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COS’E’ L’ORIENTALISMO?
Un insieme di studi di paesi che si trovano a est rispetto all’Europa; un secondo significato
riguarda di più le arti visive e la cultura (nel 1893 a Parigi viene fondata la società dei
pittori orientalisti francesi che raccoglie pittori specializzati in un genere diventato ormai
di moda e nell’anno dopo è stata creata la società degli artisti indipendenti; queste società
sono delle iniziative private di artisti che si riuniscono in opposizione ai circuiti “ufficiali”.
Nel loro statuto, quelli dell’83, esplicitano nel loro statuto il loro impegno nel colonialismo,
la presenza nei territori asiatici). La seconda dizione del termine orientalismo indica un
Francia; in questi casi la dizione di Oriente è ancora più estesa. La pittura è un luogo dove
trovano spazio chimere, esotismo, curiosità etnografica; non sono temi inediti, c’è una
tradizione iconografica del turco, del musulmano, del miscredente, di orientali o neri,
quello che caratterizza la pittura orientalista è una forte reificazione dei corpi, delle
persone e un’estrema attenzione a dettagli di arti applicate (vestiti, gioielli, ecc.). una terza
accezione di orientalismo che risale ad un secolo dopo, alla pubblicazione del libro di
Eduard Salid “Orientalism. Immagine europea dell’Oriente” in cui ritorna sul primo
significato sottolineando il fatto che l’oriente in sé è una creazione occidentale e non una
occupa di questa creazione discorsiva soprattutto nel campo della letteratura e del teatro e
mette in luce una serie di interessi di natura economica e politica che hanno orientato e
nutrito questa rappresentazione; Said dice che questo ha prodotto cose come se fosse una
realtà oggettiva quando in realtà è il frutto del dominio dell’Europa. Said mette in luce che
questa creazione non è unidirezionale, gli orientali vi hanno aderito e partecipato e c’è in
quello che viene definito post-colonialismo e Said ha aperto una revisione critica di tutta
una serie di produzione di vari campi della cultura. Fa un esempio: ricorda Flaubert che
viaggi a a lungo in Egitto e da questa esperienza nutre molti suoi scritti e proietta sui suoi
personaggi egiziani, in particolare donne e prostitute, una serie di fantasie che vengono da
Flaubert come se invece quelle caratteristiche fossero appartenenti ad una cortigiana
stereotipi che si sono autoalimentate. Inoltre nella letteratura di Flaubert e non solo
l’oriente ha una dimensione corporea molto forte, evocata da odori, sapori, ecc. Un altro
antico ed immobile rispetto al progresso europeo, lontananza nello spazio e nel tempo.
Anche nella pittura troviamo allusioni sessuali più o meno esplicite e alcuni luoghi battuti
come l’harem (luogo in realtà di fantasia), il mercato degli schiavi e i luoghi naturali che
Cosa succede e cosa producono i pittori dalla seconda metà del ‘700? (perché è una fase in
cui impero ottomano si apre verso l’Europa, la fase in cui si guarda alla Francia, una serie
di ambascerie che si recano a Parigi e dintorni per osservare vita di corte e attività
di curiosità un po' morbosa ma quando tornano a Costantinopoli portano con se una serie
di osservazioni non prive di cliché, però ad esempio il sultano vuole costruire imitazione
di Versailles, di Fointainbleu, nasce una stamperia in caratteri arabi; uno degli elementi
l’autoritratto di Liotard, che risiede a Costantinopoli dal 1738 al 1742 e si riproduce in abiti
committenza ma è anche lasciato come immagine per i posteri. Liotard era diventato
pittore presso la corte del sultano e possiamo considerarlo iniziatore delle TURCHERIE,
scene di soggetto turco che si caratterizzano per l’ambientazione e per la cura meticolosa
nel riprodurre tessuti, abiti, strumenti musicali, suppellettili, ecc. In Liotard manca una
vera erotizzazione del contesto turco ed in particolare delle figure femminili, che vedremo
esplicita nei decenni successivi. Liotard è uno dei pochi a viaggiare per il momento, tutti
coloro i quali si dedicavano alle turcherie in realtà si documentavano sulle fonti, la prima
delle quali è una raccolta di 100 stampe dell’inizio del ‘700 che continua a circolare come
fonte realistica perché aveva posto attenzione alla pluralità etnica raccolta all’interno
rimane abbastanza fedele. Che cosa vedremo crescere nella pittura orientalista vera e
propria? Immagine di Liotard di una donna non impegnata in una attività lavorativa e che
che le viene rivolto ed in questo senso reificata, resa disponibile ad essere guardata e
posseduta. In questo contesto fa eccezione una figura di viaggiatrice che è Lady Montagu
differenza nei fatti non è così forte. Era solita andare in giro per la città vestita all’orientale
per accedere in alcuni posti che altrimenti le sarebbero stati preclusi. Tornando alla donna
che legge di Liotard: cos’è effettivamente l’harem? Viene descritto come luogo di
libertinismo con una grande disponibilità di donne per il sultano, in realtà è un luogo
molto gerarchizzato, a governarlo è il Grande Eunuco e questa era la terza carica dello
stato all’epoca e anche tra le donne c’è una rigida gerarchia dovuta ad una maggiore o
minore vicinanza la sultano e ai vertici non ci sono le concubine del re, come in occidente,
bensì le madri dei sultani, la cosa più importanti era garantire la sopravvivenza dei figli
del sultano perché alla sua morte solo uno dei tanti figli potrà succedergli. Questa
complessità viene lasciata sullo sfondo dai viaggiatori per concentrarsi sempre di più su
13/10/2021
Dispense da scaricare online e le altre in copisteria a via dei Volsci. Estratti relativi ad
argomenti trattati a lezione, sul tema dell’orientalismo il testo che dà notizie è il 5 che si
in aula magna del rettorato, seguire da remoto poi caricherà su classroom modalità e
programma.
Muoviamoci sull’altra sponda dell’Atlantico, fino ad ora eravamo in Europa, sia in Europa
però sia negli USA gli afro-discendenti sono una presenza significativa, soprattutto negli
USA. “The Art of the Esclusion” di Boim testo interessante e sostanzialmente una delle
prime indagini di questo tipo, molto documentato con una classica metodologia che è la
storia sociale dell’arte agganciando le opere al contesto storico del momento; altro testo è
una mostra svolta al d’Orsay nel 2019 “Le Modeille Noir: da Gericault a Matisse” e le due
fonti sono complementari perché Boim si occupa dell’800 americano e nella mostra si sono
occupati non della rappresentazione dei neri come gruppo sociale quanto dei singoli
individui che vengono intercettati dagli sguardi degli artisti ed è un’indagine soprattutto
parigina. Non sono le uniche fonti disponibili, si inizia a parlare della presenza afro
discendenti a partire dagli anni ’60 con un progetto editoriale che è ancora in corso,
“l’immagine del nero nell’arte occidentale” favorita e finanziata dai coniugi De Menille
(cercare), che parte dalle origini ovvero ad esempio dalla Adorazione dei Magi. Mentre
parte questo progetto nel ’64, in una delle università nere americane si inaugura il ritratto
del negro nella pittura americana ed è un’operazione politica (foto con Martin Luther King
all’inaugurazione della mostra). Da questo momento in poi ci sono diverse mostre (mostra
del ’73 a Washington, cerca nome) e a partire dagli anni ’80 l’interesse si sposta dalle
persone agli oggetti con particolare riferimento alla mostra del Moma a cura di Rabin,
“primitivismo nell’arte del ventesimo secolo” e nell’89 al Pompidou. Dagli anni ’90 la
situazione cambia ancora “Rapsody in Black” mostra e poi “Black Victorians” alla
Manchester Gallery. Dal XXI secolo c’è un’esplosione di questo tipo di manifestazioni:
2007 molti musei londinesi inaugurano percorsi espositivi di questo tipo, 2008 apertura Du
Quai Branly museo parigino in cui confluiscono le collezioni etnografiche parigine. Siamo
in una situazione contraddittoria perché da una parte abbiamo le grandi battaglie civili sui
valori universalistici dell’essere umano e dall’altra prima la tratta degli schiavi e poi il
colonialismo storico vero e proprio quindi oggi quando parliamo di queste cose lo
facciamo dalle urgenze del presente ma tenendo conto di questa sorta di discrasia della
storia europea; si creano anche degli stereotipi visivi a tutti gli effetti razzisti. Una scelta
importante realizzata nella mostra “Le modeille noir” è una scelta museologica
importante: la mostra prende le mosse da un progetto di ricerca, una delle curatrici aveva
fatto tesi di dottorato su questi argomenti e riesce a coronare il progetto con la mostra
basata sulle collezioni del d’Orsay nel quale il team curatoriale decide di ri-titolare le
opere per evitare il più possibile l’effetto razzializzante. Anche i titoli sono portati storici.
In questo caso il marmo di Carpeaux era “Negra. Perché nascere schiavo” ed è esposta in
mostra con il titolo “perché nascere in schiavitù” spostando il fatto dalla persona sul fatto
che la schiavitù è una condizione in cui si entra e non con cui si nasce. Decidono anche di
non esporre nei cartellini i titoli precedenti ma è un’operazione limitata nel tempo perché
poi nella collezione le opere mantengono il titolo storico. Qualche dato storico: codice noir
(codice nero) promulgato limitatamente alle Antille francesi e poi esteso ad altre colonie,
nella Francia metropolitana la schiavitù non è mai esistita formalmente e questo segna
l’esperienza dei neri da una parte all’altra dell’Atlantico. Nel codice noir i neri sono
proibiti i matrimoni misti. Durante rivoluzione francese: Santo Domingo si ribella per
sottrarsi al dominio coloniale e nel fare questo fa appello alla popolazione nera e abroga la
schiavitù, siamo già nella Rivoluzione francese, viene mandato un esercito che viene
anticoloniale è il primo decreto abolizionista della schiavitù nel 1794: Napoleone restaura
la schiavitù nelle colonie ed eliminata definitivamente solo nel 1848. Non segna tuttavia la
fine di un rapporto asimmetrico tra bianchi e neri. Durante illuminismo gli artisti rispetto a
tali questioni non sono solo osservatori ma talvolta si schierano e già rappresentare un
nero è qualcosa di eccezionale perché sono figure e corpi fuori dal canone e quindi già
questo è un elemento di novità soprattutto per quanto riguarda gli artisti europei. In
questo contesto e in questo arco cronologico Manet e Matisse sono i più consapevoli ed
innovativi. CONCETTO DELLA LINEA DEL COLORE coniato fine ‘800 e diventa
popolare in questi dibattiti nel corso del ‘900 perché è un marcatore visivo, i bianchi
vedono i neri di un colore diverso e basano i giudizi sul colore dell’epidermide e anche
l’espressione “linea del colore” richiama un’espressione legata alle arti visive.
Partiamo con un’opera di Copley “Watson and the Shark” nel 1778 commissionata da
Watson e si riferisce ad un episodio accaduto trent’anni prima nel porto di L’Avana dove
lui viene aggredito dagli squali e perde l’uso della gamba. Perché gli interessa
Watson e Copley si siano arricchiti con attività del cosiddetto commercio triangolare;
Watson negli anni ’70 cerca di rifarsi una verginità sulla scena politica in un momento di
dibattito tra abolizionisti e sostenitori schiavismo. Alla base del quadro giovane che nuota
con uno squalo che lo attacca e sulla barca personaggi scomposti e al centro un marinaio
nero che ci colpisce perché ha una posizione eminente nella composizione ma anche nella
scena perché è colui che tiene la corda lanciata a Watson: ad un primo sguardo potremmo
dire che i due mascalzoni danno addirittura un ruolo positivo e attivo all’unico
personaggio nero, in realtà se guardiamo bene colui che tiene la corda è a differenza degli
altri che sono compresi nella drammaticità del momento, è tranquillo, quasi astratto dalla
astratta, una rappresentazione che riguarda i neri in generale e del rapporto che secondo
Watson hanno con i bianchi. Tiene la corda ma è talmente statico che sembra che sia stato
qualcun altro ad ordinargli questo gesto, non è colui che salva Watson ma qualcuno che
esegue gli ordini. Dietro c’è allegoria politica: il mare dei Caraibi è infestato da squali,
ovvero idee pericolose per il commercio britannico, quindi bisogna affidarsi a qualcuno
che conosce le realtà ed ha anche pagato un prezzo (Watson) e la popolazione nera non va
emancipata bensì guidata dai bianchi, dai colonizzatori. È una lettura interessante e
documentata che per noi è utile perché in molte opere che vedremo ritroveremo questa
Altra tela più o meno stesso periodo: pittore americano John Trumbull, “Battel of Bunker’s
Hill” del 1786 fatto accaduto a Boston in cui viene sconfitto esercito britannico e come
possiamo osservare di neri non ce n’è quasi nessuno tranne un soldato che si nasconde
dietro il suo ufficiale; anche qui struttura triangolare nella quale i vertici di preminenza
sono rappresentati da militari bianchi, Boime ci guida nella lettura e dice che possiamo
identificare la situazione ed anche chi è l’unico nero presente che è il soldato che ha
determinato le sorti della battaglia e che ha un ruolo diverso da come viene rappresentato
(è rappresentato come uno che si fa scudo dell’ufficiale mentre nella realtà è colui che
Contemporaneamente ci sono anche artisti più sensibili all’altra campana, a coloro i quali
si battono per abolizione schiavitù; sia a Londra che a Parigi nascono delle società di
che è indicativo delle idee dei filantropi perché il motto “non sono io un uomo, non sono
si richiama ad una dimensione di uguaglianza degli esseri umani e tutti figli di Dio. Il nero
è presentato non come colui che è attivo nella conquista della libertà ma come colui che
chiede, libertà ed emancipazione sono concessi dall’alto, c’è quindi un forte paternalismo
anche nelle idee di coloro che hanno le posizioni più innovative. C’è un forte razzismo
anche in questo momento e dobbiamo aggiungere che in questo cono d’ombra ci siamo
Di fronte a delle posizioni così paternalistiche che esprimono i più progressisti, cosa viene
con dannato dello schiavismo? Gli eccessi, la brutalità della tratta, ciò che indigna
all’economia e all’ordine sociale e si guarda ai neri come se fossero in una posizione etica,
intellettiva, culturale minoritaria e quindi devono essere guidati; condannati gli eccessi di
mercenario che partecipa alle attività della cattura e vendita degli schiavi ma si indigna
per la violenza. Sia Blake che Stedman hanno le idee molto chiare sui rapporti tra Europa e
neri.
Anch nel momento in cui i pittori “celebrano” l’indipendenza in realtà permane una
rappresentazione gravata da ciò che abbiamo parlato fino ad ora: Samuel Jennings
“Liberty displayng the arts and sciences” 1792 in cui una donna bianca che è la libertà
distribuisce il sapere. Come vengono rappresentate le arti? C’è molto disordine
nell’attività di avvicinamento, un moto che sovverte un ordine, c’è quasi una rivoluzione,
si lasciano in primo piano gli aspetti distruttivi più che un nuovo ordine già costituito. Gli
abitanti di Santo Domingo ricevono, accolgono qualcosa che viene dato loro, sono passivi,
ricevono.
Un po' diverso è uno degli schizzi realizzati durante l’Assemblea Nazionale parigina in cui
Domingo che partecipa ai lavori e vota per abolizione schiavitù e si fa fare un ritratto
è un illuminista che aveva scritto un trattato contro la schiavitù nel 1770 e si nota una
schiavo e porta l’orecchino che lo configura come tale e la posa si rifà all’Ercole Farnese.
Ci sono altri aspetti forse meno celebrativi: virilità ostentata che la critica ha letto
delle prime che espone al Salon, Marie Guillemine Benoist che dichiara il suo discepolato
presso David con lo sfondo monocromo del quadro “Portrait de Madleine” del 1800,
ritratto accurato di una ex schiava ma a Parigi è una donna libera anche se di umili origini.
Dove si sono incontrate? La modella è qualcuno al seguito della famiglia al seguito della
sorella della pittrice che aveva sposato un proprietario terriero che era stato nelle Antille.
Ritratto ambiguo, come se ci fosse uno sguardo paritetico tra modella che guarda la
pittrice e la pittrice. In questi anni, sempre legati alla vicenda di Santo Domingo, ci sono
altri ritratti intereasanti: Louis Gauffier, “Portrait de Thomas Alexandre Dumas (padre) en
chasseur, 1790-1800, uno dei primi ufficiali meticci, creoli che Napoleone porta con sé al
Parigi tra fine ‘700 e inizi ‘800 con persone nate da unioni che erano vietate per legge che
Ancora + esplicito: “il giuramento degli antenati” perché non c’è solo il ritratto di due
Roma e non a caso sarà colui che pronuncerà elogio funebre di Alexandre Dumas padre; la
critica mette in luce che esiste una società multietnica e all’interno delle relazioni di
supporto reciproco e di vicinanza all’interno dello stesso gruppo etnico ma questo non ci
deve portare a pensare che l’appartenenza etnica di un’artista corrisponda ad una ed una
sola posizione politica ed etica, all’interno della produzione degli artisti ci sono opere che
Un convinto antischiavista era Gericault che muore giovanissimo e con il quadro “La
zattera della Medusa” conquista. Naufragio della Medusa, una fregata francese a largo
della costa del Senegal che portava il nuovo governatore francese della colonia appena
conquistata. Non ci sono scialuooe quindi alcuni devono accontentarsi di una zattera che
viene legata ad una scialuppa ma poi viene abbandonata e va alla deriva per settimane.
tra l’altro attivo mentre richiama l’imbarcazione che si vede sullo sfondo. Il modello si
chiama Giuseppe ed è anche grazie a questa tela che diventa una celebrità e viene
impiegato da artisti che attraverso questa scelta vogliono richiamarsi a Gericault e alla sua
eredità artistica e politica. È uno dei primi modelli ad essere ufficialmente censito
dall’Accademia di Belle Arti, nel senso che prima rappresentare un nero è al di fuori del
canone ma a proposito di questo nell’800 iniziano ad esserci dei modelli neri che vengono
Gericalut si occupa spesso di queste tematiche, ci sono illustrazioni come “I pugili” che
può avere una dimensione allegorica, i due si fronteggiano ad armi pari. Inoltre c’è un
disegno per una tela mai realizzata e si riferisce al commercio degli schiavi e ad un
momento preciso: le carovane dall’africa centrale arrivano sulle coste del Senegal dove
devono imbarcarsi sulle navi negriere e questa è operazione violenta perché separa le
famiglie e questa prassi genera delle rivolte ed è di conseguenza uno dei momenti più
violenti e Gericault cerca di “dare un volto” a quese scene. La tratta degli schiavi è ciò che
più colpisce opinione pubblica, più dellp schiaismo insè come istituzione, nonostante fosse
fuori legge per tutto l’800 la tratta prolifera ed un altro pittore che si occupa di questi temi
è TURNER che espone nel 1840 la tela “salve ship (Slavers Throwing Overboard the Dead
and Dying, Typhoon coming on). Il titolo riconduce un lavoro del genere ad un fatto reale
accaduto alla fine del ‘700 ma era un episiodio storioco di una serie di vicende analoghe in
cui ci si liberava del carico umano perché il carico stava deperendo, nell’episidio di Turner
il comandante della nave rifiuta di salvare gli schiavi che si erano ammalati, il medico
nega e man mano che la malattia sia diffonde si rende conto che quando arriverà a
destinazione di questo carico sarà molto basso ed invece di perdere utili economici
preferisce incassare il premio assicuratrivo e decide di buttare in mare perosne ancora vive
oltre ai cadaveri. Turner rappresenta la scena in modo lugubre. Utilizzare schiavi per
attirare gli squali che poi venivano catturati dai marinai per sfamare l’equipaggio e il
qualcosa che accadeva ai suoi tempi e lui condanna e la critica ha notato che sono gli stessi
14/10/2021
William Sidney Mount, Eel Spearing at Setauket, 1845, olio su tela. Questa pesca
dell’anguilla è un quadro su commissione da parte del proprietario del casale che si vede
sullo sfondo ed è un’eccezione sul suo catalogo perché la donna che sta pescando ha una
posizione visivamente egemone ed inoltre è lei che pesca e un po' per spiegare questa
unicità rispetto al suo cataloga la critica dice che ci sono reminiscenze infantili quando
Ci spostiamo dall’altro lato dell’Atlantico, dove Sydney Mount ha una certa importanza,
cresciuto in una famiglia che aveva diversi schiavi che si prendevano cura di lui, ci sono
evidenti pregiudizi ed una visione dei rapporti bianchi-neri. per il resto Mount indulge in
parte testimoniano una contiguità molto quodiniana che in europa era frequente ma in
questa contiguità sono attivi una serie di clichè: Music Hath Charms (il potere della
dentro, dove ci sono i bianchi, e all’esterno con il contadino afro-americano che mentre i
bianchi ascoltano la musica e hanno il diritto di farlo lui invece è fuori e subendo il potere
maniera moralistica i neri è molto frequente in Mount (ci sono scene di relax durante i
lavori contadini e il nero è di solito quello che sta dormendo mentre gli altri sono
impegnati in qualcosa e quindi per l’occhio dell’epoca riecheggiano questioni legate alla
Qualcosa di simile: Woodville, War news from Messico, 1848, dispositivo architettonico di
un’insegna che richiama l’America, quindi chi è sotto il porticato sono americani che sono
molto compenetrati in quello che stanno facendo, enfasi in quello che fanno; al di fuori
della struttura architettonica ci sono sia due afro-discendenti sia una donna sebbene in
secondo piano e l’uomo e la ragazzina in primo piano osservano la scena ma “non sono in
grado di capirla perché non sanno leggere e scrivere” e non possono prendere pienamente
parte alla cittadinanza, sono incuriositi ma non interessati davvero e rappresentazioni del
molto di più l’essere a favore ocontro lo schiavismo e alcuni pittori si avvicinano a delle
posizioni più progressiste: Eastman Johnson è una figura interessante, passato per lo
studio di Couture dove soggiorna a lungo Manet, formazione quindi cosmopolita che
Corner interno di umili origini e molto umile è anche la figura rappresentata però alla fine
della giornata di lavoro si dedica alla lettura e si impegna nel leggere, nell’istruirsi: visione
che mette in discussione i cliché etnici razzisti della cultura dell’epoca, in particolare
Lincoln qualche anno dopo in cui riprende la stessa ambientazione (Lincoln legge al lume
della fiamma del caminetto). Sempre di lui A Ride for Liberty, si riferisce ad una situazione
tra il 1862-63 quando Lincoln afferma che dal 1 gennaio 1863 tutti i neri sarebbero stati
liberi e questo porta i neri a scappare e Eastman Johnson, un pittore bianco che vede
favorevolmente integrazione tra bianchi e neri, dedica questa tela ad una famiglia di ex
schiavi che sta fuggendo dai padroni, dagli schiavisti nel tentativo di rientrare tra coloro i
quali saranno liberi all’inizio del ’63. Iconografia positiva: richiamo alla fuga d’Egitto e poi
già di per sé effetto visivo di una considerazione dei neri come soggetti capaci di
autodeterminarsi.
Attorno a questi anni di guerra di secessione ci sono diverse figure interessanti e l’esercito
è uno dei luoghi in cui i neri vanno ad arruolarsi perché in questo modo stanno
a tutti gli effetti e si avvicina molto alla questione dei soldati e fa dei sopralluoghi e rivolge
alla coppia di giovani soldati in “Army Boots” uno sguardo neutrale, contesto umile e
dimesso però entrambi guardano verso osservatore e sono dentro una situazione che li
All’emancipatory act di Lincoln i proprietari terrieri del sud anche all’indomani fine
schiavi di riprendersi gli schiavi fuggitivi e di questo parla una tela di Thomas Setterwhite
Noble in “Margaret Garner” e anche lui passa per lo studio di Couture. Noble rappresenta
un fatto accaduto che ebbe molto clamore che ha come protagonista Margaret Garder, ex
schiava fuggita per tempo che ha trovato la libertà nei pressi di Cincinnati ma viene
inseguita dai sui ex schiavisti (lei ha tre figli) e piuttosto che consegnare i bambini decide
di ucciderli e questo ha avuto un grande clamore, viene difesa dalle associazioni che si
motivo per cui una madre può decidere di togliere la vita ai figli pur di non fargli vivere lo
figurativo famoso che è il giuramento degli Orazi soprattutto per la posizione delle figure
maschili e il modello viene in parte accolto e in parte stravolto perché le donne in David
sono inconsapevoli e qui la figura femminile fronteggia gli uomini e al centro ci sono due
dei suoi 4 figli morti. La tela è conservata nel National Underground Railroad Freedom
Center (2004) a Cincinnati. Noble è una figura interessante, molto attivo e mentre Johnson
viene da un ambiente degli stati del nord (aveva poco a che vedere con lo schiavismo)
Noble vinee dalle province meridionali e osserva il perdurare delle conseguenze dello
schiavismo anche dopo la fine della guerra di secessione e la tela “il prezzo del sangue” è
dedicata alle unioni miste da padre bianco e donna schiava e quindi la condizione di
schiavo viene ereditata dai figli che ad un certo punto, finchè son bambini vivono in un
limbo, diventao consapevoli della loro estraneità rispetto alla comunità in cui erano fino a
quel momento. Qui è rappresentata la vendita da parte del padre del ragazzo mulatto ad
un signore che ha pronta lì la somma da dare al padre, non si vede nella tela ma la critica
nota che alle soalle del padre c’è una scena del sacrificio di Isacco, richiamando una
analoga situazione di figlio sacrificato dal padre. Il magistero presso Couture è riscontrato
nella citazione della mano piuttosto artigliosa che si fissa sulla ricchezza in entrata
diciamo.
Come viene rappresentata l’emancipazione? Edmonia Lewis è una delle pochissime artiste
afro-discendenti di cui abbiamo notizia per questo periodo che fa un soggiorno a Roma
Edmonia Lewis, Forever Free, 1867, marmo, ci saremmo aspettati una rappresentazione più
innovativa e invece è una composizione molto paternalistica, non sono molto attivi o
consapevoli. Quest’opera si trova in una storica università nera, la Howard University
Gallery of Art.
Lincoln quando in realtà alcune cose per cui Lincoln si era battuto continuavano a
stele funebre perché alla base ci sono una donna ed una bambina uccise da ciò che
vediamo sullo sfondo, roghi, qualche segno della violenza, un permanere di violenza
Ball, Emancipation, 1875, Washington (e 1877 una replica a Boston) dove Lincoln sta
liberando dalle catene uno schiavo come se la libertà fosse una concessione e non un
occasioni:
exposition, 1876, Philadelphia. Gli stati uniti mostrano i progressi all’Europa (donna
Occasione in cui i neri compaiono in un’area intitolata the south, una sorta di
una piantagione in cui i neri svolgono attività ritenute proprie di quel gruppo
etnico, una sorta di zoo umai. Gli Usa stanno facendo vedere all’Europa i progressi,
All’inizio del secolo ancora una volta la posizione riservata agli afroamericani è l’ultimo
della gerarchia visiva (the navy di MacMonnies, monumento del 1900), non sono opere
d’avanguardia ma danno l’idea del sentire comune. Proprio sui monumenti americani si
Ira Algridge capace di impossessarsi del cliché e di piegarlo ai propri interessi personali e
qualcosa del genere lo troviamo in Dumas figlio, un mulatto come il padre e che vive nella
Parigi di metà secolo dove costruisce la propria fortuna come uomo di lettere però autore
di un certo tipo di narrativa non canonica, romanzi popolari anche come tipo di genere.
Dumas figlio sembra ribadire anche lui consapevole di essere qualcosa ai margini di un
contesto letterario e sociale convenzionale sia per la sua produzione letteraria sia per la sua
persona ed in particolare, grazie ad alcuni ritratti che gli fa Nadar con cui era in amicizia e
nei quali Dumas gioca si fa ritrarre anche in momenti privati, con la compagna discinta ad
esempio, Nadar gli dedica ritratti e una caricatura che mette in evidenza aspetti
fisiognomici che lo qualificano come afro-discendente. La critica ritiene che queste opere in
questo contesto sono il frutto del rapporto di amicizia tra i due e testimoniano anche in
Dumas figlio la capacità di una consapevolezza etnica ed una capacità di impossessarsi del
Nella Parigi degli anni ’50 - ’60 è un tessuto sociale multietnico a vari livelli: Manet, Jeanne
Duval, 1862. Era un’attrice di teatro mulatta con cui Baudelaire intrattiene una relazione
burrascosa (nei fiori del male sentimento sincero del poeta verso di lei e dall’altro lato
attrazione verso l’esotico che il poeta identifica con questa donna proveniente dai Caraibi).
etnica è sommaria, tutt’al più potremmo pensare a qualcuno che proviene dalla Spagna
piuttosto. Attraverso Duval arriva nell’atelier di Manet anche la donna che posa per
l’Olympia di Manet, che ci interessa per diversi aspetti e nella dimensione innovativa del
quadro rientra anche la donna di colore perché sono figure fuori dal canone e il dipingerle
è una novità; anche per un secondo aspetto perché Manet spoglia Olympia e lascia vestita
Lor (la donna nera che lavorava come lavandaia e attraverso Duval è presentata a Manet
distingue nettamente le due donne (esisteva la prostituzione con bianche e nere ma Lor
non appartiene a questa categoria, gli unici elementi che la qualificano etnicamente sono
scena, la prospettiva però porta lo sguardo sulla nudità, lo spazio non è una casa di
amanti. Ci dice molto sul pensiero di Manet, che era un repubblicano convinto (diario del
viaggio in Brasile con una nota sul disgusto per avere visto il commercio degli schiavi;
Manet partecipa a delle mostre di sottoscrizione per sostenere gli operai danneggiati dalla
guerra di secessione). Questa signora, Lor, non compare solo in questo quadro. Il rapporto,
interpreta l’Olympia in un contesto che appare più legato all’orientalismo perché la donna
nera sta aiutando la bianca a togliersi dei veli ed è complice di questo piacere visivo.
Tornando ambienti vicini a Manet, Bazille testimonia una ambivalenza rispetto a questi
temi, un quadro rifiutato al Salon è una scena nella tradizione orientalista in cui il rapporto
bianca-nera è evidente: “La Toilette” e lo stesso pittore fa dei ritratti più in sintonia con la
Lor dell’Olympia: una fioraia molto vestita, che offre un mazzo di fiori, lo sta sistemando
con elementi etnici ridotti al minimo mentre questa grande attenzione ai fiori è variamente
di sofferenza) e poteri medicali delle piante quindi comunque una concezione positiva che
Degas rimane incuriosito da una donna afro-discendente, Lala una trapezista che si esibiva
al circo molto celebre per la forza della sua mandibola: come mai questa figura riceve un
famiglia della madre, impegnata nell’industria del cotone, quindi aveva una famiglia
mista anche lui e il circo e il teatro (per Ira aldrige) sono i luoghi in cui gli afro-discendenti
anche l’esperienza del ballerino Chocolat effigiato da Lautrec, figura consapevole rispetto
alla marginalità e cosa questa marginalità gli consente di fare. Concludere questa parte
ricordando che Gauguin copia l’Olympia di Manet e questa copia viene acquistata da
Manet: questa triangolazione ha molti risvolti. Gauguin proviene dalla cerchia di Manet e
l’acquisto di Degas dà ragione a Gauguin: il dato più evidente è la simmetria del volto
dell’Olympia e anche come la relazione tra le due sia nella copia leggermente diversa
perché qui la domestica nera è un po' più in attesa della risposta della donna bianca
negli stati del sud è un’attività repressa dai bianchi proprietari terrieri e di schiavi ma sono
colleghiamo questo alle fondazioni delle università nere capiamo quanto questo discorso
sia importante. Homer è un grande viaggiatore, pittore autodidatta che rimane fedele ad
una visione dei dettami del realismo e “Gulf Stream” è un quadro messo a paragone da
Boime con Watson e lo squalo perché ha delle analogie e risuona una dimensione
nero molto lontano da quello di Copley che è immobile nel contesto esagitato, questo è un
marinaio che ha ben poco con cui affrontare la tempesta, eè stretto tra gli squali in primo
paino e il tifone sullo sfondo e tuttavia rimane vigile, non si è abbandonato al flusso degli
eventi, osserva la situazione e in qualche modo in attesa di qualche elemento che possa
modificare il suo destino, soprattutto il pittore non sposa i cliché razzisti di Copley.
Alla fine del secolo: Francisco Oller y Cestero, portoricano transitato dall’atelier di
Couture e diciamo che la situazione dei Caraibi rispetto agli stati uniti presenta una
disparità sono comunque molto forti. “The school of Rafael Cordero” il cui magistero si
svolge sotto l’emblema e l’egida della chiesa cattolica: che tipo di insegnamento
impartisce? Forse lo sguardo che il pittore rivolge alla sua capacità di insegnante non è
molto lusinghiero perché i bambini sono distratti, figura non capace di mantenere l’ordine
e frustino alle sue spalle che si riferisce non ad uno strumento che usa ma di cui conosce
l’uso perché Cordero era uno schiavo arrivato come tale a Santo Domingo che poi riesce
ad emanciparsi grazie ad una diversa legislazione. Il pittore rivolge uno sguardo critico
alla società portoricana e anche al ruolo della chiesa e si può dedurre dal quadro “El
Velorio” in cui mette in luce gli elementi di immoralità che pervadono la società
morto ma tutti intorno sono impegnati in altro, distratti da appetiti sessuali, cibo, vino,
musica, c’è una grande confusione e l’unica persona che ha un atteggiamento coerente con
l’unico capace di una spiritualità ancora autentica, non corrotta, tant’è vero che è un po' un
manifesto, un dire che una vera dimensione spirituale c’è e sopravvive solo in alcune fasce
sociali lontane dalla chiesa cattolica e dalla sua ritualità; la presenza divina è stata colta nel
raggio di luce che filtra dalle assi della capanna che intercetta il bambino e il vecchietto
capace di spiritualità.
Rappresentazioni positive che hanno a che fare con la musica, gli afro-americani sono
associati ad essa come se fosse una loro naturale predisposizione. Eakins, un realista,
dedica a 3 generazioni che imparano a danzare e suonare un ritratto positivo: non hanno
pose esasperate o esagitate ma sono compenetrati nel loro ruolo, c’è un passaggio di
lesson” di Tanner, quadro molto esposto, il nonno insegna al nipote a suonare e i due sono
in un contesto umile ma visti in una luce positiva perché sono concentrati su ciò che
stanno facendo. Tanner è uno di quelli non univoci su queste tematiche perché
all’Esposizione universale di Parigi nel 1900 espone “Daniele nella fossa dei leoni”, in cui
non c’è una presa di posizione politica. Stilisticamente c’è una differenza tra i pittori che
esprimono idee differenti su questo tema? Secondo la prof no, un discorso è l’iconografia e
da quella si può capire molto, altro discorso è lo stile, lo stile è più dovuto al momento
storico in cui vengono realizzate delle opere, è l’iconografia che ci aiuta a distinguere. Gli
orientalisti sono conservatori dal punto di vista ideologico ma spesso sono innovatori dal
punto di vista stilistico o formale (anche per il fatto di affrontare condizioni luminose e
soggetti che sono diversi da quelli su cui si sono formati), ad esempio Basil lo
sull’emancipazione e i liberti nella scultura, siamo all’inizio del ‘900 ed ebbe una delle voci
20/10/2021
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21/10/2021
perché gli oggetti vengono intesi come una maschera dell’uomo bianco e del suo sguardo,
un modo per alienare ancora di più le persone e i popoli, oggi da una critica postcoloniale.
In questa mostra creata da William Rubin lo studioso ci introduce a questo problema (vedi
foto su cellulare delle slide). 2 questioni: cosa significa primitivo e primitivista nella critica
d’arte? E la seconda l’interesse degli artisti per questi oggetti. Sul primo aspetto nella
critica il termine “primitivo” è associato a luoghi esotici (Gualtier in relazione ad Haiti con
questa immagine in cui Haiti rappresenta la possibilità di vedere ogni giorno Venere
uscire dal mare, non solo una proiezione dell’età classica al di fuori dell’occidente ma
anche un’associazione tra primitivo e molto antico; a partire dagli anni ’80 dell’800 questo
termine muta e si arricchisce e si inizia ad usare l’aggettivo primitivo per Serat; Serusier
parla dell’età dei primitivi in relazione alle scuole d’arte antica precedenti a Raffaello;
usa aggettivo primitivo per Degas: non solo qualcosa lontano nel tempo ma l’aggettivo si
può impiegare anche per i contemporanei.) a partire dagli anni ’90 dell’800 il termine
un’osservazione di un anti naturalismo e pian piano nel corso del ‘900 ancora il termine
primitivo si allarga semanticamente. Pizarro scrive al figlio “la grecità e il primitivo sono
reazioni alla commercializzazione e al mercato”, lui individua nel rivolgersi all’antico, sia
antico classico o un antico (arte primitiva =stadio originario delle forme, precedente ma in
età contemporanea), è il mercato. Nel 1915 Carl Einstein scrive “negroplastic” con
riferimento all’arte primitiva; Lionello Venturi scrive del gusto dei primitivi nel ’26 , un
tema ripreso negli anni ’60 da Giovanni ?. infine per ritornare al discorso di Rubin, Rober
Goldwater nel 1938 da una lettura complessiva del primitivismo nell’arte moderna,
L’altro aspetto che solleva la citazione di Rubin è l’attenzione, l’interesse degli artisti per
una dimensione che non sia solo estetica verso gli oggetti ma che tenga conto delle loro
origini e della loro presunta antichità (per cosa sono stati prodotti?). uno dei primi a
occuparsi di arti primitive, tribali è Andè Derain (la danza, 1906 si ispira ad un fregio a
basso rilievo del tempio di Siva a Banteay Srei. Per il modo in cui lui rielabora lo spunto
visivo ritroviamo il discorso del ritmo interiore) che le incontra durante un soggiorno
londinese visitando il British Museum e si imbatte nei rilievi indonesiani. Analizza dal
punto di vista formale la scultura tribale e a suo avviso dal punto di visto estetico ci sono 2
modi di leggerla: un primo è il fatto che osservando la scultura tribale si dia risalto
all’espressione, al ritmo interiore e alla potenziale dinamicità delle immagini, quindi una
spazializzazione della luce, usa dei piani dei volumi. Andrè Derain, Bagnanti, 1907 che
corrisponde alla seconda linea di ricerca in cui il cromatismo Fauves si annulla abbastanza
e c’è il modo di lavorare le figure con i piani di luce con un effetto abbastanza raggelante,
di immobilità. In mezzo fra le due linee individuate anche Matisse sta ragionando sull’arte
tribale ma in una maniera in cui sentiamo ancora lo sguardo orientalista che riemerge nella
sua pittura anche più avanti. Il suo “Nudo blu, ricordo di Discrait” è un ricordo del
viaggio in Algeria, in un quartiere noto per una zona a luci rosse. C’è un fondo, ci sono le
palme che danno una collocazione esotica e giustificano la zona, per il resto il nudo dalla
critica del tempo viene interpretato come un esempio di estetica del brutto, nel senso che è
un corpo che non incontra sufficientemente il voyerismo, non sollecita abbastanza l’occhio,
tuttavia riguardo le due strade individuate di Derain collochiamo Matisse nella prima per
la scelta di questa figura quasi avvitata su se stessa. L’interesse di Derain per la scultura
da questo essere non corrotto dal mercato e la separazione tra estetica ed etica e Derain
arte popolare) e il quadro di DErain “La toilette” in cui le spinte primitive sono state … il
medesimo delle Demoiselle de Avignon ci troviamo su un altro ritmo, e figure non sono
scalate e c’è assenza di profondità e c’è la compresenza di frontalità e profilo che la critica
legge come gusto egizio). In questi stessi anni, nel 1907, Matisse torna da un viaggio in
primitivismo consente a Gauguin di mantenere integri e saldi i suoi nudi che sembrano
ritagliati e il linguaggio delle artyi arcaiche e tribali diventa un modo per abbandonare il
naturalismo e arrivare invece ad una sorta di “astrazione” che ha alle spalle una matrice
spiritualista ed è un modo per reintegrare l’arte del passato all’interno di una ricerca
formale che invece rimane una ricerca del’avanguardia. In questi stessi anni, Matisse
dell’arte tribale senza lasciarsi sedurre da una dimensione simbolica o rituale ma anzi
Picasso invece è in una posizione diversa e il suo interesse per la scultura primitiva
riguarda anche la carica spirituale che questi oggetti esercitano su Picasso spesso come se
probabilmente prodotti, lui non ha mai parlato veramente del primitivismo e quando ne
ha parlato ha negato il suo interesse per l’arte tribale ma negli anni ’30 lo fa secodno la
critica per prendere distanze dal surrealismo (?). una chiave di accesso che la crutuca usa è
un romanzo di Andrè Salomon che è rimasto a lungo inedito ma era già redatto negli anni
in cui Picasso lavora alle Demoiselles, tra l’altro Salomon parla di Picasso nei termini di un
dell’Africa. Picasso rimane ossessionato nel romanzo, dalla visita di una collezione di
anticaglie allestite su; il personaggio letterario è ossessionato da questi oggetti che sono
delle maschere e cerca di riportare questi oggetti nella sua arte. La critica ha individuato in
questo rapporto più emotivo di Picasso con la maschera un dato originale rispetto a
quanto fanno Derain e Matisse. Il contesto in cui P. cala queste maschere rinforza il potere
che la maschera esercita sul pittore perché il quadro viene letto in una chiave di desiderio
sessuale represso a causa della paura delle malattie veneree, contesto di attrazione e
repulsione verso la sessualità rinforzato da una situazione di potere storica in cui si trova
la Francia in quegli anni a causa del colonialismo (le maschere provengono da territori
appena conquistati come alcune zone dell’Africa). Opera è un esorcismo imparentato con
esorcismo, tanto quanto le maschere hanno un potere spirituale allo stesso modo secondo
la critica P. trasferisce questo potere nelle demoiselles e l’oggetto del potere è il desiderio
sessuale e il desiderio erotico. Ci sono altri riferimenti, lo schiavo morente, Gauguin, ecc.
Picasso dice: “quando andai al vecchio Trocadero ne fui disgustato. Il mercatino delle
pulci, l’odore. Ero solo. Volevo andarmene, ma non lo feci. Rimasi. E rimasi. Compresi che
maschere non erano simili a nessun altro pezzo scultoreo. Per nulla. Erano oggetti
magici… tutti i feticci erano usati per la stessa cosa”: Picasso era anche un collezionista di
Osserviamo Matisse:
come Gauguin è molto attivo a lungo sulle tematiche che ci interessano a partire da un
viaggio di qualche mese a Tangeri nel 1912 da cui riporta una serie di lavori tra cui “il
ritratto di Fatmah” che non rientra nel filone orientalista (eccetto l’abbigliamento) e nello
sguardo orientalista perché la donna è abbigliata e perché nella posa e nella frontalità c’è
una parità tra ritrattato e pittore. Anche tele di ambito urbano in cui lo sguardo si spinge
talvolta in profondità ma è concentrato sui luoghi e si tine a distanza dalle persone, anche
nel quadro “Cafè marocain” in cui convivono riferimenti e temi su cui il pittore lavora ma
che è risolto in una forma di un arazzo, di una composizione decorativa con l’elemento
della cornice e qualche elemento identificativo del contesto arabo. Ancora contesti arabi,
marocchini risolti anche come esplorazione di memoria cubista (Matisse Les marocains),
uno dei lavori più interessanti riguarda il rapporto con le modelle: sono 2 modelle, una
bianca e una afro-discendente e al quale lui dedica lameno un paio di quadr interessanti
che si collocano in dialogo con Manet. “Dejeneur oriental” tavolinetto in basso, da Manet
proviene sia la dialettica bianco-nero sia il rapporto che si crea tra le due donne, la nera sta
portando qualcosa alla bianca che ci guarda, mentre la Lor di Manet rivolge i suo sguardo
a Olympia, la nera di questo quadro, Ayshà, ci guarda e sebbene sta servendo Lorette in
realtà domina la composizione e c’è uno stuidio per decostruire alcuni apetti
dell’Olyympia. Il dialogo è ancora più serrato nel quadro “Aichà et Laurette” con la stessa
dinamica di sguardi di Manet, A. è abbigliata ll’orientale e guarda L., che guarda noi.
rapporti tra le etnie, per l’integrazione della figura afro-discendente nelle composizioni.
Questo discorso, sappiamo che i riferimenti orientalisti ritornano nella pittura di Matisse: è
il segno di un interesse formale e ideologico per questi temi ma c’è anche il rimanere,
quando il sogetto è orientalista permane quella tradizione e invece nella presenza della
cultura degli afro-discendenti è diverso. Nel 1930 va a New York, amava il jazz e si reca ad
Harlem per ascoltarla dal vivo e va a La Martinica dove passa alcune settimane, ripercorre
itinerario in cui c’è la memoria di Gauguin e produce un’edizione illustrata de “I fiori del
Boudelaire e alla donna creola e secondo la critica non adatta a caso il disegno a tratto che
produce un immagine in baicno e nero che sono anche i colori della pelle. Nel 1946 ci sono
modelle asiatiche che frequentano il suo studio ed una asiatica viene raffigurata come la
tra bianchi e neri. fino a il 1950 con “Danseuse creole” libro illustato con i decoupage il cui
titolo editoriale è “Jazz” perché l’editore vuole intercettare una passione per il jazz però le
illustrazioni sono dedicate all’ambiente del circo, ancora una volta un luogo di
integrazione dei neri non euroepri come dimostra questa composizione mostrata. C’è in
Matisse una saldatura tra la passione per il jazz, l’interrogazione sulla presenza
Parliamo di una insolita figura di pittore, un pittore nero, pittore soldato che durante la
prima guerra mondiale dall’Africa e dai Caraibi vengono arrualati afro-discendenti sia
ambinete assai meno ostile di quello cui sono abituati negli USA. Reclutamento non
battaglione nero della storia grazie alla partecipazione di un musicista jazz James Easy
Europe che era già una leggenda del jazz che per tendere il rpoprio nome a favore del
reclutamento dei neri chiede di essere retribuito lui e gli altri musicisti neri che
anche in mod ospecuilare come integrazione dei neri dentro l’elitè culturali europee. E
durante l’ultimo anno della prima guerra mondiale Wilson condanna pubblicamente i
linciaggi e questo reggimento di soldati neri vengono acclamati al loro rientro a New
York. HORACE PIPPIN ha partecipato alla prima guerra mondiale, è un pittore soldato e
la sua collezione viene precocemente presa dai musei americani e negli anni ’20 redige dei
taccuini in cui racconta e illustra le atrocità della guerra, l’isolamento in particolare dei
soldati neri, è concentrato sulla loro situazione. Nel 1930-33 ritorna su queste tematiche
con uno sguardo diverso, mettendo in pratica quella doppia coscienza di cui aveva parlato
nei taccuini (qui si rende conto di una dimensione di violenza ed esclusione) mentre nel
linguaggio solo figurativo emerge una dimensione eroica dei soldati neri (“The end of the
war, starting home” o “Barracks” del 1945 – scelta interessante di mostrare i soldati nei
dormitori e il pittore torna volutamente su questi soggetti). Fa un’opera “Il vaso della
vittoria” in cui i moschetti spuntano da un vaso insieme ai fiori: produzione in cui i segni
della guerra si depositano su un registro più simbolico. Serie delle “Holy Mountain” in cui
il paesaggio edenico e il rapporto uomo – natura così pacificato ma sullo sfondo ciu sono
soldati, croci e anceh linciaggi quidni è una figura interessante ch enei decenni ha saputo
rielborare anche in una chive positiva l’integrazione dei neri nella vita americana anche
nei confronti della guerra anche se questi sono anni in cui le comunità nere negli USA
Felix Vallotton, Les Tirailleurs senegalais au camp de Mailly 1917. Era troppo anziano per
gurppo di questi artisti lui è una voce a sé: preferisce concentrarci non sui momenti
violenti ma sulle scene quotidiane di relax delle retrovie e mantiene nei confronti dei
soggettti osservati una certa distanza, non entra troppo nell’initimità e possiamo ancora
più appprezzarla questo distanza se la conforntiamo con una iconografia ancora più
dilagnate ad esempio quella della pubblicità della bevanda al cacao del 1917 che ritrae il
tra luoghi di origini di alcuni pdrodotti ed etnia che risiedono in quei luoghi e la bevanda
alla guerra. Lo stesso Valloton si era messo in dialogo con Manet nel quadro “La Blanche e
la Noire” (bianca nuda e distesa e la nera seduta e vestita che stanno conversando, ma
sottrae il corpo della nera allo sguardo orientalista, l’oggetto del voyerismo è il corpo della
bianca), c’è questa filiazione dall’Olympia). Anche Man Ray ha una filiazione da Manet.
Ancora Vallotton che dipinge un ritratto di Aicha, la modella che aveva posato per
Matisse, questo ritratto ci dà esattamente la misura di che cosa stia succedendo negli anni
’20, ovvero la nascita e la crescita di una élite, una classe media borghese nera che non
vuole più essere identificata con una cultura tribale, non moderna e non urbana e si
appropria del modellismo e degli elementi estetici, culturali ed espressivi che sono quelli
della libertà e dell’occidentalismo e questo è la prima volta che succede in una maniera
rinascimento che ha il suo fulcro nel quartiere nero di New York. Vallotton esprime un
posizionamento e questo sembra evidente dai quadri, Matisse oscilla ma ci sono momenti
in cui esprime anche lui un preciso posizionamento: la sua passione per il jazz lo aiuta ad
abbigliato anche la bianca, c’è piuttosto un dialogo con Manet, il discorso con
l’orientalismo c’è più nel fatto di come rappresenta la nera cioè con l’orecchino, la collana e
il turbante.
ANDIAMO AL JAZZ E HARLEM RENAISSANCE ricordando che gli anni ’20 sono
segnati da una maggiore presenza dei neri anche negli ambiti più alti della cultura, ad
esempio il premio Goncourt del 1921 viene vinto da un poeta delle Antille. Nel corso degli
anni ’30 i neri diventano capaci di costruire il proprio sguardo, sono narratori, poeti e
letterati che danno la parola a propri personaggi etnicamente definiti e è interessante una
raccolta di poesie dal titolo “pigmenti” che scritta da un poeta caraibico Leon D’amas, che
mette l’accento sulle sostanze coloranti e attraverso questo sulla dimensione non naturale
del pigmento ma come qualcosa di artificiale e nella serie di poemi c’è un continuo
slittamento tra il colore e il colore della pelle al fine di sganciare l’appartenenza etnica e la
classificazione razziale da una dimensione naturale. Il nostro incarnato dipende dai geni
ma all’epoca le teorie razziste enfatizzavano il fatto del colore e una teoria del genere la
dimensione culturale più complessa, che tocca altre città ed è in dialogo con il
primitivismo e con il modernismo e ha anche una componente visuale non solo letteraria.
Tra gli autori antologizzati c’è anche Barnes, collezionista bianco, fondatore della Philippe
Collection. L’H.R. è inscindibile dalla musica jazz e una delle interpretazioni di questo
temine risale alla seconda decade e dobbiamo a Daniel Sutiff una ricognizione ricca della
fascinazione che il jazz ha esercitato anche sulle arti visive e ci sono alcuni esempi,
priva per dei pittori che si confrontano con l’astrazione. Dentro l’entusiasmo per il jazz
stereotipo e manipolazione dello stereotipo nel senso che lei si esibisce in danze tribali
prendere in giro il pubblico e quindi dimostra consapevolezza del suo ruolo e delle
04/11/2021
L’esperienza del colonialismo italiano ha inizio negli ultimi anni dell’800 e l’Italia
giolittiana ha costruito una propria identità di stato coloniale e abbiamo parlato della
complessa vicenda della vicenda che riguarda la battaglia di Dogali; come Cammarano
riesca a risolvere attraverso un lungo iter di gestazione ed è uno dei primi a recarsi in
colonia e realizzare una serie di studi per rendere conto in maniera realistica la vicenda. Il
quadro “LA battaglia di Dogali” transita dalla casa del mutilato al museo coloniale per
arrivare negli anni ’70 alla GNAM, dov’è esposto in maniera poco originale.
Roma 1911, mostra di Etnografia Italiana (Lamberto Loria: Africa in casa) e disposizione
dei Padiglioni regionali a Villa Borghese. Mostra del 50nario dell’unità d’Italia, Villa
rende conto della giovane nazione e a Lamberto Loria viene affidata la mostra di
etnografia italiana nwella quale lui rende conto delle diversità antropologiche di costumi,
di tipi umani che il paese presenta con una particolare attenzione a situazioni di
casa e la data di 1911 non sfugge al nostro occhio: siamo quasi dentro alle campagne di
Libia e si capisce come questo argomento venga fuori dalla politica estera e sia assunto in
termini politici. Ieri abbiamo parlato del museo coloniale e qui vediamo la battaglia di
Dogali nelle sale del Museo Coloniale che ha questa storia così complicata, trasferito poi
dentro Villa Borghese. Il museo coloniale si presenta con un forte accento sulla dimensione
militare della conquista, gli studi più recenti sono di Francesca Gandolfo e con
negli anni ha una vita piuttosto complessa e le sue collezioni hanno un rapporto osmotico
con una serie di esposizioni temporanee. Qualche anno dopo, alla fine anni ’20, vengono
aperte delle sale coloniali all’interno del Museo della Guerra di Rovereto (1929 – 1968).
Sottolineare la scelta di inserire l’esperienza coloniale all’interno di un museo dedicato alle
guerre di indipendenza e poi alla prima guerra mondiale, inoltre l’accento viene messo
ancora una volta sull’aspetto militare utilizzando la guerra e la violenza come altra chiave
di lettura l’esplorazione e la scoperta. Oggi queste sale sono visitabili però dopo un
interessante operazione di studio dei materiali promossa dallo stesso museo della guerra
di Rovereto nel 1992, coinvolgendo un gruppo di studiosi guidati da Nicola La Banca, uno
dei primi storici che si è occupato della revisione critica del colonialismo italiano. Da
questo intervento viene fuori un libro chiamato “l’Africa in vetrina”. Il primo aspetto cnhe
quotidiana che permetteva di attivare un immaginario esotico, cosa che i visitatori del
trofei dal soffitto e un grande uso di fotografia e di suppellettili militari (mostrine, gradi,
osservazione di controllo del territorio. Anche in questo caso si legge come storia militare.
L’autore di questa operazione museografica è il generale Mallarda che aveva partecipato al
colonialismo italiano fino agli anni ’20 e ottiene una serie di reperti che espone. Quello che
colonizzatori), la tendenza ad esibire prede ed eroi lavorando molto su questo tema della
colonizzazione come atto di civilizzazione. Rispetto alle sale degli anni ’20, il progetto del
’92 opera un diradamento dei materiali e fornisce al visitatore odierno degli strumenti di
sintetizzare che nel corso degli anni ’20 ce ne sono tantissime, di esposizioni coloniali
l’Italia ne fa moltissime (una 40ina tra il 1890 e il 1940 tenendo fuori quelle di carattere
locale e quelle legate alle missioni), per tutti gli anni ’20 a prevalere è un modello
museografico definibile bazar, ovvero una ricostruzione d’ambiente che mescola reperti di
varia natura, soprattutto arti applicate ma anche altri materiali; grossa impronta di
carattere commerciale anche con l’idea di sollecitare gli imprenditori ad investire nelle
scacchiera internazionale e con il Fascismo c’è l’idea di dare uno sfogo alla crescita
studi interessanti su come questa architettura si sia mantenuta in colonia e poi restaurata
Una delle altre caratteristiche di queste esposizioni coloniali che trovano collocazioni in
manifestazioni molto più ampie hanno una componente di museo vivente o parco a tema
villaggio somalo). Negli anni ’20 prevale una disposizione di carattere geografico
ordinando i materiali per aree della colonizzazione e sin dal 1914 (prima mostra coloniale
in Italia, mostra in sé si intende a Genova) si crea negli anni una forte osmosi tra materiali
attività militari, ai prodotti coloniali di industrie italiani presenti nelle colonie, sia reperti
ideologico vero e proprio. Nel 1931: data importante per l’esposizione coloniale
internazionale di Parigi, con una consistente presenza anche italiana, e non solo. L’Italia ha
collocate le attività
ricreative.
a Parigi viene costruito il
museo delle colonie, Palais de la Porte Dorèe, 1931, con un fregio che corre lungo i 4 lati,
personificazioni delle colonie portano doni, ricchezza, prodotti tipici alla madrepatria. Il
palazzo esiste ancora ma nel 2007 è divenuto: museo nazionale della storia
luoghi che tutt’ora mantengono con la Francia rapporti di contiguità “coloniale” ma non
proprio, riconoscendo il ruolo delle popolazioni nella costruzione di uno stato multietnico.
altro dato importante è la critica
dei surrealisti all’esposizione coloniale del ’31 in cui Breton e altre figure prendono
posizione dicendo che ciò che viene esposto è il frutto di campagne di invasione, di guerre
rapporto con popolazioni che oggi sono colonizzate. Ottobre 1931 – gennaio 1932, mostra
Autonomo della Fiera di Tripoli. Con questa operazione da una parte si coglie lo sguardo
egemonico che quei pittori hanno avuto nei confronti dell’alterità, ma dall’altra li si usa
come predecessori illustri di una produzione attuale di arte coloniale come se ci fosse una
continuità: questa continuità in qualche modo c’è, però in particolare per l’Italia gli
alimentando “un mercato del cattivo gusto” e nel secondo caso facciamo ancora peggio,
fuori dalla loro attualità, e glielo facciamo copiare incoraggiamo una produzione di falsi.
oggetti d’uso attivi) e delle copie odierne di qualcosa che non è più un manufatto che
Passiamo a due episodi napoletani che proseguono sul discorso dell’arte coloniale:
- Seconda mostra di arte coloniale a Napoli nel 1934 all’interno del Maschio
Angioino, Napoli scelta come una delle città principali del colonialismo perché
sede di un’associazione africana (?). raccoglie vari elementi, c’è una giuria e in
questo caso vengono coinvolti 8 artisti che sono stati inviati a spese dello stato in
colonia per realizzare delle opere ad hoc. Accanto a queste opere ci sono mostre che
castello una serie di strutture effimere tra cui un accampamento di pirati che
minacciano la città (finta che ci sia un attacco di pirati in corso). Un tema che ritorna
Nel 1935 inizia l’iniziativa di Mussolini di costruire un impero, inizio guerra di Etiopia e in
spalle di un personaggio nero, coronato, che tiene in mano un fucile ma che lo tiene in una
maniera che non è una maniera militare. La vignetta vuole mettere in luce che la società
delle nazioni è di interesse britannico e questi britannici sono coloro che armano gli afro-
discendenti, il re in particolare, che non è davvero nero. Sironi demonizza questa figura
proponendola come nero africano, il modo in cui tiene il fucile la critica ha individuato un
riferimento a come i jazzisti tenevano gli strumenti musicali, introducendo nella vignetta
satirica e razzista l’elemento della musica jazz. Altra figura importante è la figura in basso
tenuta da una catena e il riferimento è alla schiavitù: Sironi sta dicendo l’imperatore di
Etiopia è sostenuto dalla Gran Bretagna, che si rende colpevole di sostenere un regime
schiavista. In realtà sembra che non corrisponda al vero ma è uno degli elementi retorici
per sostenere la guerra in Etiopia. Il regime coloniale che l’Italia instaura in Etiopia è di
totale segregazione.
Negli stessi anni un dadaista realizza invece:
testone di Mussolini che fronteggia una piramide di teschi, riprendendo una vignetta
La Triennale di Napoli, gli indigeni colonizzati che avevano contribuito a costruire questo
villaggio, vengono chiusi qui dentro quando inizia la guerra e diviene un vero e proprio
organizzata in 3 sezioni: la storia della cultura italiana, colonie con una disposizione
geografica, benefici economici ed industriali del colonialismo italiano. Poi zone dedicate
Vari filtri con cui l’esperienza coloniale viene narrata: filtro della romanità (materiali dalla
di vista, parte dedicata alle repubbliche marinare che dopo l’impero romano continuano
una sorta di citazione da mostre precedenti, un luogo irreale e sincretico abitato da gente
proveniente da diverse parti della colonia. Formare le coscienze, l’uomo coloniale e
sedurre, c’è una grande attenzione agli aspetti ludici e ricreativi e nei teatri si mettono in
scena testi che si richiamano alla romanità. Dal punto di vista dei manufatti esposti la
situazione è deludente e corrisponde all apovertà delle raccolte etnografiche italiane con
Come deve essere l’uomo coloniale? Con un chiaro inquadramento della divisione del
Melkiorre Melis di grande importanza, stile che cerca di ibridare un lessico anticheggiante
ripreso dalle decorazioni antiche con un apparato decorativo che viene dalla produzione
locale contemporanea sempre con questo filtro esotizzante che permane anche in lui.
Importanza degli studi di Simona Troilo. I soldati stessi hanno da una parte contribuito
alla tutela e alla salvaguardia di reperti importanti, dall’altra si sono resi protagonisti di
territorio: doppia posizione nei confronti dell’antico. Il mondo degli archeologi è in prima
linea nelle operazioni di scavo al seguito delle campagne militari e si fanno interpreti
dell’ideologia coloniale ma in Italia anche questa loro partecipazione viene delusa nella
gestione di questi luoghi (Leptis Magna, Cerene, ecc.) non è la direzione antichità e belle
arti ad avere l’ultima parola ma sono i funzionari del ministero delle colonie. Nel doppio
binario che caratterizza paesi e popoli colonizzati nella questione della tutela e alcuni
reperti si trovano a lungo nelle collezioni nazionali creando le premesse per quel
Ricostruzione del tempio di Angkor a Parigi nel 1931: saggio di Isabelle Core sull’uso dei
calchi dalla metà ‘800 alla metà ‘900: perché si usa? Il metodo garantisce “l’effetto realtà”. Il
punto è che a fronte di questa tecnica i risultati sono manipolati, sia i singoli calchi sia il
dell’Indocina sono un esempio di come nel caso dell’Italia e della Libia sceglie di
valorizzare i resti romani per giustificare il ritorno degli italiani, nel caso dei francesi
sull’Indocina c’è interesse per il patrimonio Kmer che viene messa in contrasto con la
decadenza odierna di quei territori e nella distanza di questi due momenti si trova un
10/11/2021
Alcune questioni cambiano, altre ce le portiamo dietro da quanto abbiamo già un po'
particolare ci sono le popolazioni al confine tra il Canada nord e il circolo polare artico e
gli aborigeni australiani. Diciamo che è un fenomeno che riguarda l’etnografia e le arti
visive, come se una valorizzazione delle arti tradizionali di queste popolazioni viene
riconosciuta dai musei etnografici europei ma non solo e contemporaneamente anche gli
figura di donna bianca nata e cresciuta in Australia ma che viaggia in Europa già negli
avvicina al lavoro che in Australia sta svolgendo un etnografo e pian piano dall’aver
adottato delle forme di modernismo più tradizionale nel suo repertorio visivo ci sono dei
riferimenti all’arte aborigena, che non sono una semplice appropriazione ma c’è un
viene identificato soprattutto con i titoli. “Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden” con i
progenitori neri. chi è Leonard Adam? Qualcuno che ha dovuto lasciare la Germania nel
’34 perché ebreo, dove si occupava di collezioni etnografiche, va in Gran Bretagna dove
scrive “Primitive Art” pubblicato nel 1940 e quando va in Australia poco dopo è incaricato
delle collezioni etnografiche universitarie a Melbourne rispetto alle quali svolge un’opera
di accrescimento. Sia lui che Preston svolgono un ruolo importante anche per due mostre
che sanciscono il passaggio degli oggetti etnografici dal campo specifico dell’etnografia ad
uno di carattere più estetico: “Art of Australia 1788-1941” del 1941 (mostra itinerante):
l’arte degli aborigeni e dei coloni, nell’ordinamento quella degli aborigeni è posta come
fonte della produzione visiva dei colonizzatori come fonte in qualche modo; “The
Primitive Art Esibition” del 1943 alla National Gallery di Melbourne con arte primitiva un
po' da tutto il mondo secondo una concezione diffusa all’epoca in cui arte primitiva è
intesa come arte preistorica, i primitivi rappresentano l’umanità ad uno stato precedente
quello della civilizzazione e offrono di osservare cos’era l’uomo migliaia di anni fa. Per
Adam arte primitiva è autentica e con questo tipo di operazioni è una mostra che dato che
avviene nella National Gallery non è etnografica ma una mostra d’arte, gli oggetti sono
sussunti alla dimensione estetica e se pensiamo a Roma fino a qualche anno fa esisteva un
museo di arte orientale a Via Merulana che oggi non esiste più e fino a che è esistito le
collezioni erano artistiche e non etnografiche. Qualcosa di simile avviene anche per le
popolazioni del nord del Canada, la figura chiave è George Swington che si trasferisce in
Canada e nel ’57 incomincia a rendersi conto delle qualità estetiche dei manufatti e delle
potenzialità economiche e la cosa un po' problematica dal punto di vista etico e politico è
che il modo come le collezioni canadese sono create assomiglia molto ad un furto perché le
cerimonie di scambio rituale sono messe fuori legge e gli oggetti sono acquisiti tramite
inganno.
Possiamo capire cosa succede nell’ambito invece della presenza degli afro-americani nella
cultura occidentale, guardando assieme stati uniti e Europa. Come era successo per la
prima guerra mondiale anche nella seconda ci sono contributi dei soldati afro alla guerra e
la situazione è abbastanza diversa tra stati uniti e Francia. Dentro esercito situazione
comunque di segregazione, in tutti gli eserciti; quando rientrano in patria i soldati neri
americani quello che trovano è un paese in cui nonostante la segregazione non fosse
sancita per legge nei fatti c’è una totale separazione tra bianchi e neri e di questo rende
conto questa figura di soldato pittore William Johnson che affronta il problema con
prospettive molteplici.
distinzione tra il Cristo bianco e i due ladroni
neri. rari riferimenti alla pratica dei linciaggi che è un dato molto presente nella società
americana per tutti gli anni ’50 e anche oltre ma di cui in generale gli artisti afro parlano
assai raramente.
Altra figura interessante attiva negli anni ’40 è Jacob Lawrence la cui produzione si
concentra sulla grande migrazione che inizia nell’800 ma che ha una accelerata dopo la
crisi del ’29 dagli stati del sud verso il nord dove incontrano una segregazione di fatto.
narrativa che viene fatta risalire alle predelle delle pale d’altare, soluzione narrativa
rinforzata dal tipo di pittura semplificata, quasi da fumetto e a rinforzare questa volontà di
alcune si riferiscono ai vantaggi che incontrano negli stati del nord rispetto a quelli del
sud, il tema dell’educazione ad esempio e il tema della violenza e dei conflitti che è
qualcosa di diffuso nella pittura di questi anni. Il MoMa li acquisice tramite Alfred Bar e
probabilmetne anche perché è un tipo di pittura che può essere intesa come moderna
anche nell’aspetto, quasi da collage. Anche Pipen il pittore soldato si riferiva a temi simili e
anche lui in questi anni viene acquisito dal MoMa; stiamo parlando di artisti afro che
Un’altra di loro è Elizabeth Catlett che organizza una serie di grafiche in cui illustra la vita
notazioni spesso in basso e riferimenti alla pratica dei linciaggi e della segregazione.
Oltre a pittori ci sono anche fotoreporter che si interessano alla condizione dei neri nella
società americana e Gordon Parks è uno dei più celebri, pubblica su Life ed è un fotografo
consapevole perché questa foto fa riferimento alla composizione degli anni 30.
società americana. Appunto si dedica a lungo a questi soggetti e la fotografia diventa uno
Altro fotografo afroamericano è Roy deCarava è uno dei primi, anche regista e lavora a
fià incontrata l’integrazione dei neri nella società borghese americana e dall’altro lato
Spostiamoci invece sull’altra sponda dell’Atlantico e vediamo cosa succede più o meno
negli stessi anni. Ritroviamo alcuni temi, la questione del Jazz e il suo ruolo per
complesso jazz completamente nero e in questi stessi anni lui soggiorna a lungo in Algeria
e la critica ha colto che sono gli stessi anni in cui mette a punto il concetto di Art brut. Per
la Francia il rapporto con il nero e l’arabo diventa problematico perché è un paese che
mantiene le colonie dopo la seconda guerra mondiale e a partire dal 1954 l’Algeria si inizia
a muovere per l’indipendenza. Cosa succede a Parigi in questi anni? C’è come Dubuffet
una cerchia nutrita di intellettuali che si avvicinano in modo militante alla causa dei neri
che prendono parola in modo sempre più crescente e nascono una serie di luoghi, di
cenacoli intellettuali come la rivista “Presence Africaine” ma non è l’unica: tra i fondatori
ci sono nomi come Camus, Sartre e intellettuali neri come Cesaire, Wright e Leopold Sedar
Senghor e l’idea è quella della negritude, l’idea che tutte le persone che hanno le loro
origini etniche in Africa condividono qualcosa, abbiamo qualcosa in comune e che questo
e che questo possa consentire loro di unirsi per far valere il oro diritti e una serie di
dell’essenzialismo.
viene illustrata da Wilfredo Lama, pittore cubano formatosi a Parigi. Idea di una unità di
una cerchia di intellettuali che tutto sommato sono in grado di mescolare appartenenza al
nord e al sud del mondo; Sartre svolge un ruolo importante nella prefazione ai “Dannati
della Terra” in cui si spende per integrare e dare dignità alla produzione culturale
Torniamo sul discorso di unità e interesse per la cultura afro con il fotografo Carl van
Vechten, sostenitore degli afro e negli anni ’40 realizza ritratti fotografici di musicisti e
cantanti del jazz nei quali la critica ha visto un riferimento a Man Ray, riferimento non
discussione del cliché culturale (la cantante qui appare bianca in confronto alla maschera
Ancora jazz: per Mimmo Rotella, “Pazzi per il jazz” con locandine cinematografiche.
Anche Renato Guttuso, importante per il discorso del corso; in questo caso “Boogie –
Woogie” l’aver usato Mondrian come sfondo dà all’opera una chiave in più di internità ad
una tradizione artistica che ha visto nelle musiche e nei ritmi del jazz un punto di
ispirazione importante.
argomento secondario ma non lo è per niente, è uno dei modi in cui le arti visive si sono
Bob Thompson è un pittore nero che ha uno studio a Roma tra il ’64 e il ’66 e realizza una
serie di opere più legate ad una esperienza che sentiva più vicina.
Altro lavoro di Thompson è The Execution in cui si parla esplicitamente dei linciaggi
sempre con soluzioni stilistiche sommarie e semplificate, che non hanno bisogno di
Una delle prime volte in cui si parla di linciaggi lo troviamo in una canzone forse di Billie
Holiday del ’39 in cui il titolo fa illusione ai frutti che pendono dagli alberi che sarebbero i
Cosa succede negli anni di esplicita lotta anticoloniale e nel momento in cui alcune nazioni
e popoli che vivevano come colonie iniziano a ribellarsi, processo lungo che attraversa gli
anni ’50, ’60 e ’70. Il primo caso è la guerra di Algeria. Va detto che per gli artisti visivi
una forza economica politica e culturale percepita come aggressione e prevaricazione però
Questo discorso della negritude prosegue negli anni ’50, Parigi è un centro importante, e in
questi stessi anni ’50 si segnala un film premiato a Venezia nel ’56, che si concentra sugli
popolazioni che si trovano tra Mali e Ghana, i popoli Songai e si riferisce a dei rituali Waka
(che rituali sono? Perché sono interessanti? Le popolazioni hanno inglobato esperienza
conto di come alcune credenze siano state trasformate dall’esperienza coloniale e di come
il rituale serve in qualche modo a digerire questa esperienza. È una violenza che devono
Picasso, Guttuso, Hernst, Leonardo Cremonini, un pittore non molto noto Robert Lapujad
(francese). La guerra copra gli anni dal ’54 al ’62 ed è problematica per la Francia
si trova a parti invertite in colonia e dal punto di vista politico il governo non è in grado di
tramite la pittura astratta perché è una strategia per evadere la censura. Altre figure meno
coinvolte come gli italiani o Picasso, si confrontano con l’iconografia. La guerra è una
nell’opinione pubblica europea riesce ad avere una certa attenzione e lo studio di Goudal
tortura, casi efferati di violenza) c’è una risposta da parte anche dei pittori e degli artisti
visivi in generale.
c’è anche uno studio per l’Algeria francese in cui campeggia un corpo di donna seminudo
con una mano a coprire il sesso con riferimento alle pratiche diffuse di stupro. Nel quadro
periodo in cui l’Algeria è stata francese, modo in cui è stata rappresentata da un pittore
come Delacroix, prendere le distanze da quel tipo di lettura dell’Algeria; che tipo di
iconografia adotta Guttuso per raccontarci delle donne di Algeri? Sembra essere una
deposizione, abbiamo un ragazzo in primo piano un ragazzo morto, ferito, sul quale si
riversa la figura centrale come un compianto sul Cristo morto, assumendo un’iconografia
cristologica (cosa non rara in Guttuso) prendendo l’attulità, le donne sono velate e
antifascista collettivo che viene esposto in una mostra “Antiprocesso 3” in una galleria
privata di Milano, gruppo di artisti italiani e francesi che si battono a favore di una serie di
pittori del momento. Di quelli che partecipano al quadro è difficile riconoscere le mani,
riconosciamo il contributo di Enrico Baj nelle due figure centrali. Vediamo la svastica e poi
in alto il contributo di Errò che si riconoscono le gambe aperte con riferimento a delle
ottengono un intervento della polizia che lo tiene sequestrato per quasi 25 anni. Alcune
opere evitano il sequestro per opere meno esplicite nei titoli ad esempio. Essendo un
lavoro collettivo non esclude che non ci sia stata un’azione aggressiva da parte degli
Nell’arte italiana ci sono anche altri casi meno espliciti iconograficamente ma espliciti per
il titolo (Carmi, Franco Angeli due lavori astratti; quello di Carmi abbastanza parlante,
una situazione di violenza). Nel caso di Franco Angeli è più difficile decodificare ma
contrapposizione politica nello spazio urbano romano, certamente non era dalla parte dei
francesi.
Marco Rinaldi si occupa anche di questo interessante esperimento teatrale:
non un testo tradizionale, la voce narrante è un immigrato algerino che dalla Francia vuole
rientrare in patria e nel farlo subisce anche lui una serie di violenze.
Nell’ambito dell’interesse degli artisti per le lotte anticoloniali un ruolo di primo piano
giocano coloro che sono vicini all’area verbo-visiva, ambito estremamente politicizzato
della sfera artistica italiana, gli esiti sono più dei manifesti politici secondo alcuni.
Nel caso degli artisti italiani è un dato evidente che all’entusiasmo per le lotte anticoloniali
italiana; alcuni di loro nati negli anni ’30 hanno vissuto poco il fascismo ma negli anni ’50
avevano consapevolezza per mantenere una memoria dell’Italia colonialistica, altri sono
nati negli anni ’20 e il fascismo e la guerra li hanno vissuti pertanto diventa ancora più
significativa questa assenza di parola sull’Italia coloniale: rimozione collettiva che alcuni
settori della cultura italiana fanno di quella esperienza, anche i settori di sinistra pur in
anni in cui l’Italia perde le colonie già nel 1943 e poi con i trattati del 1947 ma non si
dell’Italia nei confronti della Libia e della Somalia in particolare e ottiene il protettorato in
Somalia. Il dibattito politico non è depurato dal colonialismo, anche in Italia qualcuno
questo è un lavoro tra i primi. Lavori che esegue sulle pagini dell’illustrazione italiana che
chiude nel 1962 di cui lei trova degli scarti e opera degli interventi sulle pagine del
giornale, in cui convivono elementi verbali ed elementi figurativi. Tra questi interventi
spicca questo in figura: locandina della Triennale d’Oltremare pubblicata nel 1940
di poesia e in chiave ironica “Bravi” con riferimento alla conquista della quarta sponda
con la retorica tipica del fascismo e il legionario romano che scavalca il Mediterraneo. Ci
sono delle frecce che possono essere intese come una evidenziazione visiva e come l’idea
di una popolazione che si contrappone al legionario ma con armi primitive ovvero arco e
freccia. Non c’è una vera e propria presa di posizione in questa composizione ma il tirare
fuori una memoria che in quel momento era abbastanza negletta, oscurata dal dibattito
Parallelo tra l’opera di Isgrò al Quirinale e quella di Lucia Marcucci “Bravi”: se guardiamo
con più attenzione il lavoro di Isgrò, mentre i lavori di Marcucci sono lavorati con
cancellature mirate, Isgrò il tipo di cancellatura che opera azzera quasi completamente la
visione semantica e visiva della scrittura, le righe sono quasi tutte coperte di nero, il
Lucia Marcucci, l’imprevedibile gioco del destino, 1965, collage su carta: dicotomia tra
Altro lavoro singolare di qualche anno dopo è singolare perché è un piccolo collage in cui
sono accostati un appello per la libertà del Vietnam “La nuova società” 1967-68. Il testo
linguaggio esplicito, attiva nel rapporto sessuale: l’idea che viene fuori è che nella nuova
società il Vietnam sarà libero ma la donna avrà una diversa collocazione sociale e una
diversa autonomia di rapporti. Tra le pagine del fumetto Jodel questa è l’unica in cui ci
sono riferimenti al contesto sociale ed è forse per questo che Marcucci l’ha scelta. Ci dice
qualcosa di come anche la guerra in Vietnam viene intesa per modificare i rapporti di
Ketty la Rocca è l’altra artista di questo gruppo di questo gruppo 70 e opera in modo
simile a Marcucci, utilizzando il collage. “Possiamo bruciarlo” 1964-65, conflitto tra India e
Pakistan che non ha mai ottenuto il clamore della guerra in Vietnam ma che nasce
17/11/2021
Continuare il discorso considerando che ci saranno alcuni interventi esterni nelle prossime
settimane. Ci siamo mossi intorno agli anni ’60 e ’70, fase storica che se in Europa è vissuta
come momento di vivacità dei movimenti di protesta e trasformazioni del costume, uno
dei temi ricorrenti è la lotta anticoloniale, me negli Stati uniti c’è tutto questo ma si
confrontano con la segregazione razziale e gli studiosi hanno notato che c’è un’adesione
da parte di molti artisti afro alle battaglie per i diritti civili e questa adesione si manifesta
oltre che nella partecipazione alle manifestazioni anche nella adozione di una prospettiva
di progresso che si riflette nella produzione artistica attraverso soggetti e temi che si
rifanno all’idea del cammino: dato nuovo perché fino anche all’Harlem reinassaince si
caratterizzava per l’adesione al modernismo che non per l’idea di partecipare ad una
contesto.
NORMAN LEWIS, figura un po' di passaggio perché non ha iconografia chiarissima, non
sembra schierato al 100%. “Night Walk #2”, 1956, soluzioni messe a paragone con l’ambito
esponenti del KuKluz Klan: camminata notturna pericolosa per i neri. in questi anni negli
Stati Uniti inizia a montare un movimento di protesta che coincide con l’arresto di Rosa
Parks, boicottaggio mezzi pubblici e viene abolita la segregazione sui mezzi pubblici. In
questo contesto una tematica del genere ha un significato più chiaro. Qualche anno dopo
troviamo “What kind are you?”, 1968, olio su tela e collage: frase che invita ad unire le forze
che è ripresa da uno slogan di una campagna elettorale di uno dei primi sindaci neri di
una cittadina degli Stati Uniti. Siamo già nel ’68 quindi la situazione è già accesa, i neri
gruppo di artisti visivi afro che si chiama SPIRAL, tema dello sviluppo, della crescita, nel
1965 mostra dell’omonimo gruppo di pittori tra cui Romare Bearden, Lewis, Emma Amos,
Reginald A., ecc. Opere in bianco e nero, rimando al contrasto bianchi e neri, linea di
colore per esplicitarlo. Di Reginald Gammon vediamo un paio di lavori che sono
esplicitamente ripresi dalle marce: “Freedom Now” marcia di Washington del 1963, acrilico
su legno (da una foto di Moneta Sleet scattata durante la marcia del 26.VIII.1963.
nonostante la visione sia dall’alto il pittore ci immerge nella folla. Opera in bianco e nero
Anche Alma Thomas si concentra sullo stesso argomento della marcia, manifestazione per
tavolozza più ampia e restituisce la popolarità di queste battaglie anche presso i bianchi.
Una delle mostre da cui siamo partiti, “La rappresentazione del negro nella pittura
americana”,è una delle prime che si occupa e si focalizza su questo, scelta militante. Il
curatore è Sadik, visita di Martin Luther King riprova di una operazione politica che
potrebbe aprire tante riflessioni: che ruolo hanno avuto le istituzioni nel promuovere
Eakins, “Whistling for Plover”, 1874, dare conto che anche nella rappresentazione di una
dimensione conflittuale e di una dimensione attiva dei neri, tema che abbiamo osservato
del rappresentare gli schiavi, gli schiavi liberati come soggetto passivo MA in questo caso
Un altro lavoro interessante è un quadro di Jack Levine, “Birmingham ‘63” in cui il pittore
documenta l’uso dei cani da parte della polizia durante le manifestazioni e nei momenti di
ironizzando su questo guardarsi un po' con sospetto, quadro in cui riprende una bambina
nera scortata dall’FBI per poter andare a scuola, altra opera in cui ha costruito la scena in
cui ragazzini scrutano i nuovi arrivati nel quartiere con reciproca curiosità e con il gattino
bianco da una parte e il gattino nero dall’altra: sguardo bonario su questa conflittualità.
interessante perché ha vissuto l’onda dell’Harlem reinaissance, lavora con le stoffe e uno
cittadinanza negata per gli afro-americani. Nell’opera “the flag is bleeding” c’è uno strano
terzetto di persone, due bianche e uno nero che impugna l’arma ma sanguina anche. Anni
della Black Power, risposta anche armata e violenta in cui i neri reagiscono alla violenza
della polizia e della segregazione e dismettono i panni della vittima o di coloro che
subiscono semplicemente; uno dei simboli è il pugno sinistro alzato, reso celebre a Città
del Messico, che diventa anche il logo del Black Power. È Malcom X ad incarnare l’anima
del BP, consapevolezza di una forza che viene anche da un numero, non solo non violenza
come King.
ELIZABETH CATLETT, “Malcom X speaks for Us”, celebra Malcom, ucciso da un nero nel
1965, il suo volto diviene uno dei volti di questa molteplice identità afro, lui dà la voce a
queste diverse identità che nelle opere di Catlett sono per lo più donne. Lei è anche una
1967 viene fondato il giornale Black Panther, settimanale con una tiratura di 400mila copie
1971 Black Art: the Black Experience, mostra all’Occidental College di LA. Raccoglie arte
prodotta dai neri e l’accento è posto su cosa significa essere neri in America, occhio più
Sempre in questi anni Gordon Parks continua i suoi servizi di sostegno alla causa nera.
estremamente discussa: manifestazione di neri davanti alle porte del MET che ospitava
accorce che i guardiani non permettevano l’accesso ai neri e nello staff del museo non
c’erano afro-americani e neanche tra le opere esposte quindi il curatore Schoener vuole
aprire le porte di questo tempio della cultura e sceglie di celebrare la mecca di una fase
felice della cultura nera: Harlem che abbiamo già visto quanta importanza aveva avuto
negli anni ’20. Questa è la cornice in cui nasce il progetto, ma il progetto non coinvolge la
comunità nera tant’è vero che poi il curatore è tenuto a chiamare rappresentanti della
comunità nera e anni dopo dicono che c’erano ma gli venivano proposte delle decisioni già
aspetto è il taglio della mostra (mostra documentaria su Harlem come quartiere, senza
opere d’arte prodotte da afro-americani. Grande uso di foto, proposta come documento e
non prodotto professionale o artistico; la musica e i film, sistema di circuito chiuso urbano
che documentava quanto accadeva in uno degli incroci del quartiere): prevalenza del
bianco e nero, tranne una piccola parte di foto commissionate dal curatore, in più Harlem
è il soggetto dello sguardo, totale disconoscimento delle autorità e delle personalità che
hanno contribuito a fare Harlem ciò che era in quel momento. C’è molto uno sguardo
grosso museo americano che doveva aprirsi ad una maggiore varietà etnica.
Continuiamo sul tema degli autori neri: BEAUFORD DELANEY, cosmopolita, figura
tormentata perché vive abbastanza bene a Parigi ma gli anni che trascorre in patria sono
rappresentata con in braccio un mitra perché la musica è una delle armi del BP, nelle
musiche c’è riferimento delle lotte dei neri e contemporaneamente queste musiche sono le
Negli anni ’70 la scena artistica statunitense si lascia contagiare da questi temi politici,
DAVID HAMMONS è un afroamericano e realizza dei collage sui temi degli interrogatori
“Injustice Case”, 1970, della serie Body Print (collage sulla bandiera americana, impronta
con margarina e pigmenti in polvere); studia con Charles White, altro artista nero
“Block II” collage che testimonia una convivenza non facile in alcune aree della città,
finestre con figure umane sia nere che bianche e spesso i neri sono evocati anche attraverso
il tema della maschera o del feticcio (eco del modernismo dell’Harlem reinaissance).
DRISKELL, un insegnante della Fisk University, università nera che aveva sostenuto le
prime compagnie di cantanti neri con tournee in Europa e si occupa di promuovere gli
artisti afro-americani. Fa un autoritratto e decide di raffigurarsi con il viso a metà tra una
sua immagine più naturalistica e dall’altra parte stilemi di un’arte tradizionale, dognando
di poter tornare in un paese di origine della sua stirpe (il tema del primitivismo non è
In questo contesto un ruolo importante lo gioca ADRIAN PIPER, afro-americana che vive
disegno con modalità realistiche fino agli anni ’60 ed entra in una scuola d’arte tra il ’66 e il
’69 (school of visual art di NY) e in questo contesto si avvicina all’arte concettuale e inizia a
lavorare con gli strumenti dell’arte concettuale: disegni, foto, descrizioni testuali di ciò che
primi lavori noti dell’artista che studia anche filosofia. È nata nel 1948 e si cimenta in una
lettura e per tenersi aggrappata alla realtà adotta una specie di diario in cui scatta
quotidianamente una foto e annota anche le cose più quotidiane che fa (cura del corpo,
ragionamento diventa una serie fotografica, “Cibo per lo spirito”, secondo una modalità di
registrazione quotidiana del sé, in quegli anni molto frequente. Negli anni ’70 racconta che
l’arte subisce una trasformazione a causa di una serie di eventi concomitanti che non
c’entrano molto con l’arte: invasione della Cambogia, movimenti per la liberazione delle
donne, movimenti politici insomma. Viene chiuso il NY cultural center e Piper dice che
questi eventi hanno un grosso impatto sul mondo dell’arte, tutto questo sistema si mobilita
passaggio sono testimonianza la serie di azioni “Catalysis” in cui si espone in contesti non
racconto avviene in un testo che lei pubblica nel 1973 ed è intercettato da una gallerista
italiana, Marilena Bonomo, che pubblica una traduzione in italiano nel 1975: Pensando a me
stessa. Autobiografia progressiva di un oggetto d’arte. Tema che ricorre è l’uscita dal
tipici dell’arte per coinvolgere lo spettatore. Altra questione importante è che scrive che
non le interessa più conoscere lo sviluppo delle arti visive ma vuole produrre cambiamenti
politici e per farlo si deve impegnare. Quando Piper scrive che l’opera consiste nella
reazione dell’osservatore ad essa, sappiamo che non è una posizione isolata. Nella ricerca
di Piper entrano in modo esplicito i temi della appartenenza etnica, “Mythic Being” opera
in cui si traveste da uomo afro e va in giro per il suo quartiere parlottando e rievocando i
luoghi comuni sul giovane maschio nero e la telecamera registra le reazioni dei passanti.
Anche una serie di lavori grafici in cui i luoghi comuni, i modi superficiali del razzismo
verso i neri sono immortalati. Piper si traveste, non è l’unica a lavorare su questi temi con
Nel caso di Piper ha senso parlare di travestirsi da uomo perché al di là del cambiamento
di genere c’è un aspetto soggettivo che lei ha dall’adolescenza: non essere identificata
come afro-americana; fisionomia che consente ai bianchi di non classificarla come nera.
Esperienza che coincide con la parallela consapevolezza di appartenere ad una parte della
sfondo di racconti nei quali Piper ha capito di essere nera e si è spostata in una zona dove
c’era maggiore varietà etnica; il tutto rigorosamente con la scritta in basso “viso pallido”,
come nei western, con riferimento al fatto che non sembrava afro-americana. Questo ci fa
appartenenza per avere dei privilegi che altrimenti non avrebbero avuto.
Opera “Funk Lesson” in cui si improvvisa maestra di danza e invita a casa amici,
ritmi neri, l’idea che i neri abbiano una predisposizione per la musica e per la danza è
verso entrambe le culture. Negli anni ’80 mediazione tecnologica, videoinstallazione in cui
parla attraverso uno schermo posto in una situazione di difficoltà fisica (“Cornered, 1988)
ed il discorso che fa è autoriflessivo: cosa sono realmente? Cosa stai vedendo? Cosa ti
Leone d’oro alla biennale di Venezia del 2015, in cui presenta due lavori: un’opera in cui i
tra 3 frasi: farò sempre quello che dico di voler fare; sarò troppo caro per essere comprato
(e un’altra che non ho scritto). L’altra installazione è costituita da 4 lavagne con la frase
“qualsiasi cosa può essere sottratta” ripetuta 25 volte e con delle foto con delle parti abrase
Negli anni ’70 c’è una maggiore presenza di questi temi anche nella cultura di massa e
nella rappresentazione visiva più quotidiana e non solo artistica, Roots è una serie tv
basata sul racconto di Alex Heley, radici: storia di una famiglia americana (1977), trasmessa
anche da rai2 nel 1978. Per la pubblicità è stata chiamata Bearden. “Sepia” febbraio 1977: le
campagne presidenziali sono un po' legate ad un elettorato nero e alla richiesta di questo
elettorato.
Il discorso della tv, la presenza della parte nera dell’America nella cultura di massa,
anche nel tipo di stile un po' pop e un po' illustrativo ma entra molto nel discorso chi
sguardo che non applica sono alla vita quotidiana (“Colored TV”) ma anche per quanto
riguarda la cultura alta: si colloca dentro la storia della modernità e del modernismo
omaggiando la danza di Matisse e introducendo la narrazione dei corpi neri, non solo
perché dipinge i corpi di Matisse come corpi neri ma perché si effigia nel girotondo
(“Beauty is in the eye of the beholder” 1979). Rivisitazione del primitivismo in chiave post-
basta. Colescott è anche un pittore che va ad incrinare alcuni cliché e si colloca in qualche
modo all’interno di questa rappresentazione – San Sebastiano, 1986 con la morte che
domina la scena con i teschi colpiti dalle frecce e due figure legate dalla corda; tema di
amore e morte molto forte che attraversa le due etnie, compresenza di bianchi e neri sulla
scena, non essere nell’uno e nell’altro. questo tema è evidente anche in un’altra
illustrazione, “Lock and Key”, i due amanti quasi sadomaso sono anche schiavi, magari
schiavi dell’amore.
del suo interesse per le cause dei neri, tra cui “Holliwood Africans” e alcuni quadri
dedicati al tema del jazz (musica jazz come nera) oppure il “King Zulu” che nella figura
del suonatore o dello sportivo come una sorta di pantheon di figure che si riferiscono
Appunti Chiara
02/12/2021
Ci eravamo fermati ieri su Bridget Baker, The Remains of the Father – Fragments of a trilogy
(Transhumance) 2012, video, 26’ 38’’. Difficult heritage, opera significativa anche se non
viene da un’artista italiana, lavoro che è il frutto di una residenza d’artista a Bologna e
viene poi esposto al Mambo e in qualche modo è una delle prime volte che un lavoro di
questo genere trova posto in un luogo istituzionale: significativo che non sia una persona
italiana a fare questo tipo di riflessione. Lei è un’artista vissuta negli anni dell’Apartheid,
la cui sensibilità verso le vicende della discriminazione è molto radicata e si era già fatta
notare per cercare di parlare di queste cose richiamando le responsabilità storiche degli
Stati Europei. Quando vince questa residenza d’artista lei racconta che ha passato molto
funzionario coloniale in Eritrea e questo fondo è diviso tra uni di Bologna e la biblioteca
video, inizia con una giovane dipendente del comunie di Asmara che entra in una villetta
del Villaggio Bandiera, zona edificata durante il Fascismo a Bologna con dei moduli
abitativi tipici, villette molto semplici. All’interno viene ricostruito con dei mobili d’epoca
fa delle normali attività di ricerca. Lo schermo è spesso diviso tra una veduta interna e o
dei dettagli esterni o dei dettagli della biblioteca. Interessante è il sonoro: interviste che
l’artista ha fatto a giovani italiani di origine etiope, volte a capire cosa conoscono del
passato storico e del motivo per cui sono nati in Italia ma non sono completamente
all’interno della presunta identità nazionale, cosa sanno del paese di origine, se conoscono
la lingua, interviste che ti danno anche il polso di una totale integrazione, aspetto positivo
dentro la gioventù del momento e senza porsi particolari problemi del passato. Il video si
conclude con l’arrivo della postina che consegna alla ricercatrice una lettera indirizzata ad
Hellero, come se ci fosse una sorta di comprensione temporale che riporta il presente agli
anni ’30. Che ritratto viene fuori dalle carte? Personaggio che si interroga, emerge una
razionalismo italiano ed Hellero sembra far baluginare la necessità di adattare i criteri del
modernismo e ibridarla con forme tipiche delle costruzioni in loco; non viene sviluppata
dal regime questa strada e anche per noi apre una necessità di guardare poi ai concreti
contesti storici per capire bene quanto poi ci fosse un pensiero anche non superficiale nei
non prendere una posizione ideologica semplicemente, perché lascia anche degli
elemento importante è l’uso della documentazione storica che abbiamo già visto in Di
Massimo (i primi lavori di Folci, ecc. vengono riprese da foto d’epoca) e quindi una
caratteristica degli artisti che si muovono nel post colonialismo è l’uso dell’archivio e della
documentazione storica nelle sue varie forme. Baker sceglie una strada che va più
cui pesa un’eredità del padre, ma se c’è un limite nel lavoro in cui sembra non prendere
Martina Melilli, TRIPOLITALIANS, 2010 – in progress, film (still) dalle memorie del
nonno, uno degli italiani di Libia espulsi da Gheddafi nel 1969. Lei ha una formazione
mista e anche per lei possiamo usare aggettivo intimo, si interroga dal punto di vista
personale. La famiglia del padre è vissuta a lungo a Tripoli, italiani che nel 1969 sono
cacciati e che arrivano in Italia come fossero dei profughi, usurpatori e tornano a Padova.
La Melilli inizia ad occuparsi della presenza degli italiani in Libia a partire dalle memorie
personali per capire questa parte della storia personale che nessuno le raccontava. Il primo
personali che c’erano all’epoca a Tripoli e cercare di rintracciare le persone con cui il
nonno aveva avuto contatti. Il progetto è esposto in una sorta di mostra documentaria,
tentativo di rintracciare legami e nessi di persone che si sono perse di vista cercando di
Uno dei lavori più importanti che ha dedicato al tema è un mediometraggio, My home in
Libya, 2018, video, 66’, prod. Stefilm: vorrebbe andare a Tripoli e seguendo le memorie
raccolte dai nonni capire e conoscere i luoghi, ma la Libia è in guerra e non ha ottenuto il
visto. Il film deve fare i conti da una parte con una grossa parte documentaria girata nella
casa dei nonni a Padova in cui ci sono indizi di questo passato (passione per le piante
grasse, serie di oggettini, il nonno disegna una mappa dei luoghi dove si muoveva a
Tripoli). Martina utilizza, interpola delle immagini di repertorio degli arrivi al porto di
Napoli delle navi della marina italiana che portano questi espatriati in Italia e poi c’è una
sorta di controcampo: entra in contatto con un giovane il quale si presta per lei a seguire le
indicazioni del nonno e rintracciare i luoghi dove gli italiani vivevano. Molto attento, gira
in macchina col telefonino e fa le riprese e quello che lui racconta da giovane tripolitino sul
passato è alieno dal nostro modo di percepire la presenza degli italiani in Libia. Il nonno
ricorda come esperienza felice, gli arabi ci hanno protetto finchè non sono arrivate le navi,
solidarietà e il ragazzo che invece parla con Martina parla di quella stagione che non ha
vissuto ma la immagina come un momento sereno in cui stavano tutti insieme, oggi la
Libia è sotto i bombardamenti NATO e man mano che il tempo avanza la situazione
peggiora. C’è una pressione del presente, più drammatica del passato, che lascia sullo
sfondo e come non esplorato realmente il discorso della storia coloniale italiana. Un altro
aspetto problematico, nel senso che lascia riflettere in questo lavoro, è il fatto che in
parallelo a queste scene del ritorno degli italiani in Italia, Melilli monta delle scene
contemporanee dei naufraghi dal nord-Africa perché il ragazzo dice che alcuni corpi sono
stati trovati sulla spiaggia e si crea un parallelismo pesante perché gli italiani vengono
cacciati dalla Libia ma per motivazioni storiche (retaggio di una dominazione militare) e i
migranti che annegano nel Mediterraneo lasciano le coste libiche per cause di forza
maggiore. Questa analogia visiva non è particolarmente pertinente e però sta a dimostrare
il punto di vista particolare che viene incarnato da Melilli, ovvero di essere “coinvolta” in
queste situazioni, non arriva al colonialismo perché le interessa in sé, ma sta analizzando
una storia personale. Altri lavori dedicati al tema dell’immigrazione e sul tema del
Adesso invece parliamo di un altro artista, Alessandra Ferrini che si muove sugli stessi
però ci ricordiamo che una delle prime volte in cui si parla delle eredità del colonialismo
italiano è una delle sezioni della 16° Quadriennale, 2016, tra le varie mostre Orestiade
italiana a cura di Simone Frangi punta proprio sulla memoria del colonialismo italiano a
partire da Pier Paolo Pasolini, Appunti per un’Orestiade africana, 1970, film
documentario, bn, son., 65’. Una buona parte del documentario è una conversazione con
dei giovani africani a cui pone delle domande in cui traspare il suo essere maschio bianco
e italiano, dando per scontato una serie di cose; Frangi si riferisce al docu-film come uno
dei tanti esempi in cui negli anni ’70 in Italia non si erano fatti i conti con l’esperienza
coloniale.
In questa mostra viene esposto un lavoro della Ferrini, Negotiating Amnesia, 2015, video,
30’, in cui parla dell’esperienza coloniale senza nessun tipo di legame personale. La cosa
interessante è come lei affronta l’argomento: usa materiale d’archivio sia di archivi
istituzionali sia privati e in qualche modo attraverso l’esplorazione degli archivi privati
documenta una memoria diffusa del colonialismo. Capire se nelle proprie famiglie ci sono
state persone coinvolte vagamente nelle avventure italiane in Africa, perché è una storia
molto più capillari di ciò che possiamo immaginare. Usa foto di famiglia e viene fuori
questa “Non sapevo che l’Italia avesse avuto delle colonie”, brandelli di scambi con dei
giovani, persone che lei ha incontrato nel corso della ricerca che rendono conto di questa
amnesia/rimozione di tutta questa vicenda. Ci sono i figli, i nipoti i pronipoti che tirano
fuori queste scatole di foto e documenti dalla cantina e non si sapeva che farne, voler
prendere le distanze da quelle che allora erao le giovani generazioni che mettendo in
secondo piano quel passato lo ha di fatto messo in un angolo. Lei ha fatto diversi lavori sul
tema.
Confronto ideale con un’artista algerina che lavora sul tema della guerra perché entrambe
usano moltissimo le foto d’epoca come luoghi di sedimentazione della memoria, la foto
diventa il soggetto del film; differenza nell’uso della fotocamera, la Ferrini mette in
Un altro lavoro della Ferrini è Gheddafi in Rome (la prima visita si è svolta nel 2008), 2016-in
luce i parallelismi studiati e le mosse di reciproca imitazione tra i due leader politici, che è
un po' paradossale dal nostro punto di vista considerando che Gheddafi era un dittatore e
molto forti. Il lavoro si sofferma sulla figura del capo della resistenza libica alla resistenza
itlaiana (film il leone del deserto) perché Gheddafi ha appuntato sulla divisa una foto
storica in cui questo leader viene messo in catene dagli italiani: farsi continuatore di un
processo di resistenza alla colonizzazione italiana. Ricorda agli italiani che nei rapporti
antecedenti c’è questo passato molto forte, modo di impostare i rapporti mettendo al
che ha portato almeno alla restituzione della Venere di Cirene. Lei nel lavoro ripercorre il
modo in cui Gheddafi ha costruito la carriera politica mettendosi sulla linea di Almugdar
(?), lavorando sulle scelte di Gheddafi nel proporsi al pubblico e altre cose e mettendole in
frizione con immagini d’epoca del colonialismo, creando una continuità con il passato che
viene riattualizzato alla luce di alcuni gesti politici e personali di Gheddafi. C’è anche un
passaggio della Sapienza nel lavoro della Ferrini perché in questa occasione ci sono dei
cortei in Sapienza per la sua presenza a Roma. Non mancano le foto d’epoca riprese dagli
scavi di Leptis Magna, ma non da periodici degli anni ’30 ma da numeri di storia illustrata
degli anni ’60. Ancora una volta da rotocalchi che si vendevano in edicola, in cui si parla
delle guerre italiane in Africa come dimensione di storia militare e si magnifica la presenza
responsabilità delle responsabilità coloniali ma legame tra i due nel culto della personalità.
Il terzo lavoro della Ferrini di cui parliamo, A Bomb to be Reloaded, 2019, shots from the
installation at Villa Romana. Esito di una lunga ricerca attorno all’eredità di Franz Fanon
in Italia, uno dei suoi libri più famosi è “i dannati della terra” a cui viene dedicato un film
girato da Vittorio Orsini. Alessandra rintraccia l’interesse di Giovanni Pirelli per Fanon, i
due erano amici e Pirelli cura “le lettere dei condannati a morte della resistenza” e
continua a lavorare su questo tema vedendo un legame con le lotte coloniali. Fonda un
mostra c’è una parte dedicata alla raccolta di documenti e materiale a stampa pubblicato
all’epoca come segno di una disseminazione dell’idea di Fanon in Italia e dall’altro lato
altri 2 esiti della conoscenza: film di Orsini e progetto di opera lirica voluta da Luigi Nono
che mette in scena questa sorta di inno alle lotte di liberazione e antimperialiste nel
quale testimonia che a fronte di questo tipo di militanza accanto a chi lottava per la
propria indipendenza, in realtà l’esperienza di lavorare con Nono sul solco di Fanon era
stata sgradevole perché aveva sentito i cliché della donna non italiana, nera e quindi la
tendenza di farle girare scene di nudo, viene fuori una quotidianità e una assenza di
coerenza etica. Ferrini lavora sul fatto che posture razziste si possono annidare nei
comportamenti di ognuno, anche quando siamo animati dalle migliori intenzioni. L’attrice
è Kadigia Bove.
[Mauro Folci, Tutto il resto rosolio, 2001, Acquario Romano. Usa lo specchio, oggetto di
arredamento fannè legato alla femminilità e anche all’identità, si costruisce la nostra auto-
percezione; l’insieme degli specchi per terra sono accenni di percorso che non vanno da
nessuna parte, spazi lasciati ai visitatori per leggere, ci sono tante lingue e tanti alfabeti.
lavoro dedicato alle teste monumentali del duce e di Vittorio Emanuele conservate nei
depositi del Palazzo dei Congressi a Roma. Legato al monumento di età fascista e che lei
slide, Note su Zeret, è un progetto fotografico dedicato all’Etiopia; è stata a Zerèt, caverna
naturale in cui gli eritrei si rifugiavano per ripararsi dall’uso del gas tossico, l’itrite, ma in
realtà vengono raggiunti e queste grotte sono diventate un accumulo di resti umani, oggi
sono una sorta di monumenti nazionali. Lei si reca in Etiopia e svolge un reportage
fotografico, lavoro più visivo rispetto a quanto abbiamo visto fino ad ora; esposto in una
Un altro lavoro è quello di Nina Fischer e Maroan el Sani, Freedom of Movement, 2017,
installazione video a 3 canali, hanno vinto una residenza d’artista a Roma e hanno
tema della migrazione. Il video inizia con un giovane afro-discendente che si dirige
correndo a piedi scalzi verso l’Eur; perché corre a piedi scalzi? Colui che vince alla
maratona olimpica di Roma ’60 è un etiope che corre a piedi scalzi e che si era allenato
monumenti dell’impero italiano, della fase imperiale del fascismo, si passava accanto alla
FAO dove c’era la stele poi restituita all’Etiopia. Quindi il giovane del video riprende il
figura di migrante che si muove a partire da una spiaggia, da una costa. Ci sono anche
scene in cui sono presenti i teli termini che vengono messi a chi arriva. Poi c’è un gruppo
di ragazzi afro-discendenti che cantano, salendo la scalinata del palazzo della civiltà, che
cantano il motto che c’è scritto a coronamento dell’edificio, frase di Mussolini, una sorta di
Ancora per capire come le arti visive nostrane si comportano il tema della guerriglia
guerriglia è un modo per fare delle azioni di sabotaggio visivo e di significato ai nomi
delle strade, aggiungendo delle informazioni sulle persone a cui sono titolate quelle
Petizioni per ri-titolazioni delle strade; dibattito suscitato dall’idea di intitolare la fermata
della metro Ambaradam con quel nome e poi la scelta sembra essere caduta sull’intitolarla
ad un partigiano etiope coinvolto nella resistenza italiana: far emergere una memoria
Altro ancora è il contributo sui temi legati al colonialismo dal duo INVERNOMUTO
(Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) che lavorano importando il concetto del mare come
luogo di incontro e mescolanza sul Mediterraneo, il lavoro è Black Med, 2019. Immaginario
non legato alla tradizione ma invece lavorando su una idea di una umanità ibridata con la
tecnologia, una sorta di “superuomo” che è il risultato della mescolanza di razze e culture.
Black med serie di cartoline con figure di robot e una installazione con figure
dell’artigianato tipico siciliano, le teste di moro, i cui occhi sono modificati ed hanno delle
luci laser che creano una ragnatela luminosa all’interno della sala. Le teste dei mori sono
uno dei tantissimi esempi della cultura meridionale di permanenza dell’eredità araba.
09/12/2021
“AFRICA SINTETICA, DINAMICA, SIMULTANEA”: ICONOGRAFIE E CONTESTI
L’Africa è una suggestione onnipresente nel futurismo italiano ed è presente nel prologo
del Manifesto del Futurismo di Marinetti, pubblicato su “Le Figaro”, 20 febbraio 1909 (in
biografia, nato ad Alessandria d’Egitto: “Oh Materno fossato, quasi pieno di acqua
fangosa…”. Africa strega; scrive un romanzo di un viaggio in Egitto, alla ricerca delle sue
radici africane, .
Studi sul tentativo futurista di stabilire una letteratura coloniale, sul campo artistico una
Quando nasce il movimento futurista e in uno stato come l’Italia, unito da poco con
anni non basta parlare di Africa come attenzione esotica e orientalista. Troppo spesso il
Rapporto tra futurismo e Africa è problematico, Marinetti è molto legato sembra avere
rispetto addirittura nei suoi confronti, forte fascinazione però nel 1911 scrive il manifesto
“Tripoli italiana” e si reca al fronte e dalla Libia lavora per il giornale francese “Le
Transigent”(?). Marinetti e i futuristi sostengono il colonialismo e nel 1935, quando viene
invasa l’Etiopia, Marinetti e altri partono per combattere. Visione estetica della guerra,
L’Africa di Marinetti e dei futuristi è una mescolanza di temi diversi, energia tribale e e
Il sostegno futurista alla guerra e alle violenze perpetrate è totale fin da subito. Questo
obbiettivi degli artisti sono formali e stilistici: bisogna condannare un’avanguardia in toto
o ignorare qualsiasi aspetto che non sia formale e stilistico? Levano complessità ad un
tema così ricco, anche oggi l’interpretazione prevalente è la seconda e si avvale degli studi
di Crispolti, che insiste sul carattere di avanguardia della pittura e sostiene che il contatto
pittura. Catalogo celebrativo del centenario del movimento, di Lista (visione per cui una
MA:
L’arte dei futuristi non può e non deve essere ridotta ai suoi aspetti coloniali però.
rispondere.
per quanto riguarda la STORIA
DEGLI STUDI, uno dei primi fu Ezio Bassani, uno dei più grandi africanisti e nel catalogo
della mostra al Museum of Modern Art di NY. Ferma la sua analisi nel 1916 e si ferma ad
un livello iconografico, non ritiene che i prestiti formali abbiano in comune con il
Sulla scia di Bassani si può citare il libro di Messina, che si occupa della fascinazione
futurista e dell’arte nera come fonte artistica e fa una analisi a partire dai testi della
Questione del colonialismo italiano in genere, non solo dal punto di vista artistico. Nicola
talvolta emerge e influenza ancora. Ruolo delle arti visive e delle immagini. Momenti
espostivi che gli studi italiani si sono concentrati, invece per le ricerche sul rapporto tra
Com’è diviso il dottorato? Divisione segue momenti cruciali della storia politica italiani e
del futurismo:
futurismo azione importante per la guerra
di Libia, prima parte articolata secondo dei casi studio emblematici: rilettura degli
affreschi di Ardegno Soffici che cerca di non considerarli solo nella luce della cultura
francese.
esempio di Severini.
razziali e coloniali; pittori come Osvaldo Barbieri che va in Libia e torna inventando una
finta identità di un pittore sudanese e lo farà esporre in Italia rivelando la sua identità solo
ARDENGO SOFFICI, Sala dei manichini, 1914: decorazioni dalla villa di Giovanni Papini a
Bulciano (AZ), tempere murali staccate e riportate su pannelli, collezione privata, Firenze.
quest’ultimo prende forma solo dopo il primo viaggio a Parigi del 1900. Lui è uno dei
mediatori tra cultura francese d’avanguardia e cultura italiana, ha elaborato una risposta
italiano). Nel 1911 entrambi avevano lasciato la rivista “La Voce” perché alcuni si erano
schierati contro l’intervento italiano in Libia, invece per loro la dichiarazione di guerra
all’impero ottomano era una occasione di rivincita e la guerra aveva fornito una nuova
strategia e una nuova retorica all’avanguardia fiorentina. Lacerba doveva nascere nel
dicembre 1911 ma per motivazioni personali di Papini veniva fondata poi nel 1913. Loro in
quanto redattori daranno una grande importanza alla cultura coloniale (pubblicate le
poesie di Marinetti in Libia). Soffici passa l’estate a Bulciano dove mandano articoli contro
Poi:
Affreschi sebbene poco visti sono stati a lungo dibattuti, parlato di loro come il risultato di
una mediazione culturale sia dell’avanguardia sia della tradizione toscana rappresentando
Questi affreschi rappresentano delle donne africane e questo di solito è stato tralasciato
dicendo che questo era una concessione alla tradizione del primitivismo francese. Invece
un artista e un committente per cui importava che l’Italia fosse moderna e avere colonie
era sinonimo di modernità. Soffici non condivise mai l’ideologia della pittura come
elemento di propaganda.
oltremarini” è il modo in cui gli italiani chiamavano i neri. nel testo le donne vengono
private della loro identità, vengono definite come bambole, inanimate, le donne vengono
viste come oggetti o come animali e viene dato un carattere animale, private della loro
umanità. 2 tendenze: mito della donna africana (fatte per essere dominate dagli uomini
Il termine “manichini” era utilizzato spesso anche in Italia nell’ambito del colonialismo. I
manichini erano esposti cercando di fondere sia un criterio scientifico ma anche un criterio
più spettacolare:
Impiego della parola manichini in Picasso che fa riferimento ai manichini che si trovavano
assomigliano alle ekphrasis che i Papini fanno della sua opera. Descrizioni che fa delle
donne:
CONCLUSIONI: