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Il codice segreto di

Michelangelo
Negli affreschi della Cappella Sistina una serie di
simboli legati alla Kabbalah ebraica
https://www.lastampa.it/cultura/2008/06/20/new
s/il-codice-segreto-di-michelangelo-1.37106566

La creazione di Adamo: una


creazione della mente?
Massimo
 

13 lug 2016|08:00
Ci sono quadri che lasciano a bocca aperta per la loro bellezza
e altri che suscitano meraviglia per gli interrogativi che
sollevano.

La celebre “creazione” di Michelangelo, per esempio, potrebbe


essere una creazione simbolica in cui l’artista suggerisce che
Dio è, in fondo, un prodotto della mente dell’uomo?

È l’ipotesi del neurologo americano Frank L. Meshberger, del


St. John’s Medical Center di Anderson, Indiana, che,
osservando il capolavoro che Michelangelo dipinse per
la Cappella Sistina, ha notato come il gruppo di angeli
attornianti la figura di Dio crea una sagoma molto simile alla
sezione sagittale del cervello.
La sagoma dipinta da Leonardo ricorda la sezione di un cervello.

Una coincidenza?

Chiederselo significa domandarsi che cosa passava realmente


nella mente di chi dipingeva e interrogativi simili si possono
porre per numerosi altri quadri rinascimentali.

Ma davvero esistono significati oscuri dietro alcune delle tele


più apprezzate di questo periodo?

A quel tempo, le tradizioni medievali di tipo magico erano


ancora molto sentite e, di conseguenza, si trova spesso traccia
in molti quadri di significati o simbolismi esoterici o alchemici.

Generalmente, tale significato è riconosciuto e accettato dagli


storici dell’arte, ma in alcuni casi il contenuto di certe opere
d’arte rappresenta un mistero che suscita ancora dibattiti.

È il caso dell’ipotesi del professor Meshberger, secondo il


quale la forma che nasce dalla figura di Dio e degli angeli nel
dipinto di Michelangelo ricordi volutamente una sezione del
cervello.

In fondo, dice Meshberger, Michelangelo praticava studi di


anatomia. Inoltre, conosceva le argomentazioni neoplatoniche
che ponevano la sede dell’intelletto nei ventricoli del cervello.

Forse, allora, Michelangelo intendeva davvero suggerire che


Dio è una creazione della mente?

Se così fosse, il titolo “La creazione di Adamo” si potrebbe


anche leggere come: “ciò che Adamo crea con la sua mente”.

Inutile dire che questa interpretazione è molto dibattuta.

Tuttavia, è sempre molto rischioso attribuire interpretazioni


moderne ai dipinti degli antichi. Si rischia di scoprire ogni tipo
di segreto, codice o mistero che però non risiede nella mente
dell’artista, bensì in quella dell’osservatore moderno.

È un rischio che porta a prendere sul serio romanzi come


il Codice Da Vinci o a condurre lunghe, costose e infruttuose
ricerche all’inseguimento di dipinti perduti di Caravaggio o
Leonardo che si rivelano poi essere solo irraggiungibili
chimere.

SAGGI
La Creazione di Adamo di Michelangelo. Tra linguaggio artistico e
saggismo didattico-pedagogico
di Franco Bochicchio   
DOI: 10.12897/01.00144
Scopo di questo studio non consiste nello svolgere una lettura didattico-pedagogica della  Creazione di Adamo nel tentativo, per questa via, di sostituire al linguaggio artistico la
saggistica tipica dell’argomentazione pedagogica.
L’intento – da interpretarsi qui come un tentativo, una “sfida” – consiste nell’integrare differenti linguaggi, dove il pensiero didattico-pedagogico (sullo sfondo) dal confrontarsi e
ulteriormente arricchirsi dalla presenza del pensiero artistico (in primo piano), attraverso un unico registro linguistico-comunicativo favorisce l’emergere di concetti e significati di
spessore ermeneutico nei territori tra dicibile e non del tutto dicibile.
 
 
This study does not intend to carry out a pedagogical reading of the Creation of Adam in the attempt, in this way, to replace the artistic language with essay writing typical of
pedagogical reflection. The intent – to be interpreted as an attempt, a “challenge” – consisting in integrating different languages, where the pedagogical thinking (in the background) in
comparison of the artistic thinking (in the foreground), through a single linguistic-communicative register reveals concepts and meanings of hermeneutical thickness in the areas
between sayable and unsayable.
1. Premessa
 
Fra le numerose fasce che abbelliscono la volta della Cappella Sistina, quella che cattura maggiormente l’attenzione dei visitatori è senza dubbio la quarta, che Michelangelo dedicò
alla Creazione di Adamo. Siamo di fronte ad una delle opere più conosciute e apprezzate della storia dell’arte universale, celebrata e commentata con sublime poesia per la
ricchezza dei significati e dei messaggi che l’affresco richiama, che stimola originali forme di organizzazione del pensiero. Pur trattandosi di un’opera compiutamente analizzata sul
piano del linguaggio artistico (come pure religioso), integrare a questo la saggistica tipica dell’argomentazione pedagogica favorisce l’emersione di concetti e significati inediti, perché
non del tutto dicibili attraverso l’uso di un solo linguaggio.
Attraverso la forza delle immagini, la Creazione di Adamo (Figura 1) enuncia concetti semplici e profondi, al tempo stesso, come soltanto i veri capolavori sono capaci di fare con
disarmante naturalezza ed efficacia.
La scelta dell’opera non è dunque casuale, sia per i potenziali richiami educativi che nell’affresco sembrano trovare aderenza, sia per l’atteggiamento fortemente ermetico tipico
dell’autore.
Dalla testimonianza del Vasari si apprende, infatti, che Michelangelo è sempre stato molto riservato e ambiguo “avendo le cose sue quasi due sensi” (Pozzi & Mattioda, 2006, p. 78).
L’autore sembrava intenzionalmente sottrarsi all’idea che le sue invenzioni fossero facilmente comprese da tutti, preferendo a questi osservatori dotti e colti (Chastel, 1986).
Sembrano così sussistere valide premesse per ipotizzare, nell’affresco, la presenza di un indicibile che – nell’aggiungersi ai limiti del linguaggio artistico (comuni a qualunque
linguaggio) – riflette l’intento dell’autore, rafforzando le ragioni della scelta compiuta.
Wittgenstein (1968) ha ricordato che le proposizioni (parole, segni, suoni) nel raffigurare i fatti che avvengono nel mondo, significandoli, non sono nate da sole, né da sole hanno
camminato nel tempo. Attraverso il linguaggio che – sebbene sempre imperfetto e relativo rappresenta la raffigurazione logica del mondo – intrecciate con le prime si sono mosse le
pratiche di vita degli uomini, comprese quelle il cui scopo consiste nell’informare, nel comunicare, nell’educare e nello scambiare emozioni.
Su tali premesse si affacciano le seguenti domande: quali aspetti pedagogicamente rilevanti emergono dall’incontro tra il dicibile e il “non del tutto dicibile” che la  Creazione di
Adamo richiama all’immaginazione e al pensiero dell’osservatore? In quel particolare spazio tra ciò che non può essere del tutto esplicitato e, al tempo stesso, non può esimersi
dall’essere comunicato all’umanità che il messaggio contenuto nell’affresco sembra rivolgere?
Uno spazio che nella prospettiva pedagogica assume rilievo nella misura in cui intreccia concetti e significati di spessore ermeneutico, che nel caso in questione riguardano il senso
della formazione dell’uomo (che nell’affresco è racchiuso nel fine dell’atto creativo) e le forme della relazione educativa (come mezzo che realizza il fine, che nell’affresco si esprime
nella particolarità dell’incontro tra Dio e Adamo). Questa è l’ipotesi che intendo qui argomentare.
2. Tra primo piano e sfondo
 
Nella Creazione di Adamo si osserva che Dio sorretto da 12 angeli raggiunge in volo il giovane Adamo, dove realisticamente incontra la resistenza dell’aria che gli scompiglia i capelli
piegando la folta barba simbolo di saggezza divina. Non v’è alito creatore e il mantello sembra animato di spirito proprio.
 

Figura 1
Il giovane Adamo non si è ancora completamente staccato dalla terra dove deriva, immerso in un torpore del tutto simile alla condizione dell’adolescente nella fase che attende il
pieno sviluppo. L’incontro con il Creatore non sembra destare in Adamo né sorpresa né stupore, ma serena accondiscendenza.
Come in numerose pitture dell’artista-scultore, lo sfondo è intenzionalmente trascurato, anche quando – come in questo caso – il tema rappresentato è l’origine della vita. La terra del
poggio dove Adamo è adagiato è coperta da verde erba primaverile e il blu dei monti lontani, per la prospettiva aerea, rammenta l’acqua che sgorga dalla roccia, elemento collegato
alla nascita (Stokes, 1955).
Ancora una volta, il fulcro dell’arte michelangiolesca è l’Uomo in tutte le sue forme; protagonista della creazione. Questo è il primo aspetto pedagogicamente rilevante, che richiama
la centralità del soggetto nel disegno della creazione divina. Creazione raffigurata come dono e come atto di intelligente generosità nei confronti di Adamo, che il pensiero occidentale
ha tradotto nel quadro di una visione concezione antropocentrica: l’uomo dominatore assoluto e indiscusso della Terra e della Natura, che “siede” e “presiede” su tutte le cose del
Creato.
Tuttavia, anche se l’uomo è il soggetto al centro della scena, dall’affresco non emerge come il conquistatore dell’Universo. Egli è nudo, come la Terra sulla quale è sdraiato,
rimarcando che del creato solo il Creatore è il proprietario. Il creato, per l’appunto, è opera armoniosa e perfetta che appartiene a Dio, e che nel suo immenso amore lo cede in dono
all’uomo perché possa moralmente amministrarlo a sua immagine e somiglianza.
Per svolgere tale compito, l’uomo deve procedere nella consapevolezza di una doppia condizione: che non ha nessun diritto di proprietà sulla terra dove gli è consentito agire, e che
nell’agire deve avere responsabilità e cura di ciò che non gli appartiene.
Inoltre, la creazione che Michelangelo raffigura, è riferita a un soggetto già biologicamente formato. Non un embrione, ma un giovane uomo nella pienezza del percorso vitale,
potenzialmente “capace di comprendere e agire”.
Il centro narrativo della scena è il contatto ravvicinato delle dita delle mani tra Adamo e il Creatore. Dita che simboleggiano l’incontro tra mondi solo in apparenza distanti, spirituale e
materiale, affatto antitetici, dove il primo – forza creatrice – assicura al secondo alleanza, energia e sostegno.
Un incontro molto particolare, sia perché ravvicinato e sfiorato, sia perché artisticamente raffigurato nel rispetto delle rispettive essenze. In sintesi, un incontro rispettoso anche della
libertà di ciascun soggetto, in una condizione esente da contaminazioni.
Da un lato la mano del Creatore, di colui che dà la vita, la dextera dei che infonde la vita spirituale oltre quella biologica e che attivamente si dirige verso il suo obiettivo. L’altra mano
di Dio con l’indice tocca la gola di un putto (Figura 2). Nell’indicare dove si forma la voce, rivela che l’uso delle mani e del linguaggio sono le caratteristiche distintive della specie
umana (Stokes, 1955).
 
Figura 2
 
Dall’altra (Figura 3), la mano del giovane Adamo manifestamente debole e incerta, a malapena in grado di staccarsi dal suo stesso corpo, ovvero dalle pulsioni della materia.
L’accondiscendente atteggiamento di Adamo verso il soccorso offerto dal Creatore è giustificato della speranza di aiutarlo a sollevarsi dal peso dell’esistenza terrena cui, da solo, non
sembra in grado di elevarsi (Arnheimer, 2007).
Michelangelo esprime così il suo pensiero estetico-religioso, dove la grandezza del Creatore s’intreccia con la tragica grandezza umana e, insieme a questa, con la sua fragilità,
quasi a emendare l’ingenuo Adamo dal “peccato di mente” dell’aspirare ad essere uguale a Dio.
 

Figura 3
 
Un secondo aspetto che merita attenzione risiede sull’evidenza che il Creatore si muove verso Adamo e non viceversa, richiamando che l’atto creativo (analogamente all’educazione
come atto generativo) è dalla volontà del maestro che muove verso l’allievo, non viceversa, realizzandosi attraverso distanze affatto casuali, espressione di scelte e decisioni
intenzionali del maestro (Figura 4).
 

Figura 4
 
Un atto deliberatamente cauto e delicato, che nell’evitare di alterare l’essenza di Adamo, non lo sottrae dall’impegno a elevarsi dalla condizione terrena con le sue sole forze fisiche,
per amministrare il giardino del creato che ha ricevuto in dono.
 
3. Tra dicibile e non del tutto dicibile

Tra le numerose interpretazioni sulla Creazione di Adamo avanzate in passato, merita segnalarne una che, dal provenire da una fonte autorevole, ha guadagnato un discreto
consenso nella comunità scientifica internazionale. Sul finire del secolo scorso, il neurologo statunitense Meshberger (1990) pubblicò uno studio sulla quarta fascia della Cappella
Sistina. Secondo le sue ricerche, il mantello e la corte angelica che circondano la figura del Creatore corrisponderebbe alla sezione trasversale di un cervello umano. A seguito di
accurate ricerche e confronti tra l’anatomia umana e l’opera di Michelangelo, la somiglianza tra il cervello umano e la raffigurazione michelangiolesca ha trovato riscontro (Figura 5).

Figura 5
 
Conferme che trovano ulteriore rafforzamento anche sullo specifico versante filosofico, atteso che nella visione degli appartenenti all’Accademia Platonica l’intelletto era
simbolicamente rappresentato dalla presenza degli angeli (Wolfflin, 1953). Da quel tempo, numerose sono state le ipotesi riguardanti i motivi che avrebbero spinto Michelangelo a
scegliere tale raffigurazione e le implicazioni teoriche di tale scelta.
Secondo alcuni, l’artista non aveva che da scegliere tra i numerosi stimoli culturali che a quel tempo lo circondavano. Durante il suo soggiorno fiorentino presso la famiglia dei Medici,
l’autore, infatti, ebbe l’opportunità di entrare in contatto con grandi pensatori. Tra questi, con Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Pertanto, tale scelta sarebbe stata quasi
certamente indotta dalle conoscenze di Michelangelo in ambito letterario e filosofico.
A quel tempo i contatti tra gli intellettuali erano molto stretti, non soltanto tra gli anatomisti e gli artisti desiderosi di perfezionare la propria pittura, ma fra studiosi di varie discipline.
Tipico del Rinascimento è, infatti, l’eclettismo. Era dunque piuttosto frequente che un medico anatomista fosse anche un teologo, un filosofo, un astronomo e un artista
(Panofsky, 1975).
I filosofi di cui Lorenzo il Magnifico si circondava provenivano tutti dalla scuola rinascimentale neo-platonica, che riconosceva nel cervello il centro del pensiero e della coordinazione
delle azioni umane (Chastel, 1964).
Coadiuvato dagli studi sul sezionamento dei cadaveri per meglio comprendere e riprodurre l’anatomia umana, Michelangelo avrebbe dunque potuto ragionevolmente ispirarsi alle
teorie neoplatoniche dei suoi illustri colleghi, trasferendo tali convincimenti nell’affresco (Doliner & Blech, 2008).
Nel congiungersi al cristianesimo, la filosofia neoplatonica ha ripreso molti tratti del platonismo. Platone, infatti, prima fonte ispiratrice della filosofia rinascimentale, è da molti
considerato uno tra i filosofi che anticiparono il cristianesimo (Merlan, 1994).
In considerazione delle sue competenze e indubbie doti tecniche, Michelangelo non avrebbe avuto difficoltà nel rendere il compatto nucleo del Signore, del Suo mantello e degli
angeli, una riproduzione del cervello umano.
Se l’ipotesi fosse effettivamente confermata, come alcuni autori sono inclini a ritenere (Camesasca, 1966), il primo ad avere compreso l’importanza e l’utilità di integrare differenti
linguaggi, sarebbe stato lo stesso autore.
La questione che a questo punto si pone, è l’interpretazione da assegnare alla scelta dell’autore. Secondo alcune scuole di pensiero (De Vecchi, 1999; Pfeiffer, 2007) Michelangelo
avrebbe raffigurato il Signore all’interno di un cervello umano per testimoniare, tra i molteplici doni del Creatore, l’importanza dell’intelletto. Questa interpretazione, tuttavia,
tenderebbe in parte a negare la fonte ispiratrice della scuola neoplatonica, secondo cui assimilare l’intelligenza a un esclusivo  dono divino sarebbe riduttivo. Il Neoplatonismo, infatti,
riteneva che l’intelligenza e la razionalità fossero piuttosto il risultato di un impegnativo percorso di crescita personale (Romano, 1983).
Un’interpretazione forse più convincente (Panofsky, 1975) e che Michelangelo avrebbe scelto di rendere la figura del Signore all’interno di un cervello per affermare che le idee
umane sono già espresse in Dio. Questa interpretazione non soltanto tiene conto della profonda religiosità che sempre caratterizzò Michelangelo, ma anche del suo legame con la
scuola neoplatonica. Il riferimento di questa interpretazione rimanda a ciò che rende la realtà visibile in accordo con la filosofia platonica, secondo la quale ciò che l’uomo comune
percepisce non è altro che una copia di un modello più alto, che Platone rintracciò nelle Idee, come il Cristianesimo in Dio.
Pur nel quadro di differenti visioni teologiche, entrambe le correnti di pensiero sembrano potersi efficacemente riassumere nell’opera di Michelangelo come presenza di Dio e
dell’intelletto nella mente umana. In questo modo, sia Platone sia il Cristianesimo forniscono precise risposte all’uomo che ricerca la verità, asserendo che tanto le Idee, quanto Dio,
sono matrici della realtà e strumenti per migliorarla (Pfeiffer, 2007).
Nell’affresco di Michelangelo, inoltre, si osserva che Dio si avvicina con prudenza ad Adamo, per rendere l’idea di quanto lento e graduale sia il percorso verso una sapienza che non
può essere del tutto donata, ma conquistata dall’uomo attraverso la conoscenza, che richiede un impegno personale.
4. Integrazione tra differenti linguaggi
 
 
Se l’affresco esprime il dicibile attraverso il linguaggio artistico, dall’integrare a questo la saggistica tipica dell’argomentare didattico-pedagogico emergono questioni di particolare
rilevanza sul piano ermeneutico.
L’interazione tra differenti sistemi di linguaggio sembra presentare meno difficoltà rispetto a ciò che emerge a una analisi superficiale dell’affresco, confermando che tra differenti
registri linguistico-comunicativi, non soltanto è possibile sviluppare integrazioni, ma che da questo esercizio emergono messaggi impossibili da ricavare attraverso il ricorso ad un
unico linguaggio.
Ciascun registro linguistico-comunicativo simbolizza il processo di chi ha ricavato legami tra eventi, situazioni, concetti, convinzioni e, attraverso un lavoro di
scomposizione/riaggregazione, ha creato qualcosa di dicibile attraverso quel particolare linguaggio, non del tutto dicibile per altri, per i limiti comuni a qualunque linguaggio.
Da questa angolatura trova consistenza l’idea che tra la visione dell’affresco e l’atto conoscitivo che da tale visione promana, sussiste uno stretto rapporto, in grado di determinare
nuova conoscenza (Arnheimer, 1990).
L’oggetto (sia esso un saggio, un dipinto o una formula) è sempre compreso attraverso il sapere e l’esperienza dell’osservatore, che nel filtrarlo cognitivamente ed emozionalmente,
riorganizza l’immagine di quanto osservato utilizzando le conoscenze già in suo possesso in associazione con le risorse/potenzialità possedute (sensibilità, intelligenza, ecc.).
Anche se l’affresco nel veicolare una comunicazione di tipo estetico conforme al linguaggio artistico, dove il messaggio nell’essere interpretato in maniera differente dai diversi
riceventi non potrà mai aspirare a una qualunque definitiva certezza, sembra ragionevolmente difficile confutare il messaggio che Michelangelo ha voluto imprimere: l’importanza
dell’Uomo nel mondo e il viaggio che egli deve compiere verso la conoscenza nonostante il gravame del cammino.
Il dito Divino sfiora quello di Adamo, in un gesto che non sembra solo di creazione. In quel gesto, infatti, sembra esservi molto di più: il protendersi di Adamo verso il Dio che lo ha
creato, l’ascesi che deve compiere l’uomo per raggiungere l’unità con il creato e col Creatore attraverso la strada dell’intelletto.
Nel messaggio di Michelangelo, Dio non crea l’uomo uguale a se stesso nella fisicità, ma nell’Essenza, che altro non è che Pensiero.
Atteso che il mancato contatto tra le due mani sta a sottolineare l’irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell’uomo – concetto alla base dell’asimmetria tra le due entità – è
l’incontro che occupa il centro della scena, a significare due aspetti: che in assenza di questo non vi sarebbe creazione, che la creazione è l’esito di un incontro mai casuale, dotato di
intenzionalità rispetto ad un fine.
Ogni incontro ravvicinato tra due entità – come quello in questione – è altresì interpretabile come un “contatto”, che nell’assumere differenti forme – che variano a seconda delle
situazioni – può essere declinato da prospettive complementari: spaziale e relazionale.
Qui l’occhio dell’osservatore è catturato dal linguaggio artistico, ovvero dal mancato contatto fisico, osservabile nella distanza che separa le dita delle due mani. Quale richiamo
pedagogicamente significativo tale visione esprime?
Nel linguaggio pedagogico e, con specifico riferimento all’incontro tra l’insegnante e l’allievo nell’ambito della relazione educativa, il contatto mancato richiama l’importanza di
calibrare attentamente lo spazio tra due soggetti che operano in una situazione asimmetrica, dosando opportunamente tra eccessiva vicinanza e distanza.
Come Adamo è il protagonista al centro della scena della creazione, così nella relazione educativa è il soggetto che assume centralità. In particolare, i suoi bisogni e i traguardi di
sviluppo ai quali il soggetto legittimamente aspira, anche grazie all’aiuto e al sostegno dell’insegnante.
L’aspetto predominante della relazione tra le due entità, tuttavia non è rappresentato dalla dimensione spaziale del contatto tra le due mani, ma dalla dimensione relazionale e
intellettiva. “Anassagora afferma che l’uomo è il più intelligente degli animali grazie all’avere le mani. É invece ragionevole dire che ha ottenuto le mani perché è il più intelligente […].
Dobbiamo concludere che l’uomo non deve la sua intelligenza superiore alle mani, ma le mani alla sua intelligenza superiore. La mano […] sembra essere non un solo strumento, ma
molti strumenti al tempo stesso, è infatti per così dire, strumento prima degli strumenti” (Aristotele, Fisica, libro V).
Maritain (2001) ha sostenuto che non è un allevamento animale, ma un risveglio umano, proprio come sembra accadere ad Adamo nell’affresco, dove pare avvolto da un torpore
quasi innaturale. L’educazione, sempre secondo l’autore, è conquista della interiore e spirituale libertà, che si ottiene attraverso la conoscenza, la sapienza, la buona volontà e
l’amore.
Analogamente all’atto creativo, l’atto educativo non richiede contatto fisico. L’incontro autentico tra le due entità, ben oltre l’apparenza visiva, ha dunque luogo nella  distanza
relazionale la cui natura è intellettiva. Un incontro dove il contatto, nel declinarsi come con-tatto, risulta non del tutto (o difficilmente) dicibile attraverso l’uso esclusivo del linguaggio
artistico.
Con riferimento all’insegnante, tale affermazione rimarca l’importanza, nell’incontro pedagogico con l’allievo, di accostarsi a questi con tatto e delicatezza, nel rispetto della sua libertà
(Montessori, 1970).
Saper comunicare con un alunno, infatti, non significa semplicemente essere un comunicatore efficace, ma promuovere un abito di riflessione sistematica, che lo aiuti a prendere
consapevolezza di quanto sta accadendo dentro di sé e intorno a sé, riconoscendo la sua quota di responsabilità e progettando i modi più idonei per superare un determinato
ostacolo o per affrontare un problema. Nei rapporti interpersonali tra docente e alunno, ciò che qualifica di educatività la relazione è la “comunicazione in umanità” (La Marca, 2013),
che si realizza pienamente quando entrambi sono consapevoli del valore incondizionato dell’altro, della sua libertà e dignità.
In questo modo il percorso umano e filosofico, attraverso il linguaggio artistico, sembra effettivamente rivelare irrealtà visibili tra dicibile e non detto dicibile, superando conscio e
inconscio epistemologico.
Richiamando nuovamente la somiglianza del mantello divino con il cervello umano in quanto sede del pensiero, probabilmente non è un caso che il braccio teso di Dio verso Adamo
si protrae a partire dal lobo frontale, luogo per eccellenza dei più alti processi cognitivi che distinguono l’uomo dagli altri esseri viventi, tra cui i processi decisionali sottostanti l’azione,
come il pensiero, sede della progettazione dell’atto creativo e della creazione come manifestazione visibile.
Da questa meravigliosa intersezione tra dicibile e non del tutto dicibile, il pensiero diviene elemento centrale della relazione, da cui tutto trae origine.
L’affresco, pertanto, sembra simboleggiare la creazione dell’uomo attraverso il pensiero, anziché le mani, sede autentica della scintilla divina, che da un lato conferisce valore
all’agire, e dall’altro, direzione e forma all’azione. Uomo creatore della realtà medesima, che tra le sue proprietà ha la capacità di rendere operativo l’atto del creare che non si
realizza in modo isolato ma, necessariamente, nell’incontro con l’altro.
Non è forse questo il significato autentico della formazione dell’uomo, che nello snodarsi lungo il cammino del percorso esistenziale, dall’elevare Adamo dalla Terra da cui deriva, lo
avvicina a una Verità che (analogamente alle due mani destinate a sfiorarsi) resta un traguardo mai del tutto raggiungibile? Un traguardo che sebbene votato all’incompiutezza,
l’uomo non può sottrarsi dal perseguire con impegno.
A tale proposito, è utile ricordare le parole di Papa Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica Christifideles laici (1988): “Certamente l’uomo ha ricevuto da Dio stesso il
compito di dominare le cose create e di coltivare il giardino del mondo; ma è un compito, questo, che l’uomo deve assolvere […] con intelligenza e con amore”.
Anche la relazione educativa non può esimersi dal rappresentare un atto autenticamente creativo di amorevole e disinteressata cura (Montessori, 1949). Un atto di profondo rispetto
dell’altro, che nell’indirizzarsi verso lo sviluppo integrale del soggetto preserva e tutela la sua libertà.
In sintesi, se è proprio all’interno di un sistema plurale di linguaggi che l’affresco sembra rivela una ricchezza di messaggi difficilmente comunicabili attraverso un unico linguaggio,
quello originariamente utilizzato dall’autore, ha ragione il secondo Wittgenstein, che nell’avere distintamente colto il relativismo tipico di ciascun linguaggio, ha confermato la
produttività dell’intrecciare più linguaggi.

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