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Guida alle etiche della

comunicazione - riassunto

ETICA E GIORNALISMO

INTRODUZIONE
Lo scopo del giornalismo è quello di concorrere alla formazione della coscienza critica di
ogni cittadino. Per arrivare a questo importante risultato i giornalisti devono
necessariamente perseguire la verità o, almeno, la veridicità dei fatti, essere obiettivi e
distinguere i fatti dalle opinioni, agendo nel rispetto della sfera privata dei cittadini: devono
rispettare alcune regole etiche o deontologiche. Se queste non vengono rispettate, allora si
manipola l'informazione e anziché informare si deforma la realtà dei fatti e il giornalismo
non assolve il compito che si è prefisso.
La letteratura sui misfatti del giornalismo è piena di esempi che dimostrano il contrario.
Giovanni Gozzini narra, ad esempio, che già dal 1812 era conosciuta la pratica del puff, in
Italia soffietto, che consiste nel nascondere la pubblicità dentro articoli d'informazione.
Walter Lippmann, un autore americano degli anni venti, afferma invece che fin dalla sua
nascita (metà ottocento) il giornalismo moderno è stato uno strumento mercantile e di
propaganda.
Oggi i media sono la linfa vitale della vita democratica e, paradossalmente, in una società
democratica un'informazione corretta è più importante che in una società autoritaria,
dittatoriale.

ETICA E DEONTOLOGIA
Etica → ha per oggetto la determinazione della condotta umana nell'osservanza dei grandi
principi del costume, della vita civile, dei rapporti sociali: agire onestamente, respingere
qualsiasi tentativo di corruzione, essere leali. L'etica è ciò che dice dove sta il giusto e il
bene, che ci sono dei valori e perché dovrei seguirli. Non appartiene ad una categoria
specifica di persone ma all'umanità in generale.
Deontologia → dal greco tò déon= “il dovere” riguarda la trattazione dei doveri inerenti ad
una particolare categoria di persone. Per questo viene associata alla parola professionale
per indicare l'insieme delle regole di condotta riguardanti gli operatori di una specifica
professione.

LE CARTE DELL'ETICA
L'ordine dei giornalisti italiani (l'Italia è l'unico paese europeo ad averlo) è nato nel 1963
con la legge n.69 che, sostanzialmente riconosce per i giornalisti il diritto e l'obbligo a
perseguire la verità, tutela la libertà d'informazione ma anche la privacy e i diritti altrui.

Negli anni '90 nascono:


• La Carta d'informazione e pubblicità, che stabilisce che l'utente debba poter stabilire

l'identità dell'emittente di un messaggio pubblicitario.


• La Carta di Treviso, che in base ai principi sui diritti del bambino della Convenzione

ONU del 1989, assume dei principi e delle norme per tutelare il bambino, la sua
crescita e il suo sviluppo.

• La Carta dei doveri, che determina la responsabilità e i doveri della categoria. La cui
applicazione è vigilata da un Comitato nazionale per la correttezza e la lealtà
dell'informazione.

• Il Vademecum della Carta di Treviso, che in considerazione delle ripetute violazioni


ribadisce i principi di tutela riguardanti i minori.

• La Carta informazione e sondaggi, che stabilisce l'importanza di fornire strumenti


per valutare la correttezza e l'attendibilità delle informazioni raccolte mediante la
tecnica del campione statistico.

• E per ultimo, nel 1998, l'Ordine dei Giornalisti con il Garante della Privacy, è arrivato
all'emanazione di un Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell'esercizio dell'attività giornalistica, nel quale si stabiliscono le norme di tutela dei
diritti fondamentali della persona, in relazione soprattutto alla diffusione dei dati
riguardanti la sfera privata che non devono essere diffusi (il domicilio, l'origine
razziale o etnica, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, le condizioni di salute,
la sfera sessuale).

LE INIZIATIVE DISCIPLINARI
Nel nostro paese chi non rispetta tali codici può essere sottoposto a procedimento
disciplinare, l'Italia è l'unico paese europeo a potersi avvalere degli strumenti repressivi
anche del diritto pubblico in caso di violazione.
Le sanzioni disciplinari sono fissate nell'articolo 51 della legge 69/1963 e sono: a)
l'avvertimento; b) la censura; c) la sospensione dell'esercizio della professione per un
periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad una anno; d) la radiazione dall'Albo.

I PROBLEMI DELL'INFORMAZIONE
Trattiamo le deformazioni più macroscopiche ed evidenti del giornalismo contemporaneo.

LA PRESENTAZIONE DELLA VERITA' E LA MANIPOLAZIONE DELLA REALTA'


E' impossibile dare una descrizione dell'enorme quantità dei fatti fatti che accadono ogni
giorno, ogni ora e ogni minuto sul pianeta, le notizie che ci arrivano dai mass media sono
solo una selezione degli avvenimenti. Ogni mezzo d'informazione è, perciò, inevitabilmente
un giudizio sulla realtà. Non c'è un'oggettività della notizia e della sua importanza.E' opportuno che il lettore
sappia che il medium non è mai neutrale, per è importante che
egli conosca la tendenza del giornale che sta leggendo, che prenda coscienza delle delle
sue posizioni, per valutarle ed assumerle criticamente. Occorre tenere distinte però la
dichiarazione del punto di vista dalla manipolazione della notizia, cioè dalla costruzione della realtà per
creare consenso attraverso l'omissione di alcune notizie e l'enfasi di altre.
La collocazione nella pagina, l'ampiezza, la strutturazione, le immagini manipolate
contribuiscono a restituirci una realtà opportunamente mediata, usata per creare
consenso.
Giorgio Bocca definisce questa pratica la disinformazia. Un esempio di come opera la
disinformazia sono le classifiche dei best seller: ogni giornale le pubblica pur sapendo che
sono manovrate dalle grandi case editrici, oppure, ogni giornale si rivolge agli istituti per
sondaggi pur sapendo benissimo che sono fatti per campioni ridotti e inattendibili.

LA CONCENTRAZIONE IN POCHE MANI DEI MEZZI D'INFORMAZIONE


Dato che l'oggettività dei fatti non è raggiungibile, sarebbe almeno auspicabile garantire la
pluralità dei punti di vista e delle interpretazioni, sulla base dei quali il cittadino potrebbe
costruirsi un'opinione meglio ponderata. Anche l'Unione europea ha ribadito, più volte
l'importanza di un pluralismo dei mezzi di comunicazione. In Italia la situazione è diversa: il
tasso di concentrazione del mercato televisivo nel nostro paese è il più alto d'Europa:
nonostante la nostra offerta televisiva conti dodici canali nazionali e da dieci a quindici
canali regionali e locali, il mercato è caratterizzato dal duopolio tra RAI e Mediaset. Il
gruppo Mediaset, soprattutto, è il più importante gruppo privato italiano nel settore delle
comunicazioni e dei media televisivi e uno dei maggiori a livello mondiale, controllando tra
l'altro reti televisive (RTI s.p.a.) e concessioni di pubblicità (Publitalia '80), entrambe
riconosciute formalmente in posizione dominante e in violazione della normativa nazionale
dell'Autorità per la garanzia delle comunicazioni. Uno dei settori nel quale è più evidente il
conflitto d'interessi è quello della pubblicità.

LA SOVRABBONDANZA
Una delle tecniche usate per manipolare l'informazione è l'Inondazione. Alcuni studiosi
degli strumenti di news management (la produzione di eventi come strumento di controllo
dell'informazione), hanno teorizzato la sovrabbondanza per il controllo. L'inondazione
infatti confonde, crea disorientamento, fa perdere di vista le informazioni veramente
importanti su cui varrebbe la pena riflettere. La sovrabbondanza impedisce una piena
comprensione dei fatti perché nell'oceano di notizie il lettore si smarrisce e non riesce a
dare valore e significato, a contestualizzare le notizie che gli giungono.
Mai come oggi l'opinione pubblica è bombardata di notizie eppure mai come oggi il
pubblico è poco informato. Per esempio di qualsiasi guerra si combatte sul pianeta noi
conosciamo i dettagli più precisi: le strategie tecniche, gli uomini impiegati, le tecnologie
usate, le dichiarazioni dei politici coinvolti, ma difficilmente riusciamo a capire le ragioni
vere della guerra, perché in quel luogo, e via dicendo.
La sovrabbondanza è figlia di quello che Bocca definisce giornalismo quantitativo o
gigantista (supplementi sullo spettacolo, la cultura, lo sport, l'economia, supplementi dalla
culla alla bara: ripetizione all'infinito delle stesse ricette, delle stesse recensioni) e genera
quella che Giuliano da Empoli definisce overdose cognitiva (crescita di domanda e di
offerta di informazioni mentre la nostra capacità di elaborarla rimane immobile).

IL CONTROLLO DELLE FONTI


In questo meccanismo di giornalismo gigantista non è possibile verificare che il due tre per
cento delle notizie, le quali arrivano, di solito, dalle grandi agenzie di stampa. Chi ha
interesse a far circolare una notizia falsa ha molte probabilità di riuscirci, così la dinamica di
questo meccanismo di circolazione delle notizie è stata e viene spesso usata da agenzie di
disinformazione (es. servizi segreti o gruppi politici e di pressione) per i propri scopi.
Possiamo quindi essere vittime di disinformazione senza volerlo e senza che nemmeno gli
operatori dell'informazione lo vogliano.

LA MERCIFICAZIONE DELLA NOTIZIA


La fabbrica dell'informazione seleziona e costruisce l'agenda setting (la gerarchia delle
notizie con cui si stabilisce la priorità di alcune su altre) sulla base delle esigenze di
mercato. I parametri della notiziabilità (quelli secondo i quali una notizia ha più o meno
interesse o appeal) sono ispirati a logiche mercantili: l'attuale sistema informativo
mondiale sta subendo o stesso processo di qualsiasi altra attività produttiva seguendo sia la
logica che l'etica di mercato, così come la gerarchia degli avvenimenti che sia basa sulle
esigenze del mercato.
E' giusto considerare l'informazione una merce? E' giusto applicare all'informazione le
stesse logiche del mercato?
Siamo molto scettici sul fatto che l'autoregolamentazione del profitto, il giudizio del
mercato siano una logica vincente per la qualità dell'informazione. L'informazione è un
diritto e un dovere, una pratica di libertà, un esercizio di democrazia e crescita culturale.

LA MINACCIA DEGLI ALTRI POTERI E LA CONTIGUITA' CON LA PROPAGANDA


La logica mercantile ha invaso il sistema mediatico. Il potere economico tiene saldamente
le redini del giornalismo contemporaneo e ha ottimi motivi per farlo: il giornalismo
costituisce uno degli strumenti di controllo delle masse e oggi più che mai l'economia ha
interesse a farlo.
Ma le mani sul quarto potere spesso non le mette solamente il potere economico, ma
anche quello politico: Noam Chomsky sostiene che i media altro non servono che a
mobilitare l'appoggio della gente agli interessi particolari che dominano lo stato e l'attività
privata, dirigere l'opinione pubblica mediante regolari campagne di propaganda laddove il
potere vuole arrivare.
Dove va a finire la libertà di stampa sancita dalla Costituzione?

LA COMMISTIONE CON LA PUBBLICITA'


Occorre parlare anche del fascino operato dalla pubblicità sul giornalismo. Molto spesso
l'anima del commercio entra nelle redazioni e ne motiva le scelte e le strategie, finendo per
subordinare la presenza del giornalismo alla presenza della pubblicità e non viceversa. Le
scelte editoriali che dovrebbero essere dettate dalle logiche dell'informazione e della
notizia, vengono inquinate dalle contiguità con la pubblicità. L'anima del commercio
seduce gli interessi e le motivazioni del giornalismo.
Si può quindi affermare che oggi esistono due professioni e due mercati giornalistici: quello
degli informatori che operano ancora nei quotidiani e nei settimanali d'informazione generale, e quello degli
anfibi, metà giornalisti e metà pubblicitari, che dominano nei fogli
d'informazione specializzata, fra il merceologico e l'affaristico, fra l'informazione di servizio
e la pubblicità, che si occupano di oda, tempo libero, giardinaggio, salute, casa, culturismo,
gastronomia, enologia, sport, ecc.

CONCLUSIONI
Ma se la commistione tra chi serve l'informazione e chi la manipola, il giornalismo ibrido è
ormai una realtà consolidata, quanto di giornalismo è rimasto nei giornali? Se togliamo i
puff, la pubblicità, le notizie manipolate dal potere economico, quelle manipolate dal
potere politico, i fattoidi, le false notizie messe in campo da organismi di pressione, cosa
rimane dei nostri media?
Abbiamo oggi a disposizione un'enorme massa di informazioni si tutto quello di cui
potremmo avere bisogno e probabilmente questo è proprio quello che differenzia la nostra
epoca da quelle precedenti. Eppure questa massa d'informazioni rischiano di essere
falsificate ad arte, e per questo motivo non possono garantire un maggior tasso
d'informazione, di informazioni vere e rilevanti a disposizione del cittadino.
Una certa responsabilità di questa situazione è anche del pubblico, dei fruitori
dell'informazione: l'offerta si spiega con la domanda.
Per risolvere tali deformazioni però la deontologia da sola non basta, lo spazio di recupero
della dignità del giornalismo e la risoluzione di alcuni dei problemi delineati passa piuttosto
attraverso l'etica, non solo dei giornalisti, ma anche dei lettori.

ETICA E TELEVISIONE

PICCOLA STORIA DELLA TELEVISIONE


Esiste un rapporto tra etica e televisione?
Per rispondere a tale quesito e necessario ripercorrere le tappe principali che hanno
caratterizzato la storia della televisione e la sua programmazione. I primi esperimenti di
televisione si ebbero negli anni trenta in vari paesi e portarono all'inizio delle trasmissioni
in Germania, Inghilterra e Stati Uniti tra il 1936 e il 1939. Ma è solo dopo la guerra che la
televisione si affermò davvero. Il servizio televisivo italiano iniziò il 3 gennaio 1954, con
grande espansione tra il 1956 e i primi anni '70 ed è svolto dalla RAI in regime di monopolio
e sotto il controllo governativo. Negli anni '70 poi i monopoli vennero messi in discussione
e tutti i paesi d'Europa si posero il problema di aprire e privatizzare le frequenze
radiotelevisive anche ai livelli locali e sopranazionali. In Italia una legge del 1975 ribadì il
monopolio (che passava dalle mani del governo alle mani del parlamento, quindi sotto il
controllo della politica nel suo complesso non solo sotto quello dei partiti di maggioranza)
e introdusse una terza rete televisiva. Nel 1976 invece una sentenza della Corte
Costituzionale ammetteva l'emittenza privata, sia radiofonica che televisiva, negando il
monopolio. Si arrivò così, nel 1984, al superamento da parte di Fininvest (poi Mediaset) del
fatturato pubblicitario della RAI. L'effetto di queste novità modificò profondamente il linguaggio e i
contenuti della televisione italiana.
Fu Ettore Bernabei, direttore della RAI dal 1961 al 1973, ad elaborare in Italia il primo
progetto di televisione, caratterizzato da una concezione “pedagogica”. I programmi erano
distribuiti nel corso della settimana con regolarità, per cui alcuni giorni erano dedicati ai
film, altri al teatro, ai quiz, all'approfondimento informativo, agli sceneggiati, con un offerta
molteplice di prodotti diversi. La televisione non trasmetteva tutto il giorno: la mattina non
c'erano programmi, iniziavano all'ora di pranzo con il telegiornale e nel pomeriggio con i
programmi per ragazzi. I programmi non erano interrotti dalla pubblicità ed esisteva una
netta distinzione di generi.
Con la nascita e l'avvento delle tv commerciali private, l'idea di fondo dei nuovi progetti
televisivi, estesa anche alla RAI, divenne quella di catturare lo spettatore allo scopo di
offrire il maggior numero possibile di ascoltatori agli investitori pubblicitari. Il
telespettatore non è più il destinatario di un atto comunicativo ma un target da colpire.
Così i programmi televisivi, film, show e quant'altro, sono adeguati ai prodotti delle
pubblicità per poter garantire un maggior ritorno di audience.
Per questo tipo di televisione Umberto Eco ha coniato il termine neotelevisione,
differenziandola da quella precedente legata al monopolio e chiamata prototelevisione.
La competizione fra reti, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, non ha favorito
l'innalzamento della qualità dei programmi, ma il loro decadimento, invece di elevare il
livello culturale degli utenti, ha contribuito al suo abbassamento.
Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda la possibilità di eseguire video su internet,
una piattaforma distributiva alterativa sia a quella televisiva che a quella cinematografica,
accessibile a milioni di utenti in tutto il mondo. Il duopolio cinema televisione viene
incrinato e poi spezzato via da un medium che possiede, tra le sue caratteristiche più
importanti l'interattività, elemento non esistente negli altri due.

ALCUNI CARATTERI DELLA TELEVISIONE


Gli elementi caratterizzanti del messaggio televisivo sono: immagine, contenuti, rapporto
fra realtà e finzione. Un'ulteriore elemento che caratterizza la televisione e che la rende
così affascinante e nello stesso tempo potenzialmente pericolosa è l'immagine e la sua
capacità di confondere realtà e finzione, di far sembrare vero anche quello che non lo è.
Secondo Sartori la televisione modifica la natura stessa della comunicazione, spostandola
dal contesto della parola al contesto dell'immagine, ciò che si vede appare come reale e
quindi vero. Lo spettatore televisivo, che dipende dalle immagini che vede sullo schermo,
sta subendo una vera e propria metamorfosi: da homo sapiens si sta trasformando in homo
videns. La televisione non è più soltanto uno strumento di comunicazione ma è divenuta un
medium che genera un nuovo tipo di essere umano. I bambini guardano molto la
televisione ancor prima di imparare a scrivere e sono formati dalle immagini trasmesse
dalla televisione prima che dalla parola. L'adulto che ne verrà fuori, sempre secondo
Sartori, sarà sordo agli stimoli del leggere e del sapere trasmessi dalla parola scritta, capace
solo di rispondere a stimoli di carattere visivo.
La tv poi ha la capacità di cancellare le distanze, di far vedere in tempo reale avvenimenti
che accadono a migliaia di chilometri di distanza (facendo riferimento anche aquesta
potenzialità Mc Luan coniò il termine di “villaggio globale”), di contro però, la parte di mondo non vista
dalla telecamera viene come cancellata, facendo si che gli avvenimenti
che la accadono non siano percepiti come realmente avvenuti.

PROBLEMI ETICI
Questi elementi pongono una riflessione di carattere etico: esiste ed è notizia soltanto
quello che la televisione ci trasmette, tutto il resto non esiste. E' una percezione del mondo
davvero estremamente parziale. Un altro problema etico è quello che realtà e finzione
sono portati sempre di più a fondersi (vedi reality show): la tv cerca di avvicinarsi sempre di
più al quotidiano cercando di imitarlo e il quotidiano diventa così spettacolo; la nostra vita
vuole imitare ciò che vediamo in televisione in una continua osmosi.
Anche i programmi dedicati all'informazione privilegiano lo spettacolo a scapito della
presentazione della notizia, del rispetto dell'obbiettività e dell'equità. Siccome gli organi
d'informazione selezionano le informazioni che attirano l'attenzione del pubblico, dirigendo
la comunicazione su determinati temi, così anche i politici si rapportano sempre meno con
la realtà e sempre più con gli eventi selezionati dalla televisione e molte volte “distorti”
dalla videocamera.
Popper, nel suo saggio Cattiva maestra televisione, riflettendo sui contenuti proposti dalla
tv e sul senso critico con cui essi vengono percepiti, mette in evidenza il rischio, soprattutto
per i bambini, di una televisione che trasmette violenza e che quindi educa alla violenza. Il
bambino assorbe il modello violento come eccitante e tenderà a riproporlo ragionando con
la logica del dominio piuttosto che della tolleranza, del dialogo e del rispetto. Questo
avviene per una assuefazione acritica del telespettatore al messaggio televisivo.
La televisione detiene un'enorme potere: quello di influenzare a livello economico, sociale
e politico la società, in un modo estremamente superiore agli altri mezzi di comunicazione,
questo perché percepita come più vicina alla verità.

LE CARTE E I CODICI DEONTOLOGICI


Sono nati codici di autoregolamentazione e carte deontologiche volte a codificare
un'insieme di regole e di comportamenti che garantiscono il rispetto del pluralismo, la
correttezza dell'informazione, la verifica delle fonti, la protezione delle fasce più deboli,
l'accettabilità dei messaggi pubblicitari, il rispetto della privacy e il corretto trattamento
delle minoranze.
Vediamo questi codici e queste carte:

• La Carta dell'informazione e della programmazione, di cui si è dotata la RAI a


garanzia degli utenti e degli operatori del servizio pubblico. Contiene i principi
generali ispiratori e definisce i criteri di comportamento, sia per le trasmissioni
informative che per i resto dell'offerta.

• La Carta di Treviso, sottoscritta per la tutela dei minori dal Consiglio Nazionale
dell'Ordine dei giornalisti, dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana e da Telefono
Azzurro. E' nata a protezione dei diritti dei bambini sia nelle trasmissioni tv che
all'interno degli spot. Sono state inoltre create fasce protette nel palinsesto
televisivo con l'adozione di una specifica segnaletica per i diversi programmi.

• Il Codice di deontologia sulla privacy, adottato dal Consiglio Nazionale dell'Ordine


dei giornalisti, che presenta anch'esso articoli dedicati alla protezione dei minori.

• La Carta dell'informazione e della programmazione a garanzia degli utenti e degli


operatori del servizio pubblico, relativa all'informazione radiotelevisiva, pubblicata
nel 1995, si impegna a rispettare le indicazioni della Carta di Treviso e sottolinea
l'attenzione nei confronti degli adolescenti che partecipano alle trasmissioni
televisive.

• L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nata nel 1997, ha fatto un ulteriore
passo avanti riguardo alla tutela dei minori e si impegna a garantire la tutele
dell'utenza sia per quanto riguarda la distribuzione dei vari servizi e prodotti, sia per
quanto riguarda la verifica del rispetto della normativa vigente (assicurando
soprattutto la tutela dei minori-utenti).
• Il Codice di autoregolamentazione tv e minori, approvato nel 2002, impegna le
imprese televisive a migliorare ed elevare la qualità delle trasmissioni destinate ai
minori, ad aiutare gli adulti, le famiglie e i minori ad un uso corretto ed appropriato
delle trasmissioni televisive, tenendo conto delle esigenze del bambino, sia rispetto
alla qualità che alla quantità.

ETICA E INTERNET

PREMESSA
L'applicazione delle nuove tecnologie all'ambito della comunicazione ha provocato un
potenziamento ed una trasformazione dei media tradizionali, ma anche la nascita di new
media. L'impatto di queste nuove tecnologie sui comportamenti umani è di grande portata,
tanto che si è parlato di una “mutazione antropologica” di cui sarebbero responsabili. In
questo caso le domande dell'etica non possono rivolgersi soltanto ai modi in cui tali mezzi
di comunicazione possono essere utilizzati, ma devono riguardare anche gli effetti delle
loro procedure, i cambiamenti che possono esercitare sull'uomo e sul mondo. In altre
parole le domande dell'etica devono riguardare sia i comportamenti che possiamo adottare
rispetto alle nuove forme di comunicazione, sia i comportamenti che possiamo adottare
all'interno di esse. Sono proprio questi due i piani ad essere stati studiati, a partire dalla
metà degli anni ottanta, nell'ambito della “Computer & Ethics”.
Ad essere presa in esame, in queste pagine, è soprattutto Internet, “la rete delle reti” e le
questioni di carattere etico implicate da questo fenomeno e dal suo diffondersi. Se ne
parlerà seguendo soprattutto due linee interpretative, che riguardano:

• Il filone relativo all'etica di internet: le questioni relative all'impatto di internet sulla


società, sul modo in cui viviamo, sul nostro modo di pensare, in cui rientrano anche
le riflessioni sul divario tecnologico (digital divide) e sulle più generali disuguaglianze
provocate dalla rete, oltre che sugli eventuali usi militari di internet.

• Il filone relativo all'etica in internet: i problemi che riguardano l'uso stesso della rete,
la necessità di stabilire criteri di condotta ai quali fin'ora si è cercato di dare risposta
attraverso lo strumento dei codici deontologici e dei protocolli d'intesa fra gli
operatori del settore. Non basta però muoversi ad un livello giuridico-normativo,
come non basta dare semplici indicazioni di comportamento ed esortare ad un uso corretto della rete. Bisogna
piuttosto cercare di dare adeguata giustificazione ai
comportamenti che si ritiene debbano essere assunti, nonché motivare
all'assunzione concreta di essi.

LE TRASFORMAZIONI PRODOTTE DALLA RETE E L'ETICA DI INTERNET


Se si vuole delineare un etica di internet occorre avere ben presenti i cambiamenti, nella
mentalità e nei modi di agire, che la presenza della rete comporta.
Uno dei concetti chiave che emergono è quello di “virtuale”: si parla di tastiera virtuale, di
processi virtuali, di realtà virtuale, ma cosa vuol dire realmente?
“Virtuale” non è una nozione contrapposta a quella di “reale”, ma un concetto più
articolato e complesso che racchiude e collega fra loro gli aspetti della:

• Possibilità: nozione che indica una maggiore ampiezza e ricchezza rispetto a ciò che
risulta effettivamente esistente.

• Potenzialità: termine che esprime la condizione in cui qualcosa si trova prima di


attuarsi davvero (le pre-condizione che, secondo l'interpretazione aristotelica del
movimento, ne rende possibile l'attuarsi).
• Potenza: vocabolo che va inteso nel senso del potere, che qualcosa ha in se, di
compiere uno specifico atto o di realizzarsi in un certo modo.

Conformemente a tali caratteri, “virtuale” è ciò che possiede la virtus, la capacità di fare
qualcosa e specialmente di farsi come qualcosa. In altre parole: non solo ciò che ha la
possibilità di realializzarsi in maniera conforme alla sua natura, ma soprattutto ciò che ha il
potere di diventare ciò che esso ha in potenza, ciò che ha in sé la virtù per attuarsi
dinamicamente secondo le varie possibilità in esso inscritte. Virtuale è ciò che nel suo esser
possibile è già reale, così come, nella sua stessa potenzialità risulta già attuale.
Come emerge dalle nostre esperienze quotidiane oggi, insieme alla realizzazione del
virtuale, si assiste ad una crescente virtualizzazione del reale, una perdita di coscienza, una
riduzione del suo spessore: il reale non è più considerato come qualcosa che c'è già da
sempre, che esiste e resiste al nostro agire, è invece il risultato delle nostre manipolazioni,
della nostra incidenza su di esso.
Ciò oggi ha conseguenze decisive riguardo al modo in cui pensiamo lo spazio ed il tempo, si
parla oggi infatti di “cyber spazio” e di “tempo reale”. Spazio e tempo nella rete non
vengono aboliti, ma trasformati. Che cosa vuol dire?
Lo spazio della rete è uno spazio virtuale, articolato secondo i rimandi del link, disposto
nella forma del collegamento, della connessione tra i vari nodi. Si tratta di uno spazio
reticolare costituito da incroci ben definiti (i nodi) e da rimandi attraverso cui i processi di
navigazione sono messi in moto.
Il tempo della rete è invece il tempo reale: il tempo dell'immediatezza, l'istante in cui sono
racchiusi i vari percorsi possibili, che poi possono essere seguiti passando da un sito
all'altro e la velocità di connessione fra i siti, garantita da processori sempre più sofisticati,
consente la simultaneità dei collegamenti.
Nell'era di internet a cambiare è anche il nostro rapporto con il corpo: si assiste ad una
sorta di “virtualizzazione del corpo” alla quale si accompagna però una “incorporazione del
virtuale”. Il primo caso riguarda tutti i fenomeni di simulazione che è possibile fare nella
realtà virtuale, mentre il secondo riguarda il potenziamento e la trasformazione del corpo mediante l'uso di
protesi artificiali di vario tipo, non necessariamente trapianti ed impianti,
ma anche sviluppando una dipendenza da certi strumenti di comunicazione, computer
compreso.
A mutare, di conseguenza a tutto ciò, sono anche i modi, le forme mentali, le prospettive
con cui l'uomo si rapporta al mondo. Muta il senso stesso dell'essere in relazione. S'impone
l'idea di una relazione aperta, sempre suscettibile di estendersi a nuovi collegamenti. Si
tratta di una relazione a rete in cui tutti i punti possono essere collegati a tutti gli altri. Così
la localizzazione di un punto non è determinata dall'occupazione di uno spazio fisico, ma
dalle modalità delle sue connessioni possibili. Ecco perché se si tiene conto di questo
diventa sempre più decisiva, non solo in una chiave economica ma anche dal punto di vista
etico, la questione dell'accesso alle connessioni, a partire dal quale, nel mondo di internet,
emerge il problema del digital divide.
Un ultimo aspetto relativo a come internet cambia i nostri modi di pensare e di agire
riguarda l'idea stessa di individuo: internet, infatti, per un verso sembra offrire sempre
nuove opportunità di relazione, mettendo in crisi una caratteristica autonoma
dell'individuo in quanto tale, per un altro invece l'individuo, nella sua relazione con la rete,
viene concepito isolato. Da tale isolamento, che è il suo modo specifico di essere davanti al
computer, egli parte per le sue avventure virtuali, cambiando nickname, gestendo
contemporaneamente più identità. E' vero dunque che la rete promuove la socialità, i
social network ne sono la prova più evidente, ma si tratta di una socialità particolare che
presuppone individui fra loro isolati, capaci di vivere molteplici rapporti, anche se non si sa
con quanto coinvolgimento emotivo.

PROBLEMI ECONOMICI, SOCIALI E POLITICI NELLA GESTIONE DELLA RETE: IL CASO


DEL
DIGITAL DIVIDE.
La rete dischiude un abito eticamente ambiguo. Luogo di opportunità e rischi, ci mette di
fronte a scelte ben precise riguardanti il suo utilizzo e la sua fruizione.
Occorre riflettere sul problema del divario digitale. Per motivi economici, sociali e politici vi
è nella geografia di internet, un notevole squilibrio a livello mondiale fra luoghi che sono
più facilmente connessi al network e luoghi che non lo sono. E ad esso corrisponde un
analogo squilibrio nelle opportunità di innovazione tecnologica, di sviluppo delle
conoscenze e di crescita economica.
Questo squilibrio, così come altri su scala mondiale, pone di fronte a specifiche questioni
morali. Nel caso del digital divide si può identificare una responsabilità diretta propria di
alcuni governi e delle grandi compagnie di telecomunicazione, e una responsabilità
indiretta come quella del semplice utilizzatore della rete. Quest'ultima responsabilità non
va affatto trascurata: nella nostra epoca ogni soggetto connesso al network ha il potere di
decidere, per parte sua, se continuare a sostenere o meno questa struttura di collegamenti.
Da un punto di vista etico una riflessione sul concetto di disuguaglianza digitale parte dalla
critica dell'idea di digital divide, considerata troppo ristretta, cercando di andare al di la di
essa e di considerare le differenze esistenti nell'ottica di un diverso rapporto fra individuo e
società. Ne consegue l'identificazione di cause specifiche che sarebbero all'origine delle
disuguaglianze digitali, l'elaborazione di un “modello cumulativo e ricorsivo”
dell'appropriazione tecnologica e la proposta di un ulteriore modello che tenga conto delle caratteristiche
individuali dei soggetti coinvolti, dei loro profili collettivi e della struttura
propria degli sviluppi tecnologici.

INTERNET E LO SPAZIO DELLE SCELTE


Internet risulta, per la sua struttura, un luogo d'interazione, è l'ambito in cui ciascuno di
noi, pur all'interno di certe condizioni, si trova ad esercitare la propria libertà, all'interno di
esso vi è spazio per una scelta e un'assunzione di responsabilità, per cui può essere oggetto
di attenzione morale. Per questo ha senso parlare di un'etica in internet.
La struttura di internet è quella dell'ipertesto e per muoversi nella rete è necessario che ad
ogni passo vengano prese delle decisioni. Per usare le parole di colui che ha coniato il
termine, Theodor Nelson, un ipertesto è “un testo che si dirama e che consente al lettore di
scegliere: qualcosa che si realizza al meglio davanti ad uno schermo interattivo”. E' la
capacità di connessione, la connettività (o meglio la “connettibilità”) che fa si che internet
si configuri come uno spazio di scelte ed è a partire da qui che può concretizzarsi il
potenziale di liberazione insito nella rete, consentendo a chi nella propria situazione non si
può muovere liberamente (in senso metaforico o letterale) di farlo in uno spazio virtuale.
Dunque viene fuori l'intimo legame, su di un piano politico, fra l'accesso ad internet e
l'esercizio della democrazia e si capisce perché il primo atto di un regime non democratico
nei confronti del dissenso sia quello di chiudere i provider.
Abbiamo detto ce internet è l'ambito dell'esercizio della propria libertà, di una libertà che
tuttavia deve fare i conti con condizioni ben precise. Le scelte compiute all'interno
dell'ambito di connettibilità sono inserite in una struttura rigida, ben definita, che è quella
progettata dal programmatore e con questa struttura è possibile interagire solo
parzialmente (se si è semplici navigatori e non si hanno gli strumenti per programmare).
Internet è visto come un luogo di liberazione soprattutto per il facile accesso che consente
a conoscenze ed informazioni. Troppe informazioni non selezionate però hanno lo stesso
effetto di una disinformazione.
Se vogliamo che, sia i nostri comportamenti all'interno della rete, sia nei confronti della
rete, siano pensati in una chiave etica, dobbiamo qual'è l'idea di libertà che davvero
scaturisce dal suo uso.
La libertà in gioco è intesa soprattutto come libertà di fruizione: sulla linea di
quell'ampliamento delle possibilità e di quel conseguente aumento di potere che l'utilizzo
di internet rende possibile. E si collega altresì all'esigenza, tipica della logica del consumo,
d'intendere la libertà di scelta come ampliamento dell'offerta proposta nel quadro di un
menù ideale: un ampliamento che la rete sembra in grado di poter estendere all'infinito.

LE RELAZIONI NEL WEB 2.0


Dunque internet è uno strumento d'interazione capace di offrire un menù potenzialmente
infinito di connessioni, informazioni, rimandi. E' tanto ricco da richiedere un ulteriore
strumento, capace di orientare la ricerca: un “motore” che ormai siamo abituati ad usare
senza domandarci quali siano i criteri secondo i quali la sua ricerca viene appunto condotta,
e con risultati raggiunti in un tempo sempre più veloce.
Da qualche anno, all'interazione già possibile si è affiancata una nuova condivisione di
pensieri, di contenuti, di immagini, di emozioni. E' il mondo del web 2.0, quello che ha a che fare con
applicazioni user friedly e di cui sono famosissimi esempi il social network
Facebook e l'enciclopedia on line Wikipedia (nata non tanto con l'idea di diffondere un
sapere, quanto con l'esigenza di partecipare ad altri le proprie esperienze).
In questo ambito il compito etico che va assunto è quello di scegliere, nel contesto
tradizionale del web 2.0, gli atteggiamenti in grado di promuovere altre relazioni, non già di
distruggerle. Può essere in tal modo concretamente giustificata, anche in rete, la scelta di
quegli stessi comportamenti, come ad esempio la sincerità e il rispetto per gli interlocutori,
che governano off-line le relazioni interumane buone.
Per usufruire dell'ampliata libertà, attraverso il moltiplicarne delle relazioni che ne rendono
possibile l'esercizio, bisogna accettare regole ben precise. Il fatto di doversi subordinare a
una determinata struttura per poter usufruire delle possibilità di partecipare ad discorso
comune è qualcosa che non ha tardato a suscitare riflessioni preoccupate e critiche.
Si finisce così per barattare la propria privacy con la possibilità di accedere ad un social
network.
Le nuove tecnologie comunque sono in costante trasformazione, tanto che la rivista Wired
ha già introdotto il termine che consente di definire la nuova evoluzione che la rete subisce
con il diffondersi, ad esempio, degli smartphones e delle loro applicazioni. Si parla di Web
3.0.

ETICA IN INTERNET
Con queste riflessioni su internet come spazio delle scelte, sulle condizioni per esercitare
quella libertà responsabile che la rete consente di sviluppare, sulle forme di comunità
promosse dai social network, sulle applicazioni fornite dai palmari, siamo passati dall'etica
di internet all'etica in internet: quell'insieme di comportamenti che bisogna adottare
quando si utilizzano le possibilità del web e quando si naviga in rete. A questo proposito
sono state elaborate diverse prescrizioni, sia di carattere giuridico, che morale, oppure
legate al semplice galateo.
Anche nel caso della rete sono nati dei codici di autoregolamentazione che coinvolgono sia
gli operatori del settore sia le aziende erogatrici dei servizi, e per ora riguardano
soprattutto la salvaguardia di specifiche categorie di utenti come i minori. Sempre
nell'ambito della tutela degli utenti si è incominciato a parlare di accessibilità e usabilità, in
particolare quando si è capito il potenziale di internet nel rapporto fra cittadini e Pubblica
Amministrazione.
Il problema che riguarda qualsiasi codice venga adottato è la mancanza di un moderatore,
unico per tutto il web in grado si sanzionare le trasgressioni. In questo caso è il singolo
utente a venire chiamato ad assumersi le proprie responsabilità e a trovare in se stesso le
motivazioni per seguire un comportamento corretto. In più vi sono siti a cui possono essere
segnalati eventuali abusi.
Anche dal punto di vista penale vi sono leggi che puniscono certe pratiche commesse in
rete, ma nella misura in cui internet non è delimitato all'interno di precisi confini geografici,
è difficile applicare leggi valide entro la giurisdizione degli Stati nazionali.
CONCLUSIONI
Per regolare i comportamenti all'interno della rete non bastano i codici o le sanzioni da essi previste. Bisogna
invece fornire le motivazioni, indicare il perché è giusto compiere
determinati atti invece che altri. Questo è ciò che è chiamata a fare l'etica in internet.
Anche questo non è sufficiente. Per giustificare l'adozione di certi comportamenti l'etica in
internet deve essere collocata nel contesto più generale delle problematiche della rete e
degli aspetti etici che esse coinvolgono: l'etica di internet. A partire da qui poi debbono
essere esibiti quei principi generali ai quali di volta in volta l'utente si richiama nelle sue
scelte concrete. Fondare tali principi, in maniera adeguata, è compito dell'etica generale.

ETICA E COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

CHE COSA S'INTENDE PER PUBBLICITA'


La pubblicità è uno dei principali motori dell'economia e condiziona la vita di tutti i mezzi di
comunicazione di massa che poggiano sulla sua capacità di di influenzare i nostri pensieri e
comportamenti.
Il termine pubblicità deriva dal latino pubblicare, che significa “far conoscere”, rendere a
tutti noto un qualcosa. La definizione di pubblicità che invece dà Abruzzese è la seguente:
“qualunque pratica sociale volta all'esibizione di contenuti simbolici con funzioni di
persuasione (oggi diremmo anche pervasione) e di socializzazione, solitamente realizzata
nel contesto di un più vasto scambio d stampo economico e/o comunicativo.
La pubblicità può essere classificata in base al fine per il quale è stata ideata: se per scopi
puramente economici, commerciali, oppure senza finalità di lucro. Vediamo i vari tipi di
pubblicità:

• La propaganda politica, volta a formare nel pubblico certe idee o ideologie proprie
di un partito o di una corrente politica.

• La pubblicità sociale (o no profit advertising), con l'intento di sensibilizzare un


determinato pubblico relativamente a tematiche di interesse generale e
potenzialmente universali, richiamando valori umanitari, civili e solidaristici.

• La pubblicità pubblica (istituzionale), impiegata dallo Stato e dalle Pubbliche


Amministrazioni per comunicare i servizi offerti, i diritti e i doveri dei cittadini.

• L'advocacy advertising, volta a promuovere un consenso relativamente a tematiche


su cui esiste una divergenza di opinioni.

• La pubblicità commerciale, una forma di comunicazione che l'azienda produttrice di


un bene o di un servizio pone in essere utilizzando (pagandoli) canali che siano
raggiungibili da un pubblico tendenzialmente corrispondente all'intera collettività (o
almeno l'intero target di riferimento), con il fine di guidare le scelte degli individui, la
loro “propensione all'acquisto”, o anche migliorare l'immagine del bene o del
servizio pubblicizzato, oltre che contrastare le iniziative di aziende concorrenti.

RIFERIMENTI STORICI
Le prime tracce di pubblicità hanno origini antiche, risalgono addirittura all'antica Roma,
con insegne dipinte o a mosaico collocate fuori dai negozi per attirare i clienti. Iscrizioni e
immagini simboliche altamente comprensibili talvolta apposte dai produttori anche sul bene.
Nel Medioevo le insegne si arricchiscono di decorazioni, spesso realizzate da celebri artisti,
che rappresentano i prodotti in vendita. La forma pubblicitaria più diffusa però era quella
dei venditori ambulanti che, nei pressi delle loro bancarelle, descrivevano le merci in
vendita e le loro virtù.
E' nella seconda metà del quattrocento, con la diffusione della stampa a caratteri mobili di
Gutemberg, che nasce la pubblicità “moderna”, con l'esigenza di valorizzare le virtù di un
prodotto. Esempio: manifesto pubblicitario per promuovere un evento religioso presso la
cattedrale di Reims, stampato a Parigi nel 1482 dal tipografo parigino Jean Du Pré.
Nel seicento e nel settecento a veicolare i messaggi pubblicitari sono le Gazzette,
settimanali contenenti informazioni utili (orari delle navi, mercati, fiere, ecc.) e notizie
spesso provenienti dall'estero. Con le gazzette nasce la réclame: in Inghilterra, sul
Mercurius Britannicus, sotto forma di piccoli annunci; in Francia, sulla Gazette, viene invece
pubblicato nel 1631 il primo “consiglio commerciale” di un acqua minerale. In Italia si deve
attendere il 1691, quando sul Protogiornale Veneto Perpetuo, viene pubblicato l'annuncio
pubblicitario di un profumo: “Acqua della Regina d'Ongaria”, che si avvalse addirittura
(come oggi) di due testimonials, la Regina d'Ungheria e il profumiere alla corte di Versailles,
il duca do Orléans.
Nell'ottocento si intensificano le affissioni tanto che negli Stati Uniti vengono fondate le
prime agenzie d'affari che vendono spazi pubblicitari. Sono manifesti pubblicitari di grandi
dimensioni che permettono alla pubblicità di invadere la città in posizioni strategiche di
transito.
Già nel 1895 quando presentano al cinematografo “La sortie del usines Lumiere”, i fratelli
Lumiere, avevano capito l'importanza della pubblicità attuando un'abile operazione
pubblicitaria che mostrava un'immagine positiva dell'azienda di famiglia. Da questo
momento in poi la pubblicità cinematografica assume una notevole importanza,
ulteriormente amplificata dall'introduzione del cinema a colori.
Nel corso del XX e, soprattutto del XXI secolo, la pubblicità si evolve in maniera
esponenziale, di pari passo con il nuovo scenario comunicativo: emerge il fenomeno delle
riviste illustrate, fanno capolino nuove forme pubblicitarie per la radio e la tv analogica
prima, e per la tv digitale ed internet dopo. Con la radio, subito dopo la prima guerra
mondiale, la pubblicità e i suoi slogan entrano nelle abitazioni, e lo fa con ancora più
invadenza nella vita quotidiana a partire dal 1957 con la diffusione della televisione (vd.
Carosello). Negli anni settanta invece emergono nuovi tipi di campagna pubblicitaria, molto
creativi ed innovativi ma a volte controversi.
Nella società contemporanea la pubblicità è divenuta la fonte di finanziamento principale
dei mezzi di comunicazione, sovente determinandone i contenuti. Una tale importanza
riservata ad un messaggio volto a persuadere il destinatario impone alcune riflessioni di
natura etica, incentrate sui principi e i criteri che guidano l'ideazione, la creazione e la
veicolazione del messaggio pubblicitario. Su cosa è buono e giusto e su cosa non lo è
nell'ambito della comunicazione. Su quale sia cioè il senso della comunicazione
pubblicitaria.

LA DIMENSIONE DEONTOLOGICA, I LIMITI DELLE REGOLE

Nel corso del tempo, dalle prime forme censorie promosse dal Codice SACIS per la
pubblicità televisiva in RAI, i criteri e le regole per la regolamentazione della comunicazione
pubblicitaria sono notevolmente modificati. Ancora oggi questi interventi sono affidati a
fonti di autodisciplina che si appellano al senso di responsabilità di chi opera in questo
stesso campo. Tale senso di responsabilità in molti casi viene suggerito dalla deontologia
professionale e formalizzato dai codici deontologici.
Vediamo le norme che regolano la pubblicità:

• Codice morale della pubblicità, redatto dall'Upa (utenti di pubblicità associati) nel
1951. Nell'anno successivo invece è la Fip (federazione italiana di pubblicità) a
redigere un altro codice. Entrambi i documenti non hanno avuto effetti significativi.

• Codice di lealtà pubblicitaria, deliberato durante il settimo congresso della pubblicità


ad Ischia nel 1963 ed ufficializzato soltanto nel 1966 (anno di nascita dello IAP,
l'istituto di autodisciplina pubblicitaria, fondato da principali enti e associazioni di
utenti, professionisti e mezzi pubblicitari).
Nel 1975 si trasforma nel Codice di Autodisciplina Pubblicitaria Italiana. Viene
aggiornato ogni anno per rispettare l'evoluzione e il mutamento dei costumi sociali e
della realtà pubblicitaria. Il codice opera attraverso un Comitato ed un Giurì. Lo
scopo di entrambi è assicurare che la comunicazione commerciale sia onesta e
veritiera ed attenta ad non ingannare il consumatore. Le norme del Codice vietano
anche che una pubblicità ne imiti un'altra, mentre dal 1999 è permessa la pubblicità
comparativa. Il Comitato di controllo ha funzione inquirente, verifica cioè la
correttezza dei messaggi pubblicitari segnalati dai consumatori, dalle loro
associazioni o, in ragione delle loro funzioni di monitoraggio, dai membri del
comitato medesimo e dalla Segreteria dell'Istituto di Autodisciplina pubblicitaria. Il
Comitato sottopone al Giurì la pubblicità ritenuta non conforme alle norme, il quale,
se ritiene che effettivamente il Codice sia stato violato, può con una decisione
inappellabile, bloccarne la trasmissione. Se la disposizione non viene rispettata
viene pubblicata la sentenza e, in caso di inosservanza di quest'ultima, si può
rendere pubblica la notizia. Salvo eccezioni sia il Comitato che il Giurì intervengono a
campagna già uscita. Solo le pubblicità sulle reti RAI e quelle sui prodotti
farmaceutici e dietetici possono avere pareri preventivi perché la loro diffusione
deve essere prima approvata dal Ministero della Sanità.

• Carta Informazione e Pubblicità, una carta deontologica redatta nel 1988, nella
quale si punta sulla chiarezza di chi è l'emittente del messaggio pubblicitario e sulla
correttezza dei messaggi che quest'ultimo veicola.

• Delibera n. 538/01/CONS del 26 luglio 2001 “Regolamento in materia di pubblicità


radiotelevisiva e televendite, ad opera dell'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni”, che illustra, per la prima volta il ruolo della réclame in tv.

• Decreto legislativo n.177 del 31 luglio 2005 “Testo unico dei servizi di media
audiovisivi e radiofonici”.

• Codice del consumo, del 2005, che armonizza e riordina le normative nazionali ed
europee concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un
elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti.

• Relazione stipulata dall'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), che regola il


rapporto fra pubblicità e “buona tv”.

• Decreto legislativo n.145 del 2 agosto 2007, che modifica una precedente direttiva
sulla pubblicità ingannevole.

• Legge n.287 del 10 ottobre 1990 “Norme per la tutela della concorrenza e del
mercato”, con cui viene istituita l'Antitrust (o AGCM, autorità garante della
concorrenza e del mercato), che in seguito ad u decreto legislativo successivo, si
occupa anche di tutela contro la pubblicità ingannevole: l'Antutrust ha “lo scopo di
tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i soggetti che
esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i
consumatori e, in genere, gli interessi del pubblico nella fruizione dei messaggi
pubblicitatri”.

• In ambito europeo, nel 1989, è nata l'Alliance Européenne pour Ethique en Publicité
(AEEP), il cui scopo è promuovere un'efficace autodisciplina pubblicitaria,
l'eguaglianza di trattamento per tutti i casi di denuncia ed un unico spirito nei criteri
di controllo del sistema di autodisciplina.

In Italia, come in altri paesi europei, sono stati adottati anche altri sistemi di controllo:
• Carta dell'informazione e della programmazione a garanzia degli utenti e degli

operatori del servizio pubblico radio-televisivo, varata nel 1995, è valida per le
pubblicità proposte per la tv e per la radio.

• Comitato di attuazione del Codice di regolamentazione convenzionale, stipulato nel


1993 fra tv e associazioni che si occupano di tutela dell'infanzia, che controlla il
rispetto delle norme di autoregolamentazione attraverso monitoraggi costanti. Il
codice, ad esempio, stabilisce una fascia protetta pomeridiana dalle 16 alle 19,
durante la quale le emittenti devono porre molta attenzione affinché i programmi e
la pubblicità non contengano elementi oggettivi di pregiudizio per lo sviluppo
psicofisico dei minori.

Dopo aver elencato tutte queste norme riguardanti i messaggi pubblicitari è doveroso
considerare che oggi la censura diventa quasi una sorta di pubblicità indiretta. Gli spot che
hanno il divieto di circolare sui canali ufficiali perché censurati, in attesa di permesso o per
scelte di marketing, finiscono per andare in rete. Internet è diventato un alleato di chi vuole
protestare creando campagne di sensibilizzazione. Esempi di spot censurati dalla tv e
cliccatissimi su Internet sono molto numerosi, non solo in Italia.

QUESTIONI ETICHE NELL'AMBITO DELLA PUBBLICITA' COMMERCIALE


Qual'è il senso dell'azione pubblicitaria?
In ambito pubblicitario “buono” è ciò che è efficacie, capace di raggiungere il proprio
obiettivo nel modo più diretto ed efficiente.
I principi etici alla base di questa concezione possono essere numerosi, tutti però
riconducibili al criterio dell'utilità, per il quale è buono ciò che è utile: utile per la
collettività, utile per il singolo, utile per un gruppo di individui.
Il problema è che ciò che può considerarsi vantaggioso per il pubblicitario non lo è spesso
per il consumatore o per l'azienda.

La pubblicità ha un ruolo sociale ben preciso: distorce la percezione della realtà creando
aspettative nel pubblico al quale si indirizza, in relazione ad un miglioramento della propria
condizione di vita. Nel caso specifico della pubblicità televisiva, oltre al criterio dell'utilità,
va ad aggiungersi quello dell'audience, con lo scopo di interessare e colpire il più ampio
pubblico possibile. Per un'emittente commerciale il vero cliente non è il pubblico, ma
l'inserzionista pubblicitario.
Non sempre lo scopo della pubblicità risulta persuasivo in senso negativo: basti pensare
alle pubblicità progresso, con finalità educative, volte al cambiamento di certi
comportamenti o atteggiamenti di singoli per l'innalzamento della qualità della vita della
collettività, nell'interesse generale.
La nostra vita quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui spesso non ci
rendiamo conto, frutto di accurati studi da parte di psicologi e statisti che cercano di
avvalersi di strategie ingegnose, occulte, per modificare le nostre abitudini e soprattutto i
nostri consumi.
Le problematiche di ordine etico che possono emergere nel contesto pubblicitario sono
varie e complesse, cerchiamo di identificare le principali:

1. Occorre porre attenzione alle questioni morali relative all'utilizzo della pubblicità in
sé ed alla costruzione del messaggio da veicolare.

2. All'eticità di pubblicizzare un determinato bene o servizio anche in rapporto al


possibile destinatario di riferimento.

3. Comprendere la correlazione tra il bene (o servizio) da pubblicizzare e il contenuto


del messaggio.

4. Considerare i media attraverso i quali il messaggio è veicolato.


5. Comprendere il ruolo giocato da chi realizza la pubblicità e con quali nuovo criteri si

potrebbe rendere il rapporto impresa-pubblicitario-pubblicità-pubblico un rapporto


virtuoso.

Vediamo questi punti analizzati uno ad uno.


1. Questo primo profilo di riflessione concerne l'utilizzo della pubblicità come mezzo di
comunicazione in sé, la quale altera i comportamenti degli individui favorendo l'adozione di
modelli tipici di una società consumistica. La pubblicità riflette e cambia la cultura sociale,
come uno “specchio deformante”, secondo la definizione di Pollay. In origine, quando la
réclame fa capolino nella televisione (es. Carosello nel 1957), vigeva ancora un concetto
passivo della pubblicità: si comprava un prodotto perché se ne aveva bisogno e per questo
se ne descrivevano le sue caratteristiche, non era necessario convincere le persone ad
acquistare. Con l'avvento e la crescita della produzione industriale, la pubblicità si fa attiva:
enfatizzando il brand del prodotto, soprattutto a partire dagli anni '80, si tende a distrarre i
consumatori dalla valutazione estrinseca o intrinseca del prodotto, creando falsi bisogni e
talvolta deformando lo spirito critico dei destinatari. Non si pubblicizza più tanto l'oggetto
in sé, quanto un'immagine, un'idea, un'insieme di valori e significati sociali. Del resto i
messaggi pubblicitari raggiungono i destinatari anche a prescindere dalla loro volontà,
tramite strategie intrusive e impositive.
Nell'ambito poi di un quadro fortemente concorrenziale come quello attuale, le tecniche
comunicative più frequentemente adottate mirano ad incidere sulla psiche dei destinatari,
facendo leva sul loro lato più fragile ed emotivo. E' a questo scopo che si ricercano sempre più
frequentemente le parole o le immagini che possano maggiormente attrarre
l'attenzione e restare impresse nella memoria.
Le maggiori questioni etiche si sollevano proprio riguardo le strategie emotive attraverso
cui si decide di coinvolgere il destinatario. Si può cercare di stupire attraverso la
provocazione, giustapponendo simboli nella realtà tra loro estranei: è il caso del frequente
impiego di simboli religiosi in altri contesti rispetto a quelli nei quali siamo abituati a vederli
o pensarli. In alcune occasioni si ricorre d immagini o espressioni violente, mentre in altre
ancora vi è il richiamo alla sfera sessuale, attraverso allusioni o l'esibizione della nudità
come catalizzatore di attenzione.
Altre considerazioni riguardano l'utilizzo di determinate categorie di soggetti nell'ambito
della pubblicità. Se un nudo femminile per pubblicizzare un'autovettura appare eticamente
discutibile, il ricorso ad attori in età adolescenziale, preadolescenziale o anche neonati, si
giustifica soltanto perché la loro presenza serve a rendere più credibile lo scenario
proposto. Anche nel caso, ad esempio, di una réclame sui giocattoli, può intervenire un
altro interrogativo morale, che riguarda se sia giusto o no pubblicizzare determinati
prodotti mostrando bambine solo per alcuni giochi e bambini solo per altri, orientando la
scelta verso un oggetto in base al sesso, dimenticando che ciò che è ludico, specie nei primi
anni di età, non segue questo criterio distintivo.
L'impiego dei minori è frequente anche nei messaggi pubblicitari basati su cliché, la
pubblicità ricorre a stereotipi: i bambini che giocano sono indice di una famiglia unita e
felice, la donna che cucina e l'uomo che torna a casa dal lavoro sono messaggi rassicuranti,
ecc. Ma si possono sollevare perplessità sull'effettiva consonanza di questi modelli con
quelli reali (es. il lavoro femminile) che per alcune fasce di pubblico possono risultare
provocatori.
In relazione ai minori si presentano problematiche anche per quegli spot che riguardano
l'infanzia, strutturati seguendo specifici studi pedagogici per far si che i bambini si
immedesimino nel nel loro coetaneo protagonista della pubblicità, ne vogliano imitare i
comportamenti, richiedendo quindi spesso l'acquisto del prodotto pubblicizzato.
Ovviamente non tutti i beni e servizi pubblicizzati sollevano riflessioni etiche della
medesima entità. Maggiore attenzione è rivolta soprattutto ai prodotti che possono
risultare nocivi per il consumatore o utente, ad esempio sono vietati i messaggi che hanno
ad oggetto sigarette o particolari tipi di medicinali, mentre sono ammessi, con qualche
limitazione, quelli sulle bevande alcoliche. Altro tipo di discorso riguarda gli spot sugli
alimenti, ammessi senza riserve, anche se in alcuni paesi iniziano a manifestarsi delle
perplessità vista la crescita del tasso di obesità, soprattutto fra i giovani.
In merito al tema degli alcolici nelle pubblicità, recentemente il Comitato di Controllo ha
richiesto l'intervento del Giurì in relazione a due telecomunicati relativi a bevande
alcoliche, ritenuti in contrasto con l'articolo 22 del Codice di Autodisciplina della
Comunicazione Commerciale, secondo cui “la comunicazione commerciale relativa alle
bevande alcoliche non deve contrastare con l'esigenza di favorire l'affermazione di modelli
di consumo ispirati a misura, correttezza e responsabilità”. Negli spot i protagonisti, molto
giovani, raccontavano la loro esperienza “positiva” di consumo del prodotto, con bicchieri
pieni, rendendo chiaro, secondo il Comitato, l'indirizzo dei messaggi ad un target
adolescenziale. Il motivo essenziale della revoca della réclame è stato attribuito al messaggio volto ad
esaltare il prodotto come componente essenziale per favorire la
relazione a due, agendo sull'allentamento dei freni inibitori.
2. La necessità di escludere determinati individui, come bambini, adolescenti, in generale i
minori, dalla comunicazione pubblicitaria, richiede un certo “controllo” nell'utilizzo di
strumenti di comunicazione a tutti accessibili, affinché i soggetti da tutelare non si trovino
di fronte al messaggio. Si pensi a pubblicità che fanno riferimento in modo più o meno
esplicito alla sfera sessuale. Alcune forme cautelative adottate per questo tipo di spot sono
quelle della loro esclusione dai mezzi di comunicazione per loro natura raggiungibili da un
vasto pubblico (le affissioni e, teoricamente, anche la rete) o la loro collocazione in fascia
notturna su tv e radio.
Un caso controverso che recentemente ha suscitato molte polemiche è quello legato alla
pubblicità di alcuni prodotti alimentari, come dolciumi e snack, indirizzati specificamente a
bambini e, quindi diffusi anche in trasmissioni a loro dedicate. Alcuni studi hanno
dimostrato che i bambini che vengono esposti per un tempo elevato alla televisione (oltre
tre ore) rischiano più degli altri l'obesità, sia per lo stile di vita sedentario, sia per un
aumento del consumo dei prodotti pubblicizzati. Le pubblicità di alimenti contenenti grandi
quantità di zucchero e grassi sono notevolmente superiori rispetto a quelle di cibi sani. Ciò
ha portato alcuni paesi, in ultimo la Spagna a censurare gli spot di alimenti insalubri,
mentre altri, fra cui Inghilterra, Svezia e Olanda, hanno optato per incentivare, di contro,
uno stile di vita sano volto a contrastare l'emergenza dell'obesità infantile.
3. E' vero che il pubblicitario è tenuto a indurre il consumatore/utente ad acquistare il bene
o a fruire del servizio, ma è anche vero che gli strumenti di persuasione non possono
essere spinti oltre una soglia moralmente tollerabile. Partendo da questo presupposto è
opportuno interrogarsi sul possibile scarto fra la “bontà” comunicata di un certo prodotto e
il suo valore effettivo. Se si vuole interessare il pubblico al prodotto, esso verrà mostrato
con connotati unicamente positivi (i difetti verranno omessi, dati per impliciti o tralasciati)
ma la sua presentazione non può andare oltre i limiti dell'inganno. Immagine parziale del
prodotti si, falsa no: tutto è eticamente ammissibile fino a quando non si reclamizza una
cosa diversa rispetto a quella che si trova in vendita.
Anche sul piano economico è centrale il saper conquistare e mantenere la credibilità agli
occhi del pubblico (“fidelizzare” si direbbe nel linguaggio del marketing), per instaurare un
rapporto di fiducia fra mittente e destinatario. Se il messaggio non è sufficientemente
veritiero si rischia di non raggiungere il consenso del pubblico e quindi non convincere sulla
bontà del prodotto e, secondariamente, si indebolisce il valore del bene da promuovere.
Perde di conseguenza forza anche il brand, la marca che distingue il prodotto.
4. Anche la scelta dei media che veicolano il messaggio pubblicitario impone delle
riflessioni etiche.
A seconda del mezzo scelto per veicolare il messaggio pubblicitario entrano in gioco più
sensi e più facile (o più difficile) può essere persuadere un utente a compiere determinate
scelte. Il mezzo può integrarsi con il contenuto creativo del messaggio, così la disponibilità
del pubblico è maggiore a credere al mezzo che lo veicola piuttosto che al messaggio.
Marshall McLuhan afferma che il mezzo è il messaggio, estremizzando una tendenza che
ritiene il contenuto determinato soprattutto dalla forma del processo comunicativo. La
scelta del medium inoltre può stabilire il successo o l'insuccesso della pubblicità. Con la radio e con il
telefono si coinvolgono solo l'udito, la pubblicità cartacea, la pubblicità in tv e
quella su internet, con le infinite possibilità comunicative proprie dell'immagine, implicano
più sensi, primo fra tutti la vista. Afferma a tal riguardo Giovanni Sartori che l'immagine ha
una salienza percettiva tale da far sembrare vero e reale ciò che non lo è.
Anche le affissioni per strada possono distrarre (e quindi attrarre) giovandosi delle grandi
dimensioni e del modo con cui sono costruite: slogan ricchi di metafore e immagini
evocative di forte appeal per sedurre as un primo e veloce sguardo. Niente, però. Di
paragonabile alla pubblicità il tv, che assorbe, ancora oggi, ,a quota più significativa degli
investimenti delle imprese. Ciò che viene mostrato in tv non viene messo in discussione dal
telespettatore, dando per scontato che le immagini di “cose reali” corrispondano alla
realtà. Inoltre la pubblicità il tv (e anche al cinema) è vissuta passivamente dal
telespettatore, il quale la subisce più o meno volontariamente.
Il business della pubblicità televisiva sta però vivendo un profondo cambiamento. Sta
entrando in crisi il modello basato su spot di lunga durata (trenta secondi circa), tale da non
riuscire più a trattenere l'attenzione del pubblico. Stiamo arrivando lentamente ad un
messaggio pubblicitario più personalizzato, mirato a creare nuovi punti di connessione tra
prodotto e pubblico. Siamo cioè arrivati all'advertising su internet, i cui primi esempi si
possono rintracciare già nel 1994, tramite lo strumento promozionale del banner. Sul web
poi si possono vedere spot censurati poiché la regolamentazione in merito è ancora
piuttosto vaga.
Anche la pubblicità sulla carta stampata è di forte impatto emotivo e visivo, basandosi
sostanzialmente sull'unione sinergica di testo ed immagini.
Occorre quindi una maggiore consapevolezza da parte del pubblico che non esime, però, il
pubblicitario dal garantire il rispetto della libertà di scelta del destinatario. Ciò vale
soprattutto con riferimento all'utente televisivo. L'assenza di parametri rigorosi al riguardo
non offre tuttavia valide garanzie al destinatario, se non quelle di un'autolimitazione da
parte del pubblicitario e del gestore del mezzo attraverso cui la pubblicità viene diffusa.
Particolarmente insidiosa è poi la cosiddetta pubblicità indiretta, fatta cioè al di fuori degli
spazi riservati alla pubblicità ed inserita, in forma non palese, in ambiti altri, come, ad
esempio, film e trasmissioni televisive. Il rischio, in questi casi, consiste nel colpire
direttamente l'inconscio dello spettatore, il quale è privato di ogni capacità di reazione nei
confronti di messaggi subliminali, veicolati da immagini così veloci o proposte in posizioni
di cornice, defilate, ma comunque ben percepibili, da non poter essere rilevate a livello
cosciente.
5. Alcuni studiosi ritengono che l'abolizione radicale della pubblicità sia la panacea a tutti i
“danni arrecati” o che l'advertising potrà ancora arrecare. Altri invece sostengono sia
necessario impegnarsi in strategie alternative per sollevare le sorti della comunicazione
pubblicitaria, semmai da ridimensionare. Forse varrebbe la pena dare al pubblico gli
strumenti necessari per essere più informato e critico nei confronti di ciò che può trovare di
fronte al proprio sguardo, ma occorre che anche l'impresa/azienda produttrice e
promotrice del bene/servizio/prodotto deve saper rispondere alle conseguenze delle
proprie azioni comunicative ai vari interlocutori. Ciò significa coinvolgere il proprio
pubblico, trasformarlo da ricettore passivo ad interlocutore in un dialogo costante che
sappia andare oltre allo spettacolo. Il libro “Invertising”, scritto da Paolo Iabichino, propone una soluzione
alternativa all'advertising tradizionale, richiama ad una inversione di marcia
da parte del mondo della pubblicità, i cui prodotti sono ormai così invadenti e chiassosi da
non riuscire più ad avere l'appeal desiderato sul pubblico ai quali si rivolgono. La pubblicità
dunque non ha più bisogno di un target, ma di un interlocutore con il quale brand e
prodotti devono mettersi in relazione, superando la logica del bisogno a favore di un'etica
del servizio. Occorre quindi costruire e consolidare con il pubblico una relazione proficua
basata sulla fiducia reciproca, lavorare in termini di condivisione, partecipazione e co-
creazione, del resto la radice del sostantivo “pubblicità” deriva da “pubblico”, dal latino
“publicus” che sta per populus, cioè ciò che è di interesse generale. Ed è proprio a questo
interesse che la pubblicità forse dovrebbe appellarsi.

ETICA E COMUNICAZIONE PUBBLICA

PREMESSA: NUOVI PARADIGMI PER NUOVE INTERSEZIONI


L'etica della comunicazione pubblica è un'etica di intersezione che studia cioè i nodi di una
griglia derivata dalla sovrapposizione di più piani: l'etica pubblica, l'etica della
comunicazione in generale ed oggi l'etica e la sociologia dei nuovi media e delle nuove
tecnologie. Molti sono gli approcci e molti i fattori da considerare . In primo luogo lo studio
della legislazione ci aiuta a comprendere l'aderenza o eventuali scostamenti tra la
sensibilità politica e le tendenze della società civile e del mercato. In secondo luogo
l'approfondimento teorico (filosofico, sociologico, massmediologico) ci consente di
delineare gli sviluppi e prevenire possibili criticità.
Dal punto di vista legislativo, è passato un decennio dal varo della legge 150 del 2000, che
disciplina le attività di comunicazione ed informazione per la pubblica amministrazione in
Italia, e sono stati fatti numerosi bilanci sul suo impatto e sul suo stato di attuazione.
Quello che emerso è in particolare la sua difficoltà di ricezione da parte della macchina organizzativa
pubblica e delle categorie professionali alle quali si riferisce. L'impianto
previsto dalla legge potrebbe oggi non funzionare. Nel 2009 poi è stata pubblicata un'altra
legge la n.150, cosiddetta legge Brunetta in “materia di ottimizzazione della produttività del
lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Questa
insiste soprattutto sul concetto di trasparenza, sulla performance, sulla valutazione dei
dipendenti pubblici e sull'integrità intesa come etica pubblica in generale. L'Art. 11 della L.
150/2009 recita così: “La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo
strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle
informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli
andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni
istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi
competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon
andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle
amministrazioni pubbliche [...]”.
Non ci soffermeremo sulla legge perché ci sono altri elementi di innovazione da
considerare che stanno cambiando una volta per tutte lo scenario strategico ed etico della
funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni in Italia.
E' avvenuto un cambiamento nell'essenza delle relazioni istituzionali e nelle aspettative di
comunicazione tra p.a. e cittadini e ciò è dovuto soprattutto allo sviluppo delle potenzialità
di internet e delle nuove tecnologie di comunicazione ed informazione. Nell'ambito
dell'erogazione di servizi pubblici si è passati dalla preminenza dell' “ufficio” (office) a
quella della “rete” (network). I servizi pubblici e la disponibilità della pubblica
amministrazione nei confrinti di cittadini e imprese sono stati rimodellati intorno al
network, stravolgendo l'impianto attuativo delle lagge 150/2000, basato sulla distinzione
professionale e organizzativa tra gli uffici deputati alla comunicazione ed informazione
pubblica. Sono nati fenomeni come la redazione “diffusa” per la gestione dei contenuti dei
siti internet, le “Reti Amiche” per i servizi al cittadino; ma anche innovazioni dal punto di
vista dell'operatività della p.a., come i nuovi strumenti di autenticazione informatica a
supporto dell'identità digitale (userID e password, smart card, CNS/CRS, etc.) che stanno
rendendo superfluo il contatto fisico tra le amministrazioni e i loro pubblici, riformulando
allora anche le aspettative e i bisogni dei cittadini, soprattutto per quanto riguarda la
trasparenza amministrativa: i cittadini si aspettano di trovare tutte le informazioni in ogni
momento, con un approccio ai servizi neutrale ed indipendente dal canale di erogazione. E-
democracy, partecipazione in tempo reale, social network, UGC (User Generated Content:
contenuto generato dagli utenti, nato nel 2005 negli ambienti del web publishing e dei new
media per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società
specializzate. Questo fenomeno è visto come un sintomo della democratizzazione della
produzione di contenuti multimediali), e da ultimo la recente campagna baluardo
dell'amministrazione Obama sull'open data/open governement, hanno rivoluzionato
l'ecosistema dei valori che ognuno portava con sé quando aveva a che fare con la pubblica
amministrazione. In Italia, per esempio, il paradigma del network sta lanciando nuove sfide
alla legislazione, tanto da far sorgere da più parti la richiesta di inserire il diritto ad Internet
nella Costituzione.
Per quanto riguarda questi cambiamenti è importante anche ricordare il progetto Mettiamoci la faccia,
fortemente voluto dal Ministro per l'innovazione e la pubblica
amministrazione Renato Brunetta, che sviluppa una sorta di customer satisfaction
emozionale per la pubblica amministrazione attraverso le cosiddette faccine o emoticon.
Potremmo concludere, quindi, dicendo che no è più il cittadino che deve entrare
nell'ufficio, ma è l'ufficio che deve poter entrare nella vita dei cittadini.

NUOVE TECNOLOGIE PER NUOVI DIRITTI


Nel 2003 il Parlamento Europeo ed il Consiglio Europeo hanno emanato una direttiva sul
riuso dei dati pubblico, la PSI Directive, che mira a mettere a patrimonio comune i dati delle
pubbliche amministrazioni, in modo che essi possano essere utilizzati dalle imprese come
attivatori di innovazione e dai cittadini come mattoni per la democrazia. Al punto sedici
della Direttiva si legge: “Rendere pubblici tutti i bilanci generalmente disponibili in
possesso del settore pubblico – concernenti non solo il processo politico ma anche quello
giudiziario e amministrativo – rappresenta uno strumento fondamentale per ampliare il
diritto alla conoscenza, che è principio basilare della democrazia [...]”. La Direttiva quindi
delinea un nuovo approccio alla trasparenza che guarda alle potenzialità di sviluppo
economico del patrimonio informativo detenuto dalla pubblica amministrazione.
A pochi mesi dal suo insediamento l'amministrazione Obama ha promosso l'open data
government, un piano che prevede da parte dell'amministrazione statunitense trasparenza,
partecipazione, collaborazione, e stabilisce che le p.a. devono rendere disponibili le più
svariate informazioni a loro disposizione online ed in open formats. Naturalmente è stato
realizzato anche il sito di riferimento “Data.Gov”. Stessa cosa è accaduta anche nel Regno
Unito che, sul modello statunitense, ha aperto il proprio sito: “Data.Gov.uk”.
In Italia l'eco della filosofia open è stata subito raccolta e concretizzata dalla Regione
Piemonte, che è stata la prima ad adottare un documento in tal senso (il sito internet
realizzato a seguito di tale documento si chiama “DatiPiemonte.it”), seguita poi
successivamente da altre regioni.
Ma qual'è la principale rivoluzione etica e democratica dell'avvento dell'open government?
A livello comunicativo sicuramente è l'incorporazione elettronica della relazione
istituzionale che, attraverso le potenzialità del medium ne amplia a dismisura la
trasparenza. Ciò che accade oggi solo alcuni anni fa era impensabile, l'accesso ai dati della
pubblica amministrazione era infatti ed inevitabilmente mediato da procedure burocratiche
e quindi da uffici competenti. Ora l'ufficio mediatore è stato sostituito dal network, ossia
dalla trasparenza automatica di ingranaggi tecnologici. La comunicazione stessa si
trasforma da contenuto a mezzo, estremizzando in termini tecnologici la profezia di
McLuhan, il medium è il messaggio, nel senso che il messaggio quasi non è più fruibile al di
fuori del suo medium.
Un problema importante che si presenta in questo contesto è quella dell'immagine
dell'ente. Per anni la professionalità degli uffici stampa e degli uffici del portavoce, nonché
di alcune attività degli URP, si è incentrata ed è stata ritenuta capace di costruire la
cosiddetta immagine dell'ente pubblico: la stessa legge 150/2000, secondo
l'interpretazione di Mancini, si occupa di due aspetti, quello della comunicazione
d'integrazione simbolica e quello della comunicazione funzionale. Mancini spiega che la
prima si occupa di valori, sentimenti ed aspetti intangibili che agiscono sull'opinione pubblica, mentre la
seconda di aspetti informativi ed operativi relativi a servizi e funzioni
della macchina amministrativa pubblica e del suo ruolo istituzionale. Il rischio, nel caso
dell'open government, è quello di annullare anni di lavoro di integrazione simbolica messi
in piedi da amministrazioni di ogni genere e sacrificare i migliori sforzi strategici e politici.
Trattare l'informazione come mera infrastruttura porta inevitabilmente a schiacciarne il
proprio margine di azione etico. La progressiva sostituzione dell'office con la rete
rivoluziona le istanze etiche della relazione tra la pubblica amministrazione ed i suoi
pubblici.
Parlando di questioni etiche non si può non parlare anche di “accesso”: spostando il focus
etico sull'accesso s'invoca un pericolo incombente, tanto più aggravato dalla perdita di
caratteri “umani” nella relazione istituzionale, quello del divario culturale e digitale. Nel
paradigma dell'office era stata introdotta, seppur a fatica, della legge 150/2000 una figura
organizzativa di intermediazione, l'Ufficio Relazioni con il Pubblico; nel paradigma del
network, invece, a causa della velocità della rete non c'è più posto per la lenta negoziazione
etica dei diversi livelli culturali di accesso al processo della pubblica amministrazione, così i
cittadini corrono il rischio di essere lasciati soli con la propria trasparenza, alla quale non
riescono ad accedere per mancanza di cultura digitale. Il cittadino comune che cerca di
accedere o di scaricare i dati si troverà di fronte ad un paradossale overload di trasparenza,
i dati grezzi appunto. Al di là di ciò, che non è il problema più preoccupante, visto che
questo tipo di divario andrà a colmarsi con la naturale sostituzione dei “nativi” digitale,
permane il problema della dis-umanizzazione della relazione. L'interazione uomo-macchina
non può essere paragonabile alla relazione umana, naturalmente ricca di elementi
intangibili e latenti (la solidarietà, l'empatia, la prossemica, la gestualità, il tono di voce) che
si attivano come allarmi di volta in volta nel caso di necessità Rodotà, che ha avanzato la
proposta di inserire Internet quale diritto costituzionale.
Internet è oggi chiaramente un diritto fondamentale per una piena cittadinanza
democratica, ma ciò non deve indurre nella tentazione di dissolvere tutta l'espressione
democratica nell'uso delle tecnologie ICT, che hanno e dovrebbero avere un ruolo di
empowerment della democrazia e non futuristico sostituto.

NUOVI STRUMENTI PER NUOVE CODIFICAZIONI


Nel primo quinquennio del 2000 le attività di comunicazione pubblica ed i loro risvolti etici
avevano sperimentato forme ben codificate e strutturate, oggi l'etica nella comunicazione
pubblica viene espressa in maniera più minimale ed in un certo senso più immediata ed
informale. I primi prodotti della comunicazione pubblica erano molto elaborati e
strutturati, coinvolgevano molto la macchina dell'ente e sono stati estremamente utili nel
creare nella pubblica amministrazione una sorta di autocoscienza delle responsabilità nei
confronti dei cittadini. Le dimensioni operative intrinsecate erano quasi tutte inerenti la
qualità dei servizi e la nuova immagine che la p.a. stava assumendo in quegli anni agli occhi
dei cittadini. C'erano inoltre degli sforzi di allargamento della partecipazione che agivano
nel profondo della sensibilità democratica e venivano condotti con metodi innovativi. I
vincoli dello spirito burocratico si erano ormai rotti ed il cittadino veniva percepito come
un'importante risorsa da cui attingere e non come mero suddito a cui vietare ed imporre
decisioni oscure. L'esplosione delle nuove tecnologie ha fatto si che l'amministrazione adattasse il suo ruolo
e la sua immagine al paradigma del social network, anche con aspetti contraddittori e
semiseri, se si considera ad esempio che da un lato viene bloccato l'accesso dei dipendenti
a Facebook e dall'altro l'ente vi crea un prorio profilo. La comunicazione istituzionale
generalmente intesa scivola sempre più verso il carattere ludico, di entertainment, e si
esprime attraverso canali poco istituzionali e molto partecipativi. La filosofia del web 2.0 è
ormai onnipresente in ogni iniziativa della p.a. come se fosse il lievito della democrazia.
Alla luce di questi cambiamenti appare chiaro che non ha più senso mantenere separate le
finzioni di informazione e di comunicazione come espresso nella legge 150/2000.
Anche le codificazioni etiche hanno cambiato registro: dal codice deontologico si passa alla
carta etica, o al manifesto. Un primo esempio importante è la Carta Etica della Regione
Piemonte, la prima in Italia a dotarsi di un tale documento rivolto alle cariche elettive
dell'amministrazione regionale. Le caratteristiche principali dello strumento carta etica e
del suo uso rinnovato a livello comunicativo sono la flessibilità politica ed il largo consenso
sociale che attira nei confronti degli interlocutori dell'amministrazione. La carta etica
attuale risulta essere una sorta di dichiarazione d'intenti politica che vincola a tutto tondo
l'amministrazione, la società civile ed il mercato in un impegno comune.

ETICA E COMUNICAZIONE AMBIENTALE

CHE COS'E' LA COMUNICAZIONE AMBIENTALE


Nell'ambito delle tre grandi ripartizioni della comunicazione pubblica (istituzionale, politica
e sociale) la comunicazione ambientale può essere considerata una tipologia specifica di
comunicazione sociale poiché si prefigge di riorientare i comportamenti dei cittadini verso
azioni che favoriscano uno sviluppo sostenibile delle nostre società, di gestire gli aspetti
psico-sociali del rapporto uomo-ambiente e di favorire una gestione dei conflitti
ambientali.
Le istituzioni pubbliche, le aziende private ed mass media sono oggi chiamati a sviluppare
strategie ed azioni di comunicazione ambientale per diffondere una corretta conoscenza
dell'ambiente e promuovere su di esso un dialogo costante e costruttivo che coinvolga
consumatori ed imprese, cittadini ed enti.
A livello mondiale la comunicazione ambientale nacque dietro la spinta dell'industria
chimica e dei propri interessi economici. Alcune aziende statunitensi diffusero il timore per
gli effetti negativi prodotti sull'ambiente dal gas erogato dalle bombolette spray e
finanziarono i movimenti ambientalisti che sostenevano questo. I magnati dell'industria
chimica cercarono di portare all'attenzione dell'opinione pubblica i presunti effetti negativi
di queste bombolette per promuovere l'immissione sul mercato di un nuovo prodotto che
era stato appena inventato per il funzionamento delle bombolette spray.
Negli anni '70 durante la Conferenza di Stoccolma fu riconosciuto il valore della tutela e
della valorizzazione ambientale e, tra gli strumenti che potevano essere utilizzati per
raggiungere tali obiettivi, occupavano un posto di rilievo l'educazione e l'informazione
ambientale, sia fra gli adulti che fra le nuove generazioni. In Italia le prime strategie di comunicazione su
temi ambientali si ebbero tra la fine degli
anni '70 e gli inizi degli anni '80 in seguito a disastri e incidenti verificatisi presso industrie
chimiche. Con una direttiva alle imprese venne imposto l'obbligo di comunicare i rischi
legati alle proprie attività e di attivare strategie di comunicazione ambientale interna ed
esterna. Si andava pian piano affermando il concetto che per contribuire a salvaguardare la
salute e l'ambiente fosse necessario pianificare strategie di comunicazione ambientale
basate su principi di carattere morale.
Durante il corso degli anni '70 ed '80 crebbe quindi di intensità l'attenzione mondiale per la
comunicazione ambientale e, recentemente, la questione ambientale è diventata
pervasiva: la società contemporanea è ricca e sensibile all'argomento, anche a causa del
timore per la fine delle risorse e le minacce alla vita stessa dell'uomo.

LE ARTICOLAZIONI ED I COMPITI DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE


Possiamo individuare alcune grandi tematiche nell'ambito delle quali oggi la comunicazione
ambientale gioca un ruolo strategico: esse riguardano le problematiche connesse alla
biodiversità, alla gestione dell'energia, dei rifiuti, dell'industria chimica, della gestione del
territorio.
La comunicazione ambientale è gestita da vari soggetti di diverso livello istituzionale ed è
prevista dalla legge 150/2000 che prevede anche una pianificazione di tale comunicazione
sui temi ambientali, realizzata da personale adeguatamente formato in materia.
Nel Manifesto della comunicazione pubblica in campo ambientale, l'Associazione italiana
della comunicazione pubblica e istituzionale ha sottolineato l'importanza delle campagne
di comunicazione ambientale per promuovere comportamenti a favore della tutela
dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.
Avere la possibilità di essere correttamente informati e di ricevere comunicazioni
ambientali affidabili è un diritto di cittadinanza sempre più sentito e sempre più importante
per la società contemporanea. Anche le attività di comunicazione finalizzate alla
promozione turistica del patrimonio ambientale e naturalistico rivestono un ruolo
strategico nel rapporto uomo-ambiente e devono pertanto basarsi su principi etici: in
particolar modo la comunicazione turistico-ambientale è orientata a sviluppare un turismo
responsabile in realtà caratterizzate da delicati equilibri ambientali, per esempio
nell'ambito di aree protette e nei luoghi dichiarati patrimonio mondiale dell'Umanità.
Anche le aziende miste pubblico-private e le imprese private (es le società che si occupano
della raccolta e differenziazione dei rifiuti, dell'erogazione dell'acqua, elettricità e gas e dei
trasporti pubblici) rivestono un ruolo strategico nell'ambito delle attività di comunicazione
ed informazione ambientale. Queste perseguono una politica ambientale volta a ridurre al
minimo l'impatto sull'ambiente e improntata al massimo rispetto per la salute dell'uomo.
La crescente attenzione dell'opinione pubblica e dei governi alle problematiche ambientali
legate alle attività produttive ha spinto le imprese a considerare l'ambiente come un
elemento di valore aggiunto in termini di immagine e di vantaggio competitivo.

LE FORME PUBBLICHE DI REGOLAMENTAZIONE


Tra gli strumenti necessari a coniugare sviluppo economico e rispetto dell'ambiente, le
imprese possono fare riferimento ai regolamenti europei per le certificazioni ambientali: in particolare con la
certificazione EMAS gli enti pubblici e privati comunicano ai portatori di
interesse il proprio impegno per ridurre gli impatti sull'ambiente, individuano i risultati
raggiunti rispetto agli obiettivi ambientali prestabiliti ed indicano programmi per migliorare
continuamente le proprie prestazioni in cambio ambientale.
Oggi, infine, tra gli strumenti che le imprese hanno a disposizione per comunicare con i
propri pubblici di riferimento dobbiamo ricordare la contabilità ambientale e il bilancio
ambientale che consentono di raccogliere informazioni da comunicare all'esterno e di
fornire un quadro veritiero delle interrelazioni tra impresa e ambiente.
Oggi, infine, tra gli strumenti che le imprese hanno a disposizione per comunicare con i
propri pubblici di riferimento dobbiamo ricordare la contabilità ambientale e il bilancio
ambientale che consentono di raccogliere informazioni da comunicare all'esterno e di
fornire un quadro veritiero delle interrelazioni tra impresa e ambiente.
La comunicazione ambientale diventa quindi la strategia attraverso la quale i governi e le
imprese stimolano la partecipazione attiva dei cittadini alla gestione delle problematiche
ambientali: partecipazione e informazione sono due facce della stessa medaglia nella
gestione delle questioni legate all'ambiente.
ALCUNI ESEMPI DI CODICI ETICI
In questi ultimi anni l'impegno delle istituzioni e delle aziende per contenere gli impatti
sull'ambiente, per comunicare le proprie buone pratiche ambientali e per stimolare la
partecipazione attiva e la collaborazione dei cittadini-clienti-utenti su questi aspetti, si è
concretizzata attraverso la predisposizione e la diffusione di appositi strumenti concreti e
pratici, quali ad esempio i codici, le dichiarazioni ed i protocolli di politica ambientale.
Vediamo alcuni esempi, sia in ambito pubblico che privato:

• Il Codice Ambientale della Montagna, approvato e pubblicato dalla Valle d'Aosta:


tale codice è destinato sia ai cittadini valdostani, sia ai turisti. Si pone l'obiettivo di
sviluppare l'attenzione del pubblico sulle tematiche ambientali e di suggerire
l'adozione di comportamenti e modelli individuali rispettosi dell'ambiente,
mettendo in luce diversi concetti di rispetto.

• La Politica Ambientale del Comune di Campo Ligure: lo scopo principale dell'azione


amministrativa sarà l'attuazione di politiche in grado di promuovere un equilibrato
sviluppo del territorio mediante azioni di riqualificazione e valorizzazione dellle
risorse ecosostenibili. Tutto ciò si concretizza nell'impegno in vari settori, come
l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili, incentivazione della raccolta differenziata,
salvaguardia del patrimonio idrogeologico e boschivo. Ma anche l'adeguata e
corretta informazione e sensibilizzazione riguardo le tematiche ambientali dei
pubblici di riferimento, come la diffusione tramite Internet delle politiche ambientali
del Comune.

• La Politica Ambientale del Comune di Lerici: si impegna a rendere accessibili-


disponibili al pubblico i risultati ambientali raggiunti, a perseguire il miglioramento
continuo delle proprie performance ambientali attraverso la definizione di
programmi e a prevenire le eventuali forme di inquinamento, anche attraverso la
responsabilizzazione dei cittadini e dei turisti. Viene prevista anche la promozione
dell'installazione di impianti fotovoltaici, come il potenziamento delle aree verdi del comune. L'ente poi si
adopera per la razionalizzazione del traffico tramite zone ZTL e
il monitoraggio dei livelli di inquinamento atmosferico.

• Il Codice di sostenibilità ambientale redatto dell'industria cartaria italiana: il fine è di


perseguire uno sviluppo sostenibile e compatibile con l'ambiente, nel rispetto delle
generazioni presenti e future. Grande attenzione è riposta anche verso ola
comunicazione: Assocarta s'impegna infatti a trattare in modo trasparente gli
argomenti di natura ambientale, informando, sensibilizzando, formando e
responsabilizzando le associate in materia ambientale, comunicando alle parti
interessate la politica, gli obiettivi e i traguardi raggiunti in campo ambientale.
Assocarta promuove i riciclo e l'utilizzo razionale delle risorse idriche, energetiche e
delle materie prime.

• La Politica Ambientale di SEA, società aeroportuale di Milano: ha dichiarato il


proprio impegno a coniugare i valori fondamentali del rispetto e della salvaguardia
del patrimonio ambientale con il proprio sviluppo. SEA si prefigge l'obiettivo di
sensibilizzare e di coinvolgere tutti gli attori presenti nel sistema aeroportuale per un
rispetto e una salvaguardia del patrimonio comune in cui operano.

• Il progetto Pensa Verde del Comune di Roma: per stimolare tutti i dipendenti degli
uffici comunali ad assumere comportamenti responsabili e coerenti con le tematiche
ambientali, e prevede anche uno specifico Codice di condotta per i dipendenti. A
fare da apripista al progetto è stato l'ufficio stampa del Comune che ha avviato
perciò la gestione eco-sostenibile dell'ambiente di lavoro. Il Codice di condotta
prevede semplici regole quotidiane, come lo spegnimento delle luci ove non
necessaria l'illuminazione, dei materiali elettronici non in uso, un utilizzo razionale di
fax, fotocopiatrici e stampanti, il risparmio di carta attraverso l'utilizzo delle mail.
L'istallazione di lampadine a basso consumo, nonché un utilizzo razionale degli
ascensori. Ma anche l'incentivazione dei collegamenti in videoconferenza tra gli
uffici per ridurre gli spostamenti di servizio.

PER UN'ETICA DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE


I codici, le dichiarazioni e le politiche ambientali sono strumenti importanti per rendere
concrete ed accessibili le problematiche legate all'ambiente. Rimane il dubbio che
rappresentino davvero un baluardo in difesa dello sviluppo sostenibile in quanto gli
strumenti di controllo sono deboli e non prevedono adeguate sanzioni per coloro che
agiscono in contrasto con questi principi. Per raggiungere questo scopo diventa necessario
adottare strategie di comunicazione ambientale fondate su principi etici, le quali, in
concorso con le pratiche virtuose di enti e aziende, possono raggiungere risultati
importanti per le generazioni presenti e future del pianeta.
La comunicazione ambientale fondata su basi etiche è la sola pratica che, affiancandosi ai
codici, alle dichiarazioni e dalle politiche ambientali di organizzazioni pubbliche e private,
può mettere in condizione di avere risultati più concreti e duraturi.
Ma che cosa s'intende per etica della comunicazione ambientale?
Il termine comunicazione ha implicito il significato di scambio, di reciprocità (a differenza
del concetto di informazione,unidirezionale) e questa dimensione di reciprocità e di
confronto diventa particolarmente significativa nell'ambito della comunicazione delle complesse
problematiche ambientali. Considerando che la comunicazione racchiude in sé
una dimensione etica in quanto presuppone rispetto, solidarietà e corresponsabilità tra gli
interlocutori per il buon esito dell'interazione comunicativa, possiamo ritenere che la
comunicazione ambientale abbia una ulteriore dimensione etica perché è chiamata a
creare uno spazio comune nell'ambito del quale vengono affrontate problematiche di vitale
importanza per il genere umano.
Il ruolo del comunicatore ambientale è perciò strategico nella società contemporanea in
quanto affronta tematiche che possono avere importanti ripercussioni sanitarie, sociali ed
economiche. E' perciò importante che il pubblico di riferimento non venga manipolato dal
comunicatore ambientale, ma anzi le tematiche ambientali devono essere affrontate alla
luce delle conoscenze che emergono dalla ricerca scientifica.
La comunicazione ambientale deve necessariamente avere la capacità di raggiungere tutti
gli strati della popolazione per diffondere in essi conoscenza e stimoli per l'adozione di
comportamenti virtuosi e per raggiungere questo obiettivo deve avere alla base i principi
etici di responsabilità, completezza e veridicità delle informazioni veicolate. Inoltre tale tipo
di comunicazione può essere davvero definita etica se ha come fondamento la ricerca e
l'analisi scientifica delle tematiche relative all'ambiente e se i messaggi che essa veicola
sono fondati su dati concreti e dimostrabili della ricerca scientifica.

ETICA E COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

DALL'ASSIMILAZIONE ALL'INTEGRAZIONE
Nel corso degli ultimi anni è cresciuto l'interesse per la comunicazione interculturale, anche come disciplina
di studio e di ricerca dalla quale ci si aspetta la soluzione per comporre gli
esiti indesiderati dei possibili conflitti generati dall'incontro fra culture. L'aggettivo
interculturale i riferisce alla situazione comunicativa nella quale gli interlocutori
provengono da contesti socio-culturali dei quali è chiaramente avvertibile la reciproca
differenza. Tale differenza è fra atteggiamenti, comportamenti, codici per la comunicazione
verbale e non verbale, sistemi di valori e credenze dei quali sono portatori gli individui fra i
quali si instaurano interazioni comunicative.
Il problema etico principale, tenendo conto che ormai viviamo in società complesse e
multiculturali, è proprio quello di individuare strategie efficienti per il trattamento delle
differenze.
La scoperta dell'interculturalità ha coinciso per lo più con la necessità di risolvere i problemi
teorico-pratici del progressivo divenire stanziale degli immigrati. Riguardo al
multiculturalismo occorre perciò definire come il passaggio dal concetto di assimilazione a
quello di integrazione abbia tentato di dissolvere nel migliore dei modi i confini fra il “noi” e
il “loro” .
L'assimilazione è si ancora oggi la strategia più praticata per regolare la convivenza fra
diversi, ma anche quella più inefficace. Per due motivi. Prima di illustrarli però occorre
domandarsi in cosa consiste l'assimilazione. A suo fondamento sta la radicata convinzione
che l'altro o lo straniero ospite sul nostro territorio debba completamente adeguarsi non
solo alle nostre leggi, ma anche al nostro insieme di credenze e di comportamenti condivisi.
Uno dei motivi per cui questo atteggiamento risulta inefficace, è il fatto che gli immigrati
sono portatori di una cultura interiorizzata che non può modificarsi, essere cancellata o
sostituita con un'altra. Anche il ritenere che ciò sarebbe stato possibile per le seconde
generazioni si è rivelato sbagliato, in quanto esse piuttosto si sono rivelate bi-culturali e
dunque a mantenere e conservare almeno in parte i tratti caratteristici della cultura di
origine. L'altro motivo riguarda il fatto che, voler trasformare gli immigrati in individui come
noi, implica un pregiudizio nei confronti della loro cultura, pregiudizio che può provocare
una reazione di autodifesa tale da generare un risultato contrario. E' qui poi che diventa
evidente il carattere non etico dell'assimilazione, perché a suo fondamento non vi è il
rispetto della differenza ma piuttosto la convinzione che sia meglio per l'altro diventare
come noi, palesando inoltre la sua inefficacia in quanto strategia per la pacifica convivenza
fra diversi e/o di conciliazione dei conflitti interculturali.
Dunque al concetto di assimilazione si è venuto progressivamente sostituendo quello di
integrazione, il quale sottolinea maggiormente la necessità di una interazione fondata sul
confronto delle differenze, differenze intese non come un qualcosa da superare ma come
arricchimento reciproco. L'integrazione non esclude del tutto l'assimilazione perché resta
intatto il presupposto di una maggiore responsabilità dell'ospite in termini di accettazione
della nostra cultura intesa in senso ampio, ma a questo presupposto si va comunque ad
aggiungere quello per cui anche noi dobbiamo avere un atteggiamento di apertura nei
confronti della diversità.
Dal punto di vista etico l'integrazione è maggiormente capace di rispettare le differenze ,
visto che proprio la valorizzazione e la preservazione di queste, e non della loro
omogenizzazione, è il suo principio animatore. Anche in questo caso tuttavia sussiste un
problema sul quale riflettere. Infatti poiché le differenze sul piano dei valori generano facilmente conflitti
nelle situazioni concrete, rispettare queste differenze può creare
problemi teorico-pratici nell'elaborazione delle soluzioni pacifiche dei conflitti. Le strategie
di composizioni di tali conflitti possono essere di due tipi. Per la prima si procede ad una
soluzione caso per caso, mentre per la seconda si predispongono interventi dall'alto mirati
ad imporre in una qualche misura il rispetto delle differenze, contemperando le posizioni di
tutti gli attori presenti nel contesto di riferimento. Questa è la soluzione più adottata,
perché apparentemente più semplice e più equa. E' una soluzione che fa riferimento al
diritto ed ai suoi prodotti, in special modo le leggi, come strumenti formali in grado di
regolare le interazioni fra gli attori sociali in modo imparziale ed a-valutativo.
Faremo perciò uno specifico accenno a quei documenti che riguardano problematiche
interculturali ed i temi caldi della convivenza multiculturale, come lo status di immigrato (in
particolare i suoi diritti in quanto essere umano e cittadino del mondo e non come ospite
altro) e la sua posizione in quanto lavoratore.

ALCUNI STRUMENTI NORMATIVI


Vediamo alcuni documenti che hanno a che fare con i temi dell'assimilazione e
dell'integrazione interculturale:

• La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. In questo documento,


proclamato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, i diritti e i doveri
considerati sono sempre riferiti agli individui in quanto esseri umani e non in quanto
appartenenti ad una determinata cultura. La Dichiarazione, che è stata firmata dalla
maggioranza dei Paesi ed alla quale si sono poi affiancati diversi documenti affini,
palesa fin dall'articolo 1 la sua vocazione universalistica: “Tutti gli esseri umani
nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e
devono agire gli uno verso gli altri in spirito di fratellanza”. Come viene confermato
anche dall'articolo 2, la carta è ispirata ad un presupposto di fratellanza di tipo etico:
“[...]ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate dalla
presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di
sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine
nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.
Tuttavia la Dichiarazione non riesce comunque a risolvere i problemi dell'interazione
fra diversi ne, quindi, a costruire un'efficace etica della comunicazione
interculturale. Ciò principalmente perché dal suo orizzonte resta principalmente
esclusa la preservazione delle differenze, prerogativa di un atteggiamento mirante
all'integrazione. Essa appare infatti ancora piuttosto animata da uno spirito
inconsapevolmente assimilazionista, che eleva i diritti ritenuti fondamentali nelle
democrazie occidentali uscite vittoriose dalla Seconda guerra mondiale a principi
estensibili a tutto il genere umano.
Ciò non significa sostenere che la Dichiarazione non debba essere considerata un
documento fondamentale, ma piuttosto credere che i propri principi debbano
essere passibili di una revisione fondata su di un vero dialogo interculturale, in cui
anche gli “altri” partecipino ad una ridefinizione dei suoi criteri. Alcuni articoli, come
ad esempio quello che parla del matrimonio, sono realizzati secondo un ottica
unilaterale che non contempla le diversità culturali, sociali e religiose di altri popoli non occidentali.
• La Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e

dei membri delle loro famiglie. Questo documento si mostra più attento alla tutela
delle differenze e prevede dettagliatamente quali diritti debbano essere attribuiti ai
lavoratori migranti, analizzando diversi possibili casi. Per esempio stabilisce che in
caso di espulsione dal paese ospitante, i lavoratori migranti abbiano diritto a
richiedere la liquidazione dei propri salari o di altre prestazioni; prevede il rispetto
della loro libertà di pensiero, di coscienza e di religione, come anche la libertà di
manifestare il proprio credo religioso o le proprie convinzioni, naturalmente nel
rispetto delle leggi del Paese ospitante.
Per quanto riguarda i bambini poi, si prevede il loro inserimento nel sistema
educativo locale e contemporaneamente la facilitazione dell'insegnamento della
loro lingua madre e della loro cultura. La Convenzione quindi è intesa nel senso di
una vera e propria integrazione allo scopo di una pacifica convivenza, tuttavia
neppure in questo avanzato documento (ben lontano da essere applicato a livello
globale) sono previste strategie risolutive per la composizione dei conflitti etico-
culturali.

• Il Parere del Comitato economico e sociale (CES) dell'Unione Europea, sul tema:
“L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le
amministrazioni regionali, locali e le organizzazioni della società civile” (2006). Qui
l'integrazione viene definita come “un processo bidirezionale, fondato su diritti ed
obblighi per i cittadini dei paesi terzi e per la società ospitante, e volto a garantire
agli immigrati una piena partecipazione”, specificando che “questo approccio
bidirezionale presuppone che l'integrazione non riguardi solo gli immigrati, ma
anche la società di accoglienza”, “le politiche di integrazione devono pertanto essere
orientate verso entrambe le parti”.
Gli immigrati dunque hanno il dovere di comprendere i rispettare i valori della
società di accoglienza, ma anch'essa deve fare altrettanto. Tale documento sembra
quindi maggiormente attento alla necessità di intendere l'integrazione in modo da
evitare la tentazione assimilazionistica. L'unico dubbio che rimane, da un punto di
vista filosofico-politico ed etico, è come conciliare questo appello alla
trasformazione bidirezionale con la richiesta che si attui senza mettere in
discussione la forma politica della società ed i valori sui quali riposa. Riguardo ciò
però viene ribadito che lo scopo dell'integrazione è “pervenire ad una società in cui
tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti e doveri e condividano i valori di una società
democratica, aperta e pluralista”.

La legislazione italiana, invece, è ben lontana dalla definizione di integrazione che dà il CES
nel suo parere, sembra piuttosto orientata maggiormente verso politiche
assimilazionistiche.

COMUNICAZIONE E COMPETENZA INTERCULTURALE


L'elaborazione di un'etica interculturale è ancora in corso, non si può infatti far riferimento
solo alle norme giuridiche che non sono sufficienti per elaborare strategie risolutive dei
conflitti causati dall'incontro fra culture. Inoltre nessun sistema giuridico è immune da una qualche forma di
condizionamento culturale, perché esso si sviluppa sulla base di
comportamenti abbastanza diffusi in un contesto culturale specifico da richiedere di essere
tutelati (o sanzionati). E siccome lo scarto fra, il mutamento delle pratiche, dei costumi, dei
comportamenti di una società ed il suo riconoscimento in termini di regole giuridiche, è di
moltissimo tempo, non ci si più affidare solo a ciò che concerne la legge per
un'integrazione ottimale. Qui entra in gioco la figura del comunicatore interculturale, la cui
più importante funzione è quella di introdurre in modo tendenzialmente ininterrotto la
novità entro il contesto comunicativo di riferimento. Egli difatti si confronta continuamente
con casi concreti e reali e con problemi da risolvere che molto spesso sono nuovi, nel senso
che non si sono ancora presentati o non lo hanno ancora fatto in quel modo. Il tentativo
deve essere quello di trovare soluzioni che soddisfino le aspettative di entrambi (o di tutti)
gli interlocutori.
Chi comunica in modalità interculturale deve far si riferimento al sistema di regole a sua
disposizione, ma deve essere pronto a modificarlo per trovare una soluzione nuova ad un
problema nuovo. Tutto ciò porta in primo piano la questione delle competenze di un
comunicatore interculturale. Sicuramente è imprescindibile dalla sua formazione
un'adeguata conoscenza delle altre culture, lingue, usi, costumi e religioni, ma sicuramente
anche una profonda conoscenza della propria cultura. Altra predisposizione importante è
quella alla bidirezionalità, cioè l'apertura alla possibilità di modificare il proprio sé in virtù
dell'incontro con l'altro, con la differenza.
Altra necessità importante è quella del superamento degli stereotipi e dei pregiudizi, sia a
livello sociale, sia a livello personale, che ci possono portare al una generalizzante ed errata
valutazione del diverso. Gli stereotipi non hanno necessariamente un'accezione negativa,
anzi sono utili al nostro cervello in quanto modelli di riconoscimento immediato di oggetti
e persone che ci permettono di non dover ogni volta ricostruire le caratteristiche essenziali
di un'esperienza ogni volta che si presenta, diventano negativi però quando una certa
informazione assunta come tale si dimostra poco flessibile al cambiamento, anche in
presenza di informazioni divergenti. Inoltre lo stereotipo tende a trasformarsi
negativamente in pregiudizio quando assolve la funzione di distinguere chiaramente fra un
noi e un loro, attribuendo al noi le caratteristiche positive e d al loro quelle negative con un
atteggiamento perciò discriminatorio.
Già solo l'acquisizione di una chiara consapevolezza della natura stereotipata dei nostri
ragionamenti e della nostra conoscenza, in particolare quella relativa agli esseri umani,
potrebbe favorire l'acquisizione di un nuovo modo di fare, disponibile all'ascolto ed al
confronto con il diverso.
Il fine della comunicazione interculturale è proprio la “tolleranza” per l'altro: se così non
fosse non potrebbe certo dirsi superato un atteggiamento pregiudiziale nei suoi confronti.
La sua diversità infatti sarebbe semplicemente giustapposta al noi e d accettata in quanto
tale, senza fare alcun tentativo per comprenderla e cioè per inserirla nel nostro orizzonte
conoscitivo e pratico.
Il fine che dovrebbe perseguire il comunicatore interculturale, se intende avere un
atteggiamento etico nei confronti del processo comunicativo del quale fa parte, dovrebbe
essere quello della disponibilità ad integrare nei propri schemi mentali di riferimento alcuni
aspetti della diversità che percepisce nell'altro, vale a dire della disponibilità a ripensare, a rimettere in
discussione, e dunque a modificare quegli schemi in virtù delle informazioni
nuove che riceve dall'interlocutore. Neppure in questo caso integrazione significa
assimilazione: comprendere la diversità ed essere disposti ad integrarla nei propri schemi
non significa “trasformarsi nell'altro”, ma essere disposti a rimettere in discussione la
propria presunta identità a partire dal confronto con la differenza dell'altro.

ETICA E COMUNICAZIONE IN MEDICINA

OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE
La rilevanza che la comunicazione ha oggi in campo medico è sicuramente dovuta al peso
che la nozione di consenso informato ha assunto negli ultimi decenni in campo biomedico
e medico-legale ed ai diversi problemi legati alla sua applicazione nella pratica clinica e
sperimentale.
Tuttavia quella del consenso informato è solo una piccola parte di quella riflessione
comunicativa che investe la medicina in tutte le sue dimensioni, soprattutto la più
importante, quella della relazione medico-paziente.
Dal punto di vista della teoria della comunicazione è forte l'influsso di un modello ben
definito, la cosiddetta “teoria comunicativa standard”. L'accettazione di tale modello ha
perciò indirizzato le indagini sulla comunicazione medica verso una maggiore concretezza
procedurale ed efficienza tecnica nella gestione delle informazioni, invece che verso una
riflessione critica sul significato della comunicazione in quanto tale. Oggi si assiste ad una
inversione di tendenza, anche per le anomalie prodotte nel rapporto medico-paziente.
Alla base di questa riflessione vi è un'idea di medicina come pratica relazionale in cui sono
coinvolti elementi tecnico-scientifici, sociali e umanistici.

UNA MAPPA DEI PROBLEMI


Si possono individuare tre fondamentali linee di ricerca sulla comunicazione in medicina: la
comunicazione intramedica, la comunicazione extramedica, la comunicazione medico-
paziente.
La comunicazione intramedica riguarda la comunicazione all'interno dell bio-medicina
stessa, nelle strutture sanitarie di cura e ricerca. Rientrano in questo ambito gli stili ed i
modelli istituzionali della comunicazione nella ricerca scientifica:pubblicazioni, conferenze,
lezioni, testi didattici.
Problemi: mentalità e linguaggi tendenti a svalutare le componenti soggettive e
interpersonali. L'allontanamento dalla realtà antropologica del malato per un rapporto
sempre più tecnoco e meno umano. Venir meno della dimensione dialogica e l'abuso di un
linguaggio sempre più tecnoco da parte dei medici che si dimenticano sempre più spesso
che il medico ed il paziente si trovano uniti da un legame prevalentemente umano, non
scientificamente fondato.
Un altro aspetto problematico è quello collegato all'organizzazione delle strutture sanitarie,
sempre più organizzate secondo criteri di efficienza aziendale. La figura del curante unico è sostituita
dall'equipes, la cui efficienza è evidente nei successi della medicina moderna
contro le malattie, ma che può portare ad una pratica medico-assistenziale frammentata e
spersonalizzata. Gli effetti di ciò sono rilevabili nell'insoddisfazione di molti pazienti. Una
delle armi più efficaci per contrastare questo può essere una buona comunicazione
all'interno delle strutture sanitarie e delle equipes medico-assistenziali, per garantire
l'unitarietà e la coerenza del processo di cura in relazione alle esigenze del singolo paziente.
Altro aspetto è quello del problema dei rapporti all'interno dei comitati etici, che oerano
ormai da un decennio nelle strutture sanitarie per tutelare i diritti, la sicurezza ed il
benessere del paziente. Per la loro composizione, che prevede la presenza di personale
medico e non, i comitati etici evidenziano come la medicina sia sempre più il punto di
confluenza di prospettive, interessi e linguaggi diversi, una confluenza che talvolta genera
conflitti di valori ma è problematica in primo luogo a livello comunicativo.
La comunicazione extramedica è il rapporto che la medicina intrattiene con la società
attraverso i canali della divulgazione scientifica, dei mass media e delle nuove tecnologie
informatiche, ma anche attraverso le relazioni delle strutture sanitarie con il pubblico.
Problemi: quelli relativi all'educazione alla salute ed alla prevenzione, alla diffusione dei
risultati della ricerca rispetto ai cosiddetti fattori di rischio, alla sperimentazione di nuove
terapie e all'utilizzo delle tecnologie biomediche più avanzate e i problemi inerenti una
corretta informazione da parte delle strutture sanitarie sui propri statuti e finalità, sulle
procedure di accesso ai servizi, di tutela della privacy, e su quelle relative agli interventi
diagnostico-terapeutici, come il consenso informato, oltre che, ovviamente, su eventuali
errori da parte del personale sanitario. Sono argomenti questi che hanno forti ripercussioni
sul contesto sociale, generando aspettative e speranze, come pure timori ed allarmismi,
spesso amplificati dalla difficoltà a trasmettere un senso adeguato della natura della ricerca
sperimentale, dei margini di incertezza e di rischio sempre inerenti alla pratica clinica.
Le distorsioni comunicative sono dovute ad un'immagine utopica che la medicina
contemporanea comunica di sé all'esterno, portando a riversare sulla pratica medica attese
irrealistiche ed illimitate.
La comunicazione medico-paziente che conserva una centralità propria anche nelle
condizioni di estrema complessità della medicina contemporanea, rimanendo il canale
fondamentale attraverso il quale fluisce tutta l'assistenza medica, di qualsiasi tipo e in
qualsiasi ambiente.
A partire dal XX secolo questa relazione medico-paziente ha subito profonde
trasformazioni, dovute si ai progressi della biomedicina scientifica, sia ai mutamenti
culturali della società i cui la medicina opera.

LA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE:ASPETTI PROFESSIONALI E DEONTOLOGICI


L'approccio comunicativo è fondamentale nella formazione medica ed è anche una delle
cause principali di lamentela dei pazienti o dei loro familiari. In particolare molti pazienti si
lamentano dell'insoddisfacente dimensione “affettiva” della comunicazione, per la
difficoltà di alcuni medici di esprimere le sensazioni, le preoccupazioni e le aspettative
connesse allo stato di malattia.
E' necessario infatti che il rapporto medico-paziente, anche per l'efficacia della terapia e
delle raccomandazioni, sia improntato sulla fiducia. Questo rapporto poi si concretizza se l'atteggiamento del
paziente nei confronti della malattia è riconosciuto e compreso dal
medico.
Nel mettere in discussione l'operato del medico, l'insoddisfazione del paziente solitamente
non riguarda solo l'incompetenza professionale del medico, quanto le sue carenze nella
gestione delle relazioni interpersonali e degli aspetti emotivi della malattia.
Un altro problema cruciale in questa relazione è quello della comunicazione della verità al
paziente, soprattutto nei casi di prognosi grave o infausta. Gli aspetti coinvolti sono di
carattere medico, psicologico, giuridico e deontologico, ma è soprattutto sul piano morale
che sorgono gli interrogativi drammatici del medico rispetto alla natura della verità da
comunicare, ai modi ed ai tempi della comunicazione più appropriati, ai comportamenti da
adottare se si ritiene opportuno tacere. Le indicazioni deontologiche sollecitano il medico a
comunicare la verità e quindi ad essere veritiero nel suo parlare ed agire nei confronti del
paziente, naturalmente rivolgendo la propria attenzione al bene della persona ammalata,
con le sue ansie ed incertezze.
Questa esigenza di riportare al centro dell'attenzione non solo la malattia, ma anche la
persona del paziente, si percepisce chiaramente nell'evoluzione dei codici deontologici
delle professioni sanitarie, ne tentativo di fornire regole che migliorino la relazione con
l'ammalato. Purtroppo si deve constatare anche la crescente tendenza da parte del
personale medico ad utilizzare determinate procedure, soprattutto il consenso informato,
come formule difensive allo scopo di proteggersi da possibili attacchi giudiziari.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel documento “Informazione e consenso all'atto
medico” dichiara che “il consenso all'atto medico è alla base della stessa giustificazione
dell'esercizio della Medicina e fondamento da secoli del rapporto tra medico e malato”.
Oggi la questione del consenso è di frequente un punto di scontro.
Le stesse modalità di acquisizione del consenso nel concreto esercizio della clinica
presentano una serie di problemi: come e quando informare il paziente, entro quali limiti
fornire l'informazione, chi ha la responsabilità di farlo, quali rapporti il curante deve
intrattenere con i familiari, come documentare che le informazioni sono state recepite.
Rispetto alla modalità di acquisizione del consenso, il ricorso sistematico a moduli
prestampati, in genere sottoscritti con qualche sommaria aggiunta per gli specifici campi di
applicazione, presenta il rischio di sostituirsi all'autentico nucleo della comunicazione
medico-paziente, il colloquio, con le sue possibilità di adattamenti personalizzati
dell'informazione, in modo da garantire una sufficiente comprensione da parte del paziente
e, quindi, la validità del suo consenso.
Riguardo a quanto accennato prima in relazione alla comunicazione della verità al paziente,
possiamo trovare due interpretazioni su come affrontare la questione. Uno fa riferimento al
cosiddetto standard oggettivo ed impone di dire quanto un individuo ragionevole,
considerato come rappresentante “medio” della comunità, vorrebbe sapere e potrebbe
comprendere della procedura medica che lo riguarderà. Un altro invece fa riferimento al
cosiddetto standard soggettivo, inteso come ciò che il singolo paziente vuole e può
comprendere o ciò che si reputa massimamente significativo per lui .

LA RELAZIONE DI CURA: SPUNTI PER UN'ETICA DELLA COMUNICAZIONE

Paul Ricoeur: il nocciolo etico che definisce la forma relazionale dell'atto medico è il patto
di cura basato sulla fiducia, conclusione di un percorso di reciproco riconoscimento
tendente a riequilibrare l'iniziale asimmetria della relazione medico-paziente. L'alleanza
terapeutica, il vincolo di fiducia che lega i due interlocutori è però fragile e costantemente
minacciato dalla diffidenza e dal sospetto. La fiducia del paziente è incrinata dal timore
dell'abuso di potere da parte del medico e dalle attese irragionevoli poste nel suo
intervento. I limiti dell'impegno medico invece, più che alla negligenza, sono riconducibili
all'influenza della prospettiva oggettivante della scienza e della prospettiva della sanità
pubblica che fa prevalere gli interessi della collettività su quelli del singolo.
Entralgo: comunicazione come momento strutturale della relazione tra medico e malato. Il
colloquio è al centro di una complessa rete di atti comunicativi, verbali e non. Affinchè si
inneschi una vera comunicazione l'intenzione coinvolgente del medico deve prescindere
quella inquisitoriale ed oggettivante.
Eric Cassell: nel legame che si stabilisce tra medico e paziente la comunicazione assume
una valenza specificamente educativa. Il medico svolge la sua funzione educativa
ponendosi come mediatore, come ponte, tra il malato e la sua malattia. Questa finzione
educativa si fonda sulla pari dignità del medico e del malato sul piano morale e della loro
oggettiva disuguaglianza sul piano delle condizioni esistenziali.
Questi esempi di riflessione sulla struttura comunicativa della relazione medico-paziente
presentano alcuni riferimenti comuni che introducono validi suggerimenti per un'etica della
comunicazione medica. Nella descrizione del costituirsi del patto di cura come reciproco
riconoscimento emerge come l'intenzione conoscitiva della comunicazione medica sia
inscindibile da quella propriamente morale. La fiducia della relazione medico-paziente
assume così la valenza di un impegno etico. Queste considerazioni sono rilevanti anche
rispetto al tema della veridicità della comunicazione medica. Ma cosa significa dire la verità
al paziente? Questo interrogativo rimanda ad una concezione etica della verità, che non si
esaurisce nell'enunciazione di una conclusione scientifica o nell'indicazione di un
intervento tecnicamente efficacie, ma è un impegno a instaurare un rapporto autentico e
duraturo, funzionale alla creazione, alla promozione ed al mantenimento del nesso
comunicativo.

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