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TWITTER FACTOR

Il libro “Twitter Factor”è frutto dell'autore Augusto Valeriani, ricercatore presso il dipartimento di
Scienze Politiche e Sociali di Bologna, dove si occupa di comunicazione politica internazionale,
media digitali e giornalismo. Conseguì il dottorato di ricerca in “Comunicazione, mass media e sfera
pubblica” presso l'Università di Siena nel 2008, interessandosi dal principio nella comprensione dei
meccanismi utilizzati dai mass media nel mondo della comunicazione in continua evoluzione.
Il suo libro Twitter Factor racconta un percorso di cambiamento nel campo dell'informazione (e in
particolare del giornalismo) dovuto alla nascita di nuovi mezzi di comunicazione e all'incidenza che
essi hanno avuto nel contesto sociale moderno.
Focalizzato inizialmente sulla struttura del giornalismo professionale e sulle sue prime difficoltà con
la comparsa di nuovi mezzi di informazione e quindi sulla sua sempre più carente disponibilità di
risorse per reperire le notizie, si sviluppa successivamente documentando la sua sempre più crescente
collaborazione con il giornalismo dilettantistico, il quale diventerà non solo complementare ma anche
fondamentale sia per testate giornalistiche sia per l'intero sistema d'informazione guidato dai mass
media.
La crisi economica ha colpito anche giornali e telegiornali, costringendo questi ultimi a
ridimensionare il proprio personale, comprendendo anche inviati in “zone calde”, mettendoli con le
spalle al muro costretti ad accettare compromessi col demonizzato giornalismo non professionale. Si
inizia quindi a reperire informazioni “dal basso”, senza più passare attraverso dipartimenti di stato e
varie istituzioni per ottenere lo scoop necessario, utilizzando i social media per reperire direttamente
le informazioni utili a comporre la notizia, avvalendosi del lavoro sul campo dei vari free lance sparsi
in tutto il mondo. Si inizia quindi a raggruppare i vari informatori, inizialmente pagati sia al pezzo
che con la formula “4 articoli = 1000 dollari”, riducendo i costi per i vari inviati speciali e quindi
riuscendo a ottenere comunque notizie “di valore” a costi molto più contenuti. Questa era appunto la
strategia utilizzata dal giornale interamente online Global Post, il quale con costi nettamente più
ridotti rispetto a una normale testata giornalistica riusciva a creare, attraverso un ristretto numero di
redattori incaricati di selezionare le notizie e verificarne le fonti, un vasto numero di articoli
riguardanti gli avvenimenti di tutto il globo.
Tuttavia la necessità di ottenere informazioni sempre calde, ovunque avvenissero i fatti, richiedeva
una quantità sempre più crescente di collaboratori. Nascono quindi relazioni interpersonali con una
vasta schiera di informatori, coltivate attraverso i social network come “twitter”, ampliando
drasticamente lo spettro di notizie a disposizione e quindi di conseguenza aumentando anche il lavoro
necessario alla selezione delle notizie in base alle fonti verificate. La concorrenza con giornali e
telegiornali tuttavia costringe a una velocizzazione dell'intero processo di produzione di articoli,
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escludendo di fatto i mezzi di comunicazione tradizionali, ritenuti in passato i veicoli più celeri di
diffusione di notizie. La necessità di pubblicare gli scoop anticipatamente porta a una noncuranza
della veridicità delle fonti causando la pubblicazione di articoli non veritieri, portando imbarazzo e
perdita di credibilità alle testate che hanno provveduto alla loro pubblicazione. La crisi economica
internazionale e tutti i cambiamenti che si è portata appresso hanno condotto non solo le agenzie
d'informazione verso un lento e inesorabile declino, ma anche i giornali minori a un continuo riciclo
di notizie estratte dai colossi dell'informazione, quali CNN, BBC, Al Jazeera, trasportando appunto i
giornali minori verso l'oblio.
Quindi, dapprima avversi nei confronti dei nuovi mezzi di comunicazione sorti nel cosiddetto “web
2.0”, ritenendoli non professionali e da ritenere molto meno autorevoli rispetto ai mezzi tradizionali,
i vecchi mass media intraprendono un percorso di informazione nel frastagliato mondo virtuale, dando
vita a diversi siti e blog di giornalismo professionale in cui pubblicare non solo le notizie già presenti
nella pubblicazione della testata, ma anche articoli che non trovano spazio all'interno della
programmazione e che quindi restano inutilizzati e di fatto sprecati.
Per quanto riguarda i rapporti con i vari free lance e utenti dei social che partecipano alla fornitura
delle informazioni, si rivela necessario creare un rapporto di solidarietà e di “amicizia” per evitare
che possa essere percepita alcuna sorta di sfruttamento, che porterebbe a una mancanza di
collaborazione da parte delle fonti. Per questo vengono creati profili sui social network da parte di
giornalisti e testate per far si che questa collaborazione continui a proliferare e vi siano notizie sempre
fresche da piazzare in prima pagina. Tutto ciò senza escludere la parte professionale del giornalismo,
che si occupa anche di riorganizzare e ordinare le informazioni in arrivo, rendendole più facilmente
consultabili ai lettori.
Col mondo “mobile” si inizia a dar spazio anche ai lettori, che diventano essi stessi dei giornalisti,
trovando la loro Disneyland all'interno di pagine, applicazioni e siti creati appositamente per la
diffusione di notizie da parte dei lettori, i quali verranno remunerati “in fama” attraverso il
riconoscimento di un titolo progressivo all'interno del sito in cui stanno pubblicando le notizie. Queste
notizie vengono successivamente selezionate e redatte con la possibilità di una loro pubblicazione
all'interno del giornale o della trasmissione televisiva, alimentando il cosiddetto “crowdsourcing”,
appunto la fornitura di informazioni da parte della gente (ovvero i “non professionisti”).
I giornalisti in tutto ciò restano i “custodi dell'ultimo miglio” , incaricati di rendere le notizie più
autorevolmente credibili essendo portatori di una conoscenza giornalistica professionale e conoscitori
del quadro storico e politico del tempo, restando di fatto una figura importante all'interno del mondo
della comunicazione.
Con l'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione e dello smartphone vi è un cambio rilevante anche
nel funzionamento della diplomazia pubblica, che di fatto viene velocizzato per quanto riguarda la
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trasmissione delle informazioni e delle comunicazioni, ma rimanendo comunque vincolato alla


velocità con cui esse vengono trasmesse ai mass media. Esso viene utilizzato dai vertici durante le
riunioni diplomatiche per comunicare direttamente e in tempo reale col dipartimento di stato e altri
organi in comunicazione tra loro, favorendo così la velocità con cui vengono prese le decisioni, in un
contesto storico basato sulla velocità che non ammette lentezza, se non quella richiesta dalla decisione
degli ambasciatori di diffondere notizie esclusive in loro possesso, i quali effettivamente dettano la
velocità con cui esse vengono divulgate.
Gli stessi ambasciatori devono comunque prestare molta attenzione a ciò che scrivono sui blog e nel
web in generale, stando attenti a non andare in contraddizione con la politica della propria testata o
del proprio paese, per non incorrere in licenziamenti o in gravi ammonimenti da parte della testata
stessa; ne è stato un esempio il caso di Octavia Nasr, la quale ha espresso il suo rammarico per la
morte del dittatore Mohammed Hussein Fadlallah, causando immediatamente agitazione e portando
al suo licenziamento poiché non il linea con le idee della testata per cui lavorava. Ciò limita
effettivamente la libertà di espressione dei giornalisti per quanto riguarda la loro sfera privata,
venendo essa stessa considerata non più privata ma come una continuazione della vita professionale.
Esso, avvalendosi della propria immagine nei social network, vista come bussola da parte dei “
followers”, è capace di influenzare l'opinione pubblica. Le opinioni private dei giornalisti e degli
ambasciatori vanno di fatto a mescolarsi con le informazioni ufficiali, negando la possibilità di
tracciare una linea netta che le separi.
Essendo le notizie legate alle reazioni dei lettori e quindi dell'opinione pubblica, i mass media
vengono a loro volta influenzati da questi fattori, dovendo appunto plasmare la propria strategia
d'informazione a seconda di ciò che la gente segue maggiormente, selezionando le notizie di maggior
interesse e mettendole in rilievo in maniera da ottenere più consensi possibili. Legata all'emotività dei
telespettatori vi è stata e vi è la diretta televisiva, la quale dà possibilità al pubblico di vedere ciò che
il giornalista sta vedendo in quel preciso momento, annientando l'opportunità per il reporter di
interpretare gli eventi e limitandolo a descrivere la vicenda aggiungendo solo un breve accenno del
contesto storico e politico del momento.
Il tutto viene supportato dalle international broadcasting, ovvero le all news satellitari, le quali si fanno
portavoce degli avvenimenti nel mondo e in alcuni casi fungendo da tramite per organizzazioni e
governi, come nel caso dell'intermediazione della CNN per il recapito dell'ultimatum di Bush a
Saddam prima dei bombardamenti, dando non solo un valore diplomatico al messaggio televisivo ma
anche avvalorandolo di un'importanza mediatica non trascurabile, contribuendo a costruire i
personaggi pubblici degli attori della vicenda. L'opinione pubblica veniva quindi scossa
continuamente dalle incessanti breaking news delle trasmissioni televisive, testimoniando di fatto la
dinamicità del giornalismo stesso, ormai profondamente cambiato rispetto al passato. Inizia così
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l'utilizzo dei mass media per la costruzione della propria immagine pubblica da parte dei leader di
tutto il mondo, spesso anche per oscurare repressioni o limitazioni di libertà nel proprio paese, il tutto
non senza la presenza costante di blog e social nei quali i vari provvedimenti e le varie notizie vengono
diffuse. Emerge visibilmente anche come i mass media tendano a concedere maggiore importanza a
una vicenda precedentemente in secondo piano se a partecipare vi è un vip o una persona di notevole
rilevanza sociale, mettendo la vicenda sotto i riflettori. Di ciò ne giovano le ONG (Organizzazioni
Non Governative), bisognose di attenzione per la loro causa e disposte a collaborare per la fornitura
di informazioni in cambio di una prima pagina. Vengono creati anche eventi ad hoc, con la
partecipazione di personaggi famosi del mondo dello spettacolo per la raccolta fondi per la causa, in
modo da ottenere molta più attenzione a livello mediatico. Inoltre nelle crisi umanitarie e nelle
catastrofi emerge prepotentemente il bisogno di ristabilire tempestivamente le comunicazioni per la
coordinazione degli sforzi. Questo è garantito in larghissima parte da “ponti virtuali” creati da siti
appositi per mettere in contatto le varie ONG e le diverse organizzazioni nei momenti di bisogno,
evitando l'isolamento delle zone colpite e garantendo una risposta più efficace nelle vicende.
Per tenere gli utenti del web 2.0 sempre informati sulle varie crisi internazionali, umanitarie e sulle
tematiche ambientali, vengono creati siti raggruppanti tutte le varie crisi in modo da ottenere un più
veloce e un maggiore impatto sull'opinione pubblica, ritenuta fondamentale da queste organizzazioni.
Il web è anche un luogo di ritrovo innovativo e maggiormente libero d'informazione per le popolazioni
vittime di regimi repressivi della libertà di comunicazione e lesivi dei diritti fondamentali dei cittadini,
dando possibilità di organizzazione ai gruppi insurrezionali desiderosi di cambiamento, coadiuvando
di fatto la successiva attività sul campo e collaborando nel crollo di quegli stessi regimi repressivi. La
comunicazione si rivela un'efficace arma per la lotta alla libertà e come tale viene anche avvertita dai
governi oppressivi, i quali tentano di sopprimerla anche interrompendo la fornitura dell'energia
elettrica per impedire un accesso fisico al web. Il tentativo viene comunque adeguatamente arginato
grazie alla collaborazione ormai già radicata nel mondo virtuale con blog e siti sostenenti la causa,
permettendo il proseguimento della sua esistenza online. In ogni caso, per ottenere il massimo
risultato e la massima diffusione, i movimenti hanno bisogno dei mass media tradizionali, i quali
contribuiranno indirettamente alla buona riuscita delle operazioni.
La libertà di comunicazione nel web e l'importanza dei mass media sono anche armi a doppio taglio,
poiché la loro forza viene recepita anche da organizzazioni terroristiche, come Al Qu'ida, che ne
comprendono la loro efficacia e le utilizzano per aumentare il raggio di diffusione dei loro messaggi
e per dar voce mediatica alle proprie azioni, esplicando anche di fatto le proprie ragioni, raramente
messe in luce da parte dei notiziari. Al Qu'ida, ad esempio, utilizza nei suoi canali di comunicazione
un'impostazione di tipo giornalistico, riproponendo notizie già presenti nelle all news satellitari ma
rilette in chiave jihadista, dandone una propria interpretazione. Vengono utilizzati Facebook e altri
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social network per la diffusione delle proprie idee e per reclutare nuovi jihadisti, non solo
esclusivamente disposti ad emulare le gesta delle azioni terroristiche ma, sfruttando l'effetto dei
cosiddetti collaboratori a “sforzo minimo” (utenti che semplicemente condividono le notizie), disposti
anche solo a divulgarle.
Viene riposta una grande attenzione nella composizione di siti e pagine riguardanti la Jihad per
pubblicizzare al meglio l'organizzazione terroristica e ottenere quindi più attivisti possibili. Vengono
anche riservati veri e propri spazi riguardanti il modo in cui i mass media dipingono l'organizzazione,
aprendo di fatto una sorta di area confronto per far assumere più credibilità all'organizzazione.
Nessuno degli attori internazionali è disposto a trascurare le opportunità offerte dal mondo
comunicativo del web, comprendendone appieno le potenzialità e la potenza che esso riserva.
Uno degli aspetti che ha scosso e influenzato maggiormente il contesto storico e politico
contemporaneo è stato il fenomeno “Wikileaks”. L'organizzazione online guidata da Julian Assange
ha permesso la condivisione di materiali riservati con il web, hackerando gli archivi delle varie
ambasciate dei vari paesi in tutto il mondo, soprattutto nelle zone calde, creando immediatamente
panico e la impellente necessità di repressione della circolazione delle informazioni riservate da parte
dei maggiori governi mondiali, in particolare degli USA. L'indirizzo originario wikileaks.org viene
chiuso nel 2010, non senza una miriade di complicazioni, rivelandosi comunque un intervento
relativamente inutile, poiché ormai i file trafugati erano presenti in un numero sterminato di siti
appoggianti la causa e quindi rendendo inefficace ogni futura azione di censura da parte degli organi
di controllo. Questa falla nei sistemi di sicurezza delle informazioni riservate ha portato a un forte
inasprimento dei requisiti di accesso ai file riservati, onde evitare lo stesso risultato in futuro. I vari
cambiamenti del mondo della comunicazione e la sua sempre più crescente accessibilità, sono
indubbiamente frutto dello sviluppo del web 2.0, il quale permette a chiunque sia in possesso di un
dispositivo in grado di connettersi alla rete globale di informarsi su tutti gli avvenimenti, in corso e
trascorsi, con pochi “click”. Si sa però che il web è spesso ingannevole; per quanto possa essere
convincente una notizia dovremmo sempre informarci bene sulle fonti e confrontarle per estrapolarne
sempre le informazioni più genuine.
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WEB 2.0 = sempre maggiore centralità nell’attuale ecosistema della rete, di piattaforme come blog e
social network basate sulla connessione sociale e sulla partecipazione attiva di utenti privi di
competenze specifiche di programmazione. Evidente importanza della dimensione della produzione
collaborativa dei contenuti e dello sviluppo delle cosiddette “intelligenze collettive”, attraverso tutti
quegli strumenti online che consentono lo scambio e la condivisione di informazioni.
Sulla politica internazionale hanno influito due rivoluzioni: prima l’avvento delle televisioni
satellitari, poi l’avvento del web 2.0. Parliamo di CNN effect e di Twitter Factor.
CNN effect la televisione satellitare, con la possibilità della diretta televisiva transnazionale, ha
creato un nuovo ambiente, uno spazio di interazione in cui la diplomazia ha dovuto necessariamente
ripensare la propria performance. Alcune conseguenze: notizie in tempo reale, guerra in diretta,
necessità dei decision makers di rispondere agli eventi sotto la pressione delle breaking news, etc.
Capi di Stato e personalità diplomatiche hanno iniziato a considerare più seriamente le prestazioni
televisive e le rappresentazioni delle loro azioni su questo medium. Twitter Factor giornalisti e
diplomatici si trovano a confrontarsi con i citizen journalists e con i citizen diplomats. Ad esempio,
nel post elezioni presidenziali in Iran (2009), che ha visto manifestazioni di dissenso nei confronti
dell’elezione di Ahmadinejad, i manifestanti sono stati attori attivi nella diffusione delle informazioni
riguardo le proteste (foto, video, opinioni). A differenza di quanto accaduto fino ad ora, si tratta di
soggetti che erano coinvolti direttamente in quanto stava accadendo. Questi non-professionisti hanno
giocato un ruolo centrale anche nel rendere questo avvenimento un evento politico globale, una
questione intorno alla quale creare spazi di confronto e scontro tra le posizioni sia all’interno dei
luoghi del potere sia al suo esterno. Gli Usa, in questo, non hanno potuto ignorare quanto avveniva e
veniva raccontato sui social media, dovendosi confrontare con le opinioni di un numero altissimo di
persone in tutto il mondo che si sono sentite coinvolte più o meno profondamente negli avvenimenti:
il flusso di contenuti e messaggi che stava mettendo in relazione i manifestanti iraniani con il resto
del mondo è stato visto da Washington come un alleato, un soggetto da sostenere e con cui creare
spazi di cooperazione e pressione politica.
Anche i soggetti non governativi oggi agiscono sullo scacchiere internazionale dando un particolare
valore alla comunicazione sui social, così come tutti quegli attori che promuovono istanze politiche
(dagli attivisti per i diritti umani ai terroristi).
Considerato tutto ciò, è importante considerare il web 2.0 come un luogo e osservare come i
diversi attori che, volenti e nolenti, lo popolano stanno ridefinendo le proprie abitudini
cercando di trarre vantaggio dalla nuova situazione, ognuno secondo le proprie
caratteristiche e obiettivi e i propri limiti strutturali.
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Allo stesso modo, i media vanno considerati come un’infrastruttura sociale e politica, ma
anche professionale e organizzativa, al cui interno si sviluppa una competizione per la
definizione della realtà. Infatti, all’interno dei media non si tiene un processo solo di
rappresentazione mediatica della realtà, ma di definizione della realtà stessa.
Ciascuna delle comunità che è entrata e, tutt’oggi, entra in relazione con i media e con il web deve
definire il proprio ruolo all’interno di questo sistema, soprattutto considerando la trasformazione del
pubblico: si è passati da un pubblico indistinto che non aveva ampie possibilità di partecipare
attivamente alla rappresentazione del mondo a un pubblico che si connota come network di
produttori e mediatori di informazioni che non rispondono, almeno in parte, alle
tradizionali regole del newsmaking.
GIORNALISMO
La nascita del modello informativo delle televisioni satellitari all news, a partire dagli anni ’90, ha
influenzato fortemente la rappresentazione della realtà internazionale da parte di tutto il sistema
giornalistico. Nella ricostruzione dello scenario geopolitico intervengono soprattutto le breaking
news, che hanno la funzione di sottolineare la capacità dei mezzi di informazione di attivarsi in
tempi rapidi per rispondere all’imprevedibilità di quello che accade. Questo processo provoca
una deterritorializzazione dei luoghi della politica internazionale, andando a delineare una
riterritorializzazione in una iper-realtà frammentaria dove l’immediatezza prevale sull’accuratezza.
L’elemento perno della comunicazione giornalistica diventa trasmettere live quanto avviene, senza
un vero e proprio approfondimento. Si va a costruire il cosiddetto paradosso dello spettatore
totale (Scurati): il giornalista diviene esclusivamente spettatore di ciò che accade, che viene
comunicato al pubblico, che assiste in contemporanea.
Con il web, il paradosso dello spettatore totale si evolve nel paradosso dello spettatore
preveggente: attraverso i blog e i social media, c’è la possibilità che il pubblico produca, condivida o
si imbatta in un’informazione che ritiene rilevante prima ancora che i giornalisti ne vengano a
conoscenza. L’audience si trasforma in una comunità informativa attiva e transnazionale, per cui
diviene necessario per il mondo giornalistico trovare delle strategie per comunicare con essa,
soprattutto considerando che nel momento in cui ognuno è potenzialmente in grado di pubblicare
autonomamente una notizia è impossibile avere tutto sotto controllo.
Da sottolineare che sono ancora i media tradizionali a definire quali siano i grandi eventi, per cui è
l’attenzione della televisione e dei giornali a trasformare un evento che vivrebbe solo nel web in una
questione di dominio pubblico.
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La crisi economica e il crescente disinteresse nei confronti delle grandi storie di politica
internazionale, a favore di un accresciuta curiosità per il locale (gossip, cronaca,
infointrattenimento), ha portato ad una crisi del sistema
INTERPRETAZIONE: risultato di un
giornalistico e, in particolare, del sistema della
processo di mediazione ad opera del
corrispondenza. I giornali hanno progressivamente
giornalismo che, a partire da
rinunciato alla copertura del mondo, così come le un’osservazione della realtà, seleziona
televisioni, seppur con vari esperimenti con l’obiettivo di gli elementi che ritiene utili a renderla
trovare nuovi modelli di sostenibilità economica per un comprensibile al pubblico, facendosi
giornalismo pienamente internazionale (ad esempio, Global carico di disinnescare i “trabocchetti”
Post ha utilizzato come corrispondenti giornalisti free lance che i soggetti coinvolti possono aver
già presenti sul territorio, riducendo a zero le spese per disseminato per cercare di influenzarne
vitto e alloggio che avrebbe dovuto pagare per i suoi la rappresentazione.
giornalisti). Si è andata anche delineando una modalità COMMENTO: è scollegato dalla realtà del
produttiva partecipata, con il coinvolgimento diretto dei campo, solitamente elaborato da
lettori nella produzione di notizie e storie. Allo stesso modo, diplomatici e accademici che esprimono
l’assenza di corrispondenti ha portato i giornali a coprire le opinioni rispetto alla situazione sulla
base della loro visione, ideologica o
questioni internazionali quasi esclusivamente attraverso i
mossa da interessi, degli equilibri
commenti di esperi ed editorialisti, sostituendo internazionali.
l’interpretazione giornalistica con il commento.
Ad oggi, abbiamo assistito ad una deriva del commento,
che ha fatto sì che nella narrazione giornalistica la politica e gli affari internazionali siano diventati
una questione di opinioni, uno scontro tra diverse visioni delle situazioni e delle dinamiche
geopolitiche che si contendono il favore del pubblico.
Problema nel rapporto tra giornalismo e web 2.0: i giornali si buttano sulle nuove tecnologie perché
bisogna farlo, avviando solo raramente riflessioni che coinvolgano lo staff rispetto a come ognuno
possa ripensare il proprio lavoro a partire da tali trasformazioni. Inoltre, molti giornalisti vedono ciò
che accade online come meno rilevante.
Il web offre al giornalismo strumenti per relazionarsi in maniera nuova al pubblico e strumenti per
relazionarsi alle fonti e al pubblico in quanto comunità informativa in grado di svolgere un ruolo
attivo nei processi di produzione delle notizie.
Elemento centrale: fine dell’inviolabilità del giornalismo sulle questioni internazionali,
garantita da un accesso praticamente esclusivo ai luoghi delle notizie e da una separazione netta tra
i differenti contesti nazionali.
È necessario creare un’alleanza tra giornalismo e utenti/citizen journalism, dove il giornalismo può
ricoprire un ruolo duplice:
• Bussola interpretativa rispetto alla complessità del reale e alla frammentazione della sua
narrazione
• Responsabili dell’ultimo miglio nella relazione con i soggetti politici
Jervis chiama questa alleanza networking journalism: il pubblico può essere coinvolto in una
storia prima che questa venga raccontata, contribuendo con fatti, domande e suggerimenti, così
come successivamente alla pubblicazione della storia con correzioni, fatti e prospettive.
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DIPLOMAZIA
La velocizzazione degli scambi comunicativi tra fonti d’informazione e giornalisti è andata di pari
passo con la velocizzazione del processo di produzione delle notizie, sia a seguito della nascita della
televisione satellitare sia con l’avvento di Internet. A entrambe queste spinte, è seguito un rifiuto da
parte della cultura professionale diplomatica, che continua a preferire prudenza nelle dichiarazioni,
in un complesso sistema di autorizzazioni e su organigrammi rigidamente piramidali.
Si è sviluppato un conflitto tra il giornalismo dell’immediatezza e la lenta diplomazia. È innegabile
che la maggior interconnessione dei sistemi di comunicazione e l’imposizione della live culture abbia
aumentato esponenzialmente l’importanza della dimensione pubblica dell’azione politica
internazionale: quando una vicenda che prevede il coinvolgimento da attori politici nazionali o
sovranazionali nell’arena internazionale diviene pubblica, inizia il pressing dei media. Questo
costringe chi lavora nella comunicazione politica ad individuare una strategia efficace per gestire
questa dimensione pubblica, focalizzandosi sul non lasciare un vuoto nel flusso di informazioni
richieste dai media.
Una difficoltà ulteriore nella gestione della dimensione pubblica è il coordinamento e la
collaborazione tra i vari membri delle istituzioni ai vari livelli, ma in particolare ai vertici. Ad
esempio, in Usa occorre che i tre organi che guidano la politica estera (Presidente, Dipartimento di
Stato e Dipartimento della Difesa) dialoghino quotidianamente per definire un messaggio e un
linguaggio comune, nonostante generalmente ragionino in modo differente e concepiscano la
relazione con i media in maniera diversa. Questa collaborazione è fondamentale soprattutto
considerando i rapporti con altri soggetti, come le organizzazioni internazionali (UE, ONU, NATO), in
quanto dissociarsi rispetto alla posizione di questi soggetti sovranazionali ha sempre un impatto
significativo sulla posizione internazionale che uno Stato acquisisce.
Le istituzioni hanno tentato, nel tempo, l’elaborazione e la messa in atto di strategie comunicative: il
Dipartimento di Stato statunitense ha elaborato Dipnote, un blog contenente le note dei diplomatici
americani disposti a condividerle che si pone l’obiettivo di offrire un’alternativa ai media mainstream
per informare il pubblico sulla politica estera americana; il Ministero degli Esteri inglese ha, invece,
puntato sulla creazione di diari online personali, con il rischio che le molteplici voci possano portare
all’emergere di opinioni, visioni e analisi differenti su questioni rilevanti e su cui il Ministero dovrebbe
essere unito. Per questo, il Ministero stesso ha consigliato ai diplomatici di confrontarsi prima di
pubblicare qualcosa. La questione che si pone riguarda la difficoltà del diplomatico di utilizzare in
maniera efficace i nuovi mezzi di comunicazione digitale, esaltando al massimo la propria
soggettività, ma senza dimenticarsi che qualsiasi cosa comunichi verrà considerata come espressione
dell’istituzione di cui il soggetto fa parte, il che richiede una particolare ponderazione.
Soggetti centrali in queste dinamiche sono gli international broadcasters, nati nel corso delle
guerre mondiali, quando diversi Stati hanno deciso di convertire i servizi radio in lingua rivolti a
popolazioni straniere in servizi permanenti di informazione funzionali alle logiche della guerra
fredda. Seppur finanziati da governi e ministeri degli esteri, si tratta di entità particolari in quanto
impiegano giornalisti professionisti che godono di una certa libertà editoriale.
Essendo configurati in questa maniera, emerge la necessità di definire una linea editoriale chiara e
che tenga sempre presente l’obiettivo di promozione degli interessi internazionali del Paese, pur
guadagnando credibilità presso le opinioni pubbliche estere dando prova di indipendenza e
obiettività. Gli international broadcasters faticano a trovare questa credibilità, soprattutto in un
ecosistema globale dell’informazione che è di stampo complesso e polifonico, che rende possibile
trovare informazioni da un ampio spettro di fonti anche per i cittadini di quei paesi che continuano a
mantenere un rigido controllo sui media nazionali.
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La competizione con i numerosi soggetti privati, però, non è stata un disincentivo all’utilizzo di questi
mezzi, soprattutto nei quadranti caldi del mondo. Al Jazeera ne è un esempio lampante: si tratta della
prima organizzazione giornalistica transnazionale a guardare e narrare le vicende del mondo da
una prospettiva araba, nata nel momento in cui il mondo arabo si preparava a diventare il centro
delle dinamiche geopolitiche internazionali.
L’avvento della televisione satellitare prima e della rete poi ha non solo ampliato la dimensione
pubblica della politica internazionale e dell’attività diplomatica, ma anche creato arene in cui gli
attori possono comunicare tra loro. In questo modo, il going public e la scelta di affrontare una
questione attraverso una dichiarazione pubblica diventa un’opzione sempre possibile se si vuole
arrivare non solo al proprio interlocutore diretto, ma ad un numero più ampio di attori
internazionali.
La Guerra del Golfo, in quanto evento che ha dato il via ad una stagione della politica internazionale
in cui non si viaggiava più sui binari delle logiche della guerra fredda, ha portato i soggetti
diplomatici a divenire perennemente crisis oriented e, per questo, portati a mettere in atto quelle che
possiamo definire breaking actions: azioni cosmetiche, compiute con la consapevolezza del ruolo che
le breaking news andavano assumendo nella definizione della mappa dell’attenzione globale. In un
contesto di questo tipo, l’arena mediatica diviene uno spazio di comunicazione ibrido, dove compiere
azioni che sono legate soprattutto al “qui ed ora”.
L’ex presidente venezuelano Chávez ha dimostrato chiaramente l’importanza di queste pseudoazioni
e, più in generale, della comunicazione mediatica. Con il suo programma “Alò Presidente”, che lo vede
come conduttore e ospite principale, è riuscito a creare un contatto diretto con la cittadinanza
venezuelana e a sostenere la propria immagine di leader popolare. Ospitando diplomatici nazionali
ed internazionali, si è spesso occupato di questioni internazionali e, per questo, il programma è stato
tenuto d’occhio dalle istituzioni diplomatiche. Ad esempio, durante la crisi andina (2008) tra
Colombia, Ecuador e Venezuela, generata da un’incursione dell’esercito colombiano in territorio
ecuadoregno che portò all’uccisione di vari membri delle FARC, Chávez attaccò pesantemente la
Colombia definendola l’equivalente sudamericano di Israele. In diretta, si rivolse al ministro della
Difesa ordinandogli di inviare un contingente militare al confine con la Colombia. Questa azione non
venne mai portata a compimento, ma scatenò le reazioni di Colombia, Ecuador e degli altri
interlocutori internazionali, oltre che un significativo polverone mediatico in tutto il mondo. Si tratta,
quindi, di una pseudo-azione che può essere letta in due modi: da una parte, la politica
internazionale usata per fini televisivi, con il dispiegamento di forze militari come momento di
massima tensione dello show, e, dall’altra, la televisione usata per mandare messaggi ad attori
internazionali sfruttando la natura ambigua del mezzo utilizzato.
Chiaramente, l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa come strumenti di dialogo tra gli attori
internazionali ha ridotto notevolmente l’utilità delle vie diplomatiche originarie, con un
accentramento dei processi di comunicazione, decisione e azione che, soprattutto nelle fasi più calde
delle crisi, finisce per tagliare fuori esperti e diplomatici.
Inoltre, l’ambiente informativo delle tv satellitari e di internet finisce per creare un’illusione di
onniscienza, per cui si ha l’impressione di conoscere tutto del mondo e di ciò che sta accadendo.
Questo fa sì che spesso i front men, ministri e presidenti e i rispettivi staff, si convincano di poter
prendere decisioni rispetto ad una particolare questione tralasciando una fase fondamentale: il
confronto con chi è presente sul campo. Questo genera tensioni tra un centro, che si sente
maggiormente svincolato dal contributo delle periferie, e le periferie, che rivendicano l’importanza
del loro lavoro.
DIPLOMAZIA PUBBLICA si tratta dell’insieme di iniziative che un governo intraprende nel
tentativo di sviluppare relazioni positive con le opinioni pubbliche di altri Paesi, al fine di migliorare
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la propria immagine e la propria reputazione internazionale. Si basa sull’idea che attraverso


un’attività di informazione e scambio culturale sia possibile influenzare l’attitudine della
popolazione di un altro Stato a vantaggio del proprio interesse nazionale.
I primi Paesi ad avviare una strategia di questo tipo furono Francia e Gran Bretagna che, durante il
proprio periodo di dominazione coloniale, avviarono la promozione delle proprie culture nei territori
di influenza, mediante iniziative legate all’insegnamento della lingua, alla promozione della storia,
della cultura, delle politiche, etc. per migliorare l’opinione delle popolazioni colonizzate nei confronti
del colonizzatore.
Gli Usa, convinti che la diplomazia pubblica (PD) del nuovo millennio dovesse essere trasformata in
marketing, ovvero promozione del Paese come di un marchio commerciale, sotto l’amministrazione
Bush videro Charlotte Beers, conosciuta per la promozione di vari prodotti commerciali, la quale
mise in atto una serie di campagne promozionali accattivanti con il fine di riposizionare il marchio
USA sul mercato simbolico delle opinioni pubbliche arabe, seppur con scarsi risultati.
La Cina negli ultimi decenni ha ottenuto una sempre maggiore centralità economica e, quindi,
politica. Questo ha portato il governo cinese a dover gestire la propria immagine nello scacchiere
internazionale. Come strategia, si è ripresa quella tradizionale europea, con la promozione della
lingua e della cultura cinese. In Africa, il quadrante geopolitico più rilevante per la Cina nei primi
decenni del XXI secolo, Pechino ha investito sulla costruzione di infrastrutture contando sul
miglioramento della propria immagine nelle opinioni pubbliche africane. Inoltre, il Paese ha lavorato
alla costruzione di una rappresentazione positiva mediante un controllo quasi assoluto
sull’informazione, determinando un forte accentramento e una rigida supervisione governativa in
tutte le attività della PD di Pechino.
Sia la diplomazia pubblica statunitense che quella cinese sono espressione di una visione tradizionale
della PD, di stampo fortemente Stato-centrico e gerarchico, che vede nella definizione e diffusione di
messaggi riguardo la propria essenza il cuore della relazione con le opinioni pubbliche
internazionali. L’idea è quella che una maggiore informazione porti necessariamente a una migliore
immagine del Paese. Tuttavia, in questo tipo di approccio, che si configura come un percorso
unidirezionale government to people, le opinioni pubbliche sono percepite come target passivo
dell’azione comunicativa.
Ad oggi, è necessaria una rivoluzione degli affari diplomatici (RDA), per spostarsi verso un modello
reticolare di PD che veda la collaborazione e partecipazione dei soggetti non governativi e dei singoli
individui nella comunicazione diplomatica. Gli Stati devono dialogare con tutti i soggetti che
popolano la rete, per sviluppare relazioni transnazionali e intraprendere discussioni intorno alle più
svariate tematiche. Più che della definizione specifica del messaggio, quindi, lo Stato deve porre
l’attenzione all’ambiente comunicativo, in cui la reputazione viene costruita e l’azione discussa, per
creare le condizioni affinché questo ambiente venga percepito come free and fair. Occorre
concentrarsi sul supporto delle relazioni people to people tra attori non governativi e
nonprofessionisti.
In questo senso, deve instaurarsi una sorta di collaborative costumization, una personalizzazione
collaborativa della diplomazia pubblica e della comunicazione politica internazionale, lasciando
ampio margine a chi lavora sul campo, andando anche oltre il tabù dell’errore, e focalizzandosi sul
ruolo di coordinamento della discussione che si sviluppa tra i membri del web.
Gli addetti alla diplomazia pubblica perdono, quindi, il controllo totale sulla comunicazione – anche
perché sul web è impossibile controllare tutto – e diventano community organizers, ossia coloro che
sono addetti alla definizione dell’architettura e alla gestione dell’ambiente virtuale: con le risorse
economiche che hanno a disposizione, possono, infatti, porsi come costruttori di ponti, offrendo
strumenti per rendere più semplice ed efficace la socialità in rete.
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In questo stesso ambiente, blogger, attori non governativi e semplici utenti della rete possono
diventare citizen diplomats, partecipando ad eventi, tessendo relazioni e scambiandosi informazioni.

ONG
Il nuovo Occidente, nato dopo la caduta del Muro di Berlino, ha cercato di tenersi unito mediante
valori cosmopolitici come l’umanitarianesimo e la cittadinanza globale, valori che si trovano alla
base di quella che è stata definita “società del rischio”, ossia una società in cui le catastrofi che
colpiscono l’essere umano in qualsiasi parte del Pianeta riguardino ognuno di noi. Tale impostazione
ha portato alla costruzione di una realtà in cui gli individui sono in grado di sviluppare empatia
anche con il dolore di esseri umani lontani, per quanto si tratti di legami effimeri e irrazionali e,
soprattutto, influenzati dalle rappresentazioni mediatiche del mondo. I mass media sono, infatti, in
grado di attirare l’attenzione delle opinioni pubbliche su fenomeni estremamente lontani
geograficamente, generando una globalizzazione della solidarietà.
Le ONG hanno iniziato a sviluppare un atteggiamento ambivalente: da una parte, un’attitudine
fortemente critica nei confronti dei media tradizionali, che scelgono poche crisi che durano poco
tempo per poi dimenticarsene e, dall’altra, la presa di coscienza sempre più chiara dei vantaggi
connessi alla capacità di sviluppare una strategia produttiva nella relazione con i media stessi.
L’effetto CNN ha, quindi, portato le ONG ad una consapevolezza mediale del proprio ruolo di attori
nelle narrazioni mediali del mondo, con la conseguente necessità di lavorare sulla propria immagine.
Si è trattato di acquisire una mentalità d’impresa e imparare a vendere se stesse e le proprie
emergenze, rapportandosi alla logica del live journalism, che rende molto difficile l’approfondimento
delle questioni e subordina la narrazione al criterio dell’immediatezza. Inevitabilmente, le ONG
hanno dovuto velocizzare il proprio lavoro comunicativo e banalizzare le questioni di cui si
occupano.
Si è andato evolvendo il rapporto tra ONG e giornalismo, in quanto il giornalismo paracadute impone
ai giornalisti forme di simbiosi con coloro che si trovano sul campo, condizione che le ONG possono
sfruttare a loro vantaggio, sviluppando delle vere e proprie forme di embedding umanitario, con
l’obiettivo di creare empatia tra giornalisti e operatori umanitari che dovrebbe tradursi in una
migliore copertura mediatica del fenomeno.
Il web 2.0 è servito alle ONG per sviluppare forme di relazione diretta e continuativa con le opinioni
pubbliche. Grazie ai propri siti web e ai blog degli operatori presenti sul territorio e all’uso strategico
dei social media, si è riusciti a coltivare delle vere e proprie comunità che sopravvivono ben oltre il
tempo, molto ridotto, che i media mainstream dedicano alle varie emergenze umanitarie di cui le
ONG si occupano. Si tratta di comunità molto ridotte rispetto all’ampiezza di coloro che vengono a
conoscenza dei fatti tramite i canali mainstream, ma, allo stesso tempo, si tratta di una comunità
molto più interessata e attenta alle vicende.
In questo modo, le ONG sono in grado di appropriarsi e gestire autonomamente quella che Anderson
definisce “coda lunga” dell’attenzione delle opinioni pubbliche per le emergenze umanitarie. Con
l’immagine della coda lunga si fa riferimento alla forma assunta dalla curva che indica l’evoluzione
dell’interesse per un’emergenza: ad un breve momento iniziale, caratterizzato da un altissimo livello
di attenzione da parte di un vastissimo pubblico, segue un lungo periodo, una coda lunga, appunto, di
attenzione da parte di un gruppo molto più ristretto di soggetti particolarmente motivati rispetto a
quella questione specifica o rimasti particolarmente colpiti dalla copertura dei media mainstream
durante il picco iniziale di attenzione.
Solitamente, tali comunità sono transnazionali e possono essere attivamente coinvolte nelle attività
di disseminazione di informazioni.
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Lo sviluppo del web 2.0 ha, poi, portato alla nascita di un nuovo tipo di organizzazioni che possiamo
definire “networked ONG” o, ancora meglio, “ONG ponte”: organizzazioni che si sono costituite
all’interno di un ecosistema informativo proprio della rete, assorbendone completamente la struttura
comunicativa, e che ricoprono un ruolo di coordinamento delle innumerevoli voci che si levano
autonomamente attraverso la telefonia mobile, i blog e i social media.
BARBRA STREISAND EFFECT fenomeno tipico dell’ecologia informativa della rete, che vede il
determinarsi di meccanismi quasi automatici di resistenza alla censura. L’attenzione che si genera
intorno ad un’informazione che qualcuno vorrebbe eliminare determina inevitabilmente la
moltiplicazione dei luoghi online in cui è possibile trovare quell’informazione.
E’ solo uno degli esempi di come il web possa svolgere un ruolo cruciale tanto nel supporto alle
campagne di movimenti attivi all’interno di contesti nazionali quanto nel coordinamento di
campagne globali.
Tra coloro che hanno studiato i movimenti sociali, i gruppi antagonisti e la loro relazione con i
sistemi di comunicazione (Castells, Ronfeldt, Arquila, etc.), c’è un accordo nell’attribuzione alla prassi
d’azione e di organizzazione dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale – EZLN il ruolo di primo
movimento di information guerrilla in grado di sfruttare le potenzialità della rete. L’esercito ha
caratterizzato la propria attività con una rinuncia quasi immediata alla violenza, per lo sviluppo di
una strategia di comunicazione su scala globale. La strategia si è basata principalmente su due
elementi:
• Figura del subcomandante Marcos
• Capacità di proiettare la propria causa nella sfera pubblica internazionale attraverso una
produzione estremamente prolifica di materiale informativo di diversa natura.
Il web ha svolto un ruolo fondamentale per entrambe le attività, per cui all’inizio degli anni ’90 è
stato creato La neta, un network informatico messicano in grado di collegare tra loro le ONG del
Paese e a sua volta connesso alla rete globale PeaceNet, costituendo il promo ponte virtuale tra il
Chiapas e il resto del mondo. In questo modo, la rete ha rappresentato lo strumento principale di
coordinamento tra i diversi soggetti di sostegno globale che si andavano sviluppando intorno alla
causa.
Altro evento fondamentale nello studio dei social sono state le primavere arabe, che sono state
definite “le rivoluzioni di Facebook”. Shirky e Morozov si sono interessati al ruolo della rete nello
scontro tra governi autoritari e movimenti di opposizione, affermando:
• Shirky ha sottolineato come i social media non solo rendano estremamente difficile per i
regimi il controllo della sfera pubblica, ma offrano a gruppi dotati di poche risorse
organizzative opportunità di coordinamento a basso costo.
• Morozov ha insistito sul fatto che quegli stessi strumenti social rappresentano per i governi
autoritari una modalità semplice di individuazione dei propri oppositori e forniscono prove
utili per incarcerare persone e reprimere attività.
AL QA’IDA
I media mainstream, in particolare la televisione, svolgono un ruolo fondamentale per le
organizzazioni terroristiche, perché:
• Offrono la possibilità di massimizzare il raggio dell’impatto simbolico delle loro azioni e di
spiegare le ragioni che li guidano
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• Si configurano come luogo all’interno del quale possono vedere soddisfatta una delle loro
aspirazioni fondamentali: essere considerati soggetti politici, interlocutori e non comuni
criminali
• Rappresentano uno strumento attraverso cui cercare di allargare la base del proprio
consenso e creare un contatto con quelle categorie di individui nel cui nome si afferma di
agire.
• La televisione è uno spazio che consente a soggetti non legittimati dalle strutture politiche
internazionali la presentazione delle proprie istanze, di richieste e di rispondere ad accuse,
obbligando gli interlocutori internazionali che detengono legittimità politica a rispondere.
È possibile individuare un’evoluzione della strategia comunicativa di Al Qa’ida che ha seguito
l’evoluzione dei media e dell’ecosistema globale della comunicazione.
I. L’11 settembre è stata un’azione pensata esclusivamente per la televisione terrore via
CNN, con la disseminazione delle informazioni lasciata completamente ai media mainstream
II. Le azioni in Afghanistan e Iraq terrore via YouTube, in quanto vengono compiute in luoghi
più o meno remoti e quindi con l’impossibilità di copertura da parte dei media mainstream.
Vengono riprese direttamente dagli autori degli attacchi e la rete è lo strumento attraverso
cui vengono, in prima battuta, diffuse.
III. Con la nuova leadership di Al Awlaqi terrore via Facebook, con una modalità di
comunicazione che punta ad ottenere la partecipazione di tutta la comunità transnazionale
dei fedeli alla costruzione di un messaggio comune e di lotta contro le distorsioni prodotte
dai media occidentali. Questo per rendere la jihad un processo partecipativo.
In secondo luogo, il nuovo leader dell’organizzazione sostiene un “dissanguamento per
piccole ferite” degli Usa: a differenza di quanto accadeva con la prima stagione degli
attentati, per abbattere gli Stati Uniti, nella condizione di fobia per la sicurezza che
caratterizza il Paese, si è scelto di colpire con piccole azioni che impegnino meno uomini e
meno risorse con lo scopo di far sanguinare il nemico fino ad ucciderlo.
WIKILEAKS casella postale protetta che consente a chi sia in possesso di documenti segreti
riguardanti Stati o altri soggetti privati (banche, multinazionali) di divulgarli in maniera
totalmente anonima, senza il rischio, in teoria, di incorrere in conseguenze penali. Nata nel
2007, diviene un vero e proprio fenomeno pubblico nel 2010:
I. Luglio 2010 file del Pentagono e della guerra in Afghanistan

II. Ottobre 2010 file sulla guerra in Iraq

III. Dicembre 2010 250mila comunicazioni riservate della rete diplomatica statunitense

L’impostazione e gli obiettivi che Wikileaks si pone ci permettono di definirla come un’ONG ponte.
Infatti, ordina e rende più fruibile materiale messo a disposizione da individui direttamente coinvolti
nelle questioni ripeto a cui forniscono informazioni. Si dedica soprattutto ad agevolare la
circolazione di informazioni, garantendo protezione a chi le offre e controllo dell’autenticità a chi le
utilizza.
E’ un prodotto esemplare dell’ecosistema del web 2.0, in quanto organizzazione che si è presentata
come alternativa al giornalismo mainstream ma, allo stesso tempo, strumenti a disposizione del
giornalismo.
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Per funzionare, infatti, Wikileaks ha dovuto creare delle alleanze. Prima di tutto, con importanti
testate giornalistiche (New York Times, Le Monde, L’Espresso, El Paìs), cui ha rilasciato parte delle
informazioni in anticipo rispetto alla pubblicazione sul proprio sito. In questa alleanza, Wl richiede
alle testate di rispettare un embargo: è infatti Wikileaks stessa a definire la data e l’ora di
pubblicazione. Di contro, i giornali possono decidere di non pubblicare alcune informazioni per
motivi legati all’etica o alla linea editoriale della testata.
Allo stesso tempo, Wikileaks ha bisogno dei sostenitori a sforzo minimo, che provvedono a
condividere sulle proprie piattaforme social tutte le informazioni, gli aggiornamenti e le richieste di
aiuto che Wl diffonde attraverso il suo account Twitter, principale strumento di comunicazione
dell’organizzazione.
Grazie all’alleanza con gli utenti, Wl è stata in grado di affrontare la chiusura del proprio sito web
(dicembre 2010): migliaia di organizzazioni e singoli individui hanno messo a disposizione sui propri
server lo spazio necessario alla creazione di copie identiche del sito originale (mirrors) dotate di
indirizzi autonomi, rendendo estremamente complicata la chiusura definitiva dell’organizzazione.
Allo stesso modo, gli utenti sono stati indispensabili per la diffusione delle informazioni di Wl su scala
transnazionale, mediante un lavoro di traduzione e diffusione dei contenuti che li ha resi fruibili
anche a coloro che non potevano leggerli in inglese.
Per il sistema dell’informazione, Wl può essere un’opportunità nel momento in cui le informazioni che
fornisce non vengono viste come un punto di arrivo dell’informazione, ma come un punto di partenza.
Ad esempio, Repubblica ha realizzato un’inchiesta sui rapporti tra Eni e Gazprom (azienda
energetica russa) a partire da elementi emersi da alcuni dispacci diplomatici dell’ambasciata
americana a Roma.
Questo approccio permetterebbe anche di evitare che la classe diplomatica e politica in generale
possa sfruttare la pubblicazione di informazioni riservate a proprio vantaggio. Infatti, una volta
superato lo shock derivante dalla perdita della segretezza, gli attori della sfera pubblica
internazionale cominceranno a sfruttare l’abbondanza di materiale per neutralizzare l’effetto delle
pubblicazioni, seppellendo documenti importanti sotto una montagna di materiale meno pericoloso
ma in apparenza più interessante.

Dunque, il giornalismo è chiamato a ricoprire il proprio ruolo di bussola interpretativa, che può
attuarsi soprattutto attraverso un complesso lavoro di interpretazione giornalistica dei
professionisti.
Per fare questo, anche il sistema giornalistico deve stabilire nuove alleanze, in particolare proprio
con le organizzazioni che funzionano come cassette della posta per le fughe di notizie, ottenendo un
accesso privilegiato alle informazioni e offrendo, in cambio, la propria capacità interpretativa. Allo
stesso tempo, il sistema giornalistico deve porsi come mediatore tra le organizzazioni come Wl e i
soggetti che subiscono la fuga di notizie, ossia gli attori politici.
Un lavoro attivo sui documenti è fondamentale affinché il pubblico continui a riconoscere ai
giornalisti la loro funzione sociale di mediatori di informazioni. Per questo, il giornalismo deve offrire
strumenti al pubblico per rendere più facilmente fruibili materiali complessi come i dispacci
diplomatici. A questo scopo, The Guardian ha inaugurato un nuovo filone giornalistico, che
potremmo definire “mini ricerca on demand”, mediante la rubrica You ask, we search, mediante la
quale la testata realizza piccole ricerche a partire dalle richieste che i lettori postano all’account
Twitter del quotidiano dedicato agli aggiornamenti sui dispacci diplomatici.
In questo, emerge anche ciò che il pubblico può offrire ai giornalisti: il web è pieno di citizen
journalists e di esperti rispetto a specifiche tematiche, per cui il giornalismo professionale non è solo
nel lavoro interpretativo ed esplicativo dei documenti, ma può contare sul contributo degli utenti,
secondo il modello del networked journalism.
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Per la diplomazia, la vicenda di Wikileaks ha posto due questioni:


• Il tema della circolazione di informazioni tra diversi dipartimenti e della segretezza interna
in generale
• Il tema della confidenzialità delle relazioni
Rispetto alla circolazione delle informazioni, il sistema diplomatico statunitense ha reagito alle fughe
di notizie restringendo di molto le possibilità di accesso alle documentazioni.
Rispetto alla confidenzialità delle relazioni, si pone la necessità di spiegare all’opinione pubblica la
differenza tra processi di definizione delle politiche internazionali di uno Stato (policy making) e
l’attività diplomatica di raccolta di informazioni e opinioni (diplomacy in action).
In generale, l’approccio che il sistema diplomatico dovrebbe avere è equilibrare i processi di
limitazione del numero di persone che possono venire a conoscenza di informazioni riservate e i
processi di restringimento della sfera delle informazioni riservate: solo in questo modo si può pensare
di ridurre i rischi di fughe di notizie senza danneggiare l’efficienza di un’organizzazione complessa e
la sua capacità di definizione di strategie efficienti nell’ambito dell’attuale ecosistema
dell’informazione.

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