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Jay G.

Blumler
Mediatizzazione in declino?
Saggi

In tutte le democrazie del mondo, i sistemi di comunicazione poli-


tica sono in uno stato di transizione: ma verso quale scenario? Quando, dopo
la Seconda guerra mondiale, la televisione entrò nell’arena politica, produsse
una vera trasformazione. Il pubblico dell’informazione politica in televisione
aumentò considerevolmente; anche gli elettori che non si interessavano di po-
litica ne venivano raggiunti; la politica entrò nei focolari domestici; l’immagine
e le percezioni del pubblico acquisirono sempre più importanza; specialmente
l’informazione televisiva divenne un obiettivo primario dei messaggi dei co-
municatori politici; infine, ci si aspettava che norme di correttezza, imparzialità
ed equilibrio prevalessero, all’interno dello spazio politico definito dai partiti
maggiori. Ora, però, quello che era un sistema televisivo con un numero limita-
to di canali è stato soppiantato da un’era di abbondanza della comunicazione:
un’abbondanza di canali, piattaforme e strumenti di ricezione. Rispetto al si-
stema della comunicazione politica così come si è istituzionalizzato nel tempo,
che impatto hanno questi cambiamenti? Lo integrano, sono subordinati a esso,
o stanno cominciando a trasformarlo?
Penso che sia una domanda importante perché negli ultimi anni il
sistema istituzionale della comunicazione politica è diventato disfunzionale,
affetto da una «crisi della comunicazione pubblica», come Michael Gurevitch e
io l’abbiamo definita nel 1995. Il rapporto tra politici e giornalisti era diventato
sempre più vincolato e i legami tra di loro si erano annodati fino a diventare
inestricabili. In sostanza, i politici potevano raggiungere gli elettori solo attra-

ComPol Comunicazione politica 1/2009


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verso soundbites sempre più brevi, costruiti in base ai valori notizia dei gior-
nalisti; a loro volta, i giornalisti ricostruivano questi contenuti in termini che
si adattavano alle loro narrazioni più che a quelle dei politici; di conseguenza,
gli spettatori sentivano più spesso la voce dei giornalisti che non quello che
i politici volevano dire; inoltre, i politici e i loro consulenti dedicavano enor-
mi quantità di tempo ed energie per escogitare messaggi che (speravano) i
giornalisti avrebbero dovuto accettare; a loro volta i giornalisti, determinati a
non farsi «usare» da questi cacciatori di visibilità, rappresentavano sempre più
spesso la politica in termini definiti da loro stessi, che spesso comprendevano
storie di scandali, gaffe, fallimenti e gli alti e bassi delle schermaglie tattiche
quotidiane. Tutti questi comportamenti erano diventati una ricetta non per
informare il pubblico, ma per renderlo più scettico e disincantato. La «crisi
della comunicazione politica» era una «crisi della comunicazione per la citta-
dinanza». La «mediatizzazione» dominava ma, come Mazzoleni e Schulz (1999)
suggerirono, non era particolarmente salutare per la democrazia.
Da questo punto di vista, si possono forse individuare due aspetti
positivi del sistema di comunicazione politica che sta emergendo. Primo, a
causa della moltiplicazione dei canali e delle piattaforme, potrebbero nascere
opportunità di oltrepassare e indebolire quei legami costrittivi tra politici e
giornalisti che sono prevalsi fino a oggi. I politici potrebbero sempre aver biso-
gno di far passare i loro messaggi nei notiziari dei canali televisivi generalisti,
ma potrebbero anche avere opportunità di presentare versioni più ampie di
ciò che vogliono dire attraverso altri veicoli, come le reti televisive via cavo, i
siti web, i blog, YouTube e così via, senza dover subire la mediazione di gior-
nalisti cinici e sempre pronti a brandire le forbici. In questo caso, gli elettori
potrebbero anche avere maggiore libertà di scegliere autonomamente tra tutti
i contenuti disponibili rispetto a quanto non avvenga con una dieta di seg-
menti informativi fortemente mediati. La recente campagna di Barack Obama
per la Presidenza degli Stati Uniti sembra avere illustrato queste possibilità. I
giornalisti potrebbero opporsi a questi sviluppi, non solo perché la loro presa
sul pubblico verrebbe allentata, ma anche perché in questo modo i politici
potrebbero trovarsi fra le mani troppo potere di fare propaganda senza con-
trollo. Comunque, questa ipotesi non mi sembra molto probabile. Non è che, in
questo nuovo equilibrio, i politici possano monopolizzare con i loro messaggi

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l’attenzione delle persone. In fondo, il pregio di un sistema di comunicazione


politica caratterizzato dall’abbondanza è di offrire ai cittadini una molteplicità
di voci e fonti di informazione da consultare e da confrontare con qualsiasi
cosa un politico possa dire in ogni momento. Anzi, proprio la consapevolezza
di questo fatto potrebbe rendere i politici più cauti e incentivarli a fare in modo
che le loro affermazioni possano sostenere i controlli di (molti) altri.
Una seconda differenza promettente che caratterizza lo scenario
in via di definizione si potrebbe definire un affrancamento (alcuni potrebbero
dire liberazione) del pubblico della comunicazione politica. In passato, in un
sistema televisivo con pochi canali i politici e i giornalisti facevano il bello e
il cattivo tempo e i pubblici dovevano sopportare qualsiasi cosa venisse loro
presentato. Lo studioso statunitense Jay Rosen ha definito questa situazione
«una sfera pubblica di insider». Tuttavia, sempre di più, non solo i membri del
pubblico hanno molta più scelta sulle fonti di comunicazione che consulta-
no; quelli che lo vogliono possono diventare comunicatori in prima persona,
creando e mantenendo i loro siti web e i loro blog e rivolgendosi a politici e
giornalisti via Internet più frequentemente e vigorosamente di quanto non sia
mai stato possibile. Di conseguenza, il sistema della comunicazione politica,
che in passato era essenzialmente centripeto nella sua dinamica – aperto solo
a uno spettro limitato di voci dominanti e orientato a incoraggiare prospettive
consensuali sulle questioni politiche – potrebbe diventare un sistema più cen-
trifugo, in cui un ventaglio più ampio di voci possono farsi sentire e mobilitare
sostegno per le loro opinioni.
Tuttavia, l’impatto dell’abbondanza sulla comunicazione politica
comprende anche due possibili svantaggi. Il primo è senza dubbio l’aumento
della competizione per l’attenzione del pubblico che ne consegue. Per prima
cosa, i messaggi politici devono contendersi l’attenzione degli spettatori con la
varietà immensa di altri tipi di contenuti, probabilmente in apparenza più at-
traenti, che sono a disposizione. Inoltre, all’interno della stessa sfera dei mes-
saggi politici, si pone il problema di quale storia possa catturare il più rapida-
mente possibile e mantenere il più a lungo possibile l’attenzione del pubblico.
Nei media mainstream queste dinamiche possono essere molto dannose. Alcu-
ni canali potrebbero più o meno abbandonare del tutto l’informazione politica,
come sembra che stia avvenendo oggi tra le tre reti televisive nazionali stori-

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che negli Stati Uniti. Altri potrebbero cercare di conquistare attenzione per le
notizie politiche enfatizzando ancora di più gli eventi drammatici, il conflitto,
gli aspetti spettacolari, gli scandali e i fallimenti. I tentativi di informare appro-
fonditamente sui problemi potrebbero diventare molto pochi e isolati, fino a
sembrare addirittura fuori moda. C’è anche il pericolo che i modelli impoveriti
di comunicazione politica che caratterizzano i media dominanti si infiltrino nel
discorso politico su Internet. Anche la blogosfera potrebbe avvertire la pres-
sione della concorrenza per l’attenzione e cedere a essa, oppure presentare
le notizie con le stesse, apparentemente avvincenti, angolazioni adottate dai
giornalisti professionisti. D’altra parte, la motivazione di informare o di per-
suadere potrebbe essere più rilevante per i gestori di siti web e i blogger. Gli
studiosi dovrebbero cercare di rispondere a queste domande.
Secondo, l’abbondanza di comunicazione comporta sia una fram-
mentazione del pubblico (disperso tra più canali), sia una frammentazione
della ricezione. Mentre in passato la maggior parte delle persone riceveva i
programmi televisivi, compresi quelli di informazione e di politica, su un unico
apparecchio nella propria cerchia familiare, ora i cittadini tendono sempre più
a seguire la politica in modi diversi – in stanze diverse, su Internet, sui telefoni
cellulari e così via. Quali effetti, se esistono, avrà tutto questo sul modo in cui
le persone parlano di politica e confrontano le loro opinioni? La domanda è
importante, perché è stato dimostrato che la discussione con familiari e amici,
soprattutto con i primi, influenza le conoscenze politiche delle persone e la
loro partecipazione politica, compreso l’andare a votare. Questa è un’altra do-
manda a cui la ricerca dovrebbe rispondere.
Infine, un’altra domanda riguarda le tendenze populistiche, dal
basso all’alto, che il sistema emergente della comunicazione politica potrebbe
incentivare. In tutto questo quadro, dove sono la prospettiva e i meccanismi
per deliberare sulle questioni politiche? Il nuovo sistema potrebbe dare più
peso ai reclami, ai problemi, alle lamentele e alle opinioni immediate delle per-
sone, che nascono dalle loro situazioni e sensazioni più vicine. Ma dove sono
la prospettiva e i meccanismi per far sì che tutti questi aspetti siano collegati
ad altre dimensioni della politica, a un’informazione affidabile sulle cause e
sulle diverse soluzioni dei problemi politici e a iniziative e politiche governative
finalizzate a risolverli? Sono convinto che qui ci sia un autentico divario, spe-

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Mediatizzazione in declino?

cialmente se vogliamo seriamente avanzare verso una forma più deliberativa


di democrazia. A mio parere, questo divario può essere colmato solo con un
qualche tipo di innovazione istituzionale creativa. Non ho qui lo spazio per dire
in cosa potrebbe consistere, ma sta per uscire un libro scritto da Stephen Cole-
man e da me, intitolato The Internet and citizenship: Theory, practice and policy
(Cambridge University Press, 2009), in cui avanziamo una serie di proposte in
questo senso.
Nel frattempo, la mediatizzazione come l’abbiamo conosciuta po-
trebbe essere in declino; se è così, cerchiamo di rimpiazzarla con qualcosa di
più salutare per la cittadinanza democratica.

Riferimenti bibliografici

Blumler, J.G. e Coleman, S. (2009). The Internet and citizenship: Theory, practice and policy.
New York: Cambridge University Press.
Blumler, J.G. e Gurevitch, M. (1995). The crisis of public communication. London: Rout-
ledge.
Mazzoleni, G. e Schulz, W. (1999). Mediatization of politics: A challenge for democracy?
Political Communication, XVI, 247-261.

[traduzione di Cristian Vaccari]

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