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Il PCI e l’Africa indipendente

< Prefazione + Introduzione >


Nella trattazione della politica estera da parte del PCI ha avuto considerevole spazio ed importanza
la tematica della decolonizzazione africana (fenomeno che assunse rilevanza storica in seguito alla
seconda guerra mondiale).
Il libro ricostruisce l’impegno del partito comunista italiano alla problematica africana all’interno
prevalentemente di 3 grandi aree: l’Algeria, le ex colonie portoghesi (Guinea Bissau, Mozambico,
Angola) e il Corno d’Africa (Somalia, Etiopia, Eritrea).
L’esperienza dei comunisti italiani, legata alla vicenda della resistenza e alla lotta antifascista,
(accompagnata da ideali quali :l’emancipazione dal colonialismo e la rivendicazione del diritto allo
Stato-nazione) e la posizione “terza” assunta progressivamente dal partito (in contrapposizione al
bipolarismo URSS – USA intriso di mire espansionistiche/imperialistiche nell’epoca della Guerra
Fredda) costituirono un riferimento importante per i movimenti di liberazione africani.
L’apertura della politica italiana verso il sud del mondo non si esplicò solamente in mere trattazioni
ideologiche ma anche in una strategia politica più concreta e pragmatica volta a tenere in vita la pur
fragile prospettiva di una “via africana al socialismo” e l’elaborazione di un nuovo
internazionalismo, che si discostava da quello sovietico.
Tuttavia il confronto con i nodi irrisolti dell’Africa postcoloniale, ritratto di un continente
frammentario e complesso, fece maturare la crisi dell’afromarxismo come fondamento ideologico
dello Stato africano indipendente.
Infine la scomparsa di Berlinguer, segretario generale del PCI, e gli avvenimenti internazionali
degli ultimi anni 80 determinarono il ritiro dell’azione comunista dalla scena africana, lasciando
incompiuta l’impresa socialista.

1. < Le radici di una politica “africana” >


La questione dell’espansionismo coloniale non fu tema di costante confronto negli ambienti del
socialismo italiano. Gli esordi del colonialismo italiano (negli anni ‘80/’90 del XIX secolo) videro
anzi una certa assenza dell’Estrema Sinistra occupata a dissipare dissensi interni in merito alle
questioni internazionali.
I successivi tentativi di conquista coloniale italiana [Guerra di Libia e Guerra d’Etiopia ] non
migliorarono la situazione e, anzi, fecero crescere la divergenza ideologica riguardante la linea
politica estera da adottare all’interno del movimento socialista. I conflitti venivano visti: da una
parte come “atto di brigantaggio” (concezione antimilitarista/anticoloniale) dall’altra parte come
possibile beneficio alla rivoluzione del proletariato.
Punto di svolta: nel 1937 il PCI incarica alcuni volontari delle Brigate Internazionali ad intervenire
alla resistenza coloniale nell’africa orientale. (l’impresa fallisce ma risulta importante: prima azione
politico-militare in territorio coloniale del PCI).
La seconda guerra mondiale assestò un colpo determinante alla crisi degli imperi coloniali ed il
processo di decolonizzazione ebbe inizio in Asia con l’indipendenza dell’India.
Nel quadro della guerra fredda il XX congresso del PCUS nel 1956 (partito comunista dell’unione
sovietica) portò ad uno stretto riavvicinamento ai principi leninisti.
Lenin intravedeva nell’espansionismo delle potenze occidentali un fondamentale incremento del
sistema capitalista e ritenne quindi importante contrastarlo appoggiando le lotte di liberazione
africana.
Le interpretazioni afromarxiste furono suggestive per molti leader africani e costituirono
l’orientamento dei primi Stati indipendenti.
In Italia il PCI affermò la necessità di uscire dalle categorie puramente ideologiche e di affrontare
concretamente, sul piano storico, la questione sociale connettendola con i grandi movimenti di
emancipazione che stavano avvenendo nel Terzo Mondo.

2. < L’Impatto con l’eredità coloniale > ( Somalia )


L’esperienza somala rappresentò, per i comunisti italiani, il primo terreno di confronto con il più
ampio processo di decolonizzazione africana.
Nella seconda metà degli anni 50’ infatti l’Italia si avviava ad affrontare la fine del suo mandato in
Somalia. (Si trattava dell’Amministrazione fiduciaria dell’Italia in Somalia (AFIS) di durata
decennale, assegnata dall’ONU nel 1949 con il compito di aiutare il processo d’indipendenza
dell’ex colonia).
L’attenzione del PCI si concentrò inizialmente sul partito SYL (Somali Youth League), principale
organizzazione nazionalista, avviando stretti contatti con il suo leader, Scermarche.
La SYL seppur inizialmente neutrale,svincolata dalla politica dei blocchi USA – URSS (interessate
al controllo economico del paese: ricco di risorse petrolifere) sul finire del decennio si avvicinò a
posizioni occidentali.
Nel 1957 alla presidenza della SYL venne eletto Mohmed Hussein, leader di dichiarato
orientamento antioccidentale, che inaugurò una nuova politica fondata sulla posizione di un
“neutralismo positivo”, che si esplicava nell’alleanza con i popoli asio-africani seppur rimarcando
la propria lotta antimperialista.
Il comitato centrale della SYL allarmato dalla politica estremista del neoeletto ne disapprovò
all’unanimità la nomina.
Il provvedimento provocò l’immediata scissione della SYL e la nascita di un nuovo partito, il GSL
(Great Somalia League), che puntava alla costituzione della Grande Somalia (ossia all’unificazione
delle Somalie : Somalia italiana + Somalia inglese + regioni del Kenya e dell’Etiopia).
La scissione non impedì però alla SYL di ottenere la maggioranza nelle prime elezioni
amministrative dando vita ad un governo instabile, corrotto e repressivo.
All’opposizione intanto il GSL gettava le basi di una linea politica sicura e compatta, grazie alla
figura del giovane Samantar.
Il programma politico proposto dal GSL prefigurava la nascita di un movimento democratico che,
ispirato al socialismo internazionale, avrebbe unito tutte le forze anticolonialiste africane e superato
il problema della frammentazione etnica.
“Il disegno di Samatar” prese vita il 1° aprile del 1960, quando il suo incontro a Mogadiscio con il
responsabile della propaganda della GSL e uno speaker di Radio Mogadiscio portò alla nascita del
“Fronte antimperialista delle cinque Somalie”.
Il Fronte, nonostante la condizione di clandestinità, entrò in collegamento con tutte le
organizzazioni contrarie alla politica di Mogadiscio e favorevoli alla costruzione della “Grande
Somalia”.
Il PCI seguì con estremo interesse la nascita della nuova formazione provvedendo a sostenerla con
aiuti economici e trovando in Samantar un importante referente.
Il “Fronte” si legò ad una visione radicale di socialismo, che vedeva nel modello rivoluzionario e
nell’insurrezione armata i migliori espedienti nella battaglia anticolonialista.
Samantar e Hussein, contrari ad una politica aggressiva, disposero l’espulsione dal Comitato
centrale della GSL dei membri più radicali, onde provocare l’adozione di misure repressive da parte
dell’Italia, ancora titolare del mandato fiduciario, e motivare il rinvio dell’indipendenza.
Si giunse così alla data stabilita per l’indipendenza: il 30 giugno 1960 l’AFIS depose ufficialmente
il mandato. Si ratificò l’unione delle due Somalie e la costituzione dell’Assemblea nazionale che
elesse un governo provvisorio.
L’euforia nazionale si placò la notte stessa a causa di una grande protesta contro l’imperialismo
occidentale che vide protagonista il partito GSL.
I disordini segnarono la fine del governo provvisorio sostituito da un altro guidato dal capo dell’ala
dissidente della SYL, Scermarche.
Hussein, che nonostante la mobilitazione scelse di rimanere col GSL all’opposizione, riprese la
formula del neutralismo positivo, prendendo però le distanze anche dal campo socialista.
Il PCI fu assai critico verso questa prospettiva.
Iniziò a percepire l’ambiguità della formula, che rifiutava la collaborazione con i paesi occidentali,
ma stentava a entrare in contatto sia con quelli neutrali che col “campo” socialista, perpetuando così
la condizione di isolamento della Somalia.
Lo sfumarsi di un’ipotesi socialista spinse il PCI a ritrarre il proprio impegno in Somalia, che verrà
ripreso solamente alla fine degli anni 60.

3. < In Algeria tra rivoluzione e Stato nazionale >


Diversamente dalla Somalia, in Algeria (colonia francese) l’impegno comunista dovette confrontarsi
con una vera e propria guerra di liberazione, che prese avvio nel 1954 e si concluse nel 1962.
La questione algerina si inseriva nel contesto della crisi del colonialismo francese, dopo il duro
colpo subito in Indocina nel 1954.
Partiti algerini protagonisti della lotta furono il PCA (partito comunista algerino) e il FLN (fronte di
liberazione nazionale), le cui visioni inizialmente distanti trovarono un compromesso durante il
conflitto.
La tregua, avvenuta con gli accordi di Evian nel marzo 1962, pose fine alla sanguinosa guerra di
liberazione (che contava più di 800mila morti) e fu una scelta motivata prevalentemente dalla
stanchezza della popolazione algerina per un così prolungato stato di guerra.
Nonostante ciò la rivoluzione algerina venne innalzata nei territori limitrofi a modello insostituibile
per l’emancipazione e l’indipendenza nazionale degli stati africani.
Raggiunti gli accordi di Evian il principale obiettivo algerino fu quello di mantenere quell’unità
nazionale consolidata durante il conflitto e che rischiava di essere minata dalla divergenza scoppiata
tra gli uomini del GPRA (governo provvisorio della rivoluzione algerina), guidati da Ben Khedda e i
rivoluzionari del CNRA, guidati da Ben Bella.
Per superare l’instabilità politica il GPRA attribuì le funzioni di governo all’Ufficio politico sorto
per volontà del CNRA. L’ufficio assunse il compito di stabilire le modalità delle prime elezioni
previste per fine agosto.
Il rinvio delle elezioni a prossima data aprì una crisi che si risolse con un atto di forza delle truppe
di Boumediene (colonnello dell’esercito algerino) .
A settembre fu eletta l’Assemblea costituente, dove venne riconosciuto il FLN come unico partito, e
Bella fu chiamato alla guida del paese.
La linea politica del governo fu espressa nel programma di Tripoli (primo testo teorico della
rivoluzione algerina), i cui enunciati evasivi, generici e poco realisti, permisero ad ognuna delle
fazioni politiche di trovare una legittimazione a rappresentare l’autentico spirito dell’indipendenza
algerina.
Il programma così invece di una richiamo unitario accentuò una conflittualità già esistente tra le
diverse correnti che venne risolta dal FLN con la messa al bando di tutte le organizzazioni politiche.
Bella quindi impose il partito unico difendendo la soppressione del pluralismo politico come
necessaria onde intaccare l’unità rivoluzionaria.
A un anno dalla liberazione, nel luglio del 1963, si iniziò a intravedere forti limiti alla realizzazione
di una via socialista.
La fragilità delle infrastrutture e dello Stato, ambedue mutuate dal colonialismo francese, e il ritiro
dei tecnici europei avevano paralizzato l’intero apparato statale e si avvertiva l’urgenza di costruire
un partito espressione della nazione algerina in grado di limitare il ruolo dell’esercito, unica vera
forza organizzata.
Nell’agosto del 1963 l’Assemblea costituente varò la nuova Costituzione sancendo il connubio
governativo tra Bella, uomo di partito, e Boumediene, uomo di milizia (proponendo così un
equilibrio tra i due poteri).
Il varo della Costituzione e la formazione del governo sancirono la nascita dell’Algeria
indipendente e socialista.
Il FLN però appariva ancora il tipico prodotto della guerra di liberazione: rappresentativo di
un’intera generazione che aveva combattuto ma a cui mancava una precisa formazione politica per
affrontare la costruzione dello stato democratico.
Un tentativo di transizione del FLN da movimento a partito si ravvisò nell’approvazione della Carta
d’Algeri, documento (di più esplicita ispirazione socialista) che esaltava le funzioni del FLN come
partito d’avanguardia distinguendolo dallo Stato e includendo l’esercito nella gestione del potere.
L’atto rappresentò l’apogeo del benbellismo, ma fu anche l’inizio del suo declino dovuto
all’incapacità di tradurre sul piano politico le costruzioni teoriche elaborate dal movimento.
Nel giugno del 1965 il processo di costruzione dell’Algeria socialista fu interrotto dal colpo di Stato
di Boumediene, Bella fu arrestato.
L’evento fu causato dalla concomitanza di fattori quali: l’esercito concepito come unica forza
organizzata, l’incompleta strutturazione del FLN e l’opposizione antisocialista della neoclasse
dirigente algerina e del gruppo islamico.
Boumediene, seppur vicino ad una politica filoccidentale, iniziò a cercare appoggi di sinistra per
recuperare il consenso popolare, dichiarando di portare avanti la via socialista.
Le elezioni comunali a suffragio universale furono il primo atto di un intento democratico e a larga
partecipazione giovanile.
Il PCI cominciò a condividere la linea di Boumediene per quel che riguardava la necessità di un
recupero dell’orientamento unitario e dello slancio rivoluzionario delle masse popolari, di cui la
larga partecipazione elettorale rappresentava una premessa fondamentale.
Il decennale della rivoluzione, che si svolse nel luglio del 1972, affermò la volontà di rafforzare il
carattere popolare della rivoluzione e la sua posizione di avanguardia nel mondo arabo e africano.
Il PCI e i socialisti francesi furono gli unici partiti europei invitati ad Algeri per l’anniversario.
In questa occasione Berlinguer, segretario del PCI dal ’72, ribadì a Boumediene gli auspici per le
profonde trasformazioni nell’organizzazione dello stato e della società in senso socialista.
In linea con la sua nuova visione internazionalista, considerò il Sud come realtà emergente negli
equilibri mondiali e non più soggetta alla predominanza dei blocchi.
La morte di Boumediene, avvenuta nel dicembre del 1978, segnò la fine di un era, in cui, seppur la
situazione economica e la struttura statale risultavano precarie, si mantenne l’unità nazionale
risolvendo elementi di conflitto e si riuscì attraverso una politica di non allineamento attivo a
mantenere legami con Paesi di diverso orientamento.
L’elezione del nuovo presidente tramite voto popolare fu preceduta dalla candidatura proposta al
congresso dell’FLN.
Ottenne la proposta e il voto la candidatura del colonnello Chadli, già membro del Consiglio della
rivoluzione.
Il governo di Chadli apportò significative innovazioni nell’esercito del potere e nei rapporti di forza
nella società.
Egli abbandonò il dirigismo e lo statalismo di Boumediene e avviò un processo di liberazione
economica.
La politica di Chadli si promise di superare la fase ideologica del socialismo (svuotato dalla crisi
economica e dagli accenti populistici) e di deporre lo Stato come unico dispensatore di benefici,
aprendo l’iniziativa dei privati in direzione di un’economia di mercato.
Le crescenti difficoltà economiche avevano inoltre spinto l’Algeria ad abbandonare le aspirazioni di
autosufficienza e neutralismo e ad avvicinarsi all’Occidente.
La nuova linea politica intrapresa dallo stato algerino e la scomparsa di Berlinguer nel 1984
compromisero le speranze suscitate dall’indipendenza africana e investirono il fenomeno socialista
nel suo complesso, incrinando la fiducia nella sue capacità di adattamento e di esportabilità nel
mondo extraeuropeo.

4. < Guerra e Socialismo nelle colonie portoghesi >


Negli anni sessanta si sviluppò la lotta anticoloniale nei possedimenti portoghesi in Africa sotto
forma di lotta armata. I paesi interessati furono Guinea Bassau e Mozambico.
Il paese che diede il via all’insurrezione armata fu l’Angola nel 1961 con il movimento denominato
MPLA.
Nel 1963 toccò alla Guinea Bassau con il movimento del PAIGC guidato da Amilcar Cabral.
Egli intendeva formare una coscienza politica”nazionale” nelle masse e superare le divisioni etniche
con la lotta per l’indipendenza e il socialismo
Questi contrasti attirarono l’attenzione del PCI perché rappresentavano una lotta contro il regime di
Salazar (dittatore in Portogallo).
Il PCI salutò con entusiasmo l’insurrezione armata che scoppiò in Mozambico nel 1964 grazie al
movimento denominato FRELIMO :
Nel 1965 a Dar-es-Salam si riunì la Conferenza delle organizzazioni nazionaliste delle colonie
portoghesi a cui partecipò anche il PCI come osservatore esterno. Scopo della conferenza era di
rafforzare l’alleanza tra i principali movimenti di liberazione nei territori portoghesi (MPLA,
PAIGC,FRELIMO) in vista dell’indipendenza nazionale.
A differenza dell’Algeria, in cui il PCI entrò in scena sul finire del conflitto, nelle colonie
portoghesi fu pronto ad appoggiare la lotta armata al fine di combattere l’ultima dittatura rimasta
,con la Spagna, nell’Europa occidentale.
Negli anni sessanta i paesi africani di nuova indipendenza preferirono assumere una posizione
autonoma anziché entrare negli schieramenti creati dalla guerra fredda così da garantire una non
ingerenza e il rispetto dell’indipendenza nazionale.
Questa posizione riflette l’ideologia panafricanista che ispirò molti processi di indipendenza.
La scelta si dimostrò utopica perché non ci fu unione tra questi stati non-allineati che ebbero quindi
bisogno di appoggi esterni
Il PCI riconobbe il ruolo trainante che ebbe il più piccolo possedimento portoghese, la Guinea
Bassau, nella lotta per la liberazione grazie al PAIGC che ottenne non solo successi militari ma
seppe proporre positive strutture organizzative nei territori liberati.
L’esperienza guineana divenne l’esempio della “ via africana” al socialismo.
Al secondo congresso delle forze di liberazione, che si svolse nel 1968, la delegazione comunista
italiana accettò con soddisfazione la decisione del gruppo FRELIMO di organizzare i territori
liberati nel Mozambico sul modello guineano.
I comunisti italiani simpatizzarono con lo stato del Mozambico perché videro in esso la possibilità
di realizzare uno stato socialista ma lontano da quello sovietico. Ciò rispecchiava l’idea avanzata da
Berliguer della “terza via”

Nel 1973 fu assassinato Cabral, leader del PAIGC, per mano di portoghesi infiltrati nel partito come
disertori.
I comunisti italiani riconobbero la radicale innovazione del metodo di lotta condotto da Cabral.
All’azione militare aveva affiancato la creazione di ambulatori, l’alfabetizzazione, puntando sulla
partecipazione della massa.
Il PAIGC elesse come suo successore Pereira.
Nel 1974 la Guinea Bissau celebrò l’indipendenza dopo una guerra di 12 anni.
Nel 1975 l’Angola fu dichiarata indipendente ma, a differenza della Guinea Bissau, la sua
situazione rimase assai precaria.
L’indipendenza non pose fine alla guerra civile che era scoppiata qualche mese prima.
Nel 1975 anche il Mozambico raggiunse l’indipendenza .Il FRELIMO chiese l’aiuto del PCI per la
minaccia del confinante Sudafrica che reclutava mercenari per azioni di disturbo nel territorio del
Mozambico.
Nel 1976 Dina Forti (delegata del PCI) , inviata in Guinea Bissau per l’anniversario della
fondazione del PAIGC (Partido africano de independencia da Guinè e Capo Verde), costatò
l’evidente contrasto tra i pur limitati progressi della Guinea e la tragica situazione del Capo Verde
dove vi era siccità da 8 anni.
Assai più grave si presentava la situazione dell’Angola nel 1976 perché il conflitto civile si era
allargato ed erano intervenuti gli Stati Uniti.
Il PCI seguì da vicino gli sviluppi dell’Angola indipendente e il problema della “costruzione
nazionale”a partire dal settore economico.
Nel 1979 una delegazione mozambicana fu ricevuta a Roma .
I delegati illustrarono la difficoltà di riassestare l’economia nazionale dopo l’abbandono dei
portoghesi. Si parlò anche del delicato passaggio del FRELIMO in partito marxista-leninista.
Nel frattempo proseguiva il tentativo armato del Sudafrica di destabilizzare la confinante Angola.
L’Unità criticò il governo italiano e l’Europa per l’indifferenza mostrata verso l’aggressione
sudafricana.
All’inizio degli anni ottanta l’impegno comunista si volse alla costruzione del partito in Angola e
Mozambico
L’impegno si concretizzò con l’invio di una nave della solidarietà.
La nave dell’amicizia riuscì ad attirare l’interesse delle forze politiche e sociali sia italiane sia
europee, rilanciando il tema dei nuovi rapporti dell’Africa indipendente con l’Italia e l’Europa.
Nel 1981 Pajetta (PCI) incontrò a Roma la delegazione mozambicana che rivelò la delicata
situazione della Guinea , aggravata da contrasti interni anche razziali e dalla disgregazione del
partito e dello stato.
I delegati africani erano inoltre preoccupati dalla possibile scelta capitalistica con cui l’intera area
dell’Africa tendeva ad avvicinarsi all’Occidente.
Nel 1981 il Sudafrica attaccò l’Angola grazie all’appoggio americano per interessi economici.
Nel 1984 il Sudafrica cessò le ostilità in cambio dell’espulsione dal Mozambico di esuli
dell’ANC(accordi di N’komati).
Berlinguer si impegnò personalmente a ristabilire equilibrio nell’Africa australe.
Fu uno dei suoi ultimi atti prima della morte, che lo colse l’11 giugno 1984.
Sempre in quell’anno, nonostante gli accordi di N’komati si avvertiva una forte instabilità nelle ex
colonie portoghesi.
In particolare la presa della guerriglia del Mozambico non era solo la conseguenza dell’appoggio
sudafricano: essa ebbe un consenso tra industriali ed ex coloni che volevano recuperare privilegi
dell’epoca coloniale.
Berlinguer morì in un periodo molto critico in cui le spinte della sua visione internazionalista si
erano interrotte e la conflittualità nell’area australe cresceva.

5. < Nella crisi del Corno d’Africa > (regione che comprende Somalia + Eritrea + Etiopia)
Il PCI riprese interesse per la questione somala con la rivoluzione attuata dal generale Syad Barre.
Tutto iniziò con l’assassinio del presidente Scemarche nel 1969.
Dopo il suo funerale l’esercito, comandato da Barre, arrestò parte del parlamento e instaurò il
Consiglio rivoluzionario supremo che prese la guida del paese.
Il primo atto del nuovo regime fu la nazionalizzazione di banche, società .
Barre dichiarò che lo stato somalo era socialista e si collocò sotto l’influenza sovietica.
Il PCI lo considerò positivamente perché rappresentava il passaggio dall’afro marxismo (troppo
utopistico) ad una dimensione più realistica.
Barre inaugurò il socialismo scientifico.
Nel 1972 per la prima volta la Somalia fu in grado di produrre cereali necessari per far fronte alla
carestia senza ricorrere alle importazioni, attraverso la nazionalizzazione delle terre e delle aziende
agricole .
Lo sforzo della rivoluzione somala di rafforzare l’unità nazionale si scontrava con l’ingerenza
francese, inglese, e americana che cercavano di destabilizzare il regime di Barre.
Iniziarono pure dei contrasti tra Somalia ed Etiopia a proposito del possedimento della regione
dell’Ogaden e nel 1974 il PCI si schierò con la Somalia.
Il PCI rivolse anche sostegno ed attenzione al movimento “Fronte di liberazione dell’Eritrea”
(FLE), formato in seguito all’invasione in Eritrea da parte delle truppe etiopi di Selassie, che ne
fecero una provincia del suo impero.
Questo movimento, a seguito di dissensi interni, negli anni 70 si divise in 2 : FLE e FLPE (fronte
popolare per la liberazione dell’Eritrea). Il secondo, a differenza del primo, non mirava solo
all’indipendenza dell’Eritrea ma aveva un piano di riforme basato sulle nazionalizzazioni. Questa
divergenza ideologica fece scoppiare una guerra civile tra i due partiti.
Il PCI appoggiò il secondo.
Negli anni 70 il Corno d’Africa era in crisi: la Somalia aveva problemi interni di siccità mentre
l’Etiopia non poteva più contare sugli aiuti americani.
Nel 1974 Haile Selaisse venne estromesso e il potere passò ad un organo chiamato Derg, capitanato
dal generale Menghistu, che iniziò una dittatura ventennale di spiccato orientamento socialista.
Annunciò la riforma agraria, nazionalizzazione di tutte le terre e divieto di lavoro salariato.
Il Derg si dimostrò intransigente verso l’Eritrea che esigeva l’indipendenza e si inasprirono le
relazioni con gli stati confinanti(Sudan e Somalia), sostenitori della causa eritrea.
Nel 1977 la Somalia invase l’Ogaden, territorio di confine con l’Etiopia abitato in gran parte da
popolazioni di lingua somala.
Il PCI, in imbarazzo perché sia la Somalia sia l’Etiopia risultavano sostenitrici della causa
socialista, si schierò per l’Etiopia che si trovava a gestire sia un conflitto con la Somalia sia con
l’Eritrea.
Nel 1979 Berlinguer fu accusato di ambiguità perché da un lato dichiarava di sostenere la causa
eritrea e dall’altro non condannava il genocidio scatenato dall’esercito etiope nei confronti
dell’Eritrea.
Il PCI cercò con Berlinguer di fare mediazione di pace.
La morte di Berlinguer causò un arresto nell’attività del partito nel tentativo di sanare le tensioni
esistenti in questa parte dell’Africa.

< Un’eredità senza eredi > (Epilogo)


Sul versante internazionale la linea strategica di Berlinguer, volta a proporre il PCI alla guida di una
“terza forza”, rappresentò l’approdo di un’esperienza maturata anche sul terreno africano lungo
quasi un trentennio.
Il fallimento dell’esperienza marxista, che ebbe tra i suoi scenari principali il Corno d’Africa, ma
che investì anche le ex colonie portoghesi e l’Algeria, fece emergere i primi segni di una crisi più
profonda che riguardava la stessa esportabilità del socialismo e la sua capacità di adattamento in
contesti extraeuropei.
Il crollo del muro di Berlino nel 1989 e il collasso del sistema sovietico nel 1991 segnarono la fine
della guerra fredda, ma anche una caduta dell’interesse internazionale dell’Africa.
Il disorientamento crescente all’interno dei PCI, provocato dalla prematura scomparsa del suo
massimo leader, e la rapida evoluzione del quadro internazionale furono all’origine
dell’esaurimento della politica africana.
L’eredità di un impegno culturale e politico si arenava priva di spinte e di clamore, proprio nel
momento in cui la scomparsa degli interlocutori “storici” lasciava l’Africa indipendente sul crinale
di un destino dagli esiti incerti.

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