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PER UNA STORIA DELLA CRITICA TASSIANA

ASPETTI E PROBLEMI

a cura di
Luca Bani, Cristina Cappelletti e Massimo Castellozzi

Quaderni del Centro di Studi Tassiani


Questo volume è stato realizzato con il contributo del Dipartimento di Lingue,
Letterature e Culture Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo e del Centro
di Studi Tassiani.

Il Comitato Direttivo del Centro di Studi Tassiani esamina direttamente tutti i


lavori proposti a questa collana, avvalendosi altresì della consulenza di specialisti
italiani e/o stranieri attraverso un processo di double blind peer review, i cui atti
restano secretati presso la Segreteria del Centro medesimo.
INDICE

p. 7 Cristina Cappelletti, Premessa


9 Guido Baldassarri, Introduzione

17 La fine del Cinquecento


19 Giovanni Ferroni, Tasso teorico e critico di se stesso
31 Vania De Maldé, Tasso critico. La lirica
57 Marco Corradini, Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca

91 Il Seicento
93 Clizia Carminati, La fortuna critica di Tasso nel Seicento

137 Il Settecento
139 Emilio Boaretto, La fortuna critica di Torquato Tasso nel primo Sette-
cento: una panoramica
163 Cristina Cappelletti, «Pensava di avere scritto soltanto per gli eruditi»:
fortuna critica di Tasso nel secondo Settecento

193 L’Ottocento
195 Stefano Fortin, Tasso e la critica romantica
217 Massimo Castellozzi, «Più poeta se non fosse stato così dotto». Il Tasso di
Francesco De Sanctis dalle «Lezioni» alla «Storia»
235 Luca Bani, I saggi tassiani di Giosue Carducci

257 Il Novecento
259 Guido Lucchini, Tasso nella critica di Croce e dei crociani
277 Arnaldo Di Benedetto, Mario Fubini critico di Tasso
289 Stefano Verdino, Da Slataper a Fortini. La critica dei poeti
311 Rossano Pestarino, La filologia tassiana di Lanfranco Caretti e della
scuola pavese

328 Indice dei nomi


17

LA FINE DEL CINQUECENTO


57

FURIOSO CONTRO LIBERATA.


LA POLEMICA CINQUECENTESCA

L’accesa controversia sviluppatasi a partire dagli ultimi decenni del Cinque-


cento fra sostenitori dell’Orlando furioso e fautori della Gerusalemme liberata
rappresenta un ben noto capitolo della storia della critica letteraria italiana.
Dal momento che essa è stata ormai più volte storicizzata,1 ci limiteremo a
un sintetico riepilogo degli interventi principali, per poi tentare un’analisi
generale dei temi toccati e una valutazione dei motivi di interesse offerti dalla
vicenda.

1 Le prime ricostruzioni si leggono in Vincenzo Vivaldi, La più grande polemica del ’500
(pro e contro la «Liberata» e il «Furioso»). Studi di storia letteraria, Catanzaro, Caliò, 1895
e in Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, vol. I, pp.
413-449; di quest’ultimo è una Bibliografia delle polemiche intorno alla «Gerusalemme
liberata», in Appendice alle opere in prosa di Torquato Tasso, a cura di Angelo Solerti, Firen-
ze, Successori Le Monnier, 1892, pp. 33-49. Dopo Bernard Weinberg, A History of Lit-
erary Criticism in the Italian Renaissance, Chicago, The University of Chicago Press, 1961,
vol. II, pp. 954-1073, ricordo soltanto gli studi più recenti che ripercorrono la questione
nel suo complesso: Emanuella Scarano, La critica rinascimentale, in Storia della critica
letteraria in Italia, a cura di Giorgio Baroni, Torino, Utet, 1997, pp. 205-222; Paolo
Di Sacco, Un episodio della critica cinquecentesca: la controversia Ariosto-Tasso, «Rivista di
letteratura italiana», xv, 1997, pp. 83-128; Francesco Sberlati, Il genere e la disputa.
La poetica tra Ariosto e Tasso, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 229-289; Claudio Gigante -
Francesco Sberlati, La polemica sul poema epico e le discussioni sull’«Orlando furioso»
e sulla «Gerusalemme liberata». Torquato Tasso, in Storia della letteratura italiana, diretta
da Enrico Malato, vol. XI, La critica letteraria dal Due al Novecento, coordinato da Pao-
lo Orvieto, Roma, Salerno Editrice, 2003, par. 3 (di Sberlati), pp. 391-413; Corrado
Confalonieri, Torquato Tasso e il desiderio di unità. La «Gerusalemme liberata» e una
nuova teoria dell’epica, Roma, Carocci, 2022, pp. 95-108. Gli scritti dei vari letterati
partecipanti al dibattito, a testimonianza di un suo ricordo durevole nel tempo, si tro-
vano riuniti in due edizioni settecentesche delle opere tassiane, e quindi, in forma più
completa, in Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla Gerusalemme, poste in migliore
ordine, ricorrette sull’edizione fiorentina, ed illustrate dal professore Gio. Rosini, Pisa,
Presso Nicolò Capurro, 1821-1832, voll. XVIII-XXIII.
58 Marco Corradini La fine del Cinquecento

I. Dati storici e cronologia

Il punto d’avvio della contesa viene normalmente identificato con il dialogo Il


Carrafa del capuano Camillo Pellegrino, a stampa nel dicembre 1584,2 che pro-
vocò la reazione dei membri dell’Accademia della Crusca, da poco nata. È bene
tuttavia ricordare che pubbliche discussioni in materia di superiorità dell’Ario-
sto o del Tasso sono documentate in seno all’Accademia degli Alterati di Firenze
fin dal luglio 1582,3 ossia a sedici mesi di distanza dalla princeps della Liberata,
peraltro rapidamente seguita da molte altre edizioni: il confronto fra i due, cioè,
fu in qualche modo inevitabile conseguenza dell’immediata diffusione del poe-
ma tassiano e dei suoi riconosciuti caratteri di novità. Ma prima ancora, non è
eccessivo affermare che tale confronto era implicitamente presupposto dal Tasso
medesimo nelle varie fasi dell’ideazione e della composizione dell’opera, come
in parte emerge dalle riflessioni affidate ai Discorsi dell’arte poetica.
Non è possibile comprendere appieno il significato della disputa fra “ario-
stisti” e “tassisti”, se non si tiene conto del panorama culturale delineatosi in
Italia nei decenni centrali del xvi secolo. L’Orlando furioso, pubblicato nella
sua redazione definitiva nel 1532, aveva subito incontrato un vasto successo di
pubblico, nonché il favore dei letterati contemporanei: ma già pochissimi anni
più tardi Lodovico Dolce ritenne necessario corredare la stampa del poema da

2 Il Carrafa o vero della epica poesia. Dialogo di Camillo Pellegrino, Firenze, Sermartelli,
1584, in Parte delle rime di D. Benedetto Dell’Uva, Giovanbatista Attendolo, et
Cammillo Pellegrino, ivi, alle pp. 121-174, con frontespizio autonomo. Il testo è edito
modernamente in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a cura di Bernard Weinberg,
Bari, Laterza, 1970-1974, vol. III, pp. 307-344.
3 Il 18 luglio 1582 l’Accademia discusse «la comparazione dell’Ariosto e del Tasso», e ritornò
sul tema in altre sedute di quell’anno; all’interno degli Alterati si delinearono fin da allora due
schieramenti, in favore dell’uno e dell’altro poeta. Dall’inizio del 1585 la storia del dibattito
interno a quest’Accademia si intreccia a quella della più nota polemica che vede in primo
piano i Cruscanti, non senza motivazioni legate alla vita politica di Firenze. Per tutti questi
aspetti, cfr. Michel Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’Ariosto e del Tasso nelle accade-
mie fiorentine: 1582-1586, in L’arme e gli amori. Ariosto, Tasso and Guarini in Late Renaissance
Florence, Acts of an International Conference, Villa I Tatti, June 27-29, 2001, edited by Mas-
similiano Rossi and Fiorella Gioffredi Superbi, Florence, Olschki, 2004, vol. I, Genre and
Genealogy, pp. 119-134, poi in Id., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al
tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici. L’Académie et le prince. Culture et politique à Florence
au temps de Côme Ier et de François de Médicis, Manziana, Vecchiarelli, 2004, pp. 375-392.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 59

lui curata di un’Apologia contra ai detrattori dell’autore.4 Se la precoce difesa del


Dolce tocca più che altro aspetti linguistici e il problema dell’imitazione dei
classici, l’Apologia di Simone Fòrnari, posteriore di quindici anni,5 rappresenta
un vero segno dei nuovi tempi, incentrata com’è su nozioni trattate nella Poetica
di Aristotele, su tutte l’unità d’azione e la verosimiglianza, nello sforzo di dimo-
strare come l’Ariosto non abbia contravvenuto a queste norme. Era ormai av-
viata infatti la grande stagione di studio sul testo aristotelico, proposto all’atten-
zione generale dal primo commento moderno, dovuto a Francesco Robortello
(1548), che Fòrnari non manca di citare con reverenza. Al di là delle originarie
intenzioni del suo autore, la Poetica fu recepita nel Cinquecento come testo pre-
cettistico, e da questo derivò la messa in discussione di opere ormai considerate
classici della letteratura volgare, ma difficilmente compatibili con l’ortodossia
aristotelica, quali la Commedia dantesca e, appunto, il Furioso. L’esigenza di
“difendere” Ariosto è da qui in avanti condivisa da editori e commentatori del
poema (come ad esempio Girolamo Ruscelli), e particolarmente avvertita in
quella corte ferrarese che manteneva ben vivo il culto della sua gloria: nascono
così i trattati di Giovan Battista Giraldi Cinzio (Discorso intorno al comporre
dei romanzi) e di Giovan Battista Nicolucci il Pigna (I romanzi), entrambi del
1554, volti tanto a esaltare il Furioso quanto a legittimare il genere del poema
cavalleresco, di cui esso costituiva il vertice.6 Sul versante opposto, un numero
non esiguo di letterati, di orientamento più o meno rigorosamente classicista,
guarda invece con sufficienza o quanto meno con sospetto al romanzo in versi,
alla ricerca di un nuovo tipo di epopea fondata sulla storia, verosimile e unitaria
nell’intreccio; vede la luce L’Italia liberata dai Goti del Trissino, tentativo so-
stanzialmente fallito, e nascono esperimenti epici che si sforzano di conciliare la
libera fabulazione cavalleresca con le esigenze di una poesia “regolare”. Proprio

4 Orlando furioso di Messer Ludovico Ariosto con la giunta, novissimamente stampato e cor-
retto. Con una Apologia di M. Lodovico Dolcio contra ai detrattori dell’Autore, Vinegia,
Mapheo Pasini, et Francesco di Alessandro Bindoni, 1535. Il testo dell’Apologia si legge
ora in Susanna Villari, Gli esordi della critica ariostesca. Lodovico Dolce e l’edizione del
«Furioso» del 1535, «Studi medievali e umanistici» xi, 2013, pp. 152-165.
5 Simone Fòrnari, Apologia brieve sopra tutto l’Orlando furioso, in La spositione di M. Simon
Fòrnari da Rheggio sopra L’Orlando furioso di M. Ludovico Ariosto, Fiorenza, Lorenzo Tor-
rentino, 1549 [ma colophon «del mese di Giugno l’anno mdl»], pp. 31-48.
6 In tema di discussioni sul poema ariostesco nei decenni centrali del Cinquecento, tra le
molte voci bibliografiche si veda almeno Daniel Javitch, Ariosto classico. La canonizzazio-
ne dell’«Orlando furioso», Milano, Bruno Mondadori, 1999, pp. 15-79.
60 Marco Corradini La fine del Cinquecento

questo è l’humus dal quale germina la Gerusalemme liberata, la soluzione offerta


da Tasso alla sentita questione del poema eroico.
Quando Pellegrino compone Il Carrafa, il dibattito critico sul poema tas-
siano è già avviato e qualche traccia iniziale di esso è approdata alle stampe (nel
corso del 1582, ad esempio, Orazio Lombardelli ha pubblicato un succinto
Giudizio sopra il Goffredo):7 il dialogo spinge più a fondo il ragionamento e po-
larizza nel contempo il discorso intorno all’epica moderna sull’unico asse Ario-
sto-Tasso, identificando Furioso e Liberata come i punti di riferimento esclusivi,
mentre Pulci, Boiardo, l’Alamanni del Girone il cortese e il Bernardo dell’Ama-
digi rimangono sullo sfondo, a grande distanza dai due modelli. Pellegrino si
muove entro categorie pienamente aristoteliche, prendendo in esame le quattro
“parti di qualità” applicabili all’epopea e decretando che la Liberata è preferibile
per la «favola» (mythos), il «costume» (ethos) e la «locuzione» (lexis), mentre il
Furioso prevale nella «sentenza» (dianoia). Come si vede, il giudizio sull’Ariosto
non è di per sé negativo; ma, dato l’orizzonte teorico di riferimento, la bilancia
del capuano non può che pendere a favore del Tasso. Un passo del Carrafa risul-
ta particolarmente significativo, in quanto utilizza un paragone architettonico,
elemento destinato a diventare quasi topico nel confronto fra i due poemi:8

fate conto che l’Orlando furioso sia a similitudine di quel palagio ch’io dissi di sopra: fal-
so di modello, ma fornito davantaggio di superbissime sale, di camere, di logge e di fine-
stre fregiate et adorne in apparenza di marmi affricani e greci, e ricco per tutto d’oro e di
azzurro; et all’incontro imaginatevi che la Gerusalem liberata sia una fabrica di non tanta
grandezza, ma bene intesa, con le sue misure e proporzioni di architettura, et adorna
secondo il convenevole di veri fregi e colori; non ha dubbio, che il palagio più numeroso
di stanze e più vago e più ricco in vista diletterà a pieno a’ semplici e non intendenti, là
dove i maestri e professori di quell’arte, scorgendo in esso i falli et i non veri ornamenti e
ricchezze, meno sodisfatti ne resteranno, e darà loro maggior diletto l’architettura della
minor fabrica, come corpo ben inteso da tutte le sue parti.9

7 Sopra il Goffredo del Signor Torquato Tasso. Giudizio d’Orazio Lombardelli senese, Acca-
demico Humoroso, Fiorenza, Giorgio Marescotti, 1582. Lo scritto, in forma di epistola a
Maurizio Cataneo datata 28 settembre 1581 (e non 1582 come figura nell’edizione otto-
centesca di Rosini), verrà di nuovo stampato insieme all’Apologia tassiana.
8 La comparazione di un poema a una “fabbrica”, ossia a un edificio, non è inedita nella
critica rinascimentale; al di fuori della polemica qui esaminata, giungerà fino a Foscolo,
che applicherà alla Liberata la celebre immagine del tempio greco la cui struttura è abbrac-
ciabile con un unico sguardo (Ugo Foscolo, Storia della letteratura italiana per saggi, a
cura di Mario Alighiero Manacorda, Torino, Einaudi, 1979, p. 284).
9 Camillo Pellegrino, Il Carrafa, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, cit., p.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 61

Dal brano emerge un’altra idea che sarà largamente presente nel seguito dello
scambio, la distinzione di due categorie di lettori: mentre Tasso risulta gradito ai
«maestri e professori» dell’arte poetica, ossia a coloro che ne conoscono le rego-
le, Ariosto appaga piuttosto i «semplici e non intendenti», cioè il vasto pubblico
dei non letterati (ed è, in sostanza, ancora la riproposizione del vecchio rilievo
del Trissino, che constatava come il Furioso piacesse «al vulgo»,10 per quanto
priva della carica polemica sottesa alle parole del gentiluomo vicentino).
Forse non casualmente Il Carrafa, dopo una certa circolazione mano-
scritta, fu dato alle stampe a Firenze, grazie alla mediazione di Scipione Am-
mirato; in realtà questi era piuttosto un partigiano dell’Ariosto, già autore in
gioventù di argomenti in ottave ai canti del Furioso11 e sostenitore del ferrarese
nelle già ricordate discussioni accademiche presso gli Alterati12 (di questa mi-
litanza rimane peraltro traccia almeno nell’incipit della dedica del dialogo).13
Ma alla luce dei fatti che seguiranno, pare lecito supporre in Ammirato un
certo grado di consapevolezza dell’effetto che i giudizi di Pellegrino avrebbero
prodotto negli ambienti fiorentini; si veda in proposito la testimonianza dello
stesso capuano nel suo intervento successivo: «Piacque al Signor Scipione, per
aggradirmi, di darlo alla stampa, con avermi prima dato avviso che il dialogo
avrebbe ritrovata contraddizzione, nulladimeno che sarebbe stato anco difeso,
318. Un passo del tutto analogo a questo si legge, riferito all’Adone di Marino, nell’Occhia-
le di Tommaso Stigliani (e ricordiamo, per inciso, che il più anziano Pellegrino fu vicino a
Marino e a Stigliani negli anni della loro formazione napoletana): «[Marino sostiene] che,
sì come il palazzo di Vaticano, con tutto che non sia uno intero edificio, ma uno aggregato
d’abitazioni e d’appartamenti, supera per la magnificenza delle stanze e per la ricchezza e
per la copia e per gli agi quello de’ Farnesi, che è uno edificio compiuto, così l’Adone, con
tutto che non abbia buona proporzion di parti, supera per l’eccellenza di quelle e per l’ab-
bondanza gli altri poemi, che son meglio intrecciati» (Dello Occhiale. Opera difensiva del
Cavalier Fr. Tomaso Stigliani. Scritta in risposta al Cavalier Gio. Battista Marini, Venetia,
Pietro Carampello, 1627, p. 118).
10 Il decimo [-vigesimosetimo] libro de La Italia liberata da Gotthi. Del Trissino, Venezia,
Tolomeo Ianiculo da Bressa, 1548, l. XXIV, v. 1547.
11 Comparsi per la prima volta nell’edizione curata da Ruscelli: Orlando furioso di M. Lodo-
vico Ariosto, tutto ricorretto, et di nuove figure adornato, Venetia, Vincenzo Valgrisi,
1556.
12 Cfr. il passo del Diario dell’Accademia (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ash.
558) riportato in Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’Ariosto e del Tasso, cit., p. 120.
13 «Ancora che io mal volentieri acconci gli orecchi a sentir cosa che detragga alla degni-
tà del nostro ferrarese Omero…» (Scipione Ammirato, All’Illustrissimo Signor il Signor
Marc’Antonio Carrafa, in Parte delle rime, cit., p. [123]).
62 Marco Corradini La fine del Cinquecento

avendo in Firenze de’ letterati che sentivano ed in favor del Tasso, ed in favor
dell’Ariosto».14
La «contraddizione», in effetti, fu molto sollecita, perché già nel febbra-
io del 1585 (la dedica è datata al 16 del mese) vide la luce la risposta degli
Accademici della Crusca nota come Stacciata prima.15 L’opera, attribuita col-
lettivamente all’Accademia, non reca indicazione d’autore, e viene presentata
dal segretario Bastiano de’ Rossi (l’Inferigno), che firma la dedica e una lettera
A’ lettori; è tuttavia ragionevole ipotizzare che almeno in gran parte si debba
all’Infarinato, al secolo Lionardo Salviati. La Stacciata prima riporta per intero
il testo del Pellegrino inframmezzandovi punto per punto minuziose repliche
che lo contestano sotto ogni aspetto, ribaltandone il giudizio di valore: così,
ad esempio, mentre il Furioso diventa «un palagio perfettissimo di modello,
magnificentissimo, ricchissimo e ornatissimo oltre ad ogni altro», la Liberata
non è che «una casetta picciola, povera e sproporzionata, per lo essere bassa e
lunga oltre ogni corrispondenza di convenevol misura: oltr’a ciò murata in sul
vecchio, o più tosto rabberciata».16 Ma i rilievi più insistiti riguardano la lingua
dei due poemi, in accordo con la vocazione particolare della Crusca e secondo
un orientamento tendente a una riduzione della letteratura al semplice dato
linguistico: da questo punto di vista Ariosto, ossequioso verso le tesi bembiane,
risulta funzionale alle aspirazioni puristiche fiorentine dell’Accademia, a diffe-
renza del più eclettico e moderno Tasso. Se nell’annotazione finale, scritta «non
più come avvocato dell’Ariosto, ma come ragguardatore senza animosità»,17 Sal-
viati si mostra in qualche modo conciliante nei confronti di Tasso, nelle pagine
precedenti il tono del discorso non è quello della pacata discussione, bensì della
stroncatura, sfociante a tratti nell’attacco personale, che accomuna Torquato
alla memoria del padre Bernardo; come quando, additando nella Gerusalemme

14 Camillo Pellegrino, A’ lettori, in Replica di Camillo Pellegrino alla Risposta de gli


Accademici della Crusca Fatta contra il Dialogo dell’Epica Poesia in difesa, come e’ dicono,
dell’Orlando Furioso dell’Ariosto, Vico Equense, Gioseppe Cacchij, 1585, p. 12. Intorno ai
legami fra Ammirato e la Crusca, vd. ancora Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’A-
riosto e del Tasso, cit.
15 Degli Accademici della Crusca Difesa dell’Orlando furioso dell’Ariosto. Contra ’l Dialogo
dell’Epica poesia di Cammillo Pellegrino. Stacciata prima, Firenze, Domenico Manzani
Stampator della Crusca [col.: «Nella Stamperia di Giorgio Marescotti»], 1584 [ab incarna-
tione, dunque 1585].
16 Stacciata prima, cit., c. 12v.
17 Ivi, c. 51v.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 63

casi di parole «appiastriccicate insieme» con effetto involontariamente comico,


denuncia la presenza di «alfiancazzo, a imitazione di quel ch’Azzolino di suo
padre: Poi più che Nerone empio e ch’Azzolino».18 Gli studiosi si sono interrogati
sui motivi di questa ostilità, dal momento che Salviati anni prima aveva espres-
so un esplicito giudizio favorevole sulla Gerusalemme, e sui suoi “ornamenti”
in particolare, nella fase della revisione del poema, e aveva addirittura offerto
a Tasso il proprio aiuto;19 un simile radicale mutamento di opinione si può
probabilmente spiegare da un lato con il fatto che nel 1576 Salviati coltivava il
disegno di entrare al servizio degli Este (a quell’altezza cronologica la Liberata
era ancora l’epopea degli Estensi, e Torquato il loro poeta di corte),20 e dall’altro
con le ragioni municipalistiche, o più in generale politiche, intervenute più
tardi, per cui schierarsi per Ariosto e contro Tasso significava combattere per
Firenze, come sarebbe poi risultato chiaro nel seguito dello scontro.21
A questo punto entrò in campo lo stesso poeta, il quale, ancora recluso
nell’Ospedale di Sant’Anna, aveva tempestivamente ricevuto una copia della

18 Ivi, cc. 28v-29r (il corsivo è nell’originale). La prima espressione allude a GL XVII, lxxix,
2 («ch’or l’è al fianco Azzo»), la seconda cita Bernardo Tasso, Amadigi, V, iv, 5; il roman-
zo, pubblicato nel 1560, ebbe una nuova edizione nel 1581 ristampata nel 1583, a ridosso
dell’intervento della Crusca. Su questo aspetto della disputa, concernente l’artificiosità
della scrittura e l’esecuzione orali dei versi, Christopher Geekie, ’Parole appiastricciate’:
The Question of Recitation in the Ariosto-Tasso Polemic, in Out Loud: Practices of Reading and
Reciting in Early Modern Times, edited by Riccardo Bruscagli and Luca Degl’Innocenti,
«Journal of Early Modern Studies», vii, 2018, pp. 99-127.
19 Cfr. Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo ed illustrate da Cesare Guasti,
Firenze, Le Monnier, 1852-1855, vol. I, nn. 82, 83, 85, pp. 198-213, 215-218 e Torqua-
to Tasso, Lettere poetiche, a cura di Carla Molinari, Parma, Fondazione Pietro Bembo /
Ugo Guanda Editore, 1995, n. l, pp. 474-477. Considerano il rapporto fra i due scrittori
Bortolo Tommaso Sozzi, Tasso contro Salviati. Con le postille inedite all’Infarinato, in Id.,
Studi sul Tasso, Pisa, Nistri-Lischi, 1954, pp. 217-256, in particolare 229-239, e Carla
Molinari, La revisione fiorentina della «Liberata», «Studi di filologia italiana. Bollettino
annuale dell’Accademia della Crusca», li, 1993, pp. 181-212, poi in Ead., Studi sul Tasso,
Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2007, pp. 37-74.
20 Cfr. Claudio Gigante, Salviati, Lionardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. XC (2017), pp. 47-52: 49.
21 La componente politica del dibattito è discussa da Peter M. Brown, The Historical Signi-
ficance of the Polemics over Tasso’s «Gerusalemme Liberata», «Studi secenteschi», xi, 1970,
pp. 3-23 (che riconduce tuttavia la motivazione dell’intervento di Salviati al suo «anti-
classicismo») e da Alain Godard, Salviati et Tasso. La part de la polémique municipalo-
régionaliste dans la controverse, «Filigrana», 2002-2003, 7, pp. 133-196.
64 Marco Corradini La fine del Cinquecento

Stacciata. Nel tempo di cinque giorni e con un impegno in apparenza non trop-
po intenso (segno che l’attacco lo preoccupava in modo relativo),22 Tasso stese
un’Apologia; lo scritto non fu tuttavia pubblicato subito, ma venne trasmesso a
Giovan Battista Licino, che allestì una raccolta di interventi editi e inediti pro e
contro la Gerusalemme, stampata da Cagnacini a Ferrara con lettera introduttiva
di Tasso in data 20 luglio 158523. Non è difficile ipotizzare che il curatore agisse
per scopi anche commerciali (d’altra parte l’idea di un utile economico forse
non era estranea nemmeno a Torquato, che scriveva il 21 giugno: «Ho bisogno
di denari per molti rispetti; però vi prego che facciate stampar l’Apologia»),24 e
questo dice della parte non esigua che l’interesse del pubblico, fattore all’epoca
di importanza crescente, giocò nello svolgimento della polemica, coinvolgente
un autore dalla fama che si avviava a divenire leggendaria. La stampa Cagnaci-
ni, seguita nel giro di un anno da altre edizioni mantovane e ferraresi, include
dunque, nell’ordine, la Stacciata prima comprendente l’intero testo del Carafa;
l’Apologia; alcune lettere di Tasso e di Orazio Lombardelli scritte fra il 1577 e
il 1585; il Parere in difesa dell’Ariosto di Francesco Patrizi; le Risposte ad alcuni
luoghi del dialogo del Pellegrino, opera di Orazio Ariosto, pronipote di Lodo-
vico. Considereremo dapprima gli ultimi due scritti, che precedono cronologi-
camente l’Apologia.
Il Patrizi, allora docente di filosofia platonica nello Studio di Ferrara, fu
direttamente interpellato sulla questione da Giovanni de’ Bardi da Vernio, ac-
cademico Alterato, e fornì il suo parere il 13 gennaio del 1585. Il contributo
è rilevante, soprattutto perché sposta la discussione dall’ambito della lingua o
dell’osservanza delle regole per porla su un piano più ampio. Coerentemente
con le proprie posizioni, già annunciate in modo chiaro nelle Discussiones peri-
pateticae, il filosofo rifiuta l’autorità aristotelica, e di conseguenza viene a cadere
la necessità di conformarsi alle norme della Poetica ed è vanificata la discussione
intorno a chi si sia attenuto a esse o meno; Patrizi non rinuncia tuttavia a un

22 «A le opposizioni fattemi risposi in cinque giorni; né so bene s’io ci ponessi tutto l’ingegno:
ma certo non ci posi tutto lo studio né tutta la diligenza, perché i miei libri sono incassati,
co’ quali avrei potuto aggrandire il volume, e confermare assai le mie risposte; ma non ho
voluto cavarli» (a Maurizio Cataneo, 18 marzo 1585: Tasso, Lettere, cit., vol. II, pp. 357-
358, n. 352).
23 Apologia del Sig. Torquato Tasso. In difesa della sua Gierusalemme liberata. Con alcune
altre Opere, parte in accusa, parte in difesa dell’Orlando furioso dell’Ariosto, della Gierusalem-
me istessa, e dell’Amadigi del Tasso Padre, Ferrara, Giulio Cesare Cagnacini, et fratelli, 1585.
24 Tasso, Lettere, cit., vol. II, p. 384, n. 391, a Luca Scalabrino.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 65

confronto fra il Furioso e i poemi omerici, a tutto vantaggio del primo, assolto
dalle accuse formulate nel Carrafa.25 Meno radicale l’impostazione di fondo
delle Risposte dell’Ariosto, che reputa la Poetica «opera manca ed imperfetta»,26
ossia incompleta, e dunque ritiene possibile sviluppare i principi ivi contenuti
in nuove direzioni, non del tutto estranee, ma implicite nel testo aristotelico:
per questa via l’Orlando furioso può essere visto come non privo di unità. Apo-
logetico nei confronti del prozio, Orazio Ariosto si mostra anche estremamente
rispettoso verso Tasso, cui è legato da rapporti cordiali: la sua idea è che i due
poemi non siano paragonabili, a causa delle diverse consapevoli scelte dei loro
autori sia sul piano della fabula che su quello stilistico, e sia perciò impossibile
stabilire la superiorità dell’uno o dell’altro.
L’Apologia tassiana è scritto composito, costituito di una prima sezione ora-
toria, volta alla difesa di Bernardo, e di una seconda parte “platonica”, ovvero
dialogica, che controbatte le accuse dei Cruscanti alla Gerusalemme, affine per
diversi aspetti al corpus degli altri dialoghi dell’autore (meno di un mese passa
tra la stesura dell’Apologia e quella del discorso Dell’arte del dialogo);27 gli inter-
locutori sono il Forestiero, abituale maschera indossata da Torquato, Vincenzo
Fantini, il canonico ferrarese che gli ha procurato una copia della Stacciata, e
il Segretario di questi, cui viene affidato il compito di leggere ad alta voce le
obiezioni della Crusca, in modo che il Forestiero possa rispondervi. Anche se
è innegabile che nel testo l’organicità e la coerenza del discorso siano in parte
sacrificate alla battaglia dialettica, come ha ben mostrato Baldassarri, giova tut-
tavia richiamare che l’Apologia fu la prima riflessione del Tasso in materia di po-

25 Esamina lo scritto Micaela Rinaldi, Il «Parere in difesa dell’Ariosto» di Francesco Patri-


zi, in Francesco Patrizi filosofo platonico nel crepuscolo del Rinascimento, a cura di Patrizia
Castelli, Firenze, Olschki, 2002, pp. 77-85.
26 Orazio Ariosto, Risposte ad alcuni luoghi del Dialogo dell’epica poesia del Sig. Camillo
Pellegrino, ne’ quali si riprendeva l’Orlando furioso dell’Ariosto, in Tasso, Apologia, cit., p.
n. n. Sull’autore e l’opuscolo si veda Giuseppe Venturini, Orazio Ariosti e la polemica
intorno alla superiorità del Tasso sull’Ariosto, «Atti e memorie della Deputazione provinciale
ferrarese di storia patria», s. iii, xii, 1972, pp. 3-88.
27 Guido Baldassarri, L’«Apologia» del Tasso e la «maniera platonica», in Letteratura e critica.
Studi in onore di Natalino Sapegno, a cura di Walter Binni et al., Roma, Bulzoni, 1974-
1979, vol. IV, pp. 223-251: 226-230. Inserisce l’Apologia nel quadro della ininterrotta
riflessione tassiana sul poema eroico Carla Molinari, Torquato Tasso e l’«eccesso de la veri-
tà», in Sul Tasso. Studi di filologia e letteratura italiana offerti a Luigi Poma, a cura di Franco
Gavazzeni, Roma-Padova, Antenore, 2003, pp. 451-509, poi in Ead., Studi sul Tasso, cit.,
pp. 181-232.
66 Marco Corradini La fine del Cinquecento

ema data in luce pubblicamente (i giovanili Discorsi dell’arte poetica appariranno


soltanto nel 1587), e che l’occasione polemica, pur trascesa dal poeta nell’evo-
luzione del suo pensiero teorico, non verrà da lui dimenticata, se è vero che
sentirà l’esigenza di alludervi ancora nelle pagine iniziali del Giudicio, ultimo
frutto del suo lavoro intellettuale.28 In realtà la risposta di Tasso, tra le pieghe di
un puntiglio a tratti perfino capzioso, riesce ad attingere temi di portata vasta
e profonda: su tutti, la collocazione dell’oggetto poetico nell’ambito del vero o
del falso, questione che diventerà cruciale di lì a poco con l’apparire della Difesa
di Dante di Iacopo Mazzoni nell’edizione ampliata del 1587, e che l’Apologia
affronta nei termini di un aristotelismo non rigido e coercitivo, ma utilizzato
come duttile e intelligente strumento di ricerca.29
Lungi dall’esaurirsi, da questo punto in avanti la polemica si frammenta in
diversi filoni di repliche e controrepliche, di cui daremo conto in modo neces-
sariamente cursorio. Una prima direzione di scambi vede in campo ancora gli
Accademici della Crusca; questi avevano forse percepito che l’opinione pubbli-
ca giudicava sfavorevolmente l’asprezza della Stacciata prima contro il poeta re-
cluso a sant’Anna, e si sentirono in dovere di giustificarla attraverso una Lettera
stesa da Bastiano de’ Rossi e probabilmente ispirata da Giovanni de’ Bardi,30
in cui si accusava Torquato di avere calunniato i Medici e i cittadini di Firenze
nel suo dialogo Il Gonzaga overo del piacere onesto, falsificando due orazioni di
Vincenzo Martelli e di Bernardo Tasso a Ferrante Sanseverino. Il fatto non era
nuovo (Il Gonzaga era stato pubblicato due anni prima), e aveva già generato un

28 «Non paragonerò dunque me a l’Ariosto, o la mia Gierusalemme al suo Furioso - come han
fatto gli inimici e gli amici miei quasi egualmente -, ma me già invecchiato e vicino a la
morte a me giovine ancora e d’etate immatura anzi che no; e farò comparazione ancora
fra la mia Gierusalemme quasi terrena e questa che, s’io non m’inganno, è assai più simile
a l’idea de la celeste Gierusalemme» (Torquato Tasso, Giudicio sovra la «Gerusalemme»
riformata, a cura di Claudio Gigante, Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 11-12).
29 Cfr. Claudio Scarpati, Vero e falso nel pensiero poetico del Tasso, in Claudio Scarpati -
Eraldo Bellini, Il vero e il falso dei poeti, Milano, Vita e Pensiero, 1990, pp. 3-34: 21-26;
Claudio Scarpati, 1585-1587: Tasso, Patrizi e Mazzoni, «Aevum», lxxvi, 2002, pp. 761-
773 (poi in Id., Invenzione e scrittura. Saggi di letteratura italiana, Milano, Vita e Pensiero,
2005, pp. 211-228).
30 Lettera di Bastiano de’ Rossi Cognominato lo Inferigno […] Nella quale si ragiona di
Torquato Tasso, del Dialogo dell’epica Poesia di Messer Cammillo Pellegrino, della risposta
fattagli dagli Accademici delle Crusca: e delle famiglie, e degli huomini della Città di Firenze,
In Firenze, A stanza degli Accademici della Crusca, 1585. Il coinvolgimento del Bardi è
supposto da Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’Ariosto e del Tasso, cit., p. 131.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 67

caso diplomatico, nel contesto di relazioni in quel momento non troppo distese
fra Firenze e Ferrara, nelle quali si inserisce la Lettera stessa, datata 1° maggio e
dunque precedente alla stampa dell’Apologia. Anche a questa uscita Tasso oppo-
se una più breve quanto dignitosa Risposta, e anche in questo caso Licino non
perse l’occasione per assemblare una miscellanea di interventi, edita con dedica
datata 25 ottobre.31 L’Apologia, a sua volta, generò una risposta in tempi stretti,
nota come l’Infarinato primo,32 nella quale Salviati usciva allo scoperto in prima
persona e ribadiva le proprie posizioni, secondo il consueto metodo della cita-
zione di un passo dell’avversario seguita dalla relativa confutazione, impiegan-
do la medesima aggressività della Stacciata. Con l’Infarinato, diversamente che
nella Lettera del de’ Rossi, siamo comunque nel campo della critica letteraria,
anche se il tono di Salviati non accenna ad ammorbidirsi, ma si mantiene pun-
gente, ai limiti dell’insolenza. Tasso postillò fittamente un esemplare dell’Infari-
nato primo, pensando di rispondere anche a questo, ma in seguito abbandonò il
progetto,33 dichiarando di voler lasciare il compito «a gli amici».34
In effetti non pochi si incaricarono di ribattere a Salviati in difesa della
Liberata, prima e dopo la comparsa del primo Infarinato: anzitutto Camillo
Pellegrino con la già citata Replica alla Stacciata prima, datata 2 ottobre 1585,
puntuale smentita delle obiezioni della Crusca nella quale il capuano sembra

31 Risposta del S. Torquato Tasso, alla Lettera di Bastian Rossi, Academico della Crusca, in difesa
del suo Dialogo del Piacere Honesto, et detta Lettera. Et un discorso del medesimo Tasso, sopra
il parere fatto dal Sig. Franc. Patricio, in difesa di Lodovico Ariosto, Ferrara, Vittorio Baldini,
Ad instanza di Giulio Vassalini, 1585.
32 Dello Infarinato Accademico della Crusca Risposta all’Apologia di Torquato Tasso Intorno
all’Orlando Furioso, e alla Gierusalem liberata, Firenze, Carlo Mecoli, e Salvestro Magliani,
1585 (lettera dello stampatore datata 13 settembre).
33 «Io aveva cominciato a rispondere a la Replica de la Crusca; ma ho tralasciato» (Tasso,
Lettere, cit., vol. II, p. 487, n. 461; ad Angelo Grillo, forse dei primi giorni di gennaio del
1586). La copia annotata da Tasso si conserva a Londra (British Library, Printed Books
C.28.e.8); ne trattano Sozzi, Tasso contro Salviati, cit. e Guido Baldassarri, Notizie di
postillati tassiani, «Studi tassiani», xlv, 1997, pp. 324-327.
34 «S’io avessi voluto parer o più dotto o più sano, avrei risposto più lungamente non solo alla
prima inventiva [sic, per «invettiva»] contra ’l mio poema, ma alla seconda, alla quale io non
rispondo, perché a mio padre non appartiene, e la causa mia posso ben io lasciare a gli amici,
perché la difendano in mia vece» (Risposta del S. Torq. Tasso, al Discorso del Sig. Oratio
Lombardelli Intorno a i contrasti, che si fanno sopra la Gierusalemme liberata, Ferrara, Vittorio
Baldini [su un altro esemplare «Ad instanza di G. Vasalini»], 1586, p. 4; lo scritto, un’epistola
indirizzata a Maurizio Cataneo, è edito in Tasso, Lettere, cit., vol. II, pp. 436-458).
68 Marco Corradini La fine del Cinquecento

propendere per una preminenza della «locuzione», riaffermando il primato tas-


siano in questo campo. La Replica, a sua volta, generò una nuova risposta di Sal-
viati, il cosiddetto Infarinato secondo:35 ancora una volta il nuovo intervento si
pone in coda a tutte le scritture precedenti a partire dal Carrafa, frammentate in
193 particelle e in un’infinita serie di smentite reciproche. La novità consiste nei
modi decisamente più morbidi del fiorentino: tra Pellegrino e i Cruscanti infatti
era intercorsa una riguardosa corrispondenza, pubblicata in calce all’Infarinato
secondo; da questa è interessante stralciare un passo di una lettera di Salviati che
contrappone le cose dette «da senno» a quelle sostenute «per ragion di disputa»,
a conferma del non indifferente grado di pretestuosità dell’intera polemica, la
quale tratta, secondo l’Infarinato, di questioni «probabili e dialettiche e senza
certa diffinizione» (parole che sembrano quasi anticipare il relativismo disincan-
tato di Marino, Tassoni e di molti scrittori della loro generazione).36
Altri difensori della Liberata dagli attacchi della Crusca furono il mo-
naco olivetano Nicolò degli Oddi, autore di un Dialogo in opposizione alla
Stacciata prima (composto nel settembre 1585, ma stampato due anni più
tardi);37 il giurista Giulio Ottonelli con un Discorso incentrato su questioni
linguistiche, e in particolare lessicali,38 a cui rispose ancora Salviati, con il
35 Lo ’nfarinato secondo, ovvero dello ’Nfarinato Accademico della Crusca, Risposta al libro inti-
tolato Replica di Camillo Pellegrino ec., Firenze, Anton Padovani, 1588.
36 «per la quale [Accademia] non istarà d’accettare il consiglio che ella ne dona, intorno al
por fine alla contesa con esso Tasso: delle quali, ad ogni modo, com’ella disse per altre sue,
resteranno appo molti sempre diverse l’opinioni, essendo queste cose probabili e dialet-
tiche e senza certa diffinizione. E vedrallo V. S. in esso medesimo Infarinato, il quale in
altre sue scritture, dove da senno favellerà di cose di poesia, sarà in molte cose contrario a
quelle che avrà detto per ragion di disputa, sostenendo i detti dell’Accademia» (Lionardo
Salviati a Camillo Pellegrino, 19 aprile 1586: Lo ’nfarinato secondo, cit., p. n. n.). Salviati
esprime un pensiero analogo anche nella lettera a Giovan Battista Attendolo del 14 giugno
dello stesso anno, ivi: «queste dispute dialettiche se n’andrebbono in infinito, e sempre
parrebbe che l’ultimo avesse la ragione egli. Ma quello ch’io ne senta da vero lo dichiarerò
(ma tuttavia con modestia) nel mio comento della Poetica». Anche Tasso peraltro, in una
delle sue postille inedite, rileva che «si alterca sempre su le bagatelle» (Sozzi, Tasso contro
Salviati, cit., p. 232).
37 Dialogo di Don Nicolo de gli Oddi padovano In difesa di Camillo Pellegrini. Contra gli
Academici della Crusca, Venetia, Fratelli Guerra, 1587.
38 Discorso del S.or Giulio Ottonelli sopra l’abuso del dire Sua Santità, Sua Maestà, Sua
Altezza, Senza nominare il Papa, l’Imperatore, il Principe. Con le difese della Gierusalemme
liberata del Signor Torq. Tasso dall’oppositioni de gli Academici della Crusca, Ferrara, Ad
instanza di Giulio Vassalini (col.: «Per Vittorio Baldini, Stampator Ducale»), 1586.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 69

consueto metodo delle particelle e atteggiamento sprezzante e sarcastico,


sotto il nome di Carlo Fioretti da Vernio;39 il genovese Giulio Guastavini,
in seguito importante commentatore della Liberata, che rispose al primo
Infarinato difendendo ad oltranza Tasso, ma senza per questo deprimere
Ariosto,40 e provocando un’ulteriore reazione di Orlando Pescetti;41 il rimi-
nese Malatesta Porta con l’ampio dialogo Il Rossi, dedicato a Scipione Gon-
zaga.42 Come si può osservare, la disputa non rimase confinata nei termini
iniziali di uno scontro sull’asse Firenze-Ferrara, ma molto presto si allargò
fino a raggiungere una dimensione nazionale; e d’altro canto un fiorentino
illustre come Giovan Battista Strozzi il Giovane, accademico Alterato, si
sentiva in dovere di puntualizzare che la Crusca non rappresentava tutta la
città.43
39 Considerazioni di Carlo Fioretti da Vernio intorno a un Discorso di M. Giulio Ottonelli
da Fanano sopra ad alcune dispute dietro alla Gierusalem di Torq. Tasso, Firenze, Antonio
Padovani, 1586. Ottonelli è autore anche di Annotazioni al Vocabolario della Crusca del
1612 stampate postume con l’errata attribuzione ad Alessandro Tassoni (Venezia, Rossetti,
1698).
40 «È necessario che, se la Gerusalemme è poema bello e perfetto, e perciò viene lodato, che sia
il Furioso imperfetto, e da sprezzare? E chi innalza quello, biasimi questo? o non possono
essere in un genere due poemi perfetti?» (Del Sig. Giulio Guastavini Risposta all’Infa-
rinato Academico della Crusca Intorno alla Gierusalemme liberata del Sig. Torquato Tasso,
Bergamo, Comino Ventura, e Compagni, 1588, c. 5r; la stampa è promossa da Licino).
Sui lavori di argomento tassiano dell’autore si veda Matteo Navone, Dalla parte di Tasso.
Giulio Guastavini e il dibattito sulla «Gerusalemme liberata», Alessandria, Ed. dell’Orso,
2011.
41 Del primo Infarinato, cioè Della Risposta dello Infarinato Accademico della Crusca all’A-
pologia di Torquato Tasso Difesa d’Orlando Pescetti contro allo Eccellentiss. Sig. Giulio
Guastavino, Verona, Discepolo, 1590.
42 Il Rossi overo del parere sopra alcune obiettioni, Fatte dall’Infarinato Academico della Crusca.
Intorno alla Gierusalemme liberata del Sig. Torquato Tasso. Dialogo di Malatesta Porta, lo
spento Academico Ardente, Rimini, Giovanni Simbeni, 1589. Gli interessi tassiani del Porta
sono analizzati in Silvia Apollonio, Malatesta Porta, un letterato riminese tra Tasso, Gali-
leo e Marino, «Aevum», lxxxi, 2007, pp. 765-791; Ead., Malatesta Porta e la «questione dei
costumi» nella «Gerusalemme liberata»: la difesa di Solimano nel dialogo «Il Beffa», «Testo»,
xxxix, 2018, 76, pp. 9-26.
43 «Vostra Signoria non creda, come il S. Torquato Tasso e altri mostrano di credere, che
l’Accademia della Crusca sia tutta Firenze» (Giovan Battista Strozzi il Giovane a Tomma-
so Costo, 15 marzo 1585 ab incarnatione [1586]: Discorso di Tomaso Costo Cittadino
Napoletano, per lo quale si mostra a che fine il Petrarca indirizzasse le sue rime, e che i suoi
Trionfi sieno poema Eroico, p. 53, in Il Petrarca nuovamente ridotto alla vera lettione, Vene-
70 Marco Corradini La fine del Cinquecento

Ma il dibattito registra anche altri opuscoli di Tasso, degni di attenzione


non fosse altro che per il nome dell’autore; il poeta si mosse per rispondere a
diversi interlocutori, lungo direttrici meno ostili e potenzialmente più aper-
te all’effettiva discussione di problemi teorici. Al Parere di Patrizi oppose un
Discorso datato 8 settembre 1585, presto stampato, come detto, da Licino,44
nel quale dichiarava necessaria e sufficiente la dottrina aristotelica sulla poesia;
l’anno seguente Patrizi replicò con il Trimerone (ossia lavoro steso in tre giorni),
edito in calce alla Deca disputata della sua monumentale Poetica, che contesta-
va radicalmente il principio della mimesis, fondamento della teorizzazione di
Aristotele.45 La medesima osservanza verso il pensiero dello stagirita è dimo-
strata da Tasso nella risposta a Orazio Ariosto, un breve scritto intitolato Delle
differenze poetiche.46 A Lombardelli infine, autore di un Discorso che prende in
esame partitamente, sostanzialmente respingendole, tutte le obiezioni mosse
alla Liberata dal Pellegrino e dai Cruscanti,47 Torquato indirizzò un’abbastanza
risentita Risposta in forma di lettera a Maurizio Cataneo, cioè a colui che aveva
sollecitato il parere dell’accademico senese.48
Salviati moriva nel luglio del 1589, e ciò contribuì a chiudere la fase cin-
quecentesca della controversia; ulteriori sviluppi si ebbero all’inizio del xvii se-
colo, con la partecipazione di una figura di rilievo quale Paolo Beni, ma questi
esulano dal nostro argomento, così come non vi rientrano le Considerazioni al
Tasso di Galileo.

tia, Barezzo Barezzi, 1592, con frontespizio proprio e numerazione autonoma di pagine).
44 Cfr. supra, nota 31.
45 Della poetica di Francesco Patrici, La Deca Disputata […] Et vi è aggiunto il Trimerone
del medesimo, in risposta alle oppositioni fatte dal Signor Torquato Tasso Al parer suo scritto in
diffesa dell’Ariosto, Ferrara, Vittorio Baldini Stampator Ducale, 1586, pp. 211-250.
46 Delle differenze poetiche. Discorso del Signor Torquato Tasso Per risposta al Sig. Horatio
Ariosto, Verona, Hieronimo Discepolo, 1587 (composto nel 1585).
47 Discorso intorno a i contrasti, che si fanno sopra la Gierusalemme liberata di Torquato Tas-
so Del Signor Orazio Lombardelli Senese Academico Umoroso, Ferrara, Ad instanza di
Giulio Vassalini (col.: «Appresso Vittorio Baldini Stampator Ducale»), 1586. La stampa è
promossa dal Licino.
48 Risposta del S. Torq. Tasso, al Discorso del Sig. Oratio Lombardelli Intorno a i contrasti, che
si fanno sopra la Gierusalemme liberata, Ferrara, Ad instanza di G. Vasalini, 1586. L’epistola
è compresa in Tasso, Lettere, cit., vol. II, n. 434.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 71

II. Temi trattati

Sebbene, come si è detto, la disputa tra “ariostisti” e “tassisti” sia stata originata da
motivazioni in buona parte extraletterarie e molti apporti risultino ripetitivi e poco
originali, essa insiste su alcuni motivi fondamentali nell’orizzonte teorico-critico del
secondo Cinquecento, in qualche caso riuscendo a recare contributi significativi.

a) La poesia e la storia; vero, verisimile e falso


Il fondamento del poema su una materia storica era uno dei principali
criteri che distinguevano nei decenni centrali del secolo il poema eroico, alme-
no nella sua forma più ortodossa, dal romanzo cavalleresco; e Tasso, all’inizio
del primo Discorso dell’arte poetica, aveva preso decisamente posizione a favore
dell’argomento «tolto dall’istorie».49 Nel Carrafa Pellegrino dà quasi per scon-
tata la superiorità della materia storicamente vera, e non ne discute a proposito
della Liberata, bensì dell’Amadigi di Bernardo, basato su una favola di totale
invenzione anziché sulla rielaborazione poetica dei dati storici, e come tale rite-
nuto non da lodare, ma tutt’al più assolto con formula dubitativa, sull’autorità
di Aristotele che nella Poetica aveva ritenuto ammissibile la tragedia costitui-
ta esclusivamente di fatti e personaggi inventati.50 A questo punto si inserisce
un’obiezione dell’interlocutore “discente”, Luigi Carrafa principe di Stigliano:

L’invenzione è pur una delle parti principali e necessarie al poeta. Anzi non ha dubbio
che chi non ritrova di proprio ingegno è al tutto indegno di questo nome. Come può
star dunque che meriti più loda colui che ritrova parte che colui che ritrova un tutto?51

Nel dialogo del capuano il quesito è un nodo da superare, un semplice passag-


gio dialettico che dà modo al più esperto Giovan Battista Attendolo di chiarire
come il poeta non sia «solamente inventor delle cose, ma eziandio delle parti
appartinenti alla locuzione», e come sia più difficile «frammetter mezzi favolosi
nell’azion d’una istoria che finger una favola non più intesa».52 Nella Stacciata
prima, al contrario, l’argomento viene riproposto in forma lapidaria («Il poeta

49 Torquato Tasso, Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico, a cura di Luigi Poma, Bari,
Laterza, 1964, pp. 4-6 (D.a.p., I).
50 Pellegrino, Il Carrafa, cit., pp. 310-311; cfr. Arst., Poet., IX 1451b 19-23.
51 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 311.
52 Ibidem.
72 Marco Corradini La fine del Cinquecento

non è poeta senza la ’nvenzione: però scrivendo storia, o sopra storia stata scritta
da altri, perde l’essere interamente»), con un probabile ricordo del commento
aristotelico di Castelvetro,53 accompagnato dalla considerazione che non è pos-
sibile “restringere” l’idea dell’inventare all’ambito della locuzione. Tasso in real-
tà aveva già affrontato e risolto il problema all’altezza dei Discorsi giovanili («La
novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia
sia finta e non più udita, ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimen-
to della favola»);54 la risposta dell’Apologia invece, pur strettamente legata alle
chiose di Salviati, opera uno scarto allargando ed elevando il discorso, a partire
dal significato originario latino del termine inventio:

Forestiero: Ditemi dunque: il ritrovamento, che si dice invenzione con altro nome, è
delle cose che sono o di quelle che non sono?
Segretario: Di quelle che sono; perché quelle che non sono, non possono ritrovarsi.
Forestiero: Ma le cose finte o false sono?
Segretario: Ho sempre udito dire per voi filosofi, che ’l falso è nulla.
Forestiero: E quel che è nulla, non è; dunque le cose false non sono: e l’invenzione non
è delle cose false, ma delle vere che sono, ma non sono anco state ritrovate.55

In questo modo la creazione poetica è sottratta al rischio della fabulazione gra-


tuita e trattenuta a contatto con la nozione di verità: l’idea che “inventare” non
significhi creare dal nulla, ma scoprire e riconoscere un vero che è già insito nel
reale, di probabile origine agostiniana56 e prima ancora platonica (la teoria della
reminiscenza), giungerà fino al Manzoni del dialogo Dell’invenzione. L’Apologia
introduce così con singolare tempismo, un anno prima delle Deche di Patrizi e
due in anticipo sulla versione estesa della Difesa di Dante di Iacopo Mazzoni,57
il grande tema della collocazione della poesia tra sfera razionale e furor, tra il

53 Secondo il quale l’«essenzia» del poeta «consiste nella ’nvenzione e senza essa invenzione
non è poeta» (Lodovico Castelvetro, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, a cura di
Werther Romani, Roma-Bari, Laterza, 1978-1979, vol. I, p. 289).
54 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., p. 5.
55 Cito da Torquato Tasso, Apologia in difesa della «Gerusalemme liberata», in Id., Prose, a
cura di Ettore Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 428-429.
56 Agostino, De vera religione, XXXIX 73: «Non enim ratiocinatio talia facit, sed invenit.
Ergo antequam inveniantur, in se manent».
57 Cfr. Claudio Scarpati, Icastico e fantastico. Iacopo Mazzoni fra Tasso e Marino, in Id., Dire
la verità al principe. Ricerche sulla letteratura del Rinascimento, Milano, Vita e Pensiero,
1987, pp. 231-269.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 73

territorio delle discipline logiche e quello della pura fantasia, che terrà il campo
nell’ultimo scorcio del Cinquecento. Tasso fin d’ora reagisce, come farà poi più
estesamente nei Discorsi del poema eroico, allo slittamento della poetica in dire-
zione del “falso”:

Forestiero: Dunque l’arte dell’imitare, o del far l’imagini, che vogliam chiamarla, sarà
divisa in due spezie: l’una delle quali farà le imitazioni delle cose vere, che saranno vere
imitazioni; l’altra farà i fantasmi.
Segretario: Queste due spezie ci son veramente. E ora intendo quel che disse Ronsar-
do, poeta famoso tra’ Francesi, che la poesia dell’Ariosto era fantastica.
Forestiero: Ma fra queste spezie, per la ragione dell’oppositore, sarebbe degna di lode
maggiore l’imitazione delle false imagini.
Segretario: Così par che seguiti, perché ella è accompagnata con maggior invenzione.
[…]
Forestiero: Ma i fantasmi e le false imagini non sono; laonde pare che di loro non sia
ritrovamento. Quella che prima ci pareva maggior invenzione, ora non ci pare invenzio-
ne in modo alcuno.
[…]
Forestiero: Perché in quanto elle [le cose] non sono, stanno ascose e ricoperte nelle
tenebre e nella caligine di quel che non è: lì dove suol rifuggire il sofista, e circondarsi di
molti argini e di molti ripari, perché sia malagevole il cavarnelo:

e quivi suol ricercarle il poeta fantastico, il quale è l’istesso che ’l sofistico; ma ricercan-
done, è gran pericolo che perda se stesso.58

Il cenno alla «fantastica» poesia di Ariosto, implicitamente contrapposta a quel-


la dello scrivente, fa intuire come la distinzione platonica fra imitazione icastica
e fantastica, riproposta da Mazzoni, discussa in seguito da Tasso e largamente
affermatasi tra xvi e xvii secolo, non sia priva di legami con la polemica fra
sostenitori del Furioso e della Liberata; e d’altra parte è già stato rilevato che
Mazzoni compose la Difesa «con l’occhio rivolto agli ambienti fiorentini», e a
Salviati in particolare.59
Il vincolamento alla storia, tuttavia, non è per il poeta epico un letto di Pro-
custe: nel seguito dell’Apologia Tasso ha buon gioco a rifarsi alla nozione aristo-
telica di verosimile e al confronto operato dalla Poetica tra poesia e storiografia,
argomenti già toccati nei Discorsi dell’arte poetica. L’autore della Gerusalemme
non ha inteso attenersi al vero storico in tutti i particolari, come vorrebbe Sal-
58 Tasso, Apologia, cit., pp. 432-433.
59 Scarpati, Icastico e fantastico, cit., pp. 231-233; la citazione a p. 231.
74 Marco Corradini La fine del Cinquecento

viati («scrivendo storia»); al poeta è lecito variarli, poiché la verità cui egli deve
guardare è un’altra, di portata più ampia:

Forestiero: […] la verità è nei particolari solamente, o nei particolari e negli universali?
Segretario: Negli uni e negli altri.
Forestiero: Ed ambedue son considerate da l’istorico o dal filosofo, o pure l’una da
l’uno e l’altra da l’altro?
Segretario: Quella dei particolari considera l’istorico, e quella degli universali il filosofo,
il qual considera ancora il verisimile in universale, perch’appartiene all’arte medesima.
Forestiero: Dunque il poeta non guasta la verità, ma la ricerca perfetta, supponendo in
luogo della verità dei particolari quella degli universali, i quali sono idee.
Segretario: Così debbiam credere dei filosofi divini.
Forestiero: E de’ poeti parimente, i quali nella considerazione dell’idee sono filosofi:
laonde quelli si diranno adulterar la verità che ritraggono i fantasmi, non quelli che
risguardano l’idee.60

Quanto risultava chiaro a Torquato fin dagli anni giovanili della sua prima
riflessione intorno all’epopea si innesta qui sul tema proposto dell’invenzio-
ne fantastica: il poeta non è il dissipatore della storicità, ma al contrario colui
che la universalizza conferendole un significato ulteriore che trascende i dati
contingenti;61 e ad «adulterar la verità» non è dunque chi, nel rispetto del vero-
simile, perfeziona la fabula storica, bensì chi insegue «i fantasmi» del falso, gli
oggetti privi di una corrispondenza in re.62
Il problema della falsificazione della storia riemerge, in termini leggermen-
te diversi, nella Risposta al Lombardelli: la poesia è cosa diversa dalla storia, e
dunque non può essere storia falsificata, non comportando alcun inganno per il
lettore. Fin qui il discorso procede piano, ma a quest’altezza tocca un punto ne-
vralgico, su cui la riflessione dell’autore si soffermerà a lungo, fino ai tardi anni
del Giudicio: nella Gerusalemme alla poesia si mescola l’allegoria, e «S. Agostino
disse meglio di tutti che l’allegoria non è falsa perché significa. Dunque – è la
60 Tasso, Apologia, cit., p. 435.
61 «E ’l poeta […] è più filosofo che non è l’istorico, il quale risguarda i particolari» (Tasso,
Apologia, cit., p. 435, che parafrasa Arst., Poet., IX 1451b 5-7); «l’uno e l’altro [Omero e
Virgilio], poetando, non volle narrare come istorico i particolari, ma come filosofo forma-
re gli universali: la verità de’ quali è molto più stabile e molto più certa» (ivi, p. 436).
62 Sulla dialettica di vero, verosimile e falso nelle varie fasi del pensiero teorico tassiano si
veda Claudio Scarpati, Tasso, Sigonio Vettori, in Id., Studi sul Cinquecento italiano, Mila-
no, Vita e Pensiero, 1982, pp. 156-200: 187-200, oltre al già citato Vero e falso nel pensiero
poetico del Tasso, dello stesso.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 75

conclusione di Tasso – non son falsificatore, ma poeta».63 Proprio il 1585 si


rivela uno snodo cruciale nel ripensamento dell’autore sulla natura del procedi-
mento allegorico, dapprima considerato un semplice espediente per legittimare
le zone del poema più sottoposte alle obiezioni dei revisori, fino a trasformarsi
poi in una componente intrinseca dell’espressione poetica.64 Anche in questo
caso l’occasione polemica è oltrepassata in direzione di una ricerca assidua e
tenace; e le meditazioni degli anni di Sant’Anna, per interi secoli compatite più
che considerate criticamente, si rivelano feconde di acquisti decisivi.

b) L’unità d’azione
La questione più dibattuta nelle discussioni del medio Cinquecento in-
torno al poema, e segnatamente al Furioso, non poteva rimanere esclusa dalla
polemica che stiamo analizzando. La sostanziale ortodossia aristotelica di Pelle-
grino non lascia margine a dubbi: Ariosto, così come Bernardo e tutti gli autori
di romanzi, si è allontanato dalla perfezione dell’epopea costruendo una favola
non unitaria, a differenza di Torquato, il quale pertanto è riuscito superiore
sotto tale aspetto:

Att[endolo]: dovendo eglino [Ariosto e Bernardo Tasso] sì come richiede la perfezion


dell’epopea, da una sola azione formar un sol corpo, il quale (come vuole Aristotile) sia
tale che possa comprendersi in una sola vista, in iscambio di ciò formarono un mostro
di più capi e di diverse membra non ordinate, che l’intelletto si stanca in considerarle, né
può capirle in una sola speculazione, non avendo elle dipendenza da un solo principio
che abbia il suo mezzo et il suo fine, sì come ha l’ordinata imitazion poetica.
Car[rafa]: Da questo vostro discorso si può conchiudere che il Tasso figliuolo, per aver
nella sua Gierusalem liberata imitato una sola azione, benché da persone diverse, con i
debiti mezzi condotta al fine, che egli perciò abbia superato il padre.
Att.: Signor sì, in questa parte.65

63 Tasso, Risposta al Lombardelli, p. 21. Passi paralleli si leggono nella lettera a Curzio Ardi-
zio del 25 febbraio 1585 (Tasso, Lettere, cit., vol. II, p. 333); nel dialogo Il Cataneo overo
de gli idoli, dell’aprile dello stesso anno (Torquato Tasso, Dialoghi, a cura di Giovan-
ni Baffetti, Milano, Rizzoli, vol. II, p. 761); infine, nel Giudicio sovra la «Gerusalemme»
riformata, pp. 18-19. L’idea attribuita ad Agostino ricorre in diversi scritti del vescovo di
Ippona: Questiones evangeliorum, De mendacio, Contra mendacium.
64 Ripercorre in profondità le tappe della meditazione tassiana sul tema Maria Teresa
Girardi, Tasso e la nuova ’Gerusalemme’. Studio sulla «Conquistata» e sul «Giudicio», Napo-
li, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 207-250.
65 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 317.
76 Marco Corradini La fine del Cinquecento

Il riferimento incidentale alle «persone diverse» che conducono al fine l’azione,


quasi una moderata riserva, mostra come Pellegrino spinga a fondo l’analisi del
poema tassiano: lo stesso Torquato infatti si era interrogato sulla liceità dell’’a-
zione una di molti’, ovvero della fabula in cui molti eroi concorrano a un’unica
impresa, ansioso di giustificarla, ma non senza dubbi in proposito.66 Segno an-
che questo, in fondo, della volontà del poeta di sfuggire all’apparente aut aut tra
una molteplicità dispersiva, disordinata, condannabile teoricamente e una trop-
po rigida unità, che compromettesse il piacere del lettore con la sua monotonia;
quel dilemma che Tasso aveva già genialmente risolto, nei Discorsi giovanili non
ancora consegnati al pubblico dei lettori, con la formula dell’«unità mista», il
principio della varietà nell’unità esemplificato nella memorabile pagina sul po-
ema «picciolo mondo».67 L’autore della Stacciata prima, da parte sua, non tenta
di mettere in discussione l’unitarietà della Gerusalemme, che anzi gli appare «po-
ema asciutto e povero»,68 cioè in sostanza carente di varietà (la «casetta» di cui si
diceva sopra, contrapposta al magnifico e ricchissimo palazzo del Furioso), ma
prende piuttosto la non inedita strada della negazione della pluralità di azioni
in Ariosto, proclamata con decisione, ma in forma alquanto reticente: «Queste
più azioni, nel Furioso dell’Ariosto, bisogna provarle, e non presupporle»; «Noi
diciamo che nel Furioso è una sola azione: e all’Attendolo tocca a provare il
contrario».69 Pellegrino non si sottrae al presunto onere della prova e affida alla
Replica la compiuta dimostrazione della natura molteplice del poema ariostesco,
allegando la citazione di Arst., Poet., VIII 1451a 30-35, l’analisi dell’intreccio
del Furioso, le dichiarazioni di poetica interne allo stesso (le immagini del suo-
natore, della tela e del banchetto, così come i punti di snodo dell’entrelacement),
il commento del Castelvetro, l’Arte poetica di Minturno, la vita dell’autore stesa
da Giovan Battista Pigna.70 La risposta di Salviati questa volta si estende fino alla
lunghezza di ben venti pagine, che scendono sul terreno dell’interpretazione di
Aristotele, con la distinzione dell’’uno’ dal “tutto”, cioè del requisito dell’unicità

66 Il problema è affrontato in diversi brani delle Lettere poetiche (cit., pp. 107-114, 154-159,
269-278) e ritornerà nel Giudicio; sull’argomento Lorenzo Bocca, «Il proporre molti ove
sia alcuno eminente» (LP XII, 4). Le «Lettere poetiche» e l’unità una di molti in uno, «Studi
tassiani», lvi-lviii, 2008-2010, pp. 97-122 (poi ripreso in Id., Le «Lettere poetiche» e la
revisione romana della «Gerusalemme liberata», Alessandria, Ed. dell’Orso, 2014).
67 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, pp. 35-36.
68 Stacciata prima, cit., c. 11v.
69 Ivi, cc. 6r e 11r.
70 Pellegrino, Replica, cit., pp. 61-68.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 77

da quello dell’interezza della favola, la dettagliata casistica di “inizio”, “mezzo”


e “fine” del racconto, ma soprattutto facendo leva sul discrimine operato nella
Poetica fra tragedia ed epopea, a motivo della maggiore ampiezza della seconda.
Il fiorentino mette qui a frutto la propria familiarità con il testo aristotelico71, ed
è abile nell’estrapolare e legare insieme i passi in cui il filosofo definisce polymy-
thon la narrazione epica (XVIII 1456a 12-15), consente nel poema la presenta-
zione di vicende simultanee (XXIV 1459b 23-26), considera “meno unitaria” la
mimesi dei poeti epici (XXVI 1462b 4-12). Il tutto naturalmente è funzionale
all’esaltazione, più che alla semplice assoluzione, dell’Orlando furioso:

Torno a dirvi che la favola del Furioso è di perfetta unità, ma in essa, senza punto scemar-
le quella perfezione, ha saputo il poeta ritrovar modo d’allargarla e di renderla ampia e
magnifica e varia, e dilettevole per conseguente, più che altro poeta sapesse mai […]. Ec-
covi che proprie sono dell’eroico e celebrate da Aristotile quelle tante e fila e tele e favole
e varianze e saltamenti di che ed egli si vanta e compiacesi, e da voi si biasima l’Ariosto.72

Si ha quasi l’impressione che l’Infarinato voglia presentare un Ariosto, per così


dire, “tassiano”, ovvero capace di realizzare quell’ideale di conciliazione fra va-
rietà e unità che la Gerusalemme, a suo parere, non ha conseguito («l’unità della
favola riallargare, e renderla molto più varia e più dilettevole»).73 Se sul versante
teorico Salviati mostra di muoversi con disinvoltura, non sembra invece poter
evitare un certo impaccio scendendo sul piano critico. Ecco come sintetizza
infatti il soggetto “unitario” dell’opera che gli sta a cuore:

questo è l’argomento dell’Orlando furioso dell’Ariosto: un re cristiano con la sua oste


stretto d’assedio nella sua terra da un re ed esercito barbaro, né potendosi liberar con
le sole forze de’ suoi, per l’essere allora un suo principal guerriero per amor divenuto
furioso; di poi per certi soccorsi venutigli, non pur liberatosi dall’assedio, ma dopo più
e varie fazioni divenuto superiore in campagna; e appresso rimessa con giuramento per
la sua parte tutta la somma della guerra in un suo campione (sì come anche il re barbaro
fece in un suo), dopo che esso re barbaro, ingannato da false imagini d’una maga, ebbe
rotto quel duello ed il giuramento; prima in terra e poi in mare sconfitto il detto re

71 A partire dal 1566 Salviati tradusse la Poetica e attese a un vasto commento, rimasto
incompiuto e tuttora inedito (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II II 11, già
Magl. VII 87): su questo lavoro si veda Claudio Gigante, Leonardo Salviati e Jacopo
Mazzoni in difesa di Dante, in Id., Esperienze di filologia cinquecentesca. Salviati, Mazzoni,
Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 10-20.
72 Salviati, Lo ’nfarinato secondo, cit., pp. 77-79.
73 Ivi, p. 83.
78 Marco Corradini La fine del Cinquecento

barbaro, che sene fuggiva nel regno suo, e per mezzo del suo principal guerriero, in cui
era cessato il furore, distruttagli la città e sedia reale, e appresso, per man del medesimo,
in battaglia fra tre e tre, privatolo della vita, restò non sol vittorioso, ma per parentela
contratta tra i suoi maggior baroni, e per l’acquisto fatto di cavalieri, e per la morte data
da un de’ suoi in duello a un gran vassallo di quel re barbaro, rimase in presente gioia e
sicurezza nell’avvenire.74

Non esattamente un modello di ordine e linearità, forse, alla cui esposizione


non giova una sintassi alquanto faticosa: è noto, d’altra parte, come il Furioso
sia un poema per definizione quasi impossibile da riassumere in modo soddi-
sfacente. Ma si può anche avanzare un altro rilievo: ridotta la fabula alla sola
narrazione della guerra tra cristiani e mori, privata di tutte le vicende amoro-
se e fantastiche (considerate semplici episodi, e perciò espunte dall’argomento
principale), l’Orlando furioso viene ad assomigliare molto più a un poema epico
“ortodosso” che non a un romanzo di cavalleria, ponendosi sulla stessa linea,
appunto, della Liberata. Resta il fatto, tuttavia, che un Furioso così depurato
corrisponde ben poco alla realtà del testo.
Occorre precisare che Pellegrino, oltre a non manifestare inimicizia nei
confronti di Ariosto, non si dimostra pregiudizialmente contrario alla favola di
più azioni, ma si limita a una distinzione di genere, che già ritroviamo, ad esem-
pio, nel Discorso intorno al comporre de’ romanzi di Giraldi Cinzio: nel romanzo
moderno, componimento di minore perfezione, la molteplicità è ammessa, a
differenza che nel poema eroico; dunque Ariosto non ha commesso errori, ma
ha compiuto una scelta consapevole, mirando a uno soltanto tra i due fini tra-
dizionali della poesia, e cioè la «vaghezza» e il «diletto», e «posponendo l’utile».75
Salviati sostiene, al contrario, che il genere del romanzo non possa essere sepa-
rato da quello del poema eroico, poiché non differisce da esso né per il soggetto
dell’imitazione (l’azione illustre), né per il modo (misto di diegesi e mimesi), né
per lo strumento (il verso), e dunque ad entrambi si attaglia la definizione ari-
stotelica di «Imitazion d’illustre azione fatta col verso, nella qual talor favella il
poeta come poeta, e talora in persona altrui»;76 il suo intento infatti non è legit-
timare la pluralità di azioni, bensì negare che il Furioso ne contenga più d’una.
Il pensiero di Tasso intorno a tali questioni è facilmente ricostruibile, se po-
niamo mente al secondo dei Discorsi dell’arte poetica: il romanzo non è «spezie di

74 Ivi, pp. 75-76.


75 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 318.
76 Salviati, Lo ’nfarinato secondo, cit., p. 40.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 79

poesia diversa dalla epopeia», e dunque non si sottrae all’osservanza delle norme di
Aristotele;77 e l’esempio di Ariosto, poeta peraltro «divino», non deve essere seguito
«nella moltitudine delle azioni».78 Nel caso specifico dell’Apologia, però, l’obiettivo
dell’autore non è attaccare il Furioso, né difendere la Gerusalemme, la cui unità non
è stata messa in discussione, ma tutelare la memoria del padre: non potendo evitare
di ammettere che l’Amadigi comprenda molte azioni, la via che Torquato percorre
è quella di mostrare come la scelta di Bernardo sia stata «scusabile»,79 attraverso il
racconto di un episodio estratto dalla propria memoria familiare:

[Mio padre], sì come colui che ottimamente intendeva l’arte poetica, e quella partico-
larmente insegnataci da Aristotele, deliberò di far poema d’una sola azione, e formò la
favola sopra la disperazione d’Amadigi per la gelosia d’Oriana, terminando il poema con
la battaglia fra Lisuarte e Cildadano; e molte dell’altre cose più risguardevoli avvenute
prima, o dopo succedute, narrava negli episodi o nelle digressioni che vogliam chiamar-
le. Questo fu il disegno, del quale alcun maestro dell’arte no ’l poteva far miglior, né più
bello. Ma finalmente, per non perder il nome di buon cortigiano, non si curò di ritener
a forza quello d’ottimo poeta; e udite come.
Leggeva alcuni suoi canti al principe suo padrone; e quando egli cominciò a leggere,
erano le camere piene di gentiluomini ascoltatori; ma nel fine, tutti erano spariti: da
la qual cosa egli prese argumento che l’unità dell’azione fosse poco dilettevole per sua
natura, non per difetto d’arte che egli avesse: perciò che egli l’aveva trattata in modo che
l’arte non poteva riprendersi: e di questo non s’ingannava punto. Ma forse gli sarebbe
bastato quello che bastò prima ad Antimaco Colofonio, a cui Platone valeva per molti,
se ’l principe non avesse aggiunto il suo commandamento a la commune persuasione:
laonde convenne ubidire,
ma co ’l cor mesto e con turbato ciglio;

perciò ch’egli ben conosceva che il suo poema perdeva con l’unità della favola molto di
perfezione.80

77 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, pp. 26-27. Da notare che la dimostrazione
tassiana dell’identità di genere tra romanzo ed epopea coincide perfettamente con quella
svolta da Salviati nell’Infarinato secondo.
78 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, pp. 22-23.
79 È questo l’aggettivo impiegato nei Discorsi dell’arte poetica, in un passo in cui si può indo-
vinare un’implicita allusione all’Amadigi: «la qual moltitudine [delle azioni] scusabile nel
poema epico può ben essere, rivolgendo la colpa o a l’uso de’ tempi o al comandamento di
principe o a preghiera di dama o ad altra cagione, ma lodevole non sarà però mai riputata»
(Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, p. 23; corsivo mio).
80 Tasso, Apologia, cit., pp. 416-417. Il verso, citato ad sensum, è Petrarca, Triumphus
Cupidinis, II 57; il fatto a cui il brano si riferisce risale presumibilmente al 1548.
80 Marco Corradini La fine del Cinquecento

Un Bernardo, nell’immagine che ce ne vuole trasmettere il figlio, che abbando-


na la favola unitaria a malincuore e soltanto per obbedienza al proprio signore,
il principe Ferrante Sanseverino; le cose, tuttavia, non dovevano stare proprio in
questi termini, se teniamo conto, ad esempio, della corrispondenza inviata negli
anni cinquanta da Bernardo a Giraldi e a Benedetto Varchi, nella quale Tasso
senior si mostra incline a giustificare anche dal punto di vista teorico il romanzo
di più azioni, a motivo dell’uso dei tempi e del maggiore “diletto” da esso susci-
tato.81 Ma dall’aneddoto della fuga degli ascoltatori emerge con icastica chiarez-
za l’esigenza (non solo di Bernardo, ovviamente, ma in primo luogo dello stesso
Torquato) di superare la piattezza e l’uniformità connesse a un eccesso di rigore
nell’osservanza del precetto aristotelico, senza tuttavia rinunciare a un’intrinseca
unità dell’opera: la stessa esigenza, cioè, che Salviati considera soddisfatta non
dalla Liberata, bensì dal Furioso.

c) La lingua e lo stile
Ancora una volta i termini della questione sono fissati dapprima nel Carra-
fa. Il giudizio di Pellegrino in questo campo si rivela articolato: la dote principa-
le dell’espressione di Ariosto è la «chiarezza», spiegata come semplicità, purezza,
naturalezza, laddove Tasso predilige «modi di dir poetici, lontani in tutto dal
parlar dell’uso commune», tanto che «alle volte oscuro ne diviene». Tali diverse
caratteristiche fanno sì che il primo sia da preferirsi per la «sentenza» dolce ed
efficace, mentre il secondo eccelle nella «locuzione», ricca di «nuove metafore
e nuovi modi di dire».82 Segue una serie di citazioni dai due poemi, tese ad
esemplificare i concetti «facili» del Furioso e quelli della Liberata, artificiosi, ab-
bondanti di traslati e quasi laconici.83 L’analisi del capuano, al di là dei giudizi di
valore, coglie qui con esattezza l’evoluzione storica della lingua poetica italiana
dalla fase del pieno Rinascimento a quella che si apre alla seconda metà del seco-
lo, ricondotta comunemente sotto il nome di Manierismo; e va osservato come
anche sul discorso “oscuro” Tasso avesse già soffermato la propria riflessione,
81 Cfr. Delle lettere di M. Bernardo Tasso, secondo volume, Vinegia, Gabriel Giolito de’ Fer-
rari, 1560 (rist. anast. a cura di Adriana Chemello, Sala Bolognese, Forni, 2002, pp. 208-
213, 540-547. Le lettere intercorse tra Bernardo e il Cinzio sono analizzate in Donatella
Rasi, Breve ricognizione di un carteggio cinquecentesco: Bernardo Tasso e G.B. Giraldi, «Studi
tassiani», xxviii, 1980, pp. 5-24.
82 Pellegrino, Il Carrafa, cit., pp. 329-330.
83 Ivi, pp. 331-338.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 81

quando, in un passo delle Considerazioni sopra tre canzoni di M. Gio. Battista


Pigna, sulla scorta del De elocutione commentato da Pier Vettori, guardava con
favore a quell’oscurità che non procede «da mala espressione, ma da profondità
di pensieri, e giunge un non so che di maestà a lo stile […]; in quella guisa, che
veggiamo che le tenebre rendono più venerabili i luoghi, ed inducono maggior
divozione»:84 sono parole che acquistano un senso programmatico, se le leggia-
mo nella prospettiva dello stile “magnifico” del poema sulla crociata.
Com’è naturale, pensando alla vocazione specifica dell’Accademia della
Crusca, l’argomento linguistico riceve grandi attenzioni tanto nella Stacciata
prima, quanto nel ben più ampio Infarinato secondo. Salviati contesta i confini
tra sentenza e locuzione stabiliti da Pellegrino,85 e sostiene che il Furioso «sia
dettato in buon volgar fiorentino», di contro all’avversario che lo aveva ritenuto
scritto «in lingua toscana» e anzi contenente «infinite voci e locuzioni lombar-
de» (nel senso antico di “settentrionali”): è palese la volontà di guadagnare Ario-
sto alla causa del primato naturale fiorentino, tanto da alimentare la leggenda
di una “risciacquatura in Arno” del poema.86 Ma l’impegno maggiore è posto
nell’implacabile opposizione all’assetto formale della Gerusalemme «in ogni suo
aspetto: lessico, sintassi, retorica e metrica».87 Accenneremo qui soltanto a un
paio di punti, a cominciare dal trattamento retorico della lingua: già Pellegrino,
malgrado la sua lettura fosse interna a quella temperie manierista di cui la Li-
berata rappresentava il massimo frutto, avanzava il dubbio che Tasso fosse stato
«troppo culto», ossia si fosse servito di un’espressione ricercata fino all’eccesso.

84 Torquato Tasso, Considerazioni sopra tre canzoni di M, Gio. Battista Pigna intitolate le
tre sorelle [1572], in Le prose diverse di Torquato Tasso nuovamente raccolte ed emendate
da Cesare Guasti, Firenze, Successori Le Monnier, 1875, vol. II, p. 110. Su questo aspetto
delle Considerazioni vd. Ezio Raimondi, Poesia della retorica, in Id., Poesia come retorica,
Firenze, Olschki, 1980, pp. 52-54; Scarpati, Vero e falso nel pensiero poetico del Tasso, cit.,
pp. 15-16.
85 La diversa articolazione dei due campi in Pellegrino e Salviati è discussa e ricondotta a
concezioni retoriche differenti in Riccardo Scrivano, Intorno al linguaggio della critica
nel Cinquecento, in Renaissance. Studies in honor of Hans Baron, edited by Anthony Molho
and John A. Tedeschi, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 465-498 (poi, con il titolo Linguaggio
della critica nel Cinquecento, in Id., La norma e lo scarto. Proposte per il Cinquecento lettera-
rio italiano, Roma, Bonacci, 1980, pp. 275-302).
86 «l’Ariosto venne a Firenze, e stetteci parecchi anni, per imparare i vocaboli e le proprietà
del linguaggio […]. E forse che se ’l Tasso avesse fatto il medesimo, non sarebbe il suo libro
ripieno quasi per tutto di discordanze e di barbarismi» (Stacciata prima, cit., cc. 33v-34r).
87 Di Sacco, Un episodio della critica cinquecentesca, cit., p. 95.
82 Marco Corradini La fine del Cinquecento

Salviati non solo rincara la dose, trasformando in un difetto imperdonabile


quella che poteva essere una peculiarità di stile, ma contestualizza l’osservazio-
ne; l’ornatus della Gerusalemme non solo è sovrabbondante, ma altresì inadatto
al genere cui l’opera appartiene:

Questi scherzi usati a suo luogo e con parcità stanno bene: ma il Tasso sen’empie tanto la
bocca, e tanto gli adopera senza decoro e senza distinzione, che pare una fanciullaggine il
fatto suo. Non son questi i propri ornamenti e le proprie figure dell’epopeia.88

Il fiorentino ragiona secondo le consolidate categorie della poetica cinquecen-


tesca, secondo la quale gli «scherzi» (antitesi, bisticci, allitterazioni, poliptoti,
parallelismi, chiasmi, insomma tutte le figure sintattiche di cui il dettato tassia-
no abbonda) sono propri della poesia lirica, non già della solennità dell’epica,
e all’interno di un poema gli appaiono niente più che giochi puerili; ma una
considerazione come questa non fa che sottolineare la novità espressiva della
Liberata, in un’epoca storico-culturale in cui gli steccati tra i generi si avviano
a diventare sempre meno invalicabili, attraverso una crescente contaminazione
di forme e contenuti.
Non può stupire, in un autore che proprio a questo dedicava tanta parte
della sua riflessione linguistica, che le censure di Salviati alla Gerusalemme toc-
chino abbondantemente la materia lessicale. Questa la risposta a Pellegrino, che
ricordava, a proposito delle «voci latine» usate con dovizia da Tasso, come Ari-
stotele concedesse al poeta epico più che agli altri di usare parole “straniere”:89

Perché non pedantesche? Che tante ne sono in quell’opera, che con poche più potrebbe
parere dettato in lingua fidenziana, le cui pulcherrime eleganzie non lascia anche talvolta
di contraffare. […] Se nel Goffredo fosser cento voci straniere si salverebbono per questa
via; ma il fatto sta che straniere son la più parte: straniere diciamo secondo lui, perciocché
queste, che qui si chiaman latine, non son parole d’alcuna lingua; onde di quelle lingue,
cioè parole straniere, non possono essere, di che intese Aristotile per aggrandimento della
favella dell’epopeia, neanche le lombarde, lequali per la più parte non son parole, ma bar-
barismi della medesima lingua. Pellegrine sarebbono le francesche, le spagnuole, e anche
le latine pure e le greche. A picciol numero addunque si ristringono nel Goffredo le parole
e i modi di questa lingua, perché chi ne levasse, oltre alle dette pedantesche e lombarde,
alcune particolari che vi si truovano in ogni stanza, sì come serpere, torreggiare, scuotere,
riscuotere, precipitare, la guarda, breve, trattar l’armi, mattutina, notturna, vetusto, ahi, ca-

88 Stacciata prima, cit., c. 31r-v.


89 Cfr. Arst., Poet., XXII 1459a 9-10 e XXIV 1459b 34-36.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 83

pitano, legge il cenno, vide e vinse, augusto, diadema, lance per bilance, fora, ostile, mercare
e susurrare; come che anche buona parte di queste ripor si possano tra le primiere, leggier
fatica si prenderebbe chiunque del rimanente formar volesse uno stratto.90

È senz’altro vero, come rammenta opportunamente Vitale, che la concezio-


ne linguistica di Salviati, fondata sulla naturale supremazia del fiorentino, sia
letterario sia parlato, non poteva rivelarsi compatibile con le opzioni di Tasso,
poeta di più patrie, volte alla costruzione di un eloquio sublime, e per ciò stesso
lontano dalla lingua d’uso;91 altrettanto nota l’ostilità del primo verso i latini-
smi, considerati “artificiali”. Ma un dato colpisce, nel lungo elenco di vocaboli
e locuzioni riprovati perché estranei alla purezza della buona lingua: ben diciot-
to su ventidue, ovvero serpere, torreggiare, scuotere, riscuotere, precipitare, breve,
trattar l’armi, mattutina, notturna, vetusto, ahi, capitano, augusto, diadema, lance
per bilance, ostile, mercare e susurrare, verranno incluse nel 1612 nella prima
edizione del Vocabolario della Crusca, che pure sarà fondata sui progetti e sui
principi dello stesso Infarinato. Più che pensare a un allargamento dei criteri di
scelta e a un allentamento del rigore purista che sarebbero intercorsi tra la morte
del Salviati e la stampa del Vocabolario, idea contraddetta dalla prefazione di
questo,92 occorre spiegare la discrepanza per mezzo della già ricordata «ragion di
disputa», cioè l’esigenza primaria di prevalere sull’avversario, anche con l’arma
della capziosità, quando manchino ragioni più salde.

d) La qualità etica dei personaggi


Dei quattro requisiti che Aristotele in Poet. XV assegna al carattere o costume,
e cioè all’habitus dei personaggi, variamente richiamati negli opuscoli dei conten-
denti, ne prenderemo in esame soltanto uno, la disposizione morale. Pellegrino im-
posta correttamente la questione, distinguendo l’eroe tragico, che il filosofo vuole
«di mezzana bontà» a beneficio dell’effetto catartico, da quello epico, persona «di

90 Stacciata prima, cit., cc. 32r-33r. Corsivo mio.


91 Maurizio Vitale, L’officina linguistica del Tasso epico. La «Gerusalemme Liberata», Milano,
LED, 2007, vol. I, pp. 39-45.
92 Nella lettera A’ lettori premessa al Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Gio-
vanni Alberti, 1612 i compilatori dichiarano di avere seguito la volontà di Salviati nella
scelta degli autori spogliati (gli scrittori fiorentini o fiorentineggianti del xiv secolo), nelle
regole grammaticali, nell’ortografia.
84 Marco Corradini La fine del Cinquecento

bontà nel supremo grado».93 Il poema, secondo questa visione, propone dunque
personaggi dal valore esemplare, che possano fungere da modelli di comporta-
mento virtuoso: è la medesima esigenza espressa, nello stesso torno di anni, da
Giason Denores nel suo Discorso intorno a que’ principii, cause et accrescimenti che la
comedia, la tragedia et il poema eroico ricevono dalla filosofia morale e civile e dai go-
vernatori delle republiche, a stampa nel 1586: «Il poema eroico è essempio de’ gran
personaggi virtuosi fuori in guerre, in travagli, in peregrinaggi, in imprese onorate,
per inanimar gli altri alla virtù»; «Il poema eroico è narrazion per imitazion di una
azzion suppremamente laudevole di persone illustri, sommamente buone, […]
per accender gli ascoltanti all’amor et al desiderio d’imitar l’imprese magnanime e
gloriose».94 Per quanto egli si mostri meno rigido di Denores, anche per Pellegrino
il fine principale della poesia è l’utilità etica, veicolata dal diletto del lettore. Salviati
non contesta tale visione: la disputa si infiamma soltanto nel momento in cui il
capuano scende sul piano critico, affermando che nel Furioso Ariosto ha dato vita
a «persone vili, sceleratissime e del tutto indegne», a differenza di Tasso, il quale
«si servì di molte persone, ma tutte eroiche e degne di tromba, se non quanto gli
fa di bisogno ammetterne alcuna o vile o cattiva per integrar la sua favola».95 Da
qui prende avvio una vivace discussione su quali comportamenti siano da con-
siderare più riprovevoli (quello di Rinaldo che abbandona la battaglia finale per
dedicarsi ad Armida, o quello di Ricciardetto che inganna Fiordispina per giacere
con lei), e i personaggi ariosteschi e tassiani vengono paragonati agli eroi di Omero
e Virgilio, soppesati anch’essi sotto il profilo etico. Più che scendere nelle pieghe
di questa casistica, pare interessante recuperare l’opinione di Salviati intorno alla
rappresentabilità dei comportamenti cattivi, se presentati come exempla negativi
da evitare; dell’argomento il fiorentino si serve per giustificare il poema ariostesco,
per quanto questo non presenti in realtà una polarizzazione etica forte, a differenza
della Liberata: «nel Furioso dell’Ariosto, per la sua ampiezza, fu ragionevol cosa dar
luogo all’una e all’altra maniera dell’esemplo: cioè al buono, perciocché s’imitasse,
e al malvagio, per metterlo altrui in odio e s’apparasse a fuggirlo».96 Naturalmente,
perché funzioni come exemplum vitandum, l’azione cattiva, se non è seguita dal
pentimento, deve ricevere una conseguente punizione, secondo un meccanismo
non diverso da quello operante nelle tragedie contemporanee:

93 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 323.


94 In Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, cit., vol. III, pp. 406 e 412.
95 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 324.
96 Stacciata prima, cit., c. 19r.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 85

che può darne piggiore esemplo, in ogni lettura e in ogni favola, che s’ascolti o che ci
venga rappresentata, che il vedere o la virtù senza ’l premio, o il vizio senza la pena? E in
che altro che nell’esemplo consiste il profitto dell’epopeia? E a che altro che all’esemplo
che debba trarsene dagli ascoltanti risguardano gli ammaestramenti e le leggi della bontà
del costume nelle poesie introdotto?97

Non siamo lontani da un tasto battuto in un’altra clamorosa polemica letteraria


nata sullo scorcio del xvi secolo, avente per oggetto Il pastor fido:98 ancora mar-
ginale nel Discorso di Denores, l’imputazione alla tragicommedia guariniana di
indurre per imitazione cattivi costumi nei lettori assumerà un peso decisivo negli
sviluppi primoseicenteschi della disputa, con gli interventi censòri o difensivi dei
vari Malacreta, Beni, Summo, Pescetti, Savio. Lo stesso Guarini non trascurò di in-
tervenire su questo aspetto, affermando a sua volta nel Verato secondo, sia pure con
motivazioni diverse da Salviati, che al poeta è lecito rappresentare tanto i costumi
buoni quanto i cattivi;99 nell’autoesegesi delle Annotazioni poi è significativo l’ar-
gomentare intorno all’esito della vicenda di Corisca, l’’anima nera’ del dramma, da
un lato sottolineando il suo pentimento («in quanto ella si pente, il buon esempio
ha suo luogo»), dall’altro mettendo in evidenza come il suo comportamento non
poteva condurre a una conclusione per lei felice («non parea buon costume che una
femmina tanto rea si rimanesse contenta»).100 Non sarà forse inutile richiamare qui
almeno con un cenno gli stretti rapporti fra i due letterati, probabilmente da legge-
re anche nell’ottica di un fronte comune antitassiano: citato con onore nella dedica
del secondo volume degli Avvertimenti della lingua di Salviati, nel 1586 Guarini
elesse il fiorentino a censore del Pastor fido e ne seguì i suggerimenti, per venire
quindi ascritto all’Accademia della Crusca e fungere da intermediario per un invito

97 Salviati, Lo ’nfarinato secondo, cit., p. 191.


98 Tra i non pochi contributi incentrati sulla controversia, si vedano almeno Weinberg, A
History of Literary Criticism, cit., vol. II, pp. 1074-1104; Claudio Scarpati, Poetica e reto-
rica in Battista Guarini, in Id., Studi sul Cinquecento italiano, cit., pp. 201-238; Elisabet-
ta Selmi, ’Classici e moderni’ nell’officina del «Pastor Fido», Alessandria, Edizioni dell’Orso,
2001, pp. 11-74, cui si rimanda per una bibliografia più esauriente.
99 Cfr. Il Verato secondo ovvero replica dell’Attizzato Accademico Ferrarese In difesa del Pastorfi-
do, Contra la scrittura di Messer Giason De Nores intitolata Apologia, Firenze, Filippo Giun-
ti, 1593, p. 66; una considerazione analoga si legge nelle Annotazioni (a. I, sc. i).
100 Battista Guarini, Annotazioni, V ix, in Il pastor fido, tragicommedia pastorale del molto
illustre Sig. Cavaliere Battista Guarini. Ora in questa XX impressione di curiose, e dotte Anno-
tationi arricchito, Venetia, Gio. Battista Ciotti, 1602, p. 474.
86 Marco Corradini La fine del Cinquecento

di Salviati presso la corte estense.101 Se è consentito applicare un notevole grado di


approssimazione a problemi articolati e dalle quasi infinite sfaccettature, sembra
di poter riconoscere nella coppia Salviati-Guarini un orientamento più aperto al
“diletto” rispetto alla posizione dei loro avversari.
Segnaliamo, infine, un ulteriore punto di contatto fra le due celebri querel-
les nella seguente obiezione, che Pellegrino riporta per poi controbatterla, relati-
va alla «convenevolezza» (la seconda qualità del costume secondo Aristotele) dei
personaggi della Gerusalemme:

notano alcuni il Tasso, che pone in bocca d’un pastore sentenze non pur da uomo di città ma
da filosofo102 […]. Dicono ancora che non convenga ad Armida né a Tancredi innamorati dir
ne’ loro lamenti parole così colte et artificiose, che se bene all’uno et all’altro fosse convenuto
per la dignità del grado, non conveniva come a feriti d’amore, a’ quali il più delle volte vien
bene porre in bocca parole tronche et imperfette,103 non gravi e ricercate con arte.104

La sostanza retorica della Liberata, in fondo, non è così lontana da quella del
Pastor fido: e la critica citata da Pellegrino anticipa con singolare esattezza una
nota censura di Denores, il quale nel Discorso, e più compiutamente nell’Apolo-
gia, osserva che gli autori delle pastorali contemporanee mettono «in bocca de’
pastori alle volte certi parlari figurati con ornamenti de’ poeti lirici, e alle volte
ragionamenti alti, discorsi di cose celesti, concetti prudenti e sentenzie gravissi-
me, che appena si convenirebbono a’ principi e a’ philosophi».105

101 Intorno al rapporto tra Guarini e Salviati, e in particolare alle correzioni di quest’ultimo
sul testo della tragicommedia, Vittorio Rossi, Battista Guarini ed il Pastor fido. Studio
biografico-critico con documenti inediti, Torino, Loescher, 1886; Deanna Battaglin, Leo-
nardo Salviati e le «Osservazioni al Pastor fido» del Guarini, «Atti e Memorie dell’Accademia
Patavina di Scienze Lettere ed Arti», Memorie della Classe di scienze morali, lettere ed
arti, lxxvii, 1964-1965, pp. 249-284; Le annotazioni al «Pastor fido» di Leonardo Salviati.
Introduzione e testo, in Poeti estensi del Rinascimento. Con due appendici, a cura di Silvio
Pasquazi, Firenze, Le Monnier, 1966, pp. 197-233; Peter Michael Brown, Lionardo
Salviati. A Critical Biography, London, Oxford University Press, 1974.
102 In GL VII 8-13.
103 Citazione quasi letterale del cosiddetto Epilogo dell’Aminta, ovvero Amor fuggitivo, vv.
104-105: «[Amore] i suoi detti / forma tronchi e imperfetti» (Torquato Tasso, Aminta, a
cura di Marco Corradini, Milano, Rizzoli, 2015, p. 226). Il componimento viene stampa-
to più volte a partire dal 1581.
104 Pellegrino, Il Carrafa, cit., pp. 324-325.
105 Apologia contra l’auttor del Verato di Iason Denores di quanto egli ha detto in un suo discor-
so delle tragicomedie et delle pastorali, Padova, Paolo Meietti, 1590, c. 9v; il passo, senza la
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 87

III. Echi letterari

Com’è abbastanza logico attendersi, visto il clamore suscitato, abbondanti trac-


ce della polemica si possono riscontrare in scritti contemporanei anche di autori
non coinvolti in essa in prima persona: si vedano soltanto, a titolo di esempio,
un testo poetico, un sonetto di Grillo in cui si afferma che l’invidia spirante
contro la Gerusalemme, ossia gli attacchi dei Cruscanti, non avrà altro effetto
che accrescere la gloria dell’opera, così come la fiamma acquista maggior vigo-
re dal vento che invano tenta di spegnerla;106 e due testi critici, i più precoci
commenti al poema tassiano, di Scipione Gentili e Bonifazio Martinelli, che
mostrano di conoscere e utilizzare l’Apologia.107 Spenta tuttavia l’animosità della
breve fase iniziale, ciò che il confronto Ariosto-Tasso consegna al secolo seguen-
te sembra essere un tranquillo sincretismo; sarà del tutto normale, cioè, per
l’autore di un poema imitare nelle medesime pagine sia il Furioso, sia la Liberata,
ormai entrati a giudizio unanime nel canone delle opere maggiori. E un simile
orientamento “concordista” troverà spazio anche nel campo della critica, come
dimostra a sufficienza l’intervento di un fedele partigiano del Tasso come Paolo
Beni: la Comparazione di Omero, Virgilio e Torquato infatti, accanto al fine prin-
cipale di provare la superiorità della Liberata sull’epica classica, si incarica anche
di perorare la causa di Ariosto, preferibile ad Omero; la contesa dunque non si
pone più fra i due moderni, ma piuttosto fra questi e gli antichi, secondo una
linea di pensiero destinata a importanti sviluppi: come Tasso è il nuovo Virgilio,
Ariosto è il nuovo Omero, ed entrambi hanno vinto i predecessori.108

menzione degli «ornamenti de’ poeti lirici», figurava già in Denores, Discorso, cit., p. 417.
106 Il sonetto Questo è campo di guerra, e quivi a prova si legge in Parte prima delle rime del Sig.
Don Angelo Grillo nuovamente date in luce, Bergamo, Comino Ventura, 1589, c. 43v.,
e fu incluso in precedenza nella stampa del Discorso intorno a i contrasti, che si fanno sopra
la Gierusalemme liberata di Orazio Lombardelli realizzata da Osanna a Mantova nel 1586,
pp. finali n.n. Il componimento è indirizzato al Tasso, che rispose con Non pugna l’arte e
la natura a prova (Rime, 1302).
107 Annotationi di Scipio Gentili sopra la Gierusalemme liberata di Torquato Tasso, Leida [ma
Londra, John Wolf ], 1586; Annotationi sopra la Gierusalemme liberata del Sig. Torqua-
to Tasso. Fatte dal Cavalier Bonifatio Martinelli, Bologna, Alessandro Benacci, 1587.
Anche i commenti successivi alla Liberata (Guastavini, Beni) e alla Conquistata (Francesco
Birago) conservano memoria della disputa.
108 Comparatione di Homero, Virgilio e Torquato…del Sig. Paolo Beni, Padova, Lorenzo
Pasquati, 1607 (sette discorsi, di cui l’ultimo dedicato al Furioso); Comparatione di Torqua-
to Tasso con Homero e Virgilio. Insieme con la difesa dell’Ariosto paragonato ad Homero…di
88 Marco Corradini La fine del Cinquecento

Un aspetto particolare tra i molti toccati nella disputa, e precisamente nel


trattato che la innesca, Il Carrafa, si rivela denso di conseguenze per i poeti epi-
ci della generazione successiva. Nell’additare i simmetrici limiti stilistici dei due
grandi modelli cinquecenteschi, ossia l’eccessiva chiarezza di Ariosto (implicante
bassezza) e la troppa altezza di Tasso (a rischio di oscurità), Pellegrino implicita-
mente indica la strada a coloro che nutriranno l’ambizione di superarli. Tra questi,
un letterato di cui è ben nota l’attitudine agonistica verso i “padri”, Giovan Bat-
tista Marino, che coltivò il disegno, mai portato a termine, di una Gerusalemme
distrutta, e il suo acerrimo nemico Tommaso Stigliani, autore di un Mondo nuovo
a stampa tra il 1617 e il 1628; da varie testimonianze e dichiarazioni emerge con
chiarezza che il progetto comune ai due autori - e certo non estraneo a vari loro
colleghi - era quello di adottare uno stile eroico “mezzano”, evitando così i difetti
dell’uno e dell’altro estremo.109 Marino e Stigliani fecero capo in età giovanile al
medesimo ambiente culturale di Napoli frequentato da Pellegrino, e non è az-
zardato ipotizzare che una simile idea derivi proprio dal pensiero del capuano.110
Concludo queste note con due estremi episodi della ricezione della polemi-
ca all’interno di opere d’invenzione. Nel 1748 il veronese Giulio Cesare Becelli,
ex gesuita, vicino a Scipione Maffei, dà alle stampe una commedia in versi inti-
tolata L’Ariostista ed il Tassista, riproposizione in chiave drammatica della conte-

Paolo Beni, Padova, Battista Martini, 1612 (dei tre discorsi aggiunti, uno è di argomento
ariostesco).
109 Il proponimento di Marino si può ricostruire da un suo accenno nella dedica del Ritratto del
Serenissimo Don Carlo Emanuello Duca di Savoia (in Giovan Battista Marino, Panegirici,
a cura di Marco Corradini, Gian Piero Maragoni, Emilio Russo, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2020, p. 64), ma soprattutto da quanto scrive di lui il rivale Gasparo Murtola nella
lettera ai lettori premessa alla Creazione del mondo (Venezia, Deuchino e Pulciani, 1608) e nelle
Risate XVIII e XXII della Marineide. Il medesimo intento è dichiarato a chiare lettere da Stiglia-
ni nella Lettera responsiva dell’autore al Signor Aquilino Coppini stampata in calce all’edizione dei
primi venti canti del Mondo nuovo (Piacenza, Bazacchi, 1617). Sull’argomento si veda Marco
Corradini, Questioni di famiglia. Tasso, Marino, Stigliani, in Id., In terra di letteratura. Poesia e
poetica di Giovan Battista Marino, Lecce, Argo, 2012, pp. 137-163.
110 Pellegrino faceva parte del circolo di letterati raccolti intorno a Matteo di Capua, prin-
cipe di Conca, del quale Marino entrò al servizio a metà degli anni novanta. Tracce di
una discussione critica fra i due emergono dall’epistolario mariniano (Giovan Battista
Marino, Lettere, a cura di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 1966, pp. 24-26);
e l’anziano ecclesiastico inserì il giovane poeta fra gli interlocutori del suo dialogo Del con-
cetto poetico (1598, ma edito per la prima volta in Angelo Borzelli, Il Cavalier Giovan
Battista Marino [1569-1625], Napoli, Priore, 1898, pp. 237-359).
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 89

sa le cui origini abbiamo percorso:111 un partigiano dell’Ariosto e uno del Tasso,


stufi di litigare su chi sia il più grande, decidono di scendere nell’Inferno e
raggiungere i Campi Elisi, per rimettere la questione ai diretti interessati. Dopo
diverse vicissitudini, nel quinto atto Plutone chiama i due poeti in persona a
perorare la propria causa davanti ai giudici, cosa che essi fanno mediante lunghi
e articolati discorsi con i quali ricalcano posizioni critiche già note, senza tut-
tavia che si giunga a nessuna soluzione: i giudici si astengono e la sentenza non
viene emessa. La neutralità di Becelli, in realtà, è soltanto apparente, perché da
altri suoi scritti, e in particolare da un trattato Della novella poesia echeggiante
idee graviniane,112 emerge una netta predilezione per Ariosto. L’Ariostista ed il
Tassista, commedia di argomento letterario, vorrebbe essere, secondo l’intenzio-
ne dichiarata dal suo autore, un equivalente moderno delle Rane di Aristofane:
i personaggi di Ariosto e Tasso seguono in effetti la falsariga di Eschilo e Euripi-
de, che nel dramma greco si sfidano nell’Ade per la supremazia. Ma per Aristo-
fane Euripide è un contemporaneo, Eschilo un poeta morto da cinquant’anni,
le cui tragedie tuttavia si sono continuate a rappresentare anche postume, e Le
rane affronta temi politici di stretta attualità; per Becelli, al contrario, i due epici
sono scrittori vecchi di due secoli. Qual è dunque il pubblico a cui il veronese
si rivolge? Un aiuto nella risposta ci viene da un’altra sua commedia, Li poeti
comici, nella quale egli mette in scena una propria controfigura che ambisce
a vedere rappresentate e apprezzate da molti le proprie opere.113 Dunque Be-
celli non scrive solo per i dotti, ma – se non per gli illetterati – almeno per un
lettore-spettatore medio, una vasta platea non dissimile da quella che decreterà
il successo di Goldoni. I suoi sforzi, lo sappiamo, non saranno premiati, ma l’i-
111 [Giulio Cesare Becelli,] L’Ariostista ed il Tassista. Commedia, Roveredo, Francescantonio
Marchesani Librajo, 1748; l’opera è dedicata a Gian Maria Mazzuchelli. Ne trattano Giu-
seppina Fumagalli, «L’Ariostista e il Tassista». Commedia aristofanesca del tempo dell’Arcadia,
in Torquato Tasso, Atti del convegno di Ferrara, 16-19 settembre 1954, Milano, Marzorati,
1957, pp. 575-605; Cristina Cappelletti, Poeti in scena: «L’Ariostista e il Tassista» di Giulio
Cesare Becelli, in Goldoni “avant la lettre”: esperienze teatrali pregoldoniane (1650-1750), a
cura di Javier Gutiérrez Carou, Venezia, Lineadacqua, 2015, pp. 653-663.
112 [Giulio Cesare Becelli,] Della novella poesia cioè Del vero genere e particolari bellezze
della poesia italiana libri tre, In Verona, Per Dionigi Ramanzini, 1732.
113 [Giulio Cesare Becelli,] Li poeti comici. Commedia, Roveredo, Francescantonio Marche-
sani, 1746, su cui vd. Cristina Cappelletti, «Il desiderio di riformare i mondani costumi»:
«Li poeti comici» di Giulio Cesare Becelli, «Studi goldoniani», xiv, 2017, pp. 77-90, e la
scheda della medesima in ARPREGO (Archivio del Teatro Pregoldoniano), all’indirizzo
http://www.usc.es/goldoni/index.
90 Marco Corradini La fine del Cinquecento

dea stessa di comporre un testo come L’Ariostista ed il Tassista destinandolo a un


pubblico di questo genere ci dice non solo della scontata perdurante popolarità
dei due poemi (si pensi soltanto alle riprese dei personaggi ariosteschi e tassiani
nel melodramma), ma della vitalità ancora non del tutto esaurita, all’interno
della nostra cultura nazionale, di una disputa nata in anni lontani.
Ne offrirà una conferma, a breve distanza, il Torquato Tasso dello stesso
Goldoni (1755), che attraverso il personaggio del Cavaliere del Fiocco metterà
in scena le censure dei Cruscanti alla Gerusalemme liberata; questa figura di
pedante, esprimendosi in versi sdruccioli, si scaglia contro le voci «latine e bar-
bare» impiegate da un Tasso «lombardo fracido» e «ignorantissimo»114 (ripresa
della Stacciata prima, alle cc. 32v-33r); corregge «l’armi pietose» dell’incipit in
«armi pie»115 (come fa ancora la Stacciata prima, c. 37v); accusa il poeta di
mancanza di originalità, in quanto pedissequo imitatore degli autori antichi.
Ma la commedia goldoniana, ancora più che il dramma di Becelli, contiene un
nucleo attualizzante, creando un implicito parallelo fra gli attacchi della Crusca
a Torquato e quelli che Goldoni subiva da parte dell’Accademia dei Granelle-
schi di Carlo Gozzi.116 Più avanti nel tempo, il ricordo della contesa si avvierà a
diventare appannaggio esclusivo di eruditi e storici della letteratura.

Marco Corradini
Università Cattolica di Milano

114 Carlo Goldoni, Torquato Tasso, a. I, sc. IX e X. Cito il testo goldoniano da Tutte le ope-
re, a cura di Giuseppe Ortolani, Milano, Mondadori, 1941, vol. V, pp. 763-848; si veda
anche l’edizione di questa commedia a cura di Dante Maffia, Catanzaro, Abramo, 1993.
115 Goldoni, Torquato Tasso, cit., a. I, sc. X.
116 Una ricostruzione della polemica linguistica intercorsa fra Gozzi e Goldoni si legge in
Lucia Di Santo, Una citazione settecentesca del «Malmantile racquistato»: il «Torquato Tas-
so» di Carlo Goldoni, «Parole rubate. Rivista internazionale di studi sulla citazione», 2015,
12, pp. 119-136. In parte ancora utile Giovanni Ziccardi, Intorno al «Torquato Tasso»
di Carlo Goldoni, in Studi di letteratura italiana diretti da Erasmo Pèrcopo, vol. Xl, Roma,
Società Tipografica Arpinate, 1915, pp. 1-60.
© isbn 978 88 7766 812 7
© Centro di Studi Tassiani, 2023

by Lubrina Editore, Bergamo


Proprietà letteraria riservata per tutti i Paesi

I edizione: dicembre 2023


Finito di stampare per i tipi di Lubrina Bramani editore
nel mese di dicembre 2023

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