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Nel secolo che si è appena concluso, il V secolo a.C., Atene ha vissuto il suo periodo di
massimo splendore. Già nel VI secolo la città si distingueva per un sistema politico
innovativo, soprattutto in seguito alle riforme di Solone (638-558 a.C.) e di Clistene (565-492
a.C.), che avevano contribuito al passaggio dall’aristocrazia a un governo democratico. Il
diritto di voto era stato esteso progressivamente, benché rimanesse limitato a circa un
decimo della popolazione.
Durante le Guerre persiane (499-479 a.C.) Atene è la principale delle 32 città indipendenti
della lega paleoellenica che riusciranno ad a rontare e scon ggere l'Impero persiano.
Il governo di Pericle
La presa del potere da parte di Pericle, intorno al 460 a.C., avvicina il sistema politico
ateniese alla democrazia: egli emana riforme che mirano a ridurre il potere dall'Areopago
(un'assemblea formata prevalentemente da aristocratici) a vantaggio di quello della boulé
(un'assemblea composta da cinquecento membri, sorteggiati da una lista di candidati scelti
dai cittadini).
Pericle governa Atene per circa trent'anni, portandola al massimo splendore: intorno a lui si
crea una cerchia di loso , intellettuali e artisti che contribuiscono a una straordinaria oritura
culturale. Nell'Atene democratica di Pericle ogni cittadino è padrone del proprio destino,
indipendentemente dalla sua origine e dalle sue ricchezze. La vita politica diviene il campo di
una competizione aperta a tutti, in cui occorre essere in grado di comunicare in maniera
persuasiva ed e cace per conquistarsi il consenso altrui: so sti, maestri nell'uso del
linguaggio e della comunicazione, si impongono nell'Atene di Pericle come i principali
detentori di questo sapere così prezioso.
Pericle muore nel 429 a.C., vittima dell'epidemia di peste che colpisce Atene poco dopo
l'inizio della Guerra del Peloponneso. In seguito alla sua morte emerge la consapevolezza che
l'abilità nel comunicare e nel persuadere gli altri può essere usata anche per nuocere alla
comunità. Quello che risulta essenziale non è dunque comunicare o persuadere, bensì
distinguere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto e comunicare il giusto. Socrate è la gura che
incarna tale esigenza.
I so sti si distinguono dai loso presocratici principalmente per due caratteristiche. In primo
luogo, mentre i presocratici hanno come obiettivo la ricerca del principio fondamentale della
realtà, i so sti hanno innanzitutto lo scopo di soddisfare i propri clienti fornendo loro una
conoscenza che favorisca la virtù (areté). In secondo luogo, mentre il sapere cui mirano i
presocratici verte principalmente sulla natura e sull'essere nella sua generalità, i so sti si
interessano perlopiù degli esseri umani e della loro società e istituzioni. In tal senso la
so stica può essere considerata una forma di sapere che pone l'essere umano al centro della
ri essione e della ricerca, una forma di "umanesimo".
I so sti si concentrano su tre componenti cruciali: le tradizioni, che orientano i comportamenti
individuali; le leggi, che garantiscono la distribuzione dei ruoli e dei poteri; e il linguaggio,
mediante il quale le leggi stesse sono formulate e discusse. La so stica identi ca nel
linguaggio lo strumento principale mediante il quale i singoli individui possono esercitare la
loro in uenza sulla collettività.
A di erenza dei narratori di miti e dei poeti, i so sti non si limitano a presentare situazioni
esemplari e modelli di condotta: forniscono invece una visione d'insieme del mondo umano,
che permette ai loro clienti di comprendere come funziona la società e come occorre
comportarsi per prevalere nella competizione politica.
Protagora
La vita e gli scritti
Protagora nasce all'inizio del V secolo a.C. (486 circa) ad Abdera, in Tracia. Verso i trent'anni
comincia a dedicarsi all'insegnamento, viaggiando per tutta la Grecia e soggiornando più
volte ad Atene, dove entra nella cerchia di Pericle e si impone come il maggiore esponente
della so stica. Nel 411 a.C. è costretto a lasciare la città in seguito ad accuse di empietà a
causa in particolare del suo atteggiamento poco religioso.
Dei numerosi libri scritti da Protagora, i più importanti per comprendere la sua concezione
loso ca sono Sulla verità (o I discorsi sovvertitori) e Le antilogie. Di queste opere ci restano
soltanto frammenti, ma le tesi che Protagora vi sosteneva ci arrivano da due dialoghi di
Platone: il Protagora e il Teeteto.
La sua tesi
La principale tesi loso ca di Protagora è formulata in Sulla verità nei termini seguenti:
«L'uomo è misura di tutte le cose; di quelle che sono, per ciò che sono; di quelle che non
sono, per ciò che non sono». Tale a ermazione si può leggere come una dichiarazione di
relativismo, vale a dire un atteggiamento loso co che non ammette verità assolute e
principi immutabili: per Protagora quello che è o non è dipende dal punto di vista umano. Più
speci camente, la tesi di Protagora si presta a tre interpretazioni, a seconda di come si
intende “l’uomo".
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1. Se lo si intende come "un singolo essere umano", allora la frase di Protagora signi ca che
le caratteristiche delle cose dipendono esclusivamente dal singolo individuo che le
esperisce. Dire che il singolo uomo, l'individuo, è la misura di tutte le cose, vale a dire il
punto di riferimento in base al quale si stabilisce che cosa è vero e che cosa è falso: le
cose che per il singolo individuo sono in un certo modo sono realmente in quel modo.
Questa lettura "individualista" della tesi di Protagora risulta problematica se la si estende
dal campo delle qualità percepibili (ad es. la bontà di un cibo) all'ambito morale (es. un
individuo che ritiene giusto l’omicidio).
2. La seconda interpretazione intende con "uomo" non il singolo individuo bensì una certa
comunità che condivide un sistema fondamentale di norme. Il detto di Protagora viene
dunque a signi care che un popolo può stabilire cosa è giusto e cosa no all’interno della
comunità. In tal senso una comunità organizzata, una pólis, è in grado di fornire criteri di
correttezza che sono "misura delle cose" non soltanto per uno ma anche per tutti i
componenti del gruppo. Questi criteri si depositano nelle tradizioni, nelle leggi e nel
linguaggio. Resta però da chiedersi se vi siano atti che risultano indiscutibilmente giusti
non soltanto perché facciamo parte di una certa comunità che ha stabilito che lo sono, ma
anche semplicemente perché siamo esseri umani (es. omicidio)
3. Questa interpretazione sostituisce il soggetto “uomo” con il concetto dell’umanità:
"l'umanità nel suo complesso è la misura di tutte le cose": il fatto stesso di appartenere al
genere umano ci vincola a considerare certe cose come giuste e certe altre come
sbagliate.
È plausibile che Protagora contempli tutte le alternative
Gorgia
Contro l'essere
Dalla Sicilia Gorgia - nato a Lentini intorno al 485-480 a.C. - era partito per Atene nel 427
a.C.; vi si recava come ambasciatore della sua città natale per ottenere aiuti militari nella
guerra contro Siracusa. Al momento dell'arrivo ad Atene Gorgia ha circa cinquant'anni ed è
già celebre in tutto il mondo greco per i suoi scritti e i suoi insegnamenti.
Tra le varie opere noi parleremo “Del non essere” che consiste in un clamoroso ribaltamento
della dottrina di Parmenide e dei suoi discepoli eleati. Gorgia parte dalle stesse premesse di
Parmenide, ma giunge a conclusioni completamente opposte: mentre Parmenide collegava
strettamente l’essere al pensiero e al linguaggio, Gorgia nega che l'essere sia; in questo
modo, egli rende il pensiero e il linguaggio completamente autonomi dall'essere.
Più speci camente, nel suo scritto Del non essere Gorgia sostiene tre tesi principali:
1. L’essere non è
Nel difendere la tesi 1 Gorgia parte dalla caratterizzazione che Parmenide dà dell'essere:
ciò che davvero è, al di là delle apparenze ingannevoli. Secondo Parmenide l'essere è
ingenerato, imperituro e unico e Gorgia dimostra che niente può soddisfare questi
attributi. Prendiamo ad esempio la tesi di Parmenide per cui l'essere è unico: soltanto
l'essere è. Gorgia osserva che l'essere, per esistere, deve trovarsi in un luogo; tuttavia,
l'essere sarebbe unico soltanto se coincidesse con quel luogo. Ma se l'essere
coincidesse con il luogo in cui si trova, allora sarebbe al tempo il luogo e ciò che sta in
quel luogo, perdendo così l’unicità.
2. Se anche fosse, non sarebbe conoscibile
Insomma, per una cosa soltanto pensata può sempre darsi l'alternativa tra essere e non
essere: quella cosa potrebbe esistere ma anche non esistere. L'unico modo che abbiamo
per stabilire se esiste o non esiste è dato dall'osservazione diretta, ma l'essere di
Parmenide non è qualcosa di osservabile, dunque un soggetto che pensa l'essere non
può appurare se l'essere esista veramente oppure sia soltanto un'invenzione del pensiero.
In questo modo Gorgia separa quello che possiamo conoscere e quello che esiste nel
senso più fondamentale del termine.
3. Nulla può essere comunicato
se anche concedessimo non soltanto che vi sia l'essere ma anche che qualcuno sia
riuscito a conoscerlo, costui non potrebbe comunicare linguisticamente questa
conoscenza ai suoi interlocutori. Per Gorgia, infatti, non è la parola che dà signi cato al
dato esterno, ma il dato esterno che dà signi cato alla parola: una parola ha signi cato se
c'è un dato esterno che può essere condiviso da colui che usa quella parola e dai suoi
interlocutori. Nel caso di oggetti concreti e proprietà percepibili, il dato esterno che dà
signi cato alle parole è costituito dalle apparenze che ci vengono presentate dai sensi.
Ma l'essere di cui tratta Parmenide non appartiene al regno delle apparenze, e dunque la
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parola "essere" non ha nessun dato esterno condivisibile, e dunque nessun signi cato
comunicabile
Nel breve scritto intitolato Encomio di Elena, Gorgia sostiene che Elena, la donna più bella del
mondo, non è colpevole per aver seguito Paride a Troia abbandonando il proprio marito,
Menelao re di Sparta, e scatenando così la guerra di Troia. Secondo Gorgia, vi sono diverse
ragioni giusti care le azioni di Elena:
• Elena potrebbe aver agito per un destino determinato dal caso o dalla necessità o dal
volere degli dei; se così fosse, sarebbe stata soltanto un mero ingranaggio di un
meccanismo molto più ampio il cui funzionamento le risultava imperscrutabile.
• Oppure Elena potrebbe essere stata rapita da Paride con la forza, il che sarebbe avvenuto
contro la volontà della donna, che nemmeno in questo caso potrebbe essere dichiarata
colpevole.
• O ancora, Elena avrebbe potuto essere stata persuasa dalle parole di Paride, e nemmeno in
questo caso sarebbe colpevole, perché le parole sono capaci di in uenzare il
comportamento degli esseri umani con una forza irrefrenabile: esse possono calmare
l'animo, attenuare il dolore, suscitare gioia e aumentare il senso di pietà.
• In ne, Elena avrebbe potuto agire spinta da amore, e allora il suo comportamento sarebbe
stato frutto di un condizionamento irresistibile, che avrebbe annullato il suo libero arbitrio.
Come Protagora Gorgia, sostenendo che nulla esiste nella realtà e tutto è possibile nel
linguaggio, attribuisce un potere scon nato a chi possiede il linguaggio. Tuttavia, si può
notare tra i due so sti anche qualche di erenza signi cativa.
Da una parte, la so stica di Protagora, sebbene improntata al relativismo, è comunque
nalizzata a promuovere e sostenere il bene comune della pólis, in accordo con lo spirito di
partecipazione democratica che animava il governo di Pericle. Dall'altra, la retorica di Gorgia,
giunge ad Atene quando l'era di Pericle sta nendo, la democrazia è in crisi, la pólis è
dilaniata dai con itti, il senso di appartenenza alla comunità si sgretola e gli istinti
individualisti e i tornaconti particolari prevalgono sull'interesse collettivo.
Protagora e Gorgia restano comunque accomunati dalla centralità che entrambi attribuiscono
all'essere umano, alla realtà sociale e al linguaggio, che per loro sono gli unici temi davvero
degni di essere indagati e insegnati.
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