Sei sulla pagina 1di 76

STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

I N TR O D U Z I O N E

Al Congresso di Vienna del 1815 le nazioni europee sono alla ricerca di una stabilità e di un ordine
incarnati dal Concerto europeo. Con la guerra di Crimea del 1853-1856 il Concerto europeo entra in
crisi per l’emergere di fenomeni rivoluzionari come il principio di nazionalità e il liberalismo. Gli
europei si ritengono depositari del diritto di guidare il mondo intero: hanno l’illusione di possedere
una superiorità culturale e biologica e guardano con sempre maggior interesse alla loro possibilità di
espansione, soprattutto in Asia e in Africa.
Alla fine dell’Ottocento emergono dei segnali che avrebbero portato alla fine dell’eurocentrismo: la
realtà americana, che cresce ad un grandissimo sviluppo economico, commerciale e finanziario,
arrivando ad avere una condizione di parità con l’Europa; la potenza giapponese, inquilino scomodo
con cui gli europei fanno i conti a causa della sua forte penetrazione in Asia e che avrà la sua massima
ascesa nel periodo tra le due guerre mondiali. Anche l’Impero russo inizia ad apparire in crisi
profonda: nella guerra russo-giapponese del 1905 si dimostra l’arretratezza miliare dell’Impero russo.
Il sistema internazionale lentamente non sarà più eurocentrico. Già negli anni ’20 gli Stati Uniti
rimangono esterni agli equilibri europei, pur essendo legati economicamente all’Europa. Con la fine
della seconda guerra mondiale le potenze europee hanno perduto il loro ruolo e il sistema diventa
bipolare, cristallizzandosi intorno agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica. Questi due blocchi si scontrano
dal ’45 all’89.
Con la guerra fredda gli equilibri del sistema internazionale cambiano: se fino al 1956 la guerra fredda
è incentrata in Europa, con la crisi del canale di Suez il teatro della guerra diventa globale, riempiendo
i vuoti di potere lasciati dalla decolonizzazione in Asia e Africa.
Il Novecento, che inizia con una pluralità di attori europei, passa ad una fase bipolare durante la guerra
fredda e si avvia ad una fase unipolare a partire dagli anni ’70.
Oggi stanno emergendo delle potenze regionali che sono in competizione con gli Stati Uniti: Brasile,
Russia, Indi, Cina e Sudafrica (paesi BRICS).
La disciplina di origine della storia delle relazioni internazionali è stata la storia diplomatica,
ribattezzata come storia dei trattati e delle relazioni internazionali. Con storia diplomatica si indica
una disciplina che intende ricostruire una particolare fase dei rapporti tra gli stati attraverso lo studio
dei documenti diplomatici: i trattati, i memorandum, gli accordi tra le potenze, quei documenti che
regolano i rapporti tra gli stati e fotografano un particolare momento di un processo dinamico, che
riflettono determinate situazioni in perenne movimento.
A partire dagli anni ’50 si è aperto un dibattito: Duroselle ha constatato che il semplice studio dei
documenti non è più sufficiente, a seguito della crescente complessità delle relazioni rispetto
all’Ottocento e all’aumento del numero degli attori. È necessario prendere in considerazione le forze
profonde del sistema internazionale, le forze economiche, l’opinione pubblica, i mass media.

1
L ’ O TT O C E N TO

IL CONGRESSO DI VIENNA

Il Congresso di Vienna si tiene dal novembre 1814, quando Napoleone si trovava in esilio all’Isola
d’Elba, fino al giugno 1815. L’obiettivo delle potenze europee all’indomani della sconfitta di Napoleone
è la ricerca di un ordine e di una stabilità tesi a contenere la Francia. Sembrano trovare quest’ordine e
questa stabilità con la costruzione del Concerto europeo, un metodo di regolamentazione dei contrasti,
dei conflitti, delle dinamiche continentali, che ha al centro le grandi potenze europee, ovvero la Gran
Bretagna, la Russia zarista, l’Austria e la Prussia. Anche la Francia sconfitta viene ammessa a
partecipare al Congresso.
Viene ridisegnata la cartina dell’Europa. L’elemento innovativo è il principio per cui le controversie
vanno risolte nel quadro di un ordine legittimato e condiviso.
Le personalità più famose del Congresso sono Von Metternich, ministro degli Esteri dell’Impero
austriaco, che con la sua posizione molto conservatrice rappresenta l’Ancien Regime; per la Gran
Bretagna, Lord Castlereagh prima e il duca di Wellington poi; per la Russia, lo zar Alessandro I; per la
Francia, Taillerand, il principale artefice della restaurazione borbonica sul trono francese con Luigi
XVIII.
Fra i principali risultati e le principali decisioni che vengono prese al Congresso, la Francia mantiene la
propria integrità territoriale, ma verrà circondata da una serie di stati cuscinetto (Paesi Bassi, Regno di
Sardegna, Svizzera) che costituiranno una barriera alla sua futura espansione; viene deciso di non
creare uno stato polacco, mentre la Russia ottiene gran parte del possesso della Polonia e anche la
Finlandia; il Belgio viene unito all’Olanda; la Norvegia passa dalla Danimarca alla Svezia; al posto del
Sacro Romano Impero viene istituita una Confederazione germanica composta da 39 principati, i cui
stati più importati sono la Prussia degli Hannover e la Baviera sud, e il cui presidente è l’imperatore
d’Austria; la Prussia ottiene parte della Sassonia e della Renania.
Per quanto riguarda l’Italia, il Regno di Sardegna vede il ritorno dei Savoia e possiede, oltre al
Piemonte, la Val D’Aosta e la Liguria; il Regno delle Due Sicilie rimane sotto i Borbone; il Granducato di
Toscana viene restituito agli Asburgo-Lorena; il papa torna nello Stato Pontificio; rimangono i Ducati
di Parma e di Modena; inoltre viene creato il Regno lombardo-veneto sotto la corona austriaca.
La Gran Bretagna non ottiene ingrandimenti territoriali in Europa, ma alcune colonie francese in Asia
(Ceylon).
L’assetto di Vienna non tiene conto delle nazionalità: Metternich riteneva un’eresia parlare di
autodeterminazione dei popoli.
Nel 1816 viene promossa dalla Russia la creazione della Santa Alleanza, che si estende all’Austria e alla
Prussia: l’idea è quella di darsi reciproco sostegno in caso di revanche francese. Molto più pragmatica è
la Quadruplice Alleanza tra Gran Bretagna, Prussia, Austria e Russia: queste potenze si promettono
aiuto reciproco in caso di minaccia alla stabilità europea da parte della Francia.
La Francia rientra nel Concerto europeo nel 1818.
La minaccia allo status quo, all’ordine che esce da Vienna, non viene da una potenza europea o esterna
all’Europa, ma da fattori interni all’Europa: il moltiplicarsi di rivoluzioni liberali e l’affermarsi dell’idea
di nazione collegata allo stato. Liberalismo e nazionalità diventano due forze parallele che erodono la
stabilità del sistema internazionale. Il primo caso è quello dell’indipendenza del Belgio nel 1830.
Il Belgio è caratterizzato da due gruppi etnici, fiammingo e vallone, entrambi cattolici. Nel 1830
un’insurrezione scoppiata a Bruxelles porta la guarnigione olandese a ritirarsi e si trasforma in una
lotta per l’indipendenza nazionale, appoggiata dalla Gran Bretagna, che è la potenza trainante di
questa parte dell’Ottocento.
A partire dal 1850 si assiste ad una crescita esponenziale dell’economia britannica. La Gran Bretagna,
chiusa nel suo “splendido isolamento”, è interessata a sviluppare rapporti commerciali e a ingrandire il
proprio impero. Il potere globale della Gran Bretagna si basa sul two power standard, per cui la flotta
inglese dev’essere uguale al doppio della flotta nemica più vicina.

2
LA QUESTIONE D’ORIENTE

Per questione d’Oriente s’intende la vicenda dell’Impero ottomano, che rimane un po’ ai margini degli
avvenimenti europei, ma che in realtà è al centro dell’interesse delle nazioni europee, perché aveva dei
grandi domini che si estendevano nei Balcani e nel Vicino Oriente (Turchia, Iran, Palestina, Siria,
Libano, Libia). “Il grande malato d’Europa”, come le potenze europee chiamavano l’Impero ottomano,
controllava gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. I paesi del nord Africa che già godevano di
autonomia mantenevano dei rapporti occasionali con la Grande Porta.
Di fatto alle nazioni europee faceva molto gola svolgere un ruolo di guida dell’Impero ottomano. Alla
Russia interessava riuscire a controllare gli stretti per potersi affacciare sul Mediterraneo. I Balcani,
che ai primi del ‘900 saranno “la polveriera d’Europa”, erano sudditi del sultano di Costantinopoli, ma
avevano una religione diversa dalla sua perché erano cristiano-ortodossi e quindi non soggetti alla
legge islamica. I popoli balcanici avevano il sultano turco come nemico comune, ma si differenziavano
molto tra loro. Nel nome della religione cristiano-ortodossa e del panslavismo, la Russia si erge a
potenza che difende i popoli dei Balcani, ma il suo vero obiettivo è riuscire a controllare gli stretti,
obiettivo contrastato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, che temevano una presenza russa nel
Mediterraneo.
La penetrazione europea nell’Impero ottomano è inizialmente di carattere finanziario: a partire dal
1860 la funzione di amministrare il debito pubblico del sultano viene affidata a banche con capitale
europeo, mentre nel 1861 la gestione diventa internazionale.
L’apertura del canale di Suez avviene nel 1869, ma l’idea di tagliare l’istmo era già un’idea del passato.
Il passaggio era così importante perché permette di non dover circumnavigare tutta l’Africa per
raggiungere l’Oriente. Il canale di Suez viene progettato e costruito dall’ingegnere francese Ferdinand
de Lesseps. La compagnia che gestisce la navigazione è inizialmente in mano alla Francia e all’Impero
ottomano, ma successivamente la Gran Bretagna acquista la maggior parte delle azioni del sultano.
Il processo di disgregazione dell’Impero ottomano inizia già a partire dal 1830, con l’indipendenza
della Grecia nel 1830. Tra i sudditi balcanici, i greci avevano un posto speciale data la loro tradizione
culturale legata al mito dell’antica Grecia. La rivolta greca inizia nel 1822 e già si proclama
l’indipendenza, ma il sultano si oppone e chiede aiuto al suo vassallo, il pascià egiziano Mehmet Ali, che
porta la propria flotta in supporto di quella turca. La flotta turco-egiziana viene sconfitta nella baia di
Navarino dalla flotta anglo-francese. Anche la Russia, che teme di essere estromessa dal gioco anglo-
francese, dichiara guerra alla Turchia nel 1928, ma di fatto, in seguito alle pressioni della Francia e
della Gran Bretagna, non chiede ingrandimenti territoriali e la questione termina con il riconoscimento
dell’indipendenza della Grecia, sul cui trono viene posto Ottone di Baviera.
Nel 1820 va ricordato l’inizio dell’insediamento francese in Africa: un corpo di spedizione francese
conquista Algeri e l’Algeria viene considerata territorio metropolitano francese.

LE PRIMAVERE DEI POPOLI

Nel 1848 proteste rivoluzionarie guidate da intellettuali, professionisti e borghesi attraversano


l’Europa. Si aprono ad ampi strati della popolazione, mentre si fanno strada le idee socialiste. La prima
fase inizia da Parigi nel febbraio 1848: cade la monarchia e viene instaurata la Seconda repubblica, a
cui fa seguito il colpo di stato nel 1951 di Napoleone III e la costituzione del Secondo impero.
Gli eventi di Parigi sono una scintilla per il resto d’Europa: a Vienna portano all’uscita di scena di
Metternich e si hanno delle rivolte in Ungheria, dove addirittura sotto la guida di Kossuth viene
proclamato la repubblica, che ricade presto sotto il controllo dell’imperatore austriaco Francesco
Giuseppe.
Si fa strada la questione italiana, identificata dalle 5 giornate di Milano, dall’insurrezione di Venezia
contro gli Austriaci e dalla dichiarazione di guerra del Regno di Sardegna contro l’Austria nel marzo
1848, che dà il via alla prima guerra d’indipendenza. Le battaglie di Novara e Custoza vengono vinte
dal generale Radetzky, e il re piemontese Carlo Alberto abdica in favore di suo figlio Vittorio Emanuele
II. L’assetto italiano rimane quello del 1815.
3
In Germania si pone un’Assemblea nazionale che si riunisce a Francoforte per cercare di cambiare la
gestione della Confederazione, ma ancora il problema dell’esistenza di uno stato tedesco è molto
embrionale. Nel 1848 si ha una disputa contro la Danimarca per i ducati di Schleswig e Holstein.

LA GUERRA DI CRIMEA

L’erosione più importante dell’ordine europeo si ha con la guerra di Crimea, fra il 1853 e il 1856. Essa
vede contrapposte la Russia, da una parte, e la Gran Bretagna e la Francia in sostegno dell’Impero
ottomano, dall’altra. La guerra di Crimea è la cartina da tornasole che il Concerto europeo è crollato. La
guerra di Crimea riguarda anche l’Italia perché il Regno di Sardegna si allea a Franca e Gran Bretagna
al fine di far valere una questione italiana in sede internazionale.
Il pretesto della guerra di Crimea riguarda un contrasto tra Francia e Russia relativamente alla cura
dei luoghi santi in Palestina: alcuni moncaci francesi cattolici impegnati nella cura dei luoghi santi
impegnano un contenzioso con i cristiani ortodossi. Lo zar Nicola I chiede al sultano di Costantinopoli
un trattato di alleanza che di fatto configurava un vero e proprio protettorato russo sull’Impero
ottomano. Per esercitare ulteriori pressioni, egli muove gli eserciti in Moldavia e Valacchia. Si delinea
così un’intesa tra Francia e Gran Bretagna volta a contenere le mire espansionistiche russe sugli stretti.
La Turchia dichiara guerra alla Russia nell’ottobre 1953. Viene allora deciso l’invio di una flotta da
parte dell’Inghilterra e della Francia nel Mar Nero e contemporaneamente un corpo di spedizione in
Crimea. Nel marzo 1854 Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra alla Russia La battaglia di
Sebastopoli mette a nudo l’arretratezza dell’esercito russo. La Russia deve accettare la sconfitta.
Le condizioni di pace vengono stabilite nel 1856 al Congresso di Parigi: la Russia deve cedere la
Bessarabia, annessa ai principati di Moldavia e Valacchia, che rimangono autonomi all’interno
dell’Impero ottomano e costituiscono il futuro stato rumeno; la Russia deve accettare la
smilitarizzazione del Mar Nero e il ritiro della propria flotta.
L’inserimento del Regno di Sardegna nel conflitto si deve a Camillo Benso di Cavour, che diventa primo
ministro nel 1852 e rimarrà al potere fino al 1961. Il Regno di Sardegna invia un corpo di spedizione in
Crimea e nel 1955 dichiara guerra alla Russia con l’obiettivo di mettere sotto i riflettori internazionali
l’esistenza di un problema italiano, che viene riconosciuto dalle grandi potenze alla Conferenza di
Parigi.
In seguito alla guerra di Crimea inizia la progressiva infiltrazione delle potenze europee nelle finanze
dell’Impero ottomano, con la gestione di fatto del debito del sultano.

IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE ITALIANA

Il Congresso di Parigi è la sede dove la questione italiana sale alla ribalta del palcoscenico
internazionale. In realtà, era già da tempo che si avevano insurrezioni in tutta Italia. Nel 1849, in
seguito ai moti insurrezionali, Giuseppe Mazzini, insieme ad Aurelio Saffi e a Carlo Armellini, arriva a
presiedere una Repubblica romana che ha vita molto breve. Ma il vero artefice dell’unificazione
italiana sarebbe stato il Regno di Savoia, soprattutto il primo ministro Camillo Benso di Cavour,
liberale, esperto uomo d’affari e imprenditore agricolo. La sua ambizione era rendere l’Italia un anello
del circuito economico e politico internazionale. La sua visione era arrivare ad un processo di
unificazione graduale.
Di fronte al processo di unificazione, la posizione austriaca era la più chiara: l’Austria era fortemente
contraria perché controllava il lombardo-veneto.
La Gran Bretagna aveva una posizione favorevole al nazionalismo italiano, ma tutto il periodo che va
dal 1860 in poi la vede in una condizione di “splendido isolamento”. La Gran Bretagna si considera il
bilanciere d’Europa, guarda al continente dal di fuori e non vuole essere coinvolta nelle vicende
europee; vuole che in Europa ci sia una condizione di equilibrio. La Gran Bretagna è soprattutto
interessata ad accrescere il suo dominio imperiale, i territori sotto il suo controllo nelle varie parti del
mondo, e la sua potenza si basa su una flotta navale molto forte.

4
La posizione francese è complessa e ambigua: se da una parte Napoleone III guarda con favore al
liberalismo e al nazionalismo italiano, perché li vede come i fattori in grado di rompere l’assetto di
Vienna che aveva contenuto la Francia, dall’altra parte, tuttavia, guarda ad un’Italia frammentaria
piuttosto che unita. Inoltre c’era il problema del rapporto con lo Stato pontificio, a cui la Francia era
molto legata.
Cavour si rende conto che per arrivare all’unità c’era bisogno di una potenza straniera, e trova questo
appoggio in Napoleone III. Nel 1858 tra Napoleone III e Cavour viene concluso l’Accordo di
Plombières, in cui di fatto la Francia, in cambio della concessione di Nizza e della Savoia, avrebbe
accettato di sostenere una guerra difensiva contro l’Austria assieme all’Italia. Occorreva che fosse
l’Austria a scatenare il conflitto. Napoleone III acconsentiva alla formazione di un regno dell’alta Italia
formato dal Regno di Sardegna, dalla Lombardia e dal Veneto sotto la guida di Vittorio Emanuele II, e al
mantenimento del Granducato di Toscana e dello Stato pontificio nell’Italia centrale e del Regno delle
Due Sicilie in Italia meridionale. L’idea era quella di creare una federazione presieduta dal papa, ma
effettivamente guidata dal Regno di Sardegna.
La guerra scoppia nel 1859 con la dichiarazione di guerra dell’Austria al Regno di Sardegna. Anche la
Francia entra in guerra. In giugno ci sono moltissime perdite nella battaglia di Solferino.
Contemporaneamente la Toscana, le legazioni papali della Romagna e i ducati di Parma e Modena si
rivoltano contro i rispettivi sovrani e chiedono di essere annessi con un plebiscito al Regno di
Sardegna. Napoleone III si spaventa di questi movimenti che non si riescono a controllare, mettendo in
pericolo lo Stato pontificio, così in luglio firma con l’Austria l’armistizio di Villafranca: l’Austria cede la
Lombardia , ma non il Veneto, alla Francia, e questa l’avrebbe a sua volta ceduta al Regno di Sardegna.
In seguito allo scoppio della rivolta d’ispirazione mazziniana in Sicilia nell’aprile del 1960, partono da
Genova le truppe di Garibaldi dirette in Sicilia. Di fatto la guerra in Sicilia non è molto impegnativa: più
complessa è la conquista di Napoli, dove re Ferdinando cerca fino all’ultimo di difendersi promettendo
una costituzione più liberale. I mille ottengono una serie di vittorie e proseguono verso Roma.
Cogliendo a pretesto dei disordini verificatisi nelle regioni dello Stato pontificio, Vittorio Emanuele II
invia le truppe piemontesi attraverso le Marche e l’Umbria, conquistandole, ed esercita pressioni su
Garibaldi perché interrompa la sua marcia. In ottobre, a Teano, Garibaldi accetta di consegnare la
leadership del processo di unificazione alla monarchia sabauda: i garibaldini vengono inseriti
nell’esercito piemontese e non si arriva a occupare Roma.
Il 17 marzo 1861 avviene la proclamazione del Regno d’Italia, uno stato unitario, modellato sul sistema
centralizzato francese, che estendeva a tutte le regioni lo Statuto albertino del 1848. Napoleone si
impegnava a difendere lo Stato pontificio e il potere temporale del papa. La questione romana verrà
risolta nel 1870.
La nascita dello stato d’Italia rappresenta un grande sovvertimento dell’odine europeo. Gli eventi
italiani vengono seguiti dal processo di unificazione tedesca, che vedrà come attore principale il re di
Prussia Guglielmo I, sul trono dal 1861, e il suo cancelliere Otto Von Bismarck, primo ministro dal
1862.

IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE TEDESCA

Il Congresso di Vienna aveva previsto la costituzione di una Confederazione germanica composta da


39 stati. All’interno della confederazione, la Prussia e l’Austria avevano un ruolo di primo piano. Nel
1848 i fermenti rivoluzionari che attraversano l’Europa coinvolgono in parte la Germania: a
Francoforte si tiene un’assemblea che inizia a parlare di redigere una costituzione per la
Confederazione germanica e porre le basi di uno stato tedesco. Questa iniziativa rimane a livello
embrionale: ci sono ancora da definire i confini dello stato tedesco e si fanno strada due ipotesi, quella
della creazione di un grande Germania con l’Austria o quella di una piccola Germania in cui la Prussia
avrebbe avuto un ruolo centrale.
Bismarck afferma che l’unificazione tedesca non sarebbe stata fatta con discorsi e risoluzioni, ma con il
sangue e il ferro. Era un aristocratico, un conservatore, uno junker prussiano e un esponente della
Realpolitik; era stato ambasciatore a Parigi e a San Pietroburgo e ciò gli permetteva di avere una
visione degli equilibri europei e di sfruttare i contatti che si era creato.

5
Anche la componente economica svolge un ruolo importante per il processo di unificazione tedesca: la
confederazione promuove un progetto di unione doganale (Zollverein) nel 1860.
Dopo l’unificazione italiana e il suo arrivo al potere, Bismarck inizia ad estromettere l’Austria dalle
questioni tedesche. Trova un terreno di scontro con l’Austria nella questione dei ducati danesi di
Schleswig e Holstein. Questi ducati avevano una posizione strategica importante perché si trovavano
tra il Mar Baltico e il Mare del Nord ed erano abitati da popolazioni tedesche. Il re di Danimarca
intendeva assimilare i ducati al regno. Nel 1864 Bismarck sfrutta una querelle sulla successione al
trono dei ducati e, d’accordo con l’Austria, attacca la Danimarca, che viene facilmente sconfitta. Viene
stipulato un trattato di pace che stabilisce la cessione dei ducati all’Austria e alla Prussia, in particolar
modo l’Holstein all’Austria e lo Schleswig alla Prussia. Per Bismarck la questione dei ducati era
soltanto un pretesto, perché si sarebbe dovuti arrivare a un confronto con l’Austria.
Prima di iniziare uno scontro con l’Austria si voleva assicurare la neutralità francese, che Bismarck
ottiene da Napoleone III nel 1865. Ottiene anche l’alleanza con l’Italia, promettendole in cambio
l’annessione del Veneto. L’Austria era così costretta ad uno scontro su due fronti. L’Austria, che aveva
dietro di sé l’appoggio della maggior parte degli stati tedeschi meridionali, ottiene la promessa di
neutralità da Napoleone III e quindi fa scoppiare la guerra nel giugno 1866. La guerra dura poche
settimane e viene vinta dalla Prussia, che sconfigge le truppe austriache nella battaglia di Sadowa
grazie al generale von Moltke. Il trattato di pace del 1866 scioglieva la Confederazione germanica e
annetteva i ducati danesi alla Prussia, che crea una Confederazione dagli stati del nord, occupandovi
una posizione dominante; allo stesso tempo riconosce l’indipendenza degli stati meridionali che
avevano appoggiato l’Austria. L’Italia viene sconfitta dagli austriaci a Custoza, ma ottiene il Veneto con
gli accordi che avevano preceduto la guerra.
L’Austria inizia una revisione istituzionale dell’Impero austriaco, che dal 1867 diventa l’Impero austro-
ungarico, con l’unione delle due corone, e l’Ungheria ha una sostanziale parità con la posizione
austriaca. L’area di interesse dell’Impero austro-ungarico è la zona dei Balcani.

LA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA

La prospettiva di una Germania unita suscitava scarsi entusiasmi da parte francese. Prima di arrivare
alla guerra, c’è un problema esterno alla Prussia a e alla Francia: la candidatura al trono di Spagna. In
seguito alla rivoluzione del 1868 la regina Isabella di Spagna era stata deposta e viene avanzata la
candidatura al trono spagnolo di un componente della famiglia del re di Prussia, il principe Leopoldo di
Hoenzollern, ma la Francia ha una reazione di ferma opposizione. La Prussia poteva sfruttare la
disputa esterna alla realtà tedesca per scatenare la guerra o per trovare una soluzione diplomatica con
la Francia. Bismarck era favorevole alla soluzione bellica, ma con suo grande disappunto il re
preferisce cedere e annuncia il ritiro della candidatura di Leopoldo. In realtà, Napoleone non si limita a
ottenere questo successo: vuole avere la sicurezza che questo problema non si ripeterà più e invia un
ambasciatore a Ems, presso il re di Prussia, chiedendogli l’assicurazione che la questione non si
sarebbe ripresentata in avvenire, ma Guglielmo non poteva accettare la richiesta. Bismarck, quando si
trova a leggere il telegramma in cui viene riassunto l’incontro tra l’ambasciatore francese e il re,
cancella alcune parti del testo e lo riscrive in maniera tale da emanare un dispaccio molto provocatorio
nei confronti della Francia, con lo scopo di scatenare la guerra.
La Francia, prima di iniziare un confronto con la Prussia, cerca disperatamente di creare un sistema di
alleanze: prima con l’Austria, che però è impegnata nel processo di riforma dell’impero, e quindi è più
interessata, per via della pressione ungherese, alla politica estera sui Balcani; allora la Francia si
rivolge all’Italia, che però chiede come prezzo la soluzione della questione romana che Napoleone III
non può accogliere, dal momento che le truppe francesi difendevano il papa.
La Francia si scontra da sola con la Prussia nel luglio 1970 e in agosto la battaglia di Sedane determina
la vittoria prussiana sulla Francia. Si tratta di un colpo durissimo inferto alla Francia, che comporta la
caduta del Secondo impero e la formazione della Terza repubblica. In seguito alla sconfitta, le truppe
francesi abbandonano anche lo Stato pontificio e nel 1871 avviene l’annessione di Roma all’Italia, di
cui diventa la capitale.

6
Le condizioni dell’armistizio franco-prussiano sono molto dure: la Prussia ottiene l’Alsazia e la Lorena,
due regioni al centro delle richieste francesi all’indomani della prima guerra mondiale, e viene imposto
alla Francia il pagamento di 5 miliardi di franchi come riparazioni.
Bismarck completa la sua opera di unificazione tedesca con la proclamazione del Reich (Impero
tedesco) nel gennaio 1871 e il conferimento della corona imperiale al re di Prussia. La cerimonia si
tiene nella Sala degli specchi di Versailles. Bismarck ha ottenuto il proprio obiettivo: la riunificazione
della Germania sotto la Prussia. L’Impero tedesco è uno stato che ha un carattere fortemente militare,
e creerà una grande flotta. A questo punto e fino al 1890, Bismarck crea un sistema di alleanze che ha
l’obiettivo di isolare gli avversari e di contenere la volontà di rivalsa della Francia.

LA POLVERIERA D’EUROPA

I Balcani erano una realtà complessa. Appartenevano all’Impero ottomano, ed erano al centro degli
interessi dell’Impero austro-ungarico e della Russia. Si assiste ad un grande attivismo da parte della
Russia nei confronti dei Balcani in nome dell’ideale del panslavismo: la Russia si pone una missione
politica e culturale tesa a promuovere l’indipendenza di queste popolazioni slave, ma il suo obiettivo
era riuscire ad arrivare agli stretti attraverso i Balcani, e da lì entrare nel Mediterraneo.
I Balcani sono attraversati da continue proteste nei confronti dell’Impero ottomano, in particolar
modo nel 1875 in Bosnia-Erzegovina e un anno più tardi in Bulgaria, ma vengono represse nel sangue
dall’Impero ottomano. La Russia vuole approfittare di questa situazione d’instabilità e nel 1877
dichiara guerra all’Impero ottomano inviando il proprio esercito a Costantinopoli e sperando in un
rapido successo della guerra. La Russia è pronta a siglare con l’Impero ottomano la Pace di Santo
Stefano, che prevedeva la creazione di un grande stato bulgaro che si sarebbe esteso dal Mar Nero
all’Egeo e sarebbe stato influenzato fortemente dalla Russia.
La Gran Bretagna comincia a preoccuparsi e per evitare la presenza russa negli stretti invia la propria
flotta e lancia il monito di non estrometterla dalle questioni del “grande malato”. Bismarck organizza
un Congresso a Berlino nel 1878 esercitando il ruolo di onesto sensale, di mediatore degli interessi
delle grandi potenze. Viene stabilito che sarebbe stato creata una piccola Bulgaria e che la Bosnia-
Erzegovina sarebbe stata occupata e amministrata temporaneamente dall’Austria-Ungheria, ma
sarebbe rimasta formalmente sotto l’autorità dell’Impero ottomano. Diventano indipendenti la Serbia,
la Romania, e il Montenegro. L’Inghilterra ottiene il possesso dell’isola di Cipro, la porta verso il Medio
Oriente. Si ha la fine della Lega dei Tre Imperatori perché la Russia non rimane soddisfatta degli
accordi presi. Il Congresso, per quanto riguarda l’Italia, è ricordato per “la politica delle mani nette”: il
Ministero degli Esteri Crispi non ottiene niente.

IL SISTEMA DI ALLEANZE BISMARCKIANO

Per sistema bismarckiano s’intende un sistema di alleanze e di intese bilaterali che permettono alla
Germania di controllare gli equilibri europei in maniera egemonica fino al 1890. Il primo esempio del
sistema creato da Bismarck è la Lega dei Tre Imperatori (Dreikaiserbund), che viene firmata nel 1873:
non si trattava di un’alleanza militare, ma aveva l’obiettivo di unire e creare una intesa con l’Austria e,
in particolar modo, con la Russia.
Bismarck crea un legame solido con Vienna: nel 1879 stipula un’alleanza segreta che prevedeva
sostegno reciproco in caso di aggressione russa a uno dei due paesi e la neutralità negli altri casi di
guerra.
L’abilità e la spregiudicatezza di Bismarck si manifestano nella firma del secondo Dreikaiserbund del
1881, che prevedeva neutralità reciproca qualora uno dei tre contraenti fosse stato in guerra contro
una quarta potenza. L’accordo non escludeva l’alleanza austro-tedesca, che viene estesa nel 1882
all’Italia e si forma la Triplice Alleanza. L’Italia mette da parte la questione irredentista e accetta di
entrare nella Triplice Alleanza perché la Francia ha esteso un protettorato in Tunisia nel 1881. La
Francia sta sviluppando una politica coloniale aggressiva in Africa. L’Italia riteneva la Tunisia di sua
influenza. Il sistema bismarckiano viene completato da un Trattato di contro-assicurazione che la
Germania stipula con la Russia nel 1887.

7
Quando sale al trono tedesco Guglielmo II nel 1889 viene segnata la fine della carriera di Bismarck, che
nel 1890 si dimette da cancelliere. Con Guglielmo II si parla di Weltpolitik (politica mondiale) e salta
tutto il sistema di alleanze creato da Bismarck.

SCRUMBLE FOR AFRICA: LA ZUFFA PER L’AFRICA

Tra il 1880 e il 1914 si ha una nuova fase aggressiva del colonialismo delle potenze europee. Tra le
motivazioni che spingono Gran Bretagna e Francia a consolidare i propri imperi c’è anche una
giustificazione intellettuale: l’Europa agisce e svolge un compito civilizzatore del mondo. L’Inghilterra
svolge un ruolo di primo piano: nel 1882 completa la propria influenza sull’Egitto, creandovi un
protettorato. L’importanza dell’Egitto è aumentata in seguito all’apertura del Canale di Suez. Nel 1875
la Gran Bretagna acquista tutte le azioni del vassallo di Costantinopoli e ottiene un ruolo paritario con
la Francia nella gestione del canale: da lì inizia l’infiltrazione in Egitto, che la porterà ad assumerne il
controllo nel 1882. Dopo la conquista dall’Egitto, occupa tutta una serie di possedimenti in Sudan e in
Kenya, che le permettono di controllare una fascia che va dal Cairo al Capo di Buona Speranza. La
scoperta di immensi giacimenti di diamanti in Sudafrica porta gli Inglesi a scontrarsi con i boeri in una
guerra durissima che si tiene tra il 1899 e il 1902 e che porterà alla vittoria inglese e alla formazione
dell’Unione sudafricana.
L’altro paese molto attivo dal punto di vista coloniale è la Francia. Nel 1830 occupa Algeri e da lì
estende il protettorato sulla Tunisia nel 1881, ma non si limita all’Africa. Nel 1867 occupa l’Indocina e
arriva di fatto a controllare, a parte l’Africa settentrionale, i paesi dell’Africa occidentale atlantica e
sahariana. La Francia adotta una politica di assimilazione delle popolazioni soggette, che sarà
particolarmente evidente nel caso dell’Algeria, il cui territorio è considerato territorio metropolitano
francese ed equivale al territorio francese. Nel 1898 le truppe inglesi e francesi sfiorano uno scontro
militare a Fascioda, lungo le sorgenti del Nilo. Non si arriva allo scontro perché la Francia si arrende e
riconosce il controllo inglese sul Sudan.
Un altro esempio di colonialismo è quello del Belgio: tra il 1884 e il 1885 Leopoldo II annette il Congo,
un paese con risorse naturali e minerarie straordinarie, che diventa proprietà personale del re del
Belgio.
Anche l’Italia vuole partecipare alla gara tra le grandi potenze e nel 1882 conquista dalla compagnia
dell’armatore Rubattino la baia di Assab e da lì inizia la penetrazione in Eritrea e Somalia, paesi che si
trovano nel corno d’Africa, una zona strategicamente importante. In Abissinia (Etiopia) si scontra
contro uno dei pochi governi locali forti, il negus Menelik, e l’Italia viene sconfitta ad Adua nel 1896.
Anche la Germania cerca di costruire un proprio impero e dà vita ad una propria politica coloniale
consolidando la presenza in Africa (Togo, Camerun e Namibia) e poi acquistando delle isole nel
Pacifico (le Marianne e le Caroline). Questa fase dell’imperialismo si colloca tra il 1880 e lo scoppio
della prima guerra mondiale.

8
I L N O V E C E N TO

IL SISTEMA DI ALLEANZE EUROPEE

Bismarck esce di scena nel 1890 e cambiano radicalmente non solo la politica estera tedesca, ma
proprio gli equilibri europei. Il primo grande cambiamento è il riavvicinamento tra Francia e Russia
zarista, due paesi che sono ideologicamente e politicamente diversi l’uno dall’altro: la Francia è una
repubblica che aveva un elettorato ampio, mentre la Russia era l’espressione di una monarchia
assolutista, un paese dove non esistevano di fatto i diritti civili, ma entrambe avevano il desiderio di
contenere la Germania. La Duplice intesa, o Alleanza franco-russa, è un processo graduale che inizia
nel 1891 con un’intesa amichevole, ma viene completata da un accordo militare concluso tra il 1892 e
il 1894. La Francia ha una grande influenza sulla Russia sul piano culturale.
La politica estera tedesca del nuovo kaiser Guglielmo II viene chiamata Weltpolitik o politica mondiale:
la Germania sta avendo una crescita economica e militare esponenziale, sono gli anni in cui la
Germania costruisce una grande flotta navale sotto la guida del ministro della marina von Tirpitz. La
Germania si riflette come una potenza mondiale e inizia una politica coloniale che la porterà ad avere
Camerun, Namibia e Togo. Il grande attivismo tedesco viene visto con molta preoccupazione della Gran
Bretagna, che vuole stare al di fuori delle vicende europee, ma teme la competizione tedesca
nell’Impero ottomano e nel Mediterraneo. La Germania ha iniziato l’infiltrazione finanziaria
nell’Impero ottomano e viene costruita la ferrovia Costantinopoli-Baghdad con capitale tedesco. I
turchi chiedono alla Germania di riarmare l’esercito ottomano e riorganizzarlo e la missione viene
affidata a von Sanders.
La Gran Bretagna cerca dapprima di stipulare un’alleanza con la Germania, che rifiuta
sistematicamente ritenendo che la Gran Bretagna non sarebbe mai uscita dal suo “splendido
isolamento”. I Tedeschi ritenevano che un’alleanza con la Gran Bretagna non sarebbe stata di grande
aiuto perché l’esercito inglese non era molto forte. Allora la Gran Bretagna si avvicina alla Francia e nel
1904 viene firmata l’Entente cordiale tra i due paesi: alla base dell’intesa c’è il riconoscimento delle
reciproche sfere d’influenza in Africa, e in particolare di una presenza francese in Marocco che si
consolida in questi anni in cambio del riconoscimento del protettorato inglese in Egitto.
Proprio il Marocco sarebbe stato all’origine di due crisi nel 1906 e nel 1911 tra Francia e Germania
perché era ancora libero all’influenza francese: il sovrano marocchino aveva dei rapporti col sultano.
Nel 1905 l’imperatore tedesco fa una visita a Tangeri, nel corso della quale dichiara di voler difendere
gli interessi tedeschi contro la presenza francese nell’area. Nel 1906 viene organizzata una conferenza
ad Algeciras che vede la Germania in una condizione di isolamento. Le altre potenze europee
riconoscono che spetterà alla Francia, insieme alla Spagna, il compito di tutelare l’ordine e la sicurezza
in Marocco. A partire dal 1906 la Francia inizia la penetrazione all’interno del Marocco, che concluderà
nel 1911 con l’occupazione della città di Fez e di altre città marocchine, tanto che la Germania manderà
un incrociatore nel porto di Agadir e di fatto inizierà un braccio di ferro con la Francia che porterà al
riconoscimento tedesco del protettorato francese sul Marocco.
Il cerchio di alleanze vene completato nel 1907 dall’Intesa anglo-russa, dopo che la Russia subisce una
sconfitta clamorosa da parte del Giappone nel 1905 in una guerra che scoppia per il controllo della
Manciuria e di alcuni porti in Estremo Oriente: il Giappone ottiene la Manciuria e gli viene riconosciuta
l’influenza in Corea, che occupa nel 1910. Nel 1905 scoppia la rivoluzione di San Pietroburgo nella
cosiddetta “domenica di sangue”: il potere dello zar si sta sgretolando e si formano i soviet nelle
fabbriche, fino alla rivoluzione bolscevica del 1917. Gran Bretagna e Russia si accordano sulle
reciproche sfere d’influenze in Persia: alla Gran Bretagna viene riconosciuta l’influenza in Afghanistan,
mentre il resto (Iran) viene lasciato alla Russia.
Nel 1907 si sono venuti a creare due sistemi di alleanze contrapposte. La Triplice Alleanza, tuttavia,
non è molto solida e inizia a scricchiolare: si parla dei “giri di valzer” della politica estera italiana.
L’obiettivo dello schieramento anti-tedesco non era soltanto quello di restituire alla Francia l’Alsazia e
la Lorena, ma di contenere più in generale l’espansionismo tedesco in un’area molto delicata, quale
l’Impero ottomano.
Nel 1911 l’Italia dichiara guerra all’Impero ottomano e corona il sogno di essere una potenza con un
impero: occupa la Tripolitania, ma risulta difficile estendere il controllo nel resto del paese.
9
LE GUERRE BALCANICHE

In questi anni la polveriera balcanica rischia a più riprese d’incendiarsi, con conseguenze sempre più
gravi per gli equilibri europei. Nei Balcani è molto influente il ruolo della Serbia, che vuole diventare il
Piemonte dei Balcani. La Serbia esercita pressioni sulla Russia per ottenere il suo appoggio e allargare
così il proprio territorio, contenendo contemporaneamente la presenza della monarchia austro-
ungarica.
Si genera una situazione molta tesa che rischia di degenerare con l’intenzione dell’Impero ungarico nel
1908 di annettere la Bosnia-Erzegovina, su cui era stato riconosciuto all’Austria nel 1878 il diritto di
amministrazione, ma che ancora formalmente apparteneva all’impero ottomano. La Bosnia era la
cerniera tra l’Impero ottomano e l’Impero austro-ungarico, un microcosmo multietnico abitato da
croati, serbi e musulmani. La Germania si dichiara al fianco dell’Austria, avvertendo di essere pronta
anche a una guerra se la Russia avesse messo in dubbio l’annessione. La Russia non è ancora disposta a
entrare in guerra: chiede sostegno a Francia e Gran Bretagna, ma per ora l’ipotesi di un conflitto non
viene fuori.
I Balcani sono al centro di due guerre nel 1913, a cui segue un’ulteriore erosione del potere
dell’Impero ottomano. Nel 1912 viene creata la Lega balcanica, composta da Grecia, Bulgaria, Serbia e
Montenegro, e sostenuta dalla Russia. La Lega balcanica dichiara guerra all’Impero ottomano per
spartirsi la Macedonia e la Tracia. L’Impero ottomano viene sconfitto e deve lasciare questi territori: in
Europa mantiene solo una piccola fascia di Tracia (Istanbul), ma controlla ancora gli stretti. In realtà, la
Bulgaria non è soddisfatta e nel 1913 fa scoppiare la seconda guerra balcanica contro i suoi ex-alleati, a
cui si aggiungono l’Impero ottomano e la Romania. La Bulgaria viene sconfitta e deve cedere una sua
parte alla Romania. Le guerre balcaniche rafforzano gli attriti locali e i micro-nazionalismi si
inseriscono nello scenario di tensione generale che porta alla prima guerra mondiale.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

La prima guerra mondiale scoppia per l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando per mano dello
studente bosniaco Gavrilo Princip, il 28 giugno 194 a Sarajevo. L’assassinio non è solo un episodio
terroristico: l’arciduca era fautore del contenimento del nazionalismo serbo nei Balcani. La prima
guerra mondiale è molto diversa da quelle che l’hanno preceduta: la “grande guerra” è una guerra
moderna, perché i conflitti precedenti erano stati sanguinosi, ma molto circoscritti. Il conflitto che si
avvicinava di più era un conflitto extraeuropeo, interno agli Stati Uniti: la guerra civile, o guerra di
secessione. La prima guerra mondiale coinvolge delle potenze extraeuropee, il Giappone e gli Stati
Uniti. Vengono utilizzati nuovi armamenti, come i carri armati, i sottomarini tedeschi e gli aeri.
Esiste un dibattito storiografico sulle cause e sulle origini della prima guerra mondiale: una delle cause
è il fatto che i meccanismi di alleanza sono scattati in maniera quasi automatica, e una crisi molto
localizzata nei Balcani si è radicalizzata per la decisione del governo austro-ungarico di risolvere una
volta per tutte il problema slavo, sottomettendo di fatto la Serbia, riducendola a una condizione
subalterna, perché ritenuta responsabile dell’attentato.
È difficile definire il responsabile dello scoppio: all’art. 231, il trattato di Versailles riconosce come
responsabile del conflitto la Germania e i suoi alleati. Sulla base del concetto di responsabilità tedesca
s’innesca il problema delle riparazioni di guerra che la Germania dovrà pagare ai vincitori della guerra,
nodo centrale degli anni ’20. La Germania è responsabile di aver incoraggiato l’Austria a iniziare il
conflitto.
L’dea dell’Impero austro-ungarico era quella di fare una guerra lampo, una soluzione chirurgica. Il 23
luglio l’Austria-Ungheria invia alla Serbia un ultimatum fatto per non essere accettato, perché
conteneva una serie di richieste fortemente lesive della sovranità dello stato serbo, come per esempio
la possibilità per l’Austria di mandare la propria polizia in Serbia per reprimere il movimento
nazionalista. La Serbia non accetta gran parte delle richieste austriache e fa sì che il 28 luglio l’Austria
le dichiari guerra. La Russia inizia la mobilitazione generale in nome del panslavismo. A questo punto
la Germania contro-mobilita il suo esercito.
Il problema tedesco è quello di dover fare un conflitto su due fronti: era necessario affrontare e
liquidare nemico francese per poi concentrarsi sul fronte russo. Secondo il piano Schlieffen, si poteva
10
combattere la Francia passando attraverso il Belgio, uno stato che si era considerato neutrale. Il primo
agosto la Germania dichiara guerra alla Russia, e il 3 agosto alla Francia. Scatta immediatamente
l’alleanza franco-inglese e la Gran Bretagna entra in guerra. Il conflitto da balcanico diventa europeo.
L’Italia si dichiara dapprima neutrale, ma l’esito del dibattito tra i favorevoli e i contrari all’entrata in
guerra porta alla firma, il 26 aprile 1915, del patto di Londra, al fianco di Gran Bretagna, Francia e
Russia. Il patto di Londra prevedeva che l’Italia ottenesse le terre irridente: l’Istria senza Fiume, Il
Trentino, l’Alto Adige e Trieste. Queste promesse non sarebbero mai state concesse dall’Austria-
Ungheria, perciò l’Italia va dalla parte di chi le offre di più. Le operazioni belliche italiane saranno
soprattutto anti-austriache, tanto che solo nel 1916 l’Italia dichiara guerra alla Germania
La Bulgaria e l’Impero ottomano entrano in guerra al fianco degli imperi centrali e di fatto il conflitto
si allarga al Medio Oriente. L’ingresso turco è molto importante, perché Gran Bretagna e Francia
pensano di spartirsi i territori dell’Impero ottomano portando avanti una politica molto ambigua: la
Gran Bretagna promette agli arabi di far nascere stato arabo indipendente, ma con la Francia si
accorda per spartirsi Palestina e Iran. La Dichiarazione Balfour del 1917 promette agli ebrei di creare
una national home in Palestina. La Romania entra in guerra al fianco delle potenze dell’Intesa sperando
di riuscire a ingrandire il proprio territorio a spese dell’Impero austro-ungarico. Anche il Giappone si
schiera al fianco dell’Intesa per arrivare a controllare una serie di aree nel Pacifico e in Estremo
Oriente.
La soluzione rapida scompare ben presto: in Francia lo scontro si arresta sulla Marna e sin dalla metà
dell’agosto 1914 i Tedeschi devono adattarsi ad una guerra di logoramento, mentre la Gran Bretagna
adotta un blocco commerciale. Sul fronte orientale l’offensiva russa viene fermata dai Tedeschi nelle
battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri nell’agosto 1914, mentre i Russi fermano l’offensiva
austriaca in Galizia.
Tra il 1915 e il 1917 il conflitto si fa sanguinoso: sul fronte occidentale nella battaglia di Verdun
l’esercito francese ha la meglio su quello inglese, mentre in Italia la guerra contro Austria è localizzata
nelle trincee lungo il fiume Isonzo. Sul fronte orientale risultava difficile arrivare a sconfiggere la
Russia. Dal punto di vista della tecnologia, viene molto utilizzata l’arma dei sottomarini: i Tedeschi
ingaggiano una guerra sottomarina contro le navi dirette ai porti inglesi e nel 1915 avviene
l’affondamento della Lusitania, che costa la vita ad un centinaio di cittadini americani. La guerra
sottomarina a oltranza è stata una delle cause dell’ingresso in guerra degli Stati Uniti.
L’anno di svolta è il 1917. La Russia zarista precipita nella spirale della rivoluzione bolscevica nel
febbraio 1917, che porta all’abdicazione da parte dello zar a alla creazione di un governo provvisorio.
La Russia dichiara di voler continuare la guerra. Con la rivoluzione di ottobre cade il governo
provvisorio e il potere politico si concentra nella mani di Lenin e Trotskij, che decidono di uscire dal
conflitto. Nel marzo 1918 a Russia firma il trattato di pace di Brest-Litovsk con gli imperi centrali: la
Russia perde gli stati baltici, la Finlandia, che si dichiara indipendente, l’Ucraina e la Polonia
occidentale, che vengono occupate dalla Germania. Gli imperi centrali hanno la speranza di avere la
meglio e concentrano le loro forze sulla Francia.
Nell’ottobre 1917 c’è anche la sconfitta italiana a Caporetto da parte austriaca.
In aprile c’è stata la decisione del governo americano di entrare in guerra al fianco dell’Intesa. Il
presidente americano era Woodrow Wilson, democratico, il quale si era prima dichiarato favorevole
alla neutralità, ma per via della guerra sottomarina indiscriminata decide di entrare in guerra. Gli Stati
Uniti sono una potenza emergente, sempre più forte economicamente; attraversano una grave crisi in
seguito alla guerra di secessione, ma a partire dal 1890 la politica estera imperiale si rivolge verso
l’area sudamericana. La dottrina Monroe, caposaldo della politica estera americana, prevedeva che gli
Europei non si dovessero interessare del contenente americano e viceversa. Dopo la guerra ispano-
americana del 1898 per Cuba, si ha una forte penetrazione nel Pacifico e anche in Cina, dove gli Stati
Uniti sottolineano “il principio della porta aperta”. Un’altra ragione fondamentale dell’entrata in
guerra da parte americana è che gli USA hanno concesso dei crediti agli alleati per 5 miliardi di dollari:
la loro confitta avrebbe significato una notevole perdita in termini finanziari degli Stati Uniti.
Nel momento in cui entrano in guerra, gli USA non firmano un trattato di alleanza, ma si dichiarano
associati alle potenze dell’Intesa, perché Wilson non condivideva la politica delle potenze europee: la
diplomazia degli accordi segreti era uno dei motivi dello scoppio della guerra. Gli Stati Uniti esportano
un proprio modello di ideali e valori che per l’Europa dei primi ‘900 sono rivoluzionari: il principio di
sicurezza collettiva, con la creazione della Società delle Nazioni, e l’autodeterminazione dei popoli.
11
Viene introdotta la coscrizione militare obbligatoria e di fatto gli USA riescono ad arruolare milioni di
soldati che hanno un ruolo importante soprattutto in Francia sul finire della guerra.
Prima cade l’Impero ottomano, poi quello austro-ungarico e infine quello tedesco: gli imperi centrali
sono costretti a firmare gli armistizi fra l’ottobre e il novembre 1918. In Germania c’è una situazione
esplosiva: la rivoluzione socialista serpeggia nelle piazze, il kaiser abdica e comincia l’avanzata del
“pericolo rosso”.

LA CONFERENZA DI PARIGI

Scompaiono i grandi imperi che avevano dominato gli equilibri europei dell’Ottocento: l’Impero
tedesco, l’Impero austro-ungarico, l’Impero ottomano e l’Impero zarista. Cambia radicalmente la
cartina geografica d’Europa. Nascono dei nuovi stati: la Polonia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia.
Cecoslovacchia e Jugoslavia mettono insieme delle etnie molto diverse tra loro. La Conferenza di Parigi
si svolge tra il gennaio 1919 e prosegue per circa un anno, con il difficile compito di realizzare un
nuovo ordine internazionale che, da una parte, doveva tenere conto degli accordi tra i vincitori, ma,
dall’altra, doveva anche conciliare il programma che Wilson aveva enucleato nei suoi 14 punti. Essi
punti di Wilson rappresentano il progetto che gli Stati Uniti elaborano per il nuovo sistema
internazionale e identificano gli ideali wilsoniani. Alla Conferenza di Parigi partecipano molte potenze,
ma alla Germania non è permesso di negoziare il proprio trattato di pace: questo avrebbe impresso al
trattato di Versailles il sapore di un diktat che avrebbe alimentato il revisionismo tedesco.
Nonostante Wilson avesse proclamato la fine della diplomazia segreta, identificata come uno dei
principali responsabili dello scoppio della guerra, in realtà le principali decisioni vengono prese dal
consiglio dei 4: i capi di governo di USA, Francia (Clemenceau), Gran Bretagna (Lloyd George) e Italia
(Vittorio Emanuele Orlando). Le decisioni vengono prese in assoluta segretezza. I 14 punti di Wilson
vengono presentati nel gennaio 1918 al Congresso: alcuni sono molto generici (fine della diplomazia
segreta, principio di nazionalità, disarmo generale, libertà di navigazione e di commercio), altri sono
molto più specifici e riguardano la sistemazione geografica dei paesi europei alla fine conflitto
(restituzione dell’Alsazia e della Lorena alla Francia, confini della Polonia). L’ultimo dei 14 punti
riguarda la creazione della Società delle Nazioni: questo organismo internazionale permanente
avrebbe dovuto salvaguardare il mantenimento della pace. Ben presto apparve evidente che i principi
di Wilson perdevano consistenza e dimostravano la propria ambiguità: è il caso della fine della
diplomazia segreta, o del principio della nazionalità, contraddetto nel momento in cui si creavano dei
paesi come la Cecoslovacchia, in cui avrebbero convissuto tedeschi, boemi, ungheresi e cecoslovacchi.
L’Italia si trovava in una imbarazzante, perché i bolscevichi che arrivano al potere in Russia rendono
pubblico il patto di Londra. L’Italia chiede durante i lavori che le sia riconosciuto quanto promesso dal
patto di Londra (l’Istria e parte della Dalmazia, ma non Fiume), ma Wilson, giustificandosi per il fatto
che non aveva preso parte al patto di Londra, visto come un esempio di diplomazia segreta, non
riconosce all’Italia quanto voleva riguardo ai confini orientali. L’Italia si considera tradita perché non
ottiene quello che gli è stato promesso, tanto che Orlando abbandona i lavori e nascerà il mito della
“vittoria mutilata”, usato in maniera propagandistica dal fascismo.
Un altro esempio del modo in cui agisce la diplomazia wilsoniana riguarda la posizione verso la
questione tedesca. La Francia adotta un atteggiamento molto duro, chiedendo lo smembramento dello
stato tedesco e che la Renania fosse staccata dal resto del territorio tedesco, perché voleva evitare il
pericolo della rinascita della Germania. L’Alsazia e la Lorena vengono date alla Francia, ma la Renania
non viene staccata dal territorio tedesco ed è solo smilitarizzata. In cambio, Wilson promette alla
Francia un garanzia anglo-americana che sarebbe scattata in occasione di una minaccia tedesca alla
Francia. Anche l’Inghilterra era contraria allo smembramento dello stato tedesco, perché sperava,
dopo la guerra, di mantenere una situazione d’equilibrio in Europa, e non voleva una Francia egemone
rispetto alle altre potenze.
Il sistema ideato da Wilson avrebbe funzionato solo se li USA si fossero impegnai nelle vicende
europee, mantenendo la stabilità europea. Un esempio di questa convinzione è rappresentato dalla
Società delle Nazioni, fortemente voluta da Wilson, che nel suo progetto rappresentava un sistema di
sicurezza che avrebbe garantito la pace.

12
La Società delle Nazioni avrebbe operato attraverso tre organismi: l’Assemblea, il Segretariato e il
Consiglio, in cui i paesi vincitori avrebbero avuto un seggio permanente. Le votazioni sarebbero state
prese all’unanimità, e in caso di conflitto tra due paesi sarebbero state adottate misure che andavano
dall’arbitrato, forma d’intervento diplomatico, alle sanzioni economiche e commerciali fino al ricorso
alla fora militare. Non esisteva un esercito della Società delle Nazioni; qualora si fosse ricorso alla
forza, gli stati dovevano mettere a disposizione i propri eserciti e votare all’unanimità.
La Repubblica di Weimar, all’indomani della prima guerra mondiale, vive il pericolo di un’ondata di
rivoluzione comunista e c’è il tentativo spartachista di Rosa Luxemburg di prendere il potere.
Repubblica di Weimar viene data a governi social-democratici, ma negli anni ’20 vive con forti
pressioni provenienti sia dalla desta che da sinistra.
La Società delle Nazioni nasce debole in partenza, e identificherà gli interessi di Gran Bretagna, Francia
e Italia. Il ruolo del Giappone all’interno della Società è disinteressato. L’esperimento della Società
della Nazioni sarà fallimentare.

I TRATTATI DI PACE DELLA I GUERRA MONDIALE

Il trattato di Versailles
S’intende con Sistema di Versailles tutto l’ordine europeo che esce dai lavori della Conferenza di Parigi,
ma in relata è il trattato di pace con la sola Germania, nel giugno 1919. L’art. 231 del trattato di
Versailles stabilisce la responsabilità tedesca per avere fatto scoppiare la guerra insieme ai propri
alleati. Questo è il presupposto su cui si baserà il principio delle riparazioni di guerra, che è un nodo
centrale per l’Europa degli anni ’20. Il trattato di Versailles non stabilisce l’entità delle riparazioni: a
questo fine verrà incaricata una commissione e nel 1920 vengono discusse e decise le percentuali delle
riparazioni che la Germania doveva alle nazioni vincitrici. La maggior parte di esse, il 52%, erano
dovute alla Francia, il paese che aveva dovuto sostenere maggiormente il peso della guerra; il 22% alla
Gran Bretagna; il 10% all’Italia. L’entità delle riparazioni fu decisa nel 1921: veniva stabilita una cifra
molto onerosa, 132 miliardi di marchi oro, e da subito la Repubblica di Weimar pone il problema del
pagamento, perché non era in grado di pagare le riparazioni.
Le clausole territoriali del trattato prevedevano che l’Alsazia e la Lorena andassero alla Francia; la
Slesia settentrionale viene data alla Polonia, mentre un plebiscito stabilisce che la Slesia meridionale
vada alla Germania. Viene creato il “corridoio di Danzica”, abitato da popolazione tedesca: il
“corridoio”, che permette alla Polonia di avere lo sbocco sul mare, separava lo stato tedesco dalla
Prussia orientale e Danzica viene costituita città libera sotto la tutela della Società delle Nazioni. La
regione dello Schleswig viene data alla Danimarca, e le città di Eupen e Malmedy al Belgio. Un aspetto
importante è che viene vietato l’Anschluss, cioè l’unione con l’Austria; oltre a questo, la Germania perde
tutte le proprie colonie.
Le altre clausole del trattato erano quelle militari: l’obiettivo è quello di disarmare completamente la
Germania, pertanto viene stabilito che l’esercito tedesco sarebbe stato composto da non più di 100
mila uomini, la marina di fatto avrebbe avuto pochissime unità, e la Germania non avrebbe potuto
possedere né sottomarini né aerei né artiglieria pesante; inoltre veniva vietata la coscrizione militare
obbligatoria. Un altro aspetto importante della smilitarizzazione della Germania è che essa non poteva
tenere le proprie truppe nella Renania, e anzi vi erano truppe degli eserciti vincitori che la
controllavano.
Le clausole economiche stabilivano che le miniere della Saar venissero amministrate dalla Società
delle Nazioni, e sfruttate di fatto dalla Francia.
L’elemento più fragile del trattato era rappresentato dai confini orientali della Polonia, cuscinetto tra
la Germania e l’Unione sovietica. Di fatto il confine orientale fu soggetto, tra il 1919 e il 1921, a una
serie di cambiamenti, in quanto la Polonia approfittò dell’instabilità della Russia bolscevica e scatenò
una guerra contro la Russia per conquistare dei territori che portò alla firma del trattato di Riga del
1921, con cui Russia e Polonia si spartivano i territori di Bielorussia e Ucraina.
Il trattato di Versailles riguardava solo la Germania.

13
Il trattato di Saint-Germain
Il trattato di Saint-Germain del 1919 riguarda il destino dell’Austria, che subisce un destino molto
pesante dopo il crollo dell’impero. L’Austria dovette pagare le riparazioni di guerra e dovette
disarmare. Anche nel trattato di Saint-Germain viene vietato l’Anschluss con la Germania: ciò era
prevedibile perché l’Austria era molto piccola e abitata da popolazione tedesca. L’Austria perde la
Boemia e la Moravia, che formano la Cecoslovacchia, e anche il Tirolo e l’Alto Adige, che vengono dati
all’Italia, paese cerniera per gli equilibri europei tra le due guerre. L’Italia sarebbe stata proprio il
paese che si sarebbe mosso per difendere l’indipendenza austriaca.

Il trattato del Trianon


Il trattato del Trianon del 1920 riguarda l’Ungheria, che subisce delle forti amputazioni territoriali:
deve cedere la Transilvania alla Romania, la Slovacchia, che va a formare la Cecoslovacchia, e la
Croazia, che va a par parte della Jugoslavia.

Il trattato di Neuilly
Il trattato di Neuilly del 1919 riguarda la Bulgaria, che deve cedere la Tracia occidentale alla Grecia, e
la Dobrugia meridionale alla Romania. Le potenze vincitrici accettano la creazione della Jugoslavia,
regno di croati, serbi e sloveni. All’Italia non erano state riconosciute le richieste del patto di Londra,
tanto che la delegazione italiana abbandona i lavori in segno di protesta. Si pone il problema della città
di Fiume, che D’Annunzio occupa nel 1919; segue una reggenza autonoma, che segna il primo passo
verso l’annessione all’Italia. L’Italia negozia i territori orientali con la Jugoslavia: vengono stipulati due
accordi, il trattato di Rapallo del 1920, con cui si riconosce all’Italia tutta l’Istria e una parte della
Dalmazia, ma non Fiume, trasformata in città libera sotto la Società delle Nazioni, e il trattato di Roma
del 1924, con cui si stabilisce l’annessone di Fiume all’Italia.

Paesi revisionisti e anti-revisionisti


I paesi revisionisti erano la Germania, l’Austria, l’Ungheria e la Bulgaria. I paesi antirevisionisti erano
la Francia, che si erge a difensore del sistema di Versailles; la Gran Bretagna, artefice principale delle
decisioni della Conferenza di Parigi, anche se riguardo alla questione tedesca ritiene che l’assetto
orientale non sia così definitivo; l’Italia, nonostante il mito della “vittoria mutilata”; i nuovi paesi nati,
ovvero Polonia, Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia, che devono la propria nascita al trattato di
Versailles.
Oltre al fatto che gli USA non entrano nella Società delle Nazioni, viene meno la garanzia anglo-
americana legata al trattato di Versailles.
Il Giappone aveva partecipato alla guerra al fianco delle potenze dell’Intesa, ma aveva sviluppato una
guerra parallela tesa a conquistare le isole degli arcipelaghi strategici che appartenevano alla
Germania (le isole Marshall, le Caroline e le Marianne). La politica estera giapponese si orienta verso la
Cina: il territorio cinese è immenso, è caduto l’Impero celeste e la Cina si trova ad avere una situazione
interna molto grave tra l’imperatore e il Kuomintang, il partito nazionalista cinese.
Nel 1917 la Cina entra in guerra perché si sentiva schiacciata dalla pressione giapponese e da quella
russa e dichiara guerra alle potenze dell’Intesa. Dal 1910 il Giappone possiede la Corea, e da lì
venivano inviati gli aiuti ai russi bianchi, le forze che combattono i bolscevichi nella Russia post-
rivoluzione. Alla Conferenza di Parigi il Giappone ha una posizione privilegiata: gli viene confermato il
possesso delle isole tedesche e occupa la penisola dello Shantung nella parte orientale della Cina.

Il trattato di Sèvres
Per gran parte del XIX secolo, il destino dell’Impero ottomano era al centro degli interessi delle nazioni
europee. Dapprima Gran Bretagna e Francia vi entrano finanziariamente, in seguito affrontano la
competizione tedesca con la costruzione della ferrovia Berlino–Costantinopoli–Baghdad. Per via della
presenza tedesca, l’Impero ottomano entra in guerra al fianco della Germania.
La diplomazia anglo-francese è ambigua: le due potenze iniziano a pensare di spartirsi i territori
dell’Impero ottomano nella mezzaluna fertile, cioè l’area che va dal Mediterraneo fino all’attuale Iraq,

14
con l’accordo di Sykes-Picot del 1916. Di fatto, Francia e Gran Bretagna suddividono in due aree tutta
questa regione: la Francia avrebbe avuto il controllo della Siria e del Libano, mentre la Gran Bretagna
avrebbe avuto il controllo della Palestina e della Mesopotamia (Iraq). La diplomazia inglese assume un
aspetto contradditorio. Gli inglesi supportano degli esponenti del nazionalismo arabo che volevano
ribellarsi contro il sultano, in particolar modo Husayn, a capo della famiglia hascemita, a cui viene
promessa la creazione di uno stato arabo indipendente in cambio dell’aiuto militare; quest’accordo si
ha in uno scambio di lettere tra il commissario inglese McMahon e l’emiro Husayn. Con la
dichiarazione del ministro degli Esteri Balfour nel novembre 1917, la Gran Bretagna promette la
creazione di una national home ebraica in Palestina. Si tratta di una dichiarazione molto ambigua, ma
negli anni ’20 si verifica una corrente di emigrazione ebraica in Palestina, che pone le basi dei gravi
problemi del futuro stato di Israele.
Il trattato di pace con l’Impero ottomano viene concluso nel 1920 a Sèvres. Il trattato riduceva
l’Impero ottomano alla sola Anatolia, privandolo di fatto di tutti i territori arabi, e delle isole Egee, che
vanno alla Grecia insieme alla Tracia. Si prevedeva inoltre che la Grecia avrebbe avuto la città di
Smirne, mentre a Francia e Italia vengono concesse delle aree di influenza nell’Anatolia meridionale.
Veniva perfino ipotizzata la creazione di uno stato armeno indipendente. L’Impero ottomano, pur
rimanendo nominalmente sovrano degli stretti, ne perdeva di fatto il controllo: la loro navigazione era
sottoposta ad una commissione internazionale, in quanto l’obiettivo delle potenze vincitrici era
impedire che attraverso gli stretti la rivoluzione russa giungesse nel resto dell’Europa.
Il trattato di Sèvres fu il primo a subire una revisione: il sultano lo accetta, ma si crea un movimento
rivoluzionario guidato dal padre della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk, che riorganizza
l’esercito e di fatto allontana li sultano, proclamando la nascita di una repubblica laica. Atatürk cerca di
creare uno stato che si ispiri ai modelli occidentali e scaccia le potenze straniere dal territorio turco:
francesi e italiani sono i primi ad andare via, ma più duro è allontanare la Grecia da Smirne.
La nuova situazione viene sanzionata dal trattato di Losanna del 1923, grazie al quale la repubblica
turca recuperava tutto il territorio peninsulare, tutta l’Anatolia e il controllo sugli stretti; inoltre
firmava un accordo con la Russia rivoluzionaria che sanciva la fine del sogno di uno stato armeno
indipendente. Uno dei grandi genocidi effettuati da parte dei turchi fu nei confronti della popolazione
armena, quando nel 1908 il governo dei giovani turchi cercò di organizzare una nazione omogenea
sopprimendo le nazionalità straniere presenti in Turchia. L’epurazione degli armeni iniziò nel 1915,
durante la prima guerra mondiale; si stima che siano morti un milione di armeni. Tuttora, la questione
armena è uno dei nodi cruciali del negoziato per far entrare la Turchia nell’Unione europea.

Il sistema dei mandati


Poiché le potenze sconfitte perdevano tutti i possedimenti coloniali, ci fu una corsa da parte delle
potenze vincitrici per accaparrarsi questi possedimenti. Nei suoi 14 punti, Wilson aveva parlato di
autodeterminazione dei popoli. Il sistema dei mandati è un compromesso ideato da Wilson che
prevedeva di avviare verso l’indipendenza, sotto la tutela della Società delle Nazioni, tutti i
possedimenti coloniali delle potenze sconfitte, affidati alle potenze vincitrici. Esistevano vari tipi di
mandato a seconda del tipo di sviluppo che avevano questi territori: fra i mandati di tipo A rientravano
quello inglese su Palestina e Iraq, e quello francese su Siria e Libano; fra i mandati di tipo B, con cui si
attuavano delle vere e proprie forme di colonizzazione, rientravano quello inglese sulla Tanganika e
quello francese su Togo e Camerun; fra i mandati di tipo C, rientrava quello giapponese sulle isole del
Pacifico. Il figlio di Husayn diventa re dell’Iraq. Nel 1922 viene concessa l’indipendenza all’Egitto, ma la
Gran Bretagna continua a controllare il canale di Suez.

IL FALLIMENTO DEL PROGETTO DI WILSON

Wilson tiene moltissimo alla realizzazione della Società delle Nazioni, e proprio per avere il consenso
di tutti gli altri paesi vincitori deve cedere su alcuni punti: nonostante si parli di autodeterminazione
dei popoli, viene escogitato il sistema dei mandati per i possedimenti coloniali, che è una sorta di
colonizzazione mancata.
Wilson, nel momento in cui di fatto torna negli USA, vede una situazione ribaltata all’interno del
Congresso, che ora è in mano ai repubblicani. Negli Stati Uniti il Senato ha potere di ratifica di trattati.
15
Lo statuto (Covenant) della Società delle Nazioni era parte integrante del trattato di Versailles. Il 20
marzo 1920 il Senato degli Stati Uniti boccia la ratifica del trattato di Versailles, perché non accettava
che gli USA continuassero ad interessarsi delle questioni europee, e le elezioni vengono vinte dal
candidato repubblicano Warren Harding. Viene meno la garanzia anglo-americana contro il pericolo
tedesco promessa da Wilson alla Francia in cambio della mancata concessione della Renania. Wilson
stesso, colpito da un colpo apoplettico, non poté partecipare ai dibattiti per difendere la propria
creatura.
Questo è il colpo di grazia della Società delle Nazioni, che nasce di fato senza che al suo interno ci sia il
paese garante del funzionamento del sistema. La Società delle Nazioni nasce senza gli USA, diventando
un organismo rappresentativo delle potenze europee. Gli Stati Uniti avrebbero negoziato un trattato di
pace bilaterale con la Germania nel 1921. Dal 1920 si hanno una serie di presidenti repubblicani:
Warren Harding, morto nel 1923 e sostituito da Coolidge, e nel 1929 Hoover. Di fatto, identificano la
volontà degli USA di staccarsi dall’Europa. All’interno della Società delle Nazioni non partecipa
neanche la Russia bolscevica, Unione Sovietica dal 1922, ora travolta dalla guerra civile; vi entrerà ne
1934. La Repubblica di Weimar, che esce dalle ceneri dell’Impero tedesco, vi entrerà solo nel 1926.

LA QUESTIONE DELLE RIPARAZIONI: L’ART. 231 DEL TRATTATO DI VERSAILLES

La Francia è il “gendarme di Versailles”. Tutta la politica estera francese è dominata dall’esigenza di


sicurezza e dalla paura di rinascita di uno stato tedesco che possa costituire una minaccia per la
Francia. Nel corso degli anni ’20 la Francia, da una parte, richiede l’esecuzionismo delle norme di
Versailles, dall’altra, costruisce un cordone sanitario, un sistema di alleanze con i paesi antirevisionisti
in grado di contenere la Germania.
Si genera un circolo vizioso riparazioni-debiti interalleati (prestiti che gli Stati Uniti hanno erogato
durante la guerra): se la Germania non avesse pagato le riparazioni ai vincitori, questi ultimi non
avrebbero pagato i propri debiti agli USA. Le riparazioni tedesche risucchiano gli Stati Uniti in Europa.
Si sviluppano due linee di pensiero: la Gran Bretagna era favorevole a rinegoziare con la Germania la
questione delle riparazioni, mentre la Francia rimane rigida e sottolinea la necessità che la Germania
paghi le riparazioni. Nel 1921 viene stabilita l’entità delle riparazioni tedesche, pari a 132 miliardi di
marchi oro.
Nel gennaio 1923 il governo di destra guidato da Raymond Poincaré, in seguito al mancato pagamento
di una rata delle riparazioni, compie un’azione clamorosa: occupa il bacino carbosiderurgico della
Ruhr, bloccando non solo l’economia tedesca, ma anche la capacità tedesca di riarmarsi La reazione
tedesca è la resistenza passiva: gli operai tedeschi non vanno a lavorare nelle miniere e quindi la
Francia, appoggiata dal Belgio, è costretta a mandare i propri operai per farle funzionare. La resistenza
passiva cessa con l’arrivo di Stresemann. L’occupazione della Ruhr rappresenta un fallimento per la
Francia: in questi anni la Repubblica di Weimar vive una crisi sul piano economico-finanziario
(fenomeno dell’iperinflazione), ma si tratta di una politica molto onerosa anche per la Francia.
La svolta in questa vicenda si ha nell’agosto 1923, con l’arrivo al potere di Gustav Stresemann, che
diventa cancelliere e poi ministro degli Esteri fino al 1929. Stresemann è fautore del reinserimento
della Germania nel Concerto europeo: ciò significa accettare quello che ha imposto Versailles, accettare
il pagamento. Stresemann porta avanti una politica di adempimento, ma ciò no vuol dire che non sia
revisionista.
Nel 1934 viene istituita una commissione presieduta dal banchiere americano Charles Dawes, che
elabora il piano Dawes: esso aveva la durata di 5 anni, prevedeva che il pagamento tedesco avvenisse
secondo rate annuali crescenti, crea una nuova valuta tedesca e riorganizza la banca nazionale tedesca.
Il punto centrale del piano Dawes è la collocazione di un prestito di 800 miliardi di marchi oro
garantito dalle azioni ferroviarie tedesche, e per la maggior parte coperto dagli Stati Uniti, affinché
l’economia tedesca ripartisse, la Germania pagasse le riparazioni, e le potenze vincitrici pagassero i
debiti con gli USA. In questa maniera, il sistema finanziario americano si legava con quello europeo, in
particolar modo con quello tedesco: ciò spiega perché il crollo di Wall Street nel 1929 si propaga
immediatamente in Europa, con conseguenze devastanti per Germania e Austria.
Il piano Dawes aveva una durata di 5 anni e nel 1929 viene elaborato un nuovo piano, il piano Young:
esso prevedeva 56 annualità crescenti (fino agli anni ’80), ma viene interrotto dalla crisi finanziaria del
16
1929, con il crollo della borsa di Wall Street. Nel 1931 il presidente americano Hoover propone una
moratoria di un anno nel pagamento delle riparazioni. La questione delle riparazioni si conclude con la
Conferenza di Losanna nel 1932, in cui viene previsto il pagamento di una somma simbolica da parte
della Germania e di somme simboliche per porre termine alla questione dei debiti interalleati, ma
quasi nessuno stato completerà il pagamento.

IL SISTEMA DI SICUREZZA EUROPEO DEGLI ANNI ’20

La Francia è il gendarme dell’ordine di Versailles e della sicurezza europea, che cercherà di difendere
mantenendo una posizione molto rigida sulle riparazioni e creando un cordone sanitario di alleanze
intorno alla Germania. Firma un accordo nel 1921 con la Polonia, stato cuscinetto tra potenze
minacciose per la sua sopravvivenza, e una serie di alleanze con i paesi della Piccola Intesa. La Piccola
Intesa è un sistema di alleanze che si viene a creare tra 1920 e 1921 tra Cecoslovacchia, Jugoslavia e
Romania, che stipulano alleanze per opporsi al revisionismo ungherese.
Nel 1922 si tiene la Conferenza di Genova, ispirata da Lloyd George: essa si proponeva di risolvere il
problema di reinserimento della Germania nella vita internazionale e il problema dell’Unione
Sovietica, ma la durezza francese verso la Germania la fa fallire. La Conferenza di Genova viene
ricordata soprattutto per un avvenimento ai margini, il trattato di Rapallo del 1922 tra Germania e
URSS, che normalizza le relazioni tra i due paesi e avvia una collaborazione segreta sul piano militare.
Uno dei motivi per cui la Francia occupa la Ruhr nel gennaio 1923 è anche la paura del trattato di
Rapallo: c’è la paura di un’asse tra Germania e Unione Sovietica, che nel 1939 firmeranno il patto
Molotov-Ribbentrop, secondo una tradizione di rapporti diplomatici che risale al trattato di Rapallo.

LO “SPIRITO DI LOCARNO”

Un altro aspetto della politica estera francese è rappresentato dalla volontà di rafforzare l’organismo
che era garante della sicurezza collettiva, la Società delle Nazioni. Nel 1924 la Francia propone il
protocollo di Ginevra, basato su 3 principi a cui si sarebbero dovuti attenere gli stati firmatari:
l’arbitrato (obbligatorio in caso di crisi internazionale), la sicurezza e il disarmo. Il protocollo non ha
successo a causa del cambiamento di governo in Gran Bretagna. Dopo un breve episodio di governo
laburista nel 1924, con la ripresa del dominio del partito conservatore, la Gran Bretagna non ratifica
questo progetto, che cade nel vuoto. Aristide Briand decide che alla Francia rimane come soluzione dei
rapporti con la Germania quella di arrivare ad un accordo diretto, cercando un compromesso. Per fare
questo c’era bisogno di un interlocutore tedesco disponibile al dialogo, Stresemann.
Nel 1925 gli accordi di Locarno stabiliscono il riconoscimento da parte della Germania dei suoi confini
occidentali: la cessione dell’Alsazia e della Lorena alla Francia, i cambiamenti territoriali che ci sono
stati con il Belgio, e anche la smilitarizzazione della Renania. Le due potenze garanti degli accordi di
Locarno sono la Gran Bretagna e l’Italia, che sarebbero intervenute qualora i confini fossero stati
violati. Si parlerà a lungo di “spirito di Locarno” a testimonianza della volontà di conciliazione delle
potenze europee.
In Locarno già vediamo le basi delle direttrici del revisionismo tedesco degli anni ’20: la Germania
riconosce i suoi confini occidentali, ma non quelli orientali, e anche le potenze che garantiscono, in
particolar modo la Gran Bretagna, non hanno intenzione di mobilitarsi per un’azione orientale: si ha la
certezza che prima o poi la Germania riconquisterà i territori abitati da popolazione tedesca. Locarno
rappresenta un momento di conciliazione, ma vi sono delle ambiguità dovute al fatto che il
revisionismo tedesco si orienta a est, verso la Polonia e la Cecoslovacchia; queste ultime partecipano a
Locarno, ma rimangono scontente perché non c’è il riconoscimento dei loro confini, e si accontentano
di un accordo di arbitrato con la Germania. La Francia rinnoverà gli accordi con Polonia e
Cecoslovacchia, facendosi garante dei loro confini.
Lo spirito di Locarno si può vedere nella proposta che viene avanzata tra il 1927 e il 1928 da Briand
nei confronti del segretario Kellogg: Briand chiede di firmare un accordo che dichiarasse l’illegittimità
del ricorso alla guerra come strumento per risolvere controversie internazionali. In un primo
momento doveva consistere in un accordo franco-americano in sostituzione della garanzia anglo-

17
americana, ma gli Stati Uniti non hanno intenzione di legarsi ai destini dell’Europa. Kellogg tergiversa a
lungo sull’accettazione di questa proposta. La soluzione sarà il patto Briand-Kellogg del 1928, che
viene allargato alla partecipazione di moltissimi paesi: alla fine vi aderiscono 57 paesi, tra cui
Germania, Italia e Giappone, ma in questo modo si diluisce la sua importanza. il suo significato. Questi
paesi si impegnavano a entrare in guerra solo per difesa e a risolvere le controversie pacificamente.
L’ultimo esempio dello spirito di Locarno si ha con un discorso pronunciato da Briand nel 1929 alla
Società delle Nazioni, discorso con cui Briand espone l’ideale di unificazione europea, di unire le
nazioni europee come strumento per favorire il mantenimento della pace, facendo riferimento ai
progetti che in quegli anni venivano avanzati dal conte Coudenhove-Kalergi, che aveva fondato il
movimento Paneuropa.
Il grande assente dalla scena europea è l’Unione Sovietica. Nel 1922 con il trattato di Rapallo si ha il
riconoscimento diplomatico con la Repubblica di Weimar. Nel corso degli anni ’20 l’URSS viene
riconosciuta diplomaticamente da tutte le potenze europee, ma non è presente sulla scena
internazionale. Nel 1924 muore Lenin e il suo successore diventa Stalin, segretario del PCUS, un
georgiano, fautore del socialismo in un solo paese: l’idea di esportare la rivoluzione socialista non ha
successo, a parte il tentavo di colpo di stato comunista che dura pochi mesi in Ungheria il momento
insurrezionale a Weimar. Stalin si concentra sul fronte interno e diventa il protagonista della crescita
dell’Unione Sovietica. Sono gli anni della NEP, della collettivizzazione dell’agricoltura, della
collettivizzazione industriale.
Stalin aveva una paranoia che negli ultimi anni della sua vita diventò una malattia: il timore
dell’accerchiamento capitalista, già presente nel corso degli anni ’20, sarà una costante della politica
estera staliniana. Stalin vede in una serie di decisioni delle potenze europee l’obiettivo di accerchiare
l’Unione Sovietica: lo vede negli accordi di Locarno, in cui l’URSS non è ammessa a partecipare, per il
fatto che non vengano riconosciuti i confini orientali della Germania.
Nella mente di Stalin le potenze europee vogliono imprimere il revisionismo tedesco verso l’Unione
Sovietica: per lui tutte le potenze europee erano uguali, delle potenze capitaliste nemiche. Stalin
ragiona in termini di Realpolitik e instaura una dittatura assoluta all’interno dell’Unione Sovietica
basata sul terrore. Gli anni ‘30 sono gli anni delle purghe staliniane, che decimano l’armata rossa, e si
fa strada il terrore dell’onda rossa. Per Stalin, l’Unione Sovietica avrebbe dovuto esercitare la propria
potenza in Europa e in Asia. Nell’agosto 1939 Stalin giunge a firmare l’accordo Molotov-Ribbentrop.
Per quanto riguarda la Repubblica di Weimar, i suoi primi anni di vita sono caratterizzati da una
profonda instabilità e il partito social-democratico è costretto ad aprirsi ad una coalizione col partito
cattolico per riuscire a governare. In Germania c’è una grande crescita della disoccupazione e
dell’inflazione. La crisi economica verrà strumentalizzata dal partito nazista per criticare la Repubblica
di Weimar e già nel 1930 il partito nazista ottiene 100 seggi al parlamento tedesco, diventando uno dei
principali attori sulla scena politica tedesca. L’instabilità politica porta alla salita al potere di Hitler, che
il 30 gennaio 1933 viene incaricato dal presidente Hindenburg di formare un governo di coalizione.
In Austria si vive con profonda amarezza il passaggio dall’essere un grande impero ad essere un
piccolo stato. Il partito social-democratico, che cerca di creare una repubblica progressista, è molto
forte a Vienna, ma il resto del paese è dominato dal partito cristiano-sociale. Nel 1932 diventa
cancelliere Dollfuss, esponente del partito cristiano-sociale. In un primo momento si avvicina alla
Francia, in cui egli vede il garante dell’indipendenza austriaca; intanto avvia un rapporto ambiguo con
i gruppi di estrema destra. Dollfuss si avvicina anche all’Italia di Mussolini, che in questi anni diventerà
il garante dell’indipendenza dell’Austria. Tra Mussolini e Dollfuss ci fu una specie di amicizia
personale. Dollfuss perse la vita durante fu un tentativo di colpo di stato nel 1934 da parte dei nazisti
austriaci. Per l’Italia l’indipendenza austriaca è molto importante perché altrimenti si sarebbe trovata
accerchiata dalla Germania.
In occasione della Conferenza di Parigi, nel momento in cui Vittorio Emanuele Orlando e Sidney
Sonnino chiedono il riconoscimento del patto di Londra più Fiume, si trovano di fronte a un no molto
forte da parte di Wilson e degli inglesi. L’Italia abbandona i lavori, ma questo è un errore, perché poi
non parteciperà alla spartizione delle colonie dell’Impero ottomano e tedesco. La questione dei confini
orientali dell’Italia viene risolta attraverso due accordi direttamente con la Jugoslavia. Con il trattato di
Rapallo del 1920 l’Italia riceve l’Istria e parte della Dalmazia, ma non Fiume, città libera; con il trattato
di Roma del 1924 Fiume viene annessa all’Italia. Il mito della “vittoria mutilata” che emerge dopo la
Conferenza di Parigi non ha un vero fondamento, perché l’Italia ha ottenuto di fatto quello che voleva,
18
ma si diffonde nel paese e favorisce l’emergere del nazionalismo e del revisionismo, principi che si
attecchiscono sul programma di Mussolini.
È il biennio rosso ed il clima è caratterizzato da grandi novità: i partiti che nascono sono quello
comunista, nel 1921, e il partito popolare. In questo clima si afferma anche il movimento fascista
fondato da Mussolini nel 1919, che con i suoi metodi repressivi viene considerato dalla classe
borghese come una valida alternativa alla situazione d’instabilità del biennio rosso. Mussolini si
rendeva conto che il mondo liberale non era più in grado di governare. Egli viene legittimato da un
unto di vista politico perché ritenuto n male breve ma necessario. Nel 1921 il movimento si trasforma
in partito. Il partito socialista non riesce a contrattaccare il partito fascista. Nell’ottobre 1922 c’è la
marcia su Roma e Mussolini viene incaricato da Vittorio Emanuele III di creare un governo di
coalizione.

LA POLITICA ESTERA FASCISTA DEGLI ANNI VENTI

A un mese dalla marcia su Roma, Mussolini tiene un discorso alla Camera dei deputati in cui sottolinea
l’importanza che rivestiva la politica estera. In realtà non era così. Il Mein Kampf descriveva molto
bene il programma di Hitler: era stato scritto prima che arrivasse al potere, mentre si trova in prigione
dopo il putsch di Monaco. Mussolini è digiuno di politica estera e non ha un programma d’azione, se
non affermare lo status di grande potenza dell’Italia, obiettivo che per Mussolini sarebbe diventato
un’ossessione.
La prima azione di Mussolini sul piano internazionale è del 1923, quando viene assassinato il generale
Tellini, componente di una missione militare italiana incaricata di stabilire il confine tra Grecia e
Albania. Mussolini reagisce in maniera violenta: lancia un ultimatum al governo greco, dopodiché
bombarda l’isola di Corfù e la occupa. Non era sicuramente nell’intenzione di Mussolini aprire un
conflitto con la Grecia: egli intendeva affermare il prestigio dell’Italia. Il governo greco reagisce in
maniera molto forte, invocando la Società delle Nazioni: Mussolini accettò un risarcimento e concluse
diplomaticamente il conflitto.
Le potenze europee guardano con sospetto a Mussolini. Di fatto, nel corso degli anni ’20 non si ha un
grande attivismo italiano sulla scena internazionale, ma Mussolini individua le direttrici dell’Italia, che
sono le tradizionali direttrici della sua posizione strategica: una è la direttrice mediterranea-mare
nostrum, che per il momento rimane più un’aspirazione e che si concretizzerà nel 1935 con l’attacco
all’Abissinia; l’altra è la direttrice danubiano-balanica, in competizione con la Francia.
La politica estera di mussolini appare contraddittoria: stipula una serie di accordi con l’Ungheria, tra
cui uno del 1927 in cui l’Italia appoggia il revisionismo ungherese; ma l’Italia è anche garante
dell’indipendenza austriaca. Nel 1926 stipula l’accordo di Tirana con l’Albania, che diventa un
protettorato del governo italiano.
Non ci sono grandi risultati, perché l’Italia è una media potenza, non aveva il rango di Gran Bretagna e
Francia. Il suo peso nello scacchiere europeo cambia con la salita di Hitler al potere: nel 1932
Mussolini, che ha un grande intuito, assume l’incarico di ministro degli Esteri. A partire dall’arrivo di
Hitler, si parla della politica italiana come “politica del peso determinante”, per dire che il peso
dell’Italia nello scenario europeo aumenta dopo il 1933. Per l’Italia, essendo una media potenza, era
vantaggioso mantenere libertà d’azione il più a lungo possibile, e questo spiega perché nel maggio
1939 Mussolini arriva a legare con Hitler il patto d’Acciaio.

LA CONFERENZA DI WASHINGTON

Sia i 14 punti di Wilson, sia lo statuto della Società delle Nazioni stabilivano il principio del disarmo
generale. In realtà, nel corso degli anni ’20 solo la Germania è costretta a disarmare. Più che di disarmo
si parla di accordi per le limitazioni del riarmo. Il disarmo può essere suddiviso tra disarmo navale e
disarmo terrestre.
I primi accordi sul disarmo navale si hanno con la Conferenza di Washington del febbraio 1922,
esempio del fatto che la politica estera americana non è del tutto isolazionista. La Conferenza viene

19
promossa dal segretario di Stato Hughes, con la partecipazione di Gran Bretagna, Francia, Italia,
Giappone, Cina, Belgio, Olanda e Portogallo.
Il Trattato delle quattro potenze, o patto del Pacifico, tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giappone,
impegnava i firmatari al riconoscimento dello status quo nel Pacifico, per porre freno soprattutto alla
politica estera giapponese molto aggressiva.
Il Trattato sul disarmo navale viene firmato nel febbraio 1922 tra USA, Gran Bretagna, Francia, Italia e
Giappone, e stabilisce le proporzioni tra le potenze firmatarie per quanto riguarda i rispettivi
tonnellaggi delle flotte. La Gran Bretagna concede agli Stati Uniti qualcosa che non aveva mai accettato
prima: rinuncia alla regola del two power standard, che aveva caratterizzato la flotta inglese
dell’Ottocento, e accetta gli USA come potenza con la stessa forza in termini di flotta, ovvero 525 mila
tonnellate. Gli Stati Uniti iniziano a costruire una marina che diventerà estremamente forte. Al
Giappone vengono concesse 300 mila tonnellate, a Francia e Italia 175 mila.
Fra gli altri accordi nell’ambito della Conferenza di Washington, con il Trattato della “porta aperta” in
Cina, fortemente voluto dagli USA per mettere fine alla pretese giapponesi di espansione in Cina, in
particolar modo nello Shantung, i firmatari si impegnano al rispetto della sovranità, dell’indipendenza
e dell’integrità territoriale della Cina e al rispetto del principio della “porta aperta”, per cui nessuna
potenza deve avere privilegi commerciali con la Cina.
Infine, con l’Accordo cino-giapponese, il Giappone rinuncia allo Shantung, ma mantiene il controllo
sulle ferrovie nella Manciuria.

LA CONFERENZA DI GINEVRA

Se mentre sul disarmo navale è possibile concludere un accordo, è molto difficile raggiungere un
compromesso per il disarmo terrestre. Negli anni ’20 si riuniscono delle commissioni, ma solo nel
1932 la Conferenza di Ginevra sul disarmo inizia i propri lavori. La Germania è l’unica potenza
disarmata. La Francia propone un progetto che prevedeva la riduzione qualitativa e quantitativa degli
armamenti, che subordinava alla creazione di un sistema di garanzie affidato alla Società delle Nazioni:
la Francia ripropone il protocollo di Ginevra del 1924.
La Germania, che partecipa ai lavori, richiede la parità e il diritto a riarmarsi, partendo dal
presupposto che nessuna potenza ha disarmato. Questa richiesta si scontrerà contro l’opposizione
francese. Tuttavia, il trattato di Rapallo che la Germania aveva concluso nel 1922 con l’Unione
Sovietica, prevedeva che la Germania potesse riarmarsi in territorio sovietico. Hitler partecipa ai lavori
di Ginevra, finché nell’ottobre 1933 la questione di disarmo si conclude con un nulla di fatto e Hitler
decide di uscire dalla Società delle Nazioni. La Germania ci era entrata solo nel 1926. Le potenze
europee si dimostrano disponibili fino all’ultimo, ma ormai è tardi.

LA CRISI DEL ’29

L’equilibro di Versailles non resse allo sconvolgimento che seguì al crollo di Wall Street. La crisi, che ha
origine per motivi intrinseci al mercato americano, scoppia nel 1929. Si presenta come una crisi legata
al crollo dei valori in Borsa, che determina un’ondata di panico generalizzato che lo stato americano
non riuscì ad arginare. La crisi era iniziata come una crisi finanziaria provocata da un eccesso di
speculazione che aveva fatto salire il prezzo dei titoli in Borsa, ma la crisi da finanziaria divenne
economica e provocò una catena di fallimenti bancari e industriali, il rallentamento dell’economia e
una disoccupazione elevatissima.
L’aspetto più caratteristico delle reazione americana alla crisi è il fatto che si eressero barriere
tariffarie e venne attuato il protezionismo. Lo Smoot-Hawley Tariff Act innalza le barriere doganali
americane. Di fatto, da questo momento il governo americano intende proteggere il proprio mercato e
soprattutto non si vuole più interessare dell’Europa: lo slogan è “America first”.
Nel 1932 arriva alla Casa bianca il democratico Franklin Delano Roosevelt, che rimarrà in carica per
ben 4 mandati. Sul piano economico, Roosevelt appoggia le teorie keynesiane, alla base del New Deal,
una combinazione di interventi pubblici e di misure assistenziali per alleviare le situazioni più gravi.

20
Grazie al New Deal, si assiste a un lento recupero dell’economia americana. Sul piano di politica estera,
si forma una frattura fra Stati Uniti ed Europa.
Nel corso degli anni ’30 c’è la critica nei confronti dell’Europa, che non ha pagato i debiti e ha costretto
gli USA a entrare in guerra. Questa svolta isolazionista si ha attraverso una serie di leggi ripetutamente
emanate che si chiamano Neutrality Act: esse stabiliscono che gli USA non vogliono essere coinvolti nei
conflitti che scoppiano nel resto del mondo. Si genera una vera e propria frattura tra le due sponde
dell’Atlantico.
La crisi nasce negli Stati Uniti, ma si propaga molto velocemente in Europa, soprattutto in Austria e
Germania. Il caso austriaco è drammatico: la più grande banca austriaca fallisce e si ha l’intervento
della Società delle Nazioni per cercare di salvarla. Nel momento in cui la crisi si propaga, Germania e
Austria propongono formalmente un’unione doganale, che viene vista dalle altre nazioni europee come
un modo tortuoso per aggirare il divieto di Anschluss. Nel 1931 la richiesta di creare un’unione
doganale tra Germania e Austria viene prima sottoposta alla Società delle Nazioni, poi alla Corte
Internazionale di Giustizia dell’Aja e infine vietata. La Germania che si trova a fronteggiare una crisi
produttiva ed economica e una fortissima disoccupazione. La crisi economica è una delle ragioni che
ha portato al potere Hitler, che porta avanti una politica di grandi investimenti sulle infrastrutture e
sugli armamenti. Anche la Cecoslovacchia è colpita dalla crisi. La Gran Bretagna ha una posizione
particolare: la sterlina detiene un ruolo centrale, in quanto è l’unica moneta convertibile in oro, è un
bene rifugio. Travolta dalla crisi, la Gran Bretagna sospende la convertibilità aurea ponendo termine al
gold standard nel 1931. Nel 1932, in occasione della Conferenza di Ottawa, viene creato il
Commonwealth, attraverso cui la Gran Bretagna intrattiene dei rapporti commercial preferenziali con
tutti i propri dominions.
I paesi colpiti dalla crisi non riescono a trovare unità d’intenti: ciascuno risponde innalzando barriere
protezionistiche e creando sistemi autarchici, sperando che il mercato avrebbe riequilibrato
l’economia. Conseguenza delle crisi è il rafforzamento delle forze di estrema destra. L’unico paese non
toccato dalla crisi è l’Unione Sovietica, completamente isolata, che negli anni ’30 vive una grande
crescita sul piano industriale.

L’ASCESA AL POTERE DI HITLER

L’arrivo al potere di Hitler segnò lo sgretolamento e il crollo del sistema di Versailles. Tuttavia, il primo
esempio di smantellamento avviene al di fuori dell’Europa, in Estremo Oriente, per iniziativa
giapponese. Il Giappone approfitta della grave situazione internazionale e nel 1931, utilizzando il
diritto di controllo della ferrovia in Manciuria, delle forze militari giapponesi occupano tutta la
Manciuria, approfittando del fatto che il governo cinese debole. Viene creato uno stato fantoccio, il
Manciukuò, a cui capo viene messo l’ex imperatore cinese Pu Yi. La Cina si rivolge alla Società delle
Nazioni, perché è stata aggredita da una terza potenza, ma la Società si limita a inviare la commissione
Lytton. Il Giappone esce dalla Società delle Nazioni nel 1933 senza che le altre potenze alzino un dito
contro questa situazione.
Hitler era nato in Austria, in un ambiente impregnato di antisemitismo, pangermanesimo e ostilità alla
cultura liberal-democratico. Ferito sul fronte francese, egli impersonificava il ruolo del vendicatore
della Germania sconfitta. Diversamente da Mussolini, Hitler aveva un programma di politica estera
descritto nel Mein Kampf, che aveva scritto mentre si trovava in prigione dopo tentativo di colpo di
stato a Monaco nel 23.
Nel Mein Kampf, Hitler descrive il disegno che voleva realizzare: portare il popolo eletto verso la
salvezza dal dominio della finanza ebraica e celebrare così la civiltà europea. Questo progetto si
doveva realizzare attraverso una serie di tappe: liberare la Germania dai vincoli posti dal trattato di
Versailles; riunire tutti i popoli tedeschi nel Terzo Reich, riprendendo il modello pangermanista;
costruire uno spazio vitale tedesco in Europa, assoggettando i popoli slavi dell’Europa orientale, che
per lui costituivano una razza inferiore. In Europa orientale, poi, avrebbe potuto reperire rifornimenti
alimentari ed energetici per il conseguimento di questo disegno e per distruggere l’URSS. Per ottenere
questi obiettivi Hitler giudicava necessaria la contrapposizione diretta alla Francia, mentre riteneva di
poter raggiungere un accordo con la Gran Bretagna.

21
L’ascesa al potere di Hitler è collegata alla crisi economica che scoppia in Germania dopo la crisi
americana. A partire dal 1930, il partito nazista cresce fortemente alle elezioni politiche, e nel 1932
diventa il partito di maggioranza relativa. La crisi della Repubblica di Weimar era evidente: la forte
instabilità politica apre la strada per l’arrivo al potere di Hitler in modo pacifico. Il presidente della
repubblica Hindenburg nomina il 30 gennaio 1933 Hitler cancelliere. Viene creato un governo di
coalizione, in cui, oltre a lui, ci sono solo due nazisti, sperando così di riuscire a contenerlo, ma Hitler
non aveva intenzione di lasciarsi contenere.
Nel 1933 c’è l’episodio dell’incendio del Reichstag per cui fu accusato partito comunista. Tra il 1933 e il
1934 Hitler è molto cauto sul fronte internazionale e si concentra sul fronte politico interno, per
affermare la sua indiscussa egemonia sul partito nazista e in Germania. In seguito alla morte di
Hindenburg, unifica la carica del presidente della repubblica e quella del cancelliere, oltre a eliminare
le forze politiche a lui contrarie. Iniziano le prime persecuzioni: in occasione della “notte dei lunghi
coltelli”, il 30 giugno 1934, vengono brutalmente assassinati gli ufficiali delle SA (i reparti paramilitari
delle truppe naziste), oppositori di Hitler.
Tra il 1933 e 1934 Hitler è molto cauto sul fronte internazionale per non allarmare le potenze europee
nei suoi confronti. Il suo primo obiettivo era liberarsi dei vincoli imposti alla Germania dal trattato di
Versailles. Il primo atto di Hitler sul piano internazionale è quello relativo alla partecipazione tedesca
alla conferenza sul disarmo. Hitler partecipa alla Conferenza di Ginevra, mantenendo un atteggiamento
calmo e tenendo discorsi incoraggianti, ma nell’ottobre 1933 abbandona i lavori; subito dopo la
Germania lascia anche la Società delle Nazioni, annunciando di fatto che iniziava a riarmare. La Società
delle Nazioni aveva già perso il Giappone, ora perdeva la Germania, indebolendosi ulteriormente.
Hitler è ancora moderato sul piano internazionale: la sua moderazione è dimostrata dal fatto che nel
gennaio 1934 firma il Trattato di non aggressione con la Polonia. La Polonia era schiacciata tra due
potenze ugualmente minacciose per la sua sopravvivenza; firmando il trattato, sperava di ritardare
l’invasione tedesca e rafforzare il sistema di garanzie con la Francia.
Nel luglio 1934 in Austria c’è il tentativo di colpo di stato attuato dal partito nazista austriaco, che non
ebbe successo, ma portò alla morte di Dollfuss. Hitler dichiarò che non c’entrava nulla col colpo di
stato; tuttavia, è logico pensare che ne fosse a conoscenza. La Francia non reagisce al tentativo di colpo
di stato. Mussolini invia due corpi di armata al Brennero, un monito che lancia a Hitler per dimostrare
che l’Italia era il garante dell’indipendenza austriaca.
Mussolini, quando nel 1932 capisce che gli equilibri europei stanno cambiando, riassume la carica di
ministro degli Esteri, dopo Dino Grandi, e la mantiene fino al 1936, quando nomina ministro suo
genero Galeazzo Ciano, noto filotedesco. Mussolini capisce che il ruolo dell’Italia nello scacchiere
europeo sta cambiando: si parla di “politica del peso determinante” dell’Italia.
Nel giugno 1933 Mussolini lancia la proposta del Patto a quattro: l’obiettivo era quello di creare un
direttorio europeo, composto da Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania, che avrebbe dovuto fare
concessioni a Hitler al fine di contenerne il revisionismo. Il progetto non ebbe successo: nel luglio 1933
venne firmato, ma non fu mai ratificato, perché travolto dalla decisone tedesca di uscire dalla
conferenza per il disarmo e dalla Società delle Nazioni.
Nel gennaio 1935 vengono firmati gli accordi Mussolini-Laval: si tratta di accorci molto ampi, che
prendevano in considerazione questioni tra l’Italia e la Francia, come lo status dei cittadini italiani
residenti in Tunisia, e riconoscevano il reciproco interesse alla stabilità dell’Europa centrale; inoltre,
prevedevano la consultazione in caso di minaccia all’indipendenza o all’integrità dell’Austria.
L’aspetto più importante degli accordi di Roma riguarda l’Etiopia. Mussolini, attraverso questo
accordo, intendeva ottenere dalla Francia mano libera alla propria campagna militare in Etiopia. Laval,
successivamente, affermò che non aveva mai concesso mano libera all’Italia; al contrario, la Francia
aveva solo riconosciuto un’influenza di natura economica in Etiopia. Questa diversa interpretazione
che viene data agli accordi dipese dal fatto che all’incontro parteciparono solo Mussolini, Laval e il
sottosegretario dagli Esteri italiano Suvich, che fece un resoconto molto sintetico degli accordi: questo
dette modo a tutte e due le parti di dare un’interpretazione diversa.
Nel corso degli anni ‘20 la Francia aveva cercato di rafforzare li sistema di sicurezza collettivo europeo
attraverso delle alleanze con i paesi antirevisionisti e attraverso la Società delle Nazioni. A partire dagli
anni ‘30, in particolare dal 1932 con la morte di Briand, la crisi economica e finanziaria arriva in
Francia: ciò provoca molta instabilità ai governo della Terza Repubblica. La Francia attua una serie di
iniziative, ma non è in grado di rinnovare diplomaticamente il sistema di sicurezza creato negli anni
22
’20, tanto che Duroselle definisce la politica francese col sinonimo di “decadenza”, a indicare che la
Francia assume un atteggiamento passivo, identificato dalla costruzione della linea Maginot.
Nel 1934 il ministro degli Esteri francese cerca di rinnovare la politica estera. Louis Barthou, che aveva
letto il Mein Kampf, era consapevole che il pericolo per la franca era rappresentato dalla Germania e
che si doveva creare un cordone sanitario con i paesi con cui la Francia non aveva ancora stipulato
accordi per fermare revisionismo tedesco. Egli indirizza la politica estera ad un accordo con l’Unione
Sovietica, che sta vivendo in questo periodo una grossa ricostruzione sul piano economico e
industriale con i piani quinquennali attuati da Stalin, e tutto questo a spese della popolazione, che
viene spostata sull’immenso territorio sovietico per andare a lavorare dove c’erano le industrie, in
un’atmosfera di terrore generalizzato.
Dalla metà degli anni ’30 il terrore diventa un fenomeno capillare della politica staliniana, uno
strumento di governo, un metodo che raggiunge l’apice tra 1937 e 1938 quando Stalin elimina gli
oppositori, arrivando a decapitare l’Armata rossa dei suoi ufficiali. Stalin capisce che l’URSS può essere
accerchiata e questi cambiamenti sulla scena europea rafforzano il senso di insicurezza. Ciò porta
Stalin a cercare d’inserire l’Unione Sovietica nel sistema di sicurezza europeo. L’URSS cerca di trovare
una accordo con gli altri paesi europei e nel 1934 entra nella Società delle Nazioni.
Nel maggio 1935 Francia e Unione Sovietica firmano un accordo di mutua assistenza, che prevede la
consultazione e l’aiuto in caso di aggressione non provocata da parte di uno stato europeo. Affinché il
Patto di mutua assistenza scattasse, era necessario che l’aggressione fosse riconosciuta come tale dal
Consiglio della Società delle Nazioni: l’aiuto non era quindi immediato. L’ipotesi prevedibile era quella
di attacco tedesco alla Francia. L’accordo era completato da un protocollo esteso alla Cecoslovacchia.
Tuttavia, nel caso di aggressione alla Francia da parte della Germania, le truppe sovietiche avrebbero
dovuto passare per la Poloni, che non avrebbe mai dato il suo consenso molto facilmente. L’accordo
presentava quindi delle ambiguità e una scarsa possibilità di essere applicato.
Se il 1933 e il 1934 sono gli anni in cui Hitler rimane cauto, dal 1935 Hitler inizia lo smantellamento
del sistema di Versailles. Intanto, nel gennaio 1935, come previsto dal trattato di Versailles, si tiene un
plebiscito che stabilisce il ritorno della Saar alla Germania: il 90% della popolazione vota a favore del
ritorno alla Germania.
Nel 1935 ci fu un’aperta violazione del trattato di Versailles con l’annuncio del ripristino della
coscrizione militare obbligatoria. Nell’aprile 1935 Francia, Italia e Gran Bretagna si riuniscono a Stresa
e dichiarano la loro determinazione a opporsi con tutti i mezzi possibili a qualsiasi ripudio unilaterale
dei trattati di pace che potesse mettere in pericolo la pace europea: si forma il “fronte di Stresa”, che
tuttavia non è così forte contro il revisionismo tedesco. Due mesi più tardi la Gran Bretagna lo
dimostra con la stipulazione, nel giugno 1935, di un accordo sul riarmo navale con la Germania, a cui
gli inglesi concedono di poter arrivare a possedere una forza navale pari al 35% della flotta britannica:
è il riconoscimento britannico del riarmo tedesco. Si tratta del primo esempio evidente
dell’appeasement, termine che identifica la politica britannica nei confronti del revisionismo hitleriano:
Neville Chamberlain ne sarà il massimo rappresentante. Già nel giugno 1935, di fatto, l’Inghilterra è la
principale autrice della rottura del fronte di Stresa.
Questo è un segnale che Hitler è pronto a cogliere, e lo dimostra chiaramente nel marzo 1936, nel
momento in cui Hitler viola un’altra noma del trattato di Versailles e degli accordi di Locarno: decide di
rimilitarizzare la Renania, cioè quella fascia di territorio lungo il fiume Reno che era previsto fosse
smilitarizzata. Anche di fronte a una violazione così palese del trattato, la reazione delle potenze
europee è di assoluta passività. Hitler manda 30000 soldati in Renania, una forza non massiccia. La
Francia avrebbe potuto intervenire, ma non lo fece: è il simbolo che la Francia ha un processo di
declino di fronte alle iniziative aggressive che Hitler compie sullo scacchiere europeo.

LA QUESTIONE D’ETIOPIA

Nel 1935 ha inizio la guerra d’Etiopia e nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola. In occasione della
guerra civile spagnola si crea un fronte antifascista e antinazista che anticipa il sistema di alleanze che
si forma all’indomani dello scoppio della seconda guerra mondiale. La guerra d’Etiopia segna l’inizio
del graduale avvicinamento dell’Italia alla Germania, ma si può considerare come un tipico esempio di
politica coloniale del passato compiuta dall’Italia. L’impresa era in preparazione da alcuni anni e
23
l’occasione viene data all’Italia da uno scontro tra truppe italiane e bande provenienti dall’Etiopia nella
zona di Ual-Ual, tra la Somalia e la provincia dell’Ogaden. Questo episodio porta Mussolini a decidere di
conquistare l’Abissinia. Mussolini aveva preparato diplomaticamente questa operazione militare con
gli accordi Mussolini-Laval.
L’atteggiamento inglese era ambiguo: la Gran Bretagna tendeva a vedere l’attivismo italiano nel
Mediterraneo come qualcosa che poteva contrastare gli interessi inglesi. In Gran Bretagna assistiamo
alla presenza di politici appartenenti al partito conservatore, di nuovo al potere dal 1935, che, tra
Hitler e Mussolini, tendevano a vedere in quest’ultimo il principale pericolo.
L’Etiopia era un membro della Società delle Nazioni: l’Italia stessa l’aveva fatta entrare perché nessun
paese potesse accaparrarsela. L’Abissinia chiede che la Società delle Nazioni reagisca e intervenga, dal
momento che un altro membro della Società l’aveva attaccata. Il caso dell’Etiopia viene ricordato come
un esempio del fallimento della Società delle nazioni, che emette delle sanzioni di natura economica
nei confronti dell’Italia, ma si tratta di sanzioni che non sono estese a prodotti importanti come il
petrolio e non viene chiuso il canale di Suez. Le sanzioni della Società delle Nazioni non riescono a
bloccare l’azione di Mussolini.
C’è anche un tentativo, portato avanti da Francia e Gran Bretagna nel dicembre 1935, di arrivare ad
una soluzione diplomatica: il piano Hoare-Laval, che prometteva all’Italia i due terzi dell’Etiopia.
Quando questo piano, che doveva rimanere segreto, viene reso noto sulla stampa francese, scatena
un’ondata d’indignazione da parte dell’opinione pubblica europea e di fatto Mussolini viene lasciato
solo per procedere alla conquista dell’Etiopia. Nel maggio 1936 Vittorio Emanuele III viene incoronato
imperatore d’Etiopia.
L’impresa d’Etiopia pota Mussolini a una condizione d’isolamento sul piano internazionale.
L’isolamento in cui si trova Mussolini viene sfruttato da Hitler, che inizia a tentare di far entrare l’Italia
nell’orbita tedesca, riconoscendo l’Impero d’Etiopia e non partecipando alle sanzioni. Nel gennaio
1936 Mussolini riceve l’ambasciatore tedesco von Hassell a Roma e gli comunica che il fronte di Stresa
è ormai morto e che la posizione italiana verso l’Austria è cambiata. Mussolini è cosciente che se vuole
avvicinarsi alla Germania deve rinunciare a garantire l’indipendenza austriaca, paese cerniera per
l’Europa centrale.

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA

Un altro esempio di collaborazione tra Italia e Germania si ha in occasione della guerra civile spagnola.
Questa, molto più dell’occupazione dell’Etiopia, rappresenta una svolta degli equilibri europei. Nel
febbraio 1936 le elezioni politiche spagnole sanciscono la vittoria del fronte popolare, vale a dire di
una coalizione di forze di sinistra che dà vita a un governo contro il quale esplode nel luglio un
pronunciamento, una ribellione da parte di alcuni reparti dell’esercito spagnolo che si trovava in
Marocco, alla cui guida si pose Francisco Franco.
Dal Marocco, Franco fa approdare la rivolta contro il governo repubblicano di Madrid in Spagna,
sostenuto dai partiti conservatori e dal movimento filofascista della Falange. Ha così inizio una guerra
civile sanguinosissima che sarebbe proseguita fino al 1939 e che avrebbe portato alla vittoria delle
forze franchista. Franco avrebbe dato vita ad una dittatura durata fino al 1975.
Si crea una collaborazione tra Germania e Italia a sostegno delle forze franchiste. La Germania sostiene
Franco utilizzando la guerra civile per sperimentare nuovi armamenti, aerei, sommergibili e uomini,
anche se non impiega più di 10000 soldati. Diverso è l’impegno italiano: Mussolini invia un centinaio di
navi, cannoni, aerei e soprattutto 50000 “volontari”. Alcuni teorici ipotizzano che Franco avesse
promesso all’Italia le Baleari, ma in realtà Mussolini decise di inviare cosi tanti militari per
considerazioni di natura geopolitica: se avessero vinto le forze democraticamente elette, ci sarebbe
stato un governo di fronte popolare, come in Francia, e Mussolini temeva di confinare con dei governi
di sinistra.
La Francia, in un primo momento, invia subito degli armamenti, ma ben presto assume un
atteggiamento passivo e si avvicina molto alla posizione britannica, tanto che Francia e Gran Bretagna
avrebbero promosso la “politica del non intervento” nella guerra civile spagnola, aperta a tutte le
nazioni europee.

24
L’URSS, benché formalmente Stalin avesse aderito alla politica di non intervento, appoggia la
formazione delle brigate internazionali, composte da antifascisti provenienti da tutta Europa.
Un altro esempio del graduale avvicinamento tra Italia e Germania viene testimoniato da un altro
avvenimento del 1936: l’Asse Roma-Berlino. Galeazzo Ciano compie una visita in Germania e negozia
l’asse: con un discorso a Milano nel novembre 1936 Mussolini annuncia la nascita di quest’asse
intorno, al quale possono partecipare tutti gli stati europei, armati dalla volontà di collaborazione e
pace. L’asse non è ancora alleanza, ma un importante avvicinamento, che poi è ulteriormente
rafforzato dall’adesione italiana nel novembre 1937 al Patto anticomintern, stipulato tra Germania e
Giappone nel 1936 in funzione antisovietica. Nel settembre 1937 Mussolini fa un viaggio in Germania
in cui rimane stupito dalla propaganda hitleriana e dalla forza militare tedesca.
In questi anni Mussolini sigla anche due accordi con la Gran Bretagna: il Gentlemen’s agreement, nel
gennaio 1937, per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo, e poi gli accordi di Pasqua
nell’aprile 1938, che fissano una serie di aspetti, fra cui le influenze in Etiopia, e con cui Mussolini
s’impegna a non chiedere nessuna contropartita a Franco e a ritirare le proprie forze dalla Spagna.

L’ANSCHLUSS

Il 1937 passò senza che la Germania tentasse nuovi colpi di scena. Tuttavia, proprio nel novembre di
quell’anno ebbe luogo una conferenza segreta tra Hitler e tutti i suoi più stretti collaboratori. Uno dei
partecipanti, il colonnello Hossbach, redasse il resoconto di questa riunione, e proprio il riassunto di
quello che Hitler affermò verrà utilizzato durante il processo di Norimberga per testimoniare la
premeditazione del disegno bellico hitleriano.
Hitler indicò quelli che erano i futuri obiettivi strategici della Germania, che avrebbe dovuto risolvere
il problema del proprio spazio vitale tra il 1943 e il 1945, dal momento che le risorse tedesche non
potevano sostenere all’infinito lo sforzo di riarmo. Hitler indicò le direzioni precise dell’azione tedesca:
affermò che sarebbe stato necessario soggiogare l’Austria, la Cecoslovacchia e la Polonia già dall’anno
successivo (1938), in maniera tale che la Germania si trovasse in una posizione di vantaggio rispetto
alle proprie antagoniste. Oramai la guerra era nell’aria e Hitler sapeva che l’Anschluss era cosa fatta,
perché le potenze europee non avrebbero reagito. Mussolini sa bene che il prezzo da pagare per
entrare nell’orbita tedesca è rinunciare all’indipendenza austriaca.
Il governo austriaco, guidato dal cancelliere Shuschnigg, dovette fronteggiare un’opposizione da parte
del partito nazista, che si fa sempre più violenta. Shuschnigg incontrò Hitler nel febbraio 1938, ma fu
ricoperto d’insulti. Egli allora tentò un’iniziativa che avrebbe potuto salvare l’indipendenza l’austriaca:
organizzò un plebiscito per il 13 marzo 1938, ritenendo che la popolazione avrebbe votato a favore del
mantenimento dell’indipendenza. Questo imprevisto fece infuriare Hitler, che cercò d’imporre al
presidente austriaco la nomina di un nuovo cancelliere, Seyss-Inquart.
Il presidente austriaco si dimette e Seyss-Inquart prende il potere. Egli chiede immediatamente che le
truppe tedesche occupino l’Austria, ma non c’è un confitto: il 13 marzo si ha un intervento pacifico
delle truppe tedesche in Austria, che viene cosi cancellata dalla cartina geografica dell’Europa.
La reazione delle potenze europee è di assoluta passività. Nei confronti del problema hitleriano la Gran
Bretagna adotta a partire dal 1933 una politica dell’appeasement, cioè di pacificazione. L’appeasement
non è solo passività: in realtà si tratta di un modo per cercare di venire incontro al revisionismo
tedesco negoziando diplomaticamente con l’obiettivo di mantenere la pace. La Gran Bretagna non era
pronta per un conflitto: con l’appeasement c’è il tentativo di ritardare il più possibile l’eventuale
scoppio di una guerra. L’opinione pubblica inglese era fortemente pacifista e i politici inglese dovevano
tenerne conto. Un esempio di appeasement si ha già con l’accordo navale anglo-tedesco del giugno
1935, che fa fallire il fronte di Stresa dell’aprile. Il principale autore dell’appeasement è Neville
Chamberlain, che diventa primo ministro nel maggio 1937 ed è un conservatore.

LE CRISI CECOSLOVACCHE

L’episodio che viene sempre ricordato come esempio dell’appeasement e dell’incapacità europea di
bloccare Hitler è la Conferenza di Monaco relativa ai Sudeti, una regione della Cecoslovacchia. I Sudeti

25
interessavano a Hitler perché erano quasi interamente abitati da tedeschi. Ciò rientrava nell’obiettivo
di riunire tutti i popoli tedeschi sotto il Terzo Reich. Hitler utilizza un movimento autonomistico che
chiedeva la separazione dei Sudeti dalla Cecoslovacchia, con a capo Conrad Henlein, che inizia a
esercitare una pressione sempre più forte nei confronti del governo di Praga.
A differenza di quanto successo con l’Austria, assistiamo ad un grande attivismo diplomatico sul piano
internazionale, soprattutto da parte di Chamberlain, che esercita una sorta di “diplomazia della
navetta”. In una serie di incontri con Hitler viene sommerso dalla sua aggressività verbale e si trova di
fronte a richieste sempre più pressanti. La questione viene risolta con la Conferenza di Monaco del 29-
30 settembre 1938, in occasione della quale Hitler, Mussolini, Chamberlain e il primo ministro
francese Daladier prendono una decisone riguardo ai Sudeti senza che la Cecoslovacchia fosse
ammessa a partecipare. Non partecipa nemmeno l’URSS. Per Stalin questo è un segnale importante
della volontà delle potenze europee di indirizzare sempre di più il revisionismo tedesco verso l’Unione
Sovietica.
A Monaco viene stabilito che a partire dal primo ottobre la Germania avrebbe iniziato ad occupare i
Sudeti e che quindi la Cecoslovacchia avrebbe dovuto abbandonare questo territorio. Chamberlain fece
firmare a Hitler un documento in cui s’impegnava a mantenere la pace in Europa; anzi si presentava in
questo documento l’intesa di Monaco come la base del mantenimento della pace in Europa.
Finora Hitler si è rivolto a territori abitati da popolazione tedesca. Gode di una libertà di manovra
come mai aveva avuto prima, e già nell’ottobre 1938 si rivolge alla Polonia. Chiede che la Polonia
restituisca alla Germania la città di Danzica e che vengano costruite una linea ferroviaria e
un’autostrada che collegassero la Germania alla Prussia orientale.
Hitler non si ferma ai Sudeti e tra settembre e il marzo 1939 si assiste alla dissoluzione della
Cecoslovacchia dalla cartina geografica dell’Europa. La Cecoslovacchia univa popolazioni che ben poco
avevano in comune. La Slovacchia si dichiara subito autonoma e viene formato un governo guidato da
Tiso, che diventerà un fantoccio nelle mani di Hitler. I paesi confinanti con la Cecoslovacchia
approfittano di questo momento per rivendicare alcuni territori: la Polonia occupa la città di Teschen,
e l’Ungheria il territorio della Rutenia subcarpatica. Hitler occupa anche la Boemia e Moravia e vi crea
un protettorato. La Cecoslovacchia di fatto scompare dalla cartina dell’Europa. Stavolta Hitler non si
limita ad annettere territori abitati da tedeschi, ma si muove su realtà create in seguito alla prima
guerra mondiale.
Il 31 marzo 1939 Chamberlain pronuncia un discorso alla camera dei Comuni in cui afferma che se la
Germania avesse attaccato la Polonia, la Gran Bretagna e la Francia sarebbero accorse in suo aiuto. È la
fine dell’appeasement, ma in realtà rimane un equivoco, perché non parla di integrità territoriale della
Polonia, bensì d’indipendenza. La Gran Bretagna lasciava così ancora aperto lo spiraglio di un
negoziato a Hitler.
La Francia abbandona tutto il sistema di alleanze creato negli anni ’20 e il suo punto di riferimento è la
Gran Bretagna dell’appeasement, politica che la Francia subisce passivamente. Si limita a rinnovare il
trattato con la Polonia, precisando che in caso di attacco tedesco contro la Polonia, l’esercito francese
avrebbe iniziato l’offensiva contro la Germania solo 15 giorni dopo l’inizio delle operazioni militari.

IL PATTO D’ACCIAIO

Hitler aveva attuato l’Anschluss senza nemmeno avvisare Mussolini, che viene informato solo a cose
fatte. Mussolini dovette fare buon viso a cattivo gioco. Egli sapeva che l’Anschluss era il prezzo da
pagare per l’amicizia con la Germania. Il Patto d’Acciaio viene concordato tra il marzo e l’aprile 1939,
dopo la dissoluzione della Cecoslovacchia, anche se già nel 1938 Mussolini emana le leggi razziali.
L’Italia decide di formare un’alleanza militare con la Germania perché Mussolini si rende conto che lo
spazio di manovra italiano si è notevolmente ridotto.
Prima di firmare il Patto d’Acciaio, Mussolini compie un’azione che vuole dimostrare ruolo grande
potenza dell’Italia: nell’aprile 1939 occupa l’Albania, senza informare precedentemente Hitler.
Il Patto d’Acciaio viene firmato il 22 maggio. Viene negoziato da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri
dal 1936. È un’alleanza militare, ma molto vincolante per l’Italia, perché viene stabilito sì il principio di
una consultazione reciproca su tutte le principali decisioni di politica estera, ma l’articolo 3 cita: “Se
una delle due parti dovesse essere in guerra, l’altra parte si porrà immediatamente al suo fianco e la
26
sosterrà con tutte le sue forze militari”. Non era un’alleanza difensiva, ma offensiva: l’Italia si vincolava
ad entrare in guerra anche qualora la Germania avesse attaccato una terza potenza.
Il fatto che Mussolini si rendesse conto di quanto era vincolante l’alleanza è dimostrato dal Memoriale
Cavallero, documento che il Duce scrive pochi giorni dopo la firma del patto e che invia a Hitler per
mettere in luce che l’Italia non sarebbe stata pronta ad una guerra prima del 1943. Hitler si guarda
bene dal rispondere al Memorale: ha già ottenuto quello che voleva.
Ambasciatore a Berlino era Bernardo Attolico, che dal mese di agosto inizia a mandare continui
dispacci a Mussolini per informarlo che la Germania stava effettuando un’impressionante processo di
riarmo e che mobilitava le truppe al confine con la Polonia. Mussolini considera Attolico un allarmista
e soltanto il 25 agosto 1939 Ciano si renderà conto che oramai la guerra è imminente e farà il possibile
per sganciare l’Italia dall’alleanza. Mussolini invia una lettera a Hitler che contiene una lista delle
materie prime necessarie all’Italia per entrare in guerra (la “lista molibdeno”).

L’ACCORDO MOLOTOV-RIBBENTROP

L’URSS non partecipa alla Conferenza di Monaco e Stalin interpreta il fatto di non essere ammesso
come l’espressione della volontà del capitalismo occidentale di dirigere l’aggressività hitleriana contro
l’Unione Sovietica.
Nel corso degli anni ’30 Stalin aveva svolto una politica estera sostanzialmente bifronte. Percepiva
l’avvicinarsi del pericolo tedesco. Per questo motivo s’inserì nel sistema di sicurezza europeo,
entrando nella Società delle Nazioni nel 1934 e firmando il Patto di mutua assistenza con la Francia nel
1935. Il fatto di entrare nel sistema di sicurezza europeo non impedisce a Stalin di inviare alla
Germania dei segnali di ripresa dei rapporti dopo il trattato di Rapallo. Hitler non prende in
considerazione l’ipotesi di un accordo con l’Unione Sovietica fino al 1938-39, anche perché non aveva
paura dell’URSS da un punto di vista militare, visto che le purghe staliniane avevano decimato gli
ufficiali dell’Armata rossa.
Contemporaneamente Stalin porta avanti un negoziato con la Francia e la Gran Bretagna, ma i
negoziati si trascinano faticosamente tra maggio e luglio 1939 e non arrivarono a un risultato
concreto. In realtà Gran Bretagna e Francia non avrebbero mai potuto dare a Stalin quello che ottenne
da Hitler. Hitler colse di sorpresa tutte le potenze europee quando il 23 agosto 339 stipula un patto di
non aggressione con l‘Unione Sovietica. Le due potenze si impegnavano ad astenersi dal lanciare una
attacco l’una nei confronti dell’altra.
Le motivazioni che spingono Hitler a firmare il patto sono ovvie: vuole evitare una guerra su due
fronti, una paura che la Germania ha sempre avuto. In questo momento Stalin ha una grande libertà di
azione e può scegliere con chi concludere un accordo. Le ragioni della sua decisione di firmare il patto
con la Germania si hanno non tanto nel patto di non aggressione, quanto in una serie di protocolli
segreti collegati al patto che furono portati alla luce dagli americani nel 1949, ma che i sovietici
negarono e resero noti solo nel 1991. Germani e Unione Sovietica si spartiscono di fatto l’Europa
centrale. Il primo punto stabiliva che Estonia e Lettonia sarebbero entrate nella sfera d’influenza
sovietica; il secondo punto fissava la sparizione della Polonia, lungo la linea dei fiumi Narew, Vistola e
San; il terzo punto riguardava l’interesse sovietico per la Bessarabia; infine, il quarto punto affermava
la segretezza di questi protocolli. Stalin ottiene di costruirsi un cordone sanitario conto un futuro
attacco tedesco. Molti storci russi hanno giustificato il patto sostenendo che Stalin era consapevole del
fatto che l’URSS non era pronta militarmente e con quest’accoro sperava di ritardare la guerra.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Lo scoppio della guerra


La mattina del primo settembre 1939 le forze tedesche varcano il confine polacco. Il 2 settembre
l’Italia dichiara lo status di non belligeranza: l’Italia non è neutrale, rimane fedele alla Germania ma per
il momento non entra in guerra. Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla
Germania. Hitler parlò dell’intervento in Polonia come di un’operazione di polizia: la guerra lampo

27
ebbe grande successo e l’esercito tedesco travolse le truppe polacche. Il 26 settembre viene occupata
Varsavia e il governo fugge in esilio a Londra.
Dopo alcune esitazioni, l’URSS varca i confini con la Polonia e la invade: la sua gasificazione è difendere
le minoranze ucraine e bielorusse presenti in Polonia. Stalin è attento a ottenere quello che gli era
stato promesso col patto Molotov-Ribbentrop. Il 28 settembre 1939 gli accordi tra Germania e URSS
vengono completati da nuovi accordi segreti che stabiliscono che anche la Lituania entrasse nelle zone
d’influenza dell’Unione Sovietica. Questo segna il destino stati baltici, che di lì a poco verranno
occupati e perderanno la propria indipendenza – la riavranno dopo la fine della guerra fredda – e
verranno trasformati in satelliti dell’Unione Sovietica.
L’URSS dichiara guerra anche alla Finlandia e tra novembre e il marzo 1940 si ha la cosiddetta “guerra
d’inverno”. Stalin voleva mostrare i muscoli e la forza dell’esercito sovietico, ma al contrario
dimostrerà la scarsa preparazione delle forze sovietiche. La Società delle Nazioni, che non ha fatto
niente, si sveglia dal letargo e decreta l’espulsione dell’Unione Sovietica in seguito alla guerra russo-
finlandese.
Le truppe anglo-francesi non furono in grado di reagire alla guerra lampo, dando l’impressione che
Hitler avesse raggiunto i propri obiettivi. In questo clima il 6 ottobre 1939 Hitler lancia un’offensiva di
pace e tiene un discorso nel quale dichiara che oramai le esigenze tedesche sono soddisfatte ed è
pronto a negoziare con le potenze europee la ricostruzione dell’Europa, ma il tempo dell’appeasement
era finito: prevaleva la volontà di resistenza contro Hitler.

Il 1940
L’autunno e l’inverno 1939-40, a parte l’operazione in Finlandia, non vide altre iniziative militari in
Europa. Si parla di drôle de guerre, o guerra per burla, a indicare una fase in cui non ci sono grandi
operazioni militari sul continente europeo.
Nell’aprile 1940 c’è un’iniziativa di presa di potere contro Danimarca e Norvegia. Hitler si scatena
contro i paesi scandinavi per le forniture di ferro: quasi metà delle forniture necessarie alla Germania
per la guerra veniva estratto in Svezia e portato in Germania attraverso il porto norvegese di Narvik.
Inglesi e francesi avevano minato le acque norvegesi in modo da far uscire le navi tedesche allo
scoperto e Hitler presenta come azione difensiva. La Norvegia capitola due mesi dopo l’inizio delle
ostilità.
Il 10 maggio la Germania sferra un attacco contro la Francia, che prevede, da una parte,
l’attraversamento delle Ardenne, e, dall’altra, un attacco più a nord attraverso l’Olanda e il Belgio. La
strategia tedesca si rivelò di straordinaria efficacia. Nel frattempo in Gran Bretagna c’è un
cambiamento di governo: nel maggio diventa primo ministro Winston Churchill, conservatore, che ha
identificato la lotta contro la Germania nazista.
Il 10 giugno Mussolini decide di entrare in guerra al fianco della Germania. I tedeschi continuano
l’avanzata in Francia e il 14 giugno occupano Parigi. L’armistizio viene firmato dalla Francia il 22
giugno, sullo stesso vagone ferroviario che aveva visto l’armistizio tedesco alla fine delle prima guerra
mondiale. L’armistizio imposto alla Francia è particolarmente duro, ma le sue condizioni sono meno
severe del previsto. Viene stabilito che la Francia settentrionale venga occupata dalla Germania fino
alla Loira, mentre la Francia meridionale sarebbe rimasta sotto il controllo francese. Viene creato un
governo a Vichy, a capo del quale viene posto il maresciallo Pétain. La flotta francese sarebbe stata
concentrata in porti stabiliti; gran parte di essa si trovava presso Mers-el-Kebir e verrà distrutta dagli
inglesi perché non finisse in mano ai tedeschi. L’armistizio non diceva niente dei territori d’oltremare
(Africa, Asia, Indocina, Medio Oriente). Il processo di decolonizzazione parte proprio dall’esperienza
delle seconda guerra mondiale.
Charles De Gaulle costituisce il movimento France Libre e fugge a Londra. Da li avrebbe cercato di
ricostruire il comitato francese di liberazione nazionale. Churchill non riconoscerà mai il governo di
Vichy, mentre vede in De Gaulle l’esponente della Francia libera.

Il regime di Vichy
Nella Francia meridionale si crea un nuovo governo a Vichy, il cui presidente è il maresciallo Pétain.
Egli inizia una politica di attesa nei confronti della Germania, ma all’interno del governo ha delle

28
personalità collaborazioniste con Hitler. Fra queste ultime c’è Pierre Laval, che ricopre il ruolo di
ministro degli Esteri nel 1940 e quello di vice-primo ministro dal 1942 al 1944.
Churchill fu molto fermo: non riconobbe né l’armistizio francese, perché era stato concluso senza
l’assenso britannico, né l’autorità del governo di Vichy, riconoscendo al contrario nel Comitato
Nazionale per la Francia Libera, guidato da De Gaulle. l’erede della Terza Repubblica francese. Questa
opposizione influì molto sull’atteggiamento che Vichy ebbe verso la Germania nazista. Nel corso del
1940 si svilupparono varie forme di collaborazione, fra cui la concessione di basi aeree a Casablanca in
Marocco e la disponibilità all’utilizzo da parte delle forze tedesche dei porti francesi nel Mediterraneo
situati in posizioni strategiche. Sempre nel 1940, Laval presentò una nuova costituzione che cambiava
radicalmente in senso filonazista il carattere del governo di Vichy. Pétain incontrò due volte Hitler a
Montoire nei pressi della spagna il 22 e il 24 ottobre 1940.
Il 23 ottobre Hitler incontra Francisco Franco a Hendaye. Hitler cerca di convincere Franco a entrare in
guerra, perché aveva visto che la Gran Bretagna resisteva tenacemente al conflitto e aveva dato ordine
di costruire e rafforzare notevolmente la flotta per spostare il centro delle operazioni nel
Mediterraneo. Ciò vedeva come fondamentale l’ingresso in guerra della Spagna, che avrebbe
controllato Gibilterra. Franco era conscio della debolezza spagnola; inoltre, si rende conto che quella
che doveva essere una guerra-lampo si stava trasformando ed ha la percezione che sarebbe durata a
lungo. La missione di Hitler fallisce, perché Franco sceglie la strada della neutralità flessibile: promette
di entrare in guerra, ma non dà una data precisa. Per Hitler diventa quindi importante la
collaborazione del regime di Vichy.
Alla fine di ottobre Laval formalizza una vera e propria alleanza con la Germania, presentando a Hitler
un progetto di intesa, che però non avrà un esito positivo e costringerà Laval a dare le dimissioni. La
collaborazione tra Vichy e Germania raggiunge concretezza nel maggio 1941, quando uno dei
successori di Laval, Darlan, concluse degli accordi con la Germania concedendo l’uso dei porti di
Biserta in Tunisia, di Dakar in Senegal e delle basi in Siria e Libano. Questo accordo rappresentò di
fatto un allineamento attuato dal regime di Vichy sulle posizioni tedesche: si può parlare di
collaborazionismo.

L’ingresso in guerra dell’Italia


Il 10 giugno 1940, nel momento in cui la sconfitta francese appariva inevitabile, Mussolini pose fine
alle oscillazioni italiane e dichiarò guerra alla Francia. Questa decisione fu definita da Roosevelt “a stab
in the back” (una pugnalata nella schiena).
La non belligeranza italiana era passata attraverso due fasi distinte. Nelle prime settimane del conflitto
Mussolini aveva sperato che la guerra fosse una guerra-lampo. Quando questa speranza si spense, le
relazioni con la Germania conobbero una fase di declino che era legata la problema dei rifornimenti da
parte della Germania all’Italia. A causa del blocco navale imposto dalla Gran Bretagna, i rifornimenti
dovevano necessariamente arrivare per ferrovia, ma non erano degli ingenti quantitativi e Mussolini
chiedeva di più. Poi vi era il problema dei rapporti con l’Unione Sovietica. Italia e Germania avevano
firmato il Patto anticomintern, ma dopo il patto nazi-sovietico URSS e Germania erano diventate
alleate. In occasione della guerra d’inverno, Mussolini si schierò al fianco della Finlandia, dimostrando
il suo anticomunismo e anche una presa di distanza da Hitler.
Di fatto Mussolini temporeggiava, ma il fatto che non c’era il tempo per mantenere ancora questa
posizione fu messo in evidenza in una lettera del 10 marzo 1940 che Hitler scrisse a Mussolini. si
trattava di una lettera molto cruda, in cui il Fuhrer richiamava il Duce alla realtà della situazione,
affermava che la Gran Bretagna aveva deciso di combattere a fondo il nazismo e che bisognava
approfittare del momento propizio per cercare di conquistare il più possibile. Inoltre, in merito
all’URSS, Hitler scriveva che bisognava mettere da parte le questioni ideologiche e collaborare, e
soprattutto che era arrivato il momento di decidere se stare al fianco della Germania vincitrice o se
ridursi ad un ruolo subalterno come uno stato europeo di modeste pretese: indicava che gli spazi di
manovra erano terminati. Mussolini rimase colpito molto colpito, e il 31 marzo 1940 scrisse che l’Italia
non poteva rimanere neutrale senza squalificarsi e che bisognava sapere quando e come sarebbe

29
entrata in guerra. Il momento migliore per farlo fu quando la Francia stava per essere sconfitta, per
sedere al tavolo dell’armistizio.
Se la partecipazione italiana all’armistizio francese fu un effetto a breve scadenza del suo ingresso in
guerra, a lunga scadenza ebbe l‘effetto di allargare notevolmente il teatro delle operazioni. L’Italia
aveva delle colonie e aveva anche occupato l’Albania. Dalla Libia sarebbe partito nel settembre 1940 il
primo attacco diretto verso Alessandria d’Egitto. L’obiettivo era quello di poter arrivare a controllare
Suez. Apparve evidente l’impreparazione delle forze militari italiane, che avanzarono di alcuni
kilometri e quando si fermarono ci fu un’immediata controffensiva britannica. Un accordo del 1936
permetteva alla Gran Bretagna di avere delle truppe sul territorio egiziano a difesa di Suez.
Nel settembre 1940 viene firmato il Patto tripartito tra Germania, Italia e Giappone, che vincolava
questi tre paesi e stabiliva le reciproche sfere d’influenza: quella tedesca era in Europa, quella
giapponese era nel Sud-Est asiatico e nel Pacifico, mentre l’Italia avrebbe preso il posto della Gran
Bretagna nel Mediterraneo e in Africa.
Mussolini era stato alla cotante ricerca di sviluppare una guerra parallela che avrebbe avuto il compito
di controbilanciare i successi tedeschi. Quest’ambizione portò Mussolini ad aprire un fronte italiano e
il 28 ottobre 1940 mussolini attaccò la Grecia, sperando che i greci non avrebbero opposto resistenza.
I vertici militari esprimevano forti dubbi sull’operazione italiana, che dimostrò la debolezza
dell’esercito. La renitenza greca dette del filo da torce. Nel novembre 1940 l’Inghilterra attaccava la
base navale di Taranto. Da questo momento l’Italia avrebbe dimostrato di essere l’anello debole dello
schieramento nazista e Hitler avrebbe iniziato a trattare l’Italia come un satellite.

L’Operazione Leone Marino


Al momento della resa francese, Hitler valutò le possibili alternative che gli venivano offerte dalle varie
aperture sul fronte occidentale. Doveva decidere dove dirigere l’attacco, se rivolgersi contro la Gran
Bretagna, con la speranza di costringerla alla resa prima che gli Stati Uniti fossero pronti a entrare nel
conflitto, oppure se rompere l’accordo l’Unione Sovietica e attaccare subito Stalin.
Hitler sottovalutava innanzitutto la forza di resistenza delle forze sovietiche. L’obiettivo di attaccare
subito l’URSS avrebbe dato alla Germania il vantaggio di occupare delle regioni ricche di materie
prime. Tuttavia Hitler oscillò a lungo fra queste due diverse opzioni, finché nell’estate del 1940 decise
di iniziare il bombardamento a tappeto di tutte le principali città inglesi. L’Operazione Leone Marino
prevedeva che l’attacco dell’aviazione tedesca anticipasse l’attacco via terra, ma Hitler si scontrò per la
prima volta con l’aviazione britannica, la Royal Air Force, che nonostante l’attacco fortissimo dimostrò
la propria superiorità rispetto alla Luftwaffe. Hitler non riuscì a sconfiggere la Gran Bretagna.
Il 18 dicembre 1940 Hitler emana la direttiva n° 21, con la quale ordinava alle forze tedesche di
prepararsi perché entro la primavera del 1941 si doveva effettuare la guerra-lampo contro l’Unione
Sovietica, che prendeva il nome di Operazione Barbarossa. L’attacco slitta al 22 giugno 1941, perché
nell’arile 1941 Hitler è costretto a intervenire in Jugoslavia, dove si è aperta una crisi molto grave.
Nel marzo 1941 la Jugoslavia stava cercando di barcamenarsi tra l’appetito tedesco e quello italiano e
aveva aderito al Patto tripartito. Questa decisione scatenò un vero e proprio movimento di ribellione
proveniente dalle forze armate, che anche con il supporto della Gran Bretagna rovesciò il governo in
funzione antitedesca. Hitler aveva paura di perdere una pedina importante e decise dall’Ungheria di
attaccare la Jugoslavia, che in poche settimane fu completamente occupata ed ebbe un destino simile
alla Cecoslovacchia. Scomparve dalla cartina dell’Europa e venne divisa. Fu creata una Croazia
indipendente guidata dal capo della coalizione fascista degli Ustascia Ante Pavelič e Aimone di Savoia
ne sarebbe diventato il re. Fu ricostituita una Serbia indipendente. La Slovenia fu divisa in due parti,
quelle settentrionale venne annessa alla Germania e quella meridionale all’Italia (Lubiana). Il
Montenegro divenne soggetto alla corona italiana. Ungheria e Bulgaria furono asservite alla Germania
nazista e iniziarono a spartirsi la Romania. A partire dall’ottobre 1940 re Michele di Romania si orientò
per una politica filonazista e accettò di essere occupato dalla Germania.

30
L’Operazione Barbarossa
All’alba del 22 giugno 1941 fu sferrato l’attacco tedesco contro l’URSS. Nel momento in cui Hitler
decise di attaccare l’Unione Sovietica sperava di costringere Stalin ad una guerra su due fronti,
confidando che il Giappone avrebbe attaccato l’URSS dalla parte asiatica, e aveva in mente l’incontro
delle truppe tedesche e giapponesi a Vladivostok. Tuttavia, il Giappone non attacca l’Unione Sovietica:
il Giappone si rende conto che la guerra non sarebbe stata una guerra-lampo e il 13 aprile 1941 aveva
stipulato un trattato di neutralità con l’URSS.
L’attacco tedesco fu lanciato con un ottimismo fuori luogo. Inizialmente le truppe avanzarono
velocemente, ma nell’arco di pochi mesi le previsioni si rivelarono errate. La campagna di Russia offrì
ai tedeschi l’occasione per inaugurare lo sterminio sistematico degli ebrei. Già in Polonia le forze di
occupazione tedesche avevano messo in atto una campagna di persecuzioni antiebraiche creando i
ghetti in cui furono internati migliaia di ebrei: le SS uccisero in modo sistematico 750 mila ebrei. La
consapevolezza che non sarebbero riusciti ad eliminare completamente gli ebrei in questo modo,
portò i tedeschi a decidere la soluzione finale: la costruzione dei campi di concentramento.
L’attacco in Russia fu rivolto in tre direzioni: a nord verso Leningrado, che doveva essere rasa al suolo;
al centro verso Mosca; a sud verso l’Ucraina, Stalingrado e la Crimea. Dal punto vista dell’esercito
russo, purghe staliniane avevano decimato gli ufficiali dell’armata rossa. A partire dal 1940, Stalin
aveva iniziato una riorganizzazione dell’esercito che era ancora in fase di ultimazione. Dal punto di
vista degli armamenti, nonostante l’URSS avesse circa 20 mila carri armati, la maggior parte non erano
utilizzabili. Solo l’aviazione era molto forte: le fabbriche furono trasportate a est dei monti Urali e da lì
iniziò una produzione serrata di aerei, che portò le fabbriche sovietiche a costruire 3 mila aerei al
mese nel 1942.
Dal 22 giugno 1941 fino alla fine di giugno, Stalin scomparve dalla scena politica e ci fu una completa
disorganizzazione delle operazioni. Non è vero che si rifugiò nella propria casa di campagna: egli fu
sempre presente al Cremlino, ma ebbe un comportamento instabile. Durante questa settimana tutte le
decisioni si svolsero sotto il controllo dello stato maggiore dell’Alto Comando delle forze armate
sovietiche.
Alcun autori avanzano l’ipotesi che Stalin fosse scomparso per addossare la responsabilità della
sconfitta ai militari. Stalin tornò sulla scena politica il 3 luglio con un discorso alla radio in cui
richiamava tutta popolazione sovietica alla lotta, chiamando i russi “compagni” e trasformando cosi la
capacità di resistenza alla Germania in una lotta patriottica.
Sin dal 22 giugno Churchill dichiarò che la Gran Bretagna avrebbe fornito tutto l’aiuto possibile
all’URSS. Nel luglio 1941 Gran Bretagna e Unione Sovietica stipularono un trattato che impegnava i due
paesi all’aiuto reciproco e a non negoziare trattati separati col nemico. La prima cosa chiesta da Stalin
fu l’apertura del secondo fronte in Europa, in maniera di alleggerire il peso della pressione tedesca, ma
il secondo fronte verrà aperto solo il 6 giugno 1944.
L’avanzata tedesca si fermò con l’arrivo dell’inverno. Hitler spinge le truppe sul fronte meridionale,
ritenuto importante per le possibili risorse petrolifere. Dopo aver occupato l’Ucraina e la Crimea, le
truppe tedesche avanzano verso Stalingrado. La battaglia di Stalingrado fu uno dei momenti di svolta
della guerra. L’attacco inizia nel luglio 1942 e finisce nel febbraio 1943 con la vittoria sovietica.

L’ingresso in guerra degli Stati Uniti


L’abbandono da parte degli Stati Uniti del proprio isolazionismo non fu un processo lineare, ma un
processo lento, legato al fatto che buona parte dell’opinione pubblica americana era fortemente
isolazionista. Roosevelt era stato eletto nel 1932 e delega tutto il suo impegno a far uscire gli USA dalla
crisi economica e finanziaria e a organizzare il New Deal.
Sul piano internazionale Roosevelt deve tener conto del Congresso e adotta negli anni ’30 una
posizione fortemente isolazionista, identificata da una serie di leggi sulla neutralità che vengono
promulgato tra 1935 e il 1937. Di fatto queste leggi vietavano prestiti e assistenza finanziaria a
qualsiasi stato belligerante e imponevano inoltre l’embargo nei confronti degli stati coinvolti in un
conflitto, senza far distinzione se il paese fosse vittima o aggressore.

31
Nel momento in cui la Gran Bretagna è coinvolta in guerra, l’atteggiamento americano inizia a
cambiare. Lo steso giorno in cui la Gran Bretagna dichiara guerra all’invasione tedesca della Polonia,
Roosevelt indice una seduta speciale del Congresso con cui divide queste leggi sulla neutralità: si
consentiva ai belligeranti di comprare armi e rifornimenti di vario tipo dagli Stati Uniti purché
pagassero in contanti e li trasportassero con navi proprie (formula “cash and …”). Nei suoi famosi
discorsi al caminetto utilizzò la metafora della casa che brucia: se la casa del vicino è in fiamme, è
giusto prestare al vicino il tubo di gomma collegato al proprio idrante senza chiedere di essere pagato
in anticipo. Roosevelt inizia un lento processo di persuasione. Gli USA si presentano come l’arsenale
delle democrazie.
Il momento di svolta si ha nel marzo 1941 con la legge “affitti e prestiti” (Lend Lease Act), preceduta da
un discorso nel gennaio 1941 sulle quattro libertà fondamentali: gli Stati Uniti dovevano prestare
proprio contribuito per difendere la libertà di espressione, di culto, dal bisogno e dalla paura. La legge
stabiliva che il presidente poteva vendere, affittare o prestare alle condizioni che riteneva opportune
armi, munizioni, generi alimentari e qualsiasi altro strumento di difesa ritenesse opportuno per
difendere quei paesi la cui tutela era vitale per gli USA. La legge era pensata per la Gran Bretagna.
Oltre al problema delle differenze ideologiche, aiutare l’URSS, che stava per essere sconfitta, avrebbe
significato sprecare le risorse degli Stati Uniti. Nel luglio 1941Harry Hopkins si recò a Mosca e incontrò
Stalin: egli ebbe la sensazione che l’Unione Sovietica avrebbe potuto resistere. Sulla base di quello che
Hopkins riportò a Washington, gli USA decisero di estendere anche all’URRS la legge “affitta e prestiti”.
L’invio degli aiuti sarebbe stato accompagnato da molte polemiche. Fu stabilito un accordo per
decidere i quantitativi da far arrivare all’Unione Sovietica. La via più diretta per inviarli era quella del
Mar Glaciale Artico, che però per 6 mesi l’anno è ghiacciato. Fu trovata una soluzione attraverso l’Iran:
lo scià era fortemente filonazista, così nell’agosto 1941 grazie ad un’operazione anglo-sovietica venne
occupato tutto il paese.

La Carta Atlantica
In un incontro al largo di Terranova, il 14 agosto 1941, Churchill e Roosevelt elaborano insieme dei
principi che costituiscono la Carta Atlantica. Questi principi avrebbero guidato la loro collaborazione:
Churchill e Roosevelt si impegnavano a rispettarli anche per il dopoguerra.
I due paesi non cercavano ingrandimenti territoriali, auspicavano la restituzione dei diritti di
autogoverno alle popolazioni che ne erano state private, e riconoscevano il diritto alla libertà di
accesso ai mercati e alle materie prime necessarie al progresso economico. Sono dei principi molto
generali che di fatto costituiscono l’ossatura dell’idea che Roosevelt elaborerà per il secondo
dopoguerra: il Grand Design.
La Carta è alla base della special relationship che si viene a creare tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Essa
costituisce una costante della politica estera inglese per tutto il secondo dopoguerra, fino a tutt’oggi.
Churchill deve accettare il principio di autogoverno, ma la Gran Bretagna ha ancora un grandissimo
impero.
Gli Stati Uniti non sono ancora in guerra: la Carta è un messaggio che Roosevelt manda agli
isolazionisti del suo paese.

L’attacco di Pearl Harbour


Dal 1929 in Cina erano iniziate delle rivalità tra il Kuomintang e il partito comunista di Mao. Nel 1937,
un incidente tra truppe cinesi e giapponesi divenne il pretesto perché il Giappone attaccasse la Cina e
iniziasse la penetrazione nella Cina meridionale, arrivando a occupare Canton e a costituire nel 1940
un governo secessionista con sede a Nanchino, che venne subito riconosciuto da tutte le forze
dell’Asse. Già nel 1940 il Giappone aveva deciso qual era il teatro delle sue operazioni militari: il Sud-
Est asiatico e il Pacifico. Nel Patto tripartito del settembre 1940 viene riconosciuta al Giappone una
sfera d’influenza in Asia. La Cina sfrutta la politica dei grandi spazi, dispendendo le truppe giapponesi
nell’immenso territorio cinese, e il Giappone si fermerà a nord e a est. Il Giappone sfrutta anche la
sconfitta francese occupando l’Indocina.

32
Di fronte a questo grande attivismo giapponese, gli stati Uniti decidono di porre un embargo totale sui
commerci con il Giappone, in particolare su una serie di materie prime come acciaio, ferro, petrolio.
Chiudono il canale di Panama e creano un comando unificato delle forze americane in Estremo Oriente
con il generale MacArthur.
Nel frattempo non viene chiusa la porta del negoziato e nell’estate del 1941 iniziano i negoziati tra il
governo americano e quello giapponese. Le richieste americane sono dure: chiedono che il Giappone
rinunci alle proprie conquiste. I giapponesi perseguono una politica di doppio binario: da una parte si
preparano all’attacco contro gli USA, e dall’altra negoziano. Questi negoziati non portano a niente.
Nell’ottobre 1941 i militari prendono il sopravvento in Giappone e si forma un governo guidato dal
generale Tojo, che avanza ulteriori proposte. Gli americani sanno dai propri servizi segreti che le
proposte giapponesi erano una tattica dilatoria e Roosevelt decide di interrompere i negoziati.
L’attacco a Pearl Harbour avviene il 7 dicembre 1941. L’ambasciatore giapponese porta una
dichiarazione di guerra a Roosevelt venti minuti prima dell’attacco. È un attacco aereo massiccio, che
mette fuori combattimento una parte importante della flotta americana: vengono affondate 4
corazzate, 11 navi da guerra, e distrutti 200 aerei. Alcuni studiosi dagli anni ’60 hanno avanzato
l’ipotesi che Roosevelt sapesse dell’attacco, ma non avesse prevenuto questo attacco perché l’opinione
pubblica era restia a entrare in guerra. Inoltre, i giapponesi cambiavano in continuazione i codici
cifrati e gli americani non sapevano dove si sarebbe verificato l’attacco.
Durante il 1942 le forze giapponesi dilagano: occupano le Filippine, dilagano in Tailandia e Birmania,
arrivano a occupare Hong Kong e Singapore. Soltanto intorno alla metà del 1942 gli americani, che
hanno ricostruito la flotta, riescono a ottenere delle vittorie.
Germania e Italia potevano non entrare in guerra con gli Stati Uniti, ma l’11 dicembre dichiarano loro
guerra: la guerra diventa mondiale.

Il fronte europeo
L’attacco tedesco all’Unione Sovietica si verifica pochi mesi dopo quello giapponese agli Stati Uniti,
spingendo gli USA a creare un’alleanza innaturale con l’URSS: si uniscono due paesi con sistemi
ideologici profondamente diversi per combattere contro un nemico comune, le forze dell’Asse.
L’esigenza di sconfiggerle tiene le fila di un rapporto che è molto complesso e segnato da forti rivalità
già durante gli anni della guerra: da queste rivalità si pongono le basi delle origini della guerra fredda.
C’è un documento formale che unisce questi paesi: la Dichiarazione delle nazioni unite del primo
gennaio 1942, che rende nota la formazione di una coalizione politico-militare di cui fanno parte Stati
Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, ma anche Australia e Canada, che accettano i principi della
Carta Atlantica e s’impegnano a utilizzare le loro risorse per combattere i firmatari del Patto tripartito.
Ogni governo che firma questa dichiarazione si impegna a cooperare con gli altri firmatari e a non
sottoscrivere una pace separata o un armistizio con i nemici.
L’attacco di Pearl Harbour rende necessario il primo incontro tra Churchill e Roosevelt, che si erano
già conosciuti nel 1918, ma avranno occasione di approfondire il proprio rapporto basato su reciproca
stima in occasione della Conferenza di Arcadia a Washington tra il 22 dicembre 1941 e il 14 gennaio
1942. Si confrontano due personalità molto diverse: da una parte Churchill, che identifica la lotta
contro l’appeasement e la lotta britannica contro il nazismo; dall’altra la figura dominante di
Roosevelt, molto attento alle tematiche dei diritti umani, che lentamente elabora una propria visione
dell’ordine internazionale del dopoguerra. Discutono la questione dell’apertura del secondo fronte,
una richiesta costante che Stalin presenterà agli Alleati, accusandoli di averlo lasciato da solo. I due
Alleati hanno posizioni molto diverse.
Churchill era favorevole a uno sbarco in Nord Africa che avrebbe permesso agli Alleati di occupare
l’Africa settentrionale e da lì attaccare il “ventre molle” dell’Europa, l’Italia, l’anello debole della catena
del nazismo, oppure a un attacco nei Balcani; i militari americani avevano elaborato una stratega: per
sconfiggere la Germania era necessario utilizzare la Gran Bretagna come grande portaerei e da lì
inviare le truppe in Francia settentrionale (Operazione Overlord). Roosevelt riteneva di effettuare
l’operazione già nel 1942 e arriva a promettere a Molotov che nel 1942 sarebbe stato possibile aprire
questo fronte in Francia, che avrebbe permesso all’Unione Sovietica di alleggerire la pressione sul
33
fronte orientale. Churchill non era d’accordo e riteneva che l’apertura del secondo fronte nel 1942
sarebbe stata un bagno di sangue. Furono fatti dei piccoli sbarchi in Francia che furono disastrosi per
gli Alleati e prevalse l’idea di aprire un fronte in Africa. Viene creato un organo di coordinamento
militare tra Gran Bretagna e Stati Uniti che prende il nome di Combine Chief of Staff.

L’Operazione Torch: lo sbarco in Nord Africa


Il fronte africano aveva avuto una sua evoluzione. A partire dal marzo 1941 ha inizio la controffensiva
italo-tedesca guidato dal generale Rommel, che permette agli italo-tedeschi di conquistare la Cirenaica
e da lì l’idea delle truppe italo-tedesche sarebbe quella di penetrare in Egitto, per arrivare ad
Alessandria e poi al canale di Suez. Le truppe iniziano le truppe ad avanzare in direzione di El Alamein,
a poche decine di kilometri da Alessandria. Quando vi arrivano nel giugno 1942 sono allo stremo delle
forze: possono disporre di poche decine di carri armati e gli inglesi riescono a capire i codici cifrati e
bloccano i rifornimenti. Quando nell’agosto 1942 Rommel lancia l’attacco che avrebbe dovuto portarlo
a Il Cairo, dopo 48 ore non aveva la benzina per portare avanti l’attacco e inizia la controffensiva
britannica guidata da Montgomery. La battaglia di El Alamein vedrà la sconfitta italo-tedesca e avrebbe
sancito la ritirata delle truppe, che arrivano ad asserragliarsi in Tunisia.
Nel novembre 1942 hanno inizio le operazioni di sbarco anglo-americane (Operazione Torch) ad
Algeri, Orano, e Casablanca in Marocco, mentre i tedeschi occupano tutta la Francia, compresa la
regione lasciata al governo di Vichy, e la Corsica.
Nel momento in cui le forze alleate arrivano in Africa ci trovano un rappresentante della Francia di
Vichy, l’ammiraglio Darlan, pronto a negoziare la resa con gli Alleati. Anche De Gaulle manda un
proprio emissario per trattare con gli Alleati. Darlan viene assassinato nel dicembre 1942 e nel
gennaio 1943 viene creato formalmente il Comitato francese di liberazione nazionale, guidato in
questa fase non solo da De Gaulle, ma anche da Giraud; De Gaulle prenderà poi il sopravvento e
diventerà il rappresentante della Francia libera.
Gli americani non vedono di buon occhio De Gaulle: Roosevelt lo ritiene un conservatore, un
nazionalista, un esponente della Francia più conservatrice, ed è quindi più favorevole a intessere un
accordo con altre personalità politiche. È anche per questo motivo che negli anni ’60 De Gaulle sarà
fortemente anti-americanista.
Nel gennaio 1943 si tiene la Conferenza di Casablanca tra Roosevelt e Churchill. Viene deciso lo sbarco
in Italia, e viene stesa la dichiarazione del principio della resa incondizionata: gli sconfitti avrebbero
dovuto rimettersi nelle mani dei vincitori, ai quali sarebbero spettati pieni poteri su vinti. Questo
messaggio viene rivolto da Roosevelt soprattutto a Stalin per rassicuralo: gli Alleati non hanno ancora
aperto il secondo fronte in Europa occidentale; tuttavia non vi sarebbe stata una pace separata.

La resa italiana
L’Italia è la più esposta dal punto di vista geografico all’iniziativa degli Alleati. Sin dall’autunno del
1942 moltissimi ambienti politici, imprenditoriali ed esponenti di casa Savoia avevano iniziato a
contattare gli Alleati per mettere in evidenza il fatto che Mussolini erano l’unico responsabile della
guerra italiana, e c’era un gruppo di personalità che intendevano distaccarsi da lui. Dopo la perdita
d’Africa, la crisi interna al fascismo era aumentata.
Lo sbarco alleato avviene nel giugno 1943 a Lampedusa e Pantelleria e nel luglio in Sicilia. Gli Alleati si
rivolgono agli esponenti della comunità italo-americana, molti dei quali esponenti della mafia, per
avere tutte le informazioni logistiche in preparazione allo sbarco in Sicilia.
Il 19 luglio 1943 Roma viene bombardata e vengono colpiti degli obiettivi militari. Questo
bombardamento ha un valore simbolico importante: Roma è la città dove risiede il papa. Questo
bombardamento rappresenta il momento della svolta per le autorità politiche italiane.
Grandi, Ciano e Bottai sono coloro che riuniscono il Gran Consiglio del Fascismo nella notte tra il 24 e il
25 lugli 1943 e votano l’ordine del giorno che chiede a Mussolini di restituire al re il comando delle
forze armate. Il 25 luglio Mussolini si reca dal re per consegnare simbolicamente il comando delle

34
forze armate e lì viene arrestato. Da lì verrà trasportato in una serie di rifugi segreti fino al settembre
1943, quando viene liberato dai tedeschi sul gran sasso, a Campo Imperatore.
La guerra non è ancora finita: i tedeschi iniziano a mandare delle divisioni per occupare l’Italia. Il re
incaricò il maresciallo Badoglio di costituire un governo militare. Se per gli italiani la fine del fascismo
voleva dire uscire al più presto dal conflitto, per la presenza massiccia delle truppe tedesche Badoglio
dichiara che l’Italia continuerà a combatter al fianco dei tedeschi, ma inizia ad avviare una serie di
contatti segreti con gli Alleati per negoziare i termini della resa italiana. Il generale Castellano viene
mandato come emissario a Lisbona per negoziare i termini della resa italiana. Viene negoziato quello
che verrà chiamato “l’armistizio breve”, cioè il problema della fine delle ostilità dell’Italia con gli Alleati
mente “l’armistizio lungo” verrà deciso solo a fine settembre e disciplinerà tutte le questioni relative
all’amministrazione della penisola.
Badoglio voleva legare l’annuncio dell’armistizio a uno sbarco alleato che sperava arrivasse il più
possibile a nord di Roma: in questo modo sperava di salvare Roma e permettere che casa Savoia e il
governo fossero al riparo dai tedeschi. La posizione alleata è ambigua: il 3 settembre 1943 a Cassibile
viene firmato il “breve armistizio”, ma l’annunzio venne ritardato di alcuni giorni. L’annuncio dell’8
settembre fu accompagnato da uno sbarco alleato che non avvenne a nord di Roma, ma nel golfo di
Salerno. Questo gettò il paese nel caos, perché la decisione di casa Savoia fu di non rimanere a Roma,
ma di scappare con una fuga precipitosa verso il porto di Ortona e da lì andare a Brindisi. Il resto del
paese fu lasciato alla mercé dei tedeschi.
L’Italia dichiarò guerra alla Germania il 13 ottobre. Lo status italiano non fu mai al rango delle altre
potenze alleate: ebbe lo status di co-belligerante. Il “lungo armistizio” di fine settembre metteva l’Italia
sotto controllo alleato e venne creata la Commissione alleata di controllo.
Si parla di “precedente italiano” perché l’Italia è la prima delle potenze dell’Asse a venire sconfitta e il
modo in cui gli Alleati avrebbero amministrato l’Italia avrebbe costituito un precedente. Gli inglesi e gli
americani non volevano che l’URSS partecipasse all’amministrazione dell’Italia. I sovietici partecipano
solo a delle commissioni che hanno un valore simbolico. Questo è un segnale molto chiaro che viene
lanciato a Stalin, che farà altrettanto per quanto riguarda i paesi dell’Europa orientale, occupati dalle
forze sovietiche e gestiti esclusivamente dai sovietici. Si iniziano a creare le sfere d’influenza.
In tutti i territori italiani occupati dai tedeschi si sviluppa il fenomeno die partigiani: persone
appartenenti a esperienze diverse si uniscono per cacciare i tedeschi dall’Italia. Da questa
collaborazione nascono le basi della Repubblica Italiana. Mussolini crea la Repubblica di Salò, una
repubblica sociale in Italia settentrionale che è un satellite dei tedeschi; lì il fenomeno della Resistenza
sarebbe stato molto importante e si sarebbe sviluppato in maniera molto forte.
L’arco temporale canonico entro cui inserire il fenomeno della Resistenza va dall’8 settembre 1943 al
25 aprile 1945.

I principi del Grand Design di Roosevelt


Roosevelt crea una commissione che ha il compito di elaborare il sistema internazionale del
dopoguerra. Roosevelt inizia a presentare il proprio disegno alla Conferenza d Teheran nel novembre
1943.
La componente di natura geopolitica del Grand Design è la distribuzione del potere nel dopo guerra.
Per Roosevelt la guerra rappresenta un passaggio importante nell’ascesa dell’impero americano. Gli
Stati Uniti diventano la potenza egemone sulla scena mondiale. Effettivamente nelle fasi finali della
guerra gli USA hanno una grande capacità industriale ed erano arrivati alla piena occupazione. Gli Stati
Uniti non vogliono esser gli unici garanti sicurezza: sono disposti a svolgere la funzione di leader
regionale nel Pacifico e nell’emisfero occidentale, ma ritengono necessario collaborare anche con gli
atri paesi in un’azione multilaterale basata sulla collaborazione. L’idea è quella di costituire un
concerto multilaterale che Roosevelt presenta con la teoria dei 4 poliziotti: USA, Gran Bretagna, URSS e
la Cina nazionalista di Chiang Kai-Shek.
Roosevelt riprende degli elementi wilsoniani e pensa alla creazione di un’organizzazione
internazionale che avrebbe dovuto prendere il posto della Società della Nazioni, ma traendo
l’insegnamento del suo fallimento. Diventerà parte importante del Grand Design la creazione dell’ONU,
35
che Roosevelt presenta alla Conferenza di Teheran nel 1943, ma che verrà sviluppata tra il settembre
1944 e la Conferenza di San Francisco del 1945.
L’ultimo elemento del Grand Design è la componente economico-finanziaria: Roosevelt ritiene che si
debba ritornare a un sistema di scambi multilaterali, che era stato travolto dalla grande depressone
degli anni 30. Era necessario riaprire i mercati, i commerci, tornare alla convertibilità delle valute. La
Conferenza di Bretton-Woods porterà alla nascita del gold exchange standard.

Le conferenze di guerra
Nel gennaio 1943 alla Conferenza di Casablanca tra Roosevelt e Churchill, il primo elabora il principio
della resa incondizionata, principio-guida che avrebbe dovuto gestire i rapporti tra paesi vincitori e
paesi sconfitti.
Nel maggio 1943 alla Conferenza del Tridente, Roosevelt e Churchill si incontrano a Washington e si
decide lo sbarco in Europa occidentale.
Alla Conferenza dei ministri degli Esteri (Hull, Eden e Molotov) che si tiene a Mosca nell’ottobre 1943
viene confermato lo sbarco in Normandia e si discute del funzionamento della Commissione alleata di
controllo in Italia da cui vengono esclusi i sovietici.
La Conferenza di Teheran viene preceduta dalla Conferenza al Cairo tra i 22 e il 26 novembre 1943 tra
Roosevelt, Churchill e Chiang Kai-Shek; Molotov e Stalin preferirono non partecipare. L’obiettivo era
quello di inserire la Cina nazionalista tra i 4 grandi. Le richieste cinesi sono il recupero dei territori
occupati dal Giappone, l’indipendenza Korea, la sovranità sul Tibet.
La Conferenza di Teheran nel novembre 1943 è stato il primo momento di incontro tra Churchill,
Roosevelt e Stalin. Per quanto riguarda gli aspetti militari, viene confermata l’apertura del secondo
fronte: viene avanzata come data il primo 1944, ma in realtà l’Operazione Overlord avrebbe avuto
inizio il 6 giugno. Churchill propone il secondo fronte nei Balcani, ma prevale la tesi di Roosevelt e
viene deciso di aprire il secondo fronte in Normandia, nella Francia settentrionale. In questa sede gli
americani chiedono ai sovietici di aprire un secondo fronte contro il Giappone: la decisione sovietica
sarebbe stata presa a Yalta.
A Teheran Roosevelt presenta il Grand design, il suo progetto per il dopoguerra, di cui fanno parte
l’ONU e Bretton Woods. In particolare delinea la teoria dei 4 poliziotti (USA, Gran Bretagna, URSS e
Cina nazionalista) che avrebbero dovuto cooperare per il mantenimento della pace. Non c’è posto per
la Francia: Roosevelt è molto critico nei confronti di De Gaulle, che giudica imperialista e conservatore.
Solo in seguito alle pressioni di Churchill, alla Francia viene concesso un seggio permanente all’ONU e
una zona di occupazione in Germania. Roosevelt inizia a presentare il progetto di creare un organismo
internazionale con il compito di salvaguardare la pace e promuovere la lotta contro il colonialismo.
Uno dei problemi scottanti è la Polonia e il futuro da darle: tutti i leader sono concordi nel ricostituire
uno stato indipendente, ma non si conoscono i confini. Churchill e Stalin si accordano per una
revisione dei confini polacchi: Churchill fa capire a Stalin che è disposto a lasciare all’URSS la parte
orientale della Polonia, e a spostare il confine occidentale prendendo dei territori della Germania.
Roosevelt non partecipa ai colloqui, perché nel 1944 ci sono le elezioni presidenziali, a cui si
presentava per il quarto mandato. Negli USA ci sono 6 milioni di elettori polacchi e non vuole giocarsi
il loro voto. L’altra questione scottante riguarda la Germania: il problema di fondo è se mantenere
l’unità territoriale tedesca oppure no. Si parla di smembramento dello stato tedesco per evitare una
rinascita del pericolo e della minaccia tedesca.
Con lo sbarco in Normandia nel giugno 1944 inizia la liberazione della Francia. L’URSS attua una
grande offensiva che la porta a “liberare” (occupare militarmente) la Polonia, la Cecoslovacchia, la
Romania, la Bulgaria, l’Ungheria e parte anche della Germania. Nel 1943 i tedeschi scoprono nella
foresta di Katyn che erano stati massacrati e uccisi 15 mila ufficiali polacchi e accusano i russi di
questo massacro nel momento in cui avevano occupato quella parte di territorio della Polonia. I russi
non riconoscono l’eccidio e accusano i tedeschi. Una commissione internazionale farà emergere che gli
ufficiali polacchi erano stati uccisi nel 1940 e i russi ne erano stati i responsabili.
Nell’agosto 1944 i russi si trovano a poche decine di kilometri da Varsavia. La resistenza polacca
chiede aiuto per prendere il controllo e allontanare i tedeschi dalla città. Stalin non reagisce e i
polacchi vengono massacrati dai tedeschi. Il motivo per cui Stalin non interviene è che si trattava di

36
esponenti di una futura possibile classe dirigente che non era filosovietica. Stalin ha interesse a
epurarli per mettere al governo degli esponenti filosovietici.
Nell’incontro tra Churchill e Stalin che si tiene nell’ottobre 1944 a Mosca vengono decise le percentuali
di influenza per Romania (90% sovietica), Grecia (90% occidentale), Bulgaria (75% sovietica),
Ungheria e Jugoslavia (50%).
IL progetto di Roosevelt per il dopoguerra ha una componente economica rappresentata dalla
Conferenza di Bretton Woods, che si tiene nel luglio 1944. L’obiettivo americano era ripetere quanto
successo dopo il 1929: si doveva abbandonare il protezionismo e aprire i mercati agli scambi
multilaterali, contribuendo al mantenimento della pace. C’è la volontà americana di esportare il
proprio modello economico: l’economia americana si trova in una fase di crescita e ha bisogno di nuovi
mercati dove esportare i propri prodotti. A Bretton Woods venne presentato anche un progetto inglese
di Keynes, ma prevale il progetto americano presentato da White, che prevedeva la creazione di due
organismi, il FMI e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, che sarebbe diventa la
Banca mondiale. Il FMI avrebbe messo a disposizione dei propri membri le risorse di un pull
monetario costituito con i trasferimenti degli stessi membri in base alla propria ricchezza.
Viene creata un sistema di tassi di cambio fissi e il valore delle monete viene fissato in rapporto all’oro
(gold exchange standard): il dollaro diventa il perno centrale di questo sistema, in quanto è l’unica
moneta convertibile in oro a un valore pari a 35 dollari l’oncia. Questo sistema sarebbe rimasto in
vigore fino al 1971. L’URSS non entrò a far parte di questo sistema.
Alla Conferenza di Dumbarton Oaks del settembre 1944 si incontrarono i rappresentatati di USA, Gran
Bretagna, URSS e Cina. È il primo momento in cui i “4 poliziotti” si incontrano per delineare il futuro
assetto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo era quello di evitare che questo organismo
fallisse come la Società delle Nazioni; allo stesso tempo si volevano garantire i rapporti di forza che
emergevano dalla guerra. Nasce l’idea di dare alle 4 potenze un ruolo diverso rispetto agli altri
membri: il Consiglio di Sicurezza prevede 5 paesi con seggio permanente, che dà loro il diritto di veto,
e le decisioni dovevano essere prese all’unanimità. Il Consiglio di Sicurezza vede anche la
partecipazione francese. La Carta delle Nazioni Unite sarebbe stata redatta alla Conferenza di San
Francisco che ebbe luogo tra l’aprile e il giugno 1945.

L’accordo di Yalta
Mano a mano che si avvicina la sconfitta tedesca, Stalin chiede che si tenga un nuovo incontro in
Unione Sovietica, in Crimea, tra il 4 e l’11 febbraio 1945. Roosevelt deve affrontare un viaggio molto
lungo che pesò sulle sue condizioni di salute: sarebbe morto nell’aprile 1945.
Si sta avvicinando la fine del nazismo e i sovietici controllavano gran parte dell’Europa orientale. In
Polonia hanno creato il comitato di Lublino composto da simpatizzanti comunisti e vogliono
assolutamente che prenda il posto del governo polacco in esilio. Stalin avanza la richieste che tutte le
repubbliche appartenenti all’Unione Sovietica entrino nell’ONU, ma viene ammessa solo la Bielorussia.
Per quanto riguarda la questione tedesca, Roosevelt inizia a pensare a una Germania divisa in zone di
occupazione: ciascuna potenza vincitrice, compresa la Francia, avrebbe avuto una zona di occupazione.
Inoltre vengono stabiliti i principi di disarmo e smilitarizzazione.
Si pone il problema delle riparazioni, fortemente volute da Stalin. Stalin avanza una cifra di 10 miliardi
di dollari come riparazioni all’URSS. Si fa strada l’idea di un pagamento in natura: di fatto l’Unione
Sovietica pensa a smantellare l’apparato industriale tedesco. La soluzione definitiva verrà trovata a
Potsdam.
Per quanto riguarda il problema polacco, l’Unione Sovietica aveva formato il proprio governo. Dietro
insistenza di Churchill e Roosevelt, viene trovata una formula ambigua per cui avrebbero fatto parte
del futuro governo polacco anche esponenti democratici dell’emigrazione polacca. Per quanto riguarda
il confine tra Germania e Polonia, si pensa di spostare il confine lungo il fiume Oder-Neisse. Tuttavia, il
trattato di pace con la Germania non fu mai firmato; il trattato definitivo si avrà solo nel 1990.
Con la Dichiarazione sull’Europa liberata, documento firmato a Yalta, i tre firmatari si impegnano, nei
paesi liberati dal nazismo, a dare vita a governi largamente rappresentativi di tutti gli elementi
democratici della popolazione, e soprattutto a promuovere libere elezioni. Stalin firma la
dichiarazione, ma afferma che farà a modo suo. A Yalta l’URSS s’impegna anche a dichiarare guerra al
Giappone, finita la guerra in Europa.
37
La fine della guerra in Europa
Il 30 aprile 1945 Hitler viene a sapere dell’esecuzione di Mussolini e si suicida nel bunker in cui si era
nascosto. Il 7 maggio viene firmata la resa incondizionata. Il 12 aprile 1945 muore anche Roosevelt. La
sua morte ipoteca la realizzazione del suo disegno per il dopoguerra. Gli succede il vice-presidente
Henry Truman, che non era nemmeno al corrente del progetto Manhattan. Il cambiamento di
presidenza Truman ha uno stile diplomatico molto diverso da Roosevelt e non dà importanza ai
rapporti personali.
Nel 1945 si nota in molte occasioni un forte irrigidimento nei confronti dei russi, che sta quasi a
segnalare un cambiamento di tono nell’atteggiamento americano nei confronti dell’Unione Sovietica.
Alla Conferenza di San Francisco Truman investe Molotov di una serie di accuse nel modo in cui i russi
stavano gestendo i rapporti nei paesi di loro influenza. Un altro segnale dell’irrigidimento americano si
ha dopo la resa tedesca: gli USA sospendono la legge “affitti e prestiti” verso l’Unione Sovietica.

La Conferenza di Potsdam
Si tiene dal 17 luglio al 2 agosto 1945 a Postdam, nella Germania Est, la parte occupata dall’Unione
Sovietica, perché Stalin si sente protetto dall’Armata rossa. Cambiano gli attori politici: non c’è più
Roosevelt, ma Truman. Alla prima parte dei lavori di Potsdam partecipa Churchill, ma le elezioni del
luglio determinano la vittoria dei labouristi. Churchill abbandona i lavori e al suo posto ci sarà Clement
Attlee.
Durante i lavori, Truman viene informato del fatto che c’è stato un esperimento atomico nel New
Mexico: gli USA dispongono ora della bomba atomica. Ne parla con gli inglesi e ne accennerà a Stalin, le
cui spie partecipano al progetto Manhattan. Stalin sa che l’URSS è molto indietro rispetto agli USA, che
godranno del monopolio atomico dal 1945 al 1949.
Viene ribadita la decisone di dividere la Germania in 4 zone di occupazione. Il confine polacco viene
fissato lungo il fiume Oder-Neisse. Anche Berlino, che si trova nella Germania Est, sarebbe stata divisa
in 4 zone di occupazione. Si pensa ancora alla Germania come a un’unica entità dal punto di vista
economico e viene decisa la creazione di una Commissione alleata di controllo che avrebbe gestito la
situazione finanziaria delle 4 zone. Viene confermato il principio dello smantellamento delle industrie
e viene stabilito che si siccome la parte sotto influenza sovietica era la più povera della Germania,
l’URSS avrebbe ottenuto il 15% degli impianti occidentali.
Vene istituito un consiglio dei ministri degli Esteri con sede a Londra con il compito di predisporre una
schema di trattato di pace per ciascuno dei paesi sconfitti. Il primo sarebbe stato quello con l’Italia. Per
la Germania, la questione si sarebbe arenata nella guerra fredda e non sarebbe mai stato firmato un
trattato di pace.

Il fronte del Pacifico


L’avanzata giapponese è inarrestabile fino alla prima metà del 1942 e porta all’occupazione di
vastissimi territori in gran parte sud-est asiatico (Indocina, Singapore, Birmania, Hong Kong) e
all’instaurazione di governi filo-nipponici.
Nella battaglia delle Midway nel giugno 1942 gli USA dimostrano l’importanza dei portaerei, su cui
trasportavano l’aviazione, e riescono a colpire territori molto lontani. Gli americani iniziano a occupare
le isole Gilbert, Marshall, Marianne, Guam, Caroline, e da lì iniziano a stringere lentamente l’assedio
contro il Giappone. Occupano le Filippine nei primi mesi del 1945 e iniziano a bombardare a tappeto le
principali città giapponesi. Nonostante questi bombardamenti, il Giappone non dà segnali di volersi
arrendere, anzi la resistenza si fa sempre più dura grazie al ricorso dei kamikaze.
Il 26 luglio 1945 da Potsdam, USA, Gran Bretagna e Cina, ma non l’URSS, lanciano un ultimatum al
Giappone, in cui chiedono la sua resa incondizionata, ma non fanno cenno alla bomba atomica. Il
Giappone non risponde all’ultimatum e viene lanciata la prima bomba atomica il 6 agosto su
Hiroshima, che fa 100 mila morti. L’URSS dichiara guerra solo l’8 agosto. Il 9 agosto avviene il lancio
della seconda bomba su Nagasaki. Alla mattina il Supremo consiglio imperiale si riunisce e Hirohito

38
annuncia la resa del Giappone. L’armistizio sarebbe stato firmato il 2 settembre a bordo della
corazzata Missouri, con il generale Douglas MacArthur in rappresentanza deli Stati Uniti.

LE ORIGINI DELLA GUERRA FREDDA

Si parla di 45 milioni di morti tra civili e militari. Dalle ceneri della guerra escono due superpotenze
che diventeranno i due poli del sistema internazionale. C’è la graduale perdita di importanza e potenza
dell’Europa, che rimarrà il teatro della guerra fredda fino al 1956, ma non sarà più soggetto ma oggetto
del sistema internazionale, che si cristallizza in due blocchi che si costruiscono attorno a USA e URSS.
La guerra fredda è una metafora: una guerra che non vide un confronto militare di guerra e in cui
prevalse la volontà di negoziare. Ci sono stati conflitti, ma si parla di guerre per procura, come la
guerra di Corea e il conflitto in Vietnam.
Non esiste una data precisa in cui possiamo fissare l’inizio della guerra fredda: è un processo
complesso che presenta caratteristiche che diventeranno evidenti nel 1957 (dottrina Truman, piano
Marshall), ma possiamo porne le origini già da prima.
Gli USA sono una superpotenza. Dispongono di una superiorità indiscussa sul piano economico,
militare e tecnologico. Il PIL cresce moltissimo tra il 1939 e il 1945 per la conversione dell’industria a
scopi militari. Detenevano 2/3 delle risorse auree mondiali. Si trovavano in un sistema di piena
occupazione. Il monopolio della bomba atomica da parte degli USA tra il 1945 e il 1949 li dota una
superiorità notevole rispetto all’URSS. Tra il 1945 e il 1946 sfuma la possibilità di realizzare il progetto
di Roosevelt per il secondo dopoguerra.
Per tutto il 1945 gli USA mutano la propria percezione dell’URSS, che da alleato con cui si aveva una
diversa visione del sistema internazionale diventa avversario e nemico. Questo mutamento è ben
raffigurato da una questione centrale all’interno dell’amministrazione americana: il progetto di
effettuare un prestito all’URSS. La richiesta era stata avanzata da Molotov a Roosevelt alla Conferenza
di Yalta: si chiedevano 6 miliardi di dollari per far ripartire l’economa russa. Per tutto il 1945
l’amministrazione americana è focalizzata sul dibattito relativo alla concessione di questo prestito, ma
quando giungono notizie che l’URSS sta smantellando la Germania Est, gli USA si irrigidiscono. Nel
dibattito vi è anche una componente politica: se gli USA avessero concesso il prestito, l’economia
sovietica sarebbe ripartita più velocemente.
Nel febbraio 1946 il telegramma di John Kennan, diplomatico americano a Mosca, dà una lettura molto
critica della politica estera di Stalin. Essa sarà la chiave di volta che porterà alla politica di containment
elaborata da Truman.
La dottrina Truman, nel marzo 1947, e il piano Marshall, nel giugno, testimoniano che il dibattito si
traduce in politica. Sono alla base di quella che è chiamata strategia del contenimento, che in qualche
maniera identifica un po’ tutta la politica estera americana della guerra fredda.
Tra il 1949 e il 1950 queste scelte politiche ed economiche si traducono in scelte militari, come
dimostrato dalla nascita del Patto Atlantico nell’aprile 1949 e poi dalla guerra di Corea nel 1950. Il
Patto Atlantico è il documento dell’alleanza ed è firmato dai paesi che partecipano all’alleanza. La
NATO è l’organizzazione militare, che nasce in seguito alla guerra di Corea tra il 1950 e il 1951. La
Francia ha deciso di non far parte della NATO, ma è rimasta fedele al Patto Atlantico.
La guerra fredda dura dal 1945/1947 fino al 1989/1991 con l’implosione dell’URSS. La guerra fredda
in Europa finisce nel 1956 con la crisi d’Ungheria in seguito processo al di destalinizzazione. La
passività occidentale dimostra che ormai i confini non si modificheranno più. La guerra fredda entrerà
in Medio Oriente e in Africa in seguito al processo decolonizzazione (global cold war).
L’URSS esce dal conflitto devastata. Ha pagato un prezzo altissimo nel dover sconfiggere i nazisti, sia in
termini di vite umane che di devastazione del territorio. Stalin nel 1946 avanzò la cifra di 7 milioni e
mezzo di morti, ma si parla di 20 milioni tra civili e militari e della distruzione di 1700 città e del 70%
impianti industriali. Stalin esce dalla guerra con la ferma convinzione che l’URSS si dovrà proiettare in
una dimensione internazionale e dovrà diventare una superpotenza. Chiederà alla propria popolazione
un costo elevatissimo in fatto di tenore di vita. Si focalizza sull’industria pesante. Esporta la propria
influenza in Europa orientale, ma anche in Grecia, dove scoppia la guerra civile tra le truppe inglesi e i
partigiani comunisti, e cercherà di proiettarsi in atre aree (Iran, Corea).

39
Una dei principali cambiamenti della chiave di lettura che storici hanno dei rapporti tra l’URSS e i suoi
satelliti dell’Europa orientale è il fatto che il blocco non deve essere considerato un blocco monolitico:
l’URSS aveva un interesse diverso e non riuscì mai ad esercitare il controllo completo. Fino agli anni
’50 ci furono manifestazioni di dissenso, che venivano represse con la brutalità.
Il caso polacco stava molto a cuore all’URSS e nel 1954 viene creato un governo in cui presidente e
primo ministro sono comunisti, ma all’interno del quale vi erano anche esponenti dl governo in esilio
a Londra. Stalin sembra rispettare quanto promesso a Yalta. Vengono organizzate elezioni nelle quali
la forza dominante è il partito operaio, che riuniva socialisti e comunisti, ma persiste l’opposizione del
partito contadini fino al 1947. Dopo il 1947 la Polonia cade in una completa sovietizzazione.
In Romania era stata istituita una commissione alleata di controllo in cui inglesi e americani non hanno
voce in capitolo. Viene creato un governo di coalizione dominato dai comunisti, ma c’è ancora il re, che
abdica nel 1947, facendo cadere il paese in mano all’URRSS.
In Jugoslavia c’è Tito, che è riuscito a liberare il paese dall’occupazione nazi-fascista e delle forze
politiche che gli si opponevano. Tito non si sente un satellite di Stalin e gode di grandissimo appoggio
da parte della popolazione. Alle elezioni del 1945 ottiene il 90% dei voti. Attua una politica repressiva
nei confronti di chi gli si opponeva. Ci sono episodi di pulizia etnica nei confronti degli italiani. Tito
rimane al potere fin alla mote, nel , e nel 1945 nasce la Repubblica Federale di Jugoslavia, che riunisce
realtà etniche molto diverse.
La Cecoslovacchia e l’Ungheria sono due casi che fanno sperare la possibilità di realizzare governi di
coalizione in Europa orientale. In Cecoslovacchia la convivenza è possibile: fino al 1948 c’è la presenza
dell’ex presidente della repubblica al governo, ma nel febbraio un colpo di stato elimina coloro che si
opponevano all’URSS e al governo filosovietico. In Ungheria viene creato un governo pluripartitico, al
governo fino al 1947.
I primi focolai di tensione tra USA e URSS si hanno in Iran. Durante la seconda guerra mondiale, era
stato occupato a nord dai sovietici e a sud dagli anglo-americani con l’impegno di uscire dal paese 6
mesi dopo la fine delle ostilità. A nord il partito filocomunista proclama nel 1945 una repubblica
autonoma. Il governo iraniano è il primo a essere discusso dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Si vede
subito l’incapacità di agire del Consiglio: il delegato sovietico pone il veto a che venga espressa la
risoluzione sul caso iraniano. In Grecia le truppe britanniche continuano a essere presenti. Il Consiglio
di sicurezza è la cassa di risonanza dei mutamenti negli equilibri internazionali dovuti alla guerra
fredda, ma dimostra i propri limiti.
Un altro ambito in cui c’è tensione è la Germania. Si dimostra impossibile riuscire ad amministrare
Germania in maniera unitaria, soprattutto in seguito all’atteggiamento dell’URSS, che smantella la sua
parte di occupazione. Gli USA cercano di trovare una soluzione compromissoria fino al 1946. In un
discorso tenuto a Stoccarda nel settembre 1946, il segretario di stato americano dice che non è
possibile pensare a uno stato tedesco unito. Si pensa di unire le zone di occupazione occidentali: nel
dicembre 1946 nasce la bizona, con l’unione della zona americana e di quella inglese per far ripartire
l’economia tedesca e quella dell’intera Europa; con l’unione della parte francese nascerà la trizona. Le
due Germanie nascono nel 1949, la Repubblica Federale Tedesca nel maggio, presieduta da Adenauer,
mentre la Repubblica Democratica Tedesca nasce nell’ottobre, con Ulbricht come cancelliere e sul
modello dello stato filosovietico.

L’ELABORAZIONE DELLA DOTTRINA DEL CONTAINMENT

Due discorsi danno la testimonianza che il clima sta cambiando. Nel primo, nel febbraio 1946, Stalin
ripercorre tutta la storia della seconda guerra mondiale, ma parla chiaramente dell’inevitabilità dello
scontro tra i due sistemi. Nel marzo Churchill tiene una conferenza all’università di Fulton (Missouri),
in cui utilizza l’espressione “cortina di ferro”. Churchill non ha un ruolo nel governo, ma ha un’eco
vasta nell’amministrazione Truman.
George Kennan, nel febbraio 1946, invia un telegramma da Mosca, conosciuto come il “lungo
telegramma”, perché composto da 8000 parole. Analizza la politica estera sovietica: le motivazioni di
essa vanno ricercate nel suo stesso sistema, nel tradizionale sentimento di insicurezza sovietico,
sentimento che i politici controbilanciano con una politica estera molo aggressiva. La coesistenza

40
diventava impossibile. Kennan utilizza il termine “contenimento”. Il suo telegramma viene trasformato
in un articolo su Foreign Affairs, sotto lo pseudonimo di Mister X.

LA DOTTRINA TRUMAN

Kennan è l’ideologo della strategia del contenimento. La traduzione in politica del contenimento è
rappresentata dalla dottrina Truman del marzo 1947. Nasce da un annuncio che fa la Gran Bretagna
nei primi mesi 1947. La Gran Bretagna aveva liberato la Grecia, dove era stata riportata la monarchia.
Era iniziata la guerra con i partigiani comunisti che avevano in supporto la Jugoslavia e le truppe
militari inglesi erano direttamente impegnate in questo scontro. La Gran Bretagna si trovava in una
condizione economica gravissima e fa sapere al governo americano che non è in grado di mantenere le
truppe in Grecia. Ritira la flotta dal Mediterraneo orientale, da sempre considerato zona di sua
influenza.
Truman è convinto che si debba intervenire, ma deve convincere il Congresso: lo fa con un discorso
che pronuncia il 12 marzo 1947, in cui chiede che approvi l’invio di aiuti per 400 milioni dollari alla
Grecia e alla Turchia, su cui l’URSS aveva avanzato delle pretese. Fino al 1947 in Grecia rimane la Gran
Bretagna, ma con la dottrina Truman la sua presenza verrà sostituita dagli aiuti militari ed economici
americani.

IL TRATTTATO DI PACE CON L’ITALIA

Il trattato con l’Italia viene firmato il 10 febbraio 1947 a Parigi. Esso prevede rettifiche di non grande
importanza per i confini con la Francia sulle alpi. Il problema dei confini con l’Austria è dettato dalla
presenza delle minoranza di lingua tedesca. accordi Gli accordi De Gasperi-Gruber del 1946 di fatto
stabiliscono la creazione di una regione a statuto speciale che rispetti i diritti della minoranza.
Il problema più grosso per l’Italia è stato quello per il confine orientale, soprattutto per quanto
riguardava il destino di Trieste. Tito aspirava a riprendersi la Venezia-Giulia ed era appoggiato
dell’URSS. Degli accordi provvisori stabilivano che la zona A, che corrispondeva alla città di Trieste,
fosse sottoposta ad una commissione alleata, e che la zona B fosse controllata dalla Jugoslavia
(Slovenia). La situazione fu definitivamente risolta nel 1954 con il ritorno della zona A sotto la
sovranità italiana.
Si poneva anche il problema relativo al destino delle colonie prefasciste, che erano cioè state
conquistate dall’Italia prima dell’avvento del fascismo. Il caso della Libia venne sottoposto all’ONU.
L’URSS chiedeva che le venisse concessa una parte dell’amministrazione libica. Nel 1951 venne deciso
di concedere l’indipendenza alla Libia e sul trono fu posto re Idris, al potere fino al colpo di stato di
Gheddafi nel 1969. L’Eritrea fu sottoposta all’amministrazione da parte dell’Etiopia e la Somalia fu
concessa in amministrazione fiduciaria all’Italia per dieci anni. L’Italia chiese una pace giusta, perché
voleva che le fosse riconosciuto il ruolo come cobelligerante. De Gasperi, nel gennaio 1947, si presenta
a Washington come l’interlocutore su cui fare riferimento.

IL PIANO MARSHALL

Il piano Marshall costituisce un momento di svolta per quanto riguarda gli equilibri del sistema
internazionale. Si fa riferimento a un gigantesco programma di aiuti che gli USA decidono di rivolgere
all’Europa. Con un discorso pronunciato il 5 giugno 1947 dal segretario di stato George Marshall, viene
annunciata l’intenzione americana di elaborare e varare un programma di aiuti rivolto ai paesi
europei.
Sin dalla fine della guerra gli USA avevano inviato degli aiuti ai paesi dell’Europa grazie a delle agenzie
create all’interno dell’ONU. Il problema di questi aiuti era che non si vedeva la ripresa economica: gli
aiuti erano inviati in maniera non coordinata e gli effetti non erano evidenti. L’esigenza era quella di
creare un programma di aiuti organizzato. Un altro motivo che spinge gli USA ad aiutare i paesi
dell’Europa occidentale è la necessità i far ripartire l’economia tedesca. Gli USA non potevano
presentare un programma di aiuti rivolto solo alla Germania, e quindi pensano a un programma di
41
aiuti rivolto a tutte le nazioni europee, che tra il 1946 e il 1947 vivono una crisi economica spaventosa:
mancano i generi alimentari e i dollari (dollar gap).
Gli USA si trovano in una fase di sovrapproduzione e quindi avevano bisogno di un mercato in cui
esportare i propri prodotti. Nel momento in cui Marshall pronuncia il discorso, il piano non è ancora
elaborato, ma è vago e generico. In realtà questa genericità è fortemente voluta: si voleva che fossero
le nazioni europee a comunicare l’entità di aiuti di cui avevano bisogno.
Il 27 giugno si tiene un incontro a cui partecipano i ministri degli Esteri di Francia, Gran Bretagna e
URSS per discutere l’entità di aiuti da rivolgere. L’URSS accusa il piano Marshall e gli USA di
imperialismo e di voler interferire nella sovranità dei paesi europei, e quindi decide di non partecipare
al piano Marshall e di non farvi nessuno dei paesi dell’Europa orientale.
Dal 1948 al 1952 furono inviati all’Europa aiuti per circa 13 miliardi di dollari: si trattava di
macchinari, prodotti industriali, generi alimentari, mezzi di trasporto. Il piano Marshall ha accelerato
la crescita economica europea. L’Europa occidentale inizia una fase di crescita ininterrotta fino alla
fine degli ani ’60.
C’era dietro un progetto politico preciso: gli USA volevano garantire la crescita economica e il
benessere degli europei, ma volevano anche essere sicuri che i governi che ricevevano gli aiuti fossero
filoamericani e, accettando il progetto, s’inserissero nel bocco occidentale. Francia e l’Italia erano i
paesi con partiti comunisti più forti. Nel maggio 1947 il partito comunista francese e quello italiano
furono espulsi dai rispettivi governi perché gli USA fecero intendere che avrebbero ricevuto gli aiuti
solo se non ci fossero stati esponenti comunisti al governo. C’è un modello di relazioni industriali, di
vita che gli USA vogliono esportare in Europa con il piano Marshall: vogliono creare dei sistemi di
relazioni industriali simili a quello americano. In seguito al piano Marshall si ha la scissione del
sindacato.
Si parla spesso di influenza della guerra fredda sul processo di integrazione europea, soprattutto da
seguito del piano Marshall. Gli ideali federalisti e l’esperienza della resistenza hanno avuto grande
ruolo nel lanciare il processo di integrazione, ma il piano Marshall ha il merito di aver creato un
organismo, l’OECE (Organizzazione Europa per la Cooperazione in Europa), che è la prima forma di
coordinamento sul piano politico ed economico nel 1948.
Come reazione al piano Marshall, l’URSS crea il Cominform, che nasce nel settembre 1947 in Polonia. Si
tratta di una conferenza che riunisce i paesi dell’Europa orientale, l’URSS e i partiti comunisti
dell’Europa occidentale e sarà un organismo di coordinamento tra tutti i partiti comunisti europei. Vie
nazionali al socialismo non possono sussistere, Tito non si considera un satellite di Stalin e la Jugoslava
viene espulsa nel giugno 1948 dal Cominform. La parola d’ordine per i partiti comunisti dell’Europa
occidentale è di resister e opporre resistenza al pano Marshall.
Nel dicembre 1947 finiscono i lavori della conferenza dei ministri degli Esteri che doveva elaborare i
trattati di pace, ma quello con la Germania non fu mai redatto perché si sassiste alla formazione di due
Germanie separate. La Repubblica Federale Tedesca non riconoscerà ma la Repubblica Democratica
Tedesca e si riterrà l’unica Germania esistente.

LE TAPPE DIPLOMATICHE DEL PATTO ATLANTICO

In Europa orientale, tra 1947 e il 1948, si assiste al processo di sovietizzazione: l’ultimo esempio è
quello slovacco, a seguito del colpo di Praga del 1948.
Per la teoria dell’impero su invito (empire by invitation) elaborata da Geir Lundestad, gli USA sono
sempre stati invitati dagli europei a proteggerli e a intervenire nelle questioni europee.
Il 22 gennaio 1948 il ministro degli Esteri Bevin tenne un discorso in cui dichiarava la necessità di
creare un0unione occidentale, una risposta adeguata alla minaccia sovietica. Per quanto vaga, questo
discorso dette il via a un negoziato che portò il 17 marzo 1948 alla firma del patto di Bruxelles. Il patto
di Bruxelles, tra Gran Bretagna, Francia e Benelux, prevedeva che i partecipanti si promettessero aiuto
militare contro un’eventuale ripresa della minaccia tedesca, ma si fa riferimento anche ad una
minaccia proveniente dall’esterno. Non fu un caso che, lo stesso giorno della firma del patto, Truman
dichiarò che se i paesi europei erano decisi a difendersi, l’America era pronta.
Il 1948 era l’anno delle elezioni presidenziali. Truman non era sicuro di venire rieletto e non poteva
azzardare di assumere in politica estera un’iniziativa come un’alleanza militare vera e propria. Nella
42
tradizione della politica estera americana, gli USA non si sono mai vincolati ad alleanze di tipo militare.
Truman, per promuovere un’iniziativa così importante, aveva bisogno dell’approvazione del
Congresso, e inizia un’azione di lobby che lo porterà nel giugno ad avere la risoluzione Vandenberg, il
capo del partito repubblicano al Senato. Con questa risoluzione il Congresso autorizza gli USA ad
associarsi a tutti quei patti collettivi e regionali fondati su reciproca collaborazione e aiuto relativi alla
sicurezza nazionale. Essa dà il via libera ai negoziati per la firma del Patto Atlantico.
Negli stessi giorni in Germania, nel giugno 1948, l’URSS attua il blocco di Berlino. Berlino, come la
Germania, era suddivisa in 4 zone di occupazione. Berlino si trova nella parte orientale della Germania
ed era previsto un sistema di ferrovie, strade, collegamenti fluviali e un ponte aero che collegava la
Germania occidentale alla zona occidentale di Berlino. Tra la fine del 1946 e il 1947, le potenze
occidentali iniziano ad unire le proprie zone di occupazione.
Nei primi mesi del 1948 le autorità occidentali instaurano una riforma monetaria che viene criticata
dall’URSS perché era stata decisa senza la sua consultazione: è una dimostrazione che non si può più
pensare a una Germania unita. La risposta dell’URSS è il blocco di Berlino, che viene isolata dal resto
della Germania occidentale.
Gli USA potevano decidere di non intervenire, ma Truman ha una reazione forte: attua un ponte aereo
che dalla Germania occidentale permette di inviare rifornimenti e assistenza economica a Berlino
Ovest, a dimostrazione che il blocco non fermava gli aiuti americani. Il ponte aereo ha un grande
successo. Da questo momento Berlino Ovest diventa la vetrina dell’Occidente, a differenza della
Germania dell’Est, vetrina del sistema sovietico.
Il blocco dura un anno, fino al maggio 1959. Nel momento in cui finisce, si sancisce nascita della
Repubblica Federale Tedesca, il cui cancelliere è il cristiano-democratico Konrad Adenauer, mentre la
Repubblica Democratica Tedesca nasce nell’ottobre 1959, con Ulbricht cancelliere. Nella Repubblica
Federale non viene redatta una costituzione, ma un testo che prende il nome di Legge fondamentale,
col presupposto che la Germania federale sia l’unica vera Germania. Adenauer emanerà la dottrina
Hallstein, con la quale si dichiara che qualunque stato avesse intrattenuto rapporti con la Repubblica
Democratica li avrebbe cessati con quella federale. Questa situazione rimarrà tale fino al 1969 con
Billy Brandt, il principale autore dell’ostpolitik e del riconoscimento della Repubblica Democratica. Il
blocco di Berlino non fu solo un acceleratore per la divisione delle due Germanie, ma anche un
acceleratore per i negoziati del Patto Atlantico, che terminarono nell’aprile 1949.

IL PATTO ATLANTICO

Il Patto Atlantico viene firmato il 4 aprile da USA, Gran Bretagna, Benelux, Canada, Portogallo, Italia,
Norvegia, Islanda e Danimarca. L’idea originaria era di coinvolgere solo i paesi che si affacciassero
sull’Atlantico. Si inizia a discutere di allargare il trattato ai paesi mediterranei. L’idea di ammettere la
Spagna fu criticata per la presenza di Franco. C’era l’ipotesi di far entrare nel Patto Atlantico anche
Grecia e Turchia, ma si scelse di non farli entrare subito perché si trovavano in una posizione
periferica.
Il paese che pose più problemi fu l’Italia. Gli inglesi e Truman non la volevano assolutamente:
innanzitutto era una democrazia troppo giovane, e non dava nessuna garanzia dal punto di vista
militare. Poi c’era il problema che, una volta dentro, l’Italia avrebbe incluso il Mediterraneo all’interno
del perimetro difensivo dell’alleanza atlantica. Il paese che ha sostenuto l’ingresso dell’Italia nel Patto
Atlantico è stato la Francia, che arrivò a condizionare il proprio ingresso a quello dell’Italia. La Francia
era interessata al suo ingresso perché l’allargamento al Mediterraneo del perimetro difensivo avrebbe
permesso di inserirvi anche le proprie colonie (Algeria). L’Italia non partecipò i negoziati; il partito
comunista e il Vaticano erano contrari.
L’art. 5 del Patto, il c.d. casus federis, spiega come scatta il sistema di alleanza: un attacco armato contro
un membro dell’alleanza sarà considerato un attacco diretto contro tutte le parti, e queste stabiliranno
l’azione che giudicheranno necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e
mantenere la sicurezza nella zone dell’Atlantico settentrionale. L’aiuto al paese aggredito non è quindi
automatico: questo perché negli USA è il Senato a dichiarare guerra, e l’assenza di una garanzia
automatica di un intervento americano crea un vulnus all’interno dell’alleanza atlantica sulla garanzia
dell’appoggio americano.
43
Il Patto Atlantico è il trattato, la Nato è l’organizzazione militare, che non nasce nel 1949, ma in seguito
alla guerra di Corea e al Consiglio Atlantico di Ottawa del settembre 1951. Eisenhower sarà il
comandante supremo dell’alleanza atlantica. La sede della NATO era a Parigi. Oltre al Consiglio dei
ministri degli Esteri e della Diesa, l’organo decisionale era lo Standing Group, organismo di direzione
militare formato da Gran Bretagna, USA e Francia. La Francia uscirà dalla NATO nel 1966.

LA RISOLUZIONE NSC/68

Negli USA c’era un clima da caccia alle streghe, identificata nella personalità del senatore McCarthy, e
che prende il nome di maccartismo. Charlie Chaplin lasciò gli USA dopo l’accusa di essere troppo di
sinistra; i coniugi Rosenberg furono accusati di essere spie dell’URSS e di aver diffuso segreti relativi
alle arme atomiche. La paura nasce da quando l’URSS si dota dell’arma atomica, nell’agosto 1949. Una
serie di studi stima che nel 1954 l’URSS possiederà missili intercontinentali in grado di colpire il
territorio americano.
Intanto, nell’ottobre 1949, Mao sconfigge la Cina nazionalista di Chiang Kai-Shek e nasce la Repubblica
Popolare Cinese. Gli USA perdono una pedina fondamentale. Nel corso dell’immediato dopoguerra
emissari americani si erano recati in Cina per aiutare Chiang Kai-Shek, che stava perdendo terreno.
Chiang Kai-Shek costituisce un governo a Formosa (Taiwan), l’unico che gli USA riconosceranno fino
alla fine degli anni ’70. Questo pone dei grossi problemi per quanto riguarda il seggio permanente al
Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Gli USA mantengono il seggio permanente dell’ONU a Taiwan.
Mao già nel 1949 compie un viaggio in URSS e nel 1950 stipula un’alleanza militare. Anche se
esternamente la Cina di Mao appare un satellite dell’URSS, in realtà non sarà mai così, perché la Cina è
enorme. Dal punto di vista americano, gli USA perdevano un alleato fondamentale in Asia. Questo fatto
accresceva l’importanza del Giappone, con cui viene firmato il trattato di pace nel 1951 alla Conferenza
di San Francisco. Il generale Douglas MacArthur è l’autore della costituzione del Giappone, che da
paese fortemente militarizzato, si trasforma in un paese pacifico, la cui modernizzazione è
sostanzialmente filo-occidentale.
Truman incarica il National Security Council di aiutarlo nell’elaborazione della politica estera e nella
revisione della strategia del containment. L’NSC adotta un documento, la c.d. risoluzione 68, lunga 60
pagine, che dà una lettura più allarmista della politica estera sovietica rispetto al telegramma di
Kennan. L’URSS è mossa da una fede fanatica che la spinge a lanciare una sfida mortale agli USA. Si
prevede che tra il 1954 e il 1955 i sovietici avrebbero posseduto abbastanza bombe intercontinentali
da arrivare sul territorio americano. La guerra fredda è ormai diventata un gioco a somma zero. La
risoluzione 68 ha l’obiettivo di richiedere il processo di riarmo degli USA, difficile da far accettare al
Congresso. Questo documento genera un dibattito all’interno dell’amministrazione Truman e ciò che la
risoluzione afferma sembra verificarsi con lo scoppio della guerra di Corea nel giugno 1950.

LA GUERRA DI COREA

La Corea era stata annessa al Giappone nel 1910 e alla fine della seconda guerra mondiale era stata
predisposta la sua liberazione con l’URSS, che avrebbe dovuto liberare la parte settentrionale, mentre
gli USA avrebbero liberato la parte meridionale. L’idea era quella di attuare l’unificazione della
penisola una volta che gli eserciti si fossero allontanati. Non avverrà cosi: ambedue le superpotenze
creano nelle due Coree dei regimi a propria immagine. In particolare, l’URSS a nord favorisce la
creazione di un governo filosovietico retto da Kim Il-sung,. A sud gli USA creano un governo
filoamericano guidato da Syngman Rhee. L’ONU impone libere elezioni: nel 1948 si hanno le elezioni
soltanto nella Corea del Sud, dove vengono effettuate sotto il controllo dell’ONU e la vittoria di Rhee
viene considerata legittima, e gli americani escono di scena dalla Corea del Sud.
Nella Corea del Nord Kim inizia a pensare a una attacco alla Corea del Sud. Incontra Stalin e gli fa
sapere che ha intenzione di attaccare la Corea del Sud: Stalin approva, ma è Mao a supportarlo. Il 25
giugno 1950 la Corea del Nord attacca la Corea del Sud lungo il 38° parallelo, con una forza d’urto di 30
mila uomini che arriva a occupare tutta la Corea del Sud. Si realizzava completamente ciò che la

44
risoluzione 68 aveva paventato. La guerra di Corea è una guerra per procura e si pensa a nuova fase
della guerra fredda, che dal confronto politico si muove al confronto militare.
Gli USA investono della questione coreana il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che non solo condanna la
Corea del Nord, ma vota una risoluzione per la creazione di una missione internazionale che avrebbe
dovuto eliminare la Corea del Sud. Il Consiglio riesce a votare questa risoluzione perché approfitta
dell’assenza del delegato sovietico, che non si presentava come protesta al seggo permanete di Taiwan.
L’ONU vota la creazione di una missione internazionale guidata da generale MacArthur e composta per
la maggior parte da truppe americane, a cui partecipa anche la Turchia, che manda un aiuto simbolico
per poter entrare nella Nato. Questa forza internazionale respinge i nordcoreani al di là del 38° grado
parallelo, ma volontari cinesi iniziano ad affluire in Corea del Nord.
MacArthur propone di bombardare il territorio cinese utilizzano l’arma atomica. Truman, invece, era
favorevole ad un’azione graduale. Una guerra rapida si era trasformata in una guerra di logoramento.
MacArthur diventa ingestibile e Truman decide di sostituirlo, nominando il generale Ridgeway.
Iniziano dei negoziati che si dimostrano complessi sin dall’inizio.
La guerra di Corea pesò tantissimo sul giudizio della presidenza Truman, tanto che decise di non
ricandidarsi nel 1952. Le elezioni di quell’anno vedono candidarsi nel partito repubblicano il generale
Eisenhower, che promette all’elettorato di firmare l’armistizio, concluso nel 1953. La riunificazione
delle due Coree non è mai avvenuta. Il 38° parallelo rimane una delle ultime frontiere della guerra
fredda.

I RIFLESSI DELLA GUERRA DI COREA

Il luogo in cui la guerra di Corea fa più paura è l’Europa, perché sembra rispecchiare la situazione della
Germania. Si teme la guerra per procura anche in Germania. Questo è il motivo per cui gli USA iniziano
già dal settembre 1950 a porre un problema all’interno dell’Alleanza Atlantica: c’è la necessità di
riarmare la Germania. Il paese che vede con maggior timore l’ipotesi di un riarmo nazionale tedesco è
la Francia. Le pressioni da parte americana sono forti e la Francia escogita una formula per riarmare la
Germania.
Il maggio 1950 è l’anno della dichiarazione Schumann, l’inizio del processo di integrazione europea,
che grazie all’azione di Jean Monnet e dei padri fondatori dell’Europa porta alla nascita del primo
organismo sovranazionale, la CECA: il trattato viene firmato nel 1951. Creano un organismo, l’Alta
Autorità, con poteri sovranazionale sulla gestione delle risorse carbosiderurgiche, che nel 1950
servivano a riarmarsi. In questo modo la Francia controlla la rinascita economica e militare della
Germania. I francesi pensano a una formula europea anche per il riarmo della Germania.
Nell’ottobre 1950 il primo ministro francese propone il piano Pleven, all’origine della Comunità
Europea di Difesa. Si prevedeva di creare un esercito europeo e di dotare questa embrionale comunità
europea di un braccio armato composto da 6 divisioni all’interno delle quali ci sarebbero stati dei
militari delle unità tedesche. In questa maniera si sperava di far accettare l’ipotesi del riarmo tedesco,
che doveva avvenire attraverso la creazione di un esercito europeo. I trattati della nascita della CED
vengono firmati nel maggio 1952, ma all’interno della Francia c’era un’opposizione trasversale al
progetto della CED da parte di comunisti (contrari al riamo della Germania e al processo di
integrazione europea), socialisti, gaullisti (che temevano la perdita di sovranità nazionale per il
governo francese). In Francia il dibattito serrato sulla questione della ratifica del trattato della CED
prosegue fino al 1954. In quegli anni la Francia visse anche la crisi in Indocina: la Francia vuole
riprendere il controllo della propria colonia, ma inizia una guerra contro i Viet Minh che la porterà a
una sconfitta clamorosa nel maggio 1954 e sarà costretta a uscire dall’Indocina. Nell’agosto 1954 viene
deciso di non ratificare il trattato della CED e il progetto fallisce.
Nel 1953 ci sono la vittoria alle elezioni presidenziali americane di Eisenhower, un candidato più
aggressivo di Truman, e la morte di Stalin, a cui non fa subito seguito l’arrivo al potere di Krusciov, ma
viene costituita una direzione collegiale che dà segnali di distensione.
Gli americani non prendono bene il fallimento della CED. Eisenhower vuole che l’Europa partecipi di
più alla propria difesa e permetta il riarmo della Germania: egli minaccia una revisione angosciosa
della politica estera americana verso l’Europa. La Gran Bretagna trova una soluzione: siccome non era
interessata a mettere in comune le sue risorse militari, propone di riesumare il patto di Bruxelles. Con
45
la conferenza di Parigi nell’ottobre 1954 vengono fatte entrare la Germania e l’Italia all’interno del
patto di Bruxelles, si riconosce la piena sovranità tedesca e viene ripreso il progetto di Unione Europea
Occidentale presentato nel patto di Bruxelles. La Germania entra nella NATO nel 1955.

DWIGHT EISENHOWER (1953-1960)

Eisenhower vince le elezioni presidenziali del 1952 e nomina John Foster Dallas come segretario di
Stato. Truman, nel corso del 1952, è soggetto a fortissime critiche e viene accusato dai repubblicani di
essersi concentrato toppo sull’Europa a scapito del fronte asiatico: viene incolpato della perdita
dell’alleato cinese e dello scoppio della guerra di Corea. Truman decide di non ricandidarsi alle elezioni
presidenziali.
I repubblicani, durante la campagna elettorale, s’impegnano in una requisitoria contro il containment
di Truman, troppo soft on communism. Essi propongono una politica estera più aggressiva, più
ardimentosa, più dinamica e lo stesso John Foster Dallas, in un articolo apparso su Life nel 1952,
utilizza il termine che identificherà la nuova politica estera: il principio del roll back, che consiste in
una controffensiva in grado di spingere indietro i sovietici rispetto alla propria sfera di influenza. Si
parla di new look, nuova immagine dell’amministrazione Eisenhower. Si fa riferimento alla strategia
militare adottata dagli USA e caratterizzata da una diminuzione delle spese militari relative agli
armamenti tradizionali e da una rincorsa agli armamenti nucleari. Il principio di rappresaglia
massiccia, o maxim retaliation, stabiliva che si sarebbe risposto in maniera massiccia a qualsiasi
attacco da parte dell’URSS, utilizzando armamenti nucleari contro qualsiasi tipo di attacco.
L’idea della rappresaglia non era attuabile: avrebbe provocato un’immediata risposta da parte
dell’URSS, che in questi anni compie progressi nel campo degli armamenti nucleari. Nel 1957 avviene il
lancio dello Sputnik nello spazio. Inoltre, l’URSS si dota di bombardieri intercontinentali in grado di
violare la sacralità del suolo americano. Questi principi sono molto propagandistici. Si parla di
coesistenza competitiva. Un esempio è il caso ungherese del 1956: gli occidentali potevano intervenire,
ma non muovono un dito.
Oltre al riarmo nucleare, l’amministrazione Eisenhower fa ampio ricorso alla c.d. guerra psicologica,
che prevede un miscuglio di propaganda e covert operation da parte della CIA. È il caso dell’Iran, dove
nel 1953. dopo l’esperienza del governo nazionalista dal 1951, gli USA organizzano un’operazione
sotto copertura per riportare al potere lo Shah: dal 1953 fino al 1969 l’Iran è una pedina fondamentale
degli USA in Medio Oriente. In Guatemala viene portato a termine un colpo di stato nel 1954.
Italia ha uno dei partiti comunisti più forti dell’Europa occidentale. In questi anni Dallas cerca di creare
un sistema di alleanze con dei paesi che possano circondare l’URSS. Si avvicina alla Spagna, che si trova
in condizione di isolamento a causa della presenza di Franco e nel settembre 1953 viene stipulato un
accordo: gli USA iniziano a inviare aiuti economici e militari, e in cambio la Spagna concede l’uso di
basi militari.
C’è il rafforzamento dei legami con Tito: nel 1954 viene posta l’idea di un patto balcanico tra
Jugoslavia, Grecia e Turchia, ispirato dagli USA. Gli USA vogliono di accerchiare l’URSS attraverso
nuove alleanze militari, come la SEATO, un trattato di mutua difesa analogo al Patto Atlantico, che
viene firmato da USA, Gran Bretagna, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Tanganika e
Pakistan. Le aree che rientrano in questo trattato sono la Malesia, il Borneo, il Laos, la Cambogia e il
Vietnam del Sud (su cui Eisenhower mette al potere Ngo Dinh Diem fino al 1963). Il patto di Baghdad
del 1955, di cui non fanno parte USA, vede la partecipazione di Iraq, Turchia, Gran Bretagna, Pakistan e
Iran; ci sono tentativi per farci entrare anche l’Egitto, ma al potere c’è Nasser, che non ha intenzione di
diventare alleato degli americani. L’obiettivo è quello di chiudere il Medio Oriente all’infiltrazione
sovietica.

LA DESTALINIZZAZIONE IN URSS E LA CRISI UNGHERESE DEL 1956

Stalin muore il 5 marzo 1953. Gli ultimi anni di vita hanno visto aumentare la sua paranoia: vedeva
cospirazioni ovunque, tanto che dimise Molotov. Uno degli ultimi avvenimenti fu il complotto dei
medici, accusati di tramare contro di lui. Si crea una direzione collegiale: una serie di politici russi

46
prendono il posto di Stalin, fra cui il primo ministro Malenkov, il ministro degli interni Berija, molotov
e Krusciov. Molotov identificava la prosecuzione della politica estera di Stalin, mentre Malenkov il
cambiamento. Egli rimase al potere circa una anno e cercò di attuare dei cambiamenti iniziando a
sottolineare la necessità di ridurre gli investimenti destinati all’industria pesante per migliorare il
livello di vita della popolazione.
C’era il bisogno della coesistenza con il blocco occidentale, tanto che invia dei segnali di disgelo. Berija,
a capo dei servizi della sicurezza nel periodo staliniano, scompare dalla scena politica: viene ucciso
dopo aver subito un processo sommario.
Nel 1953 in Germania Est scoppiano delle proteste da parte di persone comuni che denunciano il
livello di vita insopportabile.
Krusciov era segretario del PCUS e si appoggiava all’esercito: questo lo rendeva molto forte.
Progressivamente prende dominio della scena politica e Malenkov viene allontanato dal Cremlino. Nel
settembre 1954 Krusciov ha in mano le redini dell’URSS. È un personalità diversa da Stalin: per quanto
Stalin era chiuso, diffidente e calcolatore, Krusciov era espansivo, esuberante e molto rozzo.
Tra il 1954 e 1955 compie vari viaggi. Il viaggio in Cina nel settembre 1954 prevede una serie di
accordi economici e scientifici: inizia lo scambio di scienziati per lo sviluppo del nucleare cinese.
L’URSS concede dei prestiti alla Cina: si ritiene che fra il 1950 e il 1960 abbia concesso a Mao due
miliardi di dollari. Con il viaggio in Jugoslavia nel 1955, Krusciov tenta di ricucire lo strappo causato
dallo scisma jugoslavo del 1948. Krusciov riconosce l’esistenza di vie nazionali al comunismo, ma Tito
non abbandona la sua libertà di manovra. Il viaggio alla fine del 1955 in India segna il progressivo
allineamento dell’India su posizioni filosovietiche.
Si parla di coesistenza competitiva: ci sono esempi di dialogo, ma anche delle crisi molto forti come
quella dei missili a Cuba. Nel 1955 una serie di esempi testimoniano la possibilità di dialogo tra i due
blocchi: il trattato di pace con l’Austria del 1955 (trattato di Stato); la conferenza di Ginevra nel luglio
1955, a cui partecipano Gran Bretagna, USA, Francia, URSS e dove si discute della grandi tematiche
(disarmo, problema tedesco); la visita di Adenauer a Mosca nel settembre 1955, che segna il loro
reciproco riconoscimento nonostante la dottrina Hallstein.
Ne l febbraio 1956 si tiene il XX Congresso del PCUS. Krusciov tiene due discorsi: uno pubblico,
dedicato alla politica estera, in cui si notano dei cambiamenti, perché si parla della possibilità di
coesistenza pacifica tra i due blocchi; l’altro segreto, rivolto ai leader dei partiti comunisti dell’Europa
orientale, in cui demolisce il mito di Stalin, lo accusa del culto della personalità e dei tremendi crimini
compiuti con le purghe. Questo discorso appare sulla stampa americana e l’URSS non smentisce, ma gli
effetti più importanti si hanno nei paesi dell’Europa dell’Est. La demolizione del mito di Stalin viene
interpretata come una possibilità di apertura.
In Polonia, a partire dal 1956, si hanno una serie di proteste molto violente che scoppiano nella città di
Poznan: Gomulka si pone alla testa dell’opposizione e riesce a mediare con Mosca. Gli avvenimenti
polacchi hanno rapida ripercussione in Ungheria, dove la protesta ha un rilievo che porta a mettere in
gioco l’esistenza stessa del regime. In un primo momento, Krusciov cerca di risolvere la questione
ungherese sostituendo il leader politico accusato Rakosi con il suo stretto collaboratore Gero. La
popolazione chiede che torni al potere Imre Nagy espulso dal partito comunista ungherese. Nagy torna
al potere e cerca di attuare delle riforme, aprendo il sistema a un moderato pluripartitismo. Fa
sostituire Gero alla testa del partito con Kadar, ma le proteste continuano. In Ungheria sono presenti
dei carri armati sovietici e Krusciov inizia ad allertare militari. La protesta dilaga a Budapest e il 31
ottobre 1956 Nagy annuncia l’uscita dal patto di Varsavia. I carri armati arrivano a Budapest e sparano
sulla folla per riprendere il controllo del paese, causando 2 mila morti. Nagy si reca all’ambasciata
jugoslava per ottenere il visto e uscire dal paese, ma viene preso dai russi e dopo essere processato
verrà giustiziato. Di fatto, i sovietici mantengono un controllo fermo sui paesi dell’Europa orientale.
Krusciov, più di Stalin, era consapevole dell’importanza degli armamenti nucleari. Nel 1957 avviene il
lancio dello Sputnik, il primo satellite artificiale nello spazio da parte dell’URSS, che sembra superare
gli USA dal punto di vista tecnologico. Ciò porta il governo americano a promuovere un’ulteriore corsa
al riarmo nucleare, benché allo stesso tempo si tema l’ipotesi di un attacco nucleare sovietico: questa
sorta di competizione spinge al dialogo, che prenderà corpo negli anni ’60. Si inizia a cercare formule
di coesistenza.

47
La Francia pone il problema dell’arsenale nucleare nazionale (force de frappe), promosso da De Gaulle,
al potere nel 1958. Nel 1960 la Francia farà il suo primo esperimento atomico. L’esistenza di arsenali
nazionali europei sono visti criticamente dagli USA. Si creano delle crepe nell’Alleanza atlantica.

LA CRISI DI SUEZ

La crisi d’Ungheria è una crisi interna al mondo sovietico che non ha alterato i confini dell’Europa
delineati dalla fine della seconda guerra mondiale. A partire dal 1956 i confini in Europa sono
cristallizzati, la situazione è definita e la guerra, contemporaneamente allo scoppio della crisi
ungherese, si sposta in altre aree del mondo: nel Mediterraneo, con la crisi del canale di Suez, e nel
Medio Oriente.
Il fallimento dell’impresa militare anglo-franco-israeliana determina l’uscita di scena di Francia e Gran
Bretagna da quest’area, sempre più importante per quanto riguarda le risorse petrolifere. Il
Mediterraneo era sempre stato sotto l’influenza inglese, ma con la fine della seconda guerra mondiale,
dal 1947, gli inglesi vengono affiancati dagli USA, che cercano di tenere al di fuori del Mediterraneo
l’URSS. L’Egitto era stato un protettorato britannico e nel 1922 l’Inghilterra aveva riconosciuto
l’indipendenza dell’Egitto, ma a seguito degli accordi del 1936 continuava a mantenere le sue truppe
lungo il canale di Suez, perché la compagnia che gestiva il traffico era di proprietà inglese e francese. Il
canale di Suez aveva una grande importanza dal punto di vista commerciale, era la porta verso il Medio
Oriente: la Gran Bretagna aveva l’interesse a controllare il passaggio attraverso il canale.
Nel 1952 c’è un colpo di stato effettuato dai giovani ufficiali che determina la fine della monarchia:
inizia un periodo transizione che porta al potere Gamal Abd el-Nasser come presidente della
repubblica nel 1954. Nasser si presenta come un leader politico che desidera eliminare i retaggi del
colonialismo. Sin dal momento del suo arrivo al potere, negozia l’allontanamento della truppe
britanniche dal canale e poi sigla degli accordi nel settembre 1955 con la Cecoslovacchia, i quali
prevedono la cessione di armi all’Egitto in cambio di cotone. Questo accordo viene visto con molto
allarme dagli USA, perché temono, attraverso Nasser, la penetrazione sovietica in un’area delicata.
Nel 1955 si tiene la conferenza di Bandung, che segna la nascita del movimento dei “non allineati”,
termine che indica tutti quei paesi che escono dal processo di decolonizzazione e che non intendono
entrare nella sfera occidentale o in quella sovietica. Nasser era uno dei leader del movimento.
In seguito all’accordo tra Egitto e Cecoslovacchia, il segretario di stato americano Dallas propone
all’Egitto di finanziare la costruzione di una diga, la diga di Assuan, sul fiume Nilo: essa avrebbe
consentito di aumentare le terre fertili da coltivare lungo le sponde del Nilo. L’offerta era di 270
milioni di dollari: 200 milioni sarebbero stati coperti dalla Banca Mondiale, mentre gli USA ne
avrebbero finanziati 56 e la Gran Bretagna 14. Gli USA pongono una condizione: chiedono a Nasser che
non accetti aiuti dall’URSS, ma solo dagli USA. Nasser è indeciso, tuttavia manda dei segnali che
vengono percepiti da Washington in maniera ambigua: riconosce la Repubblica Popolare Cinese e
ospita il ministro degli Esteri sovietico. Gli USA ritirano il proprio finanziamento. A questo punto si fa
avanti l’URSS.
Il 26 luglio 1956 Nasser nazionalizza la compagnia che gestiva il canale di Suez per autofinanziare la
costruzione della diga e svincolarsi dalle pressioni delle superpotenze. Le proprietà della compagnia
erano inglesi e francesi. Gran Bretagna e Francia vedevano Nasser come nemico dei propri interessi in
Oriente: la Francia era ostile perché contemporaneamente era scoppiata la guerra civile in Algeria e
Nasser stava appoggiando i movimenti algerini d’indipendenza. Israele è nato e teme la
nazionalizzazione del canale di Suez e teme di non poter più passare attraverso il canale. Passano mesi
in cui si assiste a una serie di contatti segreti tra Gran Bretagna, Francia e Israele e nasce l’idea di
un’operazione militare (operazione Musketeer). Gli USA organizzano una conferenza tra tutte le
potenze interessate al passaggio attraverso il canale e in ottobre, a Sèvres, Francia, Gran Bretagna e
Israele firmano accordo segreto che prevedeva che Israele attaccasse l’Egitto in direzione del canale di
Suez. In seguito all’attacco di Israele, Gran Bretagna e Francia sarebbero intervenute militarmente per
riportare l’ordine e separare i due contendenti.
Il 29 ottobre Israele occupa tutto il Sinai e il 4 novembre, al termine dell’ultimatum, Francia e Gran
Bretagna bombardano le basi egiziane e inviano le proprie truppe nel canale per separare le due parti
in guerra e riprendere il controllo del canale. Francia e Gran Bretagna intervengono, ma di fatto era
48
l’Egitto a essere attaccato, dimostrandosi incapace di risponder all’offesa. L’URSS minaccia di ricorrere
all’uso di armi nucleari. Gli USA condannano l’intervento militare di Gran Bretagna e Francia e si fanno
addirittura promotori di una risoluzione all’ONU con cui si chiede il “cessate il fuoco e il ritiro dei
belligeranti”.
Gran Bretagna e Francia bloccano meccanismi decisionali del Consiglio di sicurezza, ma viene
escogitata la formula “united for peace”, già utilizzata per la guerra in Corea, la quale stabilisce che in
caso di impossibilità per il Consiglio di votare una risoluzione a causa dell’esercizio del diritto di veto, i
membri permanenti dell’Assemblea Generale avrebbero deciso a maggioranza.
La risoluzione avanzata dagli USA viene approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza: USA e
URSS votano a favore della risoluzione e il 6 novembre 1956 Gran Bretagna e Francia sono costrette ad
allontanare le truppe dal canale di Suez. Inoltre, l’ONU invia una forza di emergenza, la United Nations
Emergency Force, che separa le due parti contendenti e allontana Israele dalla penisola del Sinai. Così
finisce la crisi del canale di Suez. È l’ultimo esempio di imperialismo tradizionale da parte di Gran
Bretagna e Francia e segna l’uscita di scena di Gran Bretagna e Francia dal Medio Oriente, che si apre
alla guerra fredda e diventa terreno di scontro tra le due superpotenze.
Durante il periodo in cui Nasser rimane al potere stringe un rapporto con l’URSS, che aiuta l’Egitto sia
economicamente, con il finanziamento della diga di Assuan, sia militarmente. Sarà solo con Sadat nel
1972 che l’Egitto si svincolerà dall’URSS e si avvicinerà agli USA con la guerra dello Yom Kippur.
La crisi di Suez è il segnale evidente per Francia e Gran Bretagna che oramai non sono più delle grandi
potenze. Si genera una frattura nei rapporti tra Grancia, Gran Bretagna e USA: per la Francia è il
segnale che oramai il proprio ruolo è in Europa, dove può svolgere un ruolo di leadership.
La crisi di Suez avviene nel 1956 ed è l’acceleratore del processo negoziale che porta alla firma dei
trattati di Roma del marzo 1957, che portano alla creazione della CEE e dell’EURATOM.
Nel gennaio 1957 l’amministrazione americana elabora la dottrina Eisenhower, la quale prevede che
gli USA avrebbero inviato aiuti economici e militari a quei paesi del Medio Oriente che avessero
richiesto l’aiuto americano per contrastare la minaccia sovietica. Effettivamente, tra il 1957 e il 1958
viene avanzata una richiesta dalla Giordania e dal Libano. Nel caso giordano gli USA inviano la sesta
flotta nel Mediterraneo orientale, mentre nel caso del Libano inviano delle truppe. È la testimonianza
che il Medio Oriente è il terreno di scontro tra USA e URSS.

IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA

Pochi mesi dopo il fallimento della CED, il padre dell’Europa, Jean Monnet, accarezzava il progetto di
integrazione europea. Sarà il ministro degli Esteri olandese che nel maggio 1955 propone il progetto di
Monnet di realizzare l’integrazione europea nell’ambito dell’energia nucleare a scopo pacifico. Nasce
anche l’idea di promuovere l’integrazione dei mercati e delle economie con l’obiettivo di creare un
mercato comune europeo (approccio funzionalista). Queste idee vengono presentate alla conferenza di
Messina di giugno e vengono studiati i due progetti, che avanzano parallelamente. Viene deciso di
creare una commissione che elabori dei trattati e che sarà presieduta dal ministro degli Esteri belga
Spaak. Iniziano i lavori della commissione, a cui prende parte il delegato inglese fino alla fine del 1955,
quando la Gran Bretagna deciderà di non parteciparvi più perché non vuole perdere la sovranità
nazionale e non crede che i progetti possano avere successo. I lavori della commissione vengono
presentati alla conferenza di Venezia nel maggio 1956: questi negoziati coinvolgono i paesi membri
della CECA.
Nel 1956 la Francia, che ha un ruolo centrale, appare più interessato al progetto sull’energia nucleare:
spera infatti di sfruttare le competenze degli altri paesi per costruire un proprio arsenale nucleare
nazionale. La crisi di Suez imprime uno slancio ai negoziati, perché la Francia si rende conto che
fardello coloniale è diventato troppo pesante.
Nel marzo 1957 c’è la firma dei trattati di Roma, che prevedono la nascita della CEE e dell’EURATOM.
Di fatto, la CEE ha l’obiettivo di integrare le economie creando un mercato unico, abbattendo le tariffe
doganali interne e innalzando le tariffe doganali verso i paesi terzi, promuovendo la libera circolazione
di beni, capitali, persone e merci. Vengono creati gli organismi della comunità: la Commissione,
titolare del potere esecutivo; il Consiglio dei ministri, con il potere decisionale; l’Assemblea
parlamentare, eletta a suffragio universale nel 1979; la Corte di Giustizia.
49
L’Italia ha il ruolo di ospitare tutti questi incontri, ma in realtà non arriva molto preparata al processo
negoziale. Difende i propri interessi introducendo il principio della libera circolazione dei lavoratori:
intende europeizzare il problema della disoccupazione mandando i lavoratori all’estero e istituendo il
fondo sociale europeo.
La Gran Bretagna ne rimane al di fuori, ma non si limita ad un atteggiamento passivo: nel 1959 crea un
nuova organizzazione, l’Area europea di libero scambio. I paesi partecipanti sono Gran Bretagna,
Austria, Portogallo, Svizzera e i paesi scandinavi. Essa non prevede istituzioni comuni e di fatto fallirà li
suo obiettivo.

IL PROCESSO DI DECOLONIZZAZIONE

Generalmente si intende la fine della seconda guerra mondiale come inizio del processo di
decolonizzazione, ma si presenta come forza dirompente e raggiunge l’apice nel 1960, quando ben 16
nuovi stati furono ammessi all’ONU. Se nel 1945 l’ONU era composta da 51 stati, di cui 9 asiatici e 3
africani, i suoi membri sarebbero divenuti 99 nel 1960 e 144 nel 1975. Nel 1965 solo il Portogallo
continuava ad essere una potenza coloniale. La maggioranza die paesi che entrano a far parte dell’ONU
sono africani e asiatici.
Per decolonizzazione s’intende lo smantellamento degli imperi coloniali, l’affermazione
dell’indipendenza delle colonie, che si danno un’organizzazione sociale ed economica per uscire dalla
propria arretratezza. Le colonie erano state fondamentali per la ricchezza europea e uno strumento
del dominio dell’Europa nel diciannovesimo secolo. Per quanto riguarda il colonialismo francese, si
parla di assimilazione dei possedimenti coloniali alla nazione francese. La Francia adotta il principio di
assimilazione soprattutto in Indocina (Vietnam, Laos, Cambogia), dove i francesi reprimono ogni sorta
di protesta.
Sebbene si ponga nel 1945 l’inizio del processo di decolonizzazione, in realtà già all’indomani della
prima guerra mondiale si parla del principio di autodeterminazione dei popoli con i 14 punti di
Wilson. La soluzione trovata del sistema dei mandati è un modo attraverso cui Gran Bretagna e Francia
si spartiscono anche il Giappone, i possedimenti dell’Impero ottomano e della Germania. In realtà,
alcuni mandati di tipo A ottengono l’indipendenza: l’Iraq nel 1932; l’indipendenza di Siria e Libano
viene promossa negli anni ’30 e nel 1945 entrano a far parte dell’ONU.
Il protettorato è un territorio controllato da una altro stato che si riserva di rappresentarlo in ambito
internazionale, ma gli concede autonomia sul piano interno. Nella colonia, di fatto, la sovranità non
appartiene alla popolazione autoctona ma allo stato straniero
L’India ottiene l’indipendenza nel 1947, al termine di un processo di lunga durata. Viene creato il
Pakistan per la pressione dei musulmani, che non volevano essere soggetti alla maggioranza indù: ci
sono un Pakistan occidentale (Bangladesh) e un Pakistan orientale. Nel 1971 ci saranno dei conflitti tra
le due parti del Pakistan, che porteranno alla nascita del Bangladesh. Nel 1975 ci saranno degli altri
conflitti tra India e Pakistan per il controllo della regione del Kashmir.

LA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE

L’Inghilterra aveva il mandato sulla Palestina. Nel gennaio 1933 arriva al potere Hitler e inizia
l’emigrazione ebraica, che si fa sempre più consistente, tanto che nel 1939 in Palestina vivevano 400
mila ebrei e 600 mila arabi.
Nel 1939 la Gran Bretagna pubblicò un Libro Bianco, in cui si prevedeva la creazione di uno stato
palestinese indipendente la cui amministrazione sarebbe stata suddivisa tra arabi ed ebrei e si poneva
limiti all’immigrazione degli ebrei.
Il problema dell’emigrazione ebraica esplode durante la seconda guerra mondiale, nel momento in cui
giungono le notizie sul trattamento che Hitler aveva riservato loro nei campi di concentramento. Si
crea una forte lobby degli ebrei americani che iniziano a esercitare pressioni sulla Gran Bretagna per la
nascita di uno stato ebraico in Palestina. Anche gli arabi esercitavano pressioni affinché nascesse stato
uno stato arabo indipendente in Palestina.

50
Il nazionalismo ebraico era nato alla fine dell’Ottocento ai confini dell’Impero russo: era un movimento
di intellettuali che aveva l’obiettivo del ritorno nella terra dei padri. Non si ritentava che questa terra
dovesse essere in Palestina: Herzl lancia l’ipotesi di creare uno stato ebraico in Africa, inoltre tra il
1880 e 1920 si era verificata una forte emigrazione di ebrei negli USA, dove avevano creato una
comunità molto numerosa e organizzata.
Durante la seconda guerra mondiale, mentre molti arabi collaboravano con i tedeschi in funzione
antiebraica, in Palestina nasce un’integrata ebraica nell’esercito inglese. Sorgono anche gruppi
estremisti, come l’Haganah, e gruppi terroristici, autori di una politica di attentati antiarabi. Nel
momento in cui nasce Israele, quest’organizzazione fonda le basi dell’esercito israeliano.
Negli USA c’era una lobby ebraica molto influente e l’amministrazione Roosevelt mantenne un
atteggiamento calmo, attento ai rapporti col mondo arabo. Roosevelt dà segnali incoraggianti agli
ebrei, ma le promesse sono sempre accompagnate dalla rassicurazione che non sarebbero state prese
decisioni senza il consenso degli arabi. Con la fine della guerra e delle condizioni delle persone uscite
dai campi, Truman esercita pressioni sulla Gran Bretagna perché accetti l’ingresso di 100 mila ebrei in
Palestina. Gli inglesi si trovano fra due fuochi: da una parte le pressioni amaricane, dall’altre le
pressioni arabe.
Gli inglesi adottano una tattica dilatoria che andrà avanti fino all’aprile 1947, quando chiedono all’ONU
di decidere in merito allo status della Palestina. Viene istituita la commissione d’inchiesta UNSCP
(United Nations Special Committee on Palestine), che elabora un piano che prevede la creazione di due
stati, un arabo e uno ebraico, e l’internazionalizzazione di Gerusalemme, città santa per tutte le
religioni. Questo piano viene accettato dai sionisti, i quali si vedono riconoscere da un organismo
internazionale il proprio diritto a esistere. Il piano viene approvato con 33 voti favorevoli, che
comprendono USA e URSS; i voti contrari sono 13 e comprendono tutti gli stati arabi. La Gran Bretagna
si era astenuta. L’ONU decide che la Gran Bretagna dovrà lasciare il paese entro il primo agosto 1948.
Tuttavia, gli arabi si sentono traditi dalle potenze occidentali e si rifiutano di accettare il piano. Inizia
una fase di gravi disordini e attentati che porterà la Gran Bretagna a lasciare il proprio mandato in
anticipo, nel maggio, perché non è in grado di controllare il caos nel paese.
A questo punto viene proclamata unilateralmente la nascita dello stato di Israele e i sionisti già
organizzano un esercito composto da 60 mila uomini. Israele viene riconosciuto subito da alcune
potenze, comprese USA, URSS e Gran Bretagna. Israele stipula un accordo segreto con la
Transgiordania, che in cambio della promessa di non contrastare il conflitto fra Israele e i paesi arabi
ottiene la promessa di poter controllare la Cisgiordania.
Scoppia il primo conflitto arabo-israeliano, che vede la grande preparazione di Israele e
l’impreparazione dei paesi arabi e porterà alla fuga di centinaia di miglia di profughi dalla Palestina
verso i paesi vicini. Gli israeliani combattono contro un esercito composto da egiziani, siriani, libanesi
e militari della Lega araba, che viene creata nel 1945.
Israele occupa più territori rispetto a quelli previsti dal piano. L’ONU cerca di mediare inviando il
proprio emissario Bernadotte, ucciso da un estremista ebraico. Il suo successione Punch certifica
l’annessione di questi territori da parte dell’ONU. Nel 1950 nasce la Giordania, con la Transgiordania
che unisce la Giordania ai propri territori. Di fatto si viene a creare una situazione di conflittualità
latente che accompagnerà tutta la seconda metà del ‘900.

IL CASO DELL’INDOCINA

Dopo la seconda guerra mondiale, i francesi desiderano tornare a rioccupare i territori indocinesi, ma
di fatto, nel momento in cu tornano in Indocina nel 1945, si trovano ad affrontare un movimento che è
il fronte per l’indipendenza del Vietnam e che prende il nome di Viet Minh. È dominato dal partito
comunista e dalla figura di Ho Chi Minh, che di fatto dichiara la nascita della repubblica del Vietnam
del Nord nel 1945. Nel momento in cui i francesi tornano in Indocina controllano soltanto il Vietnam
del Sud e la Cambogia.
Nel 1946 i francesi cercano di dare un nuovo assetto ai rapporti con le ex colonie attraverso un
progetto di Union française: è li tentativo francese di concedere ai propri possedimenti più ampie
forme di autonomia, ma non una vera e propria indipendenza. Cerca di inserire anche l’Indocina
all’interno di questo progetto, ma inizia o gli scontri armati con i Viet Minh di Ho Chi Minh, che ottiene
51
aiuti militari dalla Cina, mentre la Francia viene aiutata dagli USA. Gli USA appoggiano militarmente la
Francia sulla base della la teoria del domino: se un paese, visto come una tessera del dominio, cade
sotto l’influenza sovietica, anche i paesi vicini cadranno sotto l’influenza sovietica. Dal 1950 al 1952 si
inviano aiuti militari per evitare che tutta la penisola indocinese cada in mano all’URSS.
I francesi vengono accerchiati nel Vietnam del Sud e subiscono una sconfitta nel maggio 1954 nella
battaglia di Dien Bien Phu ad opera dei Viet Minh. La sconfitta sancisce l’uscita di scena della Francia
dall’Indocina: alla conferenza di Ginevra del 1954 si stabilisce l’indipendenza di Laos e Cambogia,
mentre il Vietnam viene diviso in due parti dal 17° grado parallelo. Il nord era governato dai Viet Minh,
mentre a sud si crea un governo filooccidentale che viene guidato dal cattolico Ngo Dinh Diem. A
Ginevra si stabilisce anche che si tengono elezioni entro due anni per stabilire il futuro assetto del
Vietnam. È un’altra prova dell’uscita di scena della Francia: già negli anni ’50 sono presenti i primi
tecnici americani (consiglieri militari). In realtà, le realtà le elezioni non ci saranno mai.

IL CASO DELL’ALGERIA

Nel 1954 la Francia esce dal sud-est asiatico e nel Vietnam del Sud viene posto Diem. I due protettorati
francesi di Tunisia e Marocco ottengono l’indipendenza nel 1956. In Marocco la Francia cerca di tenere
una politica più rigida, costringendo il sultano all’abdicazione, ma tornerà nel 1956 diventando il
simbolo dell’indipendenza marocchina. La situazione è diversa in Algeria, considerata territorio
metropolitano. La Francia elabora un progetto di Union française, all’interno della quale doveva
inserire stati associati e territori metropolitani, sancendo l’indivisibilità del territorio francese.
Un’altra ragione della particolarità del caso algerino è il numero consistente di francesi che vivono in
Algeria: sono circa 1 milione, costituiscono il ceto dominante e hanno rappresentanza a livello
istituzionale rispetto alla popolazione araba.
Nel 1954 scoppia in Algeria un‘insurrezione generale proclamata dal fronte di liberazione nazionale il
primo novembre. Il governo di Parigi reagisce a quest’insurrezione proclamando lo stato d’emergenza
e reprime in maniera massiccia l’insurrezione. La Francia utilizza tecniche di guerriglia, ma prendono
spazio esponenti dell’esercito che vogliono resistere a ogni coto. La crisi rischia non solo di investire
tutta l’Algeria, ma tutto il territorio francese. Questa volontà di resistere a ogni costo è identificata da
Massu, generale dei paracadutisti che nel 1958 crea un gruppo armato e arriva a prospettare un colpo
di stato in Francia.
Nel 1958 si decide di richiamare al potere De Gaulle, ritenuto in grado di gestire la situazione algerina.
De Gaulle torna al potere, ma il suo ritorno identifica un cambiamento radicale nella forma di governo:
si pone fina alla quarta repubblica e chiede che venga elaborata una nuova costituzione, che sancisce la
nascita della quinta repubblica, semi presidenziale. De Gaulle dispone così di più poteri in politica
estera. È convinto che si debba concedere l’indipendenza all’Algeria, diventata un peso troppo forte
per la Francia, che deve modernizzarsi e deve guardare all’Europa, dove contemporaneamente si
stanno avviando i primi passi dell’integrazione europea. Per De Gaulle il posto della Francia è in
Europa.
Nel 1961 c’è un tentativo di colpo di stato militare ad Algeri da parte del generale Salan, ma De Gaulle
avvia dei negoziati nel 1962 con il fronte di liberazione e vengono conclusi gli accordi che riconoscono
l’indipendenza all’Algeria. Il processo di indipendenza avviene in una situazione di caos del paese che
poi porterà tutti i francesi presenti a rientrare in madrepatria.

IL CASO DEL CONGO BELGA

È un caso che porta l’ONU a intervenire nel processo di indipendenza. Il Congo belga era proprietà
personale del re. È un paese ricchissimo di materie prime, soprattutto di risorse minerarie. Il Belgio
non aveva permesso la creazione di una classe dirigente locale in grado di gestire il processo di
decolonizzazione. Il Belgio, che è non in grado di affrontare militarmente un’eventuale conflitto che
può scoppiare in Congo, concede l’indipendenza nel 1960, che porta alla formazione di un governo
guidato da Patrice Lumumba, capo del governo del Congo.

52
Già un mese dopo la proclamazione dell’indipendenza, viene proclamata la secessione del katanga dal
resto del paese. Il Katanga è una regione ricchissima di miniere, di cui era proprietaria l’Union minière,
una multinazionale belga. Lumumba chiede al Consiglio di sicurezza l’invio di una forza d’urgenza per
cercare di ripristinare l’ordinare e ricucire questa secessione. Il Congo diventa il banco di prova per
dimostrare la capacità dell’ONU di riportare l’ordine all’interno del paese.
In realtà, l’ONU è incapace di svolgere questa funzione e la ricucitura avverrà solo nel 1964. Lumumba
viene fatto arrestare dal presidente della repubblica perché ritenuto filosovietico. Ci sarà un colpo di
stato e verrà creato un governo militare con a capo il filoamericano Mobutu.
L’ONU diventa la vetrina del processo di decolonizzazione e l’Assemblea Generale sarà il catalizzatore
delle posizioni dei paesi che hanno raggiunto l’indipendenza, tanto che nel dicembre 1960 la
coalizione afroasiatica fa approvare una risoluzione nella quale si afferma che il colonialismo è
contrario alla carta dell’ONU.
Dopo Bandung, nel 1961 si tiene la conferenza di Belgrado, che fa nascere formalmente il movimento
dei “non allineati”. Da 29 partecipanti si passa a 100 aderenti. Non allineamento significa cercare di
non aderire a nessuno dei due blocchi e mantenere una posizione d neutralità. C’è il desiderio di
mostrare che esiste una terza via. Si inizia a parlare di dialogo nord-sud e del fatto che questi paesi
chiedono aiuto ai paesi industrializzati.

LA SECONDA CRISI DI BERLINO

Gli ultimi due anni dell’amministrazione Eisenhower danno l’immagine di una potenza americana in
declino di fronte a un crescente dinamismo da parte dell’URSS e di Krusciov. Questo declino è legato
all’età del presidente e soprattutto al fatto che il segretario di stato muore nel 1959 e viene sostituito
da Christian Herter. Si sente fortemente la competizione con l’URSS, che ha già degli interlocutori in
Medio Oriente, Egitto, Siria, Corea del Nord e Cina. Dimostra di essere una superpotenza. Il suo
modello di sviluppo è attraente per i paesi che hanno appena raggiunto l’indipendenza.
Berlino è l’ultima frontiera aperta in Europa della guerra fredda. Tra il 1949 e il 1958 c’è un esodo
massiccio di tedeschi dalla Germania orientale alla Germania occidentale. È un sodo di cervelli, di
persone istruite che cercano migliori opportunità. L’esodo viene percepito come minaccioso dal
governo della Repubblica Democratica Tedesca e Ulbricht fa pressioni su Krusciov per risolvere questo
problema. Krusciov alterna momenti di forte crisi al dialogo, sintomi di una diplomazia che a volte
appare anche contradditoria.
Il 27 novembre dl 1958 Krusciov invia alle potenze occidentali occupanti di Berlino un lunghissimo
documento in cui preannuncia la sua intenzione di stipulare un trattato di pace separato con la
Repubblica Democratica Tedesca. Questo documento viene percepito dalle potenze occidentali come
una sorta di ultimatum, perché Krusciov fa sapere che entro se mesi avrebbe lasciato alla Repubblica
Democratica Tedesca tutti i diritti relativi a Berlino. Questo voleva dire che le potenze occidentali
avrebbero dovuto negoziare col governo democratico il proprio diritto di accesso a Berlino Ovest,
voleva dire rompere i propri rapporti con la Repubblica Federale Tedesca, perché secondo la dottrina
Hallstein, principio posto da Adenauer, la Germania federale era l’unica esistente.
Questa notizia crea una nuova tensione relativamente alla questione tedesca tra i due blocchi. Krusciov
alterna alla crisi l’apertura al negoziato, tanto che nel luglio 1959 si reca in visita negli USA e visita la
residenza estiva del presidente americano a Camp David. In questo incontro viene deciso di
organizzare un vertice a Parigi nel maggio 1960 tra le 4 potenze occupanti per decidere
definitivamente lo status di Berlino. Questo vertice non si terrà mai, perché pochi giorni prima
Krusciov abbatte un aereo spia americano sul territorio sovietico. Gli aerei spia venivano inviati dagli
USA sul territorio sovietico per fotografare dove l’URSS aveva basi miliari segrete.
In un primo momento, gli americani negano l’invio dell’aereo spia, ma i sovietici riescono ad arrestare
il pilota americano. Krusciov chiede ad Eisenhower di condannare questi voli spia sul territorio
sovietico e di rinunciare a compere nuovi voli, cosa che il presidente americano non può fare. Si crea
una fase di forte tensione e il vertice non si tiene.
La documentazione sovietica dà una lettura interna al Cremlino: tende a interpretare l’alternanza di
mosse distensive e colpi di scena con il fatto che la diplomazia di Krusciov era molto criticata dagli
esponenti più conservatori al Cremlino.
53
Nel 1960 Eisenhower esce di scena: c’è il desiderio di cambiamento da parte degli americani, che porta
all’elezione di Kennedy. La crisi di Berlino viene risolta nell’agosto 1961 attraverso la costruzione del
muro che separa Berlino Est da Berlino Ovest e che diventerà il simbolo della guerra fredda fino al
1989, il simbolo della divisione dell’Europa in due blocchi.

L’AMMINISTRAZIONE KENNEDY

Come Eisenhower dava l’immagine di un’America in declino, la vittoria di un democratico rappresenta


la voglia del campamento, la voglia di proiettare un’immagine nuova, giovane, più dinamica. Kennedy
arriva alla presidenza nel gennaio 1961 con la promessa di un uovo stile presidenziale, meno legato a i
formalismi delle precedenti amministrazioni. Kennedy rimane al potere solo tre anni. Muore in un
attentato a Dallas nel 1963. Sul piano politico interno, Kennedy era favorevole a un riconoscimento dei
diritti civili per gli afroamericani, ma non ha avuto il tempo di fare un secondo mandato. Un ambito di
politica estera su cui ci sono molti interrogativi è il Vietnam: si assiste ad un’escalation dei consiglieri
militari. Kennedy si circondò di uno staff presidenziale diverso: the best and the brightest, provenienti
dalle università più famose. Lo stesso Kennedy identificava un percorso universitario nelle principali
università americane: la generazione della classe d’oro americana.
Ci sono dei cambiamenti rispetto ad Eisenhower in politica estera: viene abbandonato il principio della
rappresaglia massiccia, che aveva dimostrato di essere inapplicabile di fatto soprattutto nel momento
in cui l’URSS stava reggendo la corsa al riarmo nucleare e dimostrava di aver superato gli USA con il
lancio dello Sputnik. Questo principio viene sostituito con quello della risposta flessibile: si deve
calibrare la reazione al tipo e al tenore dell’iniziativa sovietica (esempio di Cuba). Solo in ultima ipotesi
si doveva arrivare all’utilizzo dell’arma nucleare. La NATO adotta il principio della risposta flessibile
nel 1967.
C’è poi la convinzione che la competizione con l’URSS oramai si sta spostando verso aree meno
sviluppate in conseguenza delle decolonizzazione. Gli USA devono proporsi come modello di
riferimento per i paesi in via di sviluppo. Si cerca di applicare il principio della modernizzazione alla
politica estera e soprattutto Kennedy fa ricorso allo slogan della nuova frontiera: l’America si deve
porre alla guida del rinnovamento ideale, sociale e tecnologico del mondo perché dispone delle risorse
necessarie, degli strumenti per poter governare i processi di tecnologizzazione del terzo mondo.
Infine, c’è il principio di rafforzamento della partnership euro-atlantica, che Kennedy descriverà con
un discorso a Philadelphia il 4 luglio 1962.

LA CRISI DI CUBA

La crisi che più si ricorda dell’amministrazione Kennedy è la crisi dei missili di Cuba, che scoppia
nell’ottobre 1962. È una crisi che eredita da Eisenhower. Cuba era indipendente dal 1902 ed era
passata di fatto dalla dipendenza coloniale spagnola a quella statunitense: gli USA, di fatto, potevano
intervenire militarmente a Cuba grazie all’emendamento Platt. Cuba era molto importante dal punto di
vista economico per la produzione dello zucchero. La situazione a Cuba cambia nel momento in cui
Fidel Castro si pone alla testa di un movimento che cerca di spodestare il dittatore Batista.
Castro arriva al potere nel 5,9 ma già il 26 luglio 1953 c’è il primo tentativo insurrezionale da parte di
Castro alla Caserma Moncada, in seguito a cui viene arrestato e processato. La sua arringa difensiva
diventa il manifesto del suo programma, che fonda in Messico con il nome di Movimento del 26 luglio.
Incontra Che Guevara e diventa suo compagno di lotta.
Nel 1956 c’è un nuovo tentativo insurrezionale a Cuba che risultò disastroso e portò gli insorti a
rifugiarsi sulla Sierra Maestra. Da lì inizia l’operazione di lotta contro il regime di Batista, che
abbandona cuba. Nel momento in cui Castro arriva al potere, Cuba non è ancora filosovietica. Castro
adotta una serie di programmi che prevedono alfabetizzazione, la riforma sanitaria e il miglioramento
delle condizioni di vita: non sono programmi filosovietici, tanto che gli USA credono che sia possibile
intessere un dialogo, ma i rapporti iniziano a peggiorare dal 1960, quando viene stipulato un accordo
commerciale tra URSS e Cuba, che prevede l’acquisto da parte dell’URSS dello zucchero cubano a un

54
prezzo inferiore rispetto a quello degli USA in cambio della concessione di un prestito di 100 milioni di
dollari a un tasso conveniente.
Nel giugno 1960 l’amministrazione Eisenhower pone l’embargo sulle importazioni di zucchero da
Cuba. A partire dal ’60 i rapporti peggiorano notevolmente: Castro stringe rapporti con la Repubblica
Popolare Cinese, aumenta i flusso di aiuti provenienti dall’URSS e, soprattutto, riduce notevolmente
gran parte del personale dell’ambasciata americana all’Havana.
Kennedy eredita questa situazione e la affronta in due maniere. Dapprima organizza un’operazione
militare per il 17 aprile 1961, con uno sbarco nella baia dei porci organizzato dalla CIA e dagli esuli
cubani: credono di poter provocare un’insurrezione generale, ma ciò non avviene. L’operazione miliare
è un fiasco clamoroso: è stata mal gestita, l’aviazione americana non poteva intervenire e vengono
tutti arrestati. A questo punto Castro proclama Cuba una repubblica socialista sul modello sovietico.
L’altro progetto, di più ampio respiro, ma rivolto a isolare il caso cubano, è l’ Alleanza per il progresso,
una sorta di piano Marshall per l’America Latina elaborato nel corso del 1961 e inaugurato nell’agosto.
Esso prevedeva un finanziamento molto importante di 20 miliardi di dollari a tutti i paesi dell’America
Latina eccetto Cuba.
La crisi scoppia ufficialmente il 22 ottobre 1962, quando i programmi televisivi americani
s’interrompono e Kennedy annuncia che gli USA avevano scoperto che l’URSS stava installando
segretamente delle rampe missilistiche su Cuba grazie a cui avrebbe potuto lanciare missili nucleari a
media gittata in grado di colpire il territorio americano. In realtà, Kennedy aveva avuto certezza di
quanto avveniva già il 16 ottobre, perché un aereo U2 aveva fotografato queste rampe. Per circa una
settimana Kennedy non informa l’opinione pubblica e crea un comitato speciale che si riunisce
segretamente per discutere di come affrontare il problema. Il comitato riuniva militari, il segretario di
stato, il fratello di Kennedy, ministro della Giustizia. I falchi chiedono d’intervenire militarmente, ma
l’amministrazione sceglie una soluzione diplomatica: Kennedy impone un blocco navale intorno
all’sola e vieta alle navi sovietiche di forzare questo blocco navale.
Krusciov decide di installare queste rampe missilistiche perché voleva far sentire agli USA la stessa
minaccia che l’URSS percepiva dalle basi miliari americane in Turchia, da cui i missili erano in grado di
raggiungere il territorio sovietico.
Il 26 ottobre Krusciov invia un primo messaggio a Kennedy, una lettera privata, in cui propone di
smantellare i missili se gli USA si impegnavano a non invadere Cuba. In un secondo messaggio
pubblico, una lettera diffusa il 27 ottobre da Radio Mosca, Krusciov svela quello che è l’accordo
disposto ad accettare: l’URSS avrebbe smantellato i missili a Cuba se gli USA avessero smantellato i
missili Jupiter in Turchia e in Italia. Questa proposta era alla base del negoziato che si stava svolgendo
tra Robert Kennedy e l’ambasciatore sovietico a Washington. Kennedy risponde in maniera separata ai
due messaggi, ma fa sapere che è disposto a concludere l’accordo. La soluzione è dettata da questo do
ut des, che al momento non viene ufficializzato perché l’URSS accetta di smantellare le rampe
missilistiche a Cuba.
Anche se Krusciov ottiene quello che vuole, il vincitore della crisi è Kennedy, che godrà di un grande
successo d’immagine. Questo spiega perché poi Krusciov viene destituito dal potere nel 1964. Al
momento non è ancora pubblico l’annuncio del ritiro dei missili dalla Turchia e Krusciov appare come
non vincitore di questa crisi: soprattutto la sua diplomazia è soggetta a forte critiche all’interno del
Cremlino.
Nel 1964 Krusciov esce di scena e viene sostituito da un leader conservatore, Breznev, ma i riflessi
della crisi si fanno sentire. Castro vede la sua posizione indebolita. I rilessi si sentono anche in Europa,
perché gli USA decidono di smantellare le basi missilistiche in Turchia e in Italia senza consultare gli
alleati europei. Risolvono una crisi nel proprio cortile di casa indebolendo quella che è la difesa
europea e questo problema.
Il fatto che gli USA si sono limitati a informare gli alleati europei delle proprie decisioni viene posto da
De Gaulle, che inizia da questo momento a puntare l’indice sull’ambiguità della politica estera
americana e prende decisioni percepite come fortemente antiamericane, in particolare la decisione di
opporsi all’ingresso della Gran Bretagna all’interno della CEE ponendo il veto nel 1963. Un altro
esempio sarà la decisone di uscire dalla NATO nel 1966.
All’indomani della crisi di Cuba inizia il dialogo e il processo di distensione, quando nell’agosto 1963
viene firmato il primo accordo che vieta esperimenti atomici nell’atmosfera, firmato da Usa, URSS e
Gran Bretagna.
55
Kennedy, decidendo di smantellare i missili Jupiter in Turchia e in Italia, limitandosi a informare e non
consultare i propri alleati europei, aveva provocato reazioni molto forti da parte di De Gaulle. Un
esempio è l’atteggiamento di De Gaulle sempre più critico nei confronti della politica americana.
La Gran Bretagna aveva deciso di non partecipare alla CEE. La spiegazione risiede nell’identità della
Gran Bretagna, tuttora molto scettica: si vede al di fuori dell’Europa. In quegli anni, soprattutto, era
importante il rapporto con i paesi del Commonwealth, che le consentiva di poter avere numerosi
prodotti a prezzi molto bassi. C’è una questiona di natura economica: non le conveniva entrare nella
CEE, fortemente lesiva dei suoi interessi, perché sarebbe stata obbligata a comprare prodotti dai paesi
europei. Tra il 1957 e il 1958 intrattiene una special relationship con gli USA e si sentiva su un piano
diverso rispetto alle altre nazioni europee. Non è un atteggiamento soltanto passivo, ma anche attivo.
perché crea la Free Trade Area, un’organizzazione creata in alternativa alla CEE di cui sono membri i
paesi scandinavi, l’Austria, la Svizzera e il Portogallo.
La CEE mostra sin dall’inizio di essere un volano per l’economia delle nazioni europee. Questo porta la
Gran Bretagna a rivedere la propria posizione nei confronti della Comunità e lo farà con il leader
conservatore Macmillan, presentando la domanda di adesione nell’agosto 1961, che tuttavia si
presenta come un negoziato non facile. La Gran Bretagna pone delle condizioni agli altri partner:
chiede in particolare che il suo sistema preferenziale con il Commonwealth venga mantenuto intatto e
chiede di poter rivedere i meccanismi della politica agricola comune, disegnata da De Gaulle per
difendere gli interessi francesi. I negoziati per l’ingresso della Gran Bretagna iniziano nel 1962 e
s’intrecciano con la crisi di Cuba.
La cosa che farà arrabbiare di più De Gaulle, alla base dell’opposizione francese all’ingresso della Gran
Bretagna nella CEE, è l’incontro a Nassau nel dicembre 1962 tra Kennedy e Macmillan, all’indomani
della crisi cubana. Era un incontro segreto con cui di fatto gli americani cedono di dotare la Gran
Bretagna di missili Polaris, installati sui sottomarini, a patto che la Gran Bretagna li utilizzasse
all’interno delle forze NATO. I missili Polaris dovevano sostituire i missili Skybolt, non particolarmente
efficaci. La trattativa viene resa nota e per De Gaulle la crisi di Cuba e l’incontro Nassau sono le prove
del fatto che esiste questa special relationship tra Gran Bretagna e USA. Una volta dentro la Comunità,
la Gran Bretagna si sarebbe identificata come il cavallo di troia degli USA. Questo spiega perché De
Gaulle esprime il proprio veto all’ingresso della Gran Bretagna all’interno della CEE nella conferenza
del 14 gennaio 1963. Questa decisione è seguita, il 22 gennaio, dalla firma tra De Gaulle e Adenauer del
trattato dell’Eliseo, un accordo franco-tedesco che prevedeva la collaborazione sul piano della politica
estera e della difesa. È il tentativo di De Gaulle di riuscire a sganciare l’Europa dagli USA e creare una
maggiore collaborazione in ambito della difesa.
Il veto del 1963 non sarà l’unico veto di De Gaulle all’ingresso della Gran Bretagna, che ritenta nel
1967, quando al potere ci sono i labouristi di Wilson, che presenta domanda nel maggio 1967. De
Gaulle ripone il veto nel novembre. La Gran Bretagna entrerà nella CEE quando non c’è più De Gaulle,
che esce di scena nel 1969, sostituito da Pompidou, suo delfino. Con il vertice dell’Aja del dicembre
1969 si dà il via ai negoziati per l’ingresso della Gran Bretagna. Nel frattempo avevano fatto domanda
di adesione la Danimarca, l’Irlanda e la Norvegia, che non sarebbe mai entrata. I negoziati si sarebbero
tenuti tra 1970 e 1971. Il 1° gennaio 1973 sarebbero entrati i nuovi stati e la comunità sarebbe
passava da 6 a 9 membri.

LO SCENARIO POLITICO IN MEDIO ORIENTE NEGLI ANNI ’50

L’OLP nasce nel 1964 e sarà importante per la guerra dei sei giorni. In realtà, la guerra fredda in
Medioriente inizia con la crisi del canale di Suez. Eisenhower cercherà sempre di non apparire troppo
filoisraeliano, e solo con l’amministrazione Johnson, successore di Kennedy, gli USA iniziano ad armare
in maniera molto forte Israele. La dottrina Eisenhower doveva esprimere una linea politica autonoma
di appoggio al Medioriente e non c’è ancora una politica filoisraeliana come sarebbe stata negli anni
successivi. Con Kennedy si prosegue la linea di Eisenhower e il Medioriente viene inserito in una logica
di cooperazione con il terzo mondo.
Con Johnson il Medioriente diventa una realtà polarizzata nella quale il confronto tra Israele e stati
arabi si sovrappone al conflitto tra USA e URSS. È a partire dalla fine del 1965 che gli USA iniziano ad

56
armare Israele e si deteriorano moltissimo i rapporti con l’Egitto, a cui si era avvicinata l’URSS che
aveva finanziato la diga di Assuan.
Nel 1964 nasce l’OLP, che inizia azioni di guerriglia contro Israele. Soprattutto, iniziano i
bombardamenti dalla alture siriane del Golan che provocano molta tensione in Israele. L’ipotesi di un
conflitto israelo-egiziano matura tra maggio e giugno 1957. Nasse riceve informazioni dai servizi
segreti sovietici di una attacco israeliano contro la Siria al fine di porre termine ai bombardamenti.
Nasser chiede all’ONU di ritirare il contingente ONU, che dalla crisi di Suez sorvegliava il confine tra
Egitto e Israele e il segretario generale interpreta questa richiesta in maniera molto ampia,
estendendola alle forze ONU che pattugliavano la navigazione attorno allo stretto di Tiran, sbocco di
Israele sul Mar Rosso. Di fatto, Nasser chiede che le forze ONU vengano allontanate e così sarà.
Il 22 maggio 1967 Nasser annuncia di bloccare la navigazione delle navi attraverso lo stretto di Tiran
e Israele decide di attaccare. Israele sapeva di avere la superiorità sul piano militare grazie alla
fornitura di armi americane. Il 5 giugno 1967 l’aviazione israeliana attacca di sorpresa le basi aeree
egiziane e di fatto blocca l’aviazione di Nasser. Nei giorni successivi arrivano i mezzi corazzati e le
truppe israeliane comandate da Rabin. Si crea un fronte anti-israeliano con Egitto, Giordania e Siria,
ma Israele allarga tantissimo i propri possedimenti: penisola del Sinai, Cisgiordania, Gerusalemme. le
alture del Golan, arrivando praticamente fino al canale di Suez. Cambiano gli equilibri nella regione:
Israele ingrandisce i propri territori, gli interessano le alture del Golan perché hanno una posizione
strategica.
Sulla guerra dei sei giorni s’innesta una disputa senza fine per quanto riguarda il possesso di questi
territori da parte di Israele. Inizia la politica di insediamento in Cisgiordania. Si decide l’unificazione di
Gerusalemme ebraica e araba. Gli arabi vedono nella sconfitta la dimostrazione del loro isolamento,
dell’ostilità che li separava dall’Occidente e i limiti dell’azione sovietica, che aveva inviato insufficienti
aiuti a Nasser. Dopo la guerra, l’URSS aumenta notevolmente l’apporto militare all’Egitto, arrivando ad
avere 20 mila tecnici sovietici che gestivano le strutture militari egiziane.
Nasser è stato il leader del panarabismo, un grande attore sulla scena mediorientale, ma il suo
prestigio declina in seguito alla sconfitta. Nasser muore nel 1970 e viene sostituito da Sadat, un
giovane ufficiale che aver partecipato al colpo di stato del 1952. Sadat prosegue la collaborazione con
l’URSS ed è l’autore del distacco dall’URSS dopo la guerra dello Yom Kippur. La Giordania venne invasa
da profughi palestinesi e nel settembre 1970, il c.d. settembre nero, re Husayn adottò delle azioni
radicali contro i rifugiati palestinesi.
La guerra coinvolge anche l’ONU. Il Consiglio di sicurezza elabora la risoluzione n. 242 del 1967,
destinata a diventare il pilastro di ogni successivo dibattito sulla questione palestinese. Essa prevede il
ritorno delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto e la cessazione dello
stato di belligeranza con il riconoscimento della sovranità di ciascuno stato della regione. La versione
inglese della risoluzione differisce da quella francese. La versione inglese cita la frase: “from
territories” e non “from the territories”: la prima lascia aperta l’ipotesi che Israele possa ritirarsi solo da
una parte dei territori conquistati. La versione francese parla di ritiro di tutti i territori. Con gli accordi
di Camp David Israele avrebbe restituito a Sadat solo il Sinai.

GLI USA E IL VIETNAM

Già nel 1950 un documento del NSC concludeva che l’Indocina era un’area molto importante per il sud-
est asiatico e si trovava sotto la minaccia d’infiltrazione sovietica. La teoria che spiega il progressivo
coinvolgimento americano è la teoria del domino, per cui di fatto ciascuno stato viene visto come una
tessera del domino che se cade sotto influenza sovietica, anche le atre tessere vicine cadranno. Si teme
che se l’area indocinese fosse caduta, anche gli altri paesi del sud-est asiatico sarebbero stati soggetti
alla minaccia di influenza sovietica.
Dopo la sconfitta francese del 1954 e la conferenza di Ginevra si sancisce l’esistenza di due Vietnam
divisi dal 17° grado parallelo, con la previsione che si sarebbero tenute elezioni nell’arco di due anni
per la riunificazione, ma le elezioni non si terranno mai. L’uscita di scena francese è seguita dall’invio
dei primi consiglieri americani da parte dell’amministrazione Eisenhower, che trova in Ngo Dinh Diem
57
il proprio interlocutore, a capo del governo del Vietnam del Sud, a cui gli USA inviano forti aiuti
militari. Il Vietnam del Nord è filosovietica con Ho Chi Minh.
L’impegno di Eisenhower è limitato: invia circa 600 consiglieri americani. Kennedy eredita la presenza
di Diem nel Vietnam del Sud. La situazione si fa sempre più problematica, in quanto i nordvietnamiti
s’infiltrano nel Laos e lo utilizzano come via di comunicazione per importare i propri soldati nel
Vietnam del Sud (sentiero di Ho Chi Minh).
Con Kennedy assistiamo a due strategie. La prima è l’aumento dei consiglieri militari: nel 1960 sono
900, nel 1961 sono 3000, nel 1963 sono 16000. La seconda strategia è quella dei villaggi strategici, un
esperimento che la Gran Bretagna aveva già effettuato in Malesia: sono dei villaggi che diventano
campi di concentramento in cui vengono tenuti i contadini per evitare l’infiltrazione dei Viet Cong nelle
campagne. Si rivelano un esperimento fallimentare.
Kennedy si trova a gestire il rapporto con Diem, che si deteriora: Diem è cattolico e inizia a creare un
regime autoritario, corrotto, nepotistico e soprattutto molto repressivo nei confronti dei monaci
buddisti, che iniziano nel 1963 a suicidari dandosi fuoco come segno di protesta. Le immagini di
monaci buddisti fanno il giro del mondo e diventano imbarazzanti per l’amministrazione Kennedy. I
militari, con la collaborazione della CIA, organizzano un colpo di stato, che avviene il 1° novembre
1963. Diem viene arrestato e poi ucciso.
Sul New York Times, a partire dal 1971, vengono pubblicati i pentagon papers, documenti del
dipartimento di Difesa che testimoniano le iniziative degli USA in Vietnam ed ebbero un’eco fortissima
nell’opinione pubblica. C’è anche la telefonata di Diem all’ambasciatore americano a Saigon, a cui
chiede aiuto, ma l’ambasciatore dice che non può fare niente. Questi documenti gettano una luce
negativa sul coinvolgimento americano in Vietnam.
Diem muore nel novembre, ma anche Kennedy muore il 22 novembre 1963 e Johnson prende il suo
posto. Si torva di fronte a una scelta complessa: uscire dal Vietnam riducendo i consiglieri americani o
impegnarsi di più. Johnson affermò che non sarebbe stato il primo presidente americano a perdere una
guerra.
Johnson, nel 1964, deve sconfiggere il candidato repubblicano Goldwater che chiedeva un intervento
massiccio in Vietnam. Johnson sceglie la strada dell’impegno militare in Vietnam. Johnson ha cercato di
realizzare il progetto great society, progetto di welfare per gli USA rivolto ad anziani e poveri ed è stato
il presidente che con il voting rights act ha cercato di eliminare le restrizioni ancora esistenti per la
popolazione afroamericana.
Johnson, per giustificare l’intervento in Vietnam, aveva bisogno dell’appoggio del Congresso, che lo
ottiene con l’incidente che avviene tra il 2 e il 4 agosto 1964, quando navi americane che avevano
varcato il limite delle acque territoriali del Vietnam del Nord vengono colpite dai nordvietnamiti.
Johnson presenta al Congresso una risoluzione in base alla quale si stabiliva che gli USA erano pronti a
compiere tutti i passi necessari, compreso l’uso della forza militare, per assistere il Vietnam del Sud
nella difesa della propria libertà. Il Congresso approva quasi all’unanimità la risoluzione e autorizza il
presidente a usare la forza militare. C’è un grande dibattito sull’incidente atteso a dimostrare come di
fatto fosse stato strumentalizzato per ottenere questa risoluzione.
Nel corso del 1964 le opzioni favorevoli a una soluzione pacifica perdono consistenza perché i Viet
Cong, i guerrieri del Vietnam del Nord, iniziano a infiltrarsi nel sud e arrivano a controllare più
territori. Tra la fine del 1964 e l’inizio del 1965 Johnson inizia a bombardare il Vietnam del Nord e a
partire dal 1965 invia le truppe di terra. Il numero dei soldati americani impegnati in Vietnam era pari
a 500 mila unità: un numero impressionante. La guerra del Vietnam fa ingresso nelle case degli
americani grazie alla televisione e inizia ad aumentare sempre più il dissenso da parte dei giovani,
degli studenti nei confronti di una guerra di cui non si capiscono le motivazioni. Questo dissenso
aumenterà sempre di più.
L’altro momento di svolta per l’impegno americano si ha nel gennaio 1968, con l’offensiva del Tet, che
scatta il 31 gennaio, quando i nordvietnamiti lanciano un attacco che lo porta a occupare quasi tutto il
Vietnam del Sud e arrivando fino a Saigon. Questo dimostra all’opinione pubblica americana che
nonostante il massiccio intervento americano si era lontani dal vincere la guerra. I soldati americani

58
non erano addestrati alla guerriglia dei nordvietnamiti, ma in poche settimane recuperano i territori
occupati.
Il 1968 è un anno di contestazioni che coinvolgono il presidente. Era anno di elezioni presidenziali e
Johnson pronuncia un discorso alla nazione il 31 marzo, in cui afferma che non si sarebbe ricandidato
e di fatto ci sarebbe stata la sospensione dei bombardamenti americani sul territorio del Vietnam del
Nord e si sarebbe dato il via a dei negoziati per arrivare a una soluzione del conflitto. Si era candidato
Robert Kennedy, ma viene ucciso nel giugno e le elezioni vengono vinte dal candidato della
maggioranza silenziosa (la maggioranza che voleva un ritorno alla normalità), il repubblicano Nixon.
Nixon sceglierà come collaboratore Henry Kissinger. Nixon, quando viene eletto, promette agli
americani di uscire dal Vietnam. Kissinger afferma che si doveva uscire con onore e di fatto sia Nixon
che Kissinger rifiutano la soluzione di un ritiro immediato, difficile a causa dell’elevato numero di
soldati presenti in Vietnam. Il ritiro immediato avrebbe provocato il crollo del regime sudvietnamita.
La dottrina Nixon viene presentata in un discorso del luglio 1969, in cui il presidente americano
afferma che gli USA non saranno più i poliziotti del mondo. In futuro l’America non si sarebbe fatta
coinvolgere in una guerra come quella del Vietnam e gli alleati avrebbero provveduto con le proprie
forze alle minacce interne ed esterne. Significava che Nixon voleva uscire al più presto dal conflitto.
Viene adottata la strategia della vietnamizzazione del conflitto: si inviano aiuti militari al Vietnam del
Sud in maniera tale che sia in grado di combattere da solo e si inizia a diminuire il numero dei militari
americani sul suolo vietnamita. Tuttavia, è un processo che non avviene in maniera immediata: è un
processo graduale che ha luogo mentre contemporaneamente, a partire dal 1970, si tengono trattative
pubbliche e segrete tra gli USA e il governo del Vietnam del Sud e del Nord. Sono trattative molto
lunghe che vedono i negoziati ufficiali paralleli a quelli segreti. Intanto, tra il 1970 e il 1973, si continua
a combattere. Il teatro del conflitto si allargherà alla Cambogia e gli USA continueranno a bombardare
per costringerli a una resa.
Gli accordi di pace vengono siglati nel gennaio 1973 a Parigi: prevedono il cessate il fuoco, l’uscita di
scena da parte degli USA, e l’inizio di negoziati tra il Vietnam del Nord e del Sud per stabilire una
reciproca convivenza pacifica. Con il 1973 gli USA abbandonano il Vietnam al suo destino. La guerra
non è finita e nel 1975 il Vietnam del Nord invade il Vietnam del Sud. Nixon darà le dimissioni nel 1974
a causa dello scandalo Watergate, che avviene in occasione delle elezioni del 1972: vengono trovate
delle cimici del partito repubblicano nel palazzo Watergate, dove c’era la sede del partito democratico,
per ascoltare le conversazioni che vi avvenivano. Due giornalisti del Washington Post montano questo
caso e viene istituita una commissione d’inchiesta con il compito di studiare cosa sia avvenuto. Emerge
chiaramente il progressivo coinvolgimento di Nixon: tutti i colloqui che si tenevano nella stanza ovale
erano stati registrati e Nixon cercò fino all’ultimo di non dare le cassette con le registrazioni.
Nel 1974 viene avanzata la procedura di impeachment, e nell’agosto Nixon dà le dimissioni. La
presidenza Nixon era stata molto attiva sul piano internazionale in quanto è stato il principale autore,
con Kissinger, del processo di distensione tra i due blocchi. La presidenza Nixon è un esempio
presidenza imperiale, nel senso che il processo decisionale avveniva fra Nixon e Kissinger,
esautorando il Dipartimento di Stato.

IL PROCESSO DI DISTENSIONE

L’inizio del dialogo tra i due blocchi si ha nel 1963, con il Test-Ban Treaty, il trattato che vieta i test
nell’atmosfera. Viene firmato da USA, URSS e Gran Bretagna ed è il primo esempio di un inziale dialogo
tra le due superpotenze, ma sarà con l’amministrazione Nixon che avviene il processo di distensione
fra i due blocchi. La distensione avviene perché le due superpotenze ricercano delle regole per una
coesistenza.
Un’interpretazione della distensione è che la causa di questo processo sia di natura militare, e cioè il
fatto che alla fine degli anni ’60 le due superpotenze avevano raggiunto un livello di parità dal punto di
vista della quantità degli armamenti nucleari posseduti. Il fatto che ci fosse parità portò gli americani a
ritenere che di fronte a un conflitto nucleare ci sarebbe stata la distruzione reciproca. Questo fa sì che

59
da questo equilibrio, equilibro del terrore, nasca la volontà di trovare delle regole che in qualche
maniera regolino la corsa agli armamenti.
Ed infatti in questi anni gli USA decidono di diminuire gli armamenti dal punto di vista quantitativo,
ma inizieranno un riarmo qualitativo, ricercando una tecnologia che superi l’URSS. Gli USA si
doteranno di missili con testata multipla, in grado di arrivare a colpire dieci obiettivi con un missile
solo, e da questo punto di vista saranno molto più avanti dell’URSS.
Un’altra causa di questo processo è rappresentata da fattoti interni ai due blocchi: ciascuna
superpotenza si trovava ad avere grossi problemi con i propri alleati, e attraverso il dialogo della
distensione le due superpotenze cercano di mantenere lo status quo.
Il blocco sovietico si trovava ad avere dei grossi problemi con la Repubblica Popolare Cinese di Mao. Il
fatto che la Cina non fosse un satellite di Mosca era evidente già dagli anni ’50. I primi segnali che i
rapporti non sono così buoni si hanno nel 1956, al XX Congresso del PCUS. In un primo momento i
rapporti si incrinano per motivi di natura ideologia: Mao nega la destalinizzazione, non accetta i
principi della coesistenza competitiva, non accetta che cambiamenti così importanti nella politica
estera sovietica siano stati attuati senza una discussone tra alleati. Parallelamente al processo di
destalinizzazione, tra il 1956 e il 1957 Mao lancia la politica dei cento fiori: slogan con cui indicava la
possibile esistenza di vie nazionali alla costruzione del socialismo.
Nel 1957 vengono firmati gli accordi tra Cina e URSS per una collaborazione in ambito nucleare: i due
paesi rimangono alleati nonostante ci siano una serie di discorsi pronunciato da Mao in cui afferma il
progressivo distacco dall’URSS. Nel 1959 Krusciov compie un viaggio fallimentare in Cina: i cinesi
chiedono aiuto a sovietici per aumentare il loro sostegno alla bomba atomica cinese, ma i russi
rifiutano e nel 1960 i tecnici sovietici vengono allontanati dal paese. Questo fatto è importante perché
dimostra l’allontanamento dell’URSS dalla Repubblica Popolare Cinese.
Questa frattura avrà dei riflessi in Europa e nel blocco orientale, con la rottura tra l’Albania e l’URSS
denunciata pubblicamente nel 1961 e la propensione della Romania a ritagliarsi uno spazio di
maggiore autonomia rispetto a Mosca.
Il fatto che la Cina non volesse essere succube di Mosca è dimostrato dal conflitto durato un mese tra
Cina e India nel 1962. Il conflitto scoppia per il sostegno dato dall’India al Dalai Lama e al Tibet. La
Cina risponde al sostegno entrando nel territorio indiano, nell’ottobre 1962. In realtà, i frutti di questo
conflitto si hanno nel fatto che l’india diventerà alleata dell’URSS.
Anche la firma dell’accordo del 1963 viene vista dalla Cina come una minaccia contro la propria
sicurezza: la Cina viene esclusa dalle decisioni delle grandi potenze. Dal 1966 al 1969 la Cina vive gli
anni della rivoluzione culturale di Mao con la lotta di classe all’interno della classe dirigente cinese.
Questo contrasto tra la Cina e l’URSS arriva nel 1969 a un punto di rottura con il conflitto lungo il
fiume Ussuri: lo scontro diventa militare. Il 1969 è un anno importante: da questo momento gli USA
decidono di giocare la carta cinese.

LA PRIMAVERA DI PRAGA

Krusciov esce di scena nel 1964 per la sua gestione della crisi di Cuba: dagli accordi raggiunti con
l’amministrazione americana, Kennedy usciva apparentemente come il vincitore. Krusciov si trova in
una condizione di debolezza sul piano politico interno e viene sostituito da Breznev. L’URSS non ha
problemi solo con la Cina, ma anche all’interno dell’Europa orientale.
Nella primavera del 1968 ci sono gli avvenimenti cecoslovacchi. La Cecoslovacchia aveva passato
indenne il processo di destalinizzazione dopo il XX Congresso del PCUS. Fino all’inizio degli anni ’60 il
partito cecoslovacco aveva tenuto una linea politica intransigente, settaria, vicina a Mosca. Tuttavia, il
declino economico apre un dibattito: un gruppo di intellettuali inizia a criticare l’economia imposta da
Mosca. In un primo momento il segretario del partito comunista slovacco è disponibile ad aprire un
dibattito. Dalla meta degli anni ’60 al 1968 è un proliferare di circoli culturali e il clima politico si
surriscalda nel momento in cui Dubcek diventa segretario del partito. Egli tenta un esperimento
sintetizzato nello slogan “socialismo dal volto umano”: la speranza di Dubcek è costruire una società
nuova, più libera, senza rinunciare ai principi del socialismo e alle sue conquiste.
60
L’esperimento viene visto con molto sospetto dagli atri paesi dell’Europa orientale: i paesi del Patto di
Varsavia (la Germania dell’Est, la Polonia, la Bulgaria, l’Ungheria) iniziano a esercitare pressioni su
Mosca affinché si cerchi di contenere il caso cecoslovacco, hanno paura di un effetto domino. Dubcek
sperava nel supporto di paesi come la Jugoslavia, la Romania, ma non lo ottiene. Il 20 agosto 1968,
mentre il comitato centrale del partito comunista era in seduta, arriva notizia che le forze patto di
Varsavia stanno entrando nel paese, ma Dubcek ha sorte diversa da Nagy: viene portato a Mosca
insieme ai suoi collaboratori ed è soggetto a minacce di vario tipo. Tornerà in Cecoslovacchia, ma è
costretto a rinunciare al suo progetto. Quando tona a Praga accetta la normalizzazione. Nel caso
cecoslovacco, l’URSS elabora la dottrina Breznev, o dottrina della sovranità limitata: l’ URSS esercita
una sorta di protettorato nei confronti dei propri satelliti limitandone la libertà di manovra in politica
estera.
Questi episodi testimoniano una prova di forza dell’URSS e la sua profonda insicurezza nei rapporti
con i propri satelliti. Ciò la porta a intavolare un dialogo con gli USA per cercare di trovare delle regole
che mantengano lo status quo e il loro rango di superpotenze.
Anche il polo occidentale non è esente da tensioni, che sarebbero aumentate nel orso degli anni ’60 e
avrebbero portato gli alleati europei a manifestare un crescente disappunto verso le decisioni prese
dagli USA. Esempi si hanno già in occasione della crisi di Cuba, nel modo in cui era stata gestita da
Kennedy: gli USA avevano risolto una crisi nel proprio cortile di casa indebolendo la sicurezza europea
e limitandosi a informare, ma non a consultare, gli alleati. Un altro esempio riguarda l’opposizione
americana alla costruzione di arsenali nucleari nazionali: vogliono mantenere il monopolio all’interno
dell’alleanza atlantica. La Gran Bretagna mantiene una special relationship, ma l’opposizione americana
è evidente nei confronti del caso francese. Gli USA sono contrari al fatto che la Germania Ovest abbia
un proprio arsenale.
Un altro fronte di disappunto tra gli alleati riguarda il Vietnam. Gli europei sono fortemente critici
sull’operazione in Vietnam: De Gaulle, in una serie di discorsi, è fortemente contrario alla presenza
americana in Vietnam. Le proteste del 1968 avranno un forte carattere antiamericano.
Questi elementi sono uniti a un declino degli USA dal punto di vista economico e finanziario: a causa
della spese nel conflitto in Vietnam gli USA hanno una grande disoccupazione e un deficit nella bilancia
commerciale e dei pagamenti, che si acuiranno alla fine degli anni ’60. Nel momento in cui Nixon arriva
al potere, si trova a gestire la crisi economica e una fase dei rapporti con gli europei non idilliaca.
L’amministrazione prende una decisione che riguarda il dollaro: il 15 agosto 1971 viene sospesa la
convertibilità aurea del dollaro, mettendo un tassa del 10% sulle importazioni. L’obiettivo di questa
decisione era quello di arrivare a una svalutazione per poter dare fiato alle esportazioni americane,
ma viene presa unilateralmente e pone fine al sistema di Bretton-Woods. Viene vista dagli europei in
maniera negativa, e ci si vuole sbarazzare delle riserve di dollari nella banche europee.
Anche sul Medioriente Europa e USA sviluppano due visioni diverse. Gli USA sono legati a Israele, che
insieme all’Arabia saudita è il pilastro della politica americana in Medioriente. L’Europa è più
dipendente dal petrolio degli USA e sviluppa una politica diversa: non possono inimicarsi i paesi arabi.
Questi elementi insieme portano al processo di distensione, che opera su più livelli. Uno di questi è
rappresentato dal dialogo sugli armamenti.

I TRATTATI SUGLI ARMAMENTI

Il trattato di non proliferazione nucleare viene firmato nel luglio 1968 e stabilisce la volontà di
congelare una situazione di parità sul piano nucleare: le potenze non devono trasferire le loro
conoscenze ad altri paesi e chi non ha un proprio arsenale, se aderisce al patto, decide di non
riarmarsi. Significativamente, né Francia né Repubblica Popolare Cinese firmeranno l’accordo, aperto a
molti paesi.
Gli accordi più importanti in ambito di armamenti nucleari sono gli accordi SALT, in cui non si parla di
riduzione degli armamenti, ma di limitazione.
Gli Strategic Armaments Limitation Talks sono accordi che vengono siglati da Nixon e Breznev nel
maggio 1972. Essi prevedono il congelamento dei missili intercontinentali delle due superpotenze, dei
61
missili in dotazione ai sottomarini e dei bombardieri strategici. L’accordo SALT dura per 5 anni. Gli
USA possiedono più missili testata multipla, qualitativamente superiori a quelli in possesso all’URSS.
La seconda parte dei SALT è l’accordo sui sistemi ABM (Anti-Ballistic Missile): si stabiliva la costruzione
si due sistemi di difesa antimissile, uno a protezione delle due capitali e uno a protezione della base
navale più importante. Il sistema sarebbe stato attuato solo a difesa di Mosca e Washington.
I SALT poi prevedevano una serie di dichiarazioni di principio sulla coesistenza.
L’URSS vive un forte declino sul piano economico, che la porterà ad avere bisogno di importare grano
dall’Occidente. Nixon avrebbe incontrato più volte Breznev per intavolare degli accordi di natura
commerciale, ma con lo scoppio dello scandalo Watergate e il suo coinvolgimento resero la sua
posizione sempre più debole: si dimise nel 1974 e non riuscì a concludere l’accordo. Gli successe
Gerald Ford, che nel settembre 1974 firma un nuovo accordo interinale: i SALT II, molto più favorevoli
all’URSS. Prevedevano la parità tra le due superpotenze. È un accordo che non sarebbe mai entrato in
vigore perché il Senato americano si rifiutò di ratificarlo in conseguenza dell’invasione sovietica
nell’Afghanistan. Ford rimase al potere fino al 1976, quando perse le elezioni. L’errore di Ford fu di
concedere a Nixon il perdono presidenziale, mentre l’opinione pubblica voleva una svolta
moralizzatrice.

L’APERTURA ALLA CINA

Un altro aspetto della distensione è la cd. diplomazia triangolare di Kissinger. Il 1969 è l’anno del
conflitto lungo fiume Ussuri e per gli USA è il momento che rappresenta una svolta. Da allora gli USA
decidono di giocare la carta cinese, intavolando delle trattative con Mao. L’ipotesi di iniziare un dialogo
con la Cina risalente a molto tempo prima, ma persisteva una lobby pro-Taiwan e dalla parte della Cina
di Mao non c’era interesse ad aprirsi.
È un processo graduale, anche perché si tratta di due potenze che parlano un linguaggio molto diverso.
Si parla di diplomazia del pingpong: nel 1971 la squadra nazionale di pingpong viene invitata a un
torneo in Cina e si fa ambasciatrice di un dialogo che stava iniziando, è un segnale di apertura.
Nel 1971 Kissinger compie un viaggio segreto a Pechino di cui non viene informato nessuno, nemmeno
il segretario di Stato. È l’occasione per Kissinger di conoscere Mao e iniziare un dialogo con i cinesi.
Un momento di svolta è rappresentato dalla soluzione della questione del seggio permanente della
Cina all’ONU: nell’ottobre 1971 viene deciso di concedere il seggio alla Repubblica Popolare di Mao, al
posto di Taiwan.
L’aspetto più importante è caratterizzato dal viaggio di Nixon a Pechino nel febbraio 1972, viaggio a
cui viene data una copertura mediatica importante e che porterà all’elaborazione di una dichiarazione
in parte preparata da Kissinger, il comunicato di Shangai, con cui di fatto gli USA rinunciato alla teoria
dell’esistenza delle due Cine. La Cina riconosce la supremazia americana nel Pacifico e gli USA si
impegnano a ritirare le proprie forze militari da Taiwan.
Quest’apertura alla Cina è solo l’inizio di un processo graduale: questi contati non significano che gli
USA riconoscano la Repubblica Popolare Cinese, che verrà riconosciuta diplomaticamente soltanto alla
fine degli anni ’70 con l’amministrazione Carter. Gli USA sono interessati a questa apertura perché la
Cina era importante come mercato e la vogliono inserire nel dialogo con l’URSS per esercitare delle
pressioni. L’URSS vede in maniera negativa questo avvicinamento. Con l’apertura alla Cina, si assiste al
reinserimento della Repubblica Popolare nel sistema internazionale.
Cina è interessata all’apertura perché viene inserita nel contesto internazionale, ottiene il seggio
permanente all’ONU e ha la possibilità di normalizzare rapporti commerciali con gli USA e acquistare
la loro tecnologia. Anche il Giappone sviluppa una politica molto attiva nei confronti della Cina.
Nel 1975 si tiene la conferenza di Helsinki del per la sicurezza e la cooperazione in Europa. I lavori
iniziano nel 1972 e l’ atto finale viene firmato nel 1975 da 33 paesi europei, tutti eccetto l’Albania, più
gli USA e il Canada.
La conferenza di Helsinki viene indicata come l’apice della distensione perché l’atto finale contiene i 4
cesti: rispetto del riconoscimento dei confini europei e impegno a non modificarli con l’uso della forza;
la collaborazione commerciale ed economica est-ovest (in questi anni si assiste a uno sviluppo delle
62
relazioni commerciali molto inteso tra Germania occidentale e paesi dell’Europa orientale); rispetto
dei diritti umani: organizzazione di una nuova conferenza a Belgrado nel 1977. Quando l’URSS firmò
quest’atto non capì l’importanza del terzo principio. Dalla seconda metà degli anni ‘70
l’amministrazione Carter ne avrebbe fatto la bandiera della propria presidenza.

I RILESSI EUROPEI DELLA DISTENSIONE

Si hanno degli esempi di distensione europea, non coincidente con quella voluta dalle due
superpotenze, perché più rivoluzionaria e dinamica, con la Francia di De Gaulle e l’Ostpolitik di Brandt.
Brandt era esponente dell’SPD e diventa cancelliere dopo essere stato sindaco di Berlino e ministro
degli Esteri tra 1966 e il 1969, dimostrando di voler cambiare la politica estera. Sarà solo quando
diventa cancelliere che darà vita all’Ostpolitik, la politica verso l’est.
L’obiettivo della Repubblica Federale Tedesca è quello di riconoscere i confini esistenti usciti dalla
seconda guerra mondiale. Brand tesse una serie di rapporti che partono da questo presupposto, con un
cambiamento radicale rispetto alla dottrina Hallstein per cui la Repubblica Federale Tedesca fosse
l’unica esistente. Nel 1970 viene firmato il patto di non aggressione e collaborazione con l’URSS, basato
sul riconoscimento delle frontiere esistenti in Europa. L’accordo preso, sempre nel 1970, con la
Polonia, accompagnato dalla visita di Brandt al ghetto di Varsavia, in occasione della quale riconosce i
crimini compiuti dal nazismo, prevede il riconoscimento dei confini lungo la linea Oder-Neisse. C’è
anche un trattato con la Cecoslovacchia. Il più importante rimane quello del 1972 con la Repubblica
Democratica Tedesca: questo accordo fu molto difficile e vi si arrivò in seguito all’uscita di scena di
Ulbricht. Esso stabilisce il riconoscimento delle reciproche frontiere e alleanze. L’accordo del 1972
pone le basi dell’idea dell’ingresso delle due Germanie nell’ONU; vi entreranno nel 1973.
C’è un grande dibattito sulle ragioni dell’Ostpolitik, se Brandt già pensasse di arrivare alla
riunificazione della Germania. Da questo momento la Germania occidentale diventa un magnete per i
paesi dell’Europa orientale, con cui instaura rapporti economici e commerciali. Con l’Ostpolitik la
Germania, considerata un gigante economico ma un nano politico, diventa anche gigante politico.
Kissinger la prende molto male: gli USA non accettano questa libertà di manovra dell’alleato tedesco, la
ritengono pericolosa e ne temono le conseguenze. La distensione sviluppata dalla Germania
occidentale ha l’obiettivo di rivoluzionare gli equilibri europei.

L’AMERICA LATINA E IL COLPO DI STATO IN CILE

La guerra fredda era in entrata in America Latina con la crisi di Cuba, i cui effetti sono duplici: da una
parte, gli USA continuano a sorvegliare tutte le situazioni che oltrepassano la soglia dell’attenzione
generica, che mettevano in questione l’influenza americana e richiedevano forme intervento diretto;
dall’altra parte, in generale ogni interferenza comunista in America Latina avrà delle conseguenze
esplosive in un contesto di guerra fredda globale che si sarebbero fatte sentire in tutto il mondo.
L’Alleanza per il progresso era una specie di piano Marshall per l’America Latina rivolto a tutti i paesi
dell’Almerica centrale e meridionale, un programma molto costoso, con l’obiettivo ambizioso di
promuovere una crescita dei paesi interessati pari al 2,5% annuo. È un programma che non ha
successo, innanzitutto perché aveva una visione semplicistica e si fondava sul binomio
: il fallimento dimostra la superficialità della lettura americana.
Inoltre, per quanto riguarda la riforma agraria, questo progetto urtava contro le resistenza delle lobby
di latifondisti vicini ai governi al potere. Gli USA dimostrarono di essere favorevoli alla promozione
della democrazia, ma erano disposti a tollerare regimi dittatoriali per evitare il ripetersi episodi come
quello cubano.
Dopo la morte di Kennedy, l’amministrazione Johnson si orienta verso una politica di status quo: non
promosse nuovi programmi per l’America Latina, anche perché fortemente coinvolta in Vietnam.
Intorno alla metà degli anni ’70 si hanno in Brasile e Argentina dei colpi di stato che portano al potere
militari. Il dialogo con i governi militari aumenta durante l’amministrazione Nixon.
63
Il caso cileno ha una grande eco a livello di opinione pubblica internazionale. Inizialmente,
l’amministrazione Nixon non dedica una grande attenzione all’Almerica Latina perché ha problemi più
urgenti da risolvere: Vietnam, apertura alla Cina. Le elezioni in Cile del 1970 vengono vinte con una
maggioranza relativa dal candidato socialista Allende: per gli USA è uno shock. Allende vince le
elezioni in stretta misura, con il 36% dei voti contro i candidato conservatori, Jorge Alessandri e
Radomiro Tomic.
Il movimento Unidad Popular aveva un programma marxista e Allende si era presentato come fautore
della trasformazione in senso socialista della società cilena nel rispetto della legalità e della
costituzione. Viene visto dagli USA come un potenziale nemico. Kissinger aveva affermato che gli USA
si erano limitati a inviare aiuto ai partiti politici contrari per poche migliaia di dollari, ma la
documentazione dimostra che si trattava di 8 milioni di dollari. Gli USA collaborarono per la
formazione di un fronte politico anti-Allende arrivando a effettuare un colpo di stato con i militari: la
CIA allestisce una task force cilena che partecipa all’organizzazione di questo colpo di stato.
Contemporaneamente, gli USA cercano di isolare economicamente il Cile. Sul piano economico i
risultati del governo Allende furono disastrosi. Allende attua la nazionalizzazione del settore
minerario, bancario, agrario; ciò porta all’aumento del tasso d’inflazione, che arriva al 400%, e a una
serie di proteste sul piano interno.
I militari organizzano il colpo di stato contro Allende l’11 settembre 1973. Pinochet attacca il palazzo
presidenziale e attua un regime repressivo e dittatoriale rimasto in carica fino al 1990. I servizi segreti
cileni organizzarono una rete con i servizi argentini e brasiliani che ha preso il nome di operazione
Condor, la cui funzione era quella di andare a ricercare gli esuli cileni negli USA e in Europa, e molti
furono uccisi. Questa vicenda è emersa grazie alla documentazione ONU. Ciò avviene nel momento in
cui l’amministrazione Carter fa della bandiera dei diritti umani il simbolo della propria presidenza. Il
colpo di stato in Cile provocò reazioni antiamericane in tutto il mondo, perché gli USA dimostravano di
agire in maniera diversa da come presentavano l’esportazione della democrazia. Carter diventa
presidente degli USA perché la campagna del 1976 ha un tono moralizzatore e dopo la scialba
presidenza Ford si cerca di limitare la grande libertà di manovra della CIA. Con Reagan, nel 1980,
l’America centrale torna un’area molto calda dal punto di vista della guerra fredda.

LA GUERRA DELLO YOM KIPPUR

La guerra dello Yom Kippur scoppia il 6 ottobre 1973, con una attacco a sorpresa dell’Egitto contro
Israele. In Egitto era cambiato presidente: nel 1970 muore Nasser, e viene sostituito da Sadat, che
vuole la rivincita contro Israele e sa di avere a disposizione molti armamenti sovietici. Sadat lancia le
truppe egiziane sulla sponda orientale del canale di Suez, mentre i siriani attaccano dalle alture del
Golan: sperano di avere una vittoria sfruttando la sorpresa.
Per alcuni giorni l’iniziativa sembrò avere successo, perché gli egiziani riuscirono a penetrare nel Sinai
e a mettere in difficoltà l’aviazione israeliana, ma poco dopo gli israeliani organizzarono le proprie
forze e in pochi giorni riprendono il controllo del Golan e, di fatto, di tutta la penisola del Sinai,
arrivando al canale di Suez e ai sobborghi del Cairo. Gli USA, dopo un momento di incertezza,
esprimono una politica fortemente filo-israeliano e organizzano un ponte aereo di aiuti a Israele,
chiedendo alle nazioni europee di poter utilizzare le basi militari in Europa per portare gli aiuti. Grazie
alle pressioni di USA e URSS e alla presa di posizione dell’ONU, il 22 ottobre viene stabilito il cessate il
fuoco.
Kissinger effettua la c.d. diplomazia della navetta, incontrando ripetutamente i rappresentanti egiziani
e israeliani per arrivare al disimpegno militare di Egitto e Israele. Il disimpegno viene raggiunto nel
maggio 1974. Sadat espelle i tecnici sovietici dall’Egitto già prima della guerra e inizia a svolgere una
politica più apertamente filoamericana.
Nel 1977 Sadat compie uno storico viaggio in Israele e parla alla Knesset proponendo una accordo di
pace con Israele (gli accordi di Camp David). Kissinger riesce a far uscire l’URSS dall’Egitto.
Al di la degli avvenimenti militari, la guerra dello Yom Kippur è importante perché i paesi arabi
aderenti all’OPEC, nato nel 1960, decidono di effettuare l’embargo per quanto riguarda l’erogazione di
64
petrolio verso i paesi che hanno aiutato militarmente Israele, USA e Olanda. Negli USA l’embargo non
ha molto successo. I paesi arabi effettuano anche un innalzamento del prezzo del greggio, che
quadruplica, aumentando da 3$ al barile nell’ottobre 1973 a 11$ nel dicembre 1965 fino a 30$ nel
1979. Quest’innalzamento va a colpire le nazioni europee, che dipendono in questi anni quasi
totalmente dal Medioriente per il petrolio e si trovano a dover affrontare il problema di trovare una
materia prima così importante a un prezzo così elevato. Il 1973 viene chiamato la fine dell'età dell’oro:
per l’Europa occidentale significa la fine del periodo di crescita iniziato con il secondo dopoguerra.
Questo spiega perché le nazioni europee adottano un atteggiamento non filo-israeliano e cercano di
assumere delle posizioni di apertura con i paesi arabi sia singolarmente sia a livello di Comunità
Europea. Questo provoca una tempesta nei rapporti con gli USA.
Kissinger cerca di romper il fronte europeo e non capisce perché sano cosi favorevoli a un dialogo con i
paesi arabi. Nel febbraio 1974 organizza a Washinton la Conferenza sull’energia che porta alla
creazione dell’Agenzia internazionale dell’energia, cioè un cartello dei paesi consumatori che ha
l’obiettivo di sviluppare posizioni comuni di fronte a futuri shock energetici. Ottiene così la frattura nel
fronte europeo, perché solo la Francia si rifiuta di entrare nell’agenzia.

IL DECLINO DEL PROCESSO DI DISTENSIONE

Il declino del processo di distensione si ha con Jimmy Carter, candidato democratico alle elezioni
presidenziale del 1976. Riuscì a sconfiggere con un ristretto margine di voti il candidato repubblicano
Gerald Ford, vice-presidente di Richard Nixon e presidente dal 1974, nel momento in cui Nixon
annunciò le dimissioni in seguito allo scandalo Watergate. Ford aveva concesse il perdono
presidenziale a Nixon. Le elezioni del 1976 furono fortemente condizionate dallo scandalo Watergate e
dal ruolo della CIA così lesivo dei diritti civili. Carter era stato governatore della Georgia, ma era un
uomo completamente nuovo, battista praticante, e dette un tono moralizzatore a tutta la sua
presidenza.
Il fatto che non fosse esperto di politica estera si vede nella scelta dei consiglieri. Da una parte, il
segretario di Stato Cyrus Vance aveva una visone dei rapporti con l’URSS favorevole al processo di
distensione. Riteneva che oramai, seppur la guerra fredda era diventata globale, si dovesse tener conto
dei paesi in via di sviluppo e che non tutte le problematiche dovessero essere lette nella lente del
conflitto Est-Ovest. Dall’altra parte, il consigliere della sicurezza nazionale Brzezinsky, professore alla
Columbia University e figlio di un diplomatico polacco fuggito negli USA nel 1953, per la sua
esperienza personale ha una lettura del sistema internazionale in chiave fortemente antisovietica.
Legge il nuovo attivismo sovietico in Africa come una forte minaccia nei confronti degli USA. Carter,
non essendo un esperto di politica estera, ha difficoltà a mediare due visoni così diverse e la sua
politica estera ha un andamento alterno.
Un altro elemento centrale della presidenza Carter, che egli sottolinea nel suo discorso inaugurale, è il
tema dei diritti umani. Nel proprio discorso inaugurale afferma che il rispetto die diritti umani sarà il
fondamento della sua politica. Carter utilizza la tematica die diritti umani nei confronti dell’URSS
facendo riferimento al terzo cesto della Conferenza di Helsinki. Questo accento si vede molto nei
confronti dei paesi dell’Almerica Latina: Carter cercherà di disciplinare gli aiuti economici e militari
sulla base del rispetto dei diritti umani e avrà delle posizioni più rigide e più critiche verso Cile e
Argentina. Tuttavia, questo messaggio si sarebbe rivelato contradditorio in altri casi. In Iran, pilastro
degli USA nel Medioriente, lo Shah rimane al potere fino al 1979 e il suo non si può certo definire un
regime che rispetta i diritti umani, ma l’amministrazione Carter continua a mandargli aiuti perché è
importante per gli equilibri mediorientali. Lo stesso vale per la Repubblica Popolare Cinese, il cui
riconoscimento avviene fra il 1978 e il 1979.
Il fronte più caldo che gli USA si trovano a fronteggiare in questo periodo di declino è il fronte africano,
quello che Brzezinsky definisce l’arco dell’instabilità. Nel 1974 in Portogallo c’è un colpo di stato che
porta a termine il governo dittatoriale di Marcelo Caetano. Dopo una fase tormentata arriva al potere il
governo socialista di Soares e si avvia l’ultimo processo di decolonizzazione, perché il portogallo aveva
ancora delle colonie in Angola e Mozambico, dove inizia una vera e propria guerra civile che porterà al
65
potere delle forze filosovietiche sostenute finanziariamente dall’URSS. In Angola prede il potere il
Movimento popolare per l’indipendenza dell’Angola, che deve lottare contro le forze sostenute dagli
USA, mentre in Mozambico arriva al poter il Fronte per la liberazione del Mozambico. In entrambi i
casi assistiamo all’invio, dal 1975, di soldati sovietici e cubani e alla presenza di governi filosovietici.
In Etiopia nel 1974 si ha un colpo di stato che allontana dal trono l’imperatore e arriva al potere
Menghistu, dittatore di impronta filosovietica. L’Etiopia era molto importante dal punto di vista
strategico, perché si torva nel corno d’Africa.
In vari punti del continente africano si assiste a un crescente attivismo dall’URSS che viene
interpretato da Brzezinsky come esempio di una strategia sovietica che tendeva a creare una tenaglia
sugli USA. In un primo momento l’amministrazione Carter tende a seguire la visione di Vance, ma nella
seconda parte della permanenza alla casa bianca è più vicina a Brzezinsky.
La distensione finisce nel 1979 con l’invasione sovietica dell’Afghanistan e la crisi degli euromissili. Nel
dicembre 1979 il governo sovietico invia in Afghanistan 75mila militari, che diventeranno presto
100mila. Il coinvolgimento sovietico nella questione afghana durerà fino all’arrivo di Gorbaciov al
potere. L’Afghanistan sarà il Vietnam dell’URSS. L’URSS è ormai una corazza vuota con niente dentro.
Il paese aveva goduto di stabilità fino al 1973, quando era stato deposto il re. Nel 1978 c’è un colpo di
stato che è ispirato dal Partito democratico del popolo, di orientamento espressamente marxista e
guidato da Taraki e Amin. Taraki ha un orientamento filosovietico e desidera attuare una serie di
riforme, mentre Amin ha una posizione ambigua e verrà accusato di anti-sovietismo e di essere una
spia al servizio degli americani perché aveva lavorato come interprete all’ambasciata. La situazione
diventa incandescente perché Taraki cerca di liberarsi di Amin nel 1979, ma verrà egli stesso ucciso da
Amin che prende il potere.
In Afghanistan il governo potrebbe cambiare fronte e collaborare con gli USA: l’URSS ha paura di
perdere l’Afghanistan. La tesi più attuale che l’URSS abbia applicato la dottrina Breznev. Giustifica il
suo intervento richiamando dalla Cecoslovacchia Karmal, che viene portato in Afghanistan e chiederà
l’intervento sovietico: formalmente, l’URSS interviene perché richiesta dal governo. Con Reagan ci sarà
la controffensiva, che porterà a rifornire i Mujaheddin dopo la concessione del Congresso alla richiesta
deputato americano Wilson.
La reazione Carter è molto dura: innanzitutto, decide di far bloccare la ratifica del trattato SALT II,
sospende l’invio di grano all’URSS e non invia i propri atleti alle olimpiadi di Mosca del 1980. Gli USA
reagiscono in maniera così dura perché interpretano l’invasione sovietica come una strategia di più
ampio respiro tesa ad arrivare al golfo persico, ed infatti viene elaborata la c.d. dottrina Carter, per cui
l’invasione sovietica è una minaccia all’interesse americano e qualsiasi tentativo sovietico di prendere
il controllo verrà respinto con l’uso della forza. Gli USA agiscono in questo modo anche perché intanto,
tra il 1978 e il 1979, perdono un alleato fondamentale, l’Iran. Lo Shah fugge e viene sostituito da
Khomeini nel 1979: non è una svolta in senso filosovietico, ma certamente in senso antiamericano e
antioccidentale. Nella guerra tra Iran e Iraq dall’80 all’88 gli USA appoggiano Saddam Hussein in
funzioni anti-iraniana.
Nel 7 c’è il secondo shock petrolifero e nel febbraio 1979 degli studenti islamici prendono in ostaggio
una cinquantina di funzionari dell’ambasciata americana a Teheran. Nel 1980 Carter tenta
un’operazione militare segreta per liberare questi ostaggi. È un’operazione che avrà un fallimento
clamoroso: uno degli elicotteri cade. Il 1980 è anno di elezioni presidenziali: con il fallimento della
liberazione degli ostaggi, Carter perde le elezioni presidenziali. Gli ostaggi vengono liberati da Reagan
pochi giorni dopo il suo arrivo al potere. Gli USA si troveranno a dialogare con il fondamentalismo
islamico.

LA CRISI DEGLI EUROMISSILI

La crisi degli euromissili avvenne in seguito alla decisione dell’URSS di rinnovare il proprio arsenale
missilistico. Gli ambienti militari sovietici esercitavano pressioni sul Politburo affinché fosse
aggiornato l’arsenale. Dal 1976 i sovietici cambiano i missili a media gittata SS4 e SS5 con gli SS20, che

66
potevano arrivare fino a 5 mila kilometri, e li piazzano verso l’Europa occidentale. Molti si trovavano in
Cecoslovacchia e nella Repubblica Democratica Tedesca.
A Willy Brandt, che dà le dimissioni per uno scandalo di spie, succede il democristiano Schmitt, che
percepisce la minaccia sovietica e nel 1977pronuncia un discorso a Londra in cui chiede
espressamente agli USA di installare dei missili in Europa occidentale, che non esistevano più perché
all’indomani della crisi di Cuba erano state smantellate le basi in Turchia e in Italia. Schmitt evidenzia
le paure e le apprensioni europee di fronte a questa minaccia dell’URSS. Questo discorso è riportato
come esempio di quella teoria dell’impero su invito, categoria interpretativa delineata da Lundestad,
che legge in modo nuovo le relazioni euro-americane e tende a vedere come le iniziative americane in
Europa rispondevano in molti casi a un’esplicita richiesta di aiuto degli europei. In seguito a questo
discorso inizia un dibattito nella NATO che porta a prendere la decisone, nel dicembre 1979, di
installare i missili Pershing e Cruise, a media gittata, nelle nazioni europee appartenenti alla NATO:
Gran Bretagna, Germania, Olanda, Belgio e Italia (Sicilia). Si parla di dual track decision perché
contemporaneamente c’è una richiesta di dialogo con l’URSS per smantellare i missili.
Nonostante i movimenti di protesta pacifisti che dilagarono in tutta Europa, i governi presero questa
decisione. L’installazione dei missili avvenne tra il 1983 e il 1984. Questa decisone viene vista come
un esempio dell’ultima fase dell’amministrazione Carter, più antisovietica e tesa al rafforzamento della
NATO.

GLI ACCORDI DI CAMP DAVID

Un successo dell’amministrazione Carter fu quello di mediatore del conflitto arabo-israeliano e per la


ricerca di un accordo di pace tra Egitto e Israele. Il ruolo centrale è del presidente egiziano Sadat, che
compie un gesto rivoluzionario: fa un viaggio in Israele e parla alla Knesset della propria volontà di
concludere un trattato di pace con Israele nel novembre 1977. La visita di Sadat è un momento di
svolta.
L’amministrazione Carter esercita un ruolo importante perché a Camp David nel settembre 1978
iniziano i colloqui tra Egitto e Israele, che arrivano faticosamente ad un accordo che verrà formalizzato
nel trattato di pace firmato nel marzo 1979. Questi accordi prevedevano, innanzitutto, che Egitto e
Israele si riconoscessero diplomaticamente; in cambio, Israele restituisce il Sinai all’Egitto. Non
vengono affrontate altre questioni delicate, come quelle sulla Cisgiordania, sulla striscia di Gaza, sullo
status di Gerusalemme o sull’indipendenza dello stato palestinese. L’accordo è limitato ma
rivoluzionario. Israele ottiene la libera navigazione attraverso il canale di Suez.
Sadat attua una svolta nella politica estera egiziana rispetto a Nasser perché si avvicina agli USA, da cui
riceve ingenti aiuti militari, che proseguono durante la presidenza di Mubarak. L’Egitto viene espulso
dalla Lega araba in seguito all’accordo e Sadat verrà assassinato nel 1981 da un estremista islamico
per aver firmato questi accordi con Israele. Grazia alla sua mediazione diplomatica, Carter riesce a
ottenere qualcosa che i precedenti presidenti non erano riusciti a ottenere.

IL PRIMO MANDATO DELL’AMMINISTRAZIONE REAGAN

La presidenza carter finisce con il tentativo fallimentare di liberare gli ostaggi a Teheran, che gli
costerà moltissimo. Carter dà l’immagine di un’America in declino. Le elezioni del 1980 vengono vinte
dal repubblicano Ronald Reagan, che aveva una grande capacità di comunicare con l’opinione
pubblica, semplificando la complessità della pontica internazionale.
Reagan rimane alla Casa bianca per due mandati. Insieme a Gorbaciov, è il principale artefice della fine
della guerra fredda, anche se non sarà lui a vedere il crollo del muro di Berlino, ma il suo vice George
Bush senior. I due mandati sono molto diversi l’uno dall’altro. Il primo è caratterizzato da un forte
antisovietismo e dall’utilizzo di slogan fortemente antisovietici, il più famoso dei quali viene
pronunciato in campagna elettorale: la Russia viene descritta come l’impero del male. Il secondo
mandato è caratterizzato da un approccio diverso nei confronti dell’URSS. È caratterizzato dal dialogo
67
molto inteso che si sviluppa tra Reagan e Gorbaciov. L’obiettivo finale rimaneva lo stesso: vincere la
guerra fredda.
Reagan è anche conosciuto perché sul piano interno è portavoce del neo-conservatorismo liberista ed
è famoso per le misure economiche che prendono il nome di Reaganomics. Reagan intende ridurre al
massimo la presenza dello stato nell’economia ed fortemente influenzato dagli economisti di Chicago
(Friedman), che lo convincono del fatto che diminuendo l’imposizione fiscale ci sarebbe stato un
aumento della domanda e la crescita dell’economia. Ciò avrebbe promosso l’occupazione e gli
investimenti. Queste scelte sono accompagnate da una politica fortemente antisindacale e da forti tagli
alla spesa sociale.
In Europa attuerà le sue stesse scelte anche Margaret Thatcher, la cui permanenza come primo
ministro equivale al periodo di Reagan alla presidenza. In Gran Bretagna, la Thatcher realizza le stesse
misure che Reagan realizza negli USA, ma distrugge il sistema di welfare state. Tra Reagan e la
Thatcher ci sarà un’intesa molto forte. La scelta di Reagan di tagliare le tasse era già stata attuata
quando era governatore della California con la proposition 13, che aveva avuto un forte successo.
Se sul piano della propaganda Reagan parlava dell’URSS come l’impero del male, il suo slogan lo
metteva anche nella decisione di riarmare gli USA. L’imponente sforzo di riarmo aumenta molto la
percentuale delle spese per la difesa all’interno della bilancia dei pagamenti; le sperse del riarmo sono
concentrate in tutti i settori, compresi gli armamenti convenzionali, e soprattutto sulla flotta, con un
aumento impressionante del numero di navi e portaerei.
Nel marzo 1983 Reagan lancia il famosissimo programma che prende il nome di Strategic Defense
Initiative, o scudo spaziale. Esso prevedeva di investire molto sulle conoscenze tecnologiche
dell’America affinché venisse creato un sistema di laser in grado di proteggere il territorio americano
da un attacco missilistico proveniente dall’URSS. Era un programma avveniristico per il 1973, un
programma che richiedeva grandi investimenti, risorse e conoscenze tecnologiche che non esistevano
ancora. Lo si legge come una sfida che gli USA lanciano all’URSS per spostare la corsa dal riarmo alla
tecnologia, perché gli USA conoscevano perfettamente l’arretratezza dell’URSS dal punto di vista
tecnologico. È una sfida che Reagan lancia all’URSS per una competizione sul piano tecnologico: di
fatto, era una sfida più politica che militare.
Con Reagan si assiste a un processo di militarizzazione della politica estera. Questo si vede molto
chiaramente in varie aree del mondo. Reagan, come i suoi predecessori, elaborò una propria dottrina
nella quale afferma che gli USA avrebbero dovuto aiutare tutti quei movimenti anticomunisti che
stavano combattendo per uscire dall’orbita sovietica. Si assiste a questo supporto americano in una
serie di eventi di aree nelle quali gli USA sono molto presenti finanziariamente. Una di queste aree è
l’Afghanistan, paese in cui gli USA inviano aiuti militari ai guerriglieri Mujaheddin che stavano
combattendo la presenza sovietica nel paese. Questi aiuti militari si concretizzarono con l’acquisto di
missili Sting. L’URSS sarebbe rimasta in Afghanistan fino alla fine degli anni ’80. Anche in Angola gli
USA inviano degli aiuti ai movimenti che si opponevano alle forze governative filosovietiche.
La zone più calda è l’America centrale. In Nicaragua nel 1979 la dittatura di Somoza, la cui famiglia
aveva guidato il paese per decenni, viene abbattuta da un colpo di stato e arrivano al potere i
sandinisti, che con Daniel Ortega sembrano realizzare una sorta di secondo caso cubano. Reagan inizia
ad inviare consistenti aiuti militari al movimento dei contras, guerriglieri che a partire dal 1972
vengono riarmati per combattere i sandinisti al potere. L’aspetto inquietante di questo supporto è
legato al fatto che esisteva una legge, l’emendamento Boland, che proibiva l’invio di aiuti militari in
Nicaragua: Reagan viola apertamente una legge per supportare i contras e il sostegno finanziario sarà
all’origine dello scoppio di uno scandalo. Le elezioni del 1990 vengono vinte democraticamente dalla
candidata Violeta Chamorro.
L’isola di Grenada era un ex possedimento della Gran Bretagna che diventa indipendente nel 1974. Nel
1979 arriva al potere un esponente socialista che verrà poi assassinato nel 1983 creando una
situazione caotica. Gli USA rispondono con un intervento militare, che giustificano con il pretesto di
difendere le centinaia di cittadini americani sull’isola. Fu uno sfoggio di muscoli di Reagan, un esempio
della militarizzazione della sua politica estera.

68
L’AVVENTO DI GORBACIOV AL POTERE

In questa fase, che caratterizza il primo mandato di Reagan dal 1980 al 1984, non c’è dialogo con i
sovietici perché Breznev muore nel 1982. Breznev era già stato dichiarato clinicamente morto alla fine
degli anni ‘70, ma era stato tenuto in vita per un problema di successione, testimoniato dalla scelta
delle persone usate per sostituirlo, tutte anziane: dal 1982 al 1984 è al potere Andropov, e alla sua
morte succede Cernenko.
Gorbaciov vene nominato segretario del PCUS a 54 anni, nel 1985. È un esponente della nomenclatura
sovietica. Gorbaciov è considerato un eroe per la fine della guerra fredda, un eroe che piace agli
occidentali perché aveva sviluppato un tipo di diplomazia vicina a loro. Le due parole chiave del suo
programma di riforme sono glasnost, ovvero trasparenza dell’apparato politico, e perestrojka, che
significa riforma, rinnovamento. Gorbaciov vuole riformare il sistema sovietico per mantenerlo in vita,
ma questo non è possibile, perché l’URSS dagli anni ’70 attraversa una fase di declino sotto gli occhi di
tutti. Il declino è legato alla presenza di un sistema economico fortemente centralizzato, in cui si era
continuato ad investire sulle industrie degli armamenti a scapito del tenore di vita della popolazione.
Era quindi un declino sul piano tecnologico e dei consumi. Ciò apparve evidente in occasione
dell’incidente nucleare di Chernobyl, che avviene nel 1986 in Ucraina: è un incidente che avviene per
l’arretratezza degli impianti sovietici che non erano sicuri e genera lo spettro dell’incidente nucleare.
La nube di Chernobyl arriva subito in Europa. Gorbaciov aveva bisogno di un dialogo con gli USA, ed è
per questo che intesse un dialogo stretto con Reagan fin dal suo arrivo al potere.
Già nei primi anni ’80 l’URSS si trova a dover gestire un dissenso sempre più forte in Europa orientale.
L’esempio più interessante di dissenso è quello polacco. La Polonia stava molto a cuore a Stalin e
all’URSS ed è il primo paese attraversato dalla crisi. Strettamente legato alla crisi è l’elezione al soglio
pontificale di papa Giovanni Paolo II nel 1978 e la creazione nei cantieri di Danzica nel 1980 di un
sindacato libero di impronta cattolica che è Solidarnosc, il cui leader è Walesa. Wojtyla fece visita in
polonia nel 1979, ottenendo un successo incredibile. La scintilla in Polonia scoppia nell’agosto 1980 ed
è collegata ad un aumento dei prezzi dei generi alimentari: inizia a scatenarsi un’ondata di scioperi
eccezionali a Danzica che sarebbero stati gestiti da Solidarnosc e si sarebbero estesi presto a tutta la
Polonia. A Mosca si inizia a discutere sull’opportunità di un intervento militare, se applicare alla
Polonia la dottrina Breznev. La situazione evolve nel momento in cui diventa primo ministro polacco
nel 1981 il generale Jaruzelski. Di fatto, egli attua un autogolpe: per evitare l’intervento sovietico
proclama nel dicembre 1981 lo stato di guerra in Polonia e fa arrestare Walesa. In realtà, l’URSS non
aveva nessuna intenzione di intervenire.
Uno degli aspetti più caratteristici degli avvenimenti che nel corso degli anni ’80 cambiano l’Europa
orientale è il ruolo di Gorbaciov, che sostiene la fine del controllo sovietico su queste nazioni, e il fatto
che nei paesi dell’Europa orientale il processo verso la democratizzazione avviene senza spargimenti
di sangue. L’unico paese in cui la fine del regime militare porta all’uccisione del leader che lo
rappresentava è il caso rumeno: il dittatore viene arrestato insieme alla moglie e poi giustiziato.

L’INVASIONE ISRAELIANA DEL LIBANO

L’invasione israeliana del Libano meridionale avviene nel 1982 e l’operazione prende il nome di
operazione “Pace per la Galilea”. Nel giugno 1982 gli israeliani invadono il Libano meridionale con
l’intento di distruggere le basi militari dell’OLP, che effettuavano continui attacchi contro Israele dal
Libano meridionale.
Questo progetto era stato fortemente sostenuto dal segretario di stato americano Haig, ma incontra
anche forti contrasti all’interno dell’amministrazione Reagan, perché si teme l’allargamento del
conflitto alla Siria e una guerra tra Israele e Siria. In seguito a questi contrasti Haig darà le dimissioni.
Dopo settimane di bombardamenti, i dirigenti dell’OLP e lo stesso Arafat decidono di evacuare il
Libano e di trasferire la sede dell’OLP a Tunisi. Tuttavia, la situazione non sarebbe migliorata e il
Libano nel corso degli anni ‘80 sprofonda in una guerra civile il cui tragico epilogo è l’assassinio del
capo di governo Gemayel e soprattutto nel massacro di un migliaio di palestinesi, fra cui molte donne e
69
bambini che si trovano nei campi profughi di Sabra e Chatila ad opera dei miliziani della falange
cristiana libanese appoggiati da Israele. Allora era ministro della Difesa in Israele Sharon.
Reagan decide di inviare delle truppe americane in Libano insieme a truppe italiane e francesi, il cui
compito era quello di arrivare al cessate il fuoco e anche a controllare la partenza dei palestinesi
dell’OLP in Tunisia. La presenza militare degli americani in Libano fu all’origine di una lunga serie di
attentati, fra cui quello contro l’ambasciata americana a Beirut e quello di un automezzo che uccise
molti marines. Reagan si trova a dover gestire il problema del terrorismo. Reagan abbandona il paese e
sarà l’autore di un bombardamento nel golfo della Sirte nel 1986. Gheddafi verrà accusato di una serie
di attentati contro obiettivi americani.
Il Medioriente è caratterizzato dal conflitto tra Iran e Iraq che dura dal 1980 al 1988 perché Hussein
vuole approfittare della situazione in Iran per ottenere un vantaggio a livello regionale. La guerra fa
paura agli USA, perché si minaccia il golfo persico. Gli USA sovvenzionano militarmente l’Iraq di
Saddam Hussein, che si rivolterà contro gli USA con la prima guerra del golfo.

IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA NEGLI ANNI ’70 E ’80

Nel processo di integrazione europea gli anni ’70 sono anni di crisi, collegati alla crisi economica nella
quale si trovano le nazioni europee in seguito allo shock petrolifero del 1973. Generalmente si parla di
un periodo di euro-sclerosi, una fase nella quale il progetto di integrazione sembra perdere il proprio
slancio, soprattutto nella seconda metà degli anni ’70. Gli avvenimenti più importanti sono la nascita
dello SME, che è di fatto il tentativo da parte delle nazioni europee di rispondere all’instabilità
monetaria che era seguita alla fine del sistema di Bretton-Woods con la decisione di Nixon nel 1971 di
sospendere la convertibilità aurea del dollaro. Il passaggio da un sistema di cambi fissi a un sistema di
cambi flessibili porterà a svariate svalutazioni del dollaro e a rivalutazioni delle monete europee.
Lo SME del 1979 prevede bande di oscillazione delle monete europee, dei limiti nelle oscillazioni, e
viene creata una prima forma di moneta europea, l’ECU, una moneta che non circolerà nel mercato, ma
è una moneta virtuale che viene utilizzata per stabilire i meccanismi di variazione.
L’Italia vive gli anni di piombo, gli anni del terrorismo di estrema destra e sinistra, anni in cui il
processo di distensione ha i propri effetti. Sono gli anni dell’eurocomunismo: in seguito alla primavera
di Praga il partito comunista si distacca da quello di Mosca. Si cerca di realizzare un socialismo
compatibile con le società occidentale, con l’accettazione della NATO e del processo di integrazione
europea. Nel 1978 Andreotti, allora presidente del Consiglio, forza la mano e fa entrare Italia
all’interno dello SME, ritenendo che in un momento gravissimo per la politica italiana l’Italia debba
rimanere agganciata al progetto europeo, il rischio è quello di una deriva italiana. Il 1979 è l’anno in
cui si hanno le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo, che in questi anni ha solo
poteri di controllo del bilancio.
Gli anni ’80 vedono un nuovo allargamento della Comunità a tre paesi dell’Europa meridionale, che
escono dalle dittature: la Spagna, dopo la morte d franco nel 1975; il Portogallo, con la rivoluzione che
pone fine alla dittatura di Marcelo; la Grecia, in cui c’era stato un colpo di stato nel 1967 che aveva
portato al potere la dittatura militare del governo dei colonnelli, la quale termina nel 1974 dopo un
tentativo della Grecia di annettere l’isola di Cipro. Il tentativo di annetter Cipro fallisce perché la
Turchia interviene e crea nella parte settentrionale di Cipro una repubblica filo-turca che divide in due
Cipro. La Repubblica turca di Cipro nella parte settentrionale dell’isola non è riconosciuta da nessun
paese eccetto la Turchia.
Questi tre paesi cercano la via per la democrazia con l’ingresso nell’Unione europea. Il processo
negoziale è molto lungo. Hanno dei sistemi economici deboli. La Grecia entra nel 1981, mentre Spagna
e Portogallo nel 1986.
Il rilancio del processo di integrazione si ha nel 1985, collegato alla presidenza della commissione
europea di Delor, autore dell’Europa di oggi. È il primo presidente della commissione a darle un ruolo
politico di primo piano. Grazie a Delor, nel 1986 viene firmato l’Atto unico europeo, che ha l’obiettivo
di realizzare il mercato unico e abbattere tutte le barriere esistenti che impedivano la libera
circolazione di beni, capitali e persone. Delor sarà anche autore del progetto dell’Unione economica e
70
monetaria con il pacchetto Delor del 1989 e del trattato che dà vita all’Unione europea, il trattato di
Maastricht.
Il trattato di Maastricht viene negoziato alla conferenza del dicembre 1991 e viene firmato nel febbraio
1992. Esso dà vita all’Unione economica e monetaria, alla politica estera e di sicurezza comune e a
all’Unione europea vera e propria. La fine della guerra fredda e l’implosione dell’URSS fanno pensare
che l’Europa possa diventare un attore importante sul piano internazionale. L’Europa, tuttavia, non
riesce in realtà ad essere così potente in politica estera come lo è sul piano economico.

GLI INCONTRI TRA GORBACIOV E REAGAN

Gli incontri tra Gorbaciov e Reagan avvengono quasi all’indomani dell’arrivo di Gorbaciov al potere. Il
primo incontro si tiene a Ginevra nel novembre 1985. Non viene raggiunto nessun risultato concreto,
ma i due leader imparano a conoscersi e Reagan capisce di avere davanti un interlocutore nuovo con
cui si può dialogare, molto diverso rispetto ai precedenti leader sovietici. Da parte sua, Gorbaciov, per
attuare le sue riforme sul pano interno, ha bisogno del dialogo con il nemico.
L’incontro di Reykjavík nell’ottobre 1986 è un incontro in cui il clima fu molto cordiale, ma non furono
raggiunti risultati concreti perché Gorbaciov pose come condizione del raggiungimento di un accordo
che gli USA abbandonassero il progetto dello scudo spaziale e quindi non fece nessuna concessione. In
realtà, il progetto SDI sarebbe stato abbandonato dallo stesso Congresso americano perché in questo
momento era troppo costoso. Il Congresso taglia le spese destinate all’SDI, ma non verrà mai
abbandonato completamente, perché le amministrazioni successive porteranno avanti questo
progetto.
All’incontro di Washington del dicembre 1987 per la prima volta le due superpotenze si accordano
sullo smantellamento die missili: viene deciso di distruggere entro tre anni tutti i missili della portata
compresa tra i 500 e i 5000 kilometri, cioè gli euromissili che erano appena stati installati in alcune
nazioni europee, e da parte sovietica si accetta di rimuovere gli SS20.
L’ultimo incontro tra Reagan e Gorbaciov è quello di Mosca del maggio 1988, ma è un incontro al
vertice che non produce ulteriori risultati perché Reagan sta per uscire di scena ed è una sorta di
cerimonia d’addio.
Nel 1986 all’interno dell’amministrazione Reagan scoppia lo scandalo Iran-Contras. Esso mette in luce
l’oscuro traffico di armi tra USA e Iran. Il ricavato del traffico di armi serviva per andare a finanziare i
guerrieri Contras in Nicaragua.
Nel 1985 avviene un incidente diplomatico con l’Italia che riguarda una nave da crociera italiana che
navigava nel Mediterraneo, l’Achille Lauro. Nell’ottobre 1985 la nave viene sequestrata da un gruppo
di 4 attivisti palestinesi che sequestrano i passeggeri e chiedono in cambio la liberazione di prigionieri
palestinesi. Purtroppo durante il sequestro viene ucciso un passeggero americano di religione ebraica.
Questo fatto crea un grosso problema nei rapporti tra USA e Italia. I palestinesi si consegnano alle
autorità egiziane in cambio di immunità, ma L’Egitto cerca di liberarsene il prima possibile e li invia in
Tunisia. Durante il viaggio, l’aereo vene dirottato da velivoli americani e viene fatto atterrare nella
base militare di Sigonella in Italia. Il governo americano voleva che quello italiano gli cedesse i
sequestratori per poterli catturare e poi processare, ma il governo italiano si rifiutò di concedere i
dirottatori palestinesi.
I rapporti tra Reagan e le altre nazioni europee non son idilliaci, eccezion fatta per la Thatcher, che
identificava tutta la politica di riforme liberaliste di Reagan. Reagan ricambiò l’appoggio in occasione
della guerra che la Thatcher fa scoppiare nel 1982 per le Falkland-Malvinas, isole davanti all’Argentina
che appartenevano al governo inglese. L’Argentina reclamava la sovranità sulle isole e la Thatcher di
fatto scatena una guerra durata pochissimi mesi, ottenendo il pieno appoggio degli USA in questa
operazione.

71
LA FINE DELLA GUERRA FREDDA

La fine della guerra fredda avviene in Germania, la nazione che maggiormente aveva sentito questa
divisione. Il governo della Repubblica Democratica Tedesca era il satellite più fedele di Mosca e non
aveva recepito nessun monito da parte di Gorbaciov: sapeva che l’immobilismo era l’unico modo per
salvare la Repubblica Democratica. Nel giugno 1989 Gorbaciov compie un viaggio nella Repubblica
Federale Tedesca e nell’ottobre nella Repubblica Democratica, lanciandole un chiaro monito: “chi
arriva troppo tardi verrà punito dalla vita”, ovvero non ci si poteva opporre ai cambiamenti in atto.
Intanto i paesi del patto di Varsavia confinanti con la Germania fanno circolare liberamente le persone.
Dall’estate, Ungheria e Cecoslovacchia concedono ai cittadini tedeschi il visto di transito per l’Austria e
questo fa sì che migliaia di persone passino attraverso l’Austria e da lì poi ritornino nella Repubblica
Federale Tedesca. Oneker viene sostituito secondo la solita prassi utilizzata dall’URSS, ma si sfalda di
fatto tutta la Repubblica Democratica.
Il 9 novembre 1989 la radio tedesca dà la notizia della decisione del governo di consentire a tutti
cittadini che avessero voluto di lasciare la Germania orientale attraverso qualsiasi varco esistente.
Nemmeno le guardie al confine erano al corrente di ciò e i cittadini iniziano a smantellare il muro,
simbolo della guerra fredda.

LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE NEGLI ANNI ’80

Tra il 1975 e il 1976 muoiono Zhou Enlai e Mao. C’è una fase di successione piuttosto travagliata e a
partire dal 78emerge come leader Deng Xiaoping, anche se non ricopre il ruolo di segretario del partito
comunista. Deng porta avanti la teoria delle 4 modernizzazioni dell’economia cinese: nei campi della
scienza, dell’industria, dell’economia, dell’esercito. Dai primi anni ’80 sperimenta l’adozione
dell’economia di mercato in zone economiche speciali nei settori dell’agricoltura e dell’industria, e sin
dall’inizio i risultati sono sorprendenti: si assiste a una crescita progressiva della produttività.
L’adozione dell’economia di mercato avviene nel rispetto delle regole fondamentali dello stato cinese:
la sua natura socialista, il governo del partito comunista cinese, il pensiero maoista e quello marxista-
leninista. Questo crea delle frizioni all’interno, dei momenti di dissenso, soprattutto per quanto
riguarda la libertà d’espressone e le libertà civili.
Il culmine del dissenso si ha nel maggio 1989 a piazza Tienanmen, contemporaneamente alla visita di
Gorbaciov a Pechino. Gli studenti cinesi speravano che Gorbaciov ammorbidisse il governo sulla
possibilità di dissenso e avvenisse un momento di liberazione come in Europa orientale. Quando
Gorbaciov lasca la Cina, il governo usa la forza. Da questo momento la possibilità di dissenso in Cina è
nulla.
La Cina, per riuscire a progredire sul piano economico, aveva bisogno di buoni rapporti sul piano
internazionale. Nel 1984 viene raggiunto accordo con la Gran Bretagna in merito a una colonia inglese,
Hong Kong – simbolo del capitalismo, dell’occidente – che sarebbe ritornata alla Cina nel 1997. Si
assiste anche un miglioramento de rapporti con l’URSS con Gorbaciov. Con gli USA si ha una breve crisi
legata ai fatti di piazza Tienanmen: gli USA criticano la repressione delle proteste studentesche, ma
quando Bush senior arriva alla Casa bianca nel 1989 opera attivamente per eliminare le restrizioni di
natura commerciale che c’erano state nei confronti della Cina dopo i fatti di Tienanmen.

L’UNIFICAZIONE DELLA GERMANIA

Il crollo del muro innesta il processo che porta all’unificazione tedesca, che nel 1989 non era
assolutamente scontata. Non tutte le forze politiche tedesche erano favorevoli a una riunificazione
immediata. Kohl diventerà subito il fautore della riunificazione, mentre all’interno della Repubblica
Democratica Tedesca il partito socialdemocratico desiderava un processo di unificazione graduale. In
Europa altre potenze non erano inizialmente favorevoli nei confronti della riunificazione, soprattutto

72
la Franca di Mitterrand, che vedeva come una minaccia la creazione di una grande Germania che
avrebbe dominato l’Europa.
Quando Bush arriva alla Casa bianca si ha una sorta di raffreddamento nei rapporti con Gorbaciov.
Bush non comprende ciò che sta avvenendo nell’Europa dell’Est: nel 1989 visita la Polonia e
l’Ungheria, ma non dà l’impressione di comprendere il cambiamento in atto. Fu soltanto a seguito
dell’immagine dell’abbattimento del muro che maturò la svolta in politica estera. Alcuni aspetti della
politica di Gorbaciov suscitavano timori e una reazione ambigua da parte degli USA, come il progetto di
Casa comune europea che presenta nel luglio 1989 al Consiglio d’Europa a Strasburgo. Parla di una
Casa comune, in contatto diretto con la NATO e il patto di Varsavia, e auspica la creazione di uno spazio
economico europeo. Questo progetto viene visto dagli USA come il tentativo di proiettare influenza in
Europa.
Il momento di svolta si ha con il vertice di Malta del 2-3 dicembre 1989, in occasione del quale
Gorbaciov esprime chiaramente a Bush la difficoltà che sta trovando la realizzazione perestroika. Si
accordano per un piano teso a ridurre sostanzialmente le forze armate della NATO e del patto di
Varsavia in Europa, raggiungendo non più di 195000 uomini da ogni parte. L’URSS aveva il problema
di non riuscire più a mantenere i militari all’estero.
Un altro punto del vertice di Malta è che Gorbaciov dà l’assenso al processo di riunificazione tedesca.
Con il compromesso 4+2, le 4 potenze occupanti si sarebbero occupate dello status internazionale
della futura Germania, mentre le due Germanie avrebbero negoziato gli aspetti di politica interna. Gli
USA volevano che tutta la Germania entrasse nella NATO. Nel marzo 1990 si tengono le prime elezioni
libere nella Repubblica Democratica Tedesca e vince a grande maggioranza il blocco centrista
dominato dai cristiano-democratici, favorevoli a un processo di riunificazione immediato, mentre i
social democratici erano favorevoli a un processo più graduale. Sin dal suo primo discorso
d’insediamento, il cancelliere de Maizière indicò le condizioni della riunificazione (collaborazione tra
le due Germanie) e chiese che la questione dell’unificazione monetaria fosse trattata sulla base del
riconoscimento della parità dei due marchi. L’unificazione si caratterizzò pe l’ingresso dei Lander della
Repubblica democratica in quella federale con effetto dal mese di ottobre 1990.
In un incontro con Gorbaciov nel luglio 1990, Kohl ottiene l’assenso all’ingresso della parte orientale
della Germania nella NATO. Kohl, di fatto, offre in cambio all’URSS un grosso aiuto sul piano
finanziarono, un ingente prestito. In autunno viene conclusa la conferenza 2+4 e nel settembre 1990
Germania e URSS firmano un accordo che è una sorta di trattato di pace. Nel novembre 1990 Germania
e Polonia firmano un trattato per il riconoscimento reciproco dei confini.
L’epilogo della questione tedesca facilita anche la soluzione di un negoziato relativo agli armamenti
nucleari che viene concluso nel luglio 1991 tra Bush e Gorbaciov: con il negoziato START (Strategic
Arms Reduction Treaty) si stabilisce una consistente riduzione degli armamenti nucleari, sancendo nel
numero di 4900 le testate di missili intercontinentali, di missili lanciati da sottomarini o da
bombardieri. Gli accordi START 1 sarebbero stati completati nel 1992 con gli accordi tra Bush e Yeltsin
con lo START 2, che prevede un’ulteriore riduzione degli armamenti strategici.

L’IMPLOSIONE DELL’URSS

L’implosione dell’URSS avviene nel 1991 per motivi di natura economica, ma anche per la crescente
ribellione e desiderio di indipendenza da parte delle repubbliche che facevano parte dell’URSS.
Le riforma che Gorbaciov aveva attuato si scontrano contro le forze conservatrici dell’apparato
burocratico e il complesso militare-industriale. Gorbaciov si avvicina agli elementi conservatori per
salvare il proprio progetto. Tuttavia, nell’agosto 1991 sono questi elementi conservatori che tentano di
effettuare un colpo di stato alla vigilia della firma del trattato che doveva rivedere i rapporti tra URSS e
tutte le repubbliche sovietiche. Ha un ruolo fondamentale Yeltsin, che riesce a convogliare tutta
l’opinione pubblica a favore di Gorbaciov contro il colpo di stato. Gorbaciov torna al potere, ma vi
rimarrà solo pochi mesi. Diventerà presidente della federazione russa Yeltsin, e dominerà tutta la
scena russa fino al 1999.

73
Yeltsin è il principale autore di un passaggio dall’economia socialista all’economia di mercato. È un
passaggio brusco, quasi immediato, che porta la Russia nel corso anni ’90 a vivere una grave crisi
economica e una situazione di destabilizzazione. Si assiste all’ascesa dei cosiddetti oligarchi, coloro che
di fatto controllano le grandi industrie dell’ex URSS quando si assiste alla privatizzazione di queste
multinazionali.
Il 21 dicembre 1991 si forma la comunità di stati indipendenti, o CSI, che è la nuova sigla con cui la
Russia gestisce i rapporti con le ex repubbliche sovietiche. Vi entrerà anche la Georgia nel 1993. La
Russia cerca di continuare a mantenere un ruolo di leadership in questa comunità. Questo le viene
riconosciuto perché la Russia ottiene il seggio permanente che era stato dell’URSS. La Russia accetta di
accollarsi gran parte del debito pubblico di tutta l’URSS e delle spese di mantenimento delle truppe
dell’armata rossa che sono rientrate nel 1989 dall’Afghanistan e dai paesi del patto di Varsavia. Ci
sono grandi difficoltà nel controllare gli arsenali nucleari, che non erano solo in Russia, ma anche in
Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. La fine dell’URSS segna la fine del patto di Varsavia: la
Cecoslovacchia, la Polonia e l’Ungheria chiedono nel 1991 il ritiro delle truppe sovietiche dai loro
territori e finisce il patto di Varsavia. Questi paesi dell’Europa orientale sono tutti entrati nella NATO
tra il 1998 e il 2004, e nell’Unione europea tra il 2004 e il 2007.

L’AMMINISTRAZIONE CLINTON

La guerra del Golfo fu un successo d’immagine per Bush, che formò coalizione di 29 stati arabi. Gli USA
emergono come l’unica superpotenza rimasta. Bush non vince le elezioni del 1992, che vengono vinte
da Bill Clinton. Clinton rimane alla Casa bianca fino alle elezioni del 2000. Le ragioni della sua vittoria
sono di natura interna, soprattutto economiche: il suo slogan era “It’s the economy, stupid”. Bush non
aveva mantenuto la promessa di abbassare le tasse, anzi era stato costretto ad alzarle. Alle elezioni si
presenta anche un candidato indipendente che prende molti volti dall’elettorato repubblicano.
Quando Clinton arriva alla Casa bianca, non sembra interessarsi molto allo scenario internazionale: nel
suo messaggio inaugurale lascia poco spazio alla politica estera. È giunto il momento in cui gli USA
debbono pensare a se stessi. Questo è dimostrato dal fatto che presenta un’agenda politica interna
molto ambiziosa e si circonda di uno staff esperto di questioni economiche: voleva ridurre il deficit
federale e le tasse per i ceti medi, riformare il welfare e creare un servizio sanitario nazionale, ma
quest’ultimo progetto, di cui si occupava sua moglie, non fu realizzato.
Nel momento in cui arriva alla Casa bianca, Clinton non ha un programma definito di politica estera e
ciò fa sì che nei suoi primi anni al potere gli USA si mossero sulla cena internazionale in maniera da
alimentare ipotesi contrastanti. In alcuni casi apparvero sin troppo pronti a intervenire militarmente,
in altri casi lasciarono che le situazioni precipitassero e intervennero in seguito alla pressione
dell’opinione pubblica. Nella prima parte degli anni ’90 si parla d’impero esitante, più che di impero
dominante.
Dal 1995 Clinton rafforza il proprio profilo internazionale, come nel caos dell’ex Jugoslavia, e cambia
figure chiave all’interno dell’amministrazione: nomina segretario di stato Madelaine Albright, che
spinge per l’intervento della NATO in Kosovo e per la soluzione della questione israelo-palestinese. Un
prima brusco fallimento d’immagine americana si ha nel caso della Somalia.
La situazione somala degenera dal 1991, quando un colpo di stato allontana dal potere Siad Barre, che
a partire dal 1977 era stato molto appoggiato dagli USA. Dopo il suo allontanamento si assiste a uno
scontro fra etnie diverse che portano la popolazione allo stremo. Nel 1992 il Consiglio di sicurezza
dichiara la Somalia una nazione senza governo, un failed state, e approva la creazione di una limitata
forza multinazionale da inviare in Somalia già nel 1992 per alleviare le sofferenze della popolazione.
Clinton vede la possibilità di una cooperazione di natura militare che avrebbe implicato costi molto
bassi e avrebbe rappresentato un successo d’immagine per gli USA. Propone all’ONU di rafforzare il
contingente militare e di assumere il ruolo guida dell’operazione, Restore hope. Doveva essere
condotta da circa 30000 soldati americani, più i contingenti di paesi che volontariamente accettavano
di inviare i militari. Si risolve in un disastro, perché i militari non riescono a svolgere il compito
umanitario e si scontrano con la situazione caotica del paese. Nell’ottobre 1993 vengono abbattuti due
74
elicotteri americani, e vengono uccisi 20 marines, massacrati dalla popolazione. Nel 1994 Clinton si
affretterà a ritirare velocemente le proprie truppe e nel 1995 l’ONU stabilisce che tutte le forze di pace
si sarebbero dovute ritirare dalla Somalia, senza conseguire i propri risultati e lasciando il paese in una
situazione d’ingovernabilità.
Un’altra prova del modo in cui gli USA intervengono nello scenario internazionale si ha in Jugoslavia.
Qui, nel 1980, muore Tito. Paradossalmente, si ha un periodo che dura 11 anni in cui l’apparato statale
burocratico della Federazione jugoslava si mantiene in piedi, anche se si trova in una situazione
economica sempre peggiore, in quanto alla fine della guerra fredda perde la centralità che aveva avuto
e diminuiscono gli aiuti provenienti dall’estero. La disintegrazione dello stato jugoslavo non è un
fulmine a ciel sereno, perché già negli anni ’80 varie popolazioni avevano esercitato pressioni su Tito
per il riconoscimento dell’autonomia. Nel 1974 Tito elabora una nuova costituzione che riconosceva
l’autonomia per le repubbliche che componevano la federazione.
Nel giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiarano unilateralmente la propria indipendenza e vengono
riconosciute immediatamente da molti stati europei, in primo luogo la Germania. Vengono anche
ammesse all’ONU. Nel 1991 dichiarano la propria indipendenza anche la Macedonia e la Bosnia-
Erzegovina. Il problema maggiore si pone per la Bosnia ed è legato alle varie etnie che la
componevano: 31% serbi, 43% musulmani, 17% croati. I bosniaci vengono identificatici come
musulmani, mentre i croati erano cattolici e i serbi cristiano-ortodossi. All’obiettivo di creare una
grande Serbia, la comunità internazionale reagisce con una totale impotenza.
Nel 1992 viene firmato il trattato di Maastricht e l’Unione europea si dota della politica estera e di
sicurezza comune. L’UE sembra essere in grado di poter esercitare un ruolo di attore sullo scena
internazionale e molti leader politici si lanciano in dichiarazioni importanti sulla Jugoslavia, che
vedono come il loro cortile di casa. In realtà, l’Unione europea non è in grado di esercitare nessun
ruolo, se non inviare degli ambasciatori e organizzare delle conferenze. Anche l’ONU dimostra il
fallimento della propria azione, perché non è in grado di protegger la popolazione.
L’amministrazione Clinton inizialmente è disinteressata: per l’opinione pubblica americana l’a
Jugoslavia non è un’area di interesse. È soltanto nel 1995 che si ha la svolta, con la scoperta di atrocità
pazzesche: i campi di concentramento in cui i serbi rinchiudono la popolazione bosniaca, il massacro
di Srebrenica in cui i serbi uccidono tutta la popolazione maschile, e il bombardamento del mercato di
Sarajevo. A questi punti, l’opinione pubblica esercita un ruolo pressante per l’intervento della NATO.
La NATO interviene con raid aerei contro i serbi in supporto dell’ONU. Madelaine Albright è la
principale sostenitrici dell’intervento NATO, che dimostra la netta superiorità del livello tecnologico
degli armenti americani rispetto a quelli europei. In seguito a questi raid aerei contro le postazioni
serbe e grazie all’invio di un emissario americano, nel novembre 1995 Clinton porta le parti a
negoziare a Dayton nell’Ohio. Qui vengono siglati nel dicembre gli accordi di Dayton, che mettono fine
alla guerra e prevedono la divisione della Bosnia in una repubblica croato-bosniaca e in una repubblica
serba di Bosnia. Una forza della NATO avrebbe garantito adempimento degli accordi.
Di fatto, la guerra in Bosnia dimostra l’impotenza europea e anche il fatto che la NATO è intervenuta
come braccio militare dell’ONU. La NATO, a differenza del Patto di Varsavia, sopravvive alla fine della
guerra fredda.
La crisi bosniaca non pone fine alle turbolenze in Jugoslavia, perché resta aperta la questione del
Kosovo, alimentata dalla ripresa nazionalista dell’Albania e anche dal fatto che il Kosovo è per la
maggior parte di etnia albanese. Nel 1991 c’è un referendum non autorizzato con cui il Kosovo dichiara
l’indipendenza unilateralmente, ma la crisi in Bosnia congela al questione kosovara. Assistiamo alla
formazione di due forze in Kosovo: da una parte i moderati di Recoba, favorevoli a un processo di
indipendenza graduale, e dall’altra il partito democratico degli albanesi che vuole indipendenza e si
appoggia su un esercito per la liberazione nazionale (UCK). L’UCK dal 1996 inizia effettuare attacchi
contro i serbi e la Serbia dichiara l’UCK un’organizzazione terroristica. Nel 1998 vengono arrestati
migliaia di simpatizzanti UCK. La situazione degenera anche in Kosovo e si vuole evitare il ripetersi di
una seconda crisi bosniaca. Nel febbraio 1999 Madelaine Albright pone Milosevic di fronte a una sorta
di ultimatum nei negoziati a Rambuje: gli viene chiesto di accettare una forza NATO all’interno del
paese. Dopo tre anni i kosovari avrebbero potuto scegliere con un referendum la propria autonomia
75
regionale. La diplomazia fallisce, Milosevic non accetta e Clinton dalla fine del marzo 1999 decide
l’intervento della NATO contro i serbi. È un’offensiva aerea che dura molte settimane e porta di fatto
Milosevic, nel giugno 1999, a dover cedere. Questo intervento della NATO avviene in aperta violazione
dell’art. 5 del Patto atlantico, che prevede l’intervento NATO a seguito di aggressione di un paese terzo
contro uno dei membri. Si trattava di un intervento al di fuori dell’area atlantica e non c’era stata una
richiesta dell’intervento NATO da parte del Consiglio di sicurezza. Non si coinvolge il Consiglio di
sicurezza perché si era sicuri che non avrebbe votato: la Russia avrebbe posto il proprio veto, per via
del panslavismo in appoggio alla Serbia, e anche la Cina, perché durante i bombardamenti era stata
bombardata l’ambasciata cinese a Belgrado. Milosevic è costretto ad accettare che contingenti
americani, francesi, britannici e italiani avrebbero occupato il Kosovo in vista di elezioni, ma ancora
non si parla di indipendenza. Gli USA giustificano l’intervento NATO con la formula per cui era un
intervento a scopo umanitario. Milosevic è stato arrestato dal tribunale della Corte penale
internazionale per i genocidi nell’ex Jugoslavia, ma è morto per cause naturali. Il Kosovo ha poi
dichiarato la propria indipendenza nel 2008 ottenendo l’avvallo dell’Unione europea, che ha inviato
una missione di 2000 persone.

76

Potrebbero piacerti anche