Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
ASPETTI E PROBLEMI
a cura di
Luca Bani, Cristina Cappelletti e Massimo Castellozzi
91 Il Seicento
93 Clizia Carminati, La fortuna critica di Tasso nel Seicento
137 Il Settecento
139 Emilio Boaretto, La fortuna critica di Torquato Tasso nel primo Sette-
cento: una panoramica
163 Cristina Cappelletti, «Pensava di avere scritto soltanto per gli eruditi»:
fortuna critica di Tasso nel secondo Settecento
193 L’Ottocento
195 Stefano Fortin, Tasso e la critica romantica
217 Massimo Castellozzi, «Più poeta se non fosse stato così dotto». Il Tasso di
Francesco De Sanctis dalle «Lezioni» alla «Storia»
235 Luca Bani, I saggi tassiani di Giosue Carducci
257 Il Novecento
259 Guido Lucchini, Tasso nella critica di Croce e dei crociani
277 Arnaldo Di Benedetto, Mario Fubini critico di Tasso
289 Stefano Verdino, Da Slataper a Fortini. La critica dei poeti
311 Rossano Pestarino, La filologia tassiana di Lanfranco Caretti e della
scuola pavese
1 Le prime ricostruzioni si leggono in Vincenzo Vivaldi, La più grande polemica del ’500
(pro e contro la «Liberata» e il «Furioso»). Studi di storia letteraria, Catanzaro, Caliò, 1895
e in Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, vol. I, pp.
413-449; di quest’ultimo è una Bibliografia delle polemiche intorno alla «Gerusalemme
liberata», in Appendice alle opere in prosa di Torquato Tasso, a cura di Angelo Solerti, Firen-
ze, Successori Le Monnier, 1892, pp. 33-49. Dopo Bernard Weinberg, A History of Lit-
erary Criticism in the Italian Renaissance, Chicago, The University of Chicago Press, 1961,
vol. II, pp. 954-1073, ricordo soltanto gli studi più recenti che ripercorrono la questione
nel suo complesso: Emanuella Scarano, La critica rinascimentale, in Storia della critica
letteraria in Italia, a cura di Giorgio Baroni, Torino, Utet, 1997, pp. 205-222; Paolo
Di Sacco, Un episodio della critica cinquecentesca: la controversia Ariosto-Tasso, «Rivista di
letteratura italiana», xv, 1997, pp. 83-128; Francesco Sberlati, Il genere e la disputa.
La poetica tra Ariosto e Tasso, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 229-289; Claudio Gigante -
Francesco Sberlati, La polemica sul poema epico e le discussioni sull’«Orlando furioso»
e sulla «Gerusalemme liberata». Torquato Tasso, in Storia della letteratura italiana, diretta
da Enrico Malato, vol. XI, La critica letteraria dal Due al Novecento, coordinato da Pao-
lo Orvieto, Roma, Salerno Editrice, 2003, par. 3 (di Sberlati), pp. 391-413; Corrado
Confalonieri, Torquato Tasso e il desiderio di unità. La «Gerusalemme liberata» e una
nuova teoria dell’epica, Roma, Carocci, 2022, pp. 95-108. Gli scritti dei vari letterati
partecipanti al dibattito, a testimonianza di un suo ricordo durevole nel tempo, si tro-
vano riuniti in due edizioni settecentesche delle opere tassiane, e quindi, in forma più
completa, in Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla Gerusalemme, poste in migliore
ordine, ricorrette sull’edizione fiorentina, ed illustrate dal professore Gio. Rosini, Pisa,
Presso Nicolò Capurro, 1821-1832, voll. XVIII-XXIII.
58 Marco Corradini La fine del Cinquecento
2 Il Carrafa o vero della epica poesia. Dialogo di Camillo Pellegrino, Firenze, Sermartelli,
1584, in Parte delle rime di D. Benedetto Dell’Uva, Giovanbatista Attendolo, et
Cammillo Pellegrino, ivi, alle pp. 121-174, con frontespizio autonomo. Il testo è edito
modernamente in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a cura di Bernard Weinberg,
Bari, Laterza, 1970-1974, vol. III, pp. 307-344.
3 Il 18 luglio 1582 l’Accademia discusse «la comparazione dell’Ariosto e del Tasso», e ritornò
sul tema in altre sedute di quell’anno; all’interno degli Alterati si delinearono fin da allora due
schieramenti, in favore dell’uno e dell’altro poeta. Dall’inizio del 1585 la storia del dibattito
interno a quest’Accademia si intreccia a quella della più nota polemica che vede in primo
piano i Cruscanti, non senza motivazioni legate alla vita politica di Firenze. Per tutti questi
aspetti, cfr. Michel Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’Ariosto e del Tasso nelle accade-
mie fiorentine: 1582-1586, in L’arme e gli amori. Ariosto, Tasso and Guarini in Late Renaissance
Florence, Acts of an International Conference, Villa I Tatti, June 27-29, 2001, edited by Mas-
similiano Rossi and Fiorella Gioffredi Superbi, Florence, Olschki, 2004, vol. I, Genre and
Genealogy, pp. 119-134, poi in Id., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al
tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici. L’Académie et le prince. Culture et politique à Florence
au temps de Côme Ier et de François de Médicis, Manziana, Vecchiarelli, 2004, pp. 375-392.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 59
4 Orlando furioso di Messer Ludovico Ariosto con la giunta, novissimamente stampato e cor-
retto. Con una Apologia di M. Lodovico Dolcio contra ai detrattori dell’Autore, Vinegia,
Mapheo Pasini, et Francesco di Alessandro Bindoni, 1535. Il testo dell’Apologia si legge
ora in Susanna Villari, Gli esordi della critica ariostesca. Lodovico Dolce e l’edizione del
«Furioso» del 1535, «Studi medievali e umanistici» xi, 2013, pp. 152-165.
5 Simone Fòrnari, Apologia brieve sopra tutto l’Orlando furioso, in La spositione di M. Simon
Fòrnari da Rheggio sopra L’Orlando furioso di M. Ludovico Ariosto, Fiorenza, Lorenzo Tor-
rentino, 1549 [ma colophon «del mese di Giugno l’anno mdl»], pp. 31-48.
6 In tema di discussioni sul poema ariostesco nei decenni centrali del Cinquecento, tra le
molte voci bibliografiche si veda almeno Daniel Javitch, Ariosto classico. La canonizzazio-
ne dell’«Orlando furioso», Milano, Bruno Mondadori, 1999, pp. 15-79.
60 Marco Corradini La fine del Cinquecento
fate conto che l’Orlando furioso sia a similitudine di quel palagio ch’io dissi di sopra: fal-
so di modello, ma fornito davantaggio di superbissime sale, di camere, di logge e di fine-
stre fregiate et adorne in apparenza di marmi affricani e greci, e ricco per tutto d’oro e di
azzurro; et all’incontro imaginatevi che la Gerusalem liberata sia una fabrica di non tanta
grandezza, ma bene intesa, con le sue misure e proporzioni di architettura, et adorna
secondo il convenevole di veri fregi e colori; non ha dubbio, che il palagio più numeroso
di stanze e più vago e più ricco in vista diletterà a pieno a’ semplici e non intendenti, là
dove i maestri e professori di quell’arte, scorgendo in esso i falli et i non veri ornamenti e
ricchezze, meno sodisfatti ne resteranno, e darà loro maggior diletto l’architettura della
minor fabrica, come corpo ben inteso da tutte le sue parti.9
7 Sopra il Goffredo del Signor Torquato Tasso. Giudizio d’Orazio Lombardelli senese, Acca-
demico Humoroso, Fiorenza, Giorgio Marescotti, 1582. Lo scritto, in forma di epistola a
Maurizio Cataneo datata 28 settembre 1581 (e non 1582 come figura nell’edizione otto-
centesca di Rosini), verrà di nuovo stampato insieme all’Apologia tassiana.
8 La comparazione di un poema a una “fabbrica”, ossia a un edificio, non è inedita nella
critica rinascimentale; al di fuori della polemica qui esaminata, giungerà fino a Foscolo,
che applicherà alla Liberata la celebre immagine del tempio greco la cui struttura è abbrac-
ciabile con un unico sguardo (Ugo Foscolo, Storia della letteratura italiana per saggi, a
cura di Mario Alighiero Manacorda, Torino, Einaudi, 1979, p. 284).
9 Camillo Pellegrino, Il Carrafa, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, cit., p.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 61
Dal brano emerge un’altra idea che sarà largamente presente nel seguito dello
scambio, la distinzione di due categorie di lettori: mentre Tasso risulta gradito ai
«maestri e professori» dell’arte poetica, ossia a coloro che ne conoscono le rego-
le, Ariosto appaga piuttosto i «semplici e non intendenti», cioè il vasto pubblico
dei non letterati (ed è, in sostanza, ancora la riproposizione del vecchio rilievo
del Trissino, che constatava come il Furioso piacesse «al vulgo»,10 per quanto
priva della carica polemica sottesa alle parole del gentiluomo vicentino).
Forse non casualmente Il Carrafa, dopo una certa circolazione mano-
scritta, fu dato alle stampe a Firenze, grazie alla mediazione di Scipione Am-
mirato; in realtà questi era piuttosto un partigiano dell’Ariosto, già autore in
gioventù di argomenti in ottave ai canti del Furioso11 e sostenitore del ferrarese
nelle già ricordate discussioni accademiche presso gli Alterati12 (di questa mi-
litanza rimane peraltro traccia almeno nell’incipit della dedica del dialogo).13
Ma alla luce dei fatti che seguiranno, pare lecito supporre in Ammirato un
certo grado di consapevolezza dell’effetto che i giudizi di Pellegrino avrebbero
prodotto negli ambienti fiorentini; si veda in proposito la testimonianza dello
stesso capuano nel suo intervento successivo: «Piacque al Signor Scipione, per
aggradirmi, di darlo alla stampa, con avermi prima dato avviso che il dialogo
avrebbe ritrovata contraddizzione, nulladimeno che sarebbe stato anco difeso,
318. Un passo del tutto analogo a questo si legge, riferito all’Adone di Marino, nell’Occhia-
le di Tommaso Stigliani (e ricordiamo, per inciso, che il più anziano Pellegrino fu vicino a
Marino e a Stigliani negli anni della loro formazione napoletana): «[Marino sostiene] che,
sì come il palazzo di Vaticano, con tutto che non sia uno intero edificio, ma uno aggregato
d’abitazioni e d’appartamenti, supera per la magnificenza delle stanze e per la ricchezza e
per la copia e per gli agi quello de’ Farnesi, che è uno edificio compiuto, così l’Adone, con
tutto che non abbia buona proporzion di parti, supera per l’eccellenza di quelle e per l’ab-
bondanza gli altri poemi, che son meglio intrecciati» (Dello Occhiale. Opera difensiva del
Cavalier Fr. Tomaso Stigliani. Scritta in risposta al Cavalier Gio. Battista Marini, Venetia,
Pietro Carampello, 1627, p. 118).
10 Il decimo [-vigesimosetimo] libro de La Italia liberata da Gotthi. Del Trissino, Venezia,
Tolomeo Ianiculo da Bressa, 1548, l. XXIV, v. 1547.
11 Comparsi per la prima volta nell’edizione curata da Ruscelli: Orlando furioso di M. Lodo-
vico Ariosto, tutto ricorretto, et di nuove figure adornato, Venetia, Vincenzo Valgrisi,
1556.
12 Cfr. il passo del Diario dell’Accademia (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ash.
558) riportato in Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’Ariosto e del Tasso, cit., p. 120.
13 «Ancora che io mal volentieri acconci gli orecchi a sentir cosa che detragga alla degni-
tà del nostro ferrarese Omero…» (Scipione Ammirato, All’Illustrissimo Signor il Signor
Marc’Antonio Carrafa, in Parte delle rime, cit., p. [123]).
62 Marco Corradini La fine del Cinquecento
avendo in Firenze de’ letterati che sentivano ed in favor del Tasso, ed in favor
dell’Ariosto».14
La «contraddizione», in effetti, fu molto sollecita, perché già nel febbra-
io del 1585 (la dedica è datata al 16 del mese) vide la luce la risposta degli
Accademici della Crusca nota come Stacciata prima.15 L’opera, attribuita col-
lettivamente all’Accademia, non reca indicazione d’autore, e viene presentata
dal segretario Bastiano de’ Rossi (l’Inferigno), che firma la dedica e una lettera
A’ lettori; è tuttavia ragionevole ipotizzare che almeno in gran parte si debba
all’Infarinato, al secolo Lionardo Salviati. La Stacciata prima riporta per intero
il testo del Pellegrino inframmezzandovi punto per punto minuziose repliche
che lo contestano sotto ogni aspetto, ribaltandone il giudizio di valore: così,
ad esempio, mentre il Furioso diventa «un palagio perfettissimo di modello,
magnificentissimo, ricchissimo e ornatissimo oltre ad ogni altro», la Liberata
non è che «una casetta picciola, povera e sproporzionata, per lo essere bassa e
lunga oltre ogni corrispondenza di convenevol misura: oltr’a ciò murata in sul
vecchio, o più tosto rabberciata».16 Ma i rilievi più insistiti riguardano la lingua
dei due poemi, in accordo con la vocazione particolare della Crusca e secondo
un orientamento tendente a una riduzione della letteratura al semplice dato
linguistico: da questo punto di vista Ariosto, ossequioso verso le tesi bembiane,
risulta funzionale alle aspirazioni puristiche fiorentine dell’Accademia, a diffe-
renza del più eclettico e moderno Tasso. Se nell’annotazione finale, scritta «non
più come avvocato dell’Ariosto, ma come ragguardatore senza animosità»,17 Sal-
viati si mostra in qualche modo conciliante nei confronti di Tasso, nelle pagine
precedenti il tono del discorso non è quello della pacata discussione, bensì della
stroncatura, sfociante a tratti nell’attacco personale, che accomuna Torquato
alla memoria del padre Bernardo; come quando, additando nella Gerusalemme
18 Ivi, cc. 28v-29r (il corsivo è nell’originale). La prima espressione allude a GL XVII, lxxix,
2 («ch’or l’è al fianco Azzo»), la seconda cita Bernardo Tasso, Amadigi, V, iv, 5; il roman-
zo, pubblicato nel 1560, ebbe una nuova edizione nel 1581 ristampata nel 1583, a ridosso
dell’intervento della Crusca. Su questo aspetto della disputa, concernente l’artificiosità
della scrittura e l’esecuzione orali dei versi, Christopher Geekie, ’Parole appiastricciate’:
The Question of Recitation in the Ariosto-Tasso Polemic, in Out Loud: Practices of Reading and
Reciting in Early Modern Times, edited by Riccardo Bruscagli and Luca Degl’Innocenti,
«Journal of Early Modern Studies», vii, 2018, pp. 99-127.
19 Cfr. Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo ed illustrate da Cesare Guasti,
Firenze, Le Monnier, 1852-1855, vol. I, nn. 82, 83, 85, pp. 198-213, 215-218 e Torqua-
to Tasso, Lettere poetiche, a cura di Carla Molinari, Parma, Fondazione Pietro Bembo /
Ugo Guanda Editore, 1995, n. l, pp. 474-477. Considerano il rapporto fra i due scrittori
Bortolo Tommaso Sozzi, Tasso contro Salviati. Con le postille inedite all’Infarinato, in Id.,
Studi sul Tasso, Pisa, Nistri-Lischi, 1954, pp. 217-256, in particolare 229-239, e Carla
Molinari, La revisione fiorentina della «Liberata», «Studi di filologia italiana. Bollettino
annuale dell’Accademia della Crusca», li, 1993, pp. 181-212, poi in Ead., Studi sul Tasso,
Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2007, pp. 37-74.
20 Cfr. Claudio Gigante, Salviati, Lionardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. XC (2017), pp. 47-52: 49.
21 La componente politica del dibattito è discussa da Peter M. Brown, The Historical Signi-
ficance of the Polemics over Tasso’s «Gerusalemme Liberata», «Studi secenteschi», xi, 1970,
pp. 3-23 (che riconduce tuttavia la motivazione dell’intervento di Salviati al suo «anti-
classicismo») e da Alain Godard, Salviati et Tasso. La part de la polémique municipalo-
régionaliste dans la controverse, «Filigrana», 2002-2003, 7, pp. 133-196.
64 Marco Corradini La fine del Cinquecento
Stacciata. Nel tempo di cinque giorni e con un impegno in apparenza non trop-
po intenso (segno che l’attacco lo preoccupava in modo relativo),22 Tasso stese
un’Apologia; lo scritto non fu tuttavia pubblicato subito, ma venne trasmesso a
Giovan Battista Licino, che allestì una raccolta di interventi editi e inediti pro e
contro la Gerusalemme, stampata da Cagnacini a Ferrara con lettera introduttiva
di Tasso in data 20 luglio 158523. Non è difficile ipotizzare che il curatore agisse
per scopi anche commerciali (d’altra parte l’idea di un utile economico forse
non era estranea nemmeno a Torquato, che scriveva il 21 giugno: «Ho bisogno
di denari per molti rispetti; però vi prego che facciate stampar l’Apologia»),24 e
questo dice della parte non esigua che l’interesse del pubblico, fattore all’epoca
di importanza crescente, giocò nello svolgimento della polemica, coinvolgente
un autore dalla fama che si avviava a divenire leggendaria. La stampa Cagnaci-
ni, seguita nel giro di un anno da altre edizioni mantovane e ferraresi, include
dunque, nell’ordine, la Stacciata prima comprendente l’intero testo del Carafa;
l’Apologia; alcune lettere di Tasso e di Orazio Lombardelli scritte fra il 1577 e
il 1585; il Parere in difesa dell’Ariosto di Francesco Patrizi; le Risposte ad alcuni
luoghi del dialogo del Pellegrino, opera di Orazio Ariosto, pronipote di Lodo-
vico. Considereremo dapprima gli ultimi due scritti, che precedono cronologi-
camente l’Apologia.
Il Patrizi, allora docente di filosofia platonica nello Studio di Ferrara, fu
direttamente interpellato sulla questione da Giovanni de’ Bardi da Vernio, ac-
cademico Alterato, e fornì il suo parere il 13 gennaio del 1585. Il contributo
è rilevante, soprattutto perché sposta la discussione dall’ambito della lingua o
dell’osservanza delle regole per porla su un piano più ampio. Coerentemente
con le proprie posizioni, già annunciate in modo chiaro nelle Discussiones peri-
pateticae, il filosofo rifiuta l’autorità aristotelica, e di conseguenza viene a cadere
la necessità di conformarsi alle norme della Poetica ed è vanificata la discussione
intorno a chi si sia attenuto a esse o meno; Patrizi non rinuncia tuttavia a un
22 «A le opposizioni fattemi risposi in cinque giorni; né so bene s’io ci ponessi tutto l’ingegno:
ma certo non ci posi tutto lo studio né tutta la diligenza, perché i miei libri sono incassati,
co’ quali avrei potuto aggrandire il volume, e confermare assai le mie risposte; ma non ho
voluto cavarli» (a Maurizio Cataneo, 18 marzo 1585: Tasso, Lettere, cit., vol. II, pp. 357-
358, n. 352).
23 Apologia del Sig. Torquato Tasso. In difesa della sua Gierusalemme liberata. Con alcune
altre Opere, parte in accusa, parte in difesa dell’Orlando furioso dell’Ariosto, della Gierusalem-
me istessa, e dell’Amadigi del Tasso Padre, Ferrara, Giulio Cesare Cagnacini, et fratelli, 1585.
24 Tasso, Lettere, cit., vol. II, p. 384, n. 391, a Luca Scalabrino.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 65
confronto fra il Furioso e i poemi omerici, a tutto vantaggio del primo, assolto
dalle accuse formulate nel Carrafa.25 Meno radicale l’impostazione di fondo
delle Risposte dell’Ariosto, che reputa la Poetica «opera manca ed imperfetta»,26
ossia incompleta, e dunque ritiene possibile sviluppare i principi ivi contenuti
in nuove direzioni, non del tutto estranee, ma implicite nel testo aristotelico:
per questa via l’Orlando furioso può essere visto come non privo di unità. Apo-
logetico nei confronti del prozio, Orazio Ariosto si mostra anche estremamente
rispettoso verso Tasso, cui è legato da rapporti cordiali: la sua idea è che i due
poemi non siano paragonabili, a causa delle diverse consapevoli scelte dei loro
autori sia sul piano della fabula che su quello stilistico, e sia perciò impossibile
stabilire la superiorità dell’uno o dell’altro.
L’Apologia tassiana è scritto composito, costituito di una prima sezione ora-
toria, volta alla difesa di Bernardo, e di una seconda parte “platonica”, ovvero
dialogica, che controbatte le accuse dei Cruscanti alla Gerusalemme, affine per
diversi aspetti al corpus degli altri dialoghi dell’autore (meno di un mese passa
tra la stesura dell’Apologia e quella del discorso Dell’arte del dialogo);27 gli inter-
locutori sono il Forestiero, abituale maschera indossata da Torquato, Vincenzo
Fantini, il canonico ferrarese che gli ha procurato una copia della Stacciata, e
il Segretario di questi, cui viene affidato il compito di leggere ad alta voce le
obiezioni della Crusca, in modo che il Forestiero possa rispondervi. Anche se
è innegabile che nel testo l’organicità e la coerenza del discorso siano in parte
sacrificate alla battaglia dialettica, come ha ben mostrato Baldassarri, giova tut-
tavia richiamare che l’Apologia fu la prima riflessione del Tasso in materia di po-
28 «Non paragonerò dunque me a l’Ariosto, o la mia Gierusalemme al suo Furioso - come han
fatto gli inimici e gli amici miei quasi egualmente -, ma me già invecchiato e vicino a la
morte a me giovine ancora e d’etate immatura anzi che no; e farò comparazione ancora
fra la mia Gierusalemme quasi terrena e questa che, s’io non m’inganno, è assai più simile
a l’idea de la celeste Gierusalemme» (Torquato Tasso, Giudicio sovra la «Gerusalemme»
riformata, a cura di Claudio Gigante, Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 11-12).
29 Cfr. Claudio Scarpati, Vero e falso nel pensiero poetico del Tasso, in Claudio Scarpati -
Eraldo Bellini, Il vero e il falso dei poeti, Milano, Vita e Pensiero, 1990, pp. 3-34: 21-26;
Claudio Scarpati, 1585-1587: Tasso, Patrizi e Mazzoni, «Aevum», lxxvi, 2002, pp. 761-
773 (poi in Id., Invenzione e scrittura. Saggi di letteratura italiana, Milano, Vita e Pensiero,
2005, pp. 211-228).
30 Lettera di Bastiano de’ Rossi Cognominato lo Inferigno […] Nella quale si ragiona di
Torquato Tasso, del Dialogo dell’epica Poesia di Messer Cammillo Pellegrino, della risposta
fattagli dagli Accademici delle Crusca: e delle famiglie, e degli huomini della Città di Firenze,
In Firenze, A stanza degli Accademici della Crusca, 1585. Il coinvolgimento del Bardi è
supposto da Plaisance, I dibattiti intorno ai poemi dell’Ariosto e del Tasso, cit., p. 131.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 67
caso diplomatico, nel contesto di relazioni in quel momento non troppo distese
fra Firenze e Ferrara, nelle quali si inserisce la Lettera stessa, datata 1° maggio e
dunque precedente alla stampa dell’Apologia. Anche a questa uscita Tasso oppo-
se una più breve quanto dignitosa Risposta, e anche in questo caso Licino non
perse l’occasione per assemblare una miscellanea di interventi, edita con dedica
datata 25 ottobre.31 L’Apologia, a sua volta, generò una risposta in tempi stretti,
nota come l’Infarinato primo,32 nella quale Salviati usciva allo scoperto in prima
persona e ribadiva le proprie posizioni, secondo il consueto metodo della cita-
zione di un passo dell’avversario seguita dalla relativa confutazione, impiegan-
do la medesima aggressività della Stacciata. Con l’Infarinato, diversamente che
nella Lettera del de’ Rossi, siamo comunque nel campo della critica letteraria,
anche se il tono di Salviati non accenna ad ammorbidirsi, ma si mantiene pun-
gente, ai limiti dell’insolenza. Tasso postillò fittamente un esemplare dell’Infari-
nato primo, pensando di rispondere anche a questo, ma in seguito abbandonò il
progetto,33 dichiarando di voler lasciare il compito «a gli amici».34
In effetti non pochi si incaricarono di ribattere a Salviati in difesa della
Liberata, prima e dopo la comparsa del primo Infarinato: anzitutto Camillo
Pellegrino con la già citata Replica alla Stacciata prima, datata 2 ottobre 1585,
puntuale smentita delle obiezioni della Crusca nella quale il capuano sembra
31 Risposta del S. Torquato Tasso, alla Lettera di Bastian Rossi, Academico della Crusca, in difesa
del suo Dialogo del Piacere Honesto, et detta Lettera. Et un discorso del medesimo Tasso, sopra
il parere fatto dal Sig. Franc. Patricio, in difesa di Lodovico Ariosto, Ferrara, Vittorio Baldini,
Ad instanza di Giulio Vassalini, 1585.
32 Dello Infarinato Accademico della Crusca Risposta all’Apologia di Torquato Tasso Intorno
all’Orlando Furioso, e alla Gierusalem liberata, Firenze, Carlo Mecoli, e Salvestro Magliani,
1585 (lettera dello stampatore datata 13 settembre).
33 «Io aveva cominciato a rispondere a la Replica de la Crusca; ma ho tralasciato» (Tasso,
Lettere, cit., vol. II, p. 487, n. 461; ad Angelo Grillo, forse dei primi giorni di gennaio del
1586). La copia annotata da Tasso si conserva a Londra (British Library, Printed Books
C.28.e.8); ne trattano Sozzi, Tasso contro Salviati, cit. e Guido Baldassarri, Notizie di
postillati tassiani, «Studi tassiani», xlv, 1997, pp. 324-327.
34 «S’io avessi voluto parer o più dotto o più sano, avrei risposto più lungamente non solo alla
prima inventiva [sic, per «invettiva»] contra ’l mio poema, ma alla seconda, alla quale io non
rispondo, perché a mio padre non appartiene, e la causa mia posso ben io lasciare a gli amici,
perché la difendano in mia vece» (Risposta del S. Torq. Tasso, al Discorso del Sig. Oratio
Lombardelli Intorno a i contrasti, che si fanno sopra la Gierusalemme liberata, Ferrara, Vittorio
Baldini [su un altro esemplare «Ad instanza di G. Vasalini»], 1586, p. 4; lo scritto, un’epistola
indirizzata a Maurizio Cataneo, è edito in Tasso, Lettere, cit., vol. II, pp. 436-458).
68 Marco Corradini La fine del Cinquecento
tia, Barezzo Barezzi, 1592, con frontespizio proprio e numerazione autonoma di pagine).
44 Cfr. supra, nota 31.
45 Della poetica di Francesco Patrici, La Deca Disputata […] Et vi è aggiunto il Trimerone
del medesimo, in risposta alle oppositioni fatte dal Signor Torquato Tasso Al parer suo scritto in
diffesa dell’Ariosto, Ferrara, Vittorio Baldini Stampator Ducale, 1586, pp. 211-250.
46 Delle differenze poetiche. Discorso del Signor Torquato Tasso Per risposta al Sig. Horatio
Ariosto, Verona, Hieronimo Discepolo, 1587 (composto nel 1585).
47 Discorso intorno a i contrasti, che si fanno sopra la Gierusalemme liberata di Torquato Tas-
so Del Signor Orazio Lombardelli Senese Academico Umoroso, Ferrara, Ad instanza di
Giulio Vassalini (col.: «Appresso Vittorio Baldini Stampator Ducale»), 1586. La stampa è
promossa dal Licino.
48 Risposta del S. Torq. Tasso, al Discorso del Sig. Oratio Lombardelli Intorno a i contrasti, che
si fanno sopra la Gierusalemme liberata, Ferrara, Ad instanza di G. Vasalini, 1586. L’epistola
è compresa in Tasso, Lettere, cit., vol. II, n. 434.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 71
Sebbene, come si è detto, la disputa tra “ariostisti” e “tassisti” sia stata originata da
motivazioni in buona parte extraletterarie e molti apporti risultino ripetitivi e poco
originali, essa insiste su alcuni motivi fondamentali nell’orizzonte teorico-critico del
secondo Cinquecento, in qualche caso riuscendo a recare contributi significativi.
L’invenzione è pur una delle parti principali e necessarie al poeta. Anzi non ha dubbio
che chi non ritrova di proprio ingegno è al tutto indegno di questo nome. Come può
star dunque che meriti più loda colui che ritrova parte che colui che ritrova un tutto?51
49 Torquato Tasso, Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico, a cura di Luigi Poma, Bari,
Laterza, 1964, pp. 4-6 (D.a.p., I).
50 Pellegrino, Il Carrafa, cit., pp. 310-311; cfr. Arst., Poet., IX 1451b 19-23.
51 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 311.
52 Ibidem.
72 Marco Corradini La fine del Cinquecento
non è poeta senza la ’nvenzione: però scrivendo storia, o sopra storia stata scritta
da altri, perde l’essere interamente»), con un probabile ricordo del commento
aristotelico di Castelvetro,53 accompagnato dalla considerazione che non è pos-
sibile “restringere” l’idea dell’inventare all’ambito della locuzione. Tasso in real-
tà aveva già affrontato e risolto il problema all’altezza dei Discorsi giovanili («La
novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia
sia finta e non più udita, ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimen-
to della favola»);54 la risposta dell’Apologia invece, pur strettamente legata alle
chiose di Salviati, opera uno scarto allargando ed elevando il discorso, a partire
dal significato originario latino del termine inventio:
Forestiero: Ditemi dunque: il ritrovamento, che si dice invenzione con altro nome, è
delle cose che sono o di quelle che non sono?
Segretario: Di quelle che sono; perché quelle che non sono, non possono ritrovarsi.
Forestiero: Ma le cose finte o false sono?
Segretario: Ho sempre udito dire per voi filosofi, che ’l falso è nulla.
Forestiero: E quel che è nulla, non è; dunque le cose false non sono: e l’invenzione non
è delle cose false, ma delle vere che sono, ma non sono anco state ritrovate.55
53 Secondo il quale l’«essenzia» del poeta «consiste nella ’nvenzione e senza essa invenzione
non è poeta» (Lodovico Castelvetro, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, a cura di
Werther Romani, Roma-Bari, Laterza, 1978-1979, vol. I, p. 289).
54 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., p. 5.
55 Cito da Torquato Tasso, Apologia in difesa della «Gerusalemme liberata», in Id., Prose, a
cura di Ettore Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 428-429.
56 Agostino, De vera religione, XXXIX 73: «Non enim ratiocinatio talia facit, sed invenit.
Ergo antequam inveniantur, in se manent».
57 Cfr. Claudio Scarpati, Icastico e fantastico. Iacopo Mazzoni fra Tasso e Marino, in Id., Dire
la verità al principe. Ricerche sulla letteratura del Rinascimento, Milano, Vita e Pensiero,
1987, pp. 231-269.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 73
territorio delle discipline logiche e quello della pura fantasia, che terrà il campo
nell’ultimo scorcio del Cinquecento. Tasso fin d’ora reagisce, come farà poi più
estesamente nei Discorsi del poema eroico, allo slittamento della poetica in dire-
zione del “falso”:
Forestiero: Dunque l’arte dell’imitare, o del far l’imagini, che vogliam chiamarla, sarà
divisa in due spezie: l’una delle quali farà le imitazioni delle cose vere, che saranno vere
imitazioni; l’altra farà i fantasmi.
Segretario: Queste due spezie ci son veramente. E ora intendo quel che disse Ronsar-
do, poeta famoso tra’ Francesi, che la poesia dell’Ariosto era fantastica.
Forestiero: Ma fra queste spezie, per la ragione dell’oppositore, sarebbe degna di lode
maggiore l’imitazione delle false imagini.
Segretario: Così par che seguiti, perché ella è accompagnata con maggior invenzione.
[…]
Forestiero: Ma i fantasmi e le false imagini non sono; laonde pare che di loro non sia
ritrovamento. Quella che prima ci pareva maggior invenzione, ora non ci pare invenzio-
ne in modo alcuno.
[…]
Forestiero: Perché in quanto elle [le cose] non sono, stanno ascose e ricoperte nelle
tenebre e nella caligine di quel che non è: lì dove suol rifuggire il sofista, e circondarsi di
molti argini e di molti ripari, perché sia malagevole il cavarnelo:
e quivi suol ricercarle il poeta fantastico, il quale è l’istesso che ’l sofistico; ma ricercan-
done, è gran pericolo che perda se stesso.58
viati («scrivendo storia»); al poeta è lecito variarli, poiché la verità cui egli deve
guardare è un’altra, di portata più ampia:
Forestiero: […] la verità è nei particolari solamente, o nei particolari e negli universali?
Segretario: Negli uni e negli altri.
Forestiero: Ed ambedue son considerate da l’istorico o dal filosofo, o pure l’una da
l’uno e l’altra da l’altro?
Segretario: Quella dei particolari considera l’istorico, e quella degli universali il filosofo,
il qual considera ancora il verisimile in universale, perch’appartiene all’arte medesima.
Forestiero: Dunque il poeta non guasta la verità, ma la ricerca perfetta, supponendo in
luogo della verità dei particolari quella degli universali, i quali sono idee.
Segretario: Così debbiam credere dei filosofi divini.
Forestiero: E de’ poeti parimente, i quali nella considerazione dell’idee sono filosofi:
laonde quelli si diranno adulterar la verità che ritraggono i fantasmi, non quelli che
risguardano l’idee.60
Quanto risultava chiaro a Torquato fin dagli anni giovanili della sua prima
riflessione intorno all’epopea si innesta qui sul tema proposto dell’invenzio-
ne fantastica: il poeta non è il dissipatore della storicità, ma al contrario colui
che la universalizza conferendole un significato ulteriore che trascende i dati
contingenti;61 e ad «adulterar la verità» non è dunque chi, nel rispetto del vero-
simile, perfeziona la fabula storica, bensì chi insegue «i fantasmi» del falso, gli
oggetti privi di una corrispondenza in re.62
Il problema della falsificazione della storia riemerge, in termini leggermen-
te diversi, nella Risposta al Lombardelli: la poesia è cosa diversa dalla storia, e
dunque non può essere storia falsificata, non comportando alcun inganno per il
lettore. Fin qui il discorso procede piano, ma a quest’altezza tocca un punto ne-
vralgico, su cui la riflessione dell’autore si soffermerà a lungo, fino ai tardi anni
del Giudicio: nella Gerusalemme alla poesia si mescola l’allegoria, e «S. Agostino
disse meglio di tutti che l’allegoria non è falsa perché significa. Dunque – è la
60 Tasso, Apologia, cit., p. 435.
61 «E ’l poeta […] è più filosofo che non è l’istorico, il quale risguarda i particolari» (Tasso,
Apologia, cit., p. 435, che parafrasa Arst., Poet., IX 1451b 5-7); «l’uno e l’altro [Omero e
Virgilio], poetando, non volle narrare come istorico i particolari, ma come filosofo forma-
re gli universali: la verità de’ quali è molto più stabile e molto più certa» (ivi, p. 436).
62 Sulla dialettica di vero, verosimile e falso nelle varie fasi del pensiero teorico tassiano si
veda Claudio Scarpati, Tasso, Sigonio Vettori, in Id., Studi sul Cinquecento italiano, Mila-
no, Vita e Pensiero, 1982, pp. 156-200: 187-200, oltre al già citato Vero e falso nel pensiero
poetico del Tasso, dello stesso.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 75
b) L’unità d’azione
La questione più dibattuta nelle discussioni del medio Cinquecento in-
torno al poema, e segnatamente al Furioso, non poteva rimanere esclusa dalla
polemica che stiamo analizzando. La sostanziale ortodossia aristotelica di Pelle-
grino non lascia margine a dubbi: Ariosto, così come Bernardo e tutti gli autori
di romanzi, si è allontanato dalla perfezione dell’epopea costruendo una favola
non unitaria, a differenza di Torquato, il quale pertanto è riuscito superiore
sotto tale aspetto:
63 Tasso, Risposta al Lombardelli, p. 21. Passi paralleli si leggono nella lettera a Curzio Ardi-
zio del 25 febbraio 1585 (Tasso, Lettere, cit., vol. II, p. 333); nel dialogo Il Cataneo overo
de gli idoli, dell’aprile dello stesso anno (Torquato Tasso, Dialoghi, a cura di Giovan-
ni Baffetti, Milano, Rizzoli, vol. II, p. 761); infine, nel Giudicio sovra la «Gerusalemme»
riformata, pp. 18-19. L’idea attribuita ad Agostino ricorre in diversi scritti del vescovo di
Ippona: Questiones evangeliorum, De mendacio, Contra mendacium.
64 Ripercorre in profondità le tappe della meditazione tassiana sul tema Maria Teresa
Girardi, Tasso e la nuova ’Gerusalemme’. Studio sulla «Conquistata» e sul «Giudicio», Napo-
li, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 207-250.
65 Pellegrino, Il Carrafa, cit., p. 317.
76 Marco Corradini La fine del Cinquecento
66 Il problema è affrontato in diversi brani delle Lettere poetiche (cit., pp. 107-114, 154-159,
269-278) e ritornerà nel Giudicio; sull’argomento Lorenzo Bocca, «Il proporre molti ove
sia alcuno eminente» (LP XII, 4). Le «Lettere poetiche» e l’unità una di molti in uno, «Studi
tassiani», lvi-lviii, 2008-2010, pp. 97-122 (poi ripreso in Id., Le «Lettere poetiche» e la
revisione romana della «Gerusalemme liberata», Alessandria, Ed. dell’Orso, 2014).
67 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, pp. 35-36.
68 Stacciata prima, cit., c. 11v.
69 Ivi, cc. 6r e 11r.
70 Pellegrino, Replica, cit., pp. 61-68.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 77
Torno a dirvi che la favola del Furioso è di perfetta unità, ma in essa, senza punto scemar-
le quella perfezione, ha saputo il poeta ritrovar modo d’allargarla e di renderla ampia e
magnifica e varia, e dilettevole per conseguente, più che altro poeta sapesse mai […]. Ec-
covi che proprie sono dell’eroico e celebrate da Aristotile quelle tante e fila e tele e favole
e varianze e saltamenti di che ed egli si vanta e compiacesi, e da voi si biasima l’Ariosto.72
71 A partire dal 1566 Salviati tradusse la Poetica e attese a un vasto commento, rimasto
incompiuto e tuttora inedito (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II II 11, già
Magl. VII 87): su questo lavoro si veda Claudio Gigante, Leonardo Salviati e Jacopo
Mazzoni in difesa di Dante, in Id., Esperienze di filologia cinquecentesca. Salviati, Mazzoni,
Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 10-20.
72 Salviati, Lo ’nfarinato secondo, cit., pp. 77-79.
73 Ivi, p. 83.
78 Marco Corradini La fine del Cinquecento
barbaro, che sene fuggiva nel regno suo, e per mezzo del suo principal guerriero, in cui
era cessato il furore, distruttagli la città e sedia reale, e appresso, per man del medesimo,
in battaglia fra tre e tre, privatolo della vita, restò non sol vittorioso, ma per parentela
contratta tra i suoi maggior baroni, e per l’acquisto fatto di cavalieri, e per la morte data
da un de’ suoi in duello a un gran vassallo di quel re barbaro, rimase in presente gioia e
sicurezza nell’avvenire.74
poesia diversa dalla epopeia», e dunque non si sottrae all’osservanza delle norme di
Aristotele;77 e l’esempio di Ariosto, poeta peraltro «divino», non deve essere seguito
«nella moltitudine delle azioni».78 Nel caso specifico dell’Apologia, però, l’obiettivo
dell’autore non è attaccare il Furioso, né difendere la Gerusalemme, la cui unità non
è stata messa in discussione, ma tutelare la memoria del padre: non potendo evitare
di ammettere che l’Amadigi comprenda molte azioni, la via che Torquato percorre
è quella di mostrare come la scelta di Bernardo sia stata «scusabile»,79 attraverso il
racconto di un episodio estratto dalla propria memoria familiare:
[Mio padre], sì come colui che ottimamente intendeva l’arte poetica, e quella partico-
larmente insegnataci da Aristotele, deliberò di far poema d’una sola azione, e formò la
favola sopra la disperazione d’Amadigi per la gelosia d’Oriana, terminando il poema con
la battaglia fra Lisuarte e Cildadano; e molte dell’altre cose più risguardevoli avvenute
prima, o dopo succedute, narrava negli episodi o nelle digressioni che vogliam chiamar-
le. Questo fu il disegno, del quale alcun maestro dell’arte no ’l poteva far miglior, né più
bello. Ma finalmente, per non perder il nome di buon cortigiano, non si curò di ritener
a forza quello d’ottimo poeta; e udite come.
Leggeva alcuni suoi canti al principe suo padrone; e quando egli cominciò a leggere,
erano le camere piene di gentiluomini ascoltatori; ma nel fine, tutti erano spariti: da
la qual cosa egli prese argumento che l’unità dell’azione fosse poco dilettevole per sua
natura, non per difetto d’arte che egli avesse: perciò che egli l’aveva trattata in modo che
l’arte non poteva riprendersi: e di questo non s’ingannava punto. Ma forse gli sarebbe
bastato quello che bastò prima ad Antimaco Colofonio, a cui Platone valeva per molti,
se ’l principe non avesse aggiunto il suo commandamento a la commune persuasione:
laonde convenne ubidire,
ma co ’l cor mesto e con turbato ciglio;
perciò ch’egli ben conosceva che il suo poema perdeva con l’unità della favola molto di
perfezione.80
77 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, pp. 26-27. Da notare che la dimostrazione
tassiana dell’identità di genere tra romanzo ed epopea coincide perfettamente con quella
svolta da Salviati nell’Infarinato secondo.
78 Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, pp. 22-23.
79 È questo l’aggettivo impiegato nei Discorsi dell’arte poetica, in un passo in cui si può indo-
vinare un’implicita allusione all’Amadigi: «la qual moltitudine [delle azioni] scusabile nel
poema epico può ben essere, rivolgendo la colpa o a l’uso de’ tempi o al comandamento di
principe o a preghiera di dama o ad altra cagione, ma lodevole non sarà però mai riputata»
(Tasso, Discorsi dell’arte poetica, cit., vol. II, p. 23; corsivo mio).
80 Tasso, Apologia, cit., pp. 416-417. Il verso, citato ad sensum, è Petrarca, Triumphus
Cupidinis, II 57; il fatto a cui il brano si riferisce risale presumibilmente al 1548.
80 Marco Corradini La fine del Cinquecento
c) La lingua e lo stile
Ancora una volta i termini della questione sono fissati dapprima nel Carra-
fa. Il giudizio di Pellegrino in questo campo si rivela articolato: la dote principa-
le dell’espressione di Ariosto è la «chiarezza», spiegata come semplicità, purezza,
naturalezza, laddove Tasso predilige «modi di dir poetici, lontani in tutto dal
parlar dell’uso commune», tanto che «alle volte oscuro ne diviene». Tali diverse
caratteristiche fanno sì che il primo sia da preferirsi per la «sentenza» dolce ed
efficace, mentre il secondo eccelle nella «locuzione», ricca di «nuove metafore
e nuovi modi di dire».82 Segue una serie di citazioni dai due poemi, tese ad
esemplificare i concetti «facili» del Furioso e quelli della Liberata, artificiosi, ab-
bondanti di traslati e quasi laconici.83 L’analisi del capuano, al di là dei giudizi di
valore, coglie qui con esattezza l’evoluzione storica della lingua poetica italiana
dalla fase del pieno Rinascimento a quella che si apre alla seconda metà del seco-
lo, ricondotta comunemente sotto il nome di Manierismo; e va osservato come
anche sul discorso “oscuro” Tasso avesse già soffermato la propria riflessione,
81 Cfr. Delle lettere di M. Bernardo Tasso, secondo volume, Vinegia, Gabriel Giolito de’ Fer-
rari, 1560 (rist. anast. a cura di Adriana Chemello, Sala Bolognese, Forni, 2002, pp. 208-
213, 540-547. Le lettere intercorse tra Bernardo e il Cinzio sono analizzate in Donatella
Rasi, Breve ricognizione di un carteggio cinquecentesco: Bernardo Tasso e G.B. Giraldi, «Studi
tassiani», xxviii, 1980, pp. 5-24.
82 Pellegrino, Il Carrafa, cit., pp. 329-330.
83 Ivi, pp. 331-338.
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 81
84 Torquato Tasso, Considerazioni sopra tre canzoni di M, Gio. Battista Pigna intitolate le
tre sorelle [1572], in Le prose diverse di Torquato Tasso nuovamente raccolte ed emendate
da Cesare Guasti, Firenze, Successori Le Monnier, 1875, vol. II, p. 110. Su questo aspetto
delle Considerazioni vd. Ezio Raimondi, Poesia della retorica, in Id., Poesia come retorica,
Firenze, Olschki, 1980, pp. 52-54; Scarpati, Vero e falso nel pensiero poetico del Tasso, cit.,
pp. 15-16.
85 La diversa articolazione dei due campi in Pellegrino e Salviati è discussa e ricondotta a
concezioni retoriche differenti in Riccardo Scrivano, Intorno al linguaggio della critica
nel Cinquecento, in Renaissance. Studies in honor of Hans Baron, edited by Anthony Molho
and John A. Tedeschi, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 465-498 (poi, con il titolo Linguaggio
della critica nel Cinquecento, in Id., La norma e lo scarto. Proposte per il Cinquecento lettera-
rio italiano, Roma, Bonacci, 1980, pp. 275-302).
86 «l’Ariosto venne a Firenze, e stetteci parecchi anni, per imparare i vocaboli e le proprietà
del linguaggio […]. E forse che se ’l Tasso avesse fatto il medesimo, non sarebbe il suo libro
ripieno quasi per tutto di discordanze e di barbarismi» (Stacciata prima, cit., cc. 33v-34r).
87 Di Sacco, Un episodio della critica cinquecentesca, cit., p. 95.
82 Marco Corradini La fine del Cinquecento
Questi scherzi usati a suo luogo e con parcità stanno bene: ma il Tasso sen’empie tanto la
bocca, e tanto gli adopera senza decoro e senza distinzione, che pare una fanciullaggine il
fatto suo. Non son questi i propri ornamenti e le proprie figure dell’epopeia.88
Perché non pedantesche? Che tante ne sono in quell’opera, che con poche più potrebbe
parere dettato in lingua fidenziana, le cui pulcherrime eleganzie non lascia anche talvolta
di contraffare. […] Se nel Goffredo fosser cento voci straniere si salverebbono per questa
via; ma il fatto sta che straniere son la più parte: straniere diciamo secondo lui, perciocché
queste, che qui si chiaman latine, non son parole d’alcuna lingua; onde di quelle lingue,
cioè parole straniere, non possono essere, di che intese Aristotile per aggrandimento della
favella dell’epopeia, neanche le lombarde, lequali per la più parte non son parole, ma bar-
barismi della medesima lingua. Pellegrine sarebbono le francesche, le spagnuole, e anche
le latine pure e le greche. A picciol numero addunque si ristringono nel Goffredo le parole
e i modi di questa lingua, perché chi ne levasse, oltre alle dette pedantesche e lombarde,
alcune particolari che vi si truovano in ogni stanza, sì come serpere, torreggiare, scuotere,
riscuotere, precipitare, la guarda, breve, trattar l’armi, mattutina, notturna, vetusto, ahi, ca-
pitano, legge il cenno, vide e vinse, augusto, diadema, lance per bilance, fora, ostile, mercare
e susurrare; come che anche buona parte di queste ripor si possano tra le primiere, leggier
fatica si prenderebbe chiunque del rimanente formar volesse uno stratto.90
bontà nel supremo grado».93 Il poema, secondo questa visione, propone dunque
personaggi dal valore esemplare, che possano fungere da modelli di comporta-
mento virtuoso: è la medesima esigenza espressa, nello stesso torno di anni, da
Giason Denores nel suo Discorso intorno a que’ principii, cause et accrescimenti che la
comedia, la tragedia et il poema eroico ricevono dalla filosofia morale e civile e dai go-
vernatori delle republiche, a stampa nel 1586: «Il poema eroico è essempio de’ gran
personaggi virtuosi fuori in guerre, in travagli, in peregrinaggi, in imprese onorate,
per inanimar gli altri alla virtù»; «Il poema eroico è narrazion per imitazion di una
azzion suppremamente laudevole di persone illustri, sommamente buone, […]
per accender gli ascoltanti all’amor et al desiderio d’imitar l’imprese magnanime e
gloriose».94 Per quanto egli si mostri meno rigido di Denores, anche per Pellegrino
il fine principale della poesia è l’utilità etica, veicolata dal diletto del lettore. Salviati
non contesta tale visione: la disputa si infiamma soltanto nel momento in cui il
capuano scende sul piano critico, affermando che nel Furioso Ariosto ha dato vita
a «persone vili, sceleratissime e del tutto indegne», a differenza di Tasso, il quale
«si servì di molte persone, ma tutte eroiche e degne di tromba, se non quanto gli
fa di bisogno ammetterne alcuna o vile o cattiva per integrar la sua favola».95 Da
qui prende avvio una vivace discussione su quali comportamenti siano da con-
siderare più riprovevoli (quello di Rinaldo che abbandona la battaglia finale per
dedicarsi ad Armida, o quello di Ricciardetto che inganna Fiordispina per giacere
con lei), e i personaggi ariosteschi e tassiani vengono paragonati agli eroi di Omero
e Virgilio, soppesati anch’essi sotto il profilo etico. Più che scendere nelle pieghe
di questa casistica, pare interessante recuperare l’opinione di Salviati intorno alla
rappresentabilità dei comportamenti cattivi, se presentati come exempla negativi
da evitare; dell’argomento il fiorentino si serve per giustificare il poema ariostesco,
per quanto questo non presenti in realtà una polarizzazione etica forte, a differenza
della Liberata: «nel Furioso dell’Ariosto, per la sua ampiezza, fu ragionevol cosa dar
luogo all’una e all’altra maniera dell’esemplo: cioè al buono, perciocché s’imitasse,
e al malvagio, per metterlo altrui in odio e s’apparasse a fuggirlo».96 Naturalmente,
perché funzioni come exemplum vitandum, l’azione cattiva, se non è seguita dal
pentimento, deve ricevere una conseguente punizione, secondo un meccanismo
non diverso da quello operante nelle tragedie contemporanee:
che può darne piggiore esemplo, in ogni lettura e in ogni favola, che s’ascolti o che ci
venga rappresentata, che il vedere o la virtù senza ’l premio, o il vizio senza la pena? E in
che altro che nell’esemplo consiste il profitto dell’epopeia? E a che altro che all’esemplo
che debba trarsene dagli ascoltanti risguardano gli ammaestramenti e le leggi della bontà
del costume nelle poesie introdotto?97
notano alcuni il Tasso, che pone in bocca d’un pastore sentenze non pur da uomo di città ma
da filosofo102 […]. Dicono ancora che non convenga ad Armida né a Tancredi innamorati dir
ne’ loro lamenti parole così colte et artificiose, che se bene all’uno et all’altro fosse convenuto
per la dignità del grado, non conveniva come a feriti d’amore, a’ quali il più delle volte vien
bene porre in bocca parole tronche et imperfette,103 non gravi e ricercate con arte.104
La sostanza retorica della Liberata, in fondo, non è così lontana da quella del
Pastor fido: e la critica citata da Pellegrino anticipa con singolare esattezza una
nota censura di Denores, il quale nel Discorso, e più compiutamente nell’Apolo-
gia, osserva che gli autori delle pastorali contemporanee mettono «in bocca de’
pastori alle volte certi parlari figurati con ornamenti de’ poeti lirici, e alle volte
ragionamenti alti, discorsi di cose celesti, concetti prudenti e sentenzie gravissi-
me, che appena si convenirebbono a’ principi e a’ philosophi».105
101 Intorno al rapporto tra Guarini e Salviati, e in particolare alle correzioni di quest’ultimo
sul testo della tragicommedia, Vittorio Rossi, Battista Guarini ed il Pastor fido. Studio
biografico-critico con documenti inediti, Torino, Loescher, 1886; Deanna Battaglin, Leo-
nardo Salviati e le «Osservazioni al Pastor fido» del Guarini, «Atti e Memorie dell’Accademia
Patavina di Scienze Lettere ed Arti», Memorie della Classe di scienze morali, lettere ed
arti, lxxvii, 1964-1965, pp. 249-284; Le annotazioni al «Pastor fido» di Leonardo Salviati.
Introduzione e testo, in Poeti estensi del Rinascimento. Con due appendici, a cura di Silvio
Pasquazi, Firenze, Le Monnier, 1966, pp. 197-233; Peter Michael Brown, Lionardo
Salviati. A Critical Biography, London, Oxford University Press, 1974.
102 In GL VII 8-13.
103 Citazione quasi letterale del cosiddetto Epilogo dell’Aminta, ovvero Amor fuggitivo, vv.
104-105: «[Amore] i suoi detti / forma tronchi e imperfetti» (Torquato Tasso, Aminta, a
cura di Marco Corradini, Milano, Rizzoli, 2015, p. 226). Il componimento viene stampa-
to più volte a partire dal 1581.
104 Pellegrino, Il Carrafa, cit., pp. 324-325.
105 Apologia contra l’auttor del Verato di Iason Denores di quanto egli ha detto in un suo discor-
so delle tragicomedie et delle pastorali, Padova, Paolo Meietti, 1590, c. 9v; il passo, senza la
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 87
menzione degli «ornamenti de’ poeti lirici», figurava già in Denores, Discorso, cit., p. 417.
106 Il sonetto Questo è campo di guerra, e quivi a prova si legge in Parte prima delle rime del Sig.
Don Angelo Grillo nuovamente date in luce, Bergamo, Comino Ventura, 1589, c. 43v.,
e fu incluso in precedenza nella stampa del Discorso intorno a i contrasti, che si fanno sopra
la Gierusalemme liberata di Orazio Lombardelli realizzata da Osanna a Mantova nel 1586,
pp. finali n.n. Il componimento è indirizzato al Tasso, che rispose con Non pugna l’arte e
la natura a prova (Rime, 1302).
107 Annotationi di Scipio Gentili sopra la Gierusalemme liberata di Torquato Tasso, Leida [ma
Londra, John Wolf ], 1586; Annotationi sopra la Gierusalemme liberata del Sig. Torqua-
to Tasso. Fatte dal Cavalier Bonifatio Martinelli, Bologna, Alessandro Benacci, 1587.
Anche i commenti successivi alla Liberata (Guastavini, Beni) e alla Conquistata (Francesco
Birago) conservano memoria della disputa.
108 Comparatione di Homero, Virgilio e Torquato…del Sig. Paolo Beni, Padova, Lorenzo
Pasquati, 1607 (sette discorsi, di cui l’ultimo dedicato al Furioso); Comparatione di Torqua-
to Tasso con Homero e Virgilio. Insieme con la difesa dell’Ariosto paragonato ad Homero…di
88 Marco Corradini La fine del Cinquecento
Paolo Beni, Padova, Battista Martini, 1612 (dei tre discorsi aggiunti, uno è di argomento
ariostesco).
109 Il proponimento di Marino si può ricostruire da un suo accenno nella dedica del Ritratto del
Serenissimo Don Carlo Emanuello Duca di Savoia (in Giovan Battista Marino, Panegirici,
a cura di Marco Corradini, Gian Piero Maragoni, Emilio Russo, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2020, p. 64), ma soprattutto da quanto scrive di lui il rivale Gasparo Murtola nella
lettera ai lettori premessa alla Creazione del mondo (Venezia, Deuchino e Pulciani, 1608) e nelle
Risate XVIII e XXII della Marineide. Il medesimo intento è dichiarato a chiare lettere da Stiglia-
ni nella Lettera responsiva dell’autore al Signor Aquilino Coppini stampata in calce all’edizione dei
primi venti canti del Mondo nuovo (Piacenza, Bazacchi, 1617). Sull’argomento si veda Marco
Corradini, Questioni di famiglia. Tasso, Marino, Stigliani, in Id., In terra di letteratura. Poesia e
poetica di Giovan Battista Marino, Lecce, Argo, 2012, pp. 137-163.
110 Pellegrino faceva parte del circolo di letterati raccolti intorno a Matteo di Capua, prin-
cipe di Conca, del quale Marino entrò al servizio a metà degli anni novanta. Tracce di
una discussione critica fra i due emergono dall’epistolario mariniano (Giovan Battista
Marino, Lettere, a cura di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 1966, pp. 24-26);
e l’anziano ecclesiastico inserì il giovane poeta fra gli interlocutori del suo dialogo Del con-
cetto poetico (1598, ma edito per la prima volta in Angelo Borzelli, Il Cavalier Giovan
Battista Marino [1569-1625], Napoli, Priore, 1898, pp. 237-359).
Furioso contro Liberata. La polemica cinquecentesca 89
Marco Corradini
Università Cattolica di Milano
114 Carlo Goldoni, Torquato Tasso, a. I, sc. IX e X. Cito il testo goldoniano da Tutte le ope-
re, a cura di Giuseppe Ortolani, Milano, Mondadori, 1941, vol. V, pp. 763-848; si veda
anche l’edizione di questa commedia a cura di Dante Maffia, Catanzaro, Abramo, 1993.
115 Goldoni, Torquato Tasso, cit., a. I, sc. X.
116 Una ricostruzione della polemica linguistica intercorsa fra Gozzi e Goldoni si legge in
Lucia Di Santo, Una citazione settecentesca del «Malmantile racquistato»: il «Torquato Tas-
so» di Carlo Goldoni, «Parole rubate. Rivista internazionale di studi sulla citazione», 2015,
12, pp. 119-136. In parte ancora utile Giovanni Ziccardi, Intorno al «Torquato Tasso»
di Carlo Goldoni, in Studi di letteratura italiana diretti da Erasmo Pèrcopo, vol. Xl, Roma,
Società Tipografica Arpinate, 1915, pp. 1-60.
© isbn 978 88 7766 812 7
© Centro di Studi Tassiani, 2023