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Troppi singoli episodi messi fuori contesto.

Uno storico critica e risponde allautore di Partigia


Di giovanni De luna
Partigia, di Sergio Luzzatto, di cui lautore ha parlato con lEspresso (numero 17), dedicato alla brevissima esperienza nella Resistenza vissuta da Primo Levi nel dicembre 1943, prima della cattura e della deportazione ad Auschwitz. In quel periodo, la sua piccola banda (12 membri in tutto) condann a morte due giovanissimi partigiani, accusati di intemperanze nei confronti della popolazione. Da un lato, quindi, Primo Levi e la sua biografia; dallaltro Fulvio Oppezzo e Luciano Zabaldano, le vittime della sentenza partigiana. Il racconto oscilla tra questi due poli ed complessivamente irrisolto, quasi che Luzzatto sia rimasto a met del guado tra due libri e due progetti diversi: voleva farsi biografo di Primo Levi, esplorandone un sorta di lato oscuro; voleva farsi storico della Resistenza, studiandone le contraddizioni e sottraendola alla monumentalit delle varie vulgate. Ma il libro non riuscito n in un senso n nellaltro. La grandezza di Primo Levi come testimone della Shoah e interprete del cuore nero del Novecento non viene scalfita. E la storia della Resistenza si riduce a una cronaca minuta di eventi, a un elenco di personaggi, senza mai incidere sui nodi del dibattito storiografico che si consolidato intorno a quelle vicende. Proprio i mesi studiati da Luzzatto sono decisivi, ad esempio, per svelare il mistero del passaggio dallesiguit della cospirazione antifascista negli anni del regime alle attive minoranze di massa protagoniste della lotta partigiana.Allinterpretazione di chi ha rivendicato il peso decisivo assunto dai partiti nellorganizzazione delle prime bande, se ne contrapposta unaltra che ha insistito sulla spontaneit di quegli esordi resistenziali, sottolineando il peso delle scelte individuali che avevano accompagnato la

luzzatto
decisione di prendere le armi e andare in montagna. La piccola banda di Levi era il frutto di questa spontaneit, dellimprovvisazione di chi doveva inventare da zero la lotta armata, sfidando uno dei pi potenti eserciti del mondo. Senza un adeguato contesto interpretativo, i partigiani di Primo Levi appaiono solo come degli ingenui sprovveduti e la casistica proposta da Luzzatto resta muta: a un episodio se ne pu opporre un altro, di segno opposto, allora, quando la Resistenza stava per nascere, e dopo, quando nella resa dei conti del 25 aprile, per ogni fascista ammazzato ce ne fu uno risparmiato; e i secondi superarono di gran lunga i primi. Con qualche ironia Luzzatto si dilunga sullunica impresa partigiana di Primo Levi, il recupero di una pistola, una sola pistola. Ma quellepisodio pu essere moltiplicato per mille e chi ha studiato la Resistenza sa la sua importanza in una fase in cui i partigiani avevano un disperato bisogno di armarsi: chi era in grado di farlo, assaliva le caserme dei carabinieri e dei presidi fascisti, si impadroniva delle armi abbandonate dallesercito dopo l8 settembre; gli altri si arrangiavano come potevano. Fu cos per tutti i primi mesi, quando, in attesa dei lanci degli alleati, quella del recupero delle armi fu lattivit prevalente delle bande. In questo suo essere prigioniero della cronaca stata ravvisata una certa somiglianza con il revisioniPrimo levi in un ritratto da larry Rivers, smo di Giampaolo Pansa. Ci commissionato da gianni agnelli insieme ad altre sono nel libro altri elementi in due tele dedicate allo scrittore, e custodite nella Pinacoteca agnelli, in mostra fino al 15 ottobre questo senso: i ricordi di Pansa al Museo ebraico di Roma. in alto: giovanni De luna bambino ( che costituiscono lincipit dei suoi volumi dedicati prima alla Repubblica di Sal poi alla Resistenza) si specchiano in quelli di Luzzatto bambino che danno origine alla sua ossessione per la lotta partigiana e che sono messi allinizio anche del suo libro; come Pansa, Luzzatto si fa accompagnare nelle sue ricerche e negli incontri con i testimoni da una giovane studiosa con cui dialoga per rendere pi efficace il racconto. Ma Luzzatto non Pansa. Il suo cipiglio accademico resta quello dello storico, cos come limponenza dei suoi apparati critici e il suo scrupolo filologico. E il suo pubblico non potr mai essere quello di Pansa. un pubblico che non ama i libri irrisolti; li vuole schierati e con tutte le certezze che si annidano negli stereotipi e nei luoghi comuni. n

dove sbaglia

Foto: Imagoeconomica

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