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Accademia Editoriale

La terminologia sociopolitica di Teognide: I. L'opposizione semantica tra e

Author(s): Giovanni Cerri


Source: Quaderni Urbinati di Cultura Classica, No. 6 (1968), pp. 7-32
Published by: Fabrizio Serra editore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20537584 .
Accessed: 06/08/2014 22:49
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La
terminolog?a sociopolitica
di
Teognide
:
I.
L'opposizione
se?nantica tra
?yado?
-
?crdX?c
e
xax?c
-
SeiXo?
di Giovanni Cerri
La
"questione teognidea",
cio? il
problema
dellautenticit?
e
d?lia
genesi
del
corpus
elegiaco
tradizionalmente attribuito
a
Teognide,
? tutt'altro che chiusa. Nel corso dei secoli XIX e
XX,
attraverso discussioni
e
polemiche
interminabili,
sono state
pro
poste
le soluzioni
pi? disparate,
ma nessuna di esse ha
potuto
riscuotere la
maggioranza
dei consensi ed
imporsi
in
qualche
maniera come definitiva.
A conclusioni decisamente scettiche ?
poi giunto
nel 1953
il
Peretti,
con un convincente studio
che,
se
ha incontrato nu
merosi
consensi,
non ? tuttavia andato esente da critichel.
Il Peretti ha
sottoposto
la
silloge teognidea
ad
un esame attento
e minuzioso dal
punto
di vista d?lia
disposizione
d?lia materia
ed ? cosi
pervenuto
ad
individuare,
nel succedersi
apparente
mente
illogico
ed arbitrario d?lie
jvG>\xaif
ben
precise
costanti:
ogni
volta che si ritorna su un tema
gi?
trattato,
sull'amicizia
o
sulla
ricchezza,
sulla lealt?
o sul
vino,
suH'esilio o
sulla
sag
gezza,
cambiano le
parole,
ma le idee si
concatenano,
secondo
uno
schema
fisso,
a formare
sequenze
del tutto
analoghe,
che
il Peretti chiama
"pericopi".
Il confronto di
queste pericopi
con
quelle
di id?ntico
ar
gomento
ricorrenti in numer?se
opere antologiche
d?lia tarda
antichit?, come,
tanto
per
fare
un
esempio,
Y
Antolog?a
di Sto
1
A.
Peretti, Teognide
nella tradizione
gnomologica,
Pisa 1953. Hanno
cercato di conf?tame le tesi H.
Rahn,
Gnomon
28, 1956, p.
92
sgg.
e J.
Carri?re,
A
propos
d'un
grand
livre et d'un
petit papyrus',
Rev. et.
gr.
85, 1962, pp.
37-44. Cfr. la
replica
del
Peretti,
A
proposito
del
papiro
di
Teognide*,
Maia
19, 1967, pp.
113-153.
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beo,
proverebbe,
data l'identit?
degli
schemi,
la comune deri
vazione di
queste
tarde
antologie
e della
silloge teognidea
da
fonti
gnomologiche
comuni,
vale a dire da
repertori
di sentenze
in versi che dovettero
essere in circolazione
a
partir?
dall'et?
ellenistica in
poi
e
che,
del
resto,
furono messe a
profitto
anche
da autori
originali
come
Plutarco, ogni quai
volta avessero n?
cessita di ricorrere a citazioni
poetiche.
Dalla
sua
origine gnomologica
deriverebbe alla nostra sil
loge
non soltanto la mancanza di uno
sviluppo l?gico
delle
idee,
ma anche l'estrema facilita con cui
vengono
attribuiti a Teo
gnide
versi non
teognidei:
le
gnomologie
ellenistiche, per
la
loro stessa
natura,
incorrevano continuamente in errori di at
tribuzione.
Anzi,
secondo il
Peretti,
sarebbe assurdo
supporre
che
gli
unici versi non
teognidei
contenuti nella
silloge
siano
quelli
che
per
caso
sappiamo
essere di altro
poeta, per
Tespres
sa testimonianza di
questa
o
quella
fonte
indiretta,
e
quelli
e
videntemente
non autentici
per precisi argomenti
di ordine in
terno o esterno: ? in vece sicuro che la
silloge contenga
moltis
simi altri
passi
non
teognidei,
la cui identificazione ?
per?
im
possible.
In
questo
senso
lanalisi del Peretti conduce a con
clusioni di
agnosticismo
e si
oppone
tanto alla
posizione
con
servatrice dei critici
anglosassoni,
che rivendicano in blocco
a
Teognide
tutto il contenuto della
silloge2, quanto
ai tentativi
ingegnosi
di
sceverare senza residui ci? che ?
teognideo
da ci?
che
non
lo ?3.
Di
primo
acchito
una situazione del
genere
sembra addi
2
Vedi E.
Harrison,
Studies in
Theognis, Cambridge 1902;
T. Hudson
Williams,
The
Elegies of Theognis
and other
elegies
included in the Theo
gnidean sylloge,
London
1910;
cfr. infine la
prefazione
all'edizione di Teo
gnide
del
1961,
curata
per
la Bibliotheca Teubneriana da D.
Young, pp.
X-XII: il critico scozzese rivendica addirittura a
Teognide
anche i
passi
che
l'esplicita
testimonianza di autori antichi attribuisce ad altri
poeti,
dal momento che "constat
quidem poetis antiquis
moris fuisse versus
priorum aequaliumque
vel
usurpare
vel
respicere
vel
aperte detorquere",
e non trova difiicolt? nelle continue
ripetizioni,
che si incontrano nella
silloge,
di intere
sequenze
di versi: "ut aliorum
poetarum
versus non
nullos,
sic suos interdum retractavit
Theognis,
ea ratione ut vel novo
sensu donaret vel aliis in novo contextu adnectens callida
quadam
iun
ctura facer? t novos".
3
Vedi ad
esempio
F.
Jacoby, Theognis', Sitzungsber.
Preuss. Akad.
1931, p.
88
sgg.,
il
quale
considera autentici anche nella
disposizione,
salvo
qualche
carme
interpolato,
i
w.
1-254,
attribuisce i vv. 255-756 ad un
ignoto
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rittura
disperata, p>er
chi abbia l'intenzione di condurre
una
ricerca di ordine sem?ntico su
Teognide.
Infatti,
anche
togliendo
preliminarmente
di mezzo tutti i
passi
che
sappiamo apparte
nenti ad altri
poeti
e
quelli
che
per ragioni
di forma
o di con
tenuto non
possono palesemente
risalire all'et?
arcaica,
ci tro
veremo ancora di fronte ad
un
corpus
elegiaco
le cui varie
parti
non ci daranno alcuna
garanzia
di
autenticit?,
non solo
nel senso
che
possano
non essere
teognidee,
ma anche nel sen
so assai
pi?
allarmante che
possano
non risalire aU'ambiente
aristocr?tico della
Megara
del VI e
del V sec?lo a. C.
Anzi,
se
quanto
ha af?ermato il Peretti ?
vero,
saremo sicuri ehe in
quel corpus
residuo si annidino distici di
Solone,
di Mimner
mo,
di Tirteo
e
di
altri,
senza alcuna
possibilit?
che siano indi
viduati. Ed allora
quale
sar?
Toggetto
storico della ricerca lin
g?istica?
Non si correr? il rischio di studiare niente al tro che
l'accidentale vocabulario di
un'antologia
di
poeti diversi,
di di
verso ambiente e di diversa
?poca?
La difficolt? ? certamente
grave,
ma non mi sembra insor
montabile
e
quindi
tale da
consigliare
la rinuncia alia ricerca
sem?ntica. Innanzi tutto ce senza
dubbio
un
gruppo
di
elegie
che non
possono
non
risalire allambiente aristocr?tico della
Megara
del VI e del V sec?lo
a. C: intendo riferirmi a tutte
quelle
che alludono all'ascesa al
potere
econ?mico e
politico
di una nuova classe ed
all'aspra
lotta tra
questultima
e la
vecchia aristocrazia terriera. Simili vicende e contrasti son?
largamente
documentati
per
la
Megara
del
tempo
di
Teognide
e
dei decenni
seguenti
dalle concordi testimonianze di
Aristotele,
Plutarco
e Tucidide4: non sembra
perianto ragionevole
dubitare
dellorigine
almeno
megarese,
se non
proprio
in
ogni
caso teo
poeta
ateniese della fine del V
sec?lo,
i w. 757-1230 ad un
poeta megarese
piu giovane
di
Teognide,
ritiene i w. 1000-1230 niente altro che un centone
di
doppioni
e attribuisce i w. 1231-1388
(cio?
il 1.
2)
ancora ad un altro
ignoto.
Per
un'esposizione
analitica della storia della
Theognisfrage,
cfr.
J.
Carri?re, Th?ognis
de
M?gare.
Etude sur le recueil
?l?giaque
attribu?
? ce
po?te,
Paris 1948.
4
Sulle violenze ed
ill?galit?
della
plebe
a
Megara
nel VI
sec?lo,
cfr.
Aristot. Pol
4, 15,
1300
a,
17
sg.; 5, 3,
1302
b,
30
sg.; 5, 5,
1304
b,
34
sgg.;
Plut. Hellenica
18;
Thuc.
4,
66-74. Cfr. anche A.A.
Trever,
The intimate
relation between economic and
political
conditions in
history,
as illu
strated in ancient
Megara',
Class. PhiloL
20, 1925, pp.
115-132.
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gnidea,
delle
elegie,
di
sapore prettamente arcaico,
che si riferi
scono a fatti del
genere,
tanto
pi?
che a nessuno dei
poeti
arcaici a noi
noti,
dato il loro
contenuto,
sarebbero attribuibili.
D'altra
parte
non
sarebbe
possibile restringere
aile
elegie
suddette
l'indagine ling?istica:
a
parte l'esiguit?
del loro nume
ro, esse,
vertendo tutte sullo stesso
argomento,
costituirebbero
un
campo
di
indagine troppo
unilaterale
e
le conclusioni relative
sarebbero
gravemente parziali.
Nello stesso
tempo
non ? in
alcun modo ammissibile
prescindere
da tutte le
elegie
il cui
contenuto ? costituito da
insegnamenti
di morale
astratta,
solo
perch?
tra
queste
se ne
nascondono di
spurie:
nel loro com
plesso
esse sono la
parte
di
gran lunga pi?
estesa della
silloge
e
parimenti
dovettero
apparire
il momento saliente della
poes?a
teognidea,
se Isocrate afferma che
Teognide
fu,
insieme ad Esio
do
e
Focilide,
tra i
migliori consiglieri
per
la vita umana con le
sue
imod?jxai5,
e lo stesso vocabolo unitamente a
yvopm
e
yv^>
{jLoXoyia
usa la Suda sotto la voce
??oyvi<; per
indicare
Topera
di
questo poeta.
Dunque
l'analisi sem?ntica dovr?
essere estesa anche alie
elegie
di contenuto
puramente etico,
nonostante l'ombra di dub
bio che
grava
sull'autenticit? di ciascuna di esse considerata in
se
stessa,
purch?
si osservino determinate
precauzioni
di ordine
metodol?gico,
in
rapporto
alia natura tutta
particolare
della sil
loge:
saranno
perci?
da evitare
argomentazioni
sulla
lingua
teo
gnidea
che si fondino sulla
terminolog?a
di
un
passo sing?lo,
potranno
senz'altro essere accettate
per
ver? tutte le conclusioni
che derivino dalla concordanza sem?ntica di un
gran
numero di
occorrenze del vocabolo di volta in volta
preso
in considerazione.
Anzi,
una volta individuato con tale
procedimento
il sistema
della
terminolog?a sociopolitica
di
Teognide,
sar?
possibile
ve
rificare la
congruenza
con esso
dei
singoli passi
e
portare
un
nuovo contributo alia soluzione della
"questione teognidea",
que
sta volta sulla base della ricerca sem?ntica.
La
poesia
di
Teognide sembra,
da un certo
punto
di
vista,
uno sforzo tormentoso di
giungere
alia definizione di due cate
5
Isoer. Ad Nie.
43;
cfr.
?TcodTQa-oiJiai
al v. 27 della
silloge.
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gorie
umane in radicale
antitesi,
quella degli ?ya?oi (o iat?Xoi)
e
quella
dei xaxo?
(o Zzikoi).
Intorno
a
queste
due
coppie
sinoni
miche tra loro
contrapposte
ruota
perennemente
il
pensiero
del
poeta
e
per
lo
pi?
? su una di
quelle quattro parole
ehe
poggia
l'accento
l?gico
della frase. Basta del resto un
rilievo statistico
a
renderci chiara
Timportanza
tutta
particolare
che
?yafro?,
ia
?Xo?, xaxo?, SelXo?
hanno nella
nos tra
silloge:
se diamo un'oc
chiata aile voci
corrispondenti
sul lessico della
poesia
arcaica
recentemente
compilato
dal
Fatouros6,
ci
accorgiamo
immedia
tamente che le occorrenze
teognidee
sono circa la meta di tutte
le altre messe insieme.
Sempre
a titolo indicativo ? da tener
presente che,
ad
esempio, Taggettivo ?yado?
nelle sue varie for
me
ricorre in tutta Y Iliade circa 87
volte7,
in tutta YOdissea
circa
388,
mentre Y Index curato dal
Young
in
appendice
alla sua
edizione di
Teognide registra per
la sola
silloge
87
occorrenze,
cio? tante
quante quelle
delFintera
Iliade,
nella
quale,
come ?
evidente,
il vocabolo
?ya&o?
non
occupa
certo un
posto margi
nale 9.
A
prima vista, per?, ?ya??oc, -?cr&Xo?;
e
xaxo?-SsiXo?
non sem
brano usati nella
silloge
sempre
con lo stesso
significato.
Chimi
que
legga Teognide,
non
pu?
non
riportare
nettissima
l'impres
sione che essi alcune volte siano usati in senso
morale,
e
signi
fichino
rispettivamente
"buono"
e
"cattivo",
altre volte siano
usati in senso
politico,
e
significhino
n?
pi?
n? meno che "nobile"
e
"plebeo".
In linea di
massima,
la critica
filol?gica
su
Teognide
non ?
af?atto andata al di l? di
questa prima impressione,
ammettendo
senzaltro che
?yafto?-iv??'ko?
e
xocxo?-SeiXo? presentino
due
signi
ficati del tutto diversi a
seconda dei contesti. Per
giunta gli
Stu
diosi hanno
generalmente
tenuto un
atteggiamento
di dif?idenza
6
G.
Fatouros,
Index verborum zur
fr?hgriechischen Lyrik,
Heidel
berg
1966.
7
Cfr. G.
Lushington Prendergast,
A
complete
concordance to the
Iliad
of Homer,
New edition
completely
revised and
enlarged by
B. Mar
zullo,
Hildesheim 1962.
8
Cfr. H.
Dunbar,
A
complete
concordance to the
Odyssey of Homer,
New edition
completely
revised and
enlarged by
B.
Marzullo,
Hildesheim
1962.
9
Nella
lingua
di Omero
?yaft?c,
?
l'aggettivo per
mezzo del
quale
viene,
al momento
opportuno,
sottolineata l'eccellenza eroica di
questo
o
quel personaggio.
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nei confronti dell'autenticit? di tutti i
passi
della
silloge,
in cui
gli aggettivi
in
questione
sono
impiegati
ai fini della valutazione
etica
deirindividuo, quasi
che si traitasse di un uso
inconcepibile
nell'et? arcaica e che un
poeta
aristocr?tico del VI o V sec?lo
a. C. non
potesse adoperarli
altrimenti che nel senso strettamente
politico
di "nobile"
e
"plebeo".
Ora,
attraverso l'analisi che
segue,
mi
propongo
di dimo
strare due cose:
1)
che
l'impiego
di
?ya?o?, ?crfrXo?, xax?c, Szik?c
ai fini di una valutazione etica del
sing?lo
individuo,
con il
riferimento
esplicito
ad una serie di doveri
sociali,
non solo non
?
inconcepibile
nel VI sec?lo a.
C,
ma
risulta addirittura
provato
dal confronto di
Teognide
con
Pindaro,
le cui odi
contengono
la stessa
precettistica
della
silloge,
che
dunque
si
pu?
identificare
con la rcaiSeia aristocr?tica della tarda
arcaicit?; 2) che,
se ?
certamente
legittimo distinguere
in
Teognide
due diversi usi dei
quattro aggettivi,
in direzione etica e in direzione
politico-sociale,
in ultima analisi
non si tratta
pero
di una vera e
propria poli
semia,
ma di determinazioni diverse neU'ambito di frasi diverse
di un ?nico
significato:
che,
in altri
termini,
sarebbe
opportuno
tradurre
sempre
con
lo stesso
aggettivo
italiano,
purch?
scelto
bene, ?ya???c,
ed
?cDXo?
di
Teognide,
e
parimenti xax?c
e
SelX?c;,
indipendentemente
dal
significato
concreto della
frase,
dal
mo
mento che la nozione che essi
esprimono
?
sempre
id?ntica
a se
stessa.
Dunque
elencher? in forma schematica diversi
precetti
etici
ai
quali,
nella
silloge teognidea,
si connettono le
qualifiche
di
?ya&o?-?crdXo?
e di
xax?c-SeiXcx;
e in
ogni
caso indicher?
passi
di
Pindaro in cui sia
proclamato
lo stesso
imperativo morale,
con
o senza
l'esplicito
riferimento ad uno
degli aggettivi
in esame:
a) L'?ya?o?
non ? maldicente:
Teognide,
vv.
611-614: "non ? difficile biasimare o
lodare il
vicino:
queste
cose interessano i Bziko?. I xaxo? non
vogliono
tacere e vanno
dicendo
malignit?,
ma
gli ayado?
sanno tenere
la misura in tutto".
Pindaro
an?logamente
afferma di voler evitare la
xaxayop?a
e di non voler
seguir? l'esempio
di
Archiloco, ipoysp?c per
eccel
lenza
(Pyth. 2,52-56);
ammonisce che la sventura
coglie
chi ?
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xaxayopo?
nei confronti
degli
dei
{01. 1,53);
dice che ? facile
per
r?ya?o?
lodare chi ? meritevole
(Isth. 8,69).
b) L'?yadcx;
? leale:
Teognide,
vv. 65-68: "conoscerai l'animo
degli oi?upoi10,
co
rne nelle loro azioni non ci sia
lealt?,
ma amino
gli inganni
e i
raggiri,
corne uomini
perduti";
vv. 69-72:
"Cirno,
non
prendere
mai decisioni insieme ad
un
xaxo?,
fidandoti di
lui,
quando
vuoi
compiere un'opera importante,
ma decidi recandoti da un
?crdX?c".
Pindaro, Pyth.
2,81-82:
"?
impossibile
che il cittadino sleale
(SoXio?) pronunci
fra
gli ayado?
una
parola
efficace: scodinzo
lando indiferentemente all'indirizzo di
tutti,
non
fa che tramare".
c) L'?yado?
? riconoscente:
Teognide,
vv.
105-112: "assai vana ? la
gratitudine
che ri
scuote chi fa del bene ai SelXo?: ? la stessa cosa che seminare la
distesa del bianco mare. N? infatti seminando il mare racco
glieresti
molta
messe,
n? facendo del bene ai xaxo? riceveresti
del bene in cambio: infatti i xaxo? hanno un
appetito
insaziabile
e,
se
sbagli
una
volta,
va in
fumo la riconoscenza
per
tutti i
precedenti benefici;
gli ayadoi
invece
godono
in sommo
grado
del
beneficio ricevuto e
mantengono poi
il ricordo di esso e la
gratitudine".
Cfr. anche i vv. 853-854 e
955-956.
Pindaro,
Pyth.
2,21-24:
"si dice che Issione
per
prescrizione
divina
questo insegni
ai
mortali,
mentre ? volto in
ogni
senso
nella ruota vorticosa:
ripagare
il benefattore con
splendidi
com
pensi";
Ol.
4,4-5:
"gli
zairXoi
accolgono
subito con
gioia
la dolce
notizia che i loro
ospiti compiono
azioni
gloriose".
d) L'?ya?o?
odia la
tt?pic
ed ama
la
S?xtq:
Teognide,
vv.
43-46: "nessuna citt?
mai,
o
Cirno,
mandarono
in rovina
gli ayado?,
ma
quando
ai xaxo?
piaccia infrangere
la
giustizia (u?piCav),
rovinano il
pop?lo
e
danno
ragione
a
chi ha
torto
(S?xac
aS?xoiaa
SiSo?ci)11,
a
scopo
di lucro
e
di
potenza";
vv.
54-58:
"quelli
che
poco
fa non conoscevano n? S?xai n?
v?jjlol,
ma
portavano
intorno ai fianchi
pelli
di
capra
e
pascolavano
come cervi fuori da
questa citt?,
ecco che ora son?
ayado?,
o
10
In
questo passo ?i?upoi,
riferendos? ai villani rifatti
che, ignari
di
ogni
norma
morale,
si sono
improwisati ?yadoi,
? sin?nimo di xaxo? o
SeiXo?.
11
Cfr. Hes.
Op. 37-39, 225-227,
270-272.
13
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Polipaide;
e
quelli
che
prima
erano
icrftkol,
ora son?
SeiXol"
12;
vv. 147-148: "nella
giustizia (Sixaiocwiq)
risiede tutta intera la
virt?
(apETT)),
ed
ogni
uomo ?
?yado?,
o
Cirno,
purch?
sia
giusto
(S?xaioc)"
13. Cfr. anche
vv. 393-400.
Pindaro,
Pyth.
4,284-285:
Demofilo "ha
appreso
a
odiare
lo
u?piCoov,
non contendendo con
gli ayafro?" (che,
dunque,
son?
il contrario
degli u?piCovTsc);
01.
7,
90-92:
Diagora "percorre
una via nemica alia
u?pic,
ben conoscendo i
principi
che
gli
son?
suggeriti
dalla rettitudine ereditata da antenati
ayado?".
e)
L'
?yad?c
? forte nella
s ven tura:
Teognide,
vv. 319-322: "1'
aya&cx;
ha
sempre
animo
saldo,
o
Cirno,
e mostra
coraggio
tanto nella sventura
quanto
nella for
tuna. Ma se la divinit?
largisce
abbondanza e
ricchezza al
xocx?c,
questi
da stolto
(acppa?vwv)
non sa
sopportare
la miseria". Cfr.
anche
vv.
393-400, 657-658, 1025-1026, 441-446,
1029-1030.
Pindaro,
Pyth.
3,
81-83: "insieme ad un
bene
gli
immortali
danno ai mortali due mali. Gli stolti
(v?jmoi)
non riescono a
12
Dal contesto risulta
dunque
chiaro ehe
l'espressione "quelli
ehe
poco fa
non conoscevano n? Sixai n?
v?u-oi,
ma
portavano
ecc." ? una
perifrasi
che viene in sostanza a
significare
oi
nplv
xaxo? o o?
Ttplv
Sziko?.
13
L'autenticit? di
questo
distico ? stata revocata in dubbio da F. Ja
coby, Sitzungsber.
Preuss. Akad.
1931, p.
158
sgg.;
H.
Usener,
Neue Jahrb.
f.
klass. Philol
117, p.
69
(=
Kleine
Schriften I, p. 248);
P.
Friedl?nder,
Hermes
48, 1913, p.
587 n.
1;
J.
Kroll, Theognis-Interpretationen', Philologus
Supplb. 29, 1936, p.
218
sgg.;
A.
Peretti, Teognide
nella
tradizione gnomo
logica, p.
342. In real ta vi sono due
argomenti
validi
per sospettare
che il distico sia
spurio:
da una
parte
le fonti indirette lo citano come
un
proverbio
an?nimo
(solo
una di esse
indica dubitativamente come au
tore o
Teognide
o
Focilide);
dall'altra la
parola Sixaiocr?vT)
? sconosciuta
ad
Omero,
ad Esiodo ed a tutta la lirica arcaica. Non mi sembra invece
accettabile la tesi che sia
inconcepibile
in
Teognide
l'identificazione di
?yafro?
e
Sixato? (Friedl?nder) o,
pi?
in
gen?rale, "questa posizione premi
nente della
Sixaioo-?vr)" (Peretti): proprio
i vv. 43-46 e 54-58 ci hanno di
mostrato che la conoscenza ed il
rispetto
della
S?ctq
son?
per Teognide
gli
elementi distintivi
deir?yado?
dal
xax?c.
Del
resto,
sull'importanza
data
al
rispetto
della
Slxtq
dalla -nmSs?a
aristocr?tica,
cfr. W.
Jaeger,
Paideia
I,
trad. it. Firenze
21953, pp.
200-207 e 370:
quando
le classi inferiori
posero
il
problema
del diritto
scritto,
si orientarono verso il vocabolo
S?cti,
che
divenne il loro
slogan
in
contrapposizione
alia norma consuetudinaria e non
scritta
(d?fjiic),
a cui si riferivano i
giudici aristocratici;
ma in
prosieguo
di
tempo
l'id?ale della
S?xt]
fu assunto in
pieno,
naturalmente in chiave
conservatrice,
dall'etica
aristocr?tica,
che ne fece
quasi
il suo centro
ideale. Il
Jaeger
? addirittura
propenso
a ritenere autentico il distico
147-148
(cfr. p. 370).
14
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sopportarli
con
decoro,
ma vi riescono
gli ayoc&o?,
metiendo in
evidenza
l'aspetto positivo
".
f
)
V
?yado?
ha il senso della misura:
Teognide,
vv.
615-616: "tra
gli
uomini di
oggi
il sole non
ne
vede
nessuno del tutto
?ya&o?
e misurato
(n?xpio?)"
14. Cfr.
anche vv. 611-614 15.
Pindaro,
Pyth.
2,
34: "? necessario osservare la misura
(l?t?xpov)
in
ogni
cosa,
secondo le
proprie possibilit?".
Il
principio
del
pixpov
deve
essere
rispettato
anche nel be
re: "bere vino ? molto
maie;
ma se uno lo beve
con
modera
zione
(smcTTayivtt?;)
non ?
xaxo?,
ma
?yoc&o?"
(Teognide,
vv. 211
212
=
509-510;
cfr. anche
497-498, 837-840, 971-972)16.
Questo
non vuole essere un elenco
completo
di tutti
gli
im
perativi
etici al cui
rispetto
?
subordinata,
nella
silloge teogni
dea,
la
qualifica
di
?yado?-ao-?Xo?,
ma soltanto
un'esemplificazione
che,
corroborata dal confronto
con
Pindaro,
provi
in maniera
definitiva l'autenticit?
dell'impiego
etico di
?yoc&o?-?crdXo?
e di
xaxo?-SstXcx;:
se dovessimo considerare autentici solo i
passi
in
cui
questi aggettivi
sembrano a
prima
vista usati
come
pura
e
semplice
etichetta
sociale, prima
di tutto ci troveremmo a dover
espungere
corne
spurii
moltissimi
distici,
sui
quali
il dubbio
sarebbe da tutti
gli
altri
punti
di vista
gratuito,
e
poi
non ci
renderemmo
pi?
conto della
qualifica
di
?-rcoftfixai
data da Iso
crate aile
po?sie
di
Teognide
(cfr.
n.
5),
dato che le
?TO&f?xai
della nostra
silloge
sono in
complesso pres?ntate
come altret
14
Riguardo
a
questo
vocabolo cfr. E.
Harrison,
Studies in
Theognis,
p.
197
sgg.
15
Gi? citati alia lettera
a),
a
proposito
della maldicenza.
16
Considero
xaxo?
e
?yado?
del v. 212 riferiti
a
tic:
cos? intendono
anche Hudson-Williams
e
Garzya,
mentre B. A. van
Groningen, Th?ognis,
Amsterdam
1966, p. 82,
li considera
predicati
nominali di
o?vo?.
Non mi
sembra
legittimo
trarre
argomento
a
vantaggio
di
questa
seconda inter
pretazione
dal fatto che ai
vv. 509-510
(quasi uguali
ai
vv.
211-212)
si trovino
le forme neutre xax?v e
ayad?v.
Per la connessione tra
qualifica
di
?yado?
e
misura nel
bere,
cfr. anche i vv. 485486
(facenti parte dell'elegia
convi
viale attribuita ad Eveno di
Paro),
in cui farsi trascinare
dall'ingordigia
a bere
troppo
vino ? considerato caratteristica del
xaxo?
servitore a
gior
nata.
15
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tante definizioni
parziali
della nozione di
ayaz)?<;-?<7z)X,?<;.
Del resto ?
proprio
in
Pindaro,
nell'ode
Ol?mpica
II,
che la
precettistica
aristocr?tica culmina nell'affermazione di un
pre
mio
eterno,
concesso
dagli
dei ai buoni
dopo
la
morte,
e che
T
aggettivo ?crXo?
? assunto in senso
squisitamente
etico,
nel
l'ambito di una
dottrina
escatologica
certo non
chiara nei det
tagli,
ma chiarissima nel fondamentale
postulato
di un
regno
dell'oltretomba,
in cui ? riservata la felicita ai
giusti
e
il tor
mento ai
malvagi:
"le anime scellerate
(?-rcaXo^xvoi cpp?vE?)
dei
defunti
qui
subito
pagano
il
fio,
e c'? chi sotto terra
giudica
le
malvagit? (x? aknp?)
commesse in
questo regno
di
Giove, pro
nunciando la sua sentenza in base ad una n?cessita
tremenda;
invece i buoni
(?cXoi)
in notti
sempre uguali,
in
giorni uguali
godendo
la luce del
sole,
trascorrono una vita senza fatiche
e
non tormentano con le loro braccia il suolo n?
l'acqua
del mare
per
un
miserabile tenore di
vita;
ma tra coloro che son? ono
rati
dagli dei, quanti gioirono
della fedelt? ai
giuramenti
(s?op
x?cu)
trascorrono una vita senza lacrime ..."
(01. 2, 57-67).
In
sostanza,
nel
linguaggio
aristocr?tico del VI e del V se
c?lo a.
C, aycd)?<;
-
?crdX?c
? colui che ha assimilato la
yv?p/r],
la
naiSe?oc aristocr?tica:
l'aggettivo quindi
ha
perduto
il
significato
amorale,
che aveva in
Omero,
di
"forte,
eccellente" e ne ha in
vece assunto uno
che rientra senza residui nel
giudizio
etico e
religioso; perch?
un uomo
possa
essere considerato
"valente",
"di
pregio", "degno
di
ammirazione",
non basta che sia
capace
di
superare
gli
altri nel
maneggio
delle armi o nell'uso della
astuzia e
dell'eloquenza,
ma ? in
primo luogo
necessario che
subordini il
proprio agir?,
laffermazione della sua
personalit?,
ad un vero e
proprio
sistema di
norme,
sulla cui osservanza
riposa
la
pace
sociale. E
qui
? anche la limitazione classistica
della nozione di
?yocdo?
-
scr?Xo?: questo
sistema di norme
etiche,
cio? la tcouSe?oc
aristocr?tica,
espressione ideol?gica degli
inte
ressi costituiti di
quella classe,
? assimilabile solo attraverso
la
frequentazione
continua di chi
gi?
?
?yado?,
cio?
appunto
degli
aristocratici.
Su
questo punto Teognide
non si stanca di insistere. Chi
vuole divenire
e
mantenersi
?ya&o?,
deve cercare la
compagnia
degli ?ya?oi;
il
poeta
stesso ha
appreso
dagli ?yccdoi, quando
ancora era
iza?c,,
quelle
norme
che ora trasmette a Cirno: "Ani
mate da
affetto,
ti
impartira gli insegnamenti
che io
stesso,
o
16
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Cirno,
ancora adolescente
(nm?), appresi dagli ?ya?oi:
sii
saggio
e non ricercare onori
e
ricchezza con azioni
turpi
e
ingiuste.
Tieni senz'altro
presenti queste
cose;
e
d'altra
parte
non fre
quentare,
i
xaxo?,
ma tieniti
sempre
al flanco
degli ?yadoi
e con
loro bevi e
mangia
e con loro siedi e cerca di
piacere
a
loro,
che hanno
grande potere17.
Infatti
dagli
?cdXoi
apprenderai
il
bene
(iadX?);
ma se ti mescolerai con i
xaxo?,
perderai
anche
il senno che hai.
Compreso questo, fr?quenta gli ?ya?oi
e un
giorno
riconoscerai che io ben
consiglio gli
amici"
(vv. 27-38).
Estremamente vicine a
queste
di
Teognide
sono le
parole
con cui Pindaro conclude la Pitica
II,
vera summa della
precet
tistica aristocr?tica: aS?vTa 8'
dr\ \xz to?? ?yado?? ojxiXe?v,
"mi fos
se concesso di
frequentare gli ayado?, piacendo
loro". I verbi
?vSavEiv e
o^llXe?v
e
il sostantivo
?yadoi
ricorrono anche nel
passo
teognideo.
Ai vv.
305-308,
Teognide
torna sullo stesso
concetto,
speci
ficando che esiste il concreto
pericolo,
anche
per
chi non lo
sarebbe
per natura,
di divenire
xaxo?
frequentando
i xaxo?:
"Non tutti i xaxo? sono nati xaxo? dal ventre della
madre,
ma,
avendo stretta amicizia con uomini
xaxo?,
hanno
imparato
azioni
vili
(SsiX?)
e
parole ingiuriose
e la tracotanza
(??pic),
ritenendo
17
?v5av? tout
',
&v
\xzyakr\ S?vajuc:
Tallusione alla
potenza
sociale de
gli ayaM
denuncia in modo
quanto
mai chiaro la limitazione classistica
dell'area di
applicabilit? dell'aggettivo:
in
questi
versi
?yadoi
-
?crdXoi e
xaxo? assumono un
significato
eminentemente
etico,
dal momento che
chi m?rita la
prima qualifica
?
capace
di
insegnare
il bene e la
giustizia,
chi m?rita la seconda ? un
corruttore; eppure
hanno nello stesso
tempo
un
significato politico-sociale,
se ? vero che
gli ?yaM
-
?oi)Xoi
posseggono,
oltre che
saggezza, potenza, perch? ?yado? pu?
essere solo l'aristocratico.
Anche
Solone,
in un frammento citato da Aristotele
(Ath. Resp. 12, 1)
e
da Plutarco
(Sol. 18), per
indicare
gli
aristocratici in
contrapposizione
al
Sfpo?,
usa
l'espressione:
o?
5'e?xov
8uvau.iv xal
xp^M^o ?faav ?yiQTO? (fr.
5
D.).
Stranamente il
Garzya
traduce cosi i
vv. 32-34 di
Teognide:
"tieniti
ai
buoni,
e con essi bevi e
mangia
e fra essi siedi e con essi cerca di
piacere
a
chi ha
gran potere".
Il
Garzya
cio? sottintende anche
per
il
verbo ?v?ave il
complemento
di
compagnia p,zx?
to?ctl
(?yaM?)
e
distingue
inopportunamente dagli ?yaftoi quelli
che hanno
gran potere,
ai
quali
Cir
no deve
piacere:
mi sembra
che,
da una
parte,
la struttura m?trica dei
vv.
33-34,
che insiste tre volte su tolctl mediante la
pausa, imponga
di dare
al
pronome sempre
lo stesso
significato,
riferendolo ad
?yado?,
e
che,
dall'altra,
risulterebbe
inspiegabile,
sul
piano dell'ideologia
aristocr?tica
di
Teognide,
la
presenza,
mai affermata
altrove,
di una
categor?a
di
po
tenti a
cui
gli ?yaf?oi
dovrebbero cercare di
piacere (cfr.
A.
Garzya,
Teo
gnide: Elegie,
Libri I-I
I,
Firenze
1958).
17
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che
quelli parlassero
sempre
bene".
Se i vv.
27-38,
con l'inciso
wv
?X?y?Xiq 8?va[xi<;, provano
che
ayafr?c pu?
essere solo chi
appartiene
alla classe
aristocr?tica,
i vv. 305-308 dimostrano
pero
che nel
linguaggio teognideo ?yoc
do? non
significa
senz'altro
"aristocratici",
"appartenenti
alia
classe aristocr?tica": essi dicono infatti che anche chi ? nato
?ya&o? pu?
divenire
xax?c
in
conseguenza
del suo
comporta
ment?. In altri
termini, ?yocdo?
-
iadX?c,
e
xax?c
-
SeiX??;
son? sostan
zialmente
qualifiche
di ordine
morale,
che
implicano
certi
pre
supposti
di ordine sociale.
Tanto in
Teognide quanto
in Pindaro ? dato
per
scontato
che, per
assimilare la ^ouSelcc aristocr?tica e
comportarsi
con
seguentemente,
occorrono due condizioni
preliminari,
il
y?vo?
e il
tcXooto?,
che sono nello stesso
tempo
le due condizioni im
prescindibili
delF
appartenenza
alla classe aristocr?tica.
Gi?
nelYlliade,
condizione e
auspicio
dell'essere
?yafro?
?
discendere da
?yadoi18. Teognide,
nonostante Farricchimento
se
m?ntico in senso etico che
Faggettivo
denuncia nei suoi
versi,
? esattamente sulla stessa linea e
per questo
si
scaglia
contro
i matrimoni tra aristocratici e
borghesi.
Provocati dal desiderio
dei
primi
di soccorrere le decadenti
propri?t?
avite con
Fap
porto
della ricchezza dei
secondi,
i matrimoni misti sono il
sintomo delFaffievolirsi dello
spirito
di casta dei nobili e del
loro decadere come classe dominante:
"Cerchiamo,
o
Cirno,
arieti e asini e
cavalli di razza
(E?yev?a?)
e
desideriamo caval
care su
animali ehe discendano da
?ya&oi;
invece un
?cn)X?<;
non
si fa
scrupolo
di
sposare
una
xocxt),
figlia
di un
xaxo?,
purch?
gli porti
moite
ricchezze,
n? una donna rifiuta di essere
sposa
di un
xaxo? ricco,
bensi desidera
un ricco
piuttosto
che
un
?ya&o?.
Hanno in
pregio
il danaro: e F
?crdXcx; sposa
la
figlia
di
un
xocxo?
ed il
xaxo?
la
figlia
di
un
?ya?o?:
la ricchezza
(hXooto?)
ha mischiato il
y?vo?.
Perci? non
meravigliarti, Polipaide,
che il
y?vo?
dei cittadini sia offuscato: infatti ci? che ? nobile
(?d)Xa)
si mescola con ci? che ? vile
(xax?)" (vv. 183-192)19.
18
La connessione tra
qualifica
di
?yado?
-
?o-dX?c
ed
appartenenza
ad
un
y?vo? nobile,
? messa in evidenza nell'Iliade da tutti
quei passi,
in cui
il fatto che il
padre
sia
?yado?;
-
?crdXo?
?
presentato
corne
garanzia
di vir
t?
an?loga
nel
figlio:
cfr. II.
6, 476-479; 14,
113-114 e 126-127.
19
Cfr. Eur. fr.
298,
2
sg.
N.2
(B?lier.):
o?S'&v ?x
u-T}Tpoc; xax?j?
ienXoi
y?voLVTO toiSe?.
18
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In
questo passo
risulta evidentissimo che
?yado?
-
?<n)X?<;
e
xaxo?
sono nello stesso
tempo
un
giudizio
di valore sul
sing?lo
individuo ed una
qualifica
sociale,
in una inscindibile unit? di
significato;
eliminare
uno dei due
aspetti
semantici di
questi
aggettivi
e tradurre
o con "buono" e "cattivo" o con
"patri
zio" e
"plebeo", significa precludersi
la
possibilit?
di
compren
dere il discorso di
Teognide:
il valore individ?ale ? condizio
nato dal valore della
stirpe
e,
quindi, ?ya?o?
? solo chi discende
da
?yadoi.
Anche Pindaro
non si stanca di sottolineare la
componente
ereditaria nel
comportamento deir?ya&o?:
"essendo stati Ca
store ed il fratello Polluce
ospiti
di
Panfae,
avo di Trasiclo
e
Antia,
non ?
meraviglia
che
a
questi
ultimi sia connaturato es
sere
atleti
?ya&oi" (Nem. 10, 49-51); "sugli ?yadoi riposa
la
saggia
guida
d?lie
citt?,
ereditata
dagli
avi
(icaTpwiai
xsSval txoX?wv
xu
fcpv?cneO" (Pyth.
10, 71-72)20.
L altra condizione necessaria
per potersi comportare
con
formemente all'etica aristocr?tica ? la ricchezza. Ancora nel IV
sec?lo Aristotele
(Eht.
Nie.
4, 1-6)
affermava
l'importanza
dei
b?ni materiali
per
lo
sviluppo
di certe virt?
morali,
corne la
?JtsyaXoi?p?T?Eia
e
la
?XEuftspiOTTQ?;
ma in
Teognide
la ricchezza ?
addirittura il
presupposto
di
ogni
virt?,
dell'adeguarsi
dell'in
dividuo al modello ideale
proposto
dalla
saggezza nobiliare,
e
per
T
?yado?
non c'? maie
peggiore
della
povert?,
che lo umilia
e,
in fin dei
conti,
lo
corrompe,
impedendogli
di
comportarsi
e
di sentir? come
?yado?:
"Pi? di tutte le cose la
povert?
pro
stra luomo
?yado?, pi?
della canuta
vecchiaia,
o
Cirno,
e
della
febbre. Per
fuggirla dunque
conviene
perfino gettarsi
nel
pro
fondo
mare,
gi?
da
scogli precipiti.
Infatti luomo domato dalla
povert?
non ?
capace
n? di dire n? di fare nulla e la sua
lingua
?
legata. Bisogna
ricercare la liberazione dalla dura
povert?,
sia sulla terra sia
sull'ampio
dorso del mare"
(vv. 173-180)21.
Altre volte
Teognide ripete
lo stesso concetto in una forma
pi?
sint?tica
che,
alla nostra mentalit? moderna influenzata dal
lesperienza
cristiana, appare
paradossale: "agli ?yadoi
si addice
la ricchezza
( tcXoOto?)
e la
povert? (tcv?tq)
sta bene al
xaxo?"
20
Cfr. anche 01.
7, 90-92, gi?
citati a
proposito
dell'odio
per
la
??pic
e
deU'amore
per
la
Slxtq,
che devono caratterizzare
l'?yafto?.
21
Cfr. Hes.
Op.
633-638.
19
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(vv. 525-526);
"se avessi
ricchezze, Simonide,
come una
volta,
non mi
dispiacerebbe frequentare gli aya&o?" (vv. 667-668);
"se
sei
ricco,
molti
gli
amici,
ma se sei
povero, pochi,
e
lo stesso
uomo non ?
pi?
come
prima ?yafro?" (vv. 929-930)n.
Secondo la testimonianza di Plutarco
n, gli
stoici criticarono
Teognide,
e in
particolare
i vv.
175-176,
perch?
sembrava loro
pusillanime
considerare il
pi? grande
dei mali la
povert?
e
non,
come essi
ritenevano,
il male morale
(xax?a);
ma il
punto
di vista
che attribuivano a
Teognide,
non ? una
particolarit?
del suo
pen
siero: ? uno dei cardini
delFideologia
aristocr?tica.
Pindaro, nell'Olimpica
II,
innalza addirittura un
inno al
valore della
ricchezza,
spiegando
che solo
essa
permette
uno
sviluppo integrale
della
persona
umana: "la ricchezza adorna
di virt?
(tcXooto? ?pETaE? 8s8ouSaX[jiivo<;) garantisce
la
possibilit?
di vari?
azioni,
tenendo lontana Fincalzante
profonda
preoccu
pazione,
astro
splendente,
verace
raggio per
Fuomo"
(vv. 53-56);
nella Piuca III
augura quindi
a se stesso il
godimento
di tale
bene: "se
un
dio mi
largisse splendida
ricchezza
(tcXo?to?)
avrei
speranza
di
conseguir? poi
alta
gloria (xX?o?)" (vv. 110-111);
nel
la Nemea IX conclude che il sommo bene
per
Fuomo ? il conse
guimento
della ricchezza e della
gloria
insieme: "se infatti
con
molte ricchezze
raggiunge
un'inclita
gloria (xOSo?),
non ?
poi
possibile
che
un
mortale caichi ancora con i suoi
piedi
altre
vette"
(vv. 46-47)24.
Su un
altro
punto
i
poeti
arcaici di
ispirazione
aristocr?tica
si trovano d'accordo: la ricchezza ? si un
bene,
ma solo se si
sposa
a virt?. Lo stesso
Pindaro,
nel citato
passo
delYOUmpica
22
Gli Ultimi due
passi
citati
sono di dubbia autenticit?. Fanno
parte
rispettivamente dell'elegia 667-682,
dedicata a Simonide ed attribuita dalla
maggior parte
dei critici ad Eveno di
Paro, poeta contempor?neo
di
Socrate,
?
dell'elegia 903-930,
dedicata a
Democle ed attribuita
per
lo
pi?
ad un
ignoto poeta
antico dell'et? di Platone
(il
Cataudella
propone
an
che
per quest'ultima
la
paternit?
di Eveno di
Paro).
Per la
bibliograf?a
sull'argomento,
cfr. le note ai due
passi
nell'edizione di D.
Young (Lipsia
1961) e, inoltre,
Giorn. it.
filol.
class.
6, 1953, p.
310
sgg.
e B. A. van Gronin
gen, Th?ognis, pp.
267-269. I dubbi sull'autenticit?
teognidea
d?lie due
elegie
mi
paiono
nel
complesso legittimi; comunque
i versi riferiti
sull'impor
tanza della ricchezza
son?
di
pretta
intonazione aristocr?tica.
23
Stoic,
rep. 14,1039
f e De comm. not.
22,
1069 d.
24
Sui
rapporti
tra virt? e ricchezza
nell'ideologia
aristocr?tica della
Grecia
arcaica,
cfr. J.
Himebrijk,
Ilsv?a en
tcXo?to?,
Utrecht 1925 e C. Ma
son,
The Ethics
of Wealth,
diss.
Cambridge (Mass.)
1944.
20
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II,
dice: "la ricchezza adorna di virt?"
e,
subito
dopo, aggiunge:
?i
Se
VLV
?xwv TL?
??Sev t?
[xiXkov:
cio? la ricchezza ?
pregevole
solo se ?
congiunta
al bene
morale,
se chi la
possiede
tiene
presente
il
giudizio
divino
che,
dopo
la
morte, attende, per
il
premio
o la
punizione,
Fanima delFuomo. La stessa condizione
?
posta
con estrema
energia
dalFateniese Solone: "desidero si
av?re ricchezze
(xprpaxa),
ma
impinguarmene ingiustamente (?Si
xw?)
non
voglio;
sempre,
in un secondo
tempo,
la
giustizia (S?xiq)
trionfa"
(fr. 1,
7-8
D.).
Assolutamente della stessa
opinione
? anche
Teognide:
"sii
saggio
e non ricercare onori e
ricchezza
(?<psvo<;)
con azioni
turpi
e
ingiuste (?Sixoi?)" (vv. 29-30); "preferisci
vivere
piamente
con
pochi
b?ni
(xpirpocTa),
che
essere ricco
(i?Xoutelv),
essendoti
con
F
ingiustizia (?Sixtt?) impinguato
di b?ni
(xpiQixaTa rcoccraiievo?)"
(vv. 145-146).
? notevole la
somiglianza
di
quest
ultimo distico
di
Teognide
con
quello
di Solone: le
parole xP^octa, ?Sixco?
e
TtaTeoiJtai
ricorrono nelFuno e nelFaltro. Come ha
giustamente
osservato il
Jaeger,
deve
essere stata
proprio
la
grande
affinit?
tra le idee sulla ricchezza
e
sulla virt? di Solone e
quelle
sullo
stesso tema di
Teognide,
che del resto conobbe ed imito la
poesia
del
legislature
ateniese,
ad
aver
provocato
o, almeno,
favorito
Fattribuzione
a
Teognide,
da
parte
della nostra
silloge,
di tanti
passi
che
appartengono
invece a Solone25.
Dunque
anche
per
Teognide,
come
per
gli
altri
poeti
aristocra
tice
la ricchezza ? un
bene,
anzi il
presupposto
stesso della
virt?,
purch? pero
non si cerchi di
conquistarla
con
Fingiustizia.
Ma
siccome arricchirsi onestamente ? difficile
e
difficile ? resistere
alla tentazione di farlo
disonestamente,
accade che di s?lito la
brama di ricchezze
spinga
al maie:
"neppure
se
cercassi fra
tutti
gli
uomini,
ne
troveresti
tanti,
che una sola nave non li
contenesse
tutti,
sulla cui bocea
e sui cui occhi risieda il
pudore
(aiSdb?)
e
che il desiderio di
guadagno (x?pSo?)
non
spinga
alia
turpitudine" (vv. 83-86).
Non solo il
desiderio,
ma il
possesso
stesso della
ricchezza,
che
alFaydt?c,
come dice
Pindaro,
offre la
possibilit?
di
compiere
azioni
gloriose, spinge
alia
u?pic
chi non ha il senso
della
misura,
25
Cfr. W.
Jaeger,
Paideia cit.
p.
368. F.
Jacoby, Sitzungsber.
Preuss.
Akad.
1931, p.
158
sgg., nega
la
paternit? teognidea
dei w.
145-146,
dei
quali
ho rilevato la
stretta
somiglianza
con Sol. fr.
1,
7-8 D.
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cio? il
xaxo?:
"certo la saziet?
(xopo?)
? causa di
arroganza (??pic),
qualora
tocchi in sorte ricchezza
(?X?oc)
all'uomo
xaxo?
e a chi
non abbia mente sana
"
(vv. 153-154);
"la saziet? mand? in rovina
molti uomini stolti: infatti ? difficile mantenere il senso della mi
sura
([ji?Tpov), quando
si
possiedono
b?ni
(?cr&Xa)" (vv. 693-694).
Di
qui
i molti
passi teognidei imprecanti
contro la brama
di
ricchezza,
vista come corruttrice dell animo umano: essa in
duce a violare la
Sixr\
e,
spingendo
anche
gli ?yaftoi
a
dimenticare
lo
spirito
di casta e
ad unirsi in matrimonio con
figlie
di
xaxo?,
finisce col divenire elemento di disordine sociale e di decadenza
della classe
dirigente.
? cosi che nella
silloge teognidea
trovia
mo,
luna accanto
all'altra,
elegie
che indicano nella
povert?
il
peggiore
dei
mali,
esaltano la
ricchezza,
invitano
T?yadoc;
a cer
carla anche in
paesi lontani,
ed
elegie
che denunciano nel de
siderio di
guadagni dilagante
la causa del decadere della citt?.
Tra i due
atteggiamenti
non
c'? contraddizione
e i
passi
riferiti
precedentemente
lo dimostrano: il
possesso
della ricchez
za ? un
bene,
perch?
solo il ricco
pu? compiutamente esplicare
le virt?
imposte
dalla rcaiSe?a aristocr?tica e
perch?
la
povert?,
col
pungolo
del
bisogno,
avvilisce la vita umana a lotta
per
la
sopravvivenza
e
spinge
irresistibilmente le sue vittime a violare
la
8lxt],
che ? conditio sine
qua
non
dell'essere
?yado?; quest'ul
timo
quindi, qualora
sia caduto in
miseria,
deve
adoperarsi
in
tutti i modi a
riconquistare
la ricchezza
perduta
ed il livello
etico che ad essa si
collega,
ma non deve in
questo
sforzo vio
lare la
S?xtq,
perch?
allora
precipiterebbe
senza rimedio sul
piano
dei
xaxo?;
se
per r?yado?,
che sa
servirsene,
la ricchezza ? un
bene,
mentre la
povert?
? una tremenda
sciagura, per
il
xaxo?,
privo
di
senno e di senso della
misura,
la ricchezza ?
sempre
un
maie:
quando
non la
possiede
e
la
desidera,
perch?
lo
spinge
alla
frode,
quando
la
possiede, perch?
lo rende
arrogante
e non
gli
offre
certo,
data la sua
vilt?
morale,
opportunit?
di azioni
gloriose26.
Dietro a
questa
teor?a c' ? naturalmente Y odio
degli
aristo
26
Cfr. i
w. 683-686: "molti hanno ricchezza
(ttXouto?),
ma non hanno
discernimento;
altri
aspirano
al bene
(x? %ak?),
ma sono
logorati
da una
gravosa povert?; gli
uni e
gli
altri si trovano
neU'impossibilit?
di
agire:
la mancanza di danaro
(xpi^aTa)
? di os tac?lo a
questi,
la mancanza di
senno
(voo?)
a
quelli".
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cratici,
ricchi da
tempo immemorabile,
contro i
borghesi,
nuovi
ricchi;
c'? il contrasto insanabile tra la ricchezza
fondiaria,
che
rischia di
passare
in seconda
linea,
e
la ricchezza
liquida, gua
dagnata
con le audaci
intraprese
economiche.
Teognide,
corne
del resto Solone
e
Pindaro,
quando distingue
la ricchezza
acqui
stata
ingiustamente
da
quella acquistata giustamente,
in realt?
tende a discriminare classisticamente la ricchezza
borghese,
che
a lui
appare conseguita grazie
ad un senso
morale assai
el?stico,
certo non
scrupoloso
nelluso dei mezzi: il diritto ereditario
gli
sembra Tunica via veramente corretta di
appropriarsi
la ric
chezza 27.
Si tratta di un errore di
prospettiva
in cui immancabilmente
incorrono i membri dell'aristocrazia
fondiaria,
quando
il loro
predominio
econ?mico e
politico
sulla societ? comincia ad essere
insidiato dalla nascente
borghesia.
Cosi nel VI sec?lo a. C. in
Grecia,
cosi nel XIII sec?lo d. C. in Italia: Dante mette all'Infer
no,
tra i
peccatori
contro
natura,
gli
"usurai",
cio? i
pi?
illustri
rappresentanti
di
quell'arte
del cambio su cui ormai
riposava
la floridezza econ?mica e la civilt?
comunale;
come
Teognide,
ravvisa il seme
primo
di tutti i mali del suo
tempo,
la causa
della
penosa
decadenza del mondo
cristiano,
nell'
"avarizia",
nel
la corsa alia
ricchezza,
ma nello stesso
tempo
esalta la
dispendio
sa vita "c?rtese" e nel canto XIV del
Purgatorio esprime
l'ama
reggiato rimpianto per
essa,
trovando accenti di alta
poesia,
che
ispireranno
all'Ariosto i
primi
versi d?lYOrlando Furioso.
Certo se si
pongono
a confronto le
elegie
in cui
Teognide
depreca
la
povert?
come una
sciagura
awilente e
quelle
in cui
si
scaglia
contro il desiderio sfrenato di
ricchezza,
si rilevano in
gran
numero
contraddizioni
e
incoerenze;
ma si tratta di
un
gioco
tanto facile
quanto
sterile
e
sarebbe dawero
gratuito
vo
lerne dedurre la
non autenticit? di uno dei due filoni. Ci? che
conta ? che ambedue
gli atteggiamenti
del
poeta
son?
ricondu
cibili ad una stessa etica
e son? sostanzialmente coerenti fra di
loro: costituiscono le due facce di un
giudizio
sulla ricchezza
27
Sul
piano terminol?gico,
non ?
possibile
fare distinzioni seman
tiche tra i vari vocaboli che
significano
"ricchezza":
#<pevo?, x?pSo?, xP^a^cc,
t?Xouto?;, 8X?o<;
sono tutti usati indifferentemente nella
silloge
e
ognuno
di essi
pu?
indicare tanto la ricchezza
acquistata
onestamente
quanto
quella acquistata
disonestamente,
cosi la ricchezza deir
?yado?
corne
quella
del
xaxo?.
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unitario,
anche se
complesso,
che
non ? il
giudizio
del solo Teo
gnide,
ma di tutti i
poeti
aristocratici. La
presenza
di contrad
dizioni
particolari
? del tutto
naturale,
specialmente
in un autore
cos?
impegnato
nella lotta
pol?tica
del suo
tempo:
non ? facile
lodare la ricchezza aristocr?tica e
disprezzare
nello stesso
tempo
quella borghese,
senza cadere in incoerenze
logiche.
Per
spie
garle
non ? necessario tirare in bailo il concetto rom?ntico di
irrazionalit? della
poes?a:
basta considerare il
margine
di
con
traddittoriet? che ? costantemente
presente nelFagire
umano ed
in
particolare
nel
linguaggio,
almeno finch? non si
irrigidisca
in
linguaggio
scientifico.
Dunque ayad?c
-
ed)X?<;
? colui
che,
appartenendo
alla classe
aristocr?tica
per y?vo?
e
7cXouto<;,
ne
ha
compiutamente
assimilato
la
yvwjj/n; xocx?c
-
SsiX??
?
chiunque
sia
privo
di tale
yvc?^xir],
o
perch?,
non
appartenendo
alla classe
aristocr?tica,
non abbia
ricevuto la
TcaiSeta,
o
perch?, pur appartenendo
alla classe ari
stocr?tica
per y?vo?
e
-rcXoOxo?,
non
abbia tratto
giovamento, per
intr?nseca sordit?
morale,
dalFeducazione ricevuta.
? chiaro allora che ci si trova di fronte ad
un
significato
che non ? di ordine n?
puramente
morale n?
puramente
sociale:
?yocfto?
-
?d)X?<;
non ?
semplicemente
F
"aristocr?tico",
ma F ari
stocr?tico fedele alFardua
disciplina
etica,
che ? il
segno
distin
tivo ed il titolo di eccellenza dei membri non
degeneri
della sua
classe; xocxo?
-
SeiXo?
non ?
semplicemente
il
"plebeo",
anzi
pu?
benissimo non essere un
plebeo,
anche se
per
s?lito lo ?:
xaxo?
SsiXo?
?
qualunque
uomo non si sollevi alla
perfezione
etica ad
ditata dalla rcaiSe?a
aristocr?tica,
appannaggio
di una
minoranza
eletta.
Ci troviamo di fronte ad un
significato
che ? nello stesso
tempo
di ordine sociale
e
di ordine
morale,
in
quanto
indica
Fadeguarsi
o meno delFindividuo ad un
modello
ideale, proposto
da una determinata classe sociale ed
attingibile
solo dai suoi
membri. In realt? ? assai difficile trovare nella
lingua
italiana
del nostro
tempo aggettivi
che
esprimano
la stessa nozione di
?yat)o<;
-
?cr&Xo?
e
di
xocxo?
-
Seiko?:
? estraneo alla mentalit? di noi
moderni il concetto che Fetica sia
privilegio
della classe domi
nante,
al
punto
che uno stesso
aggettivo
indichi ad un
tempo
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lappartenenza
a
quest
ultima
e la
congruenza
con
la norma
morale.
Ci
potrebbe
soccorrere la
lingua
italiana dei secoli XIII e
XIV,
con le due
coppie
sinonimiche
gentile
-
c?rtese e
villano
discortese. Anche in
questo
caso
vengono espressi
valori morali
propri
dellaristocrazia:
l'etimologia
stessa dei
quattro aggettivi
ci
riporta
all'ambito sociale. Ma
gentile
-
c?rtese e villano
-
discor
tese non
esprimono
come
?yado?
-
icritXoc,
e
xaxo?
-
SsiX?c
un
giudi
zio totale
e
definitivo sull'individuo: si limitano ad indicare
la
presenza
o
l'assenza di
quelle
certe virt? che l'aristocratico
aspira
a
possedere
in
quanto aristocr?tico,
non
della virt? in
ge
n?rale, Il Medioevo
pu? concepire
ed onorare valori morali che
siano caratteristici della nobilt?
feudale,
classe dominante in
quel periodo
storico, ma,
pervaso
corne ? dal
messaggio
cristia
no e
dal suo
spirito egualitario,
non
pu?
identificare in
questi
valori il fine ultimo della vita umana. ? cosi che nella Divina
Commedia Guido del Duca e Rinieri da
Calboli,
amanti della
"cortesia",
sono incontrati da Dante in un
girone
del
Purgatorio
ad
espiare
i loro
peccati,
mentre San
Francesco,
"marito" della
povert?,
adorna del suo
fulgore l'Empireo.
Per risolvere il
problema pratico
della traduzione in
lingua
italiana di
Teognide, potremmo,
ad
esempio,
orientarci verso i
due
aggettivi
nob?e
e vile: il
primo pu?
correttamente indicare
un'eccellenza
spirituale
connessa ad
una
posizione
di
preminenza
sociale,
il secondo
una certa abiezione
morale,
comune alia stra
grande maggioranza degli
uomini,
alla massa. Si tratta comun
que
di caricare i due
aggettivi
italiani di un
significato
un
po'
particolare,
che nell'uso comune non
hanno.
Non ce dubbio che in molti
passi
della
silloge teognidea
ayado?
-
?o"dXo?
e
xaxo?*- Sziko? finiscano
per
indicare in blocco due
diverse classi sociali in lotta fra di
loro,
gli
aristocratici ed i non
aristocratici in ascesa econ?mica e
pol?tica.
Cosi ?
quando
Cirno
viene esortato a
frequentare gli
ayado?,
di cui
grande
? la
poten
za,
e ad evitare la
compagnia
dei xaxo?
(w. 27-38); quando
Teo
gnide, dopo
aver
espresso
il timor? che, la citt? cada in
potere
di un tiranno
(evidentemente portatore degli
interessi delle
classi
subalterne), proclama
che
gli ?yadoi
mai mandarono in
rovina una citt?
(w. 39-52);
nello stesso modo ? indicata in
blocco
una classe
sociale, quando
il
poeta
si rammarica che si
improvvisino ayaflo? quelli
che fino a
poco prima
vestivano
pelli
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di
capra
e vivevano fuori della citt?
(vv. 53-68).
Altri
esempi
possono
essere addotti: dire che ? male che un
ayoc&??; sposi,
per
desiderio di
ricchezza,
la
figlia
di un
xax?c (vv. 183-196);
che ?
spiacevole frequentare gli aya&o? quando
si ? caduti in
miseria
(vv. 667-682);
che
gli ayafro?
sono in esilio e la citt? ? in
potere
dei xccxo?
(vv. 891-894)28;
dire
queste
cose
significa
riferirsi
chiaramente alFesistenza di due classi sociali ben
precise.
Senonch?,
a ben
considerare,
? vero
che in
questi passi
?ya?oL
-
?d)Xoi
e xaxo?
-
SeiXol,
inserid come sono in contesti
squi
sitamente
politici, vengono
a indicare aristocratici e non aristo
cratici in lotta
per
il
potere,
ma ? altrettanto vero che il
signifi
cato,
il contenuto sem?ntico
degli aggettivi
?,
in ultima
analisi,
sempre quello
che siamo venuti
individuando, comprendente
in
primo piano
i valori fondamentali delFetica aristocr?tica. A ri
leggere
con attenzione i
passi
ora
citati,
in
quasi
tutti la diffe
renza,
Felemento distintivo tra
?yoc?oi
e xaxoi ? di ordine
morale,
esplicitamente
individuato nel
rispetto
della
giustizia
e nella
lealt?.
Proprio per questo
molti di essi sono stati
gi? presi
in
esame nella
prima parte
di
questo studio,
all?
scopo
di mettere
in evidenza i contenuti etici connessi alla
qualifica
di
?yocdcx;-?<7
dXo?. Proprio per questo,
anche
gli interpreti
che tendono a dare
ai
quattro aggettivi
mero valore di
designazione
sociale,
sono
tuttavia indotti ad avvertire in essi
alterigia
aristocr?tica ed
ostentato
disprezzo
del
Sfpo?.
Ci troviamo
dunque
in una situazione ben diversa da
quella
del?Odissea,
nella
quale ?yado?-affdXo?
e
xaxo?
hanno effettiva
mente due
significati
diff?rend a seconda dei contesti e,
mentre
in
genere esprimono
un
giudizio
di valore sul
sing?lo
individuo,
in certi casi invece costituiscono
pure
e
semplici designazioni
di
ordine sociale29. In
Teognide ?ya&o?-?o-dXo?
e
xaxo?-SstXo?
hanno
28
Sulla
questione
se
questi
versi si riferiscano o meno alla cosi detta
guerra
di
Lelanto,
anche in considerazione deirincertezza del
testo,
e sui
connessi
problemi
di
cronologia,
cfr. E.
Harrison,
Studies in
Theognis,
p.
286
sgg.;
A. A.
Trever,
Class. Philol.
20, 1925, p.
120
sgg.;
B. A. van Gro
ningen, Th?ognis, pp.
339-341.
29
Cfr.,
ad
esempio,
Od.
4, 62-64; 8, 552-554; 14, 56-58; 15, 324; 22,
414
415
=
23,
65-66. E'
proprio
il dato di fatto ehe
?yado?
-
icrdX?c,
non
possa
essere che l'aristocratico e che il
plebeo
non
possa
che essere
xoexo?,
a
far si che in
prosieguo
di
tempo ?yoedot
-
?cr?Xoi
possa significare
addi
rittura "aristocratici" e xaxo?
"plebei",
corne avviene nei citati
passi
del
V O dis sea. ? evidente che nella nuova accezione non ? del tut to
perduto
26
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sempre
lo stesso
significato,
che ? etico e
sociopolitico
insieme,
in relazione con Fideale di vita delFaristocrazia
greca
arcaica.
Nei
passi
in cui a
prima
vista sembra
presente
solo
Faspetto
sem?ntico di ordine
morale,
? in realt?
presente
e
necessario
anche
quello
di ordine
sociale,
e
dove sembra
presente
solo
Faspetto
sociale e
politico,
?
presente
e
necessario anche
quello
morale.
E'
perci?
vana la
questione
ricorrente nei traduttori e com
mentatori di
Teognide,
se in
questo
o
quel
passo
gli aggettivi
siano da
interpretare
in senso morale o in senso
sociale,
se
signi
fichino "buono"
e "cattivo" o
"patrizio"
e
"plebeo":
simili tra
duzioni non
rispecchiano
in nessun caso il valore dei termini
greci30.
il
primitivo significato, comportante
una valutazione d?lie
capacita
indi
viduals
ayafroi
-
?crdXoi
significa propriamente
"i
forti, gli eccellenti",
xaxo? "i
dappoco,
i
miserabili";
ma ? altrettanto chiaro che la
primitiva
carica di ammirazione
o
di
disprezzo implicita
in
questi
vocaboli
va
per
duta,
nella misura in cui essi non sono
pi?
valutazione di un individuo
isolatamente
considerato,
ma obbiettiva
qualificazione
di due
cat?gorie
di
individui,
determinate da fattori
extraindividuali, quali
la ricchezza e la
potenza
sociale del
y?voc,.
? cosi che in tutti i
passi sopra
elencati si al
lude a xaxo? o a
x^P^?
senza ombra di offesa
per loro,
anzi con senso di
simpatia per
la miseria e la debolezza che li
contraddistingue.
30
Per
esempio,
E.
Romagnoli,
/
poeti
lirici
V, Bologna 1940, p. 48,
annota ai w. 289-292: "Qui si
parla
di
agathoi
e di kak?i.
E,
sebbene non
si
possa
escludere che i due vocaboli
significhino
*
nobili
'
e
*
plebei ',
assai
probabile
mi sembra che
qui
abbiano il
significato pi? gen?rale
di
'buoni' e
'tristi' ". Lo stesso
quesito
si
pone
B. A. van
Groningen,
Th?o
gnis, pp. 28-29,
a
proposito
dei
vv. 43-46:
"?yadoi s'oppose
? xaxo?criv. Quel
sens leur donner? Il
y
a le sens moral et le sens
politico-social. Souvent,
dans la
terminologie aristocratique,
les deux co?ncident. Ici ce n'est
pas
le
cas,
puisque
les xaxo?
corrompent
le
S-rpoc;
en outre ils
dispensent
la
justice
sans
?quit?,
? leur
propre avantage.
C'est donc le sens moral
qui
pr?domine.
Les termes
indiquent
donc les
*
bons
'
et les
*
m?chants
'
parmi
les aristocrates
qui gouvernent".
Del
resto,
anche senza dirlo
esplicita
mente,
tutti i traduttori si
pongono
di continuo il
problema
della scelta
tra i due
significati,
dal momento che traducono
diversamente,
a seconda
dei
contesti,
i
quattro aggettivi greci.
Ai w.
369-370 e 681-682 effettivamente
potrebbe
sembrare di trovarci
di fronte ad un
significato
soltanto
politico-sociale:
ai
vv. 369-370 si
parla
di ?crdXol
?cocpoi,
ai
w. 681-682
(facenti parte dell'elegia
attribuita ad Eveno
di
Paro)
di xaxo?
cocpo?.
NeU'ambito sem?ntico da noi fin
qui
individuato,
non ? infatti
concepibile
n? un
?crfrXo? privo
di
saggezza
n? un
xaxo?
che ne
sia dotato. Ma nell'uso
teognideo crocpo?
non
significa "saggio",
ma solo
"destro", "abile",
in un senso che nulla ha in comune con l'id?ale etico
(cfr.
A.
Peretti, op.
cit.
pp. 316-332).
27
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Daltra
parte,
non ? nemmeno esatto
affermare,
corne
fanno
il Kroll
e il
Carri?re,
che
Teognide
e
gli
altri
poeti
aristocra
tici del VI e V sec?lo
a. C. facciano "confusione" tra
potenza
sociale
e
virt?,
che
non abbiano ancora una sensibilit? abba
stanza ra?finata
per distinguere
chiaramente tra beni esteriori
e beni
interiori, per giudicare
il valore delFuomo solo in base
ai
pregi
morali. ? vero invece che la nozione aristocr?tica di
?yocfro?
? si
complessa,
ma,
come abbiamo visto nelle
pagine
precedenti,
chiaramente strutturata e
coerente;
non ? il rozzo
prodotto
di
una mentalit?
primitiva,
ancora
incapace
di di
stinzioni
sottili,
bensi di
un'ideolog?a
estremamente
raffinata,
espressione degli
interessi economici e
politici
di una classe
determinata,
in un determinato momento storico31.
Corne
nelYlliade,
anche in
Teognide
la
qualifica
di
?yado?
?oflXo? esprime
F
adeguarsi
delF individuo alF ideale di vita ari
stocr?tico e
costituisce,
quindi,
la Iode
pi?
ambita. Ma
que
sto ideale ?
profundamente
cambiato dai
tempi
omerici al VI
sec?lo
a. C: Fetica aristocr?tica si ? evoluta da uno sfrenato
individualismo ad una viva coscienza del dovere
sociale,
che
per
essa ?
soprattutto rispetto
dei costumi e
dell'ordinamento
giuridico,
su cui si fonda il
predominio politico
dei
nobili,
fonte di
pace
e di benessere
per
i cittadini. NelYlliade
ayad?c
?cr?Xo? significa "forte", "capace",
in un
significato
del tutto
amorale32;
in
Teognide
invece tale ? soltanto chi subordina
31
Vedi J.
Kroll, Philologus Supplb. 29, 1936, p.
104 e J.
Carri?re,
Theo
gnis,
Po?mes
?l?giaques,
Paris
21962, p.
97
(nota
al v.
34).
Sembra invece
cogliere
nel
segno,
tenendosi lontano tanto dalla tesi dei due
significad,
quanto
da
quella
della confusione tra beni esteriori e beni
interiori,
M.
Hoffmann,
Die ethische
Terminologie
bei Homer,
Hesiod und den
alten
Elegikern
und
Jambographen, T?bingen 1914, p.
131
sgg.;
vale la
pena
di riferire testualmente le sue
parole (p. 142):
"Der
?yado?
ist der
Adlige,
der auf die
politische
Macht
Anspruch
erhebt. Er
begr?ndet
diesen
Anspruch
aber nicht einfach mit der Tatsache seiner
adligen
Geburt,
sondern er will wirklich besser sein als der
xaxo?.
Wir haben
eine Reihe sittlicher
Vorz?ge genannt,
die der
?yafto?
f?r sich in
Anspruch
nimmt. Eine aristokratische
F?rbung
dieses ethischen Ideals Hess sich
besonders bei
Vergleichung
mit Hesiod nicht verkennen".
32
In alcuni casi la nozione di
?yado?
-
taftk?? appare
nell'Iliade in
certa misura antit?tica a
quella
di
"giusto", "rispettoso degli
dei" ecc:
cfr. ad
esempio 1, 131-132; 1, 275; 11, 664; 15, 185; 24,
53.
28
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i
propri impulsi egoistici
alla severa
disciplina
etica della classe
aristocr?tica: del
significato
omerico
premorale
nella
silloge
non ce
traccia33.
Per
conseguir? questo
ideale ? necessario discendere da
un
y?vo?
di
?ya?oi,
essere
ricco,
frequentare
assiduamente
gli ?ya
?foi, per
riceverne la rcaiSsia:
ma tutto ci? non basta ancora.
C'? un elemento
imprevedibile
e
decisivo,
la
cpucri?,
la
predispo
sizione naturale dell'individuo. Se ?
impossibile
che da
una
stirpe
di xaxo? nasca un
?ya?o?,
succ?de invece che da una
stirpe
di
?ya?oi
nasca un
xax?c.
Come nelYIliade
e
nelYOdissea,
an
che in
Teognide
solo
gli
aristocratici
possono
essere
aya&o?,
ma non tutti lo sono: "?
pi?
facile
generare
ed allevare
un
uomo,
che
infondergli
un animo nobile
(cpp?va? icrdX?c,):
nessuno
mai ha
escogitato
un
rimedio,
con cui rendere
saggio (o-?cppwv)
lo stolto
(?cppwv)
e trasformarlo in
iaffk??
da
xaxo?.
Se la divi
nit? avesse concesso
agli Asclepiadi
di
poter
risanare la vilt?
(xaxOTin?)
e le menti accecate
degli
uomini,
otterrebbero molti
e
grandi compensi.
Se l'intelletto
(vOTQiJia)
si
potesse
costruire
ed inserir?
nelluomo,
mai da
un
padre aya&?c;
nascerebbe
un
xaxo?,
ma il
figlio porgerebbe
ascolto aile
sagge parole;
ma con
l'insegnamento
(SiSacrxwv)
mai renderai
?yadcx;
luomo
xaxo?"
(vv. 429-438).
Pi? sint?ticamente al
v. 577
Teognide
afferma:
tf?
pi?
facile rendere un uomo
xaxo?
da
?yado?
che
?crdXo?
da
xaxo?
M.
33
Tale
significato
si
potrebbe scorgere
ai vv. 1037-1038:
"Av5pa
Toi ?<rc'
?yad?v xa^^wTaxov e^aitaTTJo-ai,
w<;
?v
?^xot yvw^xTQ, K?pvs,
rc?Xai
x?xpiiai,
considerando
&v8pa ayad?v complemento oggetto
di
??ocrcaTT?am
ed in
tendendo: "la cosa
pi?
diffcile ?
ingannare
un
?yafro?,
come da un
pezzo,
o
Cirno,
il mi? senno ha deciso".
Ma,
in
primo luogo,
si tratterebbe
ap
punto
di
un uso del tutto eccezionale di
?yocdo?;
secundariamente il di
stico nel suo contenuto verrebbe a contraddire le idee sulla lealt? e
suiringanno espresse
in tutto il resto della
silloge (basti pensare
ai vv.
1219-1220: "difficile ?
per
il nemico
ingannare
il
nemico,
ma
per
l'amico
? facile
ingannare l'amico").
Per
queste ragioni
mi sembra ovvio consi
derare
?vSpa ?yafrov soggetto
di
e^arcaTTJam
ed intendere: "la cosa
pi?
difficile ? che un
?yocdo? inganni". (Del resto,
costruzione del tutto ana
loga
avremmo al v.
1219,
ora
citato, qualora
accettassimo la lezione
SuajjiEVT),
fornita da tutti i
manoscritti,
come
suggeriscono
E.
Harrison,
Studies in
Theognis, p.
221 n.
.4,
e B. A. van
Groningen, Theognis, pp.
439
440).
34
Plat. Men. 95e ritiene a torto che ci sia contraddizione
l?gica
tra
29
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Anche
su
questo punto
Pindaro concorda con
Teognide.
? fondamentale nel suo
pensiero
il concetto che la vera virt?
sia un dono di
natura,
un
privilegio largito
dalla sorte o
piut
tosto
dagli
dei,
e
che
?ya&o?
non si
possa
divenire
per
via di
insegnamento: "?yafroi
e
o-ocpoi gli
uomini lo sono a discrezione
della divinit?
...
Ci? che ?
per
natura
((pua)
? tutto
possente;
ma molti fra
gli
uomini desiderano
conseguir?
la
gloria
(xX?o?)
con virt?
apprese (SiSaxTa?? ?psTai?).
Tutto
quello
in cui la
divinit? non ha
parte,
?
meglio
se viene
passato
sotto silenzio"
(01. 9,
28-29 e
100-104);
"un uomo ha
grande
valore
per
gloria
innata
(cruyyevEL s?So^ia);
ma chi
possiede
ci? che ha
appreso
(SiSaxx?),
uomo
ottenebrato,
ora a
questo
ora a
quello aspi
rando,
mai
procede
con saldo
piede
ed
incompiutamente
as
saggia
mille virt?
([Jtupi?v ?psT?v)" (Hem. 3, 40-42).
Non
per
questo
? inutile
l'insegnamento,
la
rcaiSaa,
la cui funzione ? in
sostanza
quella
di favorire
e
garantir?
Tarmonico
sviluppo
della
virt? innata: "sii luomo ehe
sei,
avendolo
imparato (y?voi/
oio?
?om
p,a&c!)v)"
dice Pindaro a
Ierone,
nella Pitica II
(v. 72)35.
A
questo punto
non sar? forse inutile
raccogliere
schemati
camente in una tavola sinottica tutto
quanto
si ? detto
finora,
mettendo in evidenza la struttura interna del
complesso
ideale
di
?yado?
-
?o"dXo?:
i vv.
429438,
in cui si
parla dell'impossibilit?
di rendere
?yocfto?
il
xax?c
con
l'insegnamento,
e i vv.
33-38,
in cui
Teognide consiglia
Cirno a
frequen
tare
gli ayado? per imparare
da loro la virt?. A Platone sembra che Teo
gnide
una
volta dica che la virt? non
sia
insegnabile,
l'altra volta che
lo sia. In realt? tra i due
passi
non c'? contraddizione:
l'insegnamento
della virt? ? utile e necessario a chi ?
per
natura
?yocfro?,
? assoluta
mente infruttuoso
per
chi ? nato
xccxo?. (SmTargomento
cfr. anche
J.
Carri?re, Th?ognis,
Po?mes
?l?giaques, p.
108
sg.
e B.A. van
Gronin
gen, Th?ognis, p. 174).
35
In 01.
2, 86-89,
Pindaro sembra
applicare
all'attivit?
po?tica
il con
cetto della
preminenza
della
<pu?
sul
?adtdrj?aoc.
In effetti il
problema
del
rapporto
tra
cp?ffic
e
texvt] (in latino,
tra natura e
ars)
costitui in
seguito
un
capitolo importante
di tutti i trattati di
po?tica
e di retorica e fu
generalmente
risolto con l'affermazione
dell'uguale importanza
di am
bedue i fattori. Cfr. Arist. Poet. 1451
a,
23-24 e 1459
a, 4-8;
Philod. De
poem.
5, 11, 5-8;
Subi
36, 4;
Cic. De or.
1, 113-115;
H?r. Ars
po?tica 408-411;
Quint.
2,
19. Cfr. anche A.
Rostagni,
'Il
dialogo
aristot?lico
IIspl -tcohqtwv*,
Riv.
fllol.
class.
1927, pp.
155-158 e Arte
po?tica
di
Orazio,
Torino
1930,
pp.
LXVIII-LXXXIII.
30
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?yafro?
-
?crdX?c
1)
discendenza da
?yadoi (cfr.
vv.
183-196)
2) cp?ox ?yafrr) (cfr.
w.
429438)
presupposti
3) ^-^ (cfr
w
173.180 e
525.526)
4) frequentazione degli ?yaM (cfr.
w. 31-38 e
305-308)
1) rifiuto della maldicenza
(cfr.
vv.
611-614)
2)
lealt?
(cfr.
vv.
65-68)
3)
riconoscenza
(cfr.
vv.
105-112)
4) rispetto
della
S?xtq (cfr.
vv.
4346)
5) coraggio
nella sventura
(cfr.
vv.
319-322)
6)
senso della misura
(cfr.
vv.
615-616)
Discendenza
privilegiata, ricchezza,
educazione accurata
e,
per
di
pi?,
il dono divino di
un animo
predisposto
alla
gran
dezza: tutto
questo
? necessario
per poter
essere
definito
?ya
do?-?a&^cx;.
Si tratta
dunque
di un ideale aristocr?tico non
solo
nella
sua
genesi,
ma
nella
sua stessa intima essenza: non
molti
possono
essere
?ya?oi-?0"&Xoi,
ma
solo
pochissimi privilegiati
da
ogni punto
di
vista,
?lite di
superuomini36.
Nel momento in
cui la classe aristocr?tica sta
per perder?
definitivamente la
sua
posizione
di
predominio
econ?mico
e
politico, Teognide
e
Pindaro
ne
riaffermano con slancio la
superba
concezione
etica,
il
primo disperatamente consapevole
dell'irreversibile evoluzio
ne
storica in
atto,
il secondo
quasi
immerso in un'incoscienza
onirica,
tutto
pervaso dagli
antichi ideali. Ma come
questi
a
vrebbero
potuto
illuminare la societ? nuova che stava
sorgendo?
L'ascesa del
Sfpo?
rendeva ormai del tutto inattuale un'etica
buona
per
un'infima
minoranza,
che
qualificava
la
stragrande
maggioranza degli
uomini come xaxo? o SsiXo? e misconosceva
la
legittimit?
di sentimenti ed
aspirazioni
su cui
riposavano
le
nuove
forze
produttive
delFindustria
e
del commercio. Di
questo
si res? conto
Simonide, contempor?neo
di
Pindaro, ma,
al con
trario di
lui, proteso
verso
Tavvenire. Come ha dimostrato il
36
? notevole che nella
silloge teognidea
ricorra
frequentemente
la
contrapposizione
tra rcoXXo? o
ir?vTEc
e
?X?yoi
o
rcaOpoi,
in maniera tale
che con izoXkoi
-
izavizc, vengano
ad essere indicati i xaxo? e con
-rcaupoi
oX?yoi gli ayado?:
cfr. ad
esempio
vv.
115-116, 635-636, 643-644,
697-698 ecc.
31
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Gentili,
il
senso deU'encomio a
Scopas
e del frammento resti
tuitoci dal
papiro
di Ossirinco 2432 ?
proprio
nel
ripudio
del
l'etica
aristocr?tica,
in nome
di
una concezione della vita
pi?
vicina alla realt?
umana ed alle
esigenze
della
tz?Xic
industr?ale
e
mercantile,
dominata dal
Sfpo?:
"difficile ? essere veramente
?ya?o?, quadrato
di
mani,
di
piedi
e di
mente,
fatto senza
pec
ca
...
a me basta colui che non ?
xaxo?
n?
troppo sprovveduto,
consapevole
della
S?xrj
che
giova
alla
citt?,
un uomo sano"
(fr. 542,
1-3,
15-17
P.);
"a
pochi
la divinit? concesse la
perfetta
vir
t?
(?p?T(x);
infatti
non ? facile essere
Ea?fko?:
violentano Fuo
mo contro la sua
volont? il desiderio di
guadagno
o il
potente
assillo di Afrodite orditrice di
inganni
e
le ambizioni"
(fr. 541,
6-11
P.).
Simonide non muta il
significato degli aggettivi ?yccdo?
ed
?a-?Xo?:
lascia loro il contenuto sem?ntico dell'etica aristocr?
tica,
ma li
relega
nel mondo
dell'utopia,
mettendone in evidenza
l'inapplicabilit?
alla condizione
umana;
egli
ricerca un
diverso
ideale
morale,
meno
arduo,
ma
pi?
concreto e costruttivo:
gli
basta che l'uomo non sia
spregevole
e
rispetti
la
S?xtq,
su cui
si fonda la
prosp?rit?
della
toXi?:
e
sentiamo che non si tratta
pi?
della
8lxiq aristocr?tica,
ma della nuova
S?xtq
borghese, leg
ge
scritta
e,
proprio per questo,
modificabile secondo le mu
tevoli
esigenze
della societ?37.
37
Tale
interpretazione
d?lie due liriche simonidee ? stata
proposta
da B.
Gentili,
'Studi su
Simonide,
II. Simonide e
Platone',
Maia
1964, pp.
278-306;
cfr. anche
Polinnia,
Messina-Firenze
21965, pp.
306-320. Accetta in
pieno
il
punto
di vista del Gentili M.
D?tienne,
Les ma?tres de v?rit? dans
la Gr?ce
archa?que,
Paris
1967, p.
117.
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