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L’ALTRO E L’ALTROVE: ANTROPOLOGIA, GEOGRAFIA E TURISMO

CAPITOLO 1 – LE IMMAGINI

Lo spazio turistico come immagine immediatamente accessibile. L’attrattività turistica si fonda su un


repertorio di immagini. Il geografo francese Jean-Marie Miossec affermava già nel 1977 che “lo spazio
turistico è innanzitutto un’immagine”. Il concetto di immagine per Miossec era ancora legato a un
repertorio iconografico classico: fotografie, riproduzioni pittoriche, cartoline postali, diapositive, depliant
turistici, etc. Negli ultimi anni si è assistito a un enorme ampliamento dei repertori iconografici dovuto
all’introduzione del collegamento della fotografia digitale a internet, alla libera disponibilità delle immagini
sul web. Ciò ha portato a un accesso istantaneo a immagini di ogni tipo e a una facilità di manipolazione
delle immagini, grazie a nuove tecniche di produzione. Il fenomeno della rivoluzione digitale ha portato
conseguenze anche nel mondo dell’iconografia turistica: un aumento delle immagini prodotte grazie ai
minori costi derivati dall’abbandono dell’utilizzo delle pellicole. Si è verificato anche un aumento degli scatti
dei turisti, un aumento del tempo speso a scattare e organizzare foto in archivi digitali, una maggiore
accessibilità pubblica a queste immagini grazie a siti per condividere foto come Flickr o Panoramio o altri
blog e una diminuzione del tempo di circolazione delle immagini (si possono inviare quasi istantaneamente
nel momento in cui vengono scattate- in tempo reale). L’immagine del territorio può essere intesa non solo
come immagine virtuale o iconografie consolidatesi nella storia e nelle tradizioni, ma anche in senso
piscologico: è l’insieme delle opinioni, delle idee e delle impressioni relative a una località geografica
(immaginario).

L’immagine pre-esiste all’esperienza reale del luogo. Il nome di una città può evocare un mondo di
rappresentazioni anche in una persona che non ha alcuna esperienza diretta del luogo in questione.
L’immagine turistica infatti pre-esiste al viaggio. La principale motivazione che spinge i turisti a viaggiare
verso una determinata meta è da identificare nell’attrattività del suo repertorio iconografico che viene
fatto circolare attraverso i mass media. Le immagini oltre a invogliare i turisti a viaggiare influenzano anche
il loro giudizio e quindi l’esperienza reale (si vanno a vedere quei punti di riferimento rappresentati nelle
immagini- si prepara un copione prima di partire che verrà poi messo in scena nell’esperienza concreta del
viaggio- si viene informati sui comportamenti da assumere in una determinata meta). Il turismo
rappresenta oggi una delle principali industrie del pianeta. I turisti sono responsabili di molti flussi globali
che mettono in movimento e in contatto tra di loro persone e idee (Arjun Appadurai) dando vita a nuove
forme di orientalismo e di stereotipizzazione, di pregiudizio e di connotazioni di inferiorità. Questo vale
soprattutto per quanto riguarda il turismo “esotico” verso mete lontane dai nostri spazi quotidiani. Nel
corso degli anni, il viaggio da scoperta si è trasformato in una verifica di ciò che già si “conosce” (si è visto o
se ne è sentito parlare). Il marketing territoriale nel turismo ha un ruolo importante perché regola la
circolazione del repertorio iconografico e lessicale del turismo. Sfrutta ed enfatizza le convinzioni e le idee
che circolano su un determinato luogo, conferendo al luogo una sua identità (place identity – place
personality e place image). Il nome di un luogo diventa come un brand che racchiude una serie di simboli
che identificano quel luogo. I leader di una città cercano di elaborare immagini vincenti, immagini che si
rivolgono sia ai turisti che agli investitori. Si viene a creare un “terzo spazio”, tra il reale e l’immaginario. Se
si dice che un luogo possiede determinate caratteristiche questo luogo può essere percepito come dotato
di tali caratteri anche se effettivamente non sono presenti, ma sono veicolati solo dalla retorica
promozionale. Il messaggio veicolato deve essere però verosimile perché si avveri. Ripetere continuamente
un messaggio può portare alla formazione di un potere simbolico del luogo.

I processi di formazione di un’immagine turistica. L’immagine turistica di un territorio si configura come il


risultato di una serie di processi di mediazione e di selezione della complessità territoriale in elementi
facilmente riconoscibili, identificabili ed evocativi. Le città si prestano bene a sviluppare un’immagine
turistica perché vengono esperite da un numero elevato di persone che attribuiscono loro tantissimi
messaggi verbali e iconografici. È importante distinguere tra personalità e identità di un luogo. La
personalità è legata ad elementi concreti e di lunga durata, mentre l’identità è legata al mondo della
comunicazione (mediascapes: come alcuni paesaggi che vengono veicolati attraverso i media- Appadurai).
Non solo i produttori di immagine turistiche, ma anche il destinatario stesso della comunicazione ha un
ruolo considerevole nella formazione dell’immagine turistica. Si parla infatti di convergenza di culture,
quella turistica e quella del mondo della comunicazione. Il marketing territoriale è la promozione
dell’identità di uno specifico territorio attraverso la produzione di immagini. Il marketing territoriale si
riferisce a quei cambiamenti che vengono effettuati sul territorio (introduzione di negozi di un
determinato prodotto o di souvenirs che veicolano l’identità di un luogo, abbellimento della città con
ristrutturazioni o nuove strutture turistiche) spesso rivisitando a uso turistico e non rappresentando dunque
la realtà, allo scopo di conformarsi a ciò che viene richiesto dal turista, che spesso non è qualcosa di
realmente tradizionale, ma qualcosa di preconfezionato e pronto all’uso. Il marketing territoriale si serve di
immagini ripetitive e condivise da una grande numero di persone che permettono di aumentare la
credibilità dell’identità del luogo. Il marketing territoriale crea una zona cuscinetto destinata al turista
prima di partire: costituita da una serie di immagini di promozione turistica per prepararsi psicologicamente
al viaggio. Questa zona cuscinetto è rappresentata dai non luoghi (aeroporti, ferrovie, porti), nei quali si
trovano i negozi di souvenirs dove i turisti sono bombardati da immagini dei luoghi di destinazione, prima
ancora di visitarli e che insinuano nel turista l’idea che visitare quei posti sia d’obbligo.

Le distanze liquide del mondo turistico. Una meta considerata distante dal turista (che di solito ha uno
sguardo occidentale, eurocentrico o americocentrico) viene vista come attraente, la distanza da un oggetto
del desiderio è ciò che porta il turista a voler intraprendere un viaggio, qualcosa di distante è qualcosa di
diverso, da qui nasce il mito dell’esotismo. Il vicino è qualcosa di quotidiano e noioso, mentre il lontano
viene visto come appetibile e nuovo. I monumenti principali di una città hanno il ruolo di landmark (punti di
riferimento dell’immaginario turistico), icone facilmente riconoscibili e spendibili e che possono
rappresentare la complessità territoriale. Oggi la distanza spaziale e temporale non rappresenta più un
grande problema, grazie all’aumento della velocità dei mezzi e anche le mete più lontane sono accessibili e
raggiungibili in tempi relativamente brevi. Sono state disegnate le Zeitkarten (carte del tempo),
rappresentazioni cartografiche in cui le forme dei territori sono disegnate utilizzando linee isocrone che
congiungono i punti raggiungibili nel medesimo intervallo di tempo con un determinato mezzo di trasporto.
Anche la distanza economica è diminuita in questi anni e lo dimostra l’esplosione delle forme di trasporto
low cost.

La multiscalarità delle immagini turistiche. Le immagini turistiche possono consolidarsi su diverse scale
territoriali (da continentale a municipale). Per esempio, l’immagine turistica del continente del Sudamerica
include contemporaneamente sia l’immagine delle pampas argentine, che quelle della foresta amazzonica e
delle spiagge brasiliane. L’orientalismo è un altro esempio che riunisce tutta una serie di immagini
territoriali in un unico contenitore e di cui il marketing spesso si serve. Il concetto di orientalismo e la sua
critica sono stati introdotti dallo studioso palestinese Edward Said che ha spiegato la costruzione del mito
dell’Oriente nelle società occidentali. L’oriente per esse è un concetto che comprende una vasta area
geografica che si estende dal Nord Africa fino all’Asia centrale e meridionale. È frutto di un processo di
stereotipizzazione e di semplificazione (esiste anche l’occidentalismo).

Una parte per il tutto: la selezione della complessità territoriale nell’iconografia turistica. Ci sono degli
elementi che vengono chiamati icone, che fungono da sineddoche geografica in quanto rappresentano una
parte per il tutto. Sono infatti elementi che vengono selezionati all’interno di una complessità paesaggistica
e la riassumono, dandone una visione di insieme. Si parla di “paesaggio tipico”, ovvero un paesaggio che
mostra caratteristiche più “vere” e originali del territorio, di caratteristiche che si ripetono e che dunque
rappresentano una sintesi del territorio. Le icone devono essere in grado di evocare paesaggi specifici che
siano appetibili ai turisti. Si tratta dei landmark, singoli elementi territoriali che hanno una funzione di
orientamento e sono facilmente riconoscibili. Sono elementi visibili, punti di attrazione dello sguardo, il loro
profilo si staglia sullo sfondo paesaggistico. Sono elementi che vengono poi utilizzati come immagini nel
mondo della comunicazione turistica.

Processi di formazione dell’immaginario geografico nel turismo . La comunicazione turistica deve scegliere
elementi rappresentativi che siano in grado di evocare una vasta gamma di associazioni mentali e ciò può
determinare o meno il successo di una destinazione. Facendo circolare le rappresentazioni stereotipate
attraverso molti mass media per un esteso periodo di tempo si raggiunge il consolidamento di alcune idee
che si formano intorno a determinate destinazioni turistiche. Per esempio, immagini turistiche che evocano
i valori naturali (boschi, prati, paesaggi montuosi, orizzonti privi di segni della presenza umana) vengono
usate per rappresentare il senso di piccolezza dell’uomo di fronte ai fenomeni naturali, la percezione del
carattere incontaminato di queste aree e un idealizzato “ritorno alla natura”. Si tratta di immagini molto
diffuse e che vengono ormai subito riconosciute attribuendo loro tutte quelle sensazioni prima elencate.
Sono talmente riconoscibili da divenire familiari. Tanto più le immagini sopravvivono nel tempo tanto più
sarà difficile smetterle di usarle, di sradicarle. Queste immagini vengono poi riprodotte nei souvenir e nei
gadget che riducono all’essenziale la comunicazione del territorio. Quindi le icone vengono scelte anche in
base alla loro spendibilità sul mercato della promozione, ovvero quanto possono essere effettivamente
usate nei souvenir, nei gadget, e nella comunicazione pubblicitaria. Le icone veicolano specifici valori di
attrazione del territorio (Egitto-> monumenti e resti archeologici, Africa australe-> bellezze ambientali).
Nelle immagini naturali la natura presentata come primigenia e incontaminata che segue un tempo
geologico e ritmi naturali più lenti di quelli delle società umane che sono caratterizzate dalla frenesia (senso
di alterità temporale). Le immagini e il linguaggio scelto per promuovere una determinata meta possono
essere diversi a seconda del pubblico di riferimento (nazionalità, sesso, età), quindi si fa una
segmentazione del pubblico (strategia di marketing) e vengono indirizzati messaggi più specifici a seconda
del target. La complessità territoriale permette infatti di enfatizzare ora un aspetto e ora un altro, a
seconda di ciò che viene considerato più appetibile per un mercato. Miossec identifica principalmente tre
tipologie di immagini che vengono frequentemente usate dalla comunicazione turistica: le immagini
naturali, le immagini storiche e le nuove immagini.

Le immagini della natura. Sono la prima grande tipologia di immagini individuata da Miossec di cui il
turismo si serve. Vengono scelte perché fanno riaffiorare un preciso sentimento dell’altrove: un altrove
risultato di un ritorno alla natura, un riavvicinamento a un mondo preesistente ed estraneo
(incontaminato) alla presenza e all’azione dell’uomo. L’uomo generalmente prova un senso di
spaesamento e di ridimensionamento delle ambizioni di fronte alla vastità dei paesaggi naturali. L’altrove
naturale viene considerato un diversivo dalla normalità urbana e dall’esistenza quotidiana. La natura non
pone problemi di identità perché non è una persona con cui confrontarsi e per questo motivo i turisti si
sentono molto più a loro agio con questo tipo di paesaggi e immagini rispetto a quando entrano in contatto
con persone diverse da loro.

L’altrove come spazio mitico dell’ignoto: fra scoperta e invenzione del luogo turistico. Il viaggio è da
sempre sinonimo di avventura e di scoperta dell’ignoto. L’Occidente nel corso della storia ha visto il resto
del mondo come un insieme di terrae incognitae (nella cartografia questa espressione si riferisce alle aree
non ancora conosciute), terre non toccate dall’occhio umano, non calpestate dai “conquistatori” (visione
eurocentrica). L’uomo occidentale ha sempre provato un’attrazione per gli spazi bianchi della cartografia,
come li chiama il protagonista di Cuore di tenebra di Conrad. La mitologia del vergine e inesplorato ancora
oggi pervade la comunicazione turistica. Nonostante oggi il mondo sia totalmente visibile attraverso le
cartografie interattive (tipo Google Earth), viene ancora usato il mito della scoperta. Il turismo è
semplicemente un’evoluzione delle esplorazioni geografiche dei secoli scorsi. Una volta che gli spazi bianchi
vengono scoperti dagli esploratori inizia un processo di addomesticamento e conquista che porta i primi
flussi turistici che si consolidano nel tempo e portano alla formazione di vere e proprie località turistiche. In
alcuni casi può anche verificarsi un processo di progressiva caduta di una località turistica che da elitaria,
inedita, esclusiva, riservata diventa destinazione di turismo di massa. Esiste dunque anche un mito della
vacanza inedita, originale e avventurosa che si propone come alternativa alle medesime pratiche
consolidate del turismo e si rivolge a quelle persone che si considerano superiori al resto dei turisti e che
sono spinte dal desiderio di uscire dalle strade battute (es. turisti del turismo culturale ed ecoturisti, che si
autodefiniscono viaggiatori contrapponendosi ai semplici turisti). Si parla infatti di retorica del viaggiatore,
che si caratterizza per essere spinto da interessi di conoscenza e dalla volontà di capire a fondo la realtà che
va a scoprire, si identifica con gli esploratori del passato (carattere eroico) e con spirito scientifico di
scoperta. Si differenzia dal turista per cui il viaggio è solo divertimento. Il viaggiatore non sa quando
tornerà, mentre il turista è costretto a pianificare il suo ritorno anche per colpa del sistema lavorativo che
permette solo vacanze relativamente brevi. Il viaggiatore spesso si caratterizza per un rifiuto della società
natale. Jean- Didider Urbain (scrittore viaggiatore), citando Robert L. Stevenson, afferma che il viaggiatore a
differenza del turista, scrive. Nel Sette-Ottocento erano pochi aristocratici a potersi permettere il lusso di
viaggiare per il puro piacere di farlo. Oggi tutti lo possono fare e per questo nasce l’esigenza di ricostruire
un certo elitarismo fondato sulla differenza e sulla presa di distanza dalla massa. L’iconografia della natura
veicola anche un senso di “vuoto”, l’uomo è solitamente assente da queste immagini e ciò rende il
paesaggio appetibile, non compromesso con le opere di antropizzazione. Questo tipo di paesaggi vuoti
viene percepito talvolta come gerarchicamente inferiore rispetto alle aree più caratterizzate dalla presenza
umana, perché associato all’idea di non modernità e di arretratezza.

L’omino contemplante di Luigi Ghirri come metafora del turismo. Luigi Ghirri, fotografo, osserva come le
immagini naturali per la divulgazione geografica e per la promozione turistica spesso mostrano un omino
minuscolo, in stato di contemplazione del paesaggio naturale che lo sovrasta e che domina la maggior
parte dell’immagine. I sentimenti di ammirazione e di stupore che sono stati storicamente e
tradizionalmente associati alle manifestazioni della natura, diffusi anche attraverso letteratura e pittura,
sono stati via via applicati anche alle realtà urbane e alle costruzioni umane. L’immaginario turistico infatti
è ancora oggi fortemente influenzato dalle pratiche di turismo ante litteram, legate al Grand Tour e alla
visita delle rovine della classicità, delle tracce delle imprese compiute dall’umanità nel corso della storia.

La natura come “altrove”. La natura, nel discorso turistico, viene contrapposta all’ambiente urbano
congestionato dalla presenza umana. Per questo motivo i destinatari primi di immagini turistiche basate sul
fascino della natura sono gli abitanti delle città. La natura, intesa nel suo significato più ampio, rappresenta
il perfetto altrove (più “morbido” e accogliente) per chi vive in un mondo dominato dalla tecnologia e
dall’artificialità. La natura diventa per loro portatrice di valori andati perduti nel mondo urbano. Kevin
Hannam e Dan Knox affermano che “le narrative dominanti nel mondo delle discipline turistiche
suggeriscono che il turismo è in gran parte una fuga da casa e dagli aspetti triviali della vita quotidiana”.

L’altrove naturale come altrove temporale. Le immagini delle forze della natura all’opera rimandano a una
dimensione in un certo senso “senza tempo”, o meglio ancora, “fuori dal tempo”. Particolare è il
riferimento ai quattro elementi fondamentali della tradizione: aria, acqua, fuoco, terra. Si parla spesso di
una dimensione sospesa, quasi fuori dal tempo, degli ambienti legati a questi elementi. Il viaggio verso
questi luoghi rappresenta per il turista un avvicinamento a una dimensione temporale ancestrale, quasi
magica, il cui fascino affonda nella sua intrinseca diversità rispetto al tempo scandito dal taylorismo e
dall’organizzazione del lavoro fordista che caratterizzano la modernità (in questa società gli schemi della
vita sono scanditi dagli orari lavorativi). Si parla di viaggio anche nel tempo (journey through time), un
viaggio che può prendere due direzioni: “viaggio a ritroso” o “viaggio in un tempo differente”, in una
eterotopia (termine coniato dal Michel Foucault nel 1984). La natura è caratterizzata da un regime
temporale diverso, più libero, meno regolato e meno vincolato, è caratterizzata da temporalità più
rilassate e meno strutturate.
L’immaginario turistico come ritorno alla natura. Le diverse incarnazioni che può assumere il mondo
naturale funzionano come perfette bandiere identitarie, basti pensare all’immaginario botanico e
zoologico che viene utilizzato nella simbologia identitaria di uno Stato, come per esempio nei francobolli o
nelle monete dove vengono usati come landmark viventi per richiamare l’identità nazionale. Tra le
tipologie di turismo che più si servono del mito “del ritorno alla natura” ci sono il turismo salutista (ricerca
del relax, benessere corporeo e salute), il turismo spirituale (ricerca soddisfazioni ed emozioni interiori), il
turismo “naturalistico” (interesse agli aspetti ambientali), ma in generale qualsiasi tipo di turismo può
servirsi di questo mito.

Fra archetipi della natura e incarnazioni geograficamente localizzate. Le immagini naturali possono essere
di due tipi. Il primo tipo sono le immagini generalizzanti, categorie primarie di tipologia geografica
(montagna, mare, lago fiume) che sono facilmente riconoscibili (riconoscibilità universale), ma anche difficili
da posizionare perché potrebbero comparire in diversi contesti geografici. Sono facilmente spendibili nella
comunicazione turistica. La seconda categoria invece si riferisce a specifici elementi territoriali (una
montagna precisa, per esempio il Cervino, facilmente riconoscibile nelle sue forme). Anche la
toponomastica è fondamentale perché può caratterizzare profondamente un paesaggio geografico,
conferendogli fascino, attribuendo nomi che evocano interi mondi narrativi legati a mitologie esplorative e
di viaggio (Timbuctu, Samarcanda) e che evocano valori e repertori che consolidano l’iconografia dell’altro e
dell’altrove. Una specifica attrazione naturalistica turistica, con toponimo e localizzazione ben riconoscibili
può affermare la propria immagine a scala internazionale e arrivare ad incarnare l’archetipo stesso a cui
rimanda: per es. le cascate del Niagara sono diventate l’immagine ambientale della cascata, metro di
paragone per fare confronti tra archetipi (le cascate Victoria vengono definite da Albert Lee come le cascate
del Niagara sudafricane).

La top ten delle immagini paesaggistiche dell’altrove. Vengono spesso realizzate delle classifiche che
contribuiscono nel definire l’appetibilità di alcune destinazioni turistiche e che utilizzano gli ingredienti della
retorica turistica contemporanea. Servono a identificare i veri e propri must dell’esperienza turistica, gli
elementi che ogni turista dovrebbe aver visto in vita sua, ma cambiano ogni anno seguendo le mode,
vengono continuamente aggiornate perché i gusti cambiano ogni anno. La dinamica psicologica che insiste
sul piacere del trovarsi altrove (rispetto a dove ci si trova al momento) agisce quasi sempre per coppie
oppositive, in cui il “qui” si fa portatore di disvalori, o perlomeno di valori più sbiaditi, mentre il “là”
rappresenta l’agognata meta da raggiungere, incarnazione di aspetti positivi. Il valore attrattivo degli
elementi è sempre relativo, mai assoluto. Quindi l’appetibilità di una destinazione può essere data per
contrasto (cerco l’opposto di ciò che sto vivendo) o per affinità incrementale (qualcosa di simile a ciò che
già sto vivendo, ma migliore).

Il dominio dello sguardo occidentale nel mondo turistico. La comunicazione turistica utilizza spesso il
concetto di “esotico” che è espressione di relazioni di potere che hanno portato alla formazione di
stereotipi associati sia a persone che a luoghi. Nel corso degli anni la comunicazione turistica si è
preoccupata esclusivamente di vendere una fantasia turistica all’Occidente. La maggior parte dei simboli
delle rappresentazioni turistiche sono state create dell’Occidente per l’Occidente. La promozione turistica
verso i paesi dell’Africa del Nord e del Vicino Oriente viene fatta utilizzando stereotipi dell’immaginario
orientalista, attribuendo a queste destinazioni uno stadio naturale, una vicinanza alla natura che diventa
spesso sinonimo di arretratezza.

Il differenziale ambientale. Ci sono luoghi che vengono considerati più appetibili perché presentano delle
caratteristiche che già si conoscono, ma che in questi luoghi sono migliori: per esempio il clima mite che
permette la vita all’aria aperta. In questi casi il turista può essere mosso dalla volontà di trovare all’interno
dell’esperienza turistica rassicuranti “punti di appoggio” costituiti da elementi familiari, ma vuole
comunque mettere anche alla prova la propria capacità di adattamento agli elementi di diversità che
caratterizzano l’esperienza turistica. Per esempio, il lago in un contesto mediterraneo per i tedeschi e altri
nordici soddisfa entrambe le dimensioni: è qualcosa di familiare, ma che allo stesso tempo gode di un clima
molto più mite rispetto a quello dei laghi della Germania o della Gran Bretagna.

Le immagini del passato. Anche il patrimonio storico, architettonico e artistico di una nazione viene usato
nelle immagini promozionali della comunicazione turistica (altro grande repertorio di immagini oltre a
quello naturale). Il passato infatti è un altrove perfetto, è una terra straniera (citazione di David Lowenthal,
geografo). Visitare monumenti di epoche passate genera un senso di dislocazione, alla base del
soddisfacimento del bisogno di alterità che spinge i turisti a viaggiare. Le motivazioni del turismo dei
patrimoni culturali possono essere la nostalgia per il passato e desiderio di esperienze di paesaggi e forme
culturali. Il monumento ha acquistato una sua valenza semantica che lo rende l’unico luogo deputato a
significare un intero tessuto storico, sociale e civile (è un simbolo riassuntivo). Il concetto di patrimonio
(heritage) implica un passaggio, un’eredità che proviene dal passato e che viene tramandata al mondo
contemporaneo. Il patrimonio è un passato arricchito di “narrazioni”, è l’applicazione creativa di significato
e di senso ai luoghi, con lo scopo di creare interesse per il turismo storico. Molti turisti visitano un luogo
perché non si può non visitarlo, piuttosto che per un interesse reale fondato su conoscenze pregresse o su
curiosità culturale. Molti turisti visitano un monumento perché è facilmente e velocemente fruibile, il
monumento è un simbolo di una città, ne riassume le caratteristiche topografiche, architettoniche e
antropologiche. In Italia è forte la tradizione di leggere la storia attraverso le opere d’arte e i monumenti e
l’artistic heritage è molto importante. Per comprendere il patrimonio storico di un’area (funzioni, epoca di
costruzione, destinazioni d’uso, significati simbolici) il turista ha bisogno di un aiuto interpretativo, ciò
accentua ancora di più il fatto che il turista si trovi davanti a qualcosa di altro, a un altrove che non può
interpretare da solo (a differenza dei paesaggi naturali che riesce a interpretare da solo).

Il catalogo del passato. La tendenza nella comunicazione turistica e è quella di selezionare un’epoca e di
presentarla come particolarmente significativa per la determinata area geografica. È un meccanismo di
semplificazione e riduzione. Periodi considerati maggiormente significativi per il loro apporto culturale e
monumentale, sui quali si costruiscono le immagini turistiche di attrazione (Egitto= Antico Egitto dei faraoni,
delle piramidi e della Sfinge). Immagini che si consolidano nel tempo. Le immagini storiche che riguardano
periodi vicini sono più rare e legate spesso a eventi tragici o bellici. Le immagini che si riferiscono a periodi
lontani però sono più efficaci perché alimentano il senso di spaesamento che si prova nell’osservare luoghi
strutturati dall’azione umana millenni o secoli fa.

Passato storico e passato turistico. Una località turistica che lo è da anni, decenni o secoli può fare
riferimento alla storia del turismo di cui è stata protagonista per attrarre nuovi turisti. Usando immagini del
passato, della storia del turismo, le località turistiche storiche, che vantano una lunga storia come
destinazione, possono giocare la carta della tradizione turistica per attrarre sempre più turisti.

Passato indistinto, passato specifico: per una top ten della storicità. L’Unesco gioca un ruolo
fondamentale nel definire le icone portanti dell’immagine tradizionale turistica di ogni nazione (patrimonio
mondiale dell’Unesco), conferisce una sorta di certificazione di qualità della destinazione.

Le immagini “nuove”. Sono le immagini legate alle infrastrutture turistiche che una località offre, agli
eventi di richiamo che vi vengono organizzati, a diverse modalità di divertimento come pratiche sportive, a
nuovi monumenti di attrazione (es. grattacielo di dimensioni da record). In questo ambito entra in gioco la
capacità da parte di una destinazione turistica di rinnovare le proprie ragioni di appetibilità, di proporsi
come un luogo in grado di personalizzare la propria offerta a seconda degli interessi e delle inclinazioni del
visitatore (Rimini, da destinazione balneare per famiglie, a destinazione per divertimento dei giovani).
Questo genere di innovazioni costituisce un altrove che si contrappone alla tradizione turistica
preesistente, presentandosi come nuovo, alternativo a quello vecchio.

L’effetto cumulativo: la presenza di altri turisti come fattore di attrazione . La presenza di turisti nelle
immagini nuove viene usata a indicare una garanzia della appetibilità turistica di quella determinata meta.
Se un luogo è popolato da tanti turisti, i turisti potenziali tendono a pensare che sia una buona meta. Per
questo motivo nelle immagini pubblicitarie vengono rappresentate orde di turisti.

L’arguzia del paesaggio turistico. L’arguzia si riferisce alla doppia natura del paesaggio: il paesaggio è sia
una realtà territoriale tangibile che un universo di immagini e di rappresentazioni. Infatti un paesaggio
turistica ha una sua reale, effettiva concretezza, fatta di paesaggi, infrastrutture, mezzi di trasporto,
strutture ricettive, servizi distribuiti sul territorio (la sua place personality), dall’altra parte ha una
dimensione iconografica fatta di opuscoli, brochure, cataloghi di viaggio, guide, siti internet, fotografie,
poster (la place identity secondo Kotler). Nella seconda dimensione si cerca di abbellire la realtà senza però
allontanarvisi troppo. Si crea quello che Marc Augé chiama effetto Disneyland, Disneyland è l’espressione
di una realtà che copia la finzione al fine di apparire irreale, è rassicurante, è come la si immagina (si cerca
di rappresentare un luogo come il turista se lo aspetta).

L’incontro con l’altro. Il turismo che privilegia l’incontro con popolazione altre non rappresenta
certamente un fenomeno di massa, sono pochi coloro che prediligono questo tipo di viaggio rispetto a chi si
dedica alla visita di monumenti o parchi naturali. Contemplare paesaggi naturali (che sono inumani) o
osservare monumenti storici (che sono simboli di un passato ormai scomparso) implica un’interazione con
realtà che possiamo gestire con un certo distacco grazie alla loro cifra di estraneità e dunque non pone
particolari problemi esistenziali riferiti alla propria identità. Il rapporto con altri essere umani pone
problemi inevitabili. Spesso la comunicazione turistica ritrae i nativi di angoli del mondo distanti, come se
vivessero all’ombra di tradizioni statiche, in opposizione con le capacità di sviluppo dell’Occidente. Viene
operata un’eccessiva etnicizzazione di alcune popolazioni che vengono presentate come “autentiche”, il
valore dell’autenticità viene contrapposto a quello della modernità e dell’alienazione che caratterizzano la
società industriale. L’industria del turismo tende a vendere quelle immagini degli indigeni che più si
avvicinano all’idea che noi ci siamo fatti di loro. La terra esotica viene esclusa da ogni dinamica storica,
sociale, politica, vive in una sorta di bolla da riempire con la nostra immaginazione. I turisti che visitano
paesi extra occidentali provano una “nostalgia” per un mondo perduto o buono da pensare in alternativa
a quello occidentale, e rimangono delusi quando si accorgono che molte delle pratiche occidentali ormai
fanno parte anche dei paesi che essi considerano orientali. Slogan “Timbuctu la Mysterièuse”, titolo del
libro di Felix Dubois del 1897-> la città veniva vista dall’occidente come sperduta, remota e inaccessibile. Il
titolo del libro diventa slogan promozionale utilizzato dai locali per attirare turisti.

L’altro e l’altrove in movimento. Con la globalizzazione e l’aumento della disponibilità di merci provenienti
da tutto il mondo, i confini con l’altro e l’altrove oggi sono sempre meno distanti. La distanza si riduce
anche grazie ai mediascapes, ovvero i paesaggi mediatici che producono e diffondono informazioni e
immagini molto facilmente in tutto il mondo, permettendo di raggiungere un livello di accessibilità molto
alto e che ha portato a frequenti contaminazioni fra le dimensioni del qui e del là. Le immagini dell’altro e
dell’altrove sono sempre più accessibili e il marketing le sfrutta (es. ristoranti etnici in Italia). L’altro invade
lo spazio della quotidianità aprendo attività nei paesi occidentali e usa immagini della propria patria
all’interno delle proprie attività per attirare i clienti, in perenne cerca della diversità, verso di sé. Tuttavia,
andare a mangiare in un ristorante etnico e visitare il luogo di origine di questi spazi che entrano a far parte
del qui sono due cose che vengono percepite in maniera molto diversa: la seconda rappresenta un salto di
qualità con un valore riconosciuto e valorizzato dai promotori turistici.

CAPITOLO 2: MODALITA DI PRODUZIONE E CIRCOLAZIONE DELL’IMMAGINE TURISTICA

La guida turistica a stampa: processi di selezione del territorio . Il genere editoriale della guida turistica
incarna il tentativo, antico quanto la pratica del viaggiare, di tradurre la complessità di un territorio in
parole (semplificazione della complessità territoriale). Le guide prevedono l’utilizzo di immagini e di
cartografia a diversa scala. Le immagini sono quelle degli elementi considerati più importanti (sono come
una bandiera identitaria) e svolgono infatti la funzione di sineddoche visuale (una pars territoriale che
rappresenta efficacemente ed evoca la totalità e complessità dell’area geografica presa in considerazione).
Influenzano le aspettative del turista e lo guidano nel definire le priorità di visita durante la performance
turistica. Esistono diversi generi di guide: guide che classificano le dotazioni monumentali e artistiche, guide
a seconda del mezzo di spostamento adottato, guide con determinati temi (gastronomiche, ai musei, al
divertimento). Ci sono guide coffee table e guide on the road. Le prime concepite per essere lette prima
della partenza o nei momenti di relax, il repertorio iconografico di questi volumi è ricco e di pregio estetico.
Viene fatto un focus sulla storia e la cultura del paese. Le seconde sono concepite per essere tascabili,
meno informazioni su cultura e storia, più utili e attente alla dimensione logistica del viaggio. Le guide in
generale operano una selezione di itinerari e cose da vedere che condiziona in modo significativo i percorsi
del turista, sia nella fase preparatoria che durante l’esperienza di vacanza. Vengono utilizzate come bussole
per orientarsi. La guida ha il potere di indirizzare il lettore facendolo andare in certi luoghi e non in altri. Se
c’è sulla guida deve essere importante (è un elenco di must see) e dunque si rimane delusi se non si riesce a
visitare ciò che la guida segnala. Spesso nelle guide viene fatta una gerarchizzazione dei luoghi che
permette di distinguere i luoghi più importanti da quelli meno interessanti, ma che comunque sono degni di
visita. Per esempio, le guide del Touring Club Italiano segnalano le attrazioni di massimo interesse con
doppio asterisco, le attrazioni di notevole interesse con un solo asterisco e le attrazioni interessanti con
semplice menzione. La classificazione può essere effettuata su due livelli: prima sulle località e poi sulle
singole attrazioni che si trovano nella località. Le guide segnalano simboli che il turista deve visitare
obbligatoriamente, i landmark che sono l’essenza identitaria di un luogo e appaiono nella to do list più
ristretta, senza i quali la stessa esperienza turistica viene a mancare. I suggerimenti turistici possono essere
anche brevi sezioni all’interno di un sito o di una rivista che propongono must turistici e liste delle to do
things in pochissime righe. L’esperienza turistica che viene influenzata dalle guide si limita quasi sempre alla
ristretta area dei centri storici o dei downtown. Ciò che non esiste sulla guida non esiste nella realtà per il
turista. Egli tenderà a percorrere solo gli itinerari consigliati dalla guida che toccano solo quelli che sono
percepiti come punti di eccellenza.

Lo spazio creato dalla guida turistica: un itinerario di punti di rilievo intervallato da pause percettive. Il
fenomeno di selezione di una serie ridotta di elementi che vengono percepiti e presentati come il best of di
una struttura, di una città, di un parco, di un centro storico, di un museo e di una nazione, quindi è un
fenomeno che avviene su diverse scale. Il viaggio è una passeggiata tra un paragrafo e l’altro della guida;
l’attenzione del turista è alta quando si trova in corrispondenza di un monumento o luogo citato dalla
guida, mentre durante il passaggio da un luogo all’altro presta poca attenzione a ciò che trova sulla sua
strada. Anche quando si prendono dei mezzi, la percezione del territorio che sta all’esterno dell’abitacolo
del mezzo scelto per muoversi tende a essere annullata, l’impressione che si ha viaggiando è quella di
trovarsi all’interno di un corridoio logistico, in cui l’unica ragion d’essere è quella di chi si sta spostando,
non c’è più spazio per la contemplazione dei territori (anche a causa di barriere antirumore e gallerie che
ostruiscono la vista). È un’esperienza di sospensione percettiva, come se tra un punto e l’altro non ci fosse
nulla da vedere. Eric Leed è invece contrario a questa visione perché per lui il viaggio, il transitare, è la fase
che più contribuisce a modificare la percezione del viaggiatore che sviluppa capacità di osservazione e
concentrazione. Tuttavia, con l’aumento delle velocità ora il viaggio è fatto sostanzialmente di partenze e
arrivi. Non esiste più sola la distanza assoluta, espressa in chilometri (che non varia nel tempo), ora esiste
anche la distanza temporale, cioè il tempo che si impiega nel trasferirsi da una località all’altra, che è
divenuta un fattore sempre più importante di misurazione degli spostamenti e ha influenzato l’immaginario
geografico. Il tempo è prezioso, è denaro, ed è quindi un fattore che viene molto preso in considerazione
dai turisti. Con la maggiore velocita è come se le distanze tra destinazioni si accorciassero ed è come se la
geografia subisse un progressivo rimpicciolimento dimensionale. Anche la distanza economica è un fattore
che incide molto, per molti non importa dove si viaggi l’importante è che si paghi poco. Una meta viene
sentita come più vicina se il prezzo per raggiungerla è basso.
La guida turistica a stampa: cosa (e come) guardare. La guida turistica è anche in grado di influenzare le
modalità di spostamento all’interno dell’area geografica di destinazione, consigliando di muoversi con
determinati mezzi. Il mezzo scelto infatti influenza le modalità percettive e l’immaginario geografico del
turista. Le guide hanno anche il potere di influenzare le modalità dello sguardo. Inserendo commenti
sull’atmosfera che emanano alcuni luoghi e monumenti, la guida indirizza la direzione emozionale del
turista che tenderà a provare determinate emozioni nella sua esperienza turistica. Le guide influenzano lo
sguardo servendosi di sostantivi e aggettivi connotativi ed evocatori, evocando sentimenti di ammirazione
per i paesaggi, apprezzamento per le qualità estetiche di monumenti. Le immagini scelte ad accompagnare
queste descrizioni sono fondamentali perché devono contribuire a creare nel lettore e futuro turista le
emozioni che vengono descritte.

La guida turistica a stampa come elemento “turistogeno”. La guida è anche in grado di “creare”
destinazioni turistiche, menzionando determinati servizi al turismo (ristoranti e alberghi) a discapito di
altri e creando luoghi che poi diventano meta di turisti, appunto perché i turisti hanno fiducia nelle guide e
le seguono. La fama di alcune strutture è dovuta più al fatto di comparire su una delle guide più diffuse che
non sul loro reale fascino o convenienza. I luoghi diventano frequentati dai turisti perché definiti ideali per i
turisti nelle guide. I ristoranti spesso segnalano con adesivi all’ingresso, motivo di orgoglio, la loro menzione
all’interno di guide rinomate.

Stereotipi e cliché nelle guide turistiche a stampa . Le guide turistiche a stampa sono opere d’autore e
quindi forniscono una visione soggettiva del paese di cui si occupano. La loro visione è etnocentrica e
dunque ricca di stereotipi e luoghi comuni. Alcune guide hanno un punto di vista che nasconde un senso di
superiorità. Questo tipo di presentazione delle realtà straniere alimenta senza dubbio il significato di una
vacanza come esperienza di realtà altre. Però induce anche a rafforzare gli stereotipi già condivisi
socialmente all’interno di certi contesti culturali e predispone i turisti a recarsi in un certo luogo con un
determinato stato d’animo o con specifiche aspettative (paure). Spesso nelle guide si manifesta l’effetto
“cannocchiale all’incontrario”: più una cosa è lontana e più appare indistintamente coesa e unitaria,
vengono fatte delle generalizzazioni riguardo ai paesi considerati lontani dall’autore, non si tiene conto
delle specificità regionali di questi paesi. Le guide spesso utilizzano la categoria del pittoresco sia per
descrivere paesaggi che persone (altrove e altro pittoresco). Gli sguardi sono diversi a seconda del fatto che
chi scrive sia un insider (abitante) o un outsider (turista). Etico= punto di vista esterno vs emico= punto di
vista interno.

L’incarnarsi della selezione territoriale: la guida turistica come professione . Anche il lavoro della guida,
intesa come persona, si presenta fondamentalmente come un’opera di selezione e di semplificazione, e ha
anche la funzione di orientamento. Seleziona ciò che è degno di essere visto e i momenti in cui invece si
può abbassare la soglia di attenzione. Spesso la guida scritta è considerata più autorevole della guida
persona e i turisti tendono a mettere quest’ultima alla prova per verificare se le sue conoscenze
corrispondono alle informazioni contenute nella guida scritta. È interessante il caso di Timbuctu: gli europei
vanno a Timbuctu per cercare la loro storia. Le guide turistiche locali hanno organizzato diversi itinerari che
propongono la visita alle case degli esploratori europei del passato. In questo caso si può parlare di
etnocentrismo occidentale e di sudditanza locale: i locali stessi si offrono a proporre questo tipo di itinerari
che permettono agli europei di rivivere l’esperienza degli esploratori europei a Timbuctu. È come se la
storia millenaria di questa città fosse definita dall’arrivo degli occidentali. I locali che operano a stretto
contatto con i turisti hanno finito per comprenderne le aspettative. Le guide infatti costruiscono degli
scenari, una staged authencity: spesso i locali rispondono in modo finto al desiderio dei turisti di vedere la
vita come viene realmente vissuta dai nativi, mettono in scena un teatrino, danno ai turisti quello che
vogliono, anche se non sempre è autentico.

Il turista come produttore di immagini. L’esperienza del turista è scandita da fotografie (viste prima di
partire, scattate in viaggio, riproposte al ritorno del viaggio). Il turista ricerca quell’aura di purezza sulla
quale proiettare i suoi desideri di una società tradizionale, ed è per questo che la comunicazione turistica
predilige l’utilizzo di un tipo di immagini che presentino l’altro come davvero “altro”, quindi in situazioni
che vengano percepite come tradizionali. La nostalgia per il mondo perduto è una malattia dell’Occidente.
Se non pensassimo questi popoli esotici come impermeabili a ogni trasformazione, diventerebbero simili a
noi e cesserebbero lo stupore e l’illusione che esista, da qualche parte, un mondo migliore. D’altro canto,
però è necessario lo choc culturale non sia troppo forte. Il turista sensibile può essere messo in crisi dalla
comparazione indotta dal confronto, che induce inevitabilmente a una riflessione su se stessi. Da qui deriva
la costruzione del “selvaggio” o dell’esotico addomesticato. Fotografare è un modo per appropriarsi di un
oggetto o di uno spazio. In molti casi gli individui che vengono fotografati perdono la loro “personalità” per
diventare più simili a monumenti che a esseri umani. Talvolta si verifica un effetto specchio: molti locali
mettono in mostra aspetti della loro cultura per i turisti, estraniandoli dalla pratica quotidiana per
trasformarli in pura rappresentazione, seppur fedele all’originale. La fotografia è selettiva, è una fetta
sottile di spazio e di tempo (Susan Sontag). Fotografare le persone le trasforma in oggetti che possono
essere simbolicamente posseduti. Perdono la loro personalità per acquistare quella che il fotografo intende
assegnargli: mistico, esotico, pittoresco, selvaggio, ma soprattutto statico. Diventano simboli di un evento
che concentra sensazioni e bisogni del turista. Vi si proietta l’immagine di società ideale e armonica sugli
altri. Le fotografie diventano la proiezione di un esotismo e primitivismo che sono luoghi comuni proposti
dalla letteratura e dai media.

Al ritorno: l’addomesticamento dell’altro . Le fotografie che vediamo al ritorno (e scattiamo) assomigliano


molto a quelle dei cataloghi che abbiamo sfogliato prima di partire. La foto diventa la prova che legittima
chi l’ha scattata nel suo status di viaggiatore. Secondo Augé: la fotografia permette di ricavare una
narrazione del viaggio, una storia dotata di momenti forti e di peripezie, di conferirgli talvolta una tonalità
mitica e di mettere in scena dei personaggi. Spesso la maggior parte dei turisti scatta fotografie di un luogo
o monumento riproducendo la stessa prospettiva che hanno visto anche in depliant, cataloghi etc. si
perpetua così una visione condivisa che diventa la chiave di lettura predominante di una località, di una
regione o di una popolazione.

CAPITOLO 3: I LUOGHI DELL’ALTRO E DELL’ALTROVE

In questo capitolo vengono illustrati quattro esempi di applicazione dei concetti di altro e altrove a
specifiche realtà geografiche.

1. la catena delle Alpi: regione transfrontaliera al centro dell’Europa, come è stata


progressivamente rappresentata nel mondo del turismo.
2. il fiume: esempio del Po che non è riuscito ad affermarsi come meta turistica, analisi delle
motivazioni per il suo insuccesso.
3. citta di Timbuctu, in Mali.
4. gli outlet: nuovi luoghi turistici che assumono un ruolo di altissima visibilità e che godono di un
notevole successo pratico.

I molti volti delle Alpi. Per i non montanari la montagna ha spesso rappresentato- e in parte rappresenta
ancora oggi- una sorta di esotico nostrano, un mondo altro. l’immagine della montagna oscilla tra una
visione romantica e bucolica, caratterizzata da un sistema socioeconomico ancora legato alle tradizioni del
passato e una visione che la descrive come una realtà arretrata, pre-moderna, se non addirittura anti-
moderna. Queste sono le prospettive, gli sguardi del turista, non di chi ci vive. Escluse dal mondo abitato e
civile in epoca greco-romana, le Alpi sono state vissute nell’antichità perlopiù come luoghi di frontiera o
come corridoi di transito. Esse si configuravano come uno spazio liminale, di frontiera, che veniva
percepito come un limite e come un ostacolo per chi volesse valicarne i rilievi, infatti nelle vecchie
rappresentazioni cartografiche le montagne vengono raffigurate come una linea continua, come una sorta
di muro naturale, che segna sulla superficie della carta una discontinuità, un “bordo” territoriale (vedi
Tabula peutingeriana, celebre rappresentazione tardo medievale basata probabilmente su un precedente
documento di origine romana). Nell’immaginario occidentale medievale le montagne diventano luoghi
d’elezione di cosmogonie antiche e caratterizzati da un’intensa religiosità, come testimonia il sorgere di
numerosi santuari e monasteri in quota. A partire dal XIV secolo, per arrivare fino al XVIII, durante la
cosiddetta “piccola età glaciale” (un periodo climatico caratterizzato da temperature tendenzialmente
inferiori alla media, da inverni lunghi e nevosi, e da precipitazioni abbondanti nelle aree altimetriche più
rilevate), la montagna viene presentata come un “paesaggio della paura” (Tuan, 1979), territorio popolato
dai mostri, draghi, forze maligne che abitano il mondo dei ghiacciai, un mondo, in sintesi, dal quale è cosa
assai saggia stare alla larga. La difficoltà di percorrenza di questi luoghi, i rischi che un viaggio di
attraversamento comportava, le percezioni sensoriali legate al freddo, le tipologie paesaggistiche inedite e
percepite come “anomale” (come nel caso della quasi completa assenza di vegetazione arborea sopra un
certo livello di quota) portano a una visione della montagna come un mondo ostile, che viene esorcizzato
attraverso l’inserimento di figure mitologiche (l’uomo selvaggio) o di animali straordinari e terribili. Questa
visione è testimoniata dalle relazioni di viaggio dei viaggiatori durante l’epoca in cui il Grand Tour era in
voga, che descrivono i passaggi delle Alpi. Definite e concepite come una sorta di immondezzaio della Terra,
e sostanzialmente percepite come uno spazio “inutile”, le Alpi, per tutta l’età moderna, provocano
fondamentalmente repulsione. Le immagini ad esse associate fanno leva sulla presenza di ostacoli (pareti
rocciose, ghiacciai, muri di neve, burroni, valli impervie), di pericoli (valanghe, frane, animali feroci, briganti)
di disagi (temperature rigide, terreni scoscesi e strade dissestate). Nella cartografia del 500 e del 600 le
montagne vengono rappresentate principalmente con il classico simbolo del “cono” o “mucchio di talpa” e
vengono ancora concepite come barriere fisiche. Oltre alla montagna spiccano l’idrografia, alcune cime
principali e i maggiori valichi. L’idrografia è importante perché le valli create dai corsi d’acqua
rappresentano le vie di comunicazione principali, le cime più alte costituiscono punti di riferimento visuali
per l’orientamento, i valichi rappresentano i punti di rilievo che permettono di passare dall’altra parte. Le
valli oggi sono i distretti naturali intorno alle quali si struttura la promozione turistica, dove si trovano i
servizi e le infrastrutture turistiche. Le cime più alte oggi sono attraenti per i turisti – vedi Monte Bianco, la
cima più alta d’Europa (mitologia dei “quattromila”, le cime alpine che superano i quattromila metri che
viene usata dalla comunicazione turistica per attrarre turisti, come garanzia di denominazione alpina). Il
valico che mette in comunicazione una valle con l’altra, quindi un insieme di strutture turistiche a un altro,
diventa anche punto di attrazione per ragioni panoramiche e per valorizzare la sua funzione storica di
collegamento.

Il nuovo volto delle Alpi: la base della moderna immagine turistica. L’immagine del mondo alpino subisce
un profondo cambiamento nel XVIII secolo. Un ruolo particolarmente importante è quello di Jean-Jacques
Rousseau che, identificando negli abitanti delle isolate valli alpine il prototipo del “buon selvaggio”,
dell’uomo puro non corrotto dalle scorie della civiltà, ne rivaluta il modo di vivere. In quest’ottica i
montanari vengono dunque visti come selvaggi, ma innocenti e buoni. Di conseguenza anche l’ambiente
alpino cambia connotazione: le vette delle montagne, i pascoli e i boschi acquisiscono un rinnovato fascino
come luoghi superstiti di un’originaria condizione naturale, sono innocenti e vergini rispetto alle società
urbane. La natura viene descritta come dimensione primigenia e incontaminata dai valori spirituali,
incontaminata sia dal punto di vista naturalistico sia da quello morale. Il concetto di elevazione spirituale
infatti deriva dall’ascensione alpina. La montagna diventa luogo per rigenerazione fisica e spirituale. Tra il
XVIII e XIX secolo diventa anche luogo per praticare sport, imprese alpinistiche. Diventa il playground of
Europe, campo di gioco per i borghesi. Diventa sinonimo di libertà e purezza soprattutto per chi vive in
contesti urbani. Oggi si parla di wilderness, concetto inventato dagli abitanti delle città che mette in
contrapposizione la natura incontaminato con la città caotica, il silenzio dei grandi spazi panoramici vs il
rumore dei costretti luoghi urbani, la dimensione “pura” delle forze e dei tempi della natura vs i
compromessi della vita comunitaria e i forsennati ritmi di vita della moderna società. Nei primi decenni
dell’Ottocento nasce l’alpinismo, da borghesi nordeuropei in cerca di sfida. Le medesime immagini che
prima incutevano paura ora rappresentano opportunità per avventure ed esplorazioni (pareti rocciose e
ghiacciai). Ciò dimostra che le immagini dei territori nel tempo sono in continua evoluzione e possono
cambiare connotazioni.

La montagna turistica come luogo sano e rigenerante. Negli stessi anni in cui nasce l’alpinismo nasce
anche un’altra forma di turismo legata alle cure termali o al climatismo medico. Questo tipo di turismo si
basa su un sillogismo: il montanaro vive in altura, il montanaro è sano (fisicamente e psicologicamente),
quindi chi vive in altura è sano. La frequentazione delle alte quote viene associata a un senso di
rigenerazione che non è soltanto spirituale e psicologico, ma anche propriamente fisico. Nascono le stazioni
termali o di cura, oltre alle qualità mediche delle proprie risorse ambientali il valore aggiunto di un
panorama alpino. L’ambiente alpino si connota come un ambiente “sano”, per il fisico e il corpo e per la
spiritualità. Diventano “paesaggi terapeutici”, paesaggi che in virtù delle proprie caratteristiche ambientali,
ma anche del proprio portato estetico, hanno un effetto curativo sugli esseri umani.

L’immagine contemporanea della montagna turistica: dalla salute al salutismo. Arrivo degli sciatori agli
inizi del Novecento. Da salutare, la montagna diventa salutista grazie allo sport, sauna, fitness e wellness
(gratificazione psicologica attraverso trattamenti di wellness e di benessere corporeo). Diventa customer
oriented, si adatta alle esigenze e aspettative del singolo cliente. Le due immagini di montagna salutare e
salutista convivono senza attrito. La montagna vede ora diverse tipologie di turisti: quelli più attratti dallo
sport, quelli più attratti dall’aspetto salutista o salutare etc.

L’”invenzione” dei luoghi turistici montani. Il colle di Sestrières che collega la Valle di Susa con la Val
Chisone è il luogo dove è nato lo sport dello sci, inventato da Adolfo Kind nel 1897 circa. Possetto inizia
un’opera di infrastrutturazione in quest’area realizzando alberghetto e ristorante annesso, successivamente
la famiglia Agnelli, produttori di automobili (mezzo con cui si arriva in queste località), investono in questa
località che diventa nel tempo località sciistica. Oggi Sestriere è uno dei più noti centri invernali d’Europa,
anche per le prestigiose manifestazioni sportive che vi si tengono ogni anno. Le località sciistiche nascono
grazie all’automobile e alla ferrovia, unici modi per raggiungerle. La loro immagine nel secondo dopoguerra
era più improntata alla modernità e alla moda e non alla trazione montanara. La città si sposta in
montagna nelle località sciistiche. L’immagine della montagna che ne deriva è quella di uno spazio naturale
addomesticato e soggiogato dalla tecnologia prodotta dall’uomo, che crea veri e propri “tecno-paesaggi”
composti da condomini residenziali, di seconde case, di strade asfaltate, di parcheggi, di impianti di risalita,
di elettrodotti etc. la montagna appare “domata” e dominata dall’azione dell’uomo.

La “costruzione” delle località montane. Una località turistica può essere costruita a volte anche in modo
indipendente dalla struttura sociale che ne sta alla base. Alcune località sciistiche sorgono come parco di
divertimenti per alcuni cittadini, non si assiste alla corsa a ritroso verso la tradizione, né alla ricerca del
passato, lo sguardo è rivolto in avanti, la tecnologia e la modernità dominano l’immaginario, molto più
vicino al mondo urbano-industriale che non a quello alpestre. Molte località sciistiche sorgono ex nihilo e ci
si chiede quale sia il loro legame con il territorio dato che un luogo per essere considerato tale deve essere
identitario, relazionale e storico, cioè deve intrattenere un legame con il territorio che occupa, identificarsi
nella sua essenza, essere costruito attraverso le relazioni tra gli individui e tra questi e il luogo, e infine
richiamare un passato almeno concettualmente condiviso, se non proprio comune. Un luogo è uno spazio
simbolizzato. Alcuni centri turistici invece sono come li definisce Marc Augé, dei “non-luoghi”. Il “non-luogo
è soprattutto uno spazio che viene utilizzato più che per essere vissuto. Per esempio, lo sono i grandi centri
commerciali, gli aeroporti, le autostrade, caratterizzati dal transito, sono posti di passaggio. Questi non-
luoghi turistici vengono consumati per brevi periodi da persone che non dialogano con la località ospitante.
Per esempio, alcune località turistiche che sono nate in seguito a processi di turisticizzazione sono non
luoghi perché non esiste un rapporto tra di esse e il territorio.
Alla ricerca con il territorio “altro”. A partire degli anni Ottanta del Novecento è emerso un maggiore
interesse nei confronti delle culture locali e delle tradizioni alpine. Ciò è testimoniato dalla nascita di
musei etnografici locali, corsi di musica e danze tradizionali delle regioni alpine. I turisti sono spinti a
cercare una dimensione “altra” nelle vallate alpine, cercano un viaggio a ritroso nel tempo. Il territorio
alpino, su 13 milioni di residenti, ospita oggi ogni anno circa 60 milioni di turisti, che fanno domanda di
“tradizione”. Le comunità locali rispondono creando nuovi eventi culturali legati alla tradizione. Il turista ha
nostalgia per un mondo perduto, e lo ricerca nella montagna (e in altri luoghi esotici) dove sopravvivono
ancora stili e modi di vita del passato, che raramente corrispondono alla realtà. Si mette in scena ciò che i
forestieri vogliono vedere (insegne che esplicitano l’anno di fondazione dell’esercizio, aggettivi che
suggeriscono profondità temporale- antico, tradizionale, storico, utilizzati dal marketing, arredi legati al
mondo del passato). Le manifestazioni, i festival etc sono esempi di staged authenticity (autenticità
rappresentata- concetto di MacCannell ispirato ai concetti di Goffman di ribalta e retroscena della vita delle
persone). Si tratta di una messa in scena ad uso del turista. Musei etnografici che spingono il visitatore
indietro nel tempo riportandolo a una dimensione che suscita una visione romantica di comunità in
armonia con l’ambiente naturale circostante e ammirazione per le condizioni di vita dure del passato,
manifestazioni in costume, rievocazioni storiche, festival di musiche e danze tradizionali, artigianato e piatti
tipici sono tutte performance perché in realtà la cultura di cui sono espressione è andata perdendosi già da
tempo con il dissolversi delle comunità dopo l’esodo del dopoguerra.

Turismo, tradizioni, continuità identitaria: paradossi e frizioni. La visione turistica della montagna come
conservatrice e luogo in cui il tempo scorre più lentamente è sempre più in crisi. Infatti, gli abitanti delle
alte valli sono oggi più moderni e aperti grazie al contatto con i villeggianti, ma allo stesso tempo
mantengono viva la tradizione in risposta alla domanda di tradizioni del turista. In molte vallate il turismo
ha liberato gli abitanti dal duro lavoro del montanaro e ha aumento la ricchezza diffusa. Il montanaro
diventa più simile a quel cittadino che lo vorrebbe invece più montanaro. Il turista vuole essere almeno
per il tempo della vacanza un montanaro, mentre il montanaro vuole diventare cittadino. Molti giovani
hanno però avviato un processo di valorizzazione della propria cultura per attirare i turisti.

Il turismo fluviale. Il turismo fluviale si basa sul rapporto tra le comunità umane e i corsi d’acqua nel corso
della storia. Il fiume ha diverse funzionalità per l’uomo: trasporto, approvvigionamento idrico, elemento
difensivo, serbatoio di risorse alimentari ed è servito anche come sistema assiale di territorializzazione,
infatti vicino ai corsi d’acqua si sono stanziati nel corso della storia molti insediamenti umani. Vi sono
nazioni come la Germania e la Francia nelle quali è diffusa socialmente un’intensa “cultura fluviale” che ha
portato a una tradizione di turismo fluviale. In Italia questo non è avvenuto e un caso particolare di
invisibilità turistica di un fiume è quello del Po, maggior corso d’acqua italiano.

Il concetto di “valle culturale” e le tipologie turistiche fluviali. La valle fluviale si configura come una
“regione turistica” ideale in quanto dotata di una coerenza territoriale, di un asse ordinatore (il corso
d’acqua e di una precisa riconoscibilità. Esistono diverse tipologie di fiumi che possono presentare una
potenziale attrattività turistica:

- il torrente alpino, appetibile per le attività di pesca e per lo svolgimento di escursionismo e di


turismo naturalistico. È un elemento aggiuntivo di un paesaggio alpino già molto attraente per i
turisti.
- il fiume maestoso, di portata imponente, spettacolare, manifestazione delle forze della natura.
Comprende la sottoclasse delle cascate e delle rapide.
- il fiume storico, il cui marchio di immagine è profondamente legato a una civiltà del passato che ha
prosperato sulle sue rive (valli storiche come la bassa valle del Nilo in Egitto e la valle della Loira in
Francia).
- il fiume confine, che ha rappresentato o rappresenta ancora una linea confinaria fra Stati, regioni o
civiltà differenziate (fiume Reno, storicamente confine fra mondo germanico e francese- intensa
attività di crociere ricreative)
- il fiume internazionale, lunghezza e attraversa diverse realtà nazionali (Danubio, da Germania
sfocia nel Mar Rosso
- il fiume labirintico, tipico delle zone di delta, dove il corso d’acqua si divide in numerosi rami fino a
formare un dedalo di zone allagate e paludose che richiamano il mare.

Il fiume Po non è riuscito ad affermarsi pienamente in nessuna di queste categorie anche se in qualche caso
avrebbe potuto candidarsi a farlo. Ha caratteristiche di fiume montano e di fiume labirintico e di fiume di
confine tra regioni, non è un fiume maestoso e avrebbe potuto rientrare nella categoria di fiume storico per
la tradizione di navigazione e di frequentazioni militari, commerciali e di trasporto. Il mancato successo
turistico del fiume è legato alla mancanza di siti turistici ben definiti, ovvero mete considerate
rappresentative, località in cui concentrare il flusso turistico in un dato contesto geografico. Il sito è
evocatore di un’immagine riassuntiva del contesto, anche se ciò non corrisponde sempre alla realtà
(Lozato-Giotart). È possibile identificare alcune categorie di siti turistici legati all’ambiente fluviale:

- siti sfondo naturali e non modificati perché considerati spettacolari (cascate e rapide)
- siti mitico-leggendari, hanno valore per tradizioni immateriali (leggende, fiabe, miti, credenze
popolari).
- siti-sfondo urbani, tratti del corso in cui le acque attraversano il cuore di una città e permettono di
godere di panorami urbani da una prospettiva inedita (il fiume Po attraversa Torino ma non è
riuscito a consolidare un sito-sfondo urbano, non ha costruito un waterfront, un’interfaccia
architettonica fra centro urbano e componente acquea).

La parcellizzazione dell’immagine turistica del fiume Po come fattore penalizzante . Anche la divisione
amministrativa ha influenzato la scarsità di incentivi al turismo fluviale sul Po. Esso in larghi tratti del
proprio corso svolge la funzione di confine regionale e si situa in una posizione periferica sul territorio
regionale e per questo motivo non molti enti pubblici sono favorevoli a fare promozione turistica di queste
aree confinarie. Infatti, il turismo si è sviluppato maggiormente in Piemonte nel tratto iniziale del corso
dove entrambe le sponde sono nel territorio regionale. Il fiume tocca quattro regioni (Piemonte,
Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), tredici province e più di duecento comuni, quindi anche la
frammentazione amministrativa ha influito. C’è stato un tentativo di organizzare crociere di più giorni che è
fallito per motivi di percorribilità idraulica, ma anche per la difficoltà di affermazione di un’immagine
turistica coesa del sistema-fiume. Anche il progressivo degrado ambientale nel secondo dopoguerra, a
seguito dei processi di industrializzazione nell’area padana è stato un fattore penalizzante.

L’immagine turistica del fiume Po: un caso di “insuccesso”? La visibilità del Po si limita a una ristretta e
fedele fascia di utenza locale (approdi, banchine e costruzioni). L’inquinamento e l’abbandono di molte
delle tradizionali attività economiche che si svolgevano sulle sue rive le impediscono di aumentare la
propria visibilità al di fuori delle comunità locali, in una scala nazionale e internazionale. Il fiume non è
riuscito ad affermare la sua natura di “altrove” appetibile come destinazione turistica, sia per ragioni
idrauliche che per la mancanza di investimenti. Non è riuscito nemmeno ad approfittare di quel
differenziale climatico che ha invece decretato il successo del sistema dei laghi prealpini dell’Italia
settentrionale. Il lago prealpino si è infatti consolidato nell’iconografia paesaggistica romantica, ed è una
meta attraente nell’Europa continentale. Ciò che i laghi italiani possono offrire come elemento in più è
legato alle condizioni climatiche che rendono le acque meno fredde, la vegetazione più mediterranea, la
stagione costiera più lunga, le temperature più elevate.

Capire Timbuctu. Timbuctu è il minareto della moschea di Djinguereber, costruita nel 1300 con un impasto
di terra e paglia. A Timbuctu i monumenti non scarseggiano, ma non sono come ce li aspettiamo. Una
Timbuctu “mitica” si contrappone a una Timbuctu “reale”, secondo Bruce Chatwin. Il mito di Timbuctu
nasce dai suoi fasti medievali, dall’oro di cui si favoleggiava e dal mistero che la avvolgeva (sultano del Mali
molto ricco, che durante il suo pellegrinaggio alla Mecca porta tantissimo ora e lo spende nel suo cammino,
immettendo oro sui mercati). Timbuctu oltre a essere una miniera d’oro, meta di avidi mercanti era un
centro culturale da fare invidia all’Europa dell’epoca. Nasce così il mito di Timbuctu come citta dell’oro e di
ricchezza culturale. Ma quando la si visita oggi i turisti dicono che non c’è niente, è una città di terra. Il
turista cerca la storia, l’antico e lo ricerca in qualcosa di tangibile, i monumenti, segni chiari ed evidenti che
ci danno l’idea che in un luogo è sorta una vera civiltà. Il turismo etnico è praticato soprattutto da chi cerca
l’altro, per apprezzarne la diversità. Timbuctu è riconosciuta dal patrimonio culturale dell’umanità
dell’Unesco. I monumenti hanno un forte significato politico e simbolico, sono espediente concettuali
impiegati dalle diverse società per offrire un’immagine di sé in termini di stabilità e durata temporale
(Remotti). Tuttavia, i turisti possono apprezzarli anche solo semplicemente per la loro bellezza estetica.
Visitare Timbuctu permette di “spostare il centro del mondo”: la sua storia di città molto viva
culturalmente nel Medioevo viene ignorata dai testi di base delle nostre scuole e visitandola possiamo
capire che la storia come ci viene insegnata è occidentecentrica. A deludere ulteriormente molti turisti,
contribuisce il fatto che Timbuctu non risponde neppure alle necessità del turismo “etnico”: non c’è un
popolo da identificare con i suoi costumi e le sue tradizioni ben definite (come invece lo sono i Dogon,
popolazioni che abitano in villaggi del Mali e che praticano l’animismo). Timbuctu è infatti stata la città
dello straniero e lo si vede dalla gente che ci vive. La vera ricchezza di Timbuctu la si può vedere nella sua
gente.

L’artificializzazione dello spazio turistico: la creazione di un altrove del consumo . Gli outlet sono un
“altrove” recente che ha però riscosso un successo immediato e che ha dato vita a vere e proprie forme di
turismo. Sono spazi commerciali, legati al risparmio, ma soprattutto all’idea di fare un affare (il loro
antenato era lo spaccio aziendale che però rimandava a un’idea di povertà, di seconda scelta ed era uno
spazio annesso alla ditta). I moderni outlet sono delle vere e proprie località, mete turistiche. La moda
viene spesso associata all’Italia e viene vista come parte “del patrimonio artistico” e gli outlet sono
diventati parte dell’itinerario dei turisti. Ci sono turisti che arrivano con un volo appositamente per fare
acquisti. Alcuni outlet si presentano come una sorta di parco di divertimenti a tema, magari replicando
borghi medievali, villaggi tradizionali, architetture di vari angoli del paese, raggruppate in un unico spazio e
miniaturizzate. Venivano considerati non-luoghi (concetto di Marc Augé), strutture che non intrattengono
relazioni di carattere identitario con il territorio che le ospita e le circonda, spazi utilizzati, ma non vissuti.
Hanno dato vita a un turismo dell’”affare”. Ora vengono considerati iper-luoghi in alcuni casi, dei veri e
propri centri di riferimento e di aggregazione per molte persone.

CAPITOLO 4: DECLINAZIONI DELL’ALTRO

Questioni di nostalgia. Gran parte del turismo etnico si fonda su quella che l’antropologo americano
Renato Rosaldo ha definito “nostalgia imperialista”, cioè quell’atteggiamento per cui gli occidentali
contemporanei provano sempre più interesse e simpatia per quelle società che le generazioni prima di loro
hanno invece tentato di distruggere. Da qui nasce la retorica utilizzata dalla comunicazione turistica della
ricerca degli “ultimi”: ultimi cannibali, ultimi indigeni amazzonici, ultimi cacciatori-raccoglitori che dà l’idea
di urgenza. Ci sono comunque forme di turismo che si basano sulla logica dell’incontro e dello scambio,
della conoscenza dell’altro. In entrambi i casi la motivazione è sempre la ricerca della differenza. Più la
differenza è grande, più il valore dell’incontro cresce. Spesso il turista però tende a cancellare ogni
elemento di contaminazione con l’Occidente dall’Altro perché vuole percepirlo come tradizionale e
autentico. Vengono utilizzati dei termini diversi per indicare espressioni culturali spesso simili: noi abbiamo
la storia, gli altri la tradizione, noi la scienza, loro la cultura. Ciò contribuisce a creare un altro diverso da
noi. La comunicazione turistica si serve di questi espedienti, di semplificazioni delle popolazioni locali
(senza diversità regionali o tribali o personali, e come se non fossero intaccate dal corso della storia, dai
fenomeni della globalizzazione e industrializzazione). I locali finiscono per camuffarsi da “altri” secondo i
canoni previsti dal turista, dando vita a un gioco di specchi e restituendo l’immagine che gli altri hanno di
loro. Il turismo può inoltre creare un valore rispetto a cose che per i locali hanno perso di importanza,
perché ritenute sorpassate (vedi locali che ristrutturano i loro edifici per i turisti).

Funerali per turisti. I toraja, che abitano l’isola di Sulawesi (arcipelago indonesiano) sono famosi in
Occidente per le loro cerimonie funerarie animiste, accompagnate da drammatici sacrifici di buoi, descritte
da etnografi e giornalisti. È dagli anni 70 che si è iniziato a sviluppare un turismo dedicata ai toraja. Oggi in
realtà i toraja svolgono lavori di diverso tipo, insegnanti, impiegati e operai e in seguito alle campagne di
conversione dei missionari olandesi oggi la maggior parte pratica il cristianesimo, ma neanche questo riesce
a cancellare la loro immagine di animisti. A questo punto i locali stessi si autoconvincono dell’abbondanza
di cultura che la loro etnia detiene. L’etnia è un’invenzione fatta dai colonizzatori e dagli etnologi per
classificare le popolazioni e per compararle con la cultura occidentale, popolazioni che in realtà sono
situate in un continuum socio-culturale. I toraja hanno cercato di ridefinirsi spiegando che la carne dei buoi
sacrificati verrà usata poi per nutrire, perché i turisti infatti vedevano i sacrifici come uno spreco. Quindi i
Toraja sono cambiati per adeguarsi ai canoni moderni dei turisti.

Lo specchio dei Dogon: etnografia di ritorno. I Dogon sono una società che possiamo definire
“etnologicizzata” perché l’influenza dell’etnologo Marcel Griaule e dei suoi allievi sulla creazione
dell’immagine di questo popolo è stata elevatissima: i Dogon attraverso gli scritti di Griaule sono passati in
Occidente come un popolo di mistici e la Falaise di Bandiagara come un mondo dominato dalla magia e
dall’animismo. È successo che i “visitati” (in questo caso i Dogon) hanno fatto proprie le categorie create
per loro dai “visitatori”, secondo la logica, analizzata da Gramsci, per cui le popolazioni dominate assumono
le categorie dei loro dominanti e le utilizzano a uso proprio. Le guide mostrano ai turisti ciò che è
“animista”, evitando di condurli alla moschea o in ogni altro luogo che possa rivelare tracce di modernità e
di trasformazione. Ciò porta a una riflessione sull’idea di autenticità.

Cataloghi turistici e racconti di viaggio: l’immagine dei Dogon. Nella comunicazione turistica si pone
l’enfasi sul fatto che i Dogon sono un’etnia intatta e isolata, che ha conservato immutabili le sue tradizioni
ancestrali. Ovviamente l’idea di isolamento è un’idea relativa: i luoghi abitati dai Dogon sono una realtà
incastonata in mezzo ad altre regioni e altre popolazioni con le quali i Dogon intrattengono scambi regolari,
inoltre sono influenzati da tempo dall’Islam (molti di loro sono musulmani). Tuttavia, cataloghi, guide e
riviste turistiche continuano a riproporre l’immagine tracciata da Griaule come popolo animista che sembra
essere l’unica chiave di accesso alla conoscenza di questo popolo. Vendono quelle immagini di indigeni che
più si avvicinano all’idea che noi ci siamo fatti di loro. Dato che il turismo è una delle maggiori risorse in
questa regione colpita da un esodo continuo e costante i Dogon si ritrovano a dover perpetuare questa
visione, portando a un effetto “presepio vivente”.

Danze a pagamento. A Sanga, nella stagione turistica, quasi tutti i giorni si tengono danze a pagamento per
gruppi di turisti. Si parla di turisticizzazione delle danze. I danzatori utilizzano maschere e costumi rituali
ma le danze non durano ore come quelle rituali ma sono più brevi. Inoltre, i danzatori sono in numero
minore anche perché ci sono sempre meno giovani nei villaggi. Le donne turiste possono assistervi sebbene
ci sia il divieto per le donne di assistere a quelle “autentiche”. Si è arrivati a una dimensione di carattere
teatrale delle danze, con il semplice fine di divertire i turisti.

Da Griaule al turista. Griaule studiò i dogon negli anni 30. Affidando a Griaule la loro tradizione orale,
l’hanno resa celebre in tutto il mondo e perpetuabile nel tempo, anche se l’hanno condannata alla
cristallizzazione, la matita di Griaule ha creato un’identità dogon forse inesistente prima. Entra in gioco il
concetto di autenticità, ci si chiede se i dogon siano autentici. Per i turisti l’autenticità è quella dei musei
tradizionali: è vero ciò che segue la tradizione, ciò che è sempre stato così, ciò che è naturale. Ning Wang
dice che esistono due tipi di autenticità: una “calda”, esistenziale, vissuta dal turista e fondata sulla sua
percezione degli eventi; l’altra, invece, di carattere oggettivo, basata sull’analisi distaccata degli stessi
eventi.

Altri e selvaggi. In alcuni casi l’altro deve essere estremo, molto distante da noi. La comunicazione
pubblicitaria contribuisce a creare un’immagine delle genti di alcune aree come di sopravvissuti a
qualunque cambiamento. Senza tempo, intatti, autentici, originali, reali, antichi, immutabili. Secondo
questa visione le popolazioni continuerebbero a viver in armonia con il loro ambiente, in uno spirito
ecologico, seguendo i costumi dei loro antenati da tempo immemore. Si tratta di una visione
apparentemente romantica, ma che in realtà nasconde del razzismo, attribuisce solo a noi la capacità di
innovazione, relegando l’altro in una bolla astorica, a causa della sua incapacità a cambiare. Altro aspetto
utilizzato dalla comunicazione turistica è quello riguardante l’unicità dell’esperienza: il turista vuole vivere
un’esperienza unica, per sentirsi superiore alla media, rischiosa e disagevole ma non troppo per non
impaurire i clienti. I gruppi locali hanno fatto proprie delle categorie create per loro da altri, creando
“culture per turisti”, si comportano e autodefiniscono “selvaggi” per soddisfare le aspettative dei turisti.

L’altro come amico, l’altro da aiutare. Negli ultimi decenni si sono sviluppate nuove forme di turismo, in
alternativa ai modelli di massa. Grazie ad associazioni, ong ed altri enti che propongono un tipo diverso di
incontro con l’altro. Si tratta del turismo responsabile che ha creato nuovi immaginari. A ciò si aggiunge
anche il turismo di volontariato, i cui protagonisti spesso impiegano le loro vacanze in progetti di
cooperazione in aiuto alle popolazioni locali. Già alla fine degli anni Sessanta, soprattutto nei paesi del Nord
Europa, molti gruppi alternativi cominciarono a occuparsi del turismo denunciandone l’eccessivo impatto
socioeconomico sulle mete di destinazione. Lo scopo era dare al turismo un volto meno consumistico e più
consapevole. Nel 1970 a Tutzing, in Germania, si tenne la prima consultazione internazionale sul turismo
alternativo. Nel 1980 si tenne a Manila un controvertice in contemporanea con la conferenza
dell’organizzazione mondiale del turismo, nel quale venne fortemente criticata l’impostazione sviluppista di
quest’ultima, mettendo in evidenza ingiustizie economiche e degrado sociale legati al turismo del Sud del
mondo. Nel 1997 nasce l’Associazione Italiana Turismo Responsabile. Lo scopo di tutti è quello di rompere
la “bolla ambientale” che il turista incontra non appena arriva in una nazione: il tour operatore, le guide
etc. che non gli permettono di sperimentare il vero paese. Tuttavia, tutta la buona fede che può
accompagnare i turisti responsabili non può evitare l’ostentazione, seppur involontaria, di una ricchezza
relativa non indifferente, che rimanda a una modello di vita occidentale. Non si pone mai l’accento nella
comunicazione sull’impatto che il nostro semplice arrivo può avere sugli altri. Ciò che distingue il turista
responsabile dal turista di massa, è un minore grado di fascinazione da esotico e una maggiore sensibilità
verso i problemi sociali e un interesse verso le realtà locali, ma anche questo sguardo rischia di occultare
quel dislivello che segna inevitabilmente il rapporto con l’altro. il turismo responsabile non è fuori del
mercato, è una sua componente che cerca di moralizzarlo, ma senza uscirne veramente. La differenza con il
turismo classico sta nella comprensione, conoscenza e approfondimento dell’altro, si tratta di un turismo
come pratica. Il rischio però è che luoghi e persone visitate diventino una sorta di approdo psicoanalitico
per occidentali scontenti della propria civiltà, animati da un bisogno terapeutico di capire e di aiutare gli
altri. Può generare uno “sfruttamento voyeuristico”, idea che si va più per imparare dalle società locali che
per insegnare loro qualcosa.

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