfranco Bettetini, riconosciuto e teorizzato l’affermazione di una nuova forma di
televisione, ribattezzata appunto "neotelevisione". Tale metamorfosi si compie, per lo più, nel cuore
degli anni Ottanta [Video 30]: e non è difficile ritrovare nel senso dei suoi spostamenti la medesima
mutazione sociale avvenuta in tante altre forme della vita civile in quegli stessi anni, soprattutto
nella forma sempre più individualista, parcellizzata e frammentaria del gusto e della fruizione del
pubblico, al posto del precedente modello più collettivo e condiviso della fruizione stessa.

Video 30: Al Paradise, 1983.

Possiamo allora riconsiderare, in una definizione, le qualità essenziali che si associano a questo
nuovo tipo di dimensione televisiva, il cui insediamento ha rappresentato una svolta epocale nella
storia dei media. La neotelevisione è definita dalle seguenti caratteristiche salienti: la serialità
ripetitiva, colta a proposito della ricerca della fidelizzazione (vedi 4.3); la conversatività
affabulatoria (che vedremo meglio in 7.4); il ricorso al demenziale nella recita dei comici, per
esempio, in alcune prove offerte dalla nuova RAI 3, e soprattutto due qualità generali e di fondo:
ossia la sua costruzione come un "flusso" senza pausa, anziché come un insieme di testi divisi da
intervalli regolari, che individuavano con chiarezza la differenza l’uno dall’altro, e l’ossessiva
"autoreferenzialità circolare", ossia la quasi maniacale e oppressiva circolarità dei discorsi e dei
riferimenti utilizzati dalla TV, puntualmente rivolta a citare se stessa. La TV parla e considera
prima di tutto ciò di cui lei stessa ha già precedentemente parlato, secondo un principio prevalente
non di originalità quanto di ripetizione, di ritorno del già familiare.

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Vista da vicino, la neotelevisione obiettivamente mostra alcune qualità poco invidiabili: ma


qualcosa di lei, quando ci penetra dentro, riesce anche a conquistarci e mantenerci in pugno ogni
volta che vuole.

6.2 - I grandi eventi e la kermesse sanremese

Una delle regole, o delle virtù, della TV è quella di creare eventi. Creare eventi significa costruire
attorno a un fatto, a una situazione sufficientemente speciale una grande attenzione di massa,
indotta dall’illuminazione stessa dei mass-media. La TV italiana si è dimostrata piuttosto sapiente in
questo compito: aiutata dalla tipica propensione nazionale al clamore - già presente nel tono medio
tenuto dai giornali -, all’esasperazione o all’esaltazione spesso eccessive di fronte a ciò che di volta
in volta avviene, essa, a partire dagli anni Ottanta, ha saputo scegliersi alcune situazioni privilegiate
per renderle grandi eventi mediatici.

Vi sono, come si sa, grandi eventi che si rivelano come tali improvvisi e che, proprio per la buia
imprevedibilità da cui irrompono, si pongono subito al centro dell’attenzione di massa. È stato così,
in tutto il mondo, per gli eventi tragici dell’11 settembre 2001; è stato così per altri avvenimenti,
quasi sempre luttuosi, come la scomparsa improvvisa di una star o di una personalità popolare della
politica o della società.

Ma, accanto a questi shock della storia, colti più o meno in diretta, vi sono anche dei grandi eventi
periodici, che tornano a intervalli regolari sulla scena sociale. Sono eventi spesso festosi, o in
qualche modo eccitanti; hanno a che fare talvolta con un aspetto competitivo, oppure ludico
(pensiamo, ad esempio, alle grandi manifestazioni sportive). Proprio su questi ultimi ha lavorato
con efficacia la TV italiana: e tra questi, non può essere tralasciato il fenomeno legato all’evento
televisivo dell’anno, che in Italia è il "Festival di Sanremo". Questo Festival musicale della
canzone, nato nel 1951 e trasmesso, allora, dalla radio, funziona come una gara tra cantanti:
meccanismo principale che, da sempre, ha reso elettrizzata ed elettrizzante l’attenzione verso di
esso da parte del pubblico. È interessante ricordare che, nel cuore degli anni Settanta, il Festival era
stato ormai abbandonato dalle telecamere della televisione, a causa della forte politicizzazione della
società italiana dell’epoca, poco propensa a divertirsi con una gara, spesso effettivamente insulsa, di
canzoni in fondo leggere e senza pretese. Con gli anni Ottanta, però, il Festival è stato recuperato
dalla TV e potentemente rilanciato: al punto che ormai oggi è del tutto gestito e pianificato dalla
televisione e non più dalle case discografiche. E questo proprio perché il Festival si è rivelato
l’evento periodico a scadenza regolare più forte del panorama nazionale non solo televisivo ma
dello spettacolo in genere.

Come minimo, esso costituisce il più televisivo di tutti: poiché nel Festival è possibile ritrovare la
gradevolezza popolare della musica leggera, il brivido dell’incertezza della gara, l’occasione del
pettegolezzo mondano, la speranza di tanti piccoli scandali e polemiche legate ai divi e ai loro
sempre possibili colpi di testa, e una miniera di incontri buoni per tutte le TV e tutte le radio
pubbliche e private.

In tal senso, il Festival rappresenta un "giacimento" prezioso da cui estrarre per mesi interi filoni di
materiale sfruttabili per diversi comparti dell’industria culturale, tanto musicali quanto televisivi,
radiofonici e giornalistici: poiché Sanremo sa creare ciò che c’è di più importante nel circo
mediatico di oggi, ossia grammi pesanti di notorietà e il clamore scritto nelle parole più lievi
dell’annata.

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ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

6.3 - La vita in diretta. Utilità sociale della TV

Al giornalismo della neotelevisione non basta più lo spazio tradizionale e ristretto del telegiornale.
L’informazione, o qualcosa che le somiglia, travalica in molte altre trasmissioni, soprattutto
pomeridiane, nelle quali l’istanza giornalistica seria si associa a un deciso effetto fiction, cioè in
qualche modo di tipo narrativo e avvincente, come una storia di fantasia tratta da un film o da una
commedia. Ragion per cui si può dire che sempre di più il genere classico dell’informazione ormai
in buona parte si mescola felicemente sia con elementi narrativi, che gli conferiscono un tocco di
tragico, sia con elementi di spettacolo, che invece gli disegnano attorno una cornice leggera.

Modello notevole, per forza e successo, di questa nuova configurazione è stato La vita in diretta,
programma della seconda rete in onda ogni giorno nel cuore del pomeriggio: da uno studio pieno di
pubblico, un giornalista modula il clima della trasmissione, spesso tragico - se non truculento -
quando passa la linea ai servizi esterni, e invece decisamente leggero o addirittura pettegolo e
malizioso quando si torna in studio. Per un periodo, La vita in diretta cercò di privilegiare, sotto la
torbida e ferma conduzione di Piero Vigorelli, il primo elemento votato al tragico, con cui si
cercava di indagare sin nei particolari più raccapriccianti qualche delicato caso di cronaca nera,
spesso tuffandosi nella profonda provincia italiana. In questo modo, il pomeriggio di RAI 2 per
svariate stagioni - dalla fine degli anni Ottanta alla metà dei Novanta - è vissuto sotto il segno
lugubre del delitto.

Video 31: Il mondo di Quark. Video 32: Chi l’ha visto?

La capacità di ricavare un effetto narrativo da una prospettiva realistica ha toccato anche alcuni
programmi di successo della cosiddetta utility-TV [Video 32], cioè della tv "di servizio" per i
problemi della società. Le ricostruzioni di Telefono giallo, gestito da Corrado Augias, otteneva un
effetto di suspense, mentre cercava di fare luce su delitti irrisolti, effetto probabilmente cercato dal
suo conduttore; ma ancora di più Chi l’ha visto?, programma dedicato ogni martedì in prima serata
alla ricerca degli scomparsi d’Italia (dal 1989), finiva per raccontare con grandi suggestioni tante
storie appassionanti e sorprendenti, ogni volta colte direttamente dalla realtà più verace nascosta nel
quotidiano che ci sta davanti.

6.4 - Autoironia e denuncia, oltre se stessa

Come abbiamo visto in 6.1, tra le caratteristiche della neotelevisione c’è quella di parlare troppo
spesso, o quasi sempre, di se stessa. Il più delle volte, questa autoreferenzialità sostiene i poveri
contenuti dei tanti quiz legati alle telepromozioni, o le chiacchiere degli ospiti noti in qualche
trasmissione priva di un obiettivo che non sia quello di esibire volti celebri, con l’aura del loro
successo di attori o cantanti a garantire l’attenzione dei telespettatori.

Ma sul finire degli anni Ottanta, spesso ancora una volta uscite dalla fucina della nuova RAI 3,
trovano un loro spazio significativo anche delle trasmissioni in cui l’autoreferenzialità della

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televisione acquisisce un tono sapientemente ironico, se non "autocritico": programmi cioè il cui
senso è proprio quello di "prendere in giro" la televisione stessa, le sue pratiche e i suoi linguaggi
[Video 33]. Nasce insomma una televisione che in qualche modo "inverte" la logica corrente su cui,
in tutte le altre trasmissioni, essa basa il proprio successo; ma proprio per questo, finisce per
funzionare talvolta con ancora più efficacia.

Video 33: Quelli della notte. Video 34: Il portalettere.

Per esempio, la presa in giro del divismo era il sale dell’operazione televisiva realizzata da Piero
Chiambretti, in Va' pensiero (1987) come pure in Prove tecniche di trasmissione (1989), e in
seguito magistralmente messa a punto ne Il portalettere (1991) [Video 34]: Chiambretti riesce in
tutte queste prove a rendere comica, divertente, ma soprattutto protagonista la gente normale e
l’improvvisazione che con grande capacità egli s’inventa assieme a questo pubblico incontrato per
strada. Chiambretti trasforma chiunque intervisti in una specie di "spalla comica" per le sue battute:
in questo modo, specialmente ne Il portalettere, trova la possibilità, altrimenti negata a tutti gli altri,
di esprimere a politici o importanti uomini pubblici - nel programma destinatari delle lettere -
dissenso, critiche e appunti polemici, sempre ovviamente filtrati da un’irresistibile ironia frizzante.
Come lui, va ricordato anche un altro intervistatore surreale, Gianni Ippoliti.

Un’operazione ancora più profonda, in questo senso, hanno poi realizzato Blob e Striscia la notizia.
La prima di queste trasmissioni, Blob (1989), costruita da creativi "filosofi" del mezzo TV come
Marco Giusti ed Enrico Ghezzi, costituisce una vera e propria "reversione del tempo televisivo":
Blob (un titolo dal sapore splatter) è un "rimontaggio" senza presentazioni né commenti di una serie
scelta arbitrariamente di spezzoni tratti dalle trasmissioni del giorno prima, che si trova così
"ricostruita" in un modo nuovo e paradossale, non senza effetti stranianti.

Una graffiante attenzione critica e un po’ forzatamente comica ha saputo confezionare anche
Striscia la notizia (dal 1988), pensata da Antonio Ricci e in onda invece su Canale5: qui invece è di
scena un telegiornale comico, che, anche grazie al supporto delle risate registrate a getto costante
come nelle sit-com americane, passa in rassegna, satireggiandola, la proposta televisiva nazionale,
cercandone gli errori, i difetti, le clamorose falsificazioni. Oggi Striscia è diventata una sorta di
caccia alla truffa, con inviati mandati in tutta Italia a svelare scandali, inadempienze e malefatte
capitate ai cittadini.

In questo modo, la tv italiana ha mostrato di essere giunta a un punto limite: quello di fare successo
non solo con una programmazione "seria" ma anche con una programmazione parallela e
"semiseria" che vive ironizzando, scomponendo e in qualche maniera desacralizzando proprio
questa prevalente programmazione più seria.

6.5 - L'amore della televisione

Da molti anni, ormai, gli studiosi vanno interrogandosi sul rapporto d’influenza esistente tra i
comportamenti rappresentati dalla televisione e i comportamenti reali, riscontrabili nella società.

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ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

Tali influenze sono indubbiamente aumentate di forza con l’avvento della neotelevisione: e un
rapporto particolare si è in questo senso instaurato tra i costumi amorosi e sentimentali, soprattutto
dei giovani, e la loro rappresentazione quotidiana da parte della televisione italiana. L’amore in
televisione, dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, ottiene decisamente un grande successo.
Esso, come tale, ha contribuito all’affermazione di un modello comunicativo basato sulla
trasmissione e il rapimento emotivo, cioè il cosiddetto emotainment, ossia "intrattenimento delle
emozioni".

Dai canali privati è così giunto al grande pubblico un numero davvero notevole di trasmissioni
fondate su qualche problema, o prospettiva, o incontro imprevisto d’amore. All’inizio, negli anni
Ottanta, prevalsero alcuni programmi in cui l’amore era il dispositivo di un gioco, come appunto nel
Gioco delle coppie (1985), leggera kermesse estiva in cui alla fine due concorrenti vincevano un
viaggio da fare assieme. Poi s’introdusse, accanto a questo modello "solare" e leggero dell’amore in
tv, quasi sempre legato alle vacanze, all’estate, al divertimento, un’esibizione e uno sfruttamento
dell’amore per così dire "arrabbiato": fu la volta di C’eravamo tanto amati (1989), programma
condotto impeccabilmente dall’ironia dell’attore Luca Barbareschi, in cui alcune coppie litigavano
bellamente davanti alle telecamere e il conflitto coniugale diventava così un vero e proprio
spettacolo. Dopo la coppia in crisi non poteva che essere rappresentato "il terzo incomodo" -
l’amante, il nuovo partner, ecc. -: ingrediente introdotto negli anni Novanta da molteplici
programmi, tra cui spiccano quelli condotti da Maria de Filippi. Quest'ultimo è un nome che deve
essere ricordato: a dispetto delle previsioni, Maria de Filippi, infatti, si è rivelata come una delle
protagoniste assolute dalla televisione generalista italiana fino ad oggi; si può dire che Maria sia la
vera regina dell’emotainment all’italiana. I programmi della de Filippi hanno infatti seguito e
ulteriormente riaffermato una linea, nella rappresentazione televisiva dell’amore, definita da un
altro programma cult della tv italiana, ossia Stranamore (1984), condotto dalla maliziosa eleganza
di Alberto Castagna. Stranamore, dopo l’amore come dramma, afferma questo sentimento come aut
aut cruciale nella vita reale delle persone, che nei suoi spazi, davanti a tutta l’Italia, cercano
disperatamente l’anima gemella perduta, che forse la domenica nello studio di Castagna tornerà da
loro, oppure no, lasciandoli, di fronte ai milioni di telespettatori, a una disperazione così tangibile
quanto vera, che è il sentimento che più attrae il pubblico.

La de Filippi – dal 1998 in poi - eredita questo dramma d’amore, ma tende ormai a trasferirlo
all’intera portata dei rapporti di famiglia, reintroducendo un po’ tutti i drammi della letteratura
d’appendice dell’Ottocento, con figli che cercano i padri, madri snaturate che disconoscono e poi
riconoscono le proprie figlie fuggite di casa, mogli, amanti, mariti e quant’altro, tutto sempre sotto
il segno del grande passaggio di sentimenti.

Un po’ gioco, un po’ litigio, un po’ dramma sono gli ingredienti della recente proposta Rai
presentata da Federica Panicucci nel primo pomeriggio, dove l'estetica del "giovanilismo di
tendenza" diventa la vera cifra con cui leggere il programma, che finisce per essere una sorta di
traino promozionale di modelli di consumo, più che di altre cose.

Chissà se davvero l’amore passa, se veramente c’è all’interno di queste trasmissioni; forse,
piuttosto, c’è solo la televisione e un sentimento d’attrazione ineludibile che essa ha saputo
intrecciare col proprio pubblico.

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UD 7 - Duopolio dell’etere, monopolio Sky, nuovi accessi incompiuti

7.1 - Una sistemazione bipolare. Leggi Mammì, Maccanico, Gasparri eccetera …

7.2 - L’“ordine” del 2001-2002

7.3 - La guerra persa del satellite. L'Italia sotto Sky

7.4 - I contenuti tra lobby, format e fasce protette

7.5 - Nuovi accessi: web-tv, digitale terrestre, TV di strada, "TV mobile"

7.1 - Una sistemazione bipolare. Leggi Mammì, Maccanico, Gasparri eccetera …

Con la cosiddetta Legge Mammì del 1990 [legge n. 223 del 6 agosto 1990] trovò finalmente una
sistemazione lo scenario piuttosto contraddittorio dell’assetto radiotelevisivo italiano. L’ultima
legge datava all’anno 1975 (vedi 3.5); nel frattempo però la situazione si era evoluta senza aspettare
nuove regole legislative, determinando un quadro completamente sconosciuto agli stessi modelli
televisivi europei o statunitensi. Infatti l’Italia aveva visto in un primo momento la nascita di un
numero altissimo sia di radio sia di televisioni, nell’ordine addirittura di alcune centinaia ma poi,
nel giro di pochissimi anni, accanto e al di sopra di questa realtà si affermò l’ascesa della Fininvest
– ora Mediaset – con reti generaliste senza canone (il cosiddetto canone è una quota annua che il
cittadino versa per finanziare la RAI, ossia il servizio pubblico radiotelevisivo nazionale: una quota
modesta, ma presente sin dai primordi di tale servizio, e da tempo non più esclusiva come forma di
finanziamento) né abbonamento e finanziate dalla pubblicità.

Il caso, del tutto unico nel panorama internazionale, di un unico editore in possesso di tre canali
nazionali nella loro interezza fu risolto dalla legge Mammì, semplicemente attestando il dato di
fatto: essa poneva infatti un limite di “non oltre tre canali” posseduti dallo stesso editore, ossia il
25% di tutte le reti nazionali, “salvando” in questa maniera il nuovo "impero Fininvest".

Più volte questa sistemazione fu ridiscussa, e furono istradate nuove soluzioni legislative. A
cominciare dalla sentenza 420/1994 della Corte Costituzionale, chiara indicazione critica verso la
legge Mammì e le quote troppo elevate concesse ad un unico soggetto editoriale, passando poi dalla
Commissione Napolitano (tentativo di rispondere alla sentenza citata, poi però non tradotto in
legge), quindi dal disegno di legge 1138 del 28 luglio 1996, dalla legge Maccanico (1997:
istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, organo di controllo super partes delle
pratiche televisive [legge n. 249 del 31 luglio 1997]), ed infine dalla Legge Gasparri.

Il governo Berlusconi II (in carica dal 2001 al 2005), propose la legge Gasparri, attivata nel 2004
[legge n. 112 del 3 maggio 2004]: una controversa legislazione, in cui si disattendevano alcune
indicazioni essenziali sulla questione delle quote proprietarie e degli assetti. Essa infatti ignorò una
sentenza della Corte Costituzionale che aveva ordinato lo spostamento di Rete 4 (canale Mediaset)
sul satellite e il divieto di pubblicità su Rai Tre [sentenza 466/2002], ed istituì invece il S.I.C., ossia
il Sistema Integrato delle Comunicazioni, quale parametro nuovo di riferimento sul calcolo delle
proprietà e delle posizioni editoriali. Una situazione che inglobava la porzione del mercato
radiotelevisivo nella più ampia dimensione, appunto integrata, di stampa, internet ed editoria. In

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ICoN – Italian Culture on the Net A.Denti – Storia della televisione italiana

questo modo, la posizione dominante del proprietario si ridimensionava, ed il limite dei ricavi (20%
complessivi calcolato sul Sistema integrato) pur scendendo dal 30% precedente (come regolato
dalla legge del 1997, ma su altri parametri) di fatto permetteva un aumento potenziale dei ricavi
stessi da 12 a 26 miliardi di euro. Numeri, certo, ma che ben inquadrano l’incapacità legislativa di
regolare i monopoli del mercato televisivo e pubblicitario, ed il “conflitto di interessi”, ossia quello
fra proprietà privata ed incarichi pubblici.

Questa legge, confermata anche da un referendum popolare del 2005, resta attualmente in vigore.

Il “duopolio televisivo” continua quindi fino a oggi, con un’evidente linea di tendenza favorevole,
nei profitti, al gruppo Mediaset. Uno scenario peculiare, dove un unico editore privato è grande
quanto l’intero servizio pubblico (che, non bisogna dimenticare, è sottoposto a vincoli sulla quantità
pubblicitaria sconosciuti a Mediaset), e dove inevitabilmente i tentativi di creare un “terzo polo” –
come quelli di Europa 7, canale fantasma promosso nella frequenza via etere al posto di Rete 4 da
una sentenza del Consiglio di Stato e in seguito confermata da una Sentenza della Corte
Costituzionale, la 466 del 2002, e da un pronunciamento della Corte di giustizia Europea, del
gennaio 2008, ma impossibilitato ad occuparla nella realtà, o quelli del gruppo Cecchi Gori, negli
anni Novanta, con Telemontecarlo e Videomusic – sono stati fatti sempre affondare. Rimane,
solamente, la presenza magra de La 7, entità televisiva dai modi quasi raffinati ma sul margine del
telecomando e dello share degli ascolti, raramente oltre il 5%.

7.2 - L’“ordine” del 2001-2002

Non risulta semplice fare chiarezza, quando si deve descrivere l’assetto “istituzionale” della TV in
Italia; specialmente dopo la decisiva “scesa in campo” in politica del maggior editore televisivo,
Silvio Berlusconi. Di fatto, successivamente al 1995, è potuto capitare molto spesso che la gestione
del servizio pubblico, la RAI, fosse in mano, più o meno direttamente, allo stesso editore rivale.
Berlusconi ha infatti mantenuto contemporaneamente, ogni volta, sia la sua carica di proprietario
Mediaset, sia quella di Presidente del Consiglio, e con ciò, di responsabile delle nomine RAI.

Ma, come dicevamo, la storia non è semplice, né lineare. Al primo governo di centrodestra di
Berlusconi seguirono, dal 1996 al 2001, alcuni governi di centrosinistra (vedi il modulo Politica e
istituzioni nell'Italia repubblicana, 7.4 e 7.5). In questo periodo, pur mancando un vero piano di
riassetto, la RAI uscì, almeno in parte, dal controllo televisivo di Berlusconi e dei suoi collaboratori.
Sotto la guida del Presidente Roberto Zaccaria e del Direttore generale Pier Luigi Celli, la RAI
visse così una discreta stagione di rilancio dei suoi contenuti, legata all’apertura di vari spazi di
originalità e talento. Alcuni di questi, però, videro protagonisti programmi di informazione
graffianti o proposte di spettacolo basato su di una comicità piuttosto critica, aggressiva, pungente;
ossia, si aprì una breve stagione di intrattenimento fondato sulla satira di contenuto militante.
Protagonisti di ciò Daniele Luttazzi e i fratelli Corrado e Sabina Guzzanti, e con loro Giobbe
Covatta, Tullio Solenghi, Neri Marcorè, Paolo Rossi ed altri. Soprattutto il canale Rai Due, diretto
allora da Carlo Freccero, tra i maestri storici dell’arte televisiva italiana, accolse lo spazio di alcune
trasmissioni esemplari, tra tutte, Pippochennedyshow, Superconvenscion e l’Ottavo Nano. Freccero
sviluppò, accanto alla citata proposta satirica, una parallela programmazione di reportage ed
informazione altrettanto liberi ed inevitabilmente critici verso il potere; specialmente, attraverso i
programmi di Michele Santoro (vedi 5.3), come Il Rosso e il Nero (1993) o Sciuscià (2001).

Con la vittoria alle elezioni del 2001 il centrodestra di Berlusconi riassunse tutti i comandi al vertice
della RAI, con ciò espellendo letteralmente tutti i dirigenti, autori e artisti visti come “troppo

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politicizzati”, ritenuti scorretti o schierati “troppo di parte”. Fatto importante, da ricordare in questa
storia, è l’esternazione di Berlusconi poi definita “diktat bulgaro”: una dichiarazione del Presidente
(in visita ufficiale a Sofia, in Bulgaria) con cui chiedeva un’azione contro la “gestione criminale
della televisione” di alcuni elementi come Enzo Biagi (anziano giornalista allora in video nel
primetime, con una brevissima rubrica d’opinione, Il Fatto), Michele Santoro (per Sciuscià),
Daniele Luttazzi (per Satirycon, talk satirico di seconda serata). Questi ultimi, ed altri, furono poi
raggiunti da diverse denunce alla Magistratura, poi sempre vinte, però, dai denunciati.

Da allora, nonostante vari rimpasti di facciata, la rai non è più cambiata, e neppure la breve
parentesi di governo del centrosinistra (2006-2007) ha in nulla scalfito la pulizia – sorta di “nuovo
ordine”- del “2001-2002”. Santoro, dopo essere stato parlamentare europeo per la lista Uniti per
l'Ulivo dal 2004 al 19 ottobre 2005, è stato reinserito solo da una sentenza della Magistratura
(conduce Annozero, raro luogo di critiche al potere in tv); Biagi, dopo un breve ritorno (2007) è
morto nel 2007; gli altri, i più noti e i molti meno noti, specie i più giovani, non sono più stati
reintegrati nei posti di lavoro.

7.3 - La guerra persa del satellite. L'Italia sotto Sky

Nel mezzo degli anni Novanta, la parola “satellite” evocava attorno a sé un alone quasi mitico.
Saggisti ed operatori della comunicazione proponevano la tecnologia satellitare come una soluzione
allo stallo del sistema televisivo italiano e al monopolio “duopolistico” RAI- Mediaset.

In realtà, la vicenda del satellite in Italia si è consumata in meno di un decennio, tra successivi
assetti, scommesse perse, soggetti entrati e poi usciti, fino alla “soluzione finale”, imposta dal
potere Sky. Innanzi tutto, nei primi anni Novanta è cominciato il “mito” dell’offerta in pay-tv e pay-
per-view, opportunità legate alla trasmissione tramite satellite che proponevano pacchetti di
contenuti su canali tematici, da ottenere tramite un abbonamento mensile [la pay-per-view è un
modello di proposta televisiva basato su di un’interazione costante tra canale televisivo ed utente,
nel quale il canale propone delle trasmissioni che l’utente può acquistare, perlopiù una alla volta,
tramite un pagamento on line. Il palinsesto della televisione pay-per-view è dunque criptato, e si
attiva solo in caso di acquisto, in ciò diverso dal modello “classico” di pay-tv, che vende i suoi
contenuti non per singoli programmi televisivi, ma per interi canali e palinsesti, a scadenza almeno
mensile, oppure annuale]. Ad interpretare un ruolo centrale, in questa prima fase (1991-1997 circa),
furono i canali Tele+, direttamente collegati all’impresa televisiva europea Canal+. In Italia tale
risposta non fu positiva come altrove: i “canali tematici”, specie se dedicati alla “cultura”o alle arti,
o ad ambiti specifici, non potevano conquistare un pubblico tanto “generalista”, cioè con ormai
poca cultura extratelevisiva.

Ecco perché l’unica via storica di penetrazione della pay-tv in Italia, è stato, ed è ancora in buona
misura, il calcio: contenuto dal grande seguito di massa, inseguito dunque da Tele+, prima, da
Stream, poi – altra impresa entrata brevemente in concorrenza (1998-2002) con Tele+ - e infine
dalla stessa Sky. Stream sfidò Tele+, contendendo l’esclusiva di un gruppo di squadre della Serie A
calcistica, e lanciando al contempo un diverso tipo di decoder. Sarebbe ben complesso, qui,
raccontare la contorta vicenda legata al tipo di codifica da adottare, alla fine, come unica ed
universale in Italia: basti dire che, nonostante le indicazioni legislative, non è stato il decoder
universale il vincente, ma la codifica conveniente al nuovo soggetto: Sky. Stream e Tele+, difatti,
con la loro scommessa sul calcio avevano finito per sbagliare i loro calcoli, riempiendo di denaro le
società del calcio – che proprio in questo momento storico aumentarono di scatto il loro giro di
fatturato – ma non ricevendo altrettanto dal pubblico abbonato.

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Tutto fragile, in questa storia, fuorché l’impero Sky di Rupert Murdoch: senza problemi economici,
con la concorrenza anche internazionale spesso sbaragliata, Sky impone tutto il suo ampio pacchetto
di canali al centro della programmazione satellitare in Italia. Una proposta che, specie nel 2007, ha
cominciato perfino a sfidare e contendere parti di pubblico al dominio generalista: non più solo con
il calcio, ma soprattutto con le grandi serie americane di telefilm proposte dal gruppo dei canali
Fox, sempre più seguiti dai giovani; e in più con MTV, i canali dei cartoons e quelli del cinema.
Una forza insomma del prodotto, con diversi generi – fiction, sport, gossip, musica – per le
sfaccettature diverse di un pubblico meno “generico” nel suo gusto, rispetto al “vecchio pubblico”
della tv generalista.

La RAI, da parte sua, propone anch’essa un pacchetto di canali satellitari, sotto la sigla Rai Sat,
quasi tutti visibili “in chiaro”. Una proposta perlopiù educativa, culturale; purtroppo, attualmente
senza adeguati finanziamenti. Del tutto indecifrabile, al momento [2008, ndr], il lancio nell'estate
2008 di Rai Quattro, la prima “base” RAI sul digitale terrestre.

Per quanto riguarda i tanti canali ex-etere passati sul satellite, essi costituiscono a questo punto un
“orlo” sulla numerazione del decoder - quello stesso imposto all’abbonato Sky -. E’, questa, una
periferia in tutti i sensi della televisione italiana: economica, per il limitato giro di affari di cui
godono tali canali televisivi, quanto nei contenuti, impossibilitati ad uscire dalle televendite, le mille
cartomanti, i vari predicatori religiosi, un po’ di musica popolana, ed infiniti numeri di telefono
sovraesposti su ragazze sessuali.

7.4 - I contenuti tra lobby, format e fasce protette

Qual è il quadro dei contenuti proposti dalla televisione italiana nel decennio che va dal 1998 al
2008 circa? È una realtà, nonostante tutto, pur sempre dinamica e con alcuni tratti di interesse, ma
che rimane legata nel profondo ad alcuni vincoli essenziali. Questi vincoli sono: il dominio dei
format [per format si intende un’idea, un modello di programma televisivo, di solito registrato
legalmente e che può essere venduto in tutto il mondo, nelle sue linee preordinate di funzionamento
e nel suo “kit”di istruzioni tecniche. Ogni canale televisivo può acquistare un format – prodotti da
società creatrici specifiche, per esempio Endemol – adattandolo poi alle proprie esigenze di
pubblico e cultura”], perlopiù d’origine internazionale; il controllo dei contenuti, in relazione alle
cosiddette “fasce protette” individuate nel palinsesto, per legge; un incastro di gestioni produttive
tendenti spesso al monopolio, in quasi tutti i settori ed i generi.

È vero, ad esempio, che dalla seconda metà degli anni Novanta è ripartita una consistente
produzione nazionale di fiction. Divise soprattutto tra lunga serialità (si vedano, per esempio: Un
posto al sole, Vivere, Incantesimo, Centovetrine) e miniserie (specialmente, in film televisivi di due
o quattro puntate), tali produzioni hanno effettivamente ricostituito credito e seguito alla narrazione
tv, determinandosi oramai quali cardini irrinunciabili dei palinsesti, specie di Rai Uno e Canale 5.
D’altra parte, questa notevole quantità di ore prodotte di fiction non ha ancora trovato un parallelo
livello di qualità sul piano artistico: si tratta di opere piuttosto standardizzate e stereotipate nei
livelli narrativi, recitativi, registici, scenografici, spesso volte verso una “resa facile” di lettura per il
pubblico.

L’idea sarebbe quella di costruire un prodotto facile, secondo il pregiudizio di dover arrivare ad “un
pubblico semplice”, che non capirebbe altrimenti testi più ricchi e complessi. Anche per questo, la
fiction tv italiana ha perlopiù assunto un evidente tratto semplificato, quasi infantile talvolta, come
dimostrano tante produzioni tipo Il Maresciallo Rocca, Don Matteo, il format iberico Un medico in

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famiglia, lo stesso Incantesimo, il feuilleton in costume Elisa di Rivombrosa, e molti altri, tutti
esempi di sentimentalismo piuttosto elementare, guidati quasi sempre da figure sociali di tutori
pubblici, popolari ed immediati: poliziotti (sempre simpatici), carabinieri, preti, dottori, donne in
carriera ma buone e via dicendo.

Giocano probabilmente un ruolo in questa tendenza anche le cosiddette “fasce protette”, ossia
l’istituzione – attivata dalla Commissione di Vigilanza Parlamentare - di un forte controllo sui
contenuti nelle ore – “fasce” - della giornata televisiva, cioè quasi tutte se si escludono, in pratica, le
ore del palinsesto notturno. Questo controllo, che esclude la rappresentazione in televisione di
immaginiosituazioni forti – violenza, sesso, nudi, linguaggi troppo diretti ecc. – ha finito per
saldarsi con l’idea, già diffusa, di dover confezionare un prodotto televisivo “facile” per il grande
pubblico. Un uso di “fascia protetta”, dunque, che sembra accordarsi con il desiderio di non esibire
troppo facilmente contenuti complessi o immagini conflittuali della realtà.

L’intrattenimento a sua volta, lo “spettacolo” d’un tempo, ha visto crescere al posto del varietà la
grande schiera dei reality-show, genere principe nella tv italiana dopo il 2000. Accanto al Grande
Fratello, riproposto annualmente a partire dal 2000, programma-culto che sfocia nel fenomeno di
costume, si registrano tanti altri reality vincenti, spazi nei quali le “persone comuni” giocano a
mettere in pubblico il proprio intimo, i problemi o i sentimenti riposti, istituendo così una nuova
forma di “spettacolo”. Maestra di ciò, sempre Maria De Filippi (vedi 6.5), vera e propria
“sacerdotessa” di simili cerimonie, popolarissime specie presso il pubblico provinciale e delle
grandi periferie, masse sensibili tanto all’elemento glamour-giovanile quanto al coinvolgimento
delle emozioni, gli ingredienti centrali di questi programmi (assai seguita la trasmissione Amici,
giunta nel 2008 all’ottava edizione, in onda dal 2001, oppure C’è posta per te, in onda dal 2002).

Nulla, o poco, ha infine da dire il genere informazione: come notato da diversi osservatori stranieri,
ad esempio il New York Times,, l’Italia esibisce alcuni tra i peggiori telegiornali occidentali.
Seguendo le osservazioni di un recente saggio di Fabrizio Tonello, il telegiornale in Italia propone
una scaletta divisa tra una lunga rassegna delle dichiarazioni dei politici istituzionali, e
un’attenzione spinta a fenomeni isolati di cronaca nera nazionale, con una predilezione continua ed
allarmistica verso i cambiamenti del tempo, l’ovvietà di alcune scadenze stagionali o certi conflitti
sociali, riportati sempre in una visione di superficie. Accanto a ciò, la progressiva trasformazione
del modello informativo in modello di intrattenimento, ossia in infotainment, impostato sullo stile
del gossip, del pettegolezzo – ormai il vero contenuto dominante nella cultura informativa dei mass-
media nazionali. Escluso quasi completamente il documentario o il reportage sociale (quale Report,
di Milena Gabanelli, su Rai Tre dal 1997), rimangono perlopiù talk-show “politici” direttamente
telecomandati dall’ufficio stampa dei leader istituzionali, e un tono sempre più sbilanciato verso la
prospettiva del gossip.

7.5 - Nuovi accessi: web-tv, digitale terrestre, TV di strada, "TV mobile"

Spesso, le nuove tecnologie della comunicazione funzionano più come gadget dall’attrattiva estetica
che come strumenti tecnici di più elevato livello. Qualcosa di simile, per certi aspetti, pare avvenire
con i ritrovati tecnologici che ridisegnano in tanti nuovi modi la trasmissione televisiva: web-tv,
digitale terrestre, “videofonino”, TV di strada eccetera.

Presentate spesso come soluzioni decisive, o addirittura come passaggi necessari al futuro, tali
nuove forme di accesso televisivo non sono, a tutt’oggi, realmente decollate negli usi e consumi in
Italia. A cominciare dal digitale terrestre, “futuro obbligato” che invece rimane un’opzione ancora

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secondaria rispetto alla trasmissione via etere. Nel 2007 è stata Mediaset a proporsi con un
pacchetto specifico unito al decoder, naturalmente partendo con un’offerta legata al campionato di
calcio. Non esaltante, finora, la risposta, per un’opportunità che rimane, perlopiù, virtuale e ancora
tutta da sfruttare.

I contenuti, d’altronde, paiono qui ricostituirsi in una generale forma di parcellizzazione, di


riduzione a stoccaggio dei contenuti estratti dai grandi blocchi di palinsesto presenti nella tv
generalista. Una tendenza molto leggibile a proposito delle web-tv, opportunità sulla carta immensa
ma alla fine troppo lontana dalle forme abituali della fruizione televisiva: tra i vari tentativi,
spiccano le recenti offerte degli stessi gestori telefonici, come Telecom con la scommessa di Alice,
spazio multiplo che organizza una proposta basata in primis sui contenuti del calcio.

Discorso parallelo per molti aspetti anche quello dei tentativi di tv sul cellulare. Una frontiera
affrontata dalla società di telefonia la 3, che ha sviluppato una tecnologia avanzata all’avanguardia
internazionale, secondo lo standard DVB-H (dedotto dal DVB-T): con il “videofonino” (o “TV-
fonino”) denominato ufficialmente “TV mobile”, la 3 sperava già nel 2006 (con i Mondiali di
Germania) di conquistare mercato e diffondere un nuovo modello di fruizione tv, appunto
“minimale” sullo schermo del telefono mobile. Nonostante il costo non proibitivo e una generale
simpatia riscontrata al loro apparire, tali prodotti non sono riusciti a soddisfare queste buone
intenzioni.

Tutto sommato, l’attenzione a queste forme nuove di fruizione agile e dalle pretese interattive
anche in Italia tende a ricadere all’interno di quegli spazi che nel resto del mondo vanno per la
maggiore. Tra questi, la struttura di MySpace e quella ancor più celebre di YouTube fungono
abbastanza logicamente da capofila [MySpace e You Tube sono due spazi peculiari del web, nei
quali è possibile inserire profili personalizzati e contenuti indipendenti da parte degli utenti. Nel
caso di MySpace, ogni iscritto alla “comunità MySpace”può crearsi delle intere pagine personali,
intrecciate di “amici”e relazioni di contatto a discrezione, mentre YouTube funge soprattutto da
grande repertorio aperto, in cui inserire da tutto il mondo i propri videoclip, di disparato genere e
finalità]. Innumerevoli appaiono le partecipazioni di una variegata popolazione di utenti a questi
spazi, spesso attestando una riconoscibile vocazione “artistica” da sempre diffusa in un paese come
l’Italia.

È esistito però, oltre a questo quadro alterno fatto di una strana “fluidità bloccante”- cioè dove tutto
di fuori si evolve, ma nulla degli interessi forti di dentro al sistema poi cambia – anche una stagione
diversa, più desiderosa di sfide. È la stagione delle cosiddette tv di strada (“telestreet” in Europa),
sorte di community-tv di quartiere in controtendenza culturale, politica e tecnologica al sistema
dominante. Infatti, tali microstrutture hanno pensato di emettere via etere, per un raggio limitato di
territorio, sfruttando il “cono d’ombra” tra le frequenze dell’etere e concordando con le istituzioni
un numero di canale molto alto a livello locale. L’idea era quella di saldare la distanza tra chi
guarda la tv e chi la produce, dissacrando la complessità produttiva della tv industriale e rilanciando
una creatività libera e cosciente del proprio ruolo civico. Un’esperienza lanciata dai reduci del ’77
bolognese – l’intellettuale Bifo, su tutti – dopo il 2002, diffusa in vari luoghi della penisola e
tradotta in diverse concezioni, ma le cui forme, oramai, paiono più relegate al mondo dei sogni
civili che degli agenti influenti sul mondo delle relazioni materiali.

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Letture consigliate

Il Mediaevo. Tv e industria culturale nell’Italia del XX secolo (2000), a cura di M. Morcellini,


Roma, Carocci.

Televisione ieri e oggi. Studi e analisi sul caso italiano (2006), a cura di F. Monteleone, Marsilio,
Venezia.

Francesco Casetti (1995), L’ospite fisso. Televisione e mass media nelle famiglie italiane, Milano,
San Paolo.

Lisa Di Feliciantonio e Michele Mezza (2004), Switch over. Scenari e obiettivi della TV al tempo
del digitale terrestre, Guerini e associati, Milano.

Vittorio Emiliani (2002), Affondate la Rai. Viale Mazzini, prima e dopo Berlusconi, Garzanti,
Milano.

Roberta Gisotti (2006), Dalla tv dei professori alla tv deficiente. La Rai della seconda repubblica,
Nutrimenti, Roma.

Aldo Grasso (1989), Linea allo studio. Miti e riti della televisione italiana, Milano, Bompiani.

Aldo Grasso (2000), Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti.

Mario Livolsi (1998), La realtà televisiva. Come la tv ha cambiato gli italiani, Bari, Laterza.

Paolo Mancini (2001), Il sistema fragile. I mass media in Italia tra politica e mercato, Roma,
Carocci.

Enrico Menduni (2002), Televisione e società italiana, 1975-2000, Milano, Bompiani.

Antonio Pilati e Giuseppe Richeri (2000), La fabbrica delle idee. Il mercato dei media in Italia,
Bologna, Baskerville.

Luigi Pugliese (2003), Next TV. La via italiana al digitale terrestre, Milano, Edizioni Olivares.

Michele Sorice (2002), Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione
italiana, Roma, Editori Riuniti.

Fabrizio Tonello (2006), Dall'Italia delle veline all'Italia delle mondine: un'analisi del telegiornale
in Televisione ieri e oggi. Studi e analisi sul caso italiano, a cura di F. Monteleone, vol. 1, pp. 156-
190, Marsilio, Venezia

Stefano Zecchi (2005), L’uomo è ciò che guarda. Televisione e popolo, Milano, Mondadori.

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Sitografia

- http://www.rai.it/;
- http://www.mediaset.it/;
- http://www.la7.it/;
- http://www.skytv.it/;
- http://www.europa7.it/.
- http://www.auditel.it
- http://www.sorrisi.com
- http://www.tutteletv.com

- Molti video e documenti importanti sono visibili nel sito:


http://www.teche.rai.it/

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