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CANCELLERIA DELLA Si occupa della stesura di lettere ufficiali e dei rapporti diplomatici: è un centro culturale strettamente
REPUBBLICA DI collegato con la vita civile e politica
FIRENZE
CORTE insieme di intellettuali (artisti, scrittori, musicisti, filosofi), funzionari e dignitari che si raccolgono intorno a
un signore, dal quale traggono sostentamento e ricevono protezione. è nello stesso tempo un luogo di
produzione e di fruizione culturale, poiché i cortigiani rappresentano il pubblico cui sono destinate le opere
artistiche e letterarie
ACCADEMIA Cenacolo, spesso formatosi sotto il patrocinio di un signore, dove gli intellettuali si incontrano liberamente
per confrontarsi, discutere, scambiarsi idee
ISTITUZIONI Le università continuano a rivestire un ruolo molto importante per la formazione culturale e patrimoniale.
SCOLASTICHE Accanto ad esse nascono tuttavia scuole “umanistiche”, ispirate a nuovi principi pedagogici, che vedono
l’allievo come soggetto attivo nel processo educativo e che mirano ad una formazione più completa e
armonica dell’individuo
BOTTEGHE DI ARTISTI Le botteghe di artisti acquistano un prestigio di cui non avevano mai goduto in precedenza, grazie alla
E DI STAMPATORI (prima maggiore considerazione culturale riservata alla loro attività. Nell’ambito letterario, le botteghe degli
della stampa->monaci stampatori, che incominciano a diffondersi con l’invenzione della stampa, sono anche un luogo d’incontro
amanuensi) e di scambio culturale tra intellettuali.
DA RICORDARE: a Venezia si trova la bottega del più famoso stampatore del periodo, Aldo Manuzio,
uomo colto, che fu anche animatore di una vera e propria accademia, l’Accademia Aldina
BIBLIOTECHE Iniziano a diffondersi le prime biblioteche pubbliche; non sono solo luoghi di conservazione, ma anche
circolazione
Nella cultura inizia a venire meno la presenza della Chiesa.
INTELLETTUALI E PUBBLICO
INTELLETTUALE LAICO
Nell’ambito atipico della Firenze repubblicana sopravvive la figura dell’intellettuale comunale: il
cittadino che non trae il suo sostentamento dalla professione intellettuale, ma da altre attività, e che
partecipa alla vita politica del Comune.
Ma il tipo di intellettuale che diviene dominante è quello cortigiano, che si colloca nell’ambiente della
corte. Può provenire da una famiglia aristocratica o essere il signore della città, ma spesso si trova alle
dipendenze di un signore, riceve protezione e mantenimento in cambio dei suoi servizi. Alcuni intellettuali
sono stipendiati esclusivamente per svolgere le loro attività di poeti e di studiosi, ad altri, sono affidati
incarichi diplomatici o politici; altri ancora sono segretari, bibliotecari o precettori dei figli del signore.
La subordinazione al potere e la professionalità sono i due principali aspetti che differenziano questa
figura da quella dell’intellettuale-cittadino.
Il maggior o minor grado di libertà d’espressione deriva dall’atteggiamento dei principi.
I CHIERICI
L’unica alternativa che si presenta agli intellettuali che non vogliono entrare alle dipendenze dei principi è la
condizione clericale. Gli intellettuali alle loro dipendenze potevano trattare argomenti profani, a volte
perfino licenziosi.
UN PUBBLICO ELITARIO
La produzione umanistica è a circuito chiuso, nel senso che gli intellettuali scrivono quali
esclusivamente per altri intellettuali. Si crea un distacco nettissimo tra la cultura “alta” e quella popolare,
che si affida ancora all’oralità e resta limitata prevalentemente al campo religioso. Il panorama comincia a
cambiare con l’introduzione della stampa, che favorisce una maggiore alfabetizzazione e diffusione della
cultura. Per quanto riguarda la scelta linguistica, in un primo momento si afferma il ritorno al latino come
lingua letteraria di prestigio, mentre nella seconda metà del secolo si assiste ad una rivalutazione del
volgare.
LE IDEE E LE VISIONI DEL MONDO
IL MITO DELLA RINASCITA
Tra la fine del Trecento e del Quattrocento si diffonde fra gli uomini di cultura italiani l’idea che i secoli
precedenti fossero da considerare come un periodo di barbarie e di decadenza, che si era venuto a
frapporre tra l’antichità e il presente, stravolgendo l’immagine dei classici e ostacolando l’accesso al loro
messaggio. Nasce il mito di una “rinascita” della civiltà classica e si avverte il bisogno di far rivivere il
mondo antico nella sua fisionomia autentica, liberandolo di tutte le deformazioni medievali.
LA VISIONE ANTROPOCENTRICA
Il medioevo aveva una concezione del mondo di tipo teocentrico: Dio era posto al centro dell’universo
come motore di tutta la realtà e autore della storia, che era vista come il prodotto di un suo disegno
provvidenziale. Ora invece si afferma una visione antropocentrica (dal greco anthropos, uomo), in cui
l’uomo pone se stesso al centro della realtà come protagonista e autore della propria vita. Ciò ha
fondamentali riflessi sul modo di concepire l’uomo: ora si afferma una visione ottimistica dell’uomo, che
appare sicuro e ricco di forze, capace di contrastare i colpi della fortuna con la propria energia e la propria
intelligenza, di costruirsi il proprio destino con una libera scelta. Per questo uno dei temi prediletti dalla
cultura quattrocentesca è l’esaltazione della dignità dell’uomo. Il corpo non è più condannato, ma
celebrato nella sua bellezza.
L’uomo si realizza anche nell’esistenza terrena prima che in quella celeste. Ne scaturisce un
atteggiamento che si può definire edonistico, teso cioè a ricercare il piacere senza sensi di colpa. Esso
va unito al naturalismo, la tendenza a considerare la natura, e a goderla senza riferimenti al suo
significato metafisico e a non contrastare il libero espandersi delle forze naturali.
Virgilio nella IV Bucolica parla di un puer e che i cristiani interpretano come Gesù Cristo (vengono così
ricopiati solo testi che si possono ricondurre al mondo cristiano)
I CENTRI
DELL’UMANESIMO:
Firenze, Padova, Venezia
(+ grande stampatore
italiano: Aldo Manuzio),
Milano (Visconti e Sforza/
Bramante e Leonardo da
Vinci), Mantova (Gonzaga,
Poliziano “la favola di
Orfeo”), Ferrara (Estensi),
Roma, Napoli (Lorenzo
Valla)
Il carattere edonistico della rappresentazione congiungendo giovani e vecchi nella ricerca del
piacere, nasce una concezione di fondo pessimistica e malinconica: quella che si basa sul
trascorrere del tempo e sulla caducità dei beni terreni.
I CANTARI CAVALLERESCHI
UN GENERE DESTINATO A UN PUBBLICO POPOLARE
Durante il Medioevo diviene molto importante il poema epico-cavalleresco. Questo era un componimento
narrativo in versi che trattava le avventure di cavalieri e paladini, e che veniva cantato nelle piazze dai
cantari cavallereschi; era un componimento destinato ad un pubblico non colto. Sono componenti narrativi
in versi in ottave di endecasillabi e venivano recitati dai giullari nelle piazze. Nel poema epico-cavalleresco
si ha l'unione tra i personaggi del ciclo carolingia e l'ambiente del ciclo bretone: scompare l’austera
solennità epica carolingia e si fa strada la ricerca della pura avventura e del meraviglioso. Assume una
grande importanza la tematica amorosa, che nel ciclo carolingio era del tutto assente, e il tema comico: i
giullari, infatti, rovesciano in chiave buffonesca le figure degli eroi tradizionali. Per il fatto che il poema
epico-cavalleresco è un poema destinato ad un pubblico non colto, gli autori ricorrono a meccanismi
narrativi elementari: effetti a sorpresa e ripetizione di scene; ovviamente, anche la metrica e lo stile sono
molto semplici e rozzi.
LA LINGUA E LO STILE
Viene usata una lingua forzata al di là dei codici consueti del linguistico letterario, e che si colloca quindi
agli antipodi rispetto al canone classicistico. Il fondo è il toscano parlato, dialettale, ricco di termini saporosi
di modi di dire vivacissimi incisivi; Pulci innesta su di essi una varietà ricercata linguistica e recupera termini
latini, o letterari, o scientifico-filosofici. Su tutto domina il gusto della deformazione e della forzatura
espressiva della parola, in concomitanza con la ricerca dell’eccesso, della decisione beffarda corrosiva, del
provocatorio rovesciamento di ciò che è serio, elevato e degno.
LA MATERIA E I MODELLI
L'Orlando innamorato, l'opera più importante di Boiardo, cominciò ad essere scritta nel 1476. I primi due
libri dell'opera furono pubblicati nel 1483 in 60 canti, mentre la composizione di un terzo libro venne
interrotta alcuni mesi prima della morte dell'autore. Il titolo fa capire che sarà un'opera innovativa: racconta,
infatti, le avventure di Orlando, un guerriero prode e valoroso che cade in preda all'amore, così come era
successo ad uno dei protagonisti del ciclo bretone. Boiardo, quindi, porta a compimento la fusione tra il
ciclo carolingio e quello bretone. Le avventure hanno come protagonisti personaggi carolingi, ma le vicende
si svolgono in un ambiente tipicamente arturiano; il poeta stesso giustifica questa scelta nell'opera: afferma
che la corte di Re Artù era più adatta alle vicende in quanto essa fu sempre aperta nei confronti delle armi
e degli amori, al contrario della corte di Carlo Magno, che, invece, fu sempre chiusa nei confronti
dell'Amore. Amore e Forza sono per Boiardo gli ideali principali, le uniche virtù che possono far sì che un
cavaliere abbia onore e gentilezza.
MATERIA primo che introduce la materia fusione della materia cavalleresca del fusione della materia cavalleresca
carolingia ciclo carolingio con quella amorosa e del ciclo carolingio con quella
fiabesca del ciclo bretone amorosa e fiabesca del ciclo bretone
CONTESTO E corte dei Medici (Firenze) corte estense (Ferrara) corte Estense (Ferrara)
MODALITÀ DI
FRUIZIONE
LA POETICA DI ARISTOTELE
la poetica aristotelica corrispondeva perfettamente alle attese della cultura del tempo, volta alla ricerca di
norme e di regole capaci di razionalizzare le forme e gli stili delle opere letterarie. Nelle parti che ci sono
pervenute Aristotele aveva analizzato le opere della letteratura greca, per ricavarne le regole alle quali i
generi letterari in questione obbedivano. A queste norme (unità di tempo, luogo e azione) i teorici
cinquecenteschi attribuirono perlopiù un carattere esemplare poiché pretendevano che fossero applicati in
maniera rigorosa da tutti gli scrittori.
L’EDITORIA DI MERCATO
La letteratura diventa un fatto mondano e di costume, che modificò la collocazione sociale dello scrittore
che gli consentiva una fonte di guadagno. Proprio per questo cambiò l’attenzione nei confronti del pubblico.
Gli autori scrivono scritti bizzarri e anticonformistici che vengono incontro alle richieste, gusti ed esigenze
del pubblico. Si comincia ad individuare un duplice movimento: di promuovere la crescita culturale e la
sensibilità estetica del pubblico e in secondo luogo di venire incontro ai gusti e alle attese dei lettori.
L’INTELLETTUALE CORTIGIANO
A Firenze la figura dell'intellettuale è sempre presente. In questo periodo la condizione della figura
dell'intellettuale cortigiano prevale. Egli dipendeva dal principe o cercava una sistemazione nelle gerarchie
di chiesa. Il letterato si pone al servizio di casate aristocratiche, ad esso viene dato uno stipendio e ottiene
protezione. In cambio il letterato svolge mansioni di tipo amministrativo. Paga i suoi debiti attraverso la
letteratura (attività molto apprezzata). Le figure dell'intellettuale e del cortigiano iniziano piano piano a
coincidere. Ciò appare evidente nel Cortegiano di Baldassarre Castiglione che descrive il ritratto del
perfetto uomo di corte e delle alte qualità sociali e ne “il Galateo” di Giovanni della Casa. Parla anche della
donna, cortigiana, e il suo ruolo nella corte. Pietro Aretino invece ha una visione polemica della vita di corte
e ci mostra i lati negativi: umiliazione e perdita della dignità. La protezione e gli onori che dà il principe agli
intellettuali accrescono il prestigio sociale ma comporta la perdita della sua indipendenza.
LE OPERE
Protagonista assoluto di questi dialoghi (IL PARLAMENTO DE RUZANTE CHE IERA VEGNÙ DE CAMPO
e BILORA) è il villano, che si esprime in dialetto pavano, ed era portato sulla scena dello stesso Beolco. Il
personaggio del villano si oppone agli sletran, letterati, che vivono in un mondo di falsità, e cerca di
affermare sincero i valori naturali su cui deve fondarsi un nuovo roesso mondo. Con il personaggio del
villano rivisita la cultura contadina impregnata di tradizioni folcloriche e legata al fenomeno del carnevale
come momento di libertà, di autoaffermazione, di rovesciamento di valori delle gerarchie tradizionali.
L’esagerazione il capo del cibo e del sesso, a cui villano si abbandona, peraltro solo con la fantasia, sono
riconducibili all’immaginario carnevalesco. Con questa operazione si inserisce nella tradizione letteraria
della satira del villano che aveva l’intento di far divertire il pubblico dei signori con il racconto delle
disavventure del rozzo personaggio, ma rovescia radicalmente il significato dell’esperienza, adottando un
punto di vista interno alla narrazione, quella del contadino. Di conseguenza il ritratto di questa società
“bassa” fa emergere tutta la drammatica condizione di sfruttamento e di emarginazione in cui vivono i
contadini e da occasione di comicità si trasforma in un documento di denuncia e polemica.
ARIOSTO
Ludovico Ariosto rappresenta la tipica figura di intellettuale cortigiano del Rinascimento: egli, infatti,lavorò
per tutta la vita all'interno della corte anche se, comunque, nutriva nei confronti di questo ambiente
sentimenti di rifiuto e anche di polemica.
LE OPERE MINORI
LE LIRICHE LATINE E LE RIME VOLGARI
La lirica latina di Ariosto risale prevalentemente agli anni giovanili. Non furono mai raccolti dall’autore in
forma organica né pubblicati come opera compiuta. Vi si rivela la formazione umanistica di Ariosto e sono
chiaramente ravvisabili i modelli classici come quelli di Orazio, Catullo e Virgilio.
Le rime volgari sono state scritte lungo tutto l’arco dell’esistenza del poeta, tra il 1493 e il 1527, anche esse
non furono mai raccolte organicamente dall’autore. Buona parte delle rime si concentra intorno al tema
amoroso e alla figura della donna amata, Alessandra Benucci.
LE COMMEDIE
Ariosto si occupò professionalmente di teatro, come si è accennato, tra i suoi compiti intellettuale cortigiano
vi era anche l’allestimento di spettacoli per le feste di corte, secondo la tradizione che era
particolarmente viva a Ferrara già nel 400. Per tali spettacoli si utilizzavano inizialmente traduzioni e
adattamenti di testi comici latini, ma in seguito si passò anche alla liberazione di testi originali in volgare.
Ariosto fu colui che inaugurò questa nuova tradizione con due commedie fatte rappresentare alla corte di
Ferrara, tra cui la Cassaria nel carnevale del 1508 e i Suppositi. Ariosto scelse in un primo tempo la prosa.
Le sue due prime commedie riprendono il tipico schema plautino del conflitto fra i giovani. Al modello
dell’intreccio flautino si aggiunge la suggestione della novella italiana, in particolare di Boccaccio, nel
motivo dell’intraprendenza dei giovani alla ricerca del amoroso e in quello dell’astuzia di servi. La scena
come nel teatro comico antico è collocata in ambienti borghesi cittadini. La Cassaria, per esempio, si
svolge in una città greca. L’autore poi lasciò la prosa per il verso endecasillabo sciolto sdrucciolo che aveva
un andamento simile a quello del verso più usato dei comici latini.
- Il Negromante / la Lena / la Cassaria
LE LETTERE
ci sono giunte 214 lettere di Ariosto. Si tratta di un epistolario di carattere molto diverso da quelli umanistici,
che hanno come modello quello petrarchesco. Si tratta di lettere private, relazioni diplomatiche, rapporti ai
signori, biglietti d’occasione. Non sono scritti in un linguaggio letterario elaborato, ma in stile semplice e
immediato.
LE SATIRE
Tra il 1517 e 1525 Ariosto scrisse sette satire in forma di lettere in versi indirizzate a parenti ed amici; non
ne curò però la stampa. Anche per questi componimenti vi erano dei modelli classici (le satire e le epistole
di Orazio). La satira antica era in origine un componimento che permetteva di toccare i più vari argomenti,
senza un ordine prefissato (il nome pare che derivi da satura lanx, un piatto votivo che conteneva i più vari
tipi di cibi). L’autore può toccare gli argomenti più diversi: riferimenti autobiografici, riflessioni generali sul
portamento umano, ritratti di persone, apologhi, favole. Ad Orazio è particolarmente vicino nell’ideale di
una vita quieta e modesta ma indipendente da ogni servitù e del distacco ironico con cui sa guardare
se stesso e gli altri. Ariosto impiega la forma del capitolo in terzine dantesche.
- la satira I: insiste sull’incompatibilità degli incarichi pratici del cortigiano con la vocazione letteraria
- la satira II: contiene la rappresentazione critica e polemica della corte papale.
- La sarta III: tratta della condizione del poeta e ribadisce con vigore la sua esigenza di autonomia
della dalla corte.
- La satira IV: descrive le difficoltà del suo compito di governatore della Garfagnana, il rimpianto
dell’attività letteraria interrotta.
- La satira V: è una disamina dei vantaggi e degli svantaggi della vita matrimoniale.
La struttura di questi componimenti è quella della chiacchierata alla buona, che trascorre disinvoltamente,
talora senza apparenti connessioni, tra i più vari argomenti. Cesare Segre ne ha sottolineato la struttura
intimamente dialogica: il poeta dialoga continuamente, con se stesso, con destinatari, con interlocutori
immaginari. I temi centrali delle satire sono la condizione dell’intellettuale cortigiano, i limiti di ostacoli che
essa pone alla libertà dell’individuo, l’aspirazione di una vita quieta ed apparata, dedita agli studi, ai voli
della fantasia e gli affetti familiari, la follia degli uomini che si danno ad inseguire oggetti vani, la fama, il
successo, la ricchezza. In realtà, dietro agli atteggiamenti bonari e sorridenti, si cela uno sguardo acuto ed
una visione sostanzialmente pessimistica e amara della vita dei tempi. Usa uno stile colloquiale,
volutamente prosaico ed il certi tratti apparentemente disadorno ed impiega largamente modi di dire della
lingua parlata. L’andamento è colloquiale e rifugge dalle cadenze troppo musicali, prediligendo spesso
fratture e pause. Nelle Satire si trova lo stato puro quell'atteggiamento riflessivo e conoscitivo e
l’atteggiamento ironico.
L’ORLANDO FURIOSO
LE FASI DELLA COMPOSIZIONE
Dopo aver interrotto la realizzazione dell’Obizzeide, poema che avrebbe dovuto celebrare la casata d’este,
Ariosto inizia a scrivere l’Orlando Furioso, continuo dell’opera di Boiardo l’Orlando Innamorato. L’opera si
riallaccia perfettamente a quella di Boiardo, proseguendola e allargandola con nuove avventure.
La prima edizione è del 1516, ma non molto dopo uscirà anche la seconda edizione, nel 1521, una
revisione della prima che non propone sostanziali cambiamenti; infine, una terza edizione del poema vi
apparve nel 1532. La revisione fu in primo luogo linguistica: nelle prime due edizioni utilizzò la lingua
cortigiana propria anche di Boiardo, nella terza e ultima redazione si avvale alla lingua ai canoni
classicistici fissati da Bembo: il modello era una lingua pura e levigatissima, che si rifaceva rigorosamente
al fiorentino dei classici trecenteschi. ci fu un’aggiunta di contenuti che ampliò l’opera a 46 canti; i
contenuti, però, non solo crearono nuove simmetrie e nuove vicende, ma modificarono anche il clima
dell’opera spostando la lancetta sul pessimismo per l’uomo e per le sue attività (tradimento, tirannide,
violenza)(si possono cogliere riflessi del progredire della crisi italiana fra il 1516 e il 1532). In questo clima
cupo e pessimistico rientrano anche i 5 canti. Scritti presumibilmente attorno al 1518-19, con l’intenzione di
inserirli nella seconda edizione del poema (pubblicati postumi dal figlio Virginio).
IL PUBBLICO
Come il poeta stesso dichiara in una nota pagina al doge di Venezia, l’opera è composta “per spasso e
recreatione de’ Signori e persone de animo gentile”, fatta di “cose piacevole e dilettevole di arme et amor” e
merita di essere pubblicata “per solazzo et a piacer d’ognuno”. Il poema è quindi pensato come un opera di
intrattenimento, indirizzata ad un pubblico di cortigiani e persone colte. Il pubblico non era più costituito in
primo luogo dalla cerchia ristretta dell’ambiente in cui l'opera era nata, come era proprio delle opere
pubblicate prima dell’invenzione della stampa, ma era ormai il pubblico nazionale, formato dall’insieme
delle persone colte in tutti i centri della penisola.
L’ORGANIZZAZIONE DELL’INTRECCIO
Nel Furioso si intrecciano le vicende di numerosissimi eroi. Il narratore porta avanti in parallelo il racconto
di più vicende contemporaneamente, troncandole e riprendendole, conducendo numerosi fili narrativi ad
intersecarsi fra loro, per dividersi poi nuovamente. Questo procedimento è stato definito dalla critica
entrelacement. Nel tessuto narrativo sono inoltre inserite novelle raccontate da vari personaggi e anche
episodi in cui si profetizzano eventi storici futuri per alludere ad eventi politici e militari contemporanei. Ogni
canto presenta un esordio in cui la voce narrante, prima di riprendere le fila dell’intreccio, traendo spunto
dai casi dei personaggi si abbandona a considerazioni morali sul comportamento umano in generale.
1. Guerra: re saraceno Agramante invade la Francia e assedia Parigi perché Orlando aveva ucciso
suo padre troiano (Boiardo). Agramante sembra avere la meglio sull’esercito cristiano di Carlo
Magno anche perché i paladini più importanti sono distratti da Angelica. In realtà alla fine Orlando
vincerà contro i mori.
2. amore: Orlando per Angelica. Durante l’assedio di Parigi Angelica è promessa sposa al più
valoroso, ambita da Orlando e Rinaldo, ma lei fugge inseguita da tanti. Incontra poi un bel fante
moro ferito di nome Medoro e se ne innamora. Insieme fuggono nel Catai. Orlando durante la
ricerca di Angelica vede, in un luogo, sugli alberi delle incisioni che celebrano l’amore tra Angelica
e Medoro lì vissuto e impazzisce, perde il senno. Intanto il guerriero Astolfo vola con l’ippogrifo
sulla luna per riprendere il senno di Orlando che una volta tornato in sé riprende a combattere.
3. il motivo encomiastico: dopo molte traversie Ruggero, guerriero saraceno, riuscirà a convertirsi
al cristianesimo e a sposare Bradamante, sorella di Rinaldo, e a diventare il capostipite della
dinastia degli Estensi.
IL MOTIVO DELL’INCHIESTA
La critica più recente ha notato che al centro del Furioso vi è il motivo dell’inchiesta: ciò che muove la
vicenda e suscita le imprese dei cavalieri è la ricerca di un oggetto di desiderio. Ma mentre nei romanzi
arturiani questa ricerca si caricava di sensi religiosi, nel Furioso l’inchiesta assume un carattere del tutto
profano e laico. Tutti i personaggi desiderano e cercano qualcosa, una donna, l’uomo amato, un elmo, una
spada. Ma il desiderio è vano, gli oggetti ricercati deludono sempre le attese e appaiono irraggiungibili.
Angelica, della quale è pazzo Orlando e altri cavalieri, sfugge sempre davanti a loro, irraggiungibile,
svanisce ai loro occhi grazie all’anello magico che la rende invisibile. L’inchiesta inconcludente si traduce in
un movimento circolare, che non approda mai a una meta e ritorna sempre su se stesso, ad indicare il
carattere ossessivamente ripetitivo della ricerca. Il movimento circolare trova espressione in una formula
che compare di frequente nel poema in varie forme: “di qua, di là” , “di su, di giù”, “or quinci or quindi”.
errore, un altro termine chiave del poema: errare, nel senso materiale l’allontanarsi fisicamente e nel senso
morale e intellettuale: il desiderio ossessivo e insoddisfatto può trasformarsi in follia.
LO STRANIAMENTO E L’IRONIA
Il procedimento dello straniamento, che è costante nel Furioso, consiste in un improvviso mutamento nella
prospettiva da cui è presentata la materia, nell’allontanarla e nel guardarla con occhio estraneo, in modo da
impedire
l’immedesimazione emotiva nel mondo narrato e in modo da costringere anche il lettore a guardare
personaggi, situazioni e sentimenti come da lontano, e quindi a riflettere su essi con atteggiamento critico.
Un effetto simile è ottenuto con vari procedimenti. Il più tipico è il continuo intervenire della voce narrante
con giudizi e commenti, in genere maliziosi che spezzano l’illusione narrativa. In altri casi il narratore
ostenta una imperfetta conoscenza dei fatti, giocando deliberatamente a limitare il proprio statuto di
onniscienza. Un procedimento simile allo straniamento e sempre veicolo di ironia, è l’abbassamento:
Ariosto si limita ad abbassare leggermente la dignità epica ed eroica dei personaggi, portandoli a un livello
più prosaico e familiare e facendo cosi emergere al di sotto delle apparenze dei cavalieri e dalle dame gli
uomini e le donne comuni, con i loro limiti e i loro errori.
L’IRONIA E L’ABBASSAMENTO
LA FOLLIA DI ORLANDO
Dopo aver girato invano per due giorni, Orlando giunge nei luoghi dove Angelica e Medoro sfogarono la
loro passione amorosa. Vede i loro nomi incisi su ogni albero ed ogni pietra. Il paladino cerca di convincersi
prima che si tratti di un’altra Angelica, ma conosce la sua grafia; crede poi che Medoro fosse il soprannome
che lei gli aveva dato, ma in una grotta trova una poesia scritta dal giovane in onore della passione vissuta
insieme ad Angelica. Ma con sempre più sospetto Orlando giunge in una grotta dove vide molte frasi che
Medoro aveva scritto in arabo; Orlando le rilesse infinite volte sperando che non significassero quello che
c’era scritto e ogni volta provava una fitta come se una mano fredda lo stringesse. Il dolore che voleva
sfogare viene paragonato (da Ariosto) all’acqua in un vaso largo alla base ma stretto nel collo e
capovolgendolo il liquido si intoppa nella stretta apertura.
Per un po’ Orlando ritorna in sé crede che qualcuno abbia scritto quelle parole per infamare Angelica.
Prima del tramonto prende il cavallo, si mette in viaggio e poco dopo vede una casa. Un pastore lo ospita
per la notte e, vedendolo triste e sconsolato, per allietarlo gli racconta, con dovizia di dettagli, la notte
amorosa trascorsa da Angelica e Medoro in quella stanza. Dopo aver curato il giovane Medoro ferito,
Angelica se n’era innamorata e aveva deciso di sposarlo, benché egli fosse solo un povero fante e lei figlia
del più potente sovrano d’Oriente. Il pastore mostra a Orlando il letto su cui si è consumato l’amore tra i
due giovani e un prezioso bracciale che Angelica gli ha dato come compenso per l’ospitalità ricevuta. È il
bracciale che Orlando aveva donato ad Angelica. Dopo che il pastore lascia la camera Orlando scoppia in
lacrime e continua a girarsi nel letto. Gli viene in mente però che il suo amante e Angelica si sono coricati
lì.
Preso il suo cavallo raggiunge il bosco, e giunge per caso nei pressi della fonte, dove aveva visto le
incisioni dei due amanti. Frantuma in mille pezzi la roccia (viene usata la figura retorica dell’iperbole) su cui
Medoro aveva espresso il suo amore per Angelica, al punto che la fonte da allora è rimasta per sempre
torbida. Poi, stremato, crolla sull’erba e dorme per tre giorni. Il quarto giorno, uscito di senno, dopo essersi
completamente spogliato, inizia a correre e a devastare tutto quel che incontra, sradicando alberi. I
contadini, sentendo il frastuono, si incuriosiscono e vanno a vedere che cosa sta succedendo.
Astolfo si trova davanti a un monte dov’è accumulato il senno perso dagli uomini. È racchiuso in ampolle,
poiché si trova allo stato gassoso: prende prima la sua e poi quella di Orlando, che è quella più grande di
tutte.
Astolfo nota molte altre ampolle con i nomi di famosi personaggi dal poco senno. Ariosto spiega poi quali
sono i motivi che portano alla follia: l’amore, la ricerca affannosa e le sciocchezze.
Astolfo, con la sua ampolla, può tornare sulla Terra per restituire ad Orlando il suo senno perduto.
Descrivendo la vanità dei desideri degli uomini che non possono essere mai raggiunti o per errore umano o
per colpa della Fortuna, Ariosto dà una descrizione dell’umanità negativa.
LE ISTITUZIONI CULTURALI
LA COMPAGNIA DI GESÙ E L’INDICE DEI LIBRI PROIBITI
La Chiesa rafforzò la sua autorità tanto da eseguire un rigoroso controllo sulle manifestazioni della vita
sociale e del pensiero. Principale strumento fu l’Ordine dei Gesuiti fondato da sant'Ignazio di Loyola,
caratterizzato dal voto di assoluta obbedienza al pontefice. Svolgevano principalmente attività missionarie
di evangelizzazione in Europa e America e si dedicavano all’insegnamento. Fondarono infatti molti collegi
per laici e religiosi dove veniva insegnato un programma omogeneo e compatto per formare la futura
classe dirigente.
Un altro strumento fu quello della censura. Il tribunale del Sant’Uffizio pubblicò l’Indice dei Libri Proibiti,
elenco di libri che erano contrari alla morale cattolica. Vennero proibite anche opere della tradizione
letteraria come il Principe di Machiavelli e La monarchia di Dante. Altre vennero ripulite dalle parti che la
Chiesa considerava dannose.
TASSO
VITA
Nacque a Sorrento nel 1544. Il padre era anch’esso l’autore di un poema cavalleresco. Si trasferì ad
Urbino, dove venne a contatto con l’ambiente cortigiano, poi a Venezia e Padova dove intraprese gli studi
giuridici che lascia da parte per dedicarsi alla filosofia e alla letteratura. Si trasferì poi a Ferrara, da cui
rimase molto colpito, perché assunto al servizio del cardinale Luigi d’Este. Qui trascorse gli anni più felici
della sua vita. Passò poi al servizio come gentiluomo stipendiato e così poté dedicarsi alla poesia. Tasso fu
stimolato dalla scrittura di un poema epico su una delle crociate, grazie ai precedenti letterati Boiardo e
Ariosto. Quando finì l’opera, tormentato dall’inquietudine e dall’insoddisfazione si recò a Roma per
sottoporre l’opera a dei letterati. Questi fecero delle critiche moralistiche a Tasso che, condividendo ciò che
dicevano, modificò l’opera per renderla conforme alle regole. Fu assalito anche da dubbi religiosi allora la
sottopose all’Inquisizione di Ferrara da cui fu assolto. Era anche tormentato da manie di persecuzione,
tanto da un uccidere un servo perché credeva che lo spiava. Il duca allora lo rinchiuse nel convento di San
Francesco, da cui fuggì. Ritornò a Sorrento, dove si presentò alla sorella travestito annunciandole la morte
del fratello per mettere alla prova il suo amore. Successivamente rivelò alla sorella la sua identità e
trascorse dei giorni felici. Si recò poi a Ferrara e altre corti come Mantova, Urbino e Torino per poi ritornare
a Ferrara nuovamente. Non ospitato calorosamente quanto aspettava diede in escandescenze e il duca lo
fece rinchiudere nell’ospedale di Sant’Anna per 7 anni e gli fu concesso di studiare e scrivere. Dovette
subire gravi sofferenze fisiche e psichiche, manie di persecuzione (folletto che disordinava le carte) e
aveva tendenze autopunitive. Scrisse molte lettere a principi, prelati e intellettuali per difendere la sua
persona e chiedere soccorso.
Lo imprigionarono perché Alfonso in contrasto con la Chiesa, che voleva che Ferrara ritornasse nelle sue
mani alla sua morte, non voleva che ci fossero sospetti di eresia.
Nel 1580 venne pubblicata la Gerusalemme senza il consenso di Tasso mentre era a sant’Anna.
Nonostante il successo scrisse l’Apologia della “Gerusalemme liberata” con le revisioni dell’opera per
renderla più conforme ai precetti retorici e moralisti. Quando fu liberato andò a Roma e Napoli. In quel
periodo compose molte opere encomiastiche e poesie di ispirazione religiosa. Revisionò nuovamente la
sua opera che ripubblicò con il titolo di “Gerusalemme conquistata” che riscosse meno successo della
precedente. Gli venne proposto da papa Clemente VIII l’incoronazione poetica a Roma, ma si ammalò e
morì nel 1595.
Tasso incarna l’immagine del poeta cortigiano perché la sua vita si svolse nell’ambito della corte a cui è
legato materialmente e intellettualmente perché dipendeva da essa. Nel contempo crede che la sua fama
possa essere consacrata solo nella corte e dove si trova il pubblico che sa apprezzare la sua poesia. A
differenza di Ariosto che crede che l’autentica realizzazione umana avvenga nel privato, per Tasso solo
nella corte è possibile. Prova però anche una segreta avversione che si esprime nei suoi atteggiamenti.