comunicazione - riassunto
ETICA E GIORNALISMO
INTRODUZIONE
Lo scopo del giornalismo è quello di concorrere alla formazione della coscienza critica di
ogni cittadino. Per arrivare a questo importante risultato i giornalisti devono
necessariamente perseguire la verità o, almeno, la veridicità dei fatti, essere obiettivi e
distinguere i fatti dalle opinioni, agendo nel rispetto della sfera privata dei cittadini: devono
rispettare alcune regole etiche o deontologiche. Se queste non vengono rispettate, allora si
manipola l'informazione e anziché informare si deforma la realtà dei fatti e il giornalismo
non assolve il compito che si è prefisso.
La letteratura sui misfatti del giornalismo è piena di esempi che dimostrano il contrario.
Giovanni Gozzini narra, ad esempio, che già dal 1812 era conosciuta la pratica del puff, in
Italia soffietto, che consiste nel nascondere la pubblicità dentro articoli d'informazione.
Walter Lippmann, un autore americano degli anni venti, afferma invece che fin dalla sua
nascita (metà ottocento) il giornalismo moderno è stato uno strumento mercantile e di
propaganda.
Oggi i media sono la linfa vitale della vita democratica e, paradossalmente, in una società
democratica un'informazione corretta è più importante che in una società autoritaria,
dittatoriale.
ETICA E DEONTOLOGIA
Etica → ha per oggetto la determinazione della condotta umana nell'osservanza dei grandi
principi del costume, della vita civile, dei rapporti sociali: agire onestamente, respingere
qualsiasi tentativo di corruzione, essere leali. L'etica è ciò che dice dove sta il giusto e il
bene, che ci sono dei valori e perché dovrei seguirli. Non appartiene ad una categoria
specifica di persone ma all'umanità in generale.
Deontologia → dal greco tò déon= “il dovere” riguarda la trattazione dei doveri inerenti ad
una particolare categoria di persone. Per questo viene associata alla parola professionale
per indicare l'insieme delle regole di condotta riguardanti gli operatori di una specifica
professione.
LE CARTE DELL'ETICA
L'ordine dei giornalisti italiani (l'Italia è l'unico paese europeo ad averlo) è nato nel 1963
con la legge n.69 che, sostanzialmente riconosce per i giornalisti il diritto e l'obbligo a
perseguire la verità, tutela la libertà d'informazione ma anche la privacy e i diritti altrui.
ONU del 1989, assume dei principi e delle norme per tutelare il bambino, la sua
crescita e il suo sviluppo.
• La Carta dei doveri, che determina la responsabilità e i doveri della categoria. La cui
applicazione è vigilata da un Comitato nazionale per la correttezza e la lealtà
dell'informazione.
• E per ultimo, nel 1998, l'Ordine dei Giornalisti con il Garante della Privacy, è arrivato
all'emanazione di un Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell'esercizio dell'attività giornalistica, nel quale si stabiliscono le norme di tutela dei
diritti fondamentali della persona, in relazione soprattutto alla diffusione dei dati
riguardanti la sfera privata che non devono essere diffusi (il domicilio, l'origine
razziale o etnica, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, le condizioni di salute,
la sfera sessuale).
LE INIZIATIVE DISCIPLINARI
Nel nostro paese chi non rispetta tali codici può essere sottoposto a procedimento
disciplinare, l'Italia è l'unico paese europeo a potersi avvalere degli strumenti repressivi
anche del diritto pubblico in caso di violazione.
Le sanzioni disciplinari sono fissate nell'articolo 51 della legge 69/1963 e sono: a)
l'avvertimento; b) la censura; c) la sospensione dell'esercizio della professione per un
periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad una anno; d) la radiazione dall'Albo.
I PROBLEMI DELL'INFORMAZIONE
Trattiamo le deformazioni più macroscopiche ed evidenti del giornalismo contemporaneo.
LA SOVRABBONDANZA
Una delle tecniche usate per manipolare l'informazione è l'Inondazione. Alcuni studiosi
degli strumenti di news management (la produzione di eventi come strumento di controllo
dell'informazione), hanno teorizzato la sovrabbondanza per il controllo. L'inondazione
infatti confonde, crea disorientamento, fa perdere di vista le informazioni veramente
importanti su cui varrebbe la pena riflettere. La sovrabbondanza impedisce una piena
comprensione dei fatti perché nell'oceano di notizie il lettore si smarrisce e non riesce a
dare valore e significato, a contestualizzare le notizie che gli giungono.
Mai come oggi l'opinione pubblica è bombardata di notizie eppure mai come oggi il
pubblico è poco informato. Per esempio di qualsiasi guerra si combatte sul pianeta noi
conosciamo i dettagli più precisi: le strategie tecniche, gli uomini impiegati, le tecnologie
usate, le dichiarazioni dei politici coinvolti, ma difficilmente riusciamo a capire le ragioni
vere della guerra, perché in quel luogo, e via dicendo.
La sovrabbondanza è figlia di quello che Bocca definisce giornalismo quantitativo o
gigantista (supplementi sullo spettacolo, la cultura, lo sport, l'economia, supplementi dalla
culla alla bara: ripetizione all'infinito delle stesse ricette, delle stesse recensioni) e genera
quella che Giuliano da Empoli definisce overdose cognitiva (crescita di domanda e di
offerta di informazioni mentre la nostra capacità di elaborarla rimane immobile).
CONCLUSIONI
Ma se la commistione tra chi serve l'informazione e chi la manipola, il giornalismo ibrido è
ormai una realtà consolidata, quanto di giornalismo è rimasto nei giornali? Se togliamo i
puff, la pubblicità, le notizie manipolate dal potere economico, quelle manipolate dal
potere politico, i fattoidi, le false notizie messe in campo da organismi di pressione, cosa
rimane dei nostri media?
Abbiamo oggi a disposizione un'enorme massa di informazioni si tutto quello di cui
potremmo avere bisogno e probabilmente questo è proprio quello che differenzia la nostra
epoca da quelle precedenti. Eppure questa massa d'informazioni rischiano di essere
falsificate ad arte, e per questo motivo non possono garantire un maggior tasso
d'informazione, di informazioni vere e rilevanti a disposizione del cittadino.
Una certa responsabilità di questa situazione è anche del pubblico, dei fruitori
dell'informazione: l'offerta si spiega con la domanda.
Per risolvere tali deformazioni però la deontologia da sola non basta, lo spazio di recupero
della dignità del giornalismo e la risoluzione di alcuni dei problemi delineati passa piuttosto
attraverso l'etica, non solo dei giornalisti, ma anche dei lettori.
ETICA E TELEVISIONE
PROBLEMI ETICI
Questi elementi pongono una riflessione di carattere etico: esiste ed è notizia soltanto
quello che la televisione ci trasmette, tutto il resto non esiste. E' una percezione del mondo
davvero estremamente parziale. Un altro problema etico è quello che realtà e finzione
sono portati sempre di più a fondersi (vedi reality show): la tv cerca di avvicinarsi sempre di
più al quotidiano cercando di imitarlo e il quotidiano diventa così spettacolo; la nostra vita
vuole imitare ciò che vediamo in televisione in una continua osmosi.
Anche i programmi dedicati all'informazione privilegiano lo spettacolo a scapito della
presentazione della notizia, del rispetto dell'obbiettività e dell'equità. Siccome gli organi
d'informazione selezionano le informazioni che attirano l'attenzione del pubblico, dirigendo
la comunicazione su determinati temi, così anche i politici si rapportano sempre meno con
la realtà e sempre più con gli eventi selezionati dalla televisione e molte volte “distorti”
dalla videocamera.
Popper, nel suo saggio Cattiva maestra televisione, riflettendo sui contenuti proposti dalla
tv e sul senso critico con cui essi vengono percepiti, mette in evidenza il rischio, soprattutto
per i bambini, di una televisione che trasmette violenza e che quindi educa alla violenza. Il
bambino assorbe il modello violento come eccitante e tenderà a riproporlo ragionando con
la logica del dominio piuttosto che della tolleranza, del dialogo e del rispetto. Questo
avviene per una assuefazione acritica del telespettatore al messaggio televisivo.
La televisione detiene un'enorme potere: quello di influenzare a livello economico, sociale
e politico la società, in un modo estremamente superiore agli altri mezzi di comunicazione,
questo perché percepita come più vicina alla verità.
• La Carta di Treviso, sottoscritta per la tutela dei minori dal Consiglio Nazionale
dell'Ordine dei giornalisti, dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana e da Telefono
Azzurro. E' nata a protezione dei diritti dei bambini sia nelle trasmissioni tv che
all'interno degli spot. Sono state inoltre create fasce protette nel palinsesto
televisivo con l'adozione di una specifica segnaletica per i diversi programmi.
• L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nata nel 1997, ha fatto un ulteriore
passo avanti riguardo alla tutela dei minori e si impegna a garantire la tutele
dell'utenza sia per quanto riguarda la distribuzione dei vari servizi e prodotti, sia per
quanto riguarda la verifica del rispetto della normativa vigente (assicurando
soprattutto la tutela dei minori-utenti).
• Il Codice di autoregolamentazione tv e minori, approvato nel 2002, impegna le
imprese televisive a migliorare ed elevare la qualità delle trasmissioni destinate ai
minori, ad aiutare gli adulti, le famiglie e i minori ad un uso corretto ed appropriato
delle trasmissioni televisive, tenendo conto delle esigenze del bambino, sia rispetto
alla qualità che alla quantità.
ETICA E INTERNET
PREMESSA
L'applicazione delle nuove tecnologie all'ambito della comunicazione ha provocato un
potenziamento ed una trasformazione dei media tradizionali, ma anche la nascita di new
media. L'impatto di queste nuove tecnologie sui comportamenti umani è di grande portata,
tanto che si è parlato di una “mutazione antropologica” di cui sarebbero responsabili. In
questo caso le domande dell'etica non possono rivolgersi soltanto ai modi in cui tali mezzi
di comunicazione possono essere utilizzati, ma devono riguardare anche gli effetti delle
loro procedure, i cambiamenti che possono esercitare sull'uomo e sul mondo. In altre
parole le domande dell'etica devono riguardare sia i comportamenti che possiamo adottare
rispetto alle nuove forme di comunicazione, sia i comportamenti che possiamo adottare
all'interno di esse. Sono proprio questi due i piani ad essere stati studiati, a partire dalla
metà degli anni ottanta, nell'ambito della “Computer & Ethics”.
Ad essere presa in esame, in queste pagine, è soprattutto Internet, “la rete delle reti” e le
questioni di carattere etico implicate da questo fenomeno e dal suo diffondersi. Se ne
parlerà seguendo soprattutto due linee interpretative, che riguardano:
• Il filone relativo all'etica in internet: i problemi che riguardano l'uso stesso della rete,
la necessità di stabilire criteri di condotta ai quali fin'ora si è cercato di dare risposta
attraverso lo strumento dei codici deontologici e dei protocolli d'intesa fra gli
operatori del settore. Non basta però muoversi ad un livello giuridico-normativo,
come non basta dare semplici indicazioni di comportamento ed esortare ad un uso corretto della rete. Bisogna
piuttosto cercare di dare adeguata giustificazione ai
comportamenti che si ritiene debbano essere assunti, nonché motivare
all'assunzione concreta di essi.
• Possibilità: nozione che indica una maggiore ampiezza e ricchezza rispetto a ciò che
risulta effettivamente esistente.
Conformemente a tali caratteri, “virtuale” è ciò che possiede la virtus, la capacità di fare
qualcosa e specialmente di farsi come qualcosa. In altre parole: non solo ciò che ha la
possibilità di realializzarsi in maniera conforme alla sua natura, ma soprattutto ciò che ha il
potere di diventare ciò che esso ha in potenza, ciò che ha in sé la virtù per attuarsi
dinamicamente secondo le varie possibilità in esso inscritte. Virtuale è ciò che nel suo esser
possibile è già reale, così come, nella sua stessa potenzialità risulta già attuale.
Come emerge dalle nostre esperienze quotidiane oggi, insieme alla realizzazione del
virtuale, si assiste ad una crescente virtualizzazione del reale, una perdita di coscienza, una
riduzione del suo spessore: il reale non è più considerato come qualcosa che c'è già da
sempre, che esiste e resiste al nostro agire, è invece il risultato delle nostre manipolazioni,
della nostra incidenza su di esso.
Ciò oggi ha conseguenze decisive riguardo al modo in cui pensiamo lo spazio ed il tempo, si
parla oggi infatti di “cyber spazio” e di “tempo reale”. Spazio e tempo nella rete non
vengono aboliti, ma trasformati. Che cosa vuol dire?
Lo spazio della rete è uno spazio virtuale, articolato secondo i rimandi del link, disposto
nella forma del collegamento, della connessione tra i vari nodi. Si tratta di uno spazio
reticolare costituito da incroci ben definiti (i nodi) e da rimandi attraverso cui i processi di
navigazione sono messi in moto.
Il tempo della rete è invece il tempo reale: il tempo dell'immediatezza, l'istante in cui sono
racchiusi i vari percorsi possibili, che poi possono essere seguiti passando da un sito
all'altro e la velocità di connessione fra i siti, garantita da processori sempre più sofisticati,
consente la simultaneità dei collegamenti.
Nell'era di internet a cambiare è anche il nostro rapporto con il corpo: si assiste ad una
sorta di “virtualizzazione del corpo” alla quale si accompagna però una “incorporazione del
virtuale”. Il primo caso riguarda tutti i fenomeni di simulazione che è possibile fare nella
realtà virtuale, mentre il secondo riguarda il potenziamento e la trasformazione del corpo mediante l'uso di
protesi artificiali di vario tipo, non necessariamente trapianti ed impianti,
ma anche sviluppando una dipendenza da certi strumenti di comunicazione, computer
compreso.
A mutare, di conseguenza a tutto ciò, sono anche i modi, le forme mentali, le prospettive
con cui l'uomo si rapporta al mondo. Muta il senso stesso dell'essere in relazione. S'impone
l'idea di una relazione aperta, sempre suscettibile di estendersi a nuovi collegamenti. Si
tratta di una relazione a rete in cui tutti i punti possono essere collegati a tutti gli altri. Così
la localizzazione di un punto non è determinata dall'occupazione di uno spazio fisico, ma
dalle modalità delle sue connessioni possibili. Ecco perché se si tiene conto di questo
diventa sempre più decisiva, non solo in una chiave economica ma anche dal punto di vista
etico, la questione dell'accesso alle connessioni, a partire dal quale, nel mondo di internet,
emerge il problema del digital divide.
Un ultimo aspetto relativo a come internet cambia i nostri modi di pensare e di agire
riguarda l'idea stessa di individuo: internet, infatti, per un verso sembra offrire sempre
nuove opportunità di relazione, mettendo in crisi una caratteristica autonoma
dell'individuo in quanto tale, per un altro invece l'individuo, nella sua relazione con la rete,
viene concepito isolato. Da tale isolamento, che è il suo modo specifico di essere davanti al
computer, egli parte per le sue avventure virtuali, cambiando nickname, gestendo
contemporaneamente più identità. E' vero dunque che la rete promuove la socialità, i
social network ne sono la prova più evidente, ma si tratta di una socialità particolare che
presuppone individui fra loro isolati, capaci di vivere molteplici rapporti, anche se non si sa
con quanto coinvolgimento emotivo.
ETICA IN INTERNET
Con queste riflessioni su internet come spazio delle scelte, sulle condizioni per esercitare
quella libertà responsabile che la rete consente di sviluppare, sulle forme di comunità
promosse dai social network, sulle applicazioni fornite dai palmari, siamo passati dall'etica
di internet all'etica in internet: quell'insieme di comportamenti che bisogna adottare
quando si utilizzano le possibilità del web e quando si naviga in rete. A questo proposito
sono state elaborate diverse prescrizioni, sia di carattere giuridico, che morale, oppure
legate al semplice galateo.
Anche nel caso della rete sono nati dei codici di autoregolamentazione che coinvolgono sia
gli operatori del settore sia le aziende erogatrici dei servizi, e per ora riguardano
soprattutto la salvaguardia di specifiche categorie di utenti come i minori. Sempre
nell'ambito della tutela degli utenti si è incominciato a parlare di accessibilità e usabilità, in
particolare quando si è capito il potenziale di internet nel rapporto fra cittadini e Pubblica
Amministrazione.
Il problema che riguarda qualsiasi codice venga adottato è la mancanza di un moderatore,
unico per tutto il web in grado si sanzionare le trasgressioni. In questo caso è il singolo
utente a venire chiamato ad assumersi le proprie responsabilità e a trovare in se stesso le
motivazioni per seguire un comportamento corretto. In più vi sono siti a cui possono essere
segnalati eventuali abusi.
Anche dal punto di vista penale vi sono leggi che puniscono certe pratiche commesse in
rete, ma nella misura in cui internet non è delimitato all'interno di precisi confini geografici,
è difficile applicare leggi valide entro la giurisdizione degli Stati nazionali.
CONCLUSIONI
Per regolare i comportamenti all'interno della rete non bastano i codici o le sanzioni da essi previste. Bisogna
invece fornire le motivazioni, indicare il perché è giusto compiere
determinati atti invece che altri. Questo è ciò che è chiamata a fare l'etica in internet.
Anche questo non è sufficiente. Per giustificare l'adozione di certi comportamenti l'etica in
internet deve essere collocata nel contesto più generale delle problematiche della rete e
degli aspetti etici che esse coinvolgono: l'etica di internet. A partire da qui poi debbono
essere esibiti quei principi generali ai quali di volta in volta l'utente si richiama nelle sue
scelte concrete. Fondare tali principi, in maniera adeguata, è compito dell'etica generale.
• La propaganda politica, volta a formare nel pubblico certe idee o ideologie proprie
di un partito o di una corrente politica.
RIFERIMENTI STORICI
Le prime tracce di pubblicità hanno origini antiche, risalgono addirittura all'antica Roma,
con insegne dipinte o a mosaico collocate fuori dai negozi per attirare i clienti. Iscrizioni e
immagini simboliche altamente comprensibili talvolta apposte dai produttori anche sul bene.
Nel Medioevo le insegne si arricchiscono di decorazioni, spesso realizzate da celebri artisti,
che rappresentano i prodotti in vendita. La forma pubblicitaria più diffusa però era quella
dei venditori ambulanti che, nei pressi delle loro bancarelle, descrivevano le merci in
vendita e le loro virtù.
E' nella seconda metà del quattrocento, con la diffusione della stampa a caratteri mobili di
Gutemberg, che nasce la pubblicità “moderna”, con l'esigenza di valorizzare le virtù di un
prodotto. Esempio: manifesto pubblicitario per promuovere un evento religioso presso la
cattedrale di Reims, stampato a Parigi nel 1482 dal tipografo parigino Jean Du Pré.
Nel seicento e nel settecento a veicolare i messaggi pubblicitari sono le Gazzette,
settimanali contenenti informazioni utili (orari delle navi, mercati, fiere, ecc.) e notizie
spesso provenienti dall'estero. Con le gazzette nasce la réclame: in Inghilterra, sul
Mercurius Britannicus, sotto forma di piccoli annunci; in Francia, sulla Gazette, viene invece
pubblicato nel 1631 il primo “consiglio commerciale” di un acqua minerale. In Italia si deve
attendere il 1691, quando sul Protogiornale Veneto Perpetuo, viene pubblicato l'annuncio
pubblicitario di un profumo: “Acqua della Regina d'Ongaria”, che si avvalse addirittura
(come oggi) di due testimonials, la Regina d'Ungheria e il profumiere alla corte di Versailles,
il duca do Orléans.
Nell'ottocento si intensificano le affissioni tanto che negli Stati Uniti vengono fondate le
prime agenzie d'affari che vendono spazi pubblicitari. Sono manifesti pubblicitari di grandi
dimensioni che permettono alla pubblicità di invadere la città in posizioni strategiche di
transito.
Già nel 1895 quando presentano al cinematografo “La sortie del usines Lumiere”, i fratelli
Lumiere, avevano capito l'importanza della pubblicità attuando un'abile operazione
pubblicitaria che mostrava un'immagine positiva dell'azienda di famiglia. Da questo
momento in poi la pubblicità cinematografica assume una notevole importanza,
ulteriormente amplificata dall'introduzione del cinema a colori.
Nel corso del XX e, soprattutto del XXI secolo, la pubblicità si evolve in maniera
esponenziale, di pari passo con il nuovo scenario comunicativo: emerge il fenomeno delle
riviste illustrate, fanno capolino nuove forme pubblicitarie per la radio e la tv analogica
prima, e per la tv digitale ed internet dopo. Con la radio, subito dopo la prima guerra
mondiale, la pubblicità e i suoi slogan entrano nelle abitazioni, e lo fa con ancora più
invadenza nella vita quotidiana a partire dal 1957 con la diffusione della televisione (vd.
Carosello). Negli anni settanta invece emergono nuovi tipi di campagna pubblicitaria, molto
creativi ed innovativi ma a volte controversi.
Nella società contemporanea la pubblicità è divenuta la fonte di finanziamento principale
dei mezzi di comunicazione, sovente determinandone i contenuti. Una tale importanza
riservata ad un messaggio volto a persuadere il destinatario impone alcune riflessioni di
natura etica, incentrate sui principi e i criteri che guidano l'ideazione, la creazione e la
veicolazione del messaggio pubblicitario. Su cosa è buono e giusto e su cosa non lo è
nell'ambito della comunicazione. Su quale sia cioè il senso della comunicazione
pubblicitaria.
Nel corso del tempo, dalle prime forme censorie promosse dal Codice SACIS per la
pubblicità televisiva in RAI, i criteri e le regole per la regolamentazione della comunicazione
pubblicitaria sono notevolmente modificati. Ancora oggi questi interventi sono affidati a
fonti di autodisciplina che si appellano al senso di responsabilità di chi opera in questo
stesso campo. Tale senso di responsabilità in molti casi viene suggerito dalla deontologia
professionale e formalizzato dai codici deontologici.
Vediamo le norme che regolano la pubblicità:
• Codice morale della pubblicità, redatto dall'Upa (utenti di pubblicità associati) nel
1951. Nell'anno successivo invece è la Fip (federazione italiana di pubblicità) a
redigere un altro codice. Entrambi i documenti non hanno avuto effetti significativi.
• Carta Informazione e Pubblicità, una carta deontologica redatta nel 1988, nella
quale si punta sulla chiarezza di chi è l'emittente del messaggio pubblicitario e sulla
correttezza dei messaggi che quest'ultimo veicola.
• Decreto legislativo n.177 del 31 luglio 2005 “Testo unico dei servizi di media
audiovisivi e radiofonici”.
• Codice del consumo, del 2005, che armonizza e riordina le normative nazionali ed
europee concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un
elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti.
• Decreto legislativo n.145 del 2 agosto 2007, che modifica una precedente direttiva
sulla pubblicità ingannevole.
• Legge n.287 del 10 ottobre 1990 “Norme per la tutela della concorrenza e del
mercato”, con cui viene istituita l'Antitrust (o AGCM, autorità garante della
concorrenza e del mercato), che in seguito ad u decreto legislativo successivo, si
occupa anche di tutela contro la pubblicità ingannevole: l'Antutrust ha “lo scopo di
tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i soggetti che
esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i
consumatori e, in genere, gli interessi del pubblico nella fruizione dei messaggi
pubblicitatri”.
• In ambito europeo, nel 1989, è nata l'Alliance Européenne pour Ethique en Publicité
(AEEP), il cui scopo è promuovere un'efficace autodisciplina pubblicitaria,
l'eguaglianza di trattamento per tutti i casi di denuncia ed un unico spirito nei criteri
di controllo del sistema di autodisciplina.
In Italia, come in altri paesi europei, sono stati adottati anche altri sistemi di controllo:
• Carta dell'informazione e della programmazione a garanzia degli utenti e degli
operatori del servizio pubblico radio-televisivo, varata nel 1995, è valida per le
pubblicità proposte per la tv e per la radio.
Dopo aver elencato tutte queste norme riguardanti i messaggi pubblicitari è doveroso
considerare che oggi la censura diventa quasi una sorta di pubblicità indiretta. Gli spot che
hanno il divieto di circolare sui canali ufficiali perché censurati, in attesa di permesso o per
scelte di marketing, finiscono per andare in rete. Internet è diventato un alleato di chi vuole
protestare creando campagne di sensibilizzazione. Esempi di spot censurati dalla tv e
cliccatissimi su Internet sono molto numerosi, non solo in Italia.
La pubblicità ha un ruolo sociale ben preciso: distorce la percezione della realtà creando
aspettative nel pubblico al quale si indirizza, in relazione ad un miglioramento della propria
condizione di vita. Nel caso specifico della pubblicità televisiva, oltre al criterio dell'utilità,
va ad aggiungersi quello dell'audience, con lo scopo di interessare e colpire il più ampio
pubblico possibile. Per un'emittente commerciale il vero cliente non è il pubblico, ma
l'inserzionista pubblicitario.
Non sempre lo scopo della pubblicità risulta persuasivo in senso negativo: basti pensare
alle pubblicità progresso, con finalità educative, volte al cambiamento di certi
comportamenti o atteggiamenti di singoli per l'innalzamento della qualità della vita della
collettività, nell'interesse generale.
La nostra vita quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui spesso non ci
rendiamo conto, frutto di accurati studi da parte di psicologi e statisti che cercano di
avvalersi di strategie ingegnose, occulte, per modificare le nostre abitudini e soprattutto i
nostri consumi.
Le problematiche di ordine etico che possono emergere nel contesto pubblicitario sono
varie e complesse, cerchiamo di identificare le principali:
1. Occorre porre attenzione alle questioni morali relative all'utilizzo della pubblicità in
sé ed alla costruzione del messaggio da veicolare.
• Il progetto Pensa Verde del Comune di Roma: per stimolare tutti i dipendenti degli
uffici comunali ad assumere comportamenti responsabili e coerenti con le tematiche
ambientali, e prevede anche uno specifico Codice di condotta per i dipendenti. A
fare da apripista al progetto è stato l'ufficio stampa del Comune che ha avviato
perciò la gestione eco-sostenibile dell'ambiente di lavoro. Il Codice di condotta
prevede semplici regole quotidiane, come lo spegnimento delle luci ove non
necessaria l'illuminazione, dei materiali elettronici non in uso, un utilizzo razionale di
fax, fotocopiatrici e stampanti, il risparmio di carta attraverso l'utilizzo delle mail.
L'istallazione di lampadine a basso consumo, nonché un utilizzo razionale degli
ascensori. Ma anche l'incentivazione dei collegamenti in videoconferenza tra gli
uffici per ridurre gli spostamenti di servizio.
DALL'ASSIMILAZIONE ALL'INTEGRAZIONE
Nel corso degli ultimi anni è cresciuto l'interesse per la comunicazione interculturale, anche come disciplina
di studio e di ricerca dalla quale ci si aspetta la soluzione per comporre gli
esiti indesiderati dei possibili conflitti generati dall'incontro fra culture. L'aggettivo
interculturale i riferisce alla situazione comunicativa nella quale gli interlocutori
provengono da contesti socio-culturali dei quali è chiaramente avvertibile la reciproca
differenza. Tale differenza è fra atteggiamenti, comportamenti, codici per la comunicazione
verbale e non verbale, sistemi di valori e credenze dei quali sono portatori gli individui fra i
quali si instaurano interazioni comunicative.
Il problema etico principale, tenendo conto che ormai viviamo in società complesse e
multiculturali, è proprio quello di individuare strategie efficienti per il trattamento delle
differenze.
La scoperta dell'interculturalità ha coinciso per lo più con la necessità di risolvere i problemi
teorico-pratici del progressivo divenire stanziale degli immigrati. Riguardo al
multiculturalismo occorre perciò definire come il passaggio dal concetto di assimilazione a
quello di integrazione abbia tentato di dissolvere nel migliore dei modi i confini fra il “noi” e
il “loro” .
L'assimilazione è si ancora oggi la strategia più praticata per regolare la convivenza fra
diversi, ma anche quella più inefficace. Per due motivi. Prima di illustrarli però occorre
domandarsi in cosa consiste l'assimilazione. A suo fondamento sta la radicata convinzione
che l'altro o lo straniero ospite sul nostro territorio debba completamente adeguarsi non
solo alle nostre leggi, ma anche al nostro insieme di credenze e di comportamenti condivisi.
Uno dei motivi per cui questo atteggiamento risulta inefficace, è il fatto che gli immigrati
sono portatori di una cultura interiorizzata che non può modificarsi, essere cancellata o
sostituita con un'altra. Anche il ritenere che ciò sarebbe stato possibile per le seconde
generazioni si è rivelato sbagliato, in quanto esse piuttosto si sono rivelate bi-culturali e
dunque a mantenere e conservare almeno in parte i tratti caratteristici della cultura di
origine. L'altro motivo riguarda il fatto che, voler trasformare gli immigrati in individui come
noi, implica un pregiudizio nei confronti della loro cultura, pregiudizio che può provocare
una reazione di autodifesa tale da generare un risultato contrario. E' qui poi che diventa
evidente il carattere non etico dell'assimilazione, perché a suo fondamento non vi è il
rispetto della differenza ma piuttosto la convinzione che sia meglio per l'altro diventare
come noi, palesando inoltre la sua inefficacia in quanto strategia per la pacifica convivenza
fra diversi e/o di conciliazione dei conflitti interculturali.
Dunque al concetto di assimilazione si è venuto progressivamente sostituendo quello di
integrazione, il quale sottolinea maggiormente la necessità di una interazione fondata sul
confronto delle differenze, differenze intese non come un qualcosa da superare ma come
arricchimento reciproco. L'integrazione non esclude del tutto l'assimilazione perché resta
intatto il presupposto di una maggiore responsabilità dell'ospite in termini di accettazione
della nostra cultura intesa in senso ampio, ma a questo presupposto si va comunque ad
aggiungere quello per cui anche noi dobbiamo avere un atteggiamento di apertura nei
confronti della diversità.
Dal punto di vista etico l'integrazione è maggiormente capace di rispettare le differenze ,
visto che proprio la valorizzazione e la preservazione di queste, e non della loro
omogenizzazione, è il suo principio animatore. Anche in questo caso tuttavia sussiste un
problema sul quale riflettere. Infatti poiché le differenze sul piano dei valori generano facilmente conflitti
nelle situazioni concrete, rispettare queste differenze può creare
problemi teorico-pratici nell'elaborazione delle soluzioni pacifiche dei conflitti. Le strategie
di composizioni di tali conflitti possono essere di due tipi. Per la prima si procede ad una
soluzione caso per caso, mentre per la seconda si predispongono interventi dall'alto mirati
ad imporre in una qualche misura il rispetto delle differenze, contemperando le posizioni di
tutti gli attori presenti nel contesto di riferimento. Questa è la soluzione più adottata,
perché apparentemente più semplice e più equa. E' una soluzione che fa riferimento al
diritto ed ai suoi prodotti, in special modo le leggi, come strumenti formali in grado di
regolare le interazioni fra gli attori sociali in modo imparziale ed a-valutativo.
Faremo perciò uno specifico accenno a quei documenti che riguardano problematiche
interculturali ed i temi caldi della convivenza multiculturale, come lo status di immigrato (in
particolare i suoi diritti in quanto essere umano e cittadino del mondo e non come ospite
altro) e la sua posizione in quanto lavoratore.
dei membri delle loro famiglie. Questo documento si mostra più attento alla tutela
delle differenze e prevede dettagliatamente quali diritti debbano essere attribuiti ai
lavoratori migranti, analizzando diversi possibili casi. Per esempio stabilisce che in
caso di espulsione dal paese ospitante, i lavoratori migranti abbiano diritto a
richiedere la liquidazione dei propri salari o di altre prestazioni; prevede il rispetto
della loro libertà di pensiero, di coscienza e di religione, come anche la libertà di
manifestare il proprio credo religioso o le proprie convinzioni, naturalmente nel
rispetto delle leggi del Paese ospitante.
Per quanto riguarda i bambini poi, si prevede il loro inserimento nel sistema
educativo locale e contemporaneamente la facilitazione dell'insegnamento della
loro lingua madre e della loro cultura. La Convenzione quindi è intesa nel senso di
una vera e propria integrazione allo scopo di una pacifica convivenza, tuttavia
neppure in questo avanzato documento (ben lontano da essere applicato a livello
globale) sono previste strategie risolutive per la composizione dei conflitti etico-
culturali.
• Il Parere del Comitato economico e sociale (CES) dell'Unione Europea, sul tema:
“L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le
amministrazioni regionali, locali e le organizzazioni della società civile” (2006). Qui
l'integrazione viene definita come “un processo bidirezionale, fondato su diritti ed
obblighi per i cittadini dei paesi terzi e per la società ospitante, e volto a garantire
agli immigrati una piena partecipazione”, specificando che “questo approccio
bidirezionale presuppone che l'integrazione non riguardi solo gli immigrati, ma
anche la società di accoglienza”, “le politiche di integrazione devono pertanto essere
orientate verso entrambe le parti”.
Gli immigrati dunque hanno il dovere di comprendere i rispettare i valori della
società di accoglienza, ma anch'essa deve fare altrettanto. Tale documento sembra
quindi maggiormente attento alla necessità di intendere l'integrazione in modo da
evitare la tentazione assimilazionistica. L'unico dubbio che rimane, da un punto di
vista filosofico-politico ed etico, è come conciliare questo appello alla
trasformazione bidirezionale con la richiesta che si attui senza mettere in
discussione la forma politica della società ed i valori sui quali riposa. Riguardo ciò
però viene ribadito che lo scopo dell'integrazione è “pervenire ad una società in cui
tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti e doveri e condividano i valori di una società
democratica, aperta e pluralista”.
La legislazione italiana, invece, è ben lontana dalla definizione di integrazione che dà il CES
nel suo parere, sembra piuttosto orientata maggiormente verso politiche
assimilazionistiche.
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE
La rilevanza che la comunicazione ha oggi in campo medico è sicuramente dovuta al peso
che la nozione di consenso informato ha assunto negli ultimi decenni in campo biomedico
e medico-legale ed ai diversi problemi legati alla sua applicazione nella pratica clinica e
sperimentale.
Tuttavia quella del consenso informato è solo una piccola parte di quella riflessione
comunicativa che investe la medicina in tutte le sue dimensioni, soprattutto la più
importante, quella della relazione medico-paziente.
Dal punto di vista della teoria della comunicazione è forte l'influsso di un modello ben
definito, la cosiddetta “teoria comunicativa standard”. L'accettazione di tale modello ha
perciò indirizzato le indagini sulla comunicazione medica verso una maggiore concretezza
procedurale ed efficienza tecnica nella gestione delle informazioni, invece che verso una
riflessione critica sul significato della comunicazione in quanto tale. Oggi si assiste ad una
inversione di tendenza, anche per le anomalie prodotte nel rapporto medico-paziente.
Alla base di questa riflessione vi è un'idea di medicina come pratica relazionale in cui sono
coinvolti elementi tecnico-scientifici, sociali e umanistici.
Paul Ricoeur: il nocciolo etico che definisce la forma relazionale dell'atto medico è il patto
di cura basato sulla fiducia, conclusione di un percorso di reciproco riconoscimento
tendente a riequilibrare l'iniziale asimmetria della relazione medico-paziente. L'alleanza
terapeutica, il vincolo di fiducia che lega i due interlocutori è però fragile e costantemente
minacciato dalla diffidenza e dal sospetto. La fiducia del paziente è incrinata dal timore
dell'abuso di potere da parte del medico e dalle attese irragionevoli poste nel suo
intervento. I limiti dell'impegno medico invece, più che alla negligenza, sono riconducibili
all'influenza della prospettiva oggettivante della scienza e della prospettiva della sanità
pubblica che fa prevalere gli interessi della collettività su quelli del singolo.
Entralgo: comunicazione come momento strutturale della relazione tra medico e malato. Il
colloquio è al centro di una complessa rete di atti comunicativi, verbali e non. Affinchè si
inneschi una vera comunicazione l'intenzione coinvolgente del medico deve prescindere
quella inquisitoriale ed oggettivante.
Eric Cassell: nel legame che si stabilisce tra medico e paziente la comunicazione assume
una valenza specificamente educativa. Il medico svolge la sua funzione educativa
ponendosi come mediatore, come ponte, tra il malato e la sua malattia. Questa finzione
educativa si fonda sulla pari dignità del medico e del malato sul piano morale e della loro
oggettiva disuguaglianza sul piano delle condizioni esistenziali.
Questi esempi di riflessione sulla struttura comunicativa della relazione medico-paziente
presentano alcuni riferimenti comuni che introducono validi suggerimenti per un'etica della
comunicazione medica. Nella descrizione del costituirsi del patto di cura come reciproco
riconoscimento emerge come l'intenzione conoscitiva della comunicazione medica sia
inscindibile da quella propriamente morale. La fiducia della relazione medico-paziente
assume così la valenza di un impegno etico. Queste considerazioni sono rilevanti anche
rispetto al tema della veridicità della comunicazione medica. Ma cosa significa dire la verità
al paziente? Questo interrogativo rimanda ad una concezione etica della verità, che non si
esaurisce nell'enunciazione di una conclusione scientifica o nell'indicazione di un
intervento tecnicamente efficacie, ma è un impegno a instaurare un rapporto autentico e
duraturo, funzionale alla creazione, alla promozione ed al mantenimento del nesso
comunicativo.