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Capitolo 1- Il potere
Nel suo significato generale la parola potere designa la capacità o possibilità di operare e produrre
effetti e può essere riferita a individui, gruppi, oggetti o fenomeni. Inteso in senso sociale il potere
diventa capacità dell’uomo di determinare la condotta dell’uomo potere dell’uomo sull’uomo.
L’uomo è infatti sia oggetto che soggetto del potere sociale. Il potere sull’uomo va distinto da
quello quello sulle cose: bisogna discostarsi da visioni come quella di Hobbes che si basano sui
mezzi. Le cose sono rilevanti solo nel momento in cui sono un mezzo per esercitare potere (es.
denaro, ma il mio potere non consiste in esso bensì nel fatto che un altro individuo in cambio di
esso è assoggettato al mio potere).
Come fenomeno sociale dunque il potere è un rapporto tra uomini ed è una relazione triadica
perché è sempre necessario definire la sfera del potere, che può essere più o meno vasta e più o
meno delimitata.
Il potere attuale
Bisogna distinguere tra potere come possibilità (potere potenziale) e potere effettivamente
attuato o potere attuale. Con questo si intende identificare i casi in cui A tiene un comportamento
volto a modificare la condotta di B ( se si accetta unicamente il requisito dell’intenzione), o tale da
modificare il comportamento di B nei propri interessi (se si accetta anche il concetto di interesse,
inteso come stato della mente di chi esercita il potere). Il comportamento di B è dotato di almeno
un minimo di volontarietà, ma non è detto che B sia consapevole di agire negli interessi di A. i
rapporti di violenza o quelli dove il comportamento di un uomo, provocato da un altro uomo, è del
tutto involontario (es. durante un’ipnosi) sono esclusi dai rapporti di potere. I casi in cui il potere è
abituale come un saluto militare verso il proprio superiore sono voluti e quindi possono rientrare
nella sfera del potere. Un tipo di potere diffuso è la manipolazione ovvero quando A cerca di
nascondere le sue intenzioni a B.
Ma cosa intendiamo quando diciamo che il comportamento di A causa quello di B? Con causa
intendiamo una causa non necessaria, ma probabilistica; inoltre si parla di causa riferendosi ad un
particolare evento, non significa che per gli eventi successivi A causi sempre un comportamento in
B. Tuttavia resta aperta la questione di come questo rapporto di causazione sia da intendersi:
alcuni autori pensano che il comportamento di A debba essere condizione necessaria per il
comportamento di B; altri (tra cui Stoppino) pensano che il comportamento di A basta che sia
condizione sufficiente perché si verifichi il comportamento di B. Altri pesano che debba essere
condizione necessaria e sufficiente ( il comportamento di B si verifica SOLO quando si verifica
quello di A).
Molte relazioni di potere hanno caratteristica di essere unidirezionali, ma ve ne sono altre che
sono contraddistinte da un grado di reciprocità (es due partiti politici che devono contrattare,
anche se spesso uno ha più potere dell’altro).
Il potere potenziale
È la capacità di determinare i comportamenti altrui. Mentre il potere attuale è un rapporto tra
comportamenti, quello potenziale è un rapporto tra attitudini ad agire. Poiché esercitare potere
implica necessariamente avere la possibilità di esercitarlo, nel suo senso più generale il potere
sociale è la capacità della determinazione intenzionale o interessata dei comportamenti altrui.
Perché questa possibilità sussista, A deve avere a sua disposizione delle risorse che possano essere
impiegate per esercitare tale potere (ricchezza, forza, amicizia…). Ma questo non è sufficiente : la
suddetta capacità di A dipende anche dalla sua propensione a usare le risorse per esercitare
potere, anziché per altri scopi e dall’abilità con la quale è in grado di convertire in potere le proprie
risorse. Un altro requisito fondamentale è l’attitudine di B a lascarsi influenzare ( in un caso come
quello di un martire che si sacrifica per il proprio Dio nessuna risorse da parte di un'altra persona
può influenzarlo). Questa attitudine dipende dalla scala di valori di B.
Si parla di potere stabilizzato quando a un’alta probabilità che B compia con continuità i
comportamenti nell’interesse di A fa riscontro un’alta possibilità che A compia con continuità
azioni volte o idonee a modificare il comportamento di B nel proprio interesse. Quando è di tipo
intenzionale questo potere si traduce spesso in comando e obbedienza. Quando la relazione di
potere stabilizzato si articola in una pluralità di ruoli parliamo di potere istituzionalizzato, molto
diffusa nella società contemporanea ( coinvolge scuola, governo, esercito, burocrazia…).
Il ruolo delle percezioni sociali e delle aspettative
È evidente che il potere non deriva semplicemente dal possesso o dall’uso di certe risorse, ma
anche dall’esistenza di determinati atteggiamenti dei soggetti implicati nel rapporto, tra cui le
percezioni e le aspettative che riguardano il potere. Le prime, dette immagini sociali del potere,
esercitano un’influenza sui fenomeni del potere reale: l’immagine che un individuo si fa della
distribuzione di potere contribuisce a determinare il suo comportamento. La reputazione del
potere costituisce una possibile risorsa di potere effettivo. A, se le persone pensano che il suo
potere sia maggiore di quello che è, eserciterà un potere maggiore rispetto alle proprie risorse
effettive. Il ruolo delle aspettative è quindi molto importante, soprattutto nei rapporti di potere
che operano attraverso il meccanismo delle reazioni previste quando B modifica la sua condotta
verso l’interesse di A, senza un intervento diretto di A ma solo perché B prevede che A
adotterebbe reazioni per lui spiacevoli se B non tenesse quella data condotta. Ovviamente la
previsione di B non è campata per aria, ma si fonda su una precedente condotta di A. Questo
meccanismo rende ambigue molte situazioni di potere, perché in certi casi potrebbe risultare
difficile capire chi esercita potere su chi.
Modi di esercizio e conflittualità del potere
I modi di esercizio del potere, ovvero i modi specifici in cui le risorse possono essere usate per
esercitare potere sono molti: persuasione, manipolazione, minaccia ecc.
Alcuni autori distinguono tra potere (quando la determinazione dei comportamenti altrui si fonda
sulla coercizione) e influenza.
La coercizione può essere definita come minaccia di privazioni fisiche, ossia di interventi violenti.
Essa implica che le alternative di comportamento di B vengano alterate dalla minaccia di sanzioni
di A. Nel concetto di coercizione alcuni fanno rientrare anche un alto grado di allettamento (o
promessa di vantaggi). Importante è anche il concetto di conflittualità di potere ovvero se il
carattere antagonistico del rapporto di potere viene inteso come conflitto di volontà tra soggetti
del rapporto. Che via sia un conflitto iniziale tra la volontà di A e B è implicito nella definizione di
esercizio di potere ( senza A B avrebbe agito diversamente). Ma vi è necessariamente un conflitto
di volontà anche nel momento finale di esercizio di potere? No, per esempio con la persuasione, B
vuole fare quello che vuole A: quindi B attribuisce minor valore al comportamento che tiene dopo
l’intervento di A che a quello che avrebbe tenuto prima, e quindi non c’è conflitto. In caso invece
di minaccia di punizione è il contrario e c’è conflitto.
Ma il carattere antagonistico dei rapporti di potere può derivare anche da diversi fattori per
esempio nel caso di manipolazione il conflitto insorge solo quando B si rende conto che la sua
condotta è stata manipolata da A oppure nel caso di allettamento potrebbe insorgere risentimento
per la grave disuguaglianza tra le risorse che B sente di avere e quelle di A e più questa
disuguaglianza è sentita maggiore è il risentimento.
Si deve sottolineare che la matrice di disuguaglianza del potere consistente nella disuguaglianza
delle risorse è solo causa potenziale di conflitto (infatti questa disuguaglianza può non essere
percepita oppure essere accettata in base a dottrine politiche o ideologiche oppure nonostante
giudicata male può la colpa di essa essere attribuita a entità diverse che i detentori di potere).
In conclusione si può affermare che non è possibile stabilire in generale e una volta per tutte se i
rapporti di potere siano o meno antagonistici, dipende dal caso.
Cenni sulla misurazione del potere
Un modo per misurare il potere è quello di determinare le diverse dimensioni che può avere la
condotta che ne è oggetto. La prima dimensione riguarda il potere potenziale, ed è data dalla
probabilità che il comportamento di B si verifichi (quanto più è probabile, tanto più il potere è
maggiore). Una seconda dimensione è costituita dal numero di uomini sottoposti al potere; la
terza al settore di attività a cui il potere si riferisce (alcune sfere sono più rilevanti di altre). Una
quarta dimensione riguarda il grado di modificazione del comportamento di B che A può
provocare entro una certa sfera di attività. Queste ultime tre dimensioni sono chiamate da
Lasswell campo, sfera e peso del potere. Una quinta dimensione è l’efficacia del potere ovvero la
corrispondenza tra l’interesse di A e la condotta di B (con più o meno precisione). Una sesta
dimensione è il grado in cui il potere di A restringe le alternative di B. È importante tenere conto
anche dei costi in cui A incorre per esercitare l potere e nella forza, ovvero i costi in cui
incorrerebbe B se non obbedisse.
Il potere nello studio della politica
Quello del potere è uno dei fenomeni più generali della vita sociale ed è infatti stato usato per
interpretare i fenomeni più disparati della società, tuttavia il campo in cui acquista il ruolo più
cruciale è quello politico. Per Weber le relazioni di comando e obbedienza politica più o meno
continuative nel tempo tendono a basarsi non solo su fondamenti materiali ma anche su uno
specifico fondamento di legittimità, designato con il termine autorità, che per Weber può essere di
tre tipi: legale (tipico della società moderna, si fonda sulla credenza di legittimità degli ordinamenti
statuiti), tradizionale (si fonda sulla credenza del carattere sacro del potere che esiste “da sempre”
e carismatico ( si fonda sulla dedizione affettiva alla persona del capo e al carattere del sacro, la
forza eroica, il valore esemplare, la potenza di spirito che possiede.
Da Weber partirono molte correnti, tra cui quella che ha come rappresentante Lasswell e he si
basa sull’analisi del potere come fenomeno empiricamente osservabile. Da una parte Lasswell vide
nel potere l’elemento distintivo dell’aspetto politico della società, dall’altro esaminò i rapporti
intercorrenti tra potere e personalità: individuò la personalità politica in quella orientata in modo
prevalente verso la ricerca di potere, sostenendo che si formava attraverso il trasferimento su
oggetti pubblici di impulsi privati repressi.
Più di recente, Talcott Parsons individuò nel conseguimento di fini la funzione propria del sistema
politico e definì il potere politico come una proprietà del sistema che diventa il mezzo circolante
politico, ancorato da una parte alla legittimazione e istituzionalizzazione dell’autorità, dall’altro
dalla possibilità effettiva del ricorso alla minaccia e uso di violenza. Attualmente il potere è
considerato come una delle variabili fondamentali in tutti i settori di studio della politica.
Metodi di ricerca empirica
Un primo metodo di ricerca del potere (molto semplice) è quello posizionale che consiste
nell’identificare le persone più potenti in coloro che hanno una posizione di vertice nelle gerarchie
pubbliche e private più importanti. Tuttavia non è detto che il potere effettivo corrisponda alla
posizione occupata formalmente, infatti accanto a strutture formali ve ne sono altre informali, e
quindi il metodo è impreciso, ma può essere usato per accertare le sovrapposizioni tra gli
occupanti le cariche più elevate in diverse organizzazioni. Un altro metodo di ricerca è quello
reputazionale, che si fonda sul giudizio di alcuni membri della comunità studiata, considerati buoni
conoscitori della vita politica di essa (ci si affida alle reputazione espressa da un certo numero di
giudici considerati affidabili). La maggiore critica a questo metodo è che esso non accerta il potere
effettivo ma quello reputato ( e spesso i due non corrispondono).
Un terzo metodo è quello decisionale che si basa sull’osservazione di comportamenti effettivi che
si manifestano nel processo decisionale pubblico; ovviamente è un metodo meno semplice ed
economico dei precedenti e quindi viene impiegato solo per alcuni settori decisionali chiave. Ciò
viene criticato, perché si pensa che lo studio di solo pochi settori decisionali non sia esaustivo,
inoltre il processo decisionale pubblico è la sede non di tutto il potere ma solo di una parte, infatti
ci sono altre esercitazioni del potere invisibili nel processo decisionale (e sono importanti i
contesti). Infatti la delimitazione del processo decisionale poggia su altri centri di potere come
quello economico, religioso ecc che condizionano il governo locale. Dunque nessuno dei tre
metodi riesce ad accertare la distribuzione effettiva del potere nella comunità, per questo nella
ricerca del potere vanno utilizzate simultaneamente più tecniche.
Capitolo 3- Violenza
Premessa
Fino a pochi anni fa la violenza era un tema molto poco trattato da politologi e sociologi, questo
probabilmente perché la parola designa un fatto terribile, feroce che colpisce l’incolumità fisica
dell’uomo; da qui la tendenza a evitarla e nasconderla. Per il potere è differente, perché non esiste
solo quello coercitivo, e per questo spiegarlo può contribuire ad esorcizzarlo. Il tabù sociale
riguardante la violenza svolge una funzione di difesa dello status quo e sta alla base del
“pregiudizio conservatore”. Se si eccettua quella legittima dello stato (forza), la violenza è vista
come il massimo male perché distrugge l’ordine e da ciò scaturisce la condanna per qualsiasi tipo
di violenza. D’altra parte vi è la minimizzazione del ruolo della violenza, vista come qualcosa di
estraneo alla società politica, e anche la violenza legittima dello stato interviene solo in via
eccezionale. questa visione rafforza l’orrore di fronte agli episodi di violenza effettiva.
A quello conservatore si contrappone il “pregiudizio del ribelle” formato di due atteggiamenti
dominanti che sono l’esatto rovesciamento di quello conservatore: la condanna alla violenza si
rovescia in esaltazione e l’affermazione della sua marginalità si trasforma in affermazione della sua
onnipresenza. La violenza è infatti vista positivamente come qualcosa che rompe la catena dello
sfruttamento sociale che forgia una nuova coscienza per gli uomini strumento principe che crea
un ordine nuovo. La violenza è vista come qualcosa che sta alla base della struttura della società,
nel suo senso molto allargato, spesso anche a fenomeni di potere visione di società
velatamente violenta che rafforza la convinzione della doverosità del ricorso ad una ribellione
violenta come mezzo per abbattere lo sfruttamento della classe dominante.
Per superare questi due pregiudizi occorre esaminare in modo distaccato il fenomeno: ovviamente
l’intervento fisico non è l’unico mezzo di sopraffazione ma questo non deve indurre a chiamare
violenza ogni mezzo di sopraffazione.
Che cos’è la violenza?
È l’intervento fisico volontario e che ha scopo di distruggere, offendere e coartare di un individuo
o un gruppo contro un altro individuo o gruppo, anche se stesso. Di solito la violenza è contro la
volontà di chi la subisce (eccezioni come suicidio). Può essere diretta (quando colpisce
immediatamente chi la subisce) o indiretta (quando opera attraverso un’alterazione dell’ambiente
fisico in cui la vittima si trova o distruggendo risorse materiali). Il risultato è una modificazione
dannosa dello stato fisico dell’individuo o gruppo bersagliato. Le più note distinzioni fatte tra
violenza e forza si fondano su giudizi di valore: si carica positivamente la forza perché considerata
lecita, mentre la violenza è considerata illecita oppure si carica positivamente la violenza
considerata strumento di ribellione mentre la forza è considerata strumento di dominio
autoritario. Questi aspetti però sono legittimi in un discorso prescrittivo, non scientifico.
Ovviamente il politologo distinguerà tra interventi fisici ritenuti legittimi o meno ma rispetto ad un
giudizio di valore non proprio, ma appartenente al contesto che sta studiando. Stoppino giunge
alla conclusione che convenga impiegare violenza e forza come sinonimi e distinguere piuttosto tra
la violenza o forza creduta legittima e quella creduta illegittima.
Violenza e potere
Sono diversi: il potere cambia la volontà dell’altro, la violenza lo stato del corpo o delle sue
possibilità ambientali e strumentali. Tuttavia gli interventi fisici possono essere usati come mezzi
per esercitare potere, ma di per se l’intervento fisico è violenza e non potere. La distinzione è
importante anche sotto il profilo dei risultati: col potere posso ottenere qualsiasi condotta tanto
un’omissione quanto un’azione, o portare qualcuno a credere o non credere. Con la violenza
posso ottenere solo un’omissione, immobilizzando o recludendo la vittima. Per quanto riguarda il
potere coercitivo è importante distinguere tra violenza in atto e minaccia di violenza: nei rapporti
di potere coercitivo la violenza interviene quando la minaccia non ha raggiunto il suo scopo, e
perciò sanziona il fallimento del potere. Molti usano il termine violenza anche per descrivere
rapporti di manipolazione, coercitivi e di potere costrittivo basato su sanzioni diverse dalla forza
(danno economico, morale, ecc.). Tuttavia l’uso indiscriminato del termine può creare confusione
ed è quindi più opportuno chiamare con il proprio nome questi tre tipi di potere. Per quanto
riguarda il potere coercitivo, l’uso della violenza come punizione mentre mostra l’inefficacia della
minaccia può nello stesso tempo accrescerla per il futuro, infatti l’efficacia della minaccia dipende
molto dalla sua credibilità, e nulla accresce più la credibilità del fatto che il minacciante abbia
messo effettivamente in pratica la punizione in precedenza questo effetto dimostrativo della
violenza è cosi importante che vi si ricorre anche al di fuori del caso della punizione, in particolare
con dimostrazioni di forza (irrogazione immediata di una razione moderata della violenza
minacciata). Altre volte la dimostrazione di forza non si collega con una minaccia in particolare ma
ha lo scopo più generale di instaurare il controllo coercitivo in una data situazione violenza
come avvertimento generale che tende a rafforzare tutte le possibili minacce future.
Violenza e potere politico
In politica la violenza ha un ruolo cruciale, una delle definizioni più diffuse del potere (Weber)
punta proprio sul monopolio della violenza legittima. Questa importanza deriva da un lato
dall’efficacia generale delle sanzioni fisiche, dall’altro da quello che è lo scopo minimo di ogni
governo: il deterrente della violenza è indispensabile per conseguire uno degli scopi minimi del
governo, cioè il mantenimento delle condizioni esterne che salvaguardano la coesistenza pacifica.
Tale coesistenza può riguardare solo una parte della popolazione e non si tratta dell’unico scopo
del governo ma è preliminare a ogni altro fine; mantenere le condizioni esterne di coesistenza
pacifica significa evitare azioni violente contro la comunità e per questo scopo è necessaria la
minaccia delle violenza dello stato e la sua irrogazione pronta nei casi di diobbidienza. Si può
parlare di monopolio della violenza solo nelle comunità politiche pienamente sviluppate, e in ogni
caso tale monopolio non è mai assoluto. Negli stati contemporanei lo stato usa con continuità la
violenza attraverso uno o più apparati specializzati (polizia, esercito) che dispongono degli uomini
e dei mezzi necessari per usarla.
Ma in alcune società politiche ci sono anche altri usi della violenza che non fanno capo al potere
politico: gli usi illegittimi (rapine, aggressioni) ma anche legittimi come la violenza più o meno
limitata che il padre può usare con il figlio, quella di legittima difesa, ecc. Agli usi illegittimi di
violenza il governo ne contrappone di legittimi e inoltre tende a regolare quelli legittimi. Bisogna
ricordare che la violenza non è il fondamento del potere politico, infatti è sempre necessario il
consenso, poiché la legittimità della violenza del governo corrisponde a una credenza condivisa da
almeno una parte dei governati. Il consenso a sua volta si basa in parte sul conseguimento dei
propri interessi, in parte su la condivisione di determinati valori, in parte su atteggiamenti affettivi.
Quindi la violenza può avere più o meno efficacia: è più efficace nei governi che la impiegano non
solo per punire ma anche per seminare terrore mentre la prima genera un terrore razionale, il
terrore colpisce a caso comportamenti non prefissati come furia selvaggia generando una paura
irrazionale e perenne che impedisce qualsiasi calcolo l’unico modo per sentirsi sicuri è non
accennare nemmeno a qualsiasi tipo di opposizione. Ed è proprio la funzione del terrore quella di
inibire l’opposizione potenziale contro la trasformazione totale della società: regimi che ricorrono
alla violenza terroristica sono stati rintracciati nell’Africa precoloniale (dispotismi terroristici). Nei
regimi che usano la violenza terroristica, soprattutto combinata con un sistema di incentivi che
stimola la competizione, si ottiene anche maggior adesione al regime dei membri più passivi (nei
casi più estremi o diventi vittima o carnefice).
Il governo usa la violenza non solo all’interno ma soprattutto all’esterno, nei confrotni di altre
comunità politiche. Il carattere distintivo dei rapporti tra stati è che essi si verificano in un contesto
che rende normale l’alternanza guerra/pace e dove perciò è data per scontata la possibilità di
ricorso a violenza per risolvere le controversie.
Sulle cause della violenza politica
La violenza ha importanti funzioni anche nei rapporti tra gruppi interni ad un sistema politico, in
particolare nell’azione di un gruppo ribelle e nella salvaguardia o cambiamento dello status quo.
Sono state proposte varie risposte sulle cause che determinano l’insorgere della violenza. Due
sono le più significative:
La prima punta a interpretare la violenza ribelle ed è stata formalizzata da Ted Gurr che fa
capo al concetto di privazione relativa la violenza politica ribelle ha la sua matrice nella
percezione da parte dei membri di un gruppo che esiste un grave divario tra le loro
aspettative e la situazione reale (per ciò che riguarda i valori e le condizioni di vita). La
privazione consiste proprio nel divario tra ciò che il soggetto ritiene di aver diritto di
ottenere e ciò che può ottenere. Ovviamente la situazione si può creare sia per un
innalzamento delle aspettative, sia per un deterioramento della situazione. Seconda questa
teoria tanto più la percezione vera o falsa che sia è intensa e diffusa nel gruppo, tanto più i
membri di esso saranno disposti a ricorrere a violenza collettiva contro altri o il regime
vigente. L’ipotesi, per quanto plausibile, va incontro a due limiti importanti: spiega solo la
violenza ribelle e individua solo una matrice potenziale di violenza, non una condizione
sufficiente dell’insorgenza effettiva di violenza (non è detto che lo scontento sfoci in
violenza aperta).
La seconda punta ad interpretare tutti i fenomeni di violenza politica ed è stata elaborata
da Charles Tilly, riconduce la violenza politica a determinati aspetti ricorrenti nella prassi
della lotta per il potere in ogni sistema politico la pluralità di gruppi è impegnata nella
lotta per il potere e per le risorse sociali. Tra questi gruppi alcuni sono membri del regime
politico vigente e hanno capacità di influire sul governo: la posizione di questi gruppi è
difesa da apparati come polizia ed esercito. Lo scopo principale dei gruppi che non fanno
invece parte del regime politico è di cercare di forzare le barriere per entrare a farne parte:
è proprio intorno alle linee di confine che tendono a disporsi in prevalenza i fenomeni di
violenza politica. In questa prospettiva i conflitti violenti non sono altro che una modalità
specifica nella lotta al potere. Dal punto di vista politologico questa interpretazione è la più
pertinente in primo luogo perché è in grado di dare pienamente conto delle componenti
cognitive che sembrano costituire il fattore soggettivo della violenza politica (ovvero la
percezione da parte di un gruppo che la situazione di potere può essere modificata in
meglio con il ricorso alla violenza); in secondo luogo questa interpretazione spiega in modo
efficace il ruolo che spesso assumono gli apparati di polizia e esercito e quindi è in grado di
fornire una visione d’insieme più completa della violenza. Infatti è importante guardare la
violenza non solo come ribellione ma anche come resistenza al cambiamento.
Alcune funzioni politiche della violenza
Si possono distinguere a seconda che riguardino i gruppi che sono oggetto della violenza, i gruppi
esterni che non sono ne oggetto ne soggetto ma costituiscono l’ambiente, i gruppi che ricorrono
alla violenza.
1-Funzioni e scopi della violenza in relazione al gruppo antagonistico. Da questo punto di vista lo
scopo più diretto dell’impiego della violenza è di distruggere gli avversari politici (guerre di
sterminio, genocidi, tutte le forme di reclusione). Anche l’assassinio politico può avere questa
funzione nei casi nei quali l’autorità del gruppo è concentrata nelle mani di un leader che ha
potere grazie alle sue doti personali. Molto più comune è l’uso della violenza non per distruggere
gli avversari politici ma per piegarne la volontà. Un caso particolare è la tortura, dove la violenza è
monopolizzata da una sola delle parti. Più importanti sono invece i casi in cui la violenza è presente
da entrambi i lati della relazione (rapporti di aggressione e contro aggressione). Anche nelle
guerre, salvo quelle di sterminio i belligeranti impiegano la violenza non per la distruzione totale
del nemico ma per imporgli le proprie condizioni: di qui l’interesse da entrambe le parti di
mantenere canali di comunicazione durante il conflitto. La stessa funzione di vincere la resistenza
dell’avversario ha la violenza durante le rivoluzioni; idem per le azioni terroristiche o la ribellione
di un gruppo all’interno del sistema politico dove l’obbiettivo è minare la coesione del gruppo
avversario e imporgli delle condizioni. È importante ricordare che gli atti violenti hanno
conseguenze anche sull’ambiente esterno, sui gruppi non coinvolti. Un primo effetto consiste
nell’attivazione dell’attenzione infatti la violenza richiama attenzione pubblicizzando il
risentimento: da ciò i metodi di violenza spettacolari. Una seconda funzione della violenza di un
gruppo ribelle è di carattere simbolico: il ricorso alla violenza esprime la gravità di una situazione
di ingiustizia e la legittimità delle rivendicazioni di un gruppo ribelle gli uomini che in questo
senso infrangono la legge si fanno legislatori nel nome della giustizia (ovviamente per essere
simbolica la violenza deve essere rara e colpire solo chi detiene il potere). Un altro metodo in
situazioni in cui non c’è possibilità di azione operante, per affermare la legittimità delle proprie
azioni è il suicidio. Va inoltre notato che questo tipo di violenza contesta la legittimità dei privilegi
del gruppo antagonistico: per questo spesso lo scopo è provocare la reazione dell’avversario è
strappargli una maschera di ipocrisia. Tuttavia lo scopo principale della violenza rivoluzionaria nei
gruppi esterni è conquistarne il sostegno. bisogna fare però due osservazioni: la violenza
potrebbe allontanare chi era favorevole allo scopo perché contrario alla violenza e potrebbe anche
trasformare l’indifferenza in opposizione attiva. L’uso continuo della violenza può anche mirare a
erodere il sostegno ad un altro gruppo, soprattutto quando questo detiene il potere). In questo
ambito anche gli atti terroristici possono avere una funzione: questo avviene quando si inseriscono
in una strategia più complessa che comporta la divisione tra una frazione ragionevole e una
appunto irragionevole la violenza cieca degli estremisti può accrescere il potere contrattuale
dei moderati, ma in alcune circostanze può farlo anche scemare. Possiamo dire in conclusione che
la violenza non può determinare la direzione che prenderà il sostegno di un gruppo (spesso infatti
la violenza porta sostegno al gruppo aggredito.
Infine nei riguardi dello stesso gruppo che vi ricorre la violenza ha inizialmente la funzione di
favorire la formazione della coscienza del gruppo e di stabilire l’identità e i confini del gruppo
stesso; la violenza separa inoltre il gruppo dal resto della comunità e la contrappone al gruppo
antagonista, individuando il nemico. Sorel sosteneva che soltanto il conflitto violento contro la
borghesia poteva salvaguardare i caratteri distintivi del proletariato. Più la pratica della violenza
diventa dominante in un gruppo, più è probabile che l’ingresso nel gruppo rivoluzionario comporti
per ogni candidato il compimento di un atto irreversibile che rompe i ponti con la società.
All’interno di un gruppo costituito la violenza collettiva tende ad accentuare la centralizzazione e a
cementare l’unione tra i membri, anche se dall’altra parte la conduzione di un conflitto esige una
differenziazione e subordinazione di compiti e ruoli. Tuttavia maggiore è la coesione precedente al
conflitto, maggiore è la sua successiva intensificazione, mentre l’aumento della centralizzazione è
contenuto; minore è la coesione precedente più è probabile che il gruppo si disgreghi o che il
gruppo specialmente se grande, si centralizzi a volte prendendo struttura autoritaria. Incidono
anche la solidarietà interna (es Francia e GB nella seconda gm), e le dimensioni del gruppo (minori
sono più c’è coesione, perché si avverte maggiore pericolo, tuttavia questo senso di fratellanza è
solo transitorio).
Si può anche parlare del dirottamento delle ostilità contro i capi politici, o tra diverse componenti
della comunità, mediante l’attacco contro un nemico esterno o capro espiatorio. Questa condotta
può consistere in xenofobia e talora anche guerra; allo stesso modo in presenza di una disfatta, la
compattezza del gruppo può essere preservata dirigendo l’aggressività contro un presunto
traditore interno. Esempio cruento è l’olocausto i nazisti dirottarono contro gli ebrei parte delle
ostilità contro l’immoralità della città e lo sbriciolamento dei codici tradizionali. Inoltre gli ebrei
erano considerati il popolo deicida e prendersela con loro aiutava i tedeschi che si sentivano in
colpa per le cose antireligiose e antimorali che avevano commesso nella miseria post bellica.
Capitolo 4- Autorità
Le proprietà dell'autorità sono:
• Potere stabilizzato → La prima proprietà dell'autorità è la stabilità (l'autorità è una specie del
genere potere). L'autorità è un potere stabile, continuativo nel tempo e al quale i sottoposti
prestano entro certi limiti, una obbedienza incondizionata.
• Obbedienza incondizionata →essa non significa che il soggetto passivo annulli le sue capacità di
critica, si può obbedire in modo incondizionato anche se si è critici. Il fenomeno dell'autorità sta
alla base di qualsiasi tipo di organizzazione, compreso il sistema politico.
• Credenza nella legittimità → è l'elemento peculiare che rende l'autorità tale. La credenza nella
legittimità è un giudizio di valore positivo nei confronti della fonte del potere (colui o coloro da cui
viene il comando). (es. io ho un genitore e accetto la sua legittima fonte del potere, non per una
convenienza qualsiasi, ma perché era giusto così). Si forma quindi la credenza che chi ha l'autorità
ha il diritto di comandare e i sottoposti hanno il dovere di obbedire.
L'autorità come potere stabilizzato
Il concetto di autorità è quasi sempre messo in rapporto con quello di potere. La tesi più rilevante
è che l'autorità è considerata una specie del genere potere. Le caratteristiche dell'autorità sono:
• il soggetto passivo del rapporto di potere adotta come criterio del proprio comportamento il
comando o la direttiva del soggetto attivo senza valutare il contenuto.
• Secondo Lewis, il principio di autorità consiste nell'adottare la credenza di altri senza riguardo
alle particolari ragioni sulle quali tale credenza possa basarsi.
• Secondo Easton, vi è autorità se A manda un messaggio a B e B adotta questo messaggio come
base del proprio comportamento senza valutarlo. Se ne può dedurre che vi è autorità quando si
obbedisce al comando indipendentemente da qualsiasi
valutazione del suo contenuto.
Si ha autorità quando il soggetto passivo del rapporto non chiede le ragioni del messaggio e
quando obbedisce indipendentemente dal suo giudizio di valore. Per questo motivo l’autorità è
distinta dalla persuasione.
L'autorità è un rapporto di potere stabilizzato o istituzionalizzato nel quale i sottoposti prestano
un'obbedienza incondizionata. Il potere diventa autorità ogni volta che “B” è disposto a tenere il
comportamento voluto da “A” indipendentemente da una sua valutazione del contenuto della
direttiva.
Amitai Etzoni distingue il potere in:
– potere coercitivo → basato sulla minaccia o sull'applicazione di sanzioni fisiche – potere
remunerativo →basato sul controllo delle risorse materiali – potere normativo →basato
sull'allocazione dei premi e delle privazioni simboliche.
Gli orientamenti dei sottoposti verso il potere sono:
– alienato →intensamente negativo – calcolatore →negativo o positivo di
intensità moderata – morale →intensamente positivo
Combinandoli insieme Etzoni trova tre casi congruenti di autorità e altri casi
incongruenti o misti . I casi congruenti di autorità sono:
• potere coercitivo + orientamento alienato →autorità e organizzazioni coercitive
• potere remunerativo + orientamento calcolatore →autorità e organizzazioni utilitarie • potere
normativo + orientamento morale →autorità e organizzazioni normative
Coleman, invece, distingue tra sistemi di autorità congiunti e disgiunti:
– sistemi di autorità congiunti →i sottoposti si aspettano dei benefici intrinseci dal suo
esercizio – sistemi di autorità disgiunti →sottoposti accettano l'autorità per ottenere vantaggi
estrinseci (es. salario). Coleman distingue anche tra sistemi di autorità semplici e complessi:
– sistemi di autorità semplici → l'autorità è esercitata dal suo detentore. – sistemi di autorità
complessi → l'autorità è esercitata da agenti delegati dal detentore.
L'autorità è quindi definita come un potere stabilizzato, continuativo nel tempo, ai quali i
sottoposti presentano un'obbedienza incondizionata.
Recentemente, il politologo Eckstein, ha identificato la politica nelle strutture di autorità ( insieme
di relazioni asimmetriche tra membri di un'unità sociale ordinati gerarchicamente che ha per
oggetto la guida dell'unità sociale stessa). Ogni autorità stabilizzata si è formata in un determinato
lasso di tempo, sorgendo da principio come un'autorità emergente e diventando via via sempre
più solida. Di conseguenza, ci sono spesso aspri conflitti tra autorità emergente e autorità
stabilizzata.
Autorità come potere legittimo
La più comune definizione di autorità, dato che la prima è troppo larga, prevede che soltanto il
potere stabilizzato in cui la disposizione a obbedire in modo incondizionato è basata sopra la
credenza nella legittimità del potere, sia autorità potere legittimo, che presuppone un giudizio
di valore positivo da parte degli individui che partecipano alla relazione, nei confronti del potere.
La valutazione positiva può riguardare diversi aspetti del potere: il contenuto del comando, la
fonte dalla quale esso proviene, il giudizio di valore che fonda la credenza nella legittimità. Si
forma quindi la convinzione che può essere o meno formalizzata in un ordinamento scritto, che chi
comanda ha il diritto di farlo e chi obbedisce ha il dovere di farlo. Queste convinzioni possono
ancorarsi alla tipica doverosità della sfera etica ma anche ad una semplice opportunità pratica che
riguarda un’autorità con una particolare competenza. Weber ha distinto tra legittimità
tradizionale, carismatica e legale-razionale, ma noi ne potremmo aggiungere una terza che si basa
sulla credenza nella capacità di un certo gruppo di trasformare il corpo sociale nel futuro.
Guglielmo Ferrero distinse invece tra 4 principi di legittimità: principio democratico, elettivo,
aristocratico-monarchico, ereditario si dividono in due coppie solitamente; tuttavia la
democrazia diretta rifiuta l’elettività e talvolta il principio aristocratico-monarchico può accordarsi
a quello elettivo (es Papa).
Carlo Friedrich divide invece tra: legittimità religiosa, legittimità giuridica o filosofica, legittimità
tradizionale, legittimità procedurale o pragmatica (basata su rendimento e successo). Il fatto che
l’autorità abbia la legittimità come fonte, equivale a sottolineare che l’autorità è un rapporto
stabilizzato, che non si esaurisce in unico esercizio di potere, ma che ha continuità: una volta
accettata l’autorità di A, B tende ad adottare come criteri del proprio comportamento tutti i
messaggi che gli provengono da A, entro la sfera di attività, più o meno ampia, entro alla quale
l’autorità si esaurisce. Tuttavia per quanto il periodo di tempo per cui l’autorità è affermata possa
essere lungo, non è mai illimitato, ed è quindi necessario di tanto in tanto riaffermare quella
qualità della fonte del potere alla quale è attribuito il valore che fonda la legittimità (Weber parla
di prova del carisma) prova d’autorità, essenziale nel dinamismo di essa.
L’autorità come fonte del potere
Carl Friedrich vede nell’autorità non una specie ma una fonte di potere: infatti egli ritiene che
l’autorità sia la capacità di un uomo di trasmetter ad altri comunicazioni suscettibili di una
elaborazione ragionata (in termini di credenze e valori condivisi). Stoppino ritiene che dal punto di
vista empirico non ci possa limitare rigorosamente ad una semplice qualità di comunicazione
infatti la suscettibilità di una elaborazione ragionata deve essere attribuita alla capacità di chi
trasmette la comunicazione e soprattutto il riconoscimento che di tale capacità fanno i destinatari
della comunicazione stessa. Pertanto Friedrich semplicemente individua un particolare tipo di
rapporto di autorità che ha grande rilievo nel capo del potere sulle opinioni fattore razionale
dell’autorità.
Efficacia e stabilità dell’autorità
Si può definire un rapporto “puro” di autorità, un rapporto di comando e obbedienza fondato
esclusivamente sulla credenza nella legittimità molto raro, esiste di solito in certe relazioni
fondate su una particolare competenza. Di regola però la credenza nella legittimità, non è l’unico
fondamento del potere, ma soltanto una delle sue basi (vi è anche la possibilità di essere puniti o
premiati, la costrizione ecc.). Si tratterà allora di rapporti di potere che assumono soltanto in parte
e in diversa misura la forma dei rapporti di autorità. L’importanza peculiare della credenza nella
legittimità, consiste nel fatto che essa tende a conferire al potere efficacia e stabilità. Sia dal lato
dell’obbedienza ma anche del comando: il venir meno della fede di chi ritiene che il proprio potere
sia legittimo prelude al crollo di tale potere perché vengono meno alcuni caratteri come la
convinzione, che contribuiscono alla sua efficacia. Inoltre la credenza nella legittimità a un effetto
rilevante sulla coesione tra gli individui che detengono il potere più fede nella sua legittimità,
meno scontri interni, governi più efficaci e stabili. Dal lato dell’obbedienza, nel grado in cui essa si
converte in un senso di dovere, la relazione di potere assume più efficacia e i comandi vengono
eseguiti senza ricorso ad altri mezzi. Tuttavia la credenza nella legittimità non sempre implica
un’effettiva obbedienza: posso pensare che mio padre abbia un potere legittimo su di me ma non
obbedirgli lo stesso la legittimità, per diventare autorità, richiede un’accettazione pratica.
Quanto più è diffusa la credenza nella legittimità del potere, tanto maggiore tenderà ad essere la
disposizione ad obbedire, anche perché quando un potere è largamente ritenuto legittimo, chi non
si conforma può essere soggetto a varie pressioni (si pensi agli atei che si sposano in chiesa).
Ambiguità dell’autorità: quando genera violenza e la falsa autorità
Tra la credenza nella legittimità e altre basi del potere, possono intercorrere rapporti significativi,
che alterano la portata autonoma di tale credenza, conferendo all’autorità un carattere di
peculiarità. Vi sono due tipi di credenze diverse: che la legittimità derivi dall’effettività del potere e
che l’effettività del potere derivi dalla legittimità. Questa contrapposizione può essere ricondotta
ad una più generica sui rapporti sociali: l’una che ne vede il fondamento nei fattori materiali, l’altra
in quelli ideali. La scienza politica rifiuta entrambe le concezioni, in quanto esse sono riduzionismi
assoluti spesso le relazioni di potere sono fondate su entrambi i fattori. Quindi la credenza nella
legittimità è una delle basi del potere ed è una base reale, nel senso che non è sempre una pura
conseguenza dell’effettività del potere. Per esempio la violenza può essere una conseguenza della
credenza nella legittimità, e in questo caso è ritenuta positiva e chi la ritiene legittima collabora
positivamente o meno al suo impiego. Possiamo vedere anche storicamente questa relazione tra
legittimità e violenza, negli stermini in Germania e Russia per esempio. Il secondo tipo di nesso
riguarda invece la violenza che genera la credenza nella legittimità (es figlio che dipende
economicamente e dalla forza del padre).
Cosa è la falsa autorità? Può essere sia l’inganno nei confronti di altri (la falsa manifestazione di
una credenza), ma anche l’auto-inganno la falsa coscienza, che è il nucleo centrale del concetto
marxista di ideologia. Poiché la credenza nella legittimità riguarda il fondamento del potere, il suo
carattere ideologico consiste nel fatto che il principio di legittimità nasconde la vera base del
potere. Tale formazione mentale corrisponde al bisogno sociale che gli uomini hanno di
comandare e sentirsi comandati non solo alla forza materiale o economica, ma anche in base a
principi morali uno schiavo assoggettato al padrone si convince che sia giusto così, anche per
evitare ostilità e sentimento di odio. È importante sottolineare che il concetto di ideologia vieni qui
usato in senso avalutativo, come un carattere empiricamente rilevabile della funzione motivante
delle credenze che interpretano e giustificano il potere. Indicatori del carattere ideologico della
credenza nella legittimità di un certo potere, possono essere l’impiego o la minaccia della forza
oppure la preponderanza stabile quanto a forza o strumenti materiali in favore dei detentori di
potere, anche se non messi in atto. Accertare se e in quale grado la credenza nella legittimità del
potere ideologico è molto importante: se il grado è alto si parla di falsa autorità, che quindi porta
anche ad una minore stabilità del potere che viene a cadere appena cessa di esistere la
preponderanza della forza.
Le ambiguità dell’autorità: l’autorità apparente e l’autoritarismo
Può accadere che la credenza nella legittimità sia presente solo da un lato della relazione di
potere.
Cominciamo dal caso in cui il potere è riconosciuto legittimo soltanto da chi vi è sottoposto: in
questo caso continua a sussistere una forma di autorità, seppur attenuata, infatti c’è più autorità
se è chi obbedisce a credere alla legittimità rispetto che se fosse chi comanda la legittimità è il
fondamento del rapporto e A, se vuole mantenere il potere su questa base deve solo mostrare di
credere in essa tuttavia l’efficacia e la stabilità del potere sono indebolite.
Caso in cui il titolar del potere creduto legittimo non detiene del potere effettivo su questo caso
ha studiato Lasswell che considera l’autorità potere formale e non per forza effettivo. comandi che
vengono obbediti incondizionatamente, provengono formalmente dal titolare del potere creduto
legittimo, ma in realtà i comandi sono imputabili a centri di volontà che si mantengono nell'ombra.
Vi è autorità apparente quando il titolare di una certa autorità non ha il potere che in apparenza
esercita nel rapporto di autorità. Infatti, le relazioni di autorità possono essere circondate da altre
relazioni di potere e il titolare dell'autorità può essere condizionato da altri rapporti di potere.
Consideriamo infine il caso in cui la credenza nella legittimità del potere è presente solo nel lato
del comando: non è autorità, perché l’obbedienza che segue non è fondata su legittimità
autoritarismo, le decisioni sono prese dall’alto senza il consenso dei subordinati: la situazione si
accentua se il detentore ricorre alla forza o altri mezzi di potere per ottenere obbedienza. La
caduta della credenza nella legittimità può verificarsi sia perché i sottoposti non credono più che la
fonte di potere abbia le qualità che prima gli attribuivano, sia perché i subordinati abbandonano il
vecchio principio di legittimità, abbracciandone uno nuovo (es. studenti nel ’68 con la scuola, figli
con i genitori durante l’adolescenza, processi di indipendenza di vari stati).
Valori
A attore
R risorse (mezzo)
C Conformità
(mezzo) v (fine)
Ma qual è l’elemento chiave che rende instabili i valori, sia in termini di vantaggi, sia in termini di
integrità fisica? È la conformità dell’altro o degli altri attori, perché essa sarà indebolita o ritirata
nell’interrotto processo di contrattazione e conflitto. Se supponiamo che un attore non abbia
bisogno della conformità altrui per conseguire i propri valori, avremo allora un’azione economica
robinsoniana, dove la razionalità risiede nel miglior utilizzo delle risorse scarse per il
conseguimento di valori alternativi. In questo caso quanto egli può ottenere in termini di vantaggi,
impiegando la propria energia e i propri strumenti è per lui prevedibile e relativamente certo
prevedibilità dei fini che deriva dal fatto che è l’attore stesso a controllare i mezzi.
Tuttavia è questa (non quella robinsoniana, ma quella precedente) condizione costitutiva dello
stato permanente e grave di incertezza e insicurezza a formare l’oggetto dell’azione politica
l’esigenza fondamentale diventa fermare la conformità degli attori, stabilizzarla, ed è questo lo
scopo dell’azione politica, essa spezza l’esercizio di potere che da A attraverso R e C arriva fino a V,
e si ferma in C. Vi è perciò una duplicazione della strategia razionale dell’attore, da una parte lo
schema rimane quello che culmina nei valori, dall’altra però questi valori possono essere
stabilizzati e resi sicuri se la conformità viene garantita in quanto tale. In tal modo la conformità da
mezzo diventa fine, ed è il fine dell’azione politica conformità stabilizzata (nel tempo) e
generalizzata (tra tutti gli attori). Conformità e potere altro non sono che due facce della stessa
medaglia e quindi possiamo chiamare lo scopo dell’azione politica conformità garantita o potere
garantito. La duplicazione dell’azione dell’attore di cui parlavamo prima si ha tra azione politica x e
azione sociale y. Questo significa che la ricerca di conformità garantita stabilizza il potere e per
questa via stabilizza i valori finali che l’attore può ricavare dalla conformità degli altri; ovviamente
in ultima analisi il fine sono comunque i valori. Possiamo dire che l’azione x è un investimento di
potere mentre l’azione y è fruizione di potere per ottenere valori finali. Quando la conformità
fruita corrisponde con l’autorità la forma del conseguimento di valori finali passa dolo attraverso le
conformità dell’altro attore, senza un impiego di risorse; questo perché all’autorità coloro che
prestano obbedienza obbediscono in modo incondizionato, senza bisogno di altri mezzi (lo schema
diventa ACV).
L’azione politica: illustrazioni
Nella politica naturale il quantum di conformità garantita di un attore dipende dalla sua posizione
nella bilancia della forza strategica della risorse sociali, dal suo stock di risorse. Chiamiamo potenza
la capacità complessiva di offesa e di difesa, di remunerazione e costrizione dello stock di risorse
che sono a disposizione degli altri attori e dunque in politica naturale la ricerca di conformità
garantita è ricerca di potenza (avviene nelle relazioni interstatali).
Nella politica monetaria per un attore la conformità degli altri è garantita da un attore terzo dotato
di autorità politica. Tale garanzia ha la forma di una garanzia-diritto costituita di titoli che
permettono all’attore di far ricorso all’autorità garante. In questa situazione ricercare la
conformità garantita significa usare le proprie risorse per ottenere diritti e posizioni di autorità
ricerca di diritti e posizioni di autorità.
Stoppino prende in considerazione 5 tipi di azione politica: quella in un’arena politica naturale di
un attore, quella anch’essa naturale di un detentore di dominio naturale (es signore feudale),
quella in una politica monetaria di lotta per il potere tra leader partitici, quella dei gruppi dirigenti
e di pressione ma non politici (chiesa, sindacati…) e infine quella degli attori che non sono
impegnati nella lotta politica e non sono né classe politica né classe dirigente ma solo membri della
partecipazione politica. Tutte queste azioni politiche, se analizzate, si risolvono in una ricerca alla
conformità garantita:
1-Corsa alla potenza: competizione per la potenza tra i vari stati. Infatti i rapporti tra stati sono
prevalentemente di contrattazione e conflitto. Negli stati premoderni possiamo dire che chi aveva
più terra aveva anche più potenza; e poi la corsa all’oro, alle materie prime, all’imperialismo
tutte queste cose sono finalizzate al mantenimento o ingrandimento del proprio rango di potenza,
cioè la capacità stabilizzata di ottenere la collaborazione di altri governi.
2-La difesa del dominio: l’azione politica del dominante sta nella ricerca del mantenimento del
proprio rango di potenza, cioè nella difesa del monopolio della risorsa chiave (risorse sociali nei
confronti dei servi) che si traduce anche in una lotta di difesa della propria potenza verso l’esterno,
dagli altri signori feudali.
3-La lotta per il potere: la lotta tra i partiti è per conquistare e mantenere il potere politico, ovvero
i ruoli di governo, ovvero posizioni di autorità politica nei confronti delle quali la maggior parte dei
consociati avranno atteggiamento di conformità
4/5-Pressione sul potere e partecipazione politica: la pressione non ricerca il potere politico, bensì
dati contenuto delle decisioni politiche, riguarda il “che cosa”. Queste decisioni politiche, che siano
distributive, redistributive o regolative si traducono in diritti. A ogni diritto corrisponde la capacità
garantita di esercitare un’attività nei confronti della quale , in un’arena politica monetaria sono
schierate disposizioni stabilizzate alla conformità di tutti gli altri attori in gioco, almeno nel senso di
non-interferenza. Con partecipazione politica intendiamo le condotte nelle quali un attore utilizza
le proprie risorse di energia personale, di attivismo e di tempo in favore di una frazione politica o
in modo diretto, per esempio con proteste, per ottenere determinati contenuti di decisioni
politiche, che si traducono in diritti, che si traducono in condizioni di vita dei sudditi, ovvero
conformità garantite. In conclusione, ogni azione politica può essere ricondotta alla ricerca di
conformità garantita.
Produzione politica e arene politiche naturali
Il concetto di produzione politica differisce da quello di investimento di potere, in quanto non è
semplicemente ricerca di conformità garantita per sé, è invece l’incontro di una pluralità di
investimenti di potere, di azioni politiche da parte di attori diversi. Al contrario della produzione
economica, quella di garanzia di conformità politica implica una relazione tra almeno 2 attori.
Ecco i punti principali per una analisi della nozione di produzione politica:
1-La produzione politica è produzione di garanzia di cooperazione sociale: la rete di poteri garantiti
multilaterali per una pluralità di attori in un dato campo sociale, rende possibile per ogni attore la
previsione delle azioni degli altri e le conseguenze delle proprie azioni ciò apre la possibilità di
intraprendere relazioni sociali rilevanti da cui ricavano vantaggi (cooperazione sociale). In questo
senso la produzione politica è produzione di garanzia di cooperazione: questa è la sua funzione
essenziale.
2-La produzione politica opera mediante ordinamenti vincolanti: la produzione politica involge
sempre un salto tra ciò che l’attore cerca e quanto viene messo in atto da essa e quindi richiede
ordinamenti vincolanti, ai quali i singoli attori non possono fuggire. Vi è effettiva produzione
politica solo quando tutti gli attori interessati non sono in grado di mettere in pericolo la
stabilizzazione della conformità di altri. Nelle arene politiche naturali gli ordinamenti vincolanti
sono messi in essere da accordi tra attori che stabilizzano quote rispettive di conformità garantita.
Quando le risorse rilevanti sono concentrate nelle mani di un singolo gli ordinamenti vincolanti
vengono stabiliti da lui. Quando c’è un governo sono stabiliti da decisioni collettive prese dai
governanti. Con collettive si intende che sono valide per tutti gli attori in gioco. La proprietà
collettiva in questo senso permette di chiarire la distinzione dall’ambito economico, in cui la
decisione presa è valida individualmente, non implica qualcosa di valido per gli altri attori.
3-La produzione politica è anche in se stessa distribuzione politica: la produzione politica in quanto
produzione di conformità garantita per una pluralità di attori, implica l’allocazione di una quota di
conformità garantita a ognuno di essi. L’atto di produzione è quindi un atto di distribuzione. Anche
qui vi è differenza con la produzione economica basata su una previsione di distribuzione, ovvero
la vendita, di cui non c’è garanzia (la distribuzione non dipende dalla produzione ma dal successo
nel mercato).
Nelle arene politiche dotate di governo, accanto e prima del processo politico normale, si deve
parlare di un processo politico costituente, nel quale si instaura una data forma di governo. Gli
ordinamenti vincolanti sono il frutto di patti e conflitti tra gli attori politici, conflitti che possono
essere confronti o combattimenti, che non ci sono nelle relazioni economiche dove si risolvono in
scambi o scambi mancati (per questo parliamo di arena e non di mercato). La prima e più
importante distinzione tra le arene è quella tra quelle politiche senza governo e quelle di governo
o monetarie. Nelle arene naturali quando non c’è un monopolio di risorse e quindi c’è una
dispersione di risorse, la decisione collettiva per mezzo della quale si dà produzione politica è un
patto esplicito o implicito (che avvengono anche tra attori con disuguaglianza di risorse). Qualora
ci sia un monopolio delle risorse, l’ordinamento vincolante è frutto di una decisione individuale del
monopolista, questo tipo di arena è chiamato dominio naturale e costituisce in un certo senso
un’antecedente alle arene monetarie. Un esempio di dominio naturale e la servitù della gleba,
dove i contadini hanno come unica risorsa il possesso del proprio organismo: questa risorsa potra
servire come ragione di scambio, soprattutto quando la forza lavoro scarseggia il modo per
essere di meno è abbandonare i bambini. Il signore darà non solo sussistenza ai servi ma anche
protezione esterna, qualcosa che da soli non potrebbero avere.
Arene politiche dotate di governo e istituzioni politiche
Dal punto di vista di ciascun attore sociale la garanzia di conformità risiede in titoli o diritti: la
moneta politica. Le decisioni vincolanti non assumono quindi forma di patti, ma quella di decisioni
prese da un attore, come avviene nel dominio naturale. La differenza è che la capacità del
dominante naturale di prendere decisioni vincolanti risiede nel suo monopolio di risorse, mentre
quella del politico nell’acquisizione e conservazione di titoli e di autorità politica, che sono anche
loro moneta politica. Si chiama funzione politica l’opera di produzione politica dell’attore
specializzato che detiene autorità in un’arena monetaria. Si parla di allocazione quando la
produzione politica opera per mezzo dell’assegnazione diretta gli attori sociali di quote di bene
servizi e di compiti e mansioni (comunismo). Ogni funzione politica è svolta per mezzo di
un’organizzazione, l’istituzione politica. Alla funzione di produzione esterna corrisponde l’esercito,
quella di arbitrato le corti e i tribunali e le forze di polizia sono la traduzione istituzionale della
funzione di giurisdizione, mentre alla funzione regolativa fanno capo governi e parlamenti; il
corrispettivo dell’allocazione dipende dal regime politico. Per far vivere un’istituzione politica non
basta la struttura organizzativa ma serve anche sostegno dall’esterno. Ma qual è la
differenziazione che la vita le funzioni politiche? Ognuna di esse è frutto di una differenziazione in
base alla quale un solo tipo di attore assume questa funzione di produzione politica per l’intero
campo sociale. Nella politica naturale la garanzia di conformità per un attore corrisponderanno
dall’occupato nell’ordine della potenza, e quindi si verifica la lotta alla potenza, perché essa porta
anche a quote maggiori di valori tutelati. Nella politica monetaria vi è invece la ricerca di autorità
politica e ricerca dei diritti. Le due ricerche sono tra loro distinte, ma lo stesso tempo
reciprocamente condizionate, infatti il mantenimento di autorità dipende dalla capacitò di
produrre diritti per gli attori sociali. In quest’arena molti diritti detenuti dagli attori sociali appaiono
sganciati da ogni legame con le risorse che si posseggono o meno (non c’è più legame diretto tra
risorse politiche e risorse sociali di base, la cosa importante non è più ciò che uno possiede ma il
sostegno che ha). Inoltre lo stock di risorse che si trova gestire come politico, deve destinarlo
all’esercizio della funzione politica e non per il proprio fini. Questo avviene perché la somma di
potere in mano al politico non è più una prerogativa naturale, ma dipende dalle sue funzioni
politiche. La disgiunzione inizia già con le monarchie feudali, poi con quelle assolute, e poi si
accentua sempre di più nei regimi liberaldemocratici.
Come nascono e persistono le funzioni e le istituzioni pubbliche e una data forma di governo?
Ci sono due teorie prevalenti: quella contrattualistica e le teorie che sottolineano l’elemento di
comando, ossia il fatto che i governanti costituiscono una minoranza organizzata che domina la
maggioranza (teorie elitistiche). Entrambe sono sbagliate, poiché sono unilaterali: la funzione-
istituzione politica può essere spiegata con il concatenamento oggettivo che collega le idee alla
base delle due teorie. Le situazioni politiche non possono dirsi risultato del progetto e della
volontà di un singolo attore, sono piuttosto risultato, almeno in parte non intenzionale, del
concatenamento che in date condizioni produce vantaggi per diversi attori in gioco. I singoli attori
solitamente perseguono nel periodo che costituisce la durata di una forma di governo, nella
posizione di autorità politica si succederanno diversi gruppi, i quali interpreteranno in maniera più
o meno differente la produzione di dritte per il campo sociale. i propri scopi mediante istituzioni
politiche, come qualcosa di dato, un quadro stabile di autorità e di regole, da cui nessuno può
prescindere e che nessuno può cambiare da solo. D’altra parte, restando stabile la forma di
governo, diversi gruppi sociali si impegnano per premere sui gruppi politici al fine di ottenere o
evitare date decisioni, che modifica certi diritti. processo politico normale. In questo processo
le decisioni politiche di un dato gruppo sono indirizzate in favore di certi gruppi o ceti più che altri,
nell’intento di conseguire il sostegno sufficiente per conquistare posizione nel governo. Anche chi
vota è selettivo e si indirizza verso uno o alcuni gruppi politici, nell’aspettativa di ottenere in tal
modo delle decisioni politiche favorevoli. Quindi l’attore politico prende decisioni vincolanti
orientate, mentre gli attori sociali sollecitano il sostegno selettivo.
Conclusione
Quest’orientamento teorico dell’azione politica sembra essere capace di distinguere in modo
chiaro e di identificare i rapporti tra risorse e poteri sociali da un lato e attività potere politico
dall’altro. Per un verso i poteri sociali attribuiti alle risorse sociali costituiscono il quadro delle
condizioni entro cui si muove le strategie politiche, peraltro l’attività politica retaggi e stabilizza le
diverse attività sociali, garantendone l’uso pacifico continuativo e soddisfacente. L’orientamento
teorico dell’azione politica può essere applicato sia l’arena politica dotata di istituzioni di governo
sia a quelle che non lo sono. In quest’ultima la garanzia del potere di ogni attore proviene dalla
forza strategica comparativa delle sue risorse. Nelle prime invece una garanzia del potere di ogni
singolo attore proviene in special modo della funzione politica esercitata da un’autorità politica
istituzionalizzata che mediante decisioni vincolanti produce e distribuisce diritti. Infine
quest’orientamento teorico non nega l’importanza degli aspetti di reciprocità e di scambio del
potere: in tutti i regimi politici vi è uno scambio politico, più o meno generalizzato e indiretto tra gli
attori sociali che offrono sostegno politico per ottenere determinati contenuti delle decisioni
politiche, cioè diritti.
Struttura politica
Premessa
La distinzione tra processo e struttura politica è analitica e deve essere tracciata in rapporto a ogni
sistema politico inteso come un insieme complesso di comportamenti che hanno rapporti
significativi tra loro comportamenti che costituiscono un processo dinamico. Tuttavia il
processo che coinvolge questi comportamenti si svolge in relazione ai con certi punti di
riferimento stabili: con il fatto del potere politico localizzata organizzato o che vi sono determinati
canali riconosciuti, ecc. questi punti di riferimento costituiscono la struttura politica. Lo studio
del processo politico è lo studio dei dinamismi che si verificano all’interno della struttura, o che la
modificano. Lo studio della struttura politica è lo studio del quadro dei limiti e delle regole
relativamente permanenti, entro cui secondo cui svolge il processo politico. Il potere politico può
essere considerato l’elemento centrale della struttura di un sistema politico e nel contempo non
svolge da solo una funzione chiave per interpretare il processo politico. L’altro limite della portata
esplicativa della nozione di potere riguarda la struttura del sistema politico: ci sono poteri che non
sono propriamente politici ma che influiscono in modo significativo sullo stesso potere politico e
tendono ad essere in ogni arena politica. Per questo la teoria politica deve studiare i fenomeni di
potere nel contesto di comportamenti politico, compresi quei rapporti di potere che poi non
essendo politici sono parte integrante del dominio della politica. Il primo condizionamento è
costituito dal fatto che ogni sistema politico nazionale non è isolato, ma trova posto in un’arena
politica interstatale in cui le varie nazioni si condizionano a vicenda. Tuttavia per svolgere uno
studio non troppo complicato faremo finta che i paesi siano isolati, svolgendo un analisi
unicamente interna. I poteri politicamente rilevanti tendono a raggrupparsi in due livelli
fondamentali: il primo è quello dei poteri che, basati sulla disponibilità di risorse materiali e ideali
di grande importanza per il funzionamento della società, condizionano con continuità in modo
rilevante il potere politico (livello della classe dirigente); il secondo livello è quello dei poteri
minimi che sono basati sulla necessità della collaborazione continuativa degli individui, al
funzionamento e la società nel suo complesso, appartengono tendenzialmente a tutti membri la
società, condizionano con continuità in modo limitato il potere politico (soprattutto
negativamente) (classe diretta). I primi li chiamiamo poteri politicamente influenti, i secondi poteri
minimi politicamente rilevanti. La portata e l’efficacia di questi due tipi di poteri variano a seconda
delle diverse comunità politiche del tempo storico.
I poteri politicamente influenti
Definire il potere politico distinguendo tra governanti e governati è troppo semplicistico: questo
perché i governati non sono tutti uguali. Tra di essi vi sono gruppi che da recitare un potere molto
rilevante e talora preponderante suoi governanti. Gaetano Mosca e mise, a fianco della classe
politica, la classe dirigente ovvero uno strato molto più numeroso che comprende tutte le capacità
direttrici del paese. La classe dirigente è il potere organizzato che ha la direzione politica,
intellettuale e materiale e comprende anche la classe politica che invece è la parte della classe
dirigente che ha funzioni strettamente politiche. Stoppino non è d’accordo nel porre in una stessa
categoria il potere politico e le altre forze direttrice della società, come fatto da Guido Dorso.
L’idea che la classe politica sia un comitato direttivo della classe dirigente e devi dente dice di
marxiana, tuttavia i questa concezione la classe dominante è unitaria ed è identificata
esclusivamente in base ad una qualificazione economica questo non è vero, perché può
avvenire che la classe dirigente sia analitica ma può avvenire anche che sia articolata in diversi
gruppi dirigenti, che possono essere in conflitto tra loro (si pensi ai conflitti tra le grandi aziende
produttrici). Si può affermare che esistono interessi comuni a tutta la classe dirigente, rispecchiate
nei valori politici dominanti, ma ciò non rende ovviamente la classe dirigente monolitica. Inoltre
nonostante le basi di natura economica siano molto importanti, la classe dirigente non poggia
esclusivamente su di esse: un’altra importante base è per esempio la disponibilità di
un’organizzazione per influenzare in modo rilevante le opinioni e le credenze (si pensi ai gruppi
che detengono i mezzi di comunicazione oppure l’importanza dell’organizzazione di una chiesa).
Altri gruppi dirigenti si fondano sulla particolare importanza della collaborazione diretta con i
detentori del potere politico: può essere il caso dei quadri di vertice dei grandi apparati
burocratici, oppure dell’esercito. Quindi non si può stabilire a priori quanti e quali siano i gruppi
dirigenti tutte le comunità politiche, per farlo serve un’accurata ricerca empirica, considerando
che essi si presentano come una costellazione di poteri, che presentano alcune caratteristiche
fondamentali e ricorrenti. Innanzitutto questi poteri poggiano sempre sulla disponibilità di risorse
e di grande importanza strategica per il funzionamento della società che possono essere reali o
materiali e risorse umane di rilievo nel processo politico. In secondo luogo l’impiego di queste
risorse ha di regola una forma organizzata (grandi sindacati, chiese, burocrazia, esercito…).
Grazie alla detenzione di queste risorse si instaura uno scambio o una collaborazione tra potere
politico e gli altri poteri. Da una parte i detentori del potere politico hanno bisogno della
collaborazione dei gruppi dirigenti e dall’altra i gruppi dirigenti hanno bisogno degli ordinamenti
vincolanti, e dunque dei diritti, prodotti dal potere politico per impiegare in modo soddisfacente le
proprie risorse. Naturalmente le portate relative del potere esercitato dai due gruppi possono
essere molto diverse, ci sono una serie di diverse situazioni di potere reciproco. Ma come i poteri
politicamente rilevanti influenzano quello politico? I poteri politicamente influenti limitano in
modo relativamente stabile l’azione dei detentori del potere politico entro un’area nella quale gli
interessi permanenti dei gruppi dirigenti non possono essere messi in pericolo aspetto
negativo. Tuttavia i poteri politicamente influenti influenzano il potere politico anche in modo
positivo: l’utilizzo pacifico continuativo delle risorse che stanno alla base di quei poteri
comportano l’intervento del potere politico, i gruppi dirigenti di conseguenza tendono ad
esercitare stabilmente su governanti un potere che ha per oggetto la presa di decisioni politiche
atte a garantire il mantenimento dell’utilizzo pacifico continuativa redditizio delle risorse.
Il regime
La costellazione stabile dei poteri politicamente influenti costituisce, in parte, la base sociale del
regime di un sistema politico.
Che cos’è un regime politico?
Il regime politico riguarda l’ampiezza del campo di azione del potere politico e l’orientamento
generale di tale azione, le regole del gioco politico, la struttura organizzativa del potere politico. Le
componenti essenziali sono quindi tre. 1- I valori o principi politici dominanti nel regime, che
orientano l’azione di governo e delineano l’area entro quale essa può esplicarsi, questi valori
pongono all’azione politica dei limiti e un orientamento generale. 2-Le regole del gioco politico,
stabiliscono i tipi riconosciuti di comportamento che possono essere adottati nella lotta per la
conquista del potere politico; in assenza di tali regole e gioco politico si trasformerebbe in una
battaglia senza esclusione di colpi. 3-La struttura organizzativa del potere politico, determina le
diverse istituzioni e le divere forme di produzione dei diritti, nonché il modo in cui sono
coordinate. Bisogna però tener conto che l’organizzazione reale del potere politico può essere
diversa da quella prevista dalla costituzione scritta.
Il condizionamento dei poteri politicamente influenti
Le tre componenti che abbiamo analizzato sono legate ai poteri politicamente influenti.
Considerando i valori politici dominanti, constatiamo che la loro funzione coincide con il modo
tipico in cui i poteri politicamente influenti operano stabilmente sul potere politico. Nel rapporto
stabile tra l’assetto dei poteri politicamente influenti e la configurazione dei gruppi politici trovano
la loro fonte quei principi comuni che sono appunto i valori politici dominanti nel regime. I gruppi
dirigenti hanno interesse anche alle regole del gioco e alla struttura organizzativa del potere
politico (se la classe dirigente è monolitica avrà interesse ad un regime che non consenta ad
individui non appartenenti a questa classe di conquistare il potere, se non è monolitica avrà
interesse che le regole del gioco lascino relativamente aperta la via per la conquista del potere).
Il tipo specifico di regole del gioco e di struttura organizzativa non dipendono solo dai poteri
politicamente influenti ma anche dalla configurazione dei gruppi politici e dalle loro capacità di
invenzione e costruzione istituzionale. Un dato assetto di istituzioni politiche può avere un grado
anche molto elevato di autonomia nei confronti di sottostanti gruppi dirigenti. Tuttavia una
costellazione stabili di potere politicamente influenti non consente numerosi altri tipi di regime (si
pensi ai tentativi falliti di introdurre la democrazia parlamentare in paesi ex coloniali e
sottosviluppati).
Il sostegno strutturale dei poteri politicamente influenti
Possiamo quindi dire che attraverso il regime la costellazione stabile dei poteri politicamente
influenti limita il potere politico: sia perché circoscrive l’azione dei governanti, sia perché definisce
una gamma di possibilità delle regole del gioco e della struttura organizzativa. Nello stesso tempo
però attraverso regime la classe dirigente sostiene appoggia il potere politico quindi opera sotto
l’aspetto del condizionamento e sotto quello del sostegno. Il sostegno fornito dai gruppi dirigenti
al potere politico consiste in azioni e atteggiamenti favorevoli per il regime stesso: da una parte il
sostegno strutturale è ogni forma di conferimento di risorse sociali, sia materiali che ideali, in
favore del regime; dall’altra è sostegno strutturale la disposizione dei gruppi dirigenti obbedire con
continuità ai comandi e alle direttive provenienti dei governanti questo è importante perché i
gruppi dirigenti sono in grado di influire in modo rilevante sulla società nel suo complesso
diffusione di una disposizione positiva verso la cooperazione sociale. Oltre all’interasse ci sono altri
due motivi che potrebbero portare all’obbedienza: il timore della violenza, e la credenza nella
legittimità basato sul regime (credenza che si fonda su un giudizio di valore positivo sulla fonte del
potere politico e che porta ad una disposizione ad obbedire alle direttive provenienti da essa). La
credenza nella legittimità non agisce mai da sola ma sempre accompagnata in qualche grado dagli
due motivi di obbedienza.
I valori che fondano la legittimità del regime
I valori che stanno a fondamento della credenza nella legittimità del regime sono parte integrante
dei valori politici dominanti ed esercitano influenza rilevante sulle regole del gioco, soltanto su una
parte però, cioè quella che riguarda le regole concernenti l’acquisizione del potere politico. Questo
avviene sotto forma di orientamento generale, perchè i valori che fondano la credenza della
legittimità del regime non stabiliscono le regole dell’acquisizione del potere in tutti i loro dettagli,
ma determinano solo l’indirizzo fondamentale. I valori che fondano la credenza nella legittimità
stabiliscono la fonte dalla quale il potere politico deve provenire per essere ritenuto legittimo. I
valori politici dominanti stabiliscono la sfera di attività e l’orientamento in cui i detentori del
potere politico possono impartire i loro comandi. Infine le regole che presiedono
all’organizzazione del potere, stabiliscono la legalità dei comandi e delle direttive provenienti di
detentori del potere politico tra questi tre aspetti del potere politico corrono strette relazione.
Nei regimi legittimi la quarta componente del regime sono i valori che ne fondano la legittimità.
Ma non tutti i regimi sono legittimi (es dominazione straniera delle colonie) in questo caso c’è
un regime politico con valori dominanti, regole del gioco e struttura organizzativa, ma può
avvenire che questo regime non venga ritenuto legittimo dai gruppi dirigenti autoctoni, che
obbediscono per timore di violenza e in qualche modo perché va nei loro interessi. Quindi la
legittimità non è una componente necessaria del regime politico.
Il sostegno strutturale dei gruppi politici
Dal punto di vista strutturale questo sostegno consiste oltre che nell’obbedienza ai comandi e alle
direttive impartite, nella disposizione a rispettare le regole del gioco relative alle condotte volte ad
acquisire il potere politico e di rispettarle sia all’opposizione, sia al governo. I motivi che stanno
alla base del sostegno al regime fornito dai gruppi politici sono simili a quelli dei gruppi dirigenti.
Tuttavia in questo caso l’interesse si concreta nell’opportunità che il regime offre loro, in relazione
a una loro determinata configurazione relativamente stabile, di conquistare il potere politico. E il
timore dell’impiego della violenza per i gruppi politici può manifestarsi anche nei confronti
dell’opposizione.
Regime, classe politica, classe dirigente e classe diretta
Possiamo dire che il livello maggiormente rilevante al quale si deve guardare per individuare la
base e il sostegno di un regime è quello dei gruppi dirigenti e dei gruppi politici a questo livello
troviamo largamente condivisi i valori politici dominanti, e a questo livello operano i motivi che
stanno alla base del sostegno fornito al potere politico. Soltanto in un caso la considerazione dei
gruppi dirigenti e dei gruppi politici non basta ad accertare la legittimità del regime: quando esso
mette in grave pericolo gli interessi fondamentali dei membri della classe diretta in questi casi
anche tentativi di ribellione, ma negli altri casi, se tutti i gruppi dirigenti e politici condividono la
credenza nella legittimità del regime, si può dire con certezza che il regime è legittimo, se una
parte contesta è semilegittimo questo si verifica soprattutto quando i gruppi che ritengono il
potere legittimo hanno le stesse chances formali di chi lo ritiene illegittimo. Può anche avvenire
che un nuovo gruppo dirigente si formi nella società e allora o la società si modifica, oppure
avviene la rivoluzione che è proprio il cambiamento repentino e violento di un regime politico,
sulla base di un mutamento sostanziale di poteri politicamente influenti.
I poteri minimi politicamente rilevanti
Anche i membri della classe diretta hanno dei poteri che limitano in modo tendenzialmente stabile
la libertà d’azione dei governanti poteri prevalentemente negativi e minimi cioè relativi a una
sfera di attività molto circoscritta. Può accadere che i governanti infrangano questo limite
occasionalmente, ma se diventa una cosa frequente si manifesterà una reazione che tenderà a
ristabilire il limite. Chiamiamo politico il potere del governo, attorno a cui, nelle società
contemporanee, ruota l’attività politica; chiamiamo politicamente rilevanti i poteri che
condizionano il potere del governo dall’esterno. I poteri minimi politicamente rilevanti hanno per
oggetto il rispetto, da parte dei detentori del potere politico, di una certa sfera di interessi,
materiali e ideali, considerati fondamentali dai membri della classe diretta. La chiamiamo minima
perché la sfera di dati interessi, che tuttavia può essere più o meno ampia, appare tale rispetto agli
interessi per cui operano i poteri politicamente influenti. In alcuni casi i poteri minimi
politicamente rilevanti possono non essere omogenei per tutta la classe diretta pluralità di
livelli. Il fondamento di tali poteri minimi è costituito dall’indispensabilità della collaborazione dei
membri della classe diretta al funzionamento della società. Si crea una reciprocità tra governati e
governanti: i governati hanno bisogno dell’obbedienza e del sostegno della classe diretta, e
quest’ultima ha bisogno del potere politico per ottenere il rispetto di una sfera minima di beni
fondamentali. Quindi la classe diretta condiziona il governo sia in senso positivo che negativo: in
primo luogo limita stabilmente la sfera dell’azione del governo (limite meno elevato delle classi
dirigenti) , in modo che non metta in pericolo gli interessi fondamentali, in secondo luogo la classe
diretta tende a reagire contro i membri del governo solo quando l’azione di quest’ultimo risulta
gravemente inefficace riguardo il rispetto degli interessi fondamentali. Sia positivamente che
negativamente i poteri minimi politicamente rilevanti operano attraverso il meccanismo della
reazioni previste. Anche i membri della classe diretta (=classe dirigente) non solo limitano ma
anche sostengono il potere politico. Tale sostegno da un lato si concretizza nella partecipazione
politica prevista nell’ambito del sistema (es in un sistema democratico le elezioni), dall’altro lato si
concretizza nella disposizione ad obbedire con continuità alle direttive del governo. Questo
sostegno è condizionato al rispetto da parte del potere politico dei diritti fondamentali, ma non è
condizionato al tipo di regime entro il quale il potere politico opera la disposizione ad obbedire
dei membri di una certa classe diretta non cambia con il cambiamento del regime, se l’azione del
governo non cambia. I motivi che stanno alla base del sostegno da parte della classe diretta sono:
l’interesse sui beni considerati fondamentali, il timore della violenza, la credenza nella legittimità,
ma non del regime, bensì della comunità, l’abitudine ovvero quando l’obbedienza al governo viene
considerato come un comportamento scontato che si è sempre tenuto e infine il conformismo
ovvero l’accettazione positiva delle idee, norme e valori della maggioranza del gruppo a cui si
appartiene, e/o l’allineamento passivo alle opinioni e alle direttive dell’autorità ufficiale alla quale
si è sottoposti. La disposizione ad obbedire di tipo conformistico è largamente diffusa nelle società
di massa. Possiamo dire in via definitiva che a livello di gruppi dirigenti e politici la credenza nella
legittimità del potere politico si fonda prevalentemente su un giudizio di valore positivo nei
confronti della fonte di potere nel regime, mentre a livello di classe diretta tale credenza si fonda
principalmente su un giudizio di valore positivo e un sentimento favorevole nei riguardi della
comunità politica, intesa come l’insieme degli individui che partecipano alla struttura e al processo
di un sistema politico (sentimento di appartenenza alla comunità politica e identificazione con
essa). In questa situazione il potere politico da potere sulla comunità, tende a diventare potere
della comunità: la quale è concepita come fonte di potere. Questo tipo di credenza si manifesta
anche a livello dei gruppi dirigenti politici, in modo ancora più significativo nella fase di fondazione
di una nuova comunità politica. Tuttavia la credenza della legittimità principale è basata sulla
comunità anche se essa non è presente in tutte le società, ce ne sono alcune in cui non esiste
sufficiente integrazione nella comunità politica es monarchie assolute dove la legittimità si
fondava sul principio divino dal quale discendeva in sovrano. Inoltre bisogna dire che
l’integrazione che sta fondamento della credenza nella legittimità presuppone l’azione del potere
del governo: tale credenza è molto spesso una conseguenza dell’instaurazione di un nuovo Stato e
non la fonte. Infine tale credenza del potere politico può essere più o meno diffusa e più o meno
intensa, fino ad arrivare a diventare contestazione che può condurre a conflitti radicali. Quindi
possiamo infine dire che: la credenza nella legittimità personale riguarda caratteristiche personali
del governante e può essere diffusa sia nei gruppi dirigenti sia in quelli politici sia nella classe
diretta, la credenza nella legittimità basata sul regime riguarda la fonte del potere stabilita del
regime e tende a essere diffusa specialmente nei gruppi politici e dirigenti. La credenza nella
legittimità fondata sulla comunità, riguarda la comunità politica ed è diffusa in gruppi politici e
dirigenti sia nella classe diretta, in una società politica stabile è particolarmente significativa a
livello di classe diretta. Tutti i tre tipi indicati sono di solito presenti nei sistemi politici concreti.
Conclusione
Dal punto di vista strutturale si può quindi dire che il condizionamento esterno del potere politico
si divide in quello della classe dirigente e quello della classe diretta. Tuttavia può venire che ci
siano dei livelli intermedi tra queste due classi. La differenza principale sta però tra il processo e la
struttura: nel primo i gruppi che influenzano la presa di una decisione politica sono molti e dotati
di poteri diversi, della struttura politica invece livelli i significativi si riducono. Nella scienza politica
l’azione dei poteri minimi politicamente rilevanti viene spesso trascurata perché il
condizionamento dei poteri minimi opera solitamente attraverso il meccanismo delle reazioni
previste ed è quindi invisibile la classe diretta ha assunto maggiore importanza nelle
democrazie moderne, dove le sfere di interesse di essa sono state integrate tra i valori dominanti
del regime.