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SECOLO BREVE (QUARTO STATO)

RISORGIMENTO ITALIANO
Per risorgimento italiano si fa riferimento ad un processo culturale avviato alla fine del XVIII
secolo e che porta all'unificazione d'Italia nel 1861.
Relativamente a questo periodo storico abbiamo fatto riferimento alla seconda guerra di
indipendenza: nel corso del 1859 si comincia a procedere rapidamente per i preparativi per la
guerra. Il Piemonte vuole fortemente la guerra ma per ottenerla deve provocare l'Austria e spingerla
all'ultimatum. Durante i preparativi per la guerra, l'esercito piemontese contava molti uomini
arruolati e un numero abbastanza significativo di volontari tra i 21 e i 26 anni. Queste furono le
ragioni principali per cui il Governo austriaco inviò un ultimatum. Il Piemonte era alleato con la
Francia e assieme riuscirono a sconfiggere gli austriaci a Montebello, mentre Garibaldi riuscì a
sconfiggerli e arrivare a Como. Dopo una serie di battaglie la conquista del Veneto è prossima ma
Napoleone decide di stipulare l'armistizio con gli austriaci con la pace di Villafranca, spinto dal
malcontento del popolo francese per le spese della guerra. Successivamente, nel corso dello stesso
anno, vengono annessi al Regno di Vittorio Emanuele Modena, Parma, Bologna, attraverso dei
plebisciti ai quali parteciparono tutti i maschi maggiori di 21 anni che sapevano leggere e scrivere.
Lombardia viene annessa al Piemonte e, a novembre, viene pubblicato lo statuto del Regno di
Sardegna, che entra in vigore anche nei territori di nuova acquisizione. Una simile procedura non
potette essere adottata per i ducati, Romagna o Toscana perché era necessario un nuovo intervento
militare che né la Francia, né l'Austria vogliono mettere in atto. É Cavour che ha chiara la
situazione e con l'intento di procedere con le annessioni, riceve l'incarico di formare un nuovo
Governo, che entra in carica nel gennaio del 1860. Si procedette quindi all'unificazione e a questa
mancava ancora il mezzogiorno. Questa fu preparata da alcuni patrioti siciliani e completata grazie
all'intervento di Garibaldi. In Sicilia, infatti, scoppiarono diverse agitazioni antiborboniche: era il
momento adatto per organizzare un colpo d mano. Un commando di circa 40 uomini, guidati da
Bixio, si diressero verso Palermo. In Sicilia affrontarono l'esercito borbonico a Calatafimi. Questa
fu vinta dai garibaldini. L'attacco a Palermo vide la partecipazione della popolazione della città.
L'esercito garibaldino, intanto, fu rafforzato dalla partecipazione di diversi volontari. L'esercito
riesce a sconfiggere l'esercito borbonico anche a Milazzo, ed entra a Messina. Da lì progetta lo
sbarco in Calabria per poi dirigersi verso Napoli, marcia che risultò relativamente semplice. I
problemi principali che Garibaldi dovette affrontare furono più che altro problemi di tipo politico.
In particolare deve fronteggiare le pressioni che Cavour mette in atto perché si proceda a
un'immediata annessione delle terre liberate allo stato italiano che si è formato nel Centro-nord e al
tempo stesso deve tenere in considerazione anche le pressioni di molti suoi collaboratori. Garibaldi
vuole la costruzione di uno stato unitario. Lo statuto albertino viene proclamato anche in Sicilia e
nel Mezzogiorno continentale. Tuttavia è riluttante a convocare un plebiscito con la convizione che
l'operazione debba essere completata solo quando la spedizione sarà giunta a Roma. Cavour non
accetta questa linea e non si fida di Garibaldi e dei suoi collaboratori (tra cui Crispi e Mazzini).
Cavour quindi invia una spedizione che, dopo aver invaso lo Stato Pontificio, aveva il compito di
marcare su Napoli e bloccare Garibaldi. Napolene III è d'accordo. Garibaldi, dopo una serie di
avvenimenti, accetta di decretare i plebisciti. Garibaldi chiede al re di essere nominato luogotenente
per un anno, la richiesta venne negata e deluso Garibaldi si ritira a Caprera. I plebisciti, intanto,
portano all'annessione della Sicilia, delle Marche e dell'Umbria. Si forma il primo parlamento del
Regno d'Italia con capitale a Torino e il 17/13/1861 Vittorio Emanuele viene proclamato Re d'Italia
con governo guidato da Cavour. La carta costituzionale adottata è lo Statuto Albertino.
Il nuovo governo vide numerose difficoltà legate al fatto che diverse figure politiche avevano
interessi differenti. Garibaldi sogna ad esempio la conquista di Roma con un'impresa simili alla
spedizione dei Mille. Tenta per ben due volte (1862 e 1867) ma entrambi i tentativi fallirono. Anche
i mazziniani e i repubblicani furono delusi. I repubblicani non volevano riconoscere l'istituzione del
nuovo stato. La formazione del Regno d'Italia vide anche la reazione del pontefice Pio IX a causa
dei territori sottratti al suo controllo; questo reagisce con la scomunica nei confronti di molti tra
coloro che hanno concorso all'usurpazione delle terre che appartenevano allo Stato Pontificio, con
l'enciclica Quanta cura e con il Sillabo degli errori del nostro tempo. Il Governo non fa nulla per
attenuare la tensione. I gesti del pontefice hanno enormi conseguenze di carattere politico:
l'opinione pubblica di fede cattolica si spacca di fronte a quelle prese di posizione. Altre difficoltà
ancora si profilano: la prima riguarda la “nazionalizzazione delle masse” (come disse lo storico
George Mosse). La nazione non è un dato di natura; il sentimento nazionale è un insieme di valori,
norme, simboli che bisogna imparare. Come disse d'Azeglio “fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani”.
Si divulga quindi l'esigenza di insegnare dovunque la nazione. E il problema che si incontra è
principalmente quello di combattere l'analfabetismo. Si cominciò quindi a parlare di QUESTIONE
MERIDIONALE, espressione che indica le differenze tra nord e sud. La politica economica di quel
tempo non tenne conto di ciò, estendendo le stesse leggi del Piemonte. Il sud si ritrovò quindi a
subire una grande pressione fiscale che non riusciva a sostenere: povertà, fame, aumento delle tasse,
leva obbligatoria; tutta questa condizione cominciò ad incentivare un profondo rancore verso il
nuovo regime politico. A causa principalmente di questa condizione tra il 1861 e il 1870, in
particolare nel Mezzogiorno continentale, scoppiò un largo movimento di reazione all'Unità,
chiamato “brigantaggio”. Si trattava di gruppi di criminali che taglieggiavano i proprietari o che
rapinavano i convogli sulle strade. I leader delle bande operavano, però, per la restaurazione dei
Borbone o per la difesa del pontefice e dei suoi diritti. Una legge approvata nel 1863 autorizza
l'attuazione di misure eccezionali, cosicché nel giro di qualche anno il fenomeno è quasi del tutto
cancellato. La comunità del Mezzogiorno rurale però mantenne un atteggiamento di sospettosa
distanza nei confronti delle istituzioni del Regno d'Italia o della simbologia e dei valori nazionali.
Nel 1866 il governo La Mormora appoggia il governo prussiano contro l'Austria. L'esercito
austriaco viene sconfitto e viene firmato una tregua con la quale l'Austria cede al Regno d'Italia il
Veneto e Mantova, con la mediazione di Napoleone III.

LA NASCITA DEL 300- GUIDO SALVETTI


ITALIA
Con il primo ministero di Francesco Crispi (1887) l'Italia vive anni di crisi per l'agricoltura e si
aggravò di conseguenza la “questione meridionale”: i mercati francesi si erano chiusi ai prodotti
agricoli del Mezzogiorno d'Italia, con la conseguente rovina dei contadini che dal sud e dalle
campagne cominciarono ad emigrare in massa verso le Americhe. Al nord e nelle periferie cittadine
esplodeva intanto la “questione sociale” per via dei bassi salari e delle disumane condizioni di
lavoro. Il ceto dominante non era più la borghesia ma gli industriali, i finanzieri. I contadini invece
continuavano sempre più ad essere esclusi dalla vita nazionale. L'Italia, inoltre, in quel periodo era
interessata all'espansione coloniale in Etiopia.
In questo contesto storico, la letteratura sentiva forte il senso della tradizione: da Dante a
\Manzoni. Carducci riuscì a rappresentare un duplice aspetto: da una parte richiamava la grandezza
del passato, dall'altra mise a disposizione della classe dominante alcuni miti di grandezza che erano
direttamente funzionali a quella fase della storia. Negli anni 80 molto successo ebbe in Italia il
verismo ma nel periodo in cui esplose la questione sociale Verga stesso si dichiarò antisocialista e
infatti anche nei suoi romanzi la scelta verista non coincise con una scelta progressista in politica,
come invece avvenne per i naturalisti francesi. Dopo il 1890 quindi il verismo cominciò a
coincidere sempre meno con il problema sociale e sempre più con l'individualismo attento alle
esperienze uniche ed esemplari.

VERGA: tra le varie opere per le quali fu conosciuto, nel 1880 pubblica “Vita dei Campi”, una
raccolta di racconti tra i quali compare anche “Cavalleria Rusticana”.

Nel mondo della musica, nel corso dell'800, la gente si concentrava sulla lirica cominciandosi a
disinteressare della musica da camera e sinfonica. Oggi le persone si interessano prevalentemente
della musica classica, interessandosi ai compositori antichi. I teatri d'opera si sono trasformati
quindi in musei della musica, luoghi in cui risuonavano i grandi compositori del passato. Nel corso
dell'800 uno degli autori di maggior successo fu GIUSEPPE VERDI, un cittadino del Ducato di
Parma, nato nel 1813 e morto nel 1901. Verdi fu molto produttivo come compositore, per almeno 50
anni. I primi anni della sua carriera furano da lui stesso soprannominati “anni di galera” perchè per
poter emergere come compositore dovette dedicarsi solo a questo. Verdi diventa particolarmente
famoso con la sua terza opera lirica “Nabucco”, rappresentata nel 1842 al Teatro alla Scala di
Milano. È stata considerata come l'opera più risorgimentale di Verdi, poiché gli spettatori italiani
dell'epoca potevano riconoscere la loro condizione in quella degli ebrei soggetti al dominio
babilonese. Giuseppe Verdi raggiunse un importanza elevata nel mondo della musica ed infatti il
suo successo fu paragonato a quello di WAGNER, autore tedesco. Nel 1888, quando la casa editrice
Lucca vnne assorbita da Ricordi, Wagner cominciò ad entrare anche nel repertorio del tratro
italiano.le opere di Wagner furono anche tradotte in lingua italiana. Il grande successo di Verdi
spaventa il mondo della musica: dato l'avanzare dell'età del grande Maestro, si teme la fine della
musica. Nasce l'esigenza di andare alla ricerca di giovani autori che potessero assicurare la
continuità della musica, anche dopo la morte di Verdi. Per raggiungere tale obiettivo Edoardo
SONZOGNO, editore, nel 1884 si inventa il PRIMO CONCORSO di composizioni. Viene chiesto
di rappresentare un'opera inedita. L'autore migliore avrebbe avuto un ricompenso in denaro e
avrebbe avuto la possibilità di rappresentare l'opera stessa nei più grandi teatri italiani. Questo
primo concorso, però, non evidenzia autori/opere particolari, anche se in realtà al concorso
partecipò anche Puccini, che se in futuro avrà un grande successo, in quell'occasione non lo ebbe.
Nel 1889 Sonzogno bandì il 2° CONCORSO e tra i giovani compositori spiccò la figura di
PIETRO MASCAGNI. Egli si presentò al concorso con un'opera intitolata CAVALLERIA
RUSTICANA, basata sul dramma teatrale di Verga. L'opera vince il concorso e nel 1890 raggiunse
un successo pazzesco.
Pietro Mascagni nacque a Livorno nel 1863 in una famiglia che non aveva una cultura musicale. È
un ragazzo prodigio, talmente tale che il padre (fornaio) lo fece studiare a Milano, dove cioè tutti i
compositori che volevano emergere studiavano. A Milano incontra Giacomo Puccini. Sono poveri
entrambi, tuttavia vanno al teatro. Mascagni incontra la figlia del sindaco di Cerignola. il quale gli
inventa “il posto fisso”, condizione che però gli comincia a stufare. Quando viene a sapere del
concorso Sonzogno, decide di partecipare. Si consulta con Puccini, il quale è ossessionato dal
“soggetto giusto”. Ad un certo punto gli viene in mente “Cavalleria Rusticana” in versione teatrale.
Si confronta con Tozzetti, librettista per la creazione del libretto d'opera. ( nell'opera lirica si scrive
prima il testo e poi la musica). Cavalleria Rusticana piacque molto e cominciò ad essere
rappresentata in tutta Europa, anche al sud d'America, dove a causa delle ondate migratorie vi erano
molti teatri italiani. Durante le settimane in cui Mascagni scriveva Cavalleria Rusticana, ebbe la
cortezza di farsi autorizzare da Verga per l'utilizzo dell'adattamento del testo per la creazione
dell'opera lirica. Mascagni fu autorizzato ma rimase in sospeso il prezzo di questa operazione, che
venne stabilito dopo che l'opera ebbe molto successo.

Cavalleria Rusticana è un'opera che prosegue la tradizione italiana pur rinnovandola:


-la prosegue attraverso la centralità della voce e del canto rispetto all'orchestra. Non viene lasciato
spazio al carattere fantastico. Le storie raccontate sono reali in cui anche le scene e i sentimenti
sono tali;
-novità: tende a diventare teatro della cronaca del contemporaneo nel momento in cui accentua
eccessivamente l'aspetto del reale.
Il teatro di Verdi pur essendo un realistico era per lo più un teatro storico, che rappresentava il
passato ma non metteva in scena personaggi del ceto borghese o popolare ma grandi personaggi
tipo generali, principi, il papa. Il teatro di Verdi è un “teatro delle imprese”, un “teatro eroico”
mentre con Cavalleria non ci sono più eroi ma solo il popolo. Per la prima volta questo TERZO
STATO (contadini, carrettieri, donne del popolo) diventa protagonista della narrazione teatrale
nell'ambito dell'opera lirica.
CAVALLERIA RUSTICANA= l'opera di Verga è un atto unico suddiviso in 9 scene. L'azione si
svolge nell'arco di un giorno, il giorno di Pasqua. L'epoca di ambientazione si presume che sia
contemporanea all'autore e successiva all'unità d'Italia. L'ambientazione geografica è un paese della
Sicilia orientale, come si deduce dagli appellativi che nel parlato siciliano si premettono al nome
proprio e dall'indicazione, fornita nel corso del dramma, che Turiddu è andato a comprare il vino a
Francofonte, una località tra Catania e Siracusa. Non appena si alza il sipario ci si trova nel cuore
della vicenda, senza saperre nulla di quanto accaduto in precedenza. I personaggi parlano e
agiscono, il lettore- spettatore li conosce gradualmente attraverso l'azione stessa e recupera gli
antefatti dei loro dialoghi. I compaesani commentano i fatti e forniscono informazioni sulla
situazione. TRAMA: La novella racconta la storia di Turiddu Macca, figlio di Nunzia, appena
tornato al paese natio dopo aver svolto il servizio militare. Il giovane, di bella presenza, ha interesse
solo per la bella Lola, suo interesse amoroso prima della leva. Turiddu viene a sapere che Lola,
nonostante avesse giurato di aspettare il suo ritorno, si è fidanzata con compare Alfio. Ma la gelosia
esplode dopo il matrimonio tra Lola e Alfio: Turiddu, ormai non più per amore ma per semplice
vendetta, è deciso a possedere la donna. Inizia, così, a corteggiare Santa, dirimpettaia di Alfio e
Lola. Turiddu raggiunge presto il suo obiettivo: Lola ascolta i due ogni sera. Gelosissima, è la stessa
donna a concedersi al giovane: i due ricominciano a salutarsi e a frequentarsi, ed alla fine Turiddu
diviene l'amante di Lola. Santa se ne accorsee rivela tutto a compare Alfio. quest'ultimo invita
Turiddu a trovarsi allo spuntare del sole sullo stradone per parlare "di quell'affare". I due si
scambiano il "bacio della sfida". "Turiddu stringe fra i denti l'orecchio del carrettiere, e così fa la
promessa solenne di non mancare". Il giorno dopo Turiddu dà l'addio a sua madre, mentre,
contemporaneamente, Alfio lascia intendere quello che sta per succedere a Lola. I due si incontrano
e, dopo aver percorso un tratto di strada insieme, danno il via al duello a colpi di pugnale, l'uno
deciso ad ammazzare l'altro. Turiddu muore perchè Alfio gli tira negli occhi un pugno di terra e nel
frattempo gli taglia la gola. La storia è ambientata nel giorno di Pasqua; si crea quindi un contrasto
tra i sentimenti di questa festività porta e quelli vissuti tra i protagonisti.
Verga si rende conto che il finale dell'opera è troppo forte per poter essere rappresentata nell'opera
teatrale, dunque dopo il bacio della sfida i due escono dalla scena, facendo comprendere al pubblico
che vanno ad affrontare il duello. Si vede Lola, Santuzza e la madre di Turiddu che aspettano l'esito
che arriverà da una donna vestita di nero.
DIFFERENZA TRA L'OPERA TEATRALE DI VERGA E L'OPERA MUSICALE DI
MASCAGNI: il personaggio di Turiddu, nell'opera di Verga, è un personaggio chiuso che non lascia
trasparire i suoi sentimenti. La tendenza a far prevalere la descrizione del fatto e dell'ambiente
rispetto alla psicologia dei personaggi è una caratteristica del verismo. Nel passaggio dal teatro di
prosa al libretto d'opera, grazie al ruolo dell'orchestra, Turiddu viene arricchito di alcuni sentimenti
che emergono soprattutto nell'addio alla madre, prima di affrontare il duello. Il personaggio quindi
viene reso “positivo”.

Con Cavalleria Rusticana Mascagni dette una scossa al mondo musicale italiano in un periodo
durante il quale vi era la paura che la musica finisse con la morte di Verdi. In quegli anni diversi
autori compaiono, creando il fenomeno della GIOVINE SCUOLA. A questa appartengono autori
quali Mascagni, Leoncavallo, Cilea, Giordano, Franchetti, Puccini.
Il termine “giovine scuola” venne coniato per indicare non tanto un'identità di stile e di gusto,
quanto piuttosto il fenomeno di un'intera generazione di nuovi geni nazionali, nel clima di rinnovata
attenzione verso il melodramma che Cavalleria aveva suscitato. Si parla di “verismo musicale”
caratterizzato da opere con vari “urli” musicali (tentato stupro di Nedda, le pugnalate di Canio a
Nedda e a Silvio nei Pagliacci,il tentato stupro di Tosca da parte di Scarpia e l'accoltellamento di lui
in piena scena ecc. L'ambientazione, nell'ottica del verismo, fu caratterizzata da “colori tipici”. La
Giovine Scuola, nel suo complesso, dimostrò una notevole tensione verso il rinnovamento
linguistico. È possibile indicare un nucleo costante e comune nella drammaturgia musicale: quello
della cantabilità sentimentale corrispondente ad una storia d'amore, resa tanto più sconvolgente e
commovente quanto più vari e contrastanti sono gli elementi di contorno e di contesto; i
protagonisti delle opere sono spesso donne.
Gli autori, appartenenti alla giovine scuola, che si affiancarono a Mascagni tentarono di replicare il
successo di Cavalleria. L'opera di maggior successo fu “I PAGLIACCI” di RUGGERO
LEONCAVALLO, personaggio particolare che seguì un percorso di studi non soltanto musicale ma
anche universitario. Sentendosi un letterato decise di scriversi il libretto dell'opera da sé, fattore
inconsueto fino a quel momento. Leoncavallo quindi inventa i soggetti delle sue opere, scrive e
compone la musica.
LEONCAVALLO nasce a Napoli nel 1857, la sua vita è abbastanza avventurosa perché viaggiava
molto. A Parigi scrive “I Medici”, un'opera che fa riferimento alla famiglia di Firenze. Per
raggiungere il successo di Mascagni scrive “I Pagliacci”. Intorno a quest'opera si inventa un caso,
che per anni convince il pubblico: l'opera ruota intorno a 2 omicidi. In realtà è un'opera
autobiografica. Da bambino, seguendo il padre magistrato in un piccolo paese della Calabria, fu
testimone di questo delitto la cui violenza ha continuato a risuonare nella sua memoria. La sua
esigenza è quella di realizzare il “verismo super”, con la convinzione che non basta raccontare una
storia di gente comune ma far credere che la stessa sia realmente accaduta. L'opera inizia con Tonio
che a sipario chiuso si presenta al pubblico e spiega di essere il Prologo. Il primo atto ha inizio in
una piazza della Calabria dove giunge una compagnia di attori per uno spettacolo da tenersi nel
teatrino della fiera la stessa sera: Pagliaccio. La compagnia è formata da Canio (capocomico), dalla
sua donna Nedda e da altri due attori: Peppe e il deforme Tonio. Tonio cerca di sedurre Nedda e
Canio, molto geloso, gli dà un ceffone. Alcuni contadini invitano Canio e Peppe in un osteria e
Nedda incontra Silvio. Poco prima Tonio cerca nuovamente di sedurla e lei lo deride e gli dà un
colpo di frusta. Lui giura di vendicarsi e dopo aver visto il suo amante e ascoltato la richiesta di
fuggire assieme che Silvio fece a Nedda, chiamò Canio. Lui, infuriato, corse da Nedda. Vide fuggire
l'amante senza, però, riuscire a vederlo in viso. Quindi minaccia di morte la ragazza che però non
rivela il nome. L'ira di Canio venne bloccata da Peppe che lo ferma e lo calma ricordandogli che sta
per iniziare lo spettacolo. (“VESTI LA GIUBBA”= dentro di me sento cose pazzesche, eppure devo
farvi ridere perché non sono un essere umano come gli altri, sono un pagliaccio. Voi pagate per
ridere e io devo farvi ridere). Questo pezzo sinfonico riprende quindi il tema delle maschere,
centrale nella produzione di Pirandello, secondo il quale l'uomo indossa diverse maschere per cui
ognuno è uno, nessuno e centomila.
Nel secondo atto dell'opera gli attori indossano le loro maschere: Canio è vestito da pagliaccio e
deve impersonare nella farsa un marito tradito, ma la realtà prende il sopravvento sulla finzione ed
egli riprende il discorso interrotto con Nedda (Colombina). La donna cerca dapprima di mantenere
un tono da commedia ma, poi, minacciata reagisce suscitando l'ira del pagliaccio che la accoltella a
morte. Questa scena suscita la reazione di Silvio, che è tra il pubblico ma non appena salì sul palco
per soccorrerla venne pugnalato da Conio e fu ucciso anch'egli. Canio si rivolge al pubblico dicendo
“la commedia è finita”. Questa opera è un tipico esempio di teatro nel teatro (un'altra caratteristica
del teatro di Pirandello). Canio, inoltre, in scena perde il controllo, il senso del limite e questo ci
pone dinnanzi la differenza tra finzione e realtà: caratteristica insita nel pagliaccio stesso che in
quanto tale deve rappresentare il volto del pagliaccio mentre dentro si rode di gelosia.

Le opere composte alla fine dell'800, dalla Giovine Scuola, a differenza di quelle precedenti, sono
molto più rapide e l'idea è che pezzi molto importanti possano avere una durata breve, di pochi
minuti ma di straordinaria intensità. Un esempio è proprio “ridi pagliaccio” che pur durando 3
minuti è la parte più importante dell'intera opera. Come pezzo singolo ha una durata di una normale
canzone per cui può essere inciso.
I Pagliacci di Leoncavallo fu poi rappresentata assieme a Cavalleria, a causa della scarsa durata di
entrambe e l'apparente identità di stile.
In quegli anni del trionfante verismo GIACOMO PUCCINI fu assorto a notorietà raggiungendo
successi a livello internazionale. Puccini nasce a Lucca nel 1858, fa parte di una famiglia impegnata
già nel mondo della musica. Il padre di Puccini era un insegnante di musica, suonatore in chiesa ed
era compositore di opere sacre. L'unico, però, che aveva fiducia nelle capacità musicali di Puccini
era la madre. Puccini viene a conoscenza che a Pisa rappresentavano Aida, opera di G. Verdi e capiì
di voler diventare un compositore di lirica, ma affinchè ciò poteva avvenire era necessario farlo
studiare in un buon conservatorio. La madre non aveva soldi a sufficienza e inviò una lettera alla
Regina Margherita di Savoia, la quale finanziò annualmente gli studi di Puccini a Milano. Si
diploma nel 1884 con il brano “capriccio sinfonico” che suscitò la reazione della critica. Quello
stesso anno è l'anno del concorso della casa editoriale Sonzogno. Puccini partecipa con l'opera “Le
Villi” ma il concorso ebbe un esito talmente negativo che l'opera venne esclusa.
LE VILLI= opera-ballo in due atti di Puccini su libretto di Ferdinando Fontana. Inizialmente l'opera
era scritta in un unico atto ed era intitolata WILLIS. È ambientata nella cultura tedesca. Ruota
intorno ad un fidanzamento mancato. Il ragazzo le promette amore eterno e parte allo scopo di
prendere parte all'eredita lasciatagli da un'anziana. Nel secondo atto viene raccontato, dal narratore,
che il ragazzo, giunto a destinazione, si è lasciato sedurre da una “sirena”, dimenticandosi della
fidanzata che nel frattempo era morta di dolore. Abbandonato dall'amante, il ragazzo torna in città
per implorare perdono all'amata. La notte il ragazzo intravede il fantasma dell'amata che con
tristezza gli si rivolge per fargli ricordare le promesse mancate. Lui cerca di andarle in contro ma
uno stuolo di Villi lo afferra e lo coinvolge in un ballo vorticoso e finiscono per ucciderlo,
vendicando la morte della fanciulla. Le Villi sono magiche creature vendicatrici d'amore.
Dopo l'esclusione dal concorso Puccini organizza una forma privata di rappresentazione di Villi che
piace. Gli viene permesso di rappresentare la stessa a Milano, in uno dei più importanti teatri della
città. Ha un notevole successo e attira l'interesse dell'editore Ricordi, che gli propone di creare una
versione più ampia, due atti. L'opera-ballo viene rappresentata in un teatro importante di Torino.
Puccini viene assunto e pagato mensilmente con il compito di creare una seconda opera. Puccini era
lento a comporre, per via della lunga revisione. Impiega 5 anni per creare la seconda opera,
EDGAR. Il soggetto di Edgar pone il protagonista tra la donna- vampiro e la donna-angelo. Alla
prima viene riservato l'unico ruolo importante per mezzosoprano della sua produzione; alla seconda
attribuisce un ruolo di soprano di toccante delicatezza sentimentale. La prima prova è un insuccesso
totale e Ricordi decide di toglierla dal catalogo per i costi eccessivi. Questo esito dà molto sconforto
sia a Puccini che a Ricordi che però non perde la fiducia in Puccini. Puccini si rende quindi conto
che sia il soggetto dell'opera sia anche i personaggi erano noiosi e comprende che i quel periodo
l'efficacia teatrale era più importante della musica. Si dedica quindi alla composizione di un'altra
opera, MANON LESCAUT.
Puccini si differenzia dagli altri autori del tempo che rimasero legati ad un solo titolo (Cavalleria)
mentre con lui possiamo parlare di un vero e proprio corpus di opere, inserite in un grande
repertorio internazionale. Era molto curioso delle novità e studia direttamente a teatro le opere degli
altri autori che stavano affermando il loro successo.
Rispetto alla vita di Puccini possiamo individuare 3 periodi:
-fase giovanile: dal trasferimento a Milano fino alla composizione di Manon Lescaut (1893).
-fase della maturità: l'opera di accesso è Manon Lescaut. Ci saranno poi La Boem (1896), Tosca
(1900), Madame Butterfly (1904)
Dal 1904 al 1910 non presenta alcuna opera.
-tardo stile puccinale: nel 1910 pubblica “La Fanciulla del West”, “La Rondine” (1917), “Il Trittico”
(1918) e Turandot (1924 ma rimane incompiuta a causa della morte dell'autore).
In questo periodo l'opera lirica comincia a regredire, soprattutto a causa dell'avvento del
cinema, nuovo mezzo di comunicare ed emozionare. Tra il 1924/1925, periodo in cui muore
Puccini, il cinema è già diventato maturo ed evolve già in nuove fasi: dal muto al sonoro
(1928/1929). il cinema è un'espressione artistica novecentesca, a differenza della composizione
lirica che ha una grande tradizione. Il cinema inoltre è più accessibile rispetto al teatro, il biglietto
ad esempio costa meno.
MANON LESCAUT= andata in scena nel 1893 al Regio di Torino. Il soggetto di Manon Lescaut è
una bella donna, era una prostituta e usava la sua capacità seduttiva per farsi spazio nella società tra
gli uomini più ricchi. Pur essendo un romanzo semi-vietato viene molto letto e conosciuto. L'opera
è comporta di 4 atti:
-1° atto: in un vasto spiazzale di Parigi erano riuniti studenti, borghesi e ragazze che scherzavano
sul tema dell'amore. Ad un certo punto arriva una carrozza dalla quale esce Manon e il fratello,
chiamato solo con il cognome. Quando Des Grieux vede Manon se ne innamora subito. Nel
frattempo Lescaut architetta il rapimento della sorella per far si che questa vada a vivere con un
ricco uomo, Garonte. Quando Des Grieux ne viene a conoscenza, comunica il fatto alla ragazza e
lui riesce a convincerla a fuggire assieme. Garonte medita la vendetta.
-2° atto: Manon decide di tornare dal fratello e di diventare la mantenuta di Garonte. Mentre balla
con questo, però, comincia ad avere risentimento nei confronti di Des Grieux. Questo, viene
contattato dal fratello di Manon. Mentre i due si abbracciano Garonte si accorge di tutto e corre a
denunciarla. Nonostante il fatto che De Grieux e il fratello la incitino a fuggire, lei è ammaliata
dalle ricchiezze dell'uomo per cui rallenta la fuga nel tentativo di recuperare un po' di gioielli.
Garonte la denuncia per ladra e adultera. Arrivano le guardie e l'arrestano.
-3° atto: Manon si ritrova di notte chiusa in prigione, in attesa di essere imbarcata all'alba in una
nave verso la Lusiana. Lescaut organizza una fuga ma il piano fallisce e all'alba la donna viene
imbarcata. Des Grieux però implora il comandante di far imbarcare anche lui e questo accetta.
-4° atto: Arrivati a destinazione i due vagano senza meta, stremati dalla fatica. Privi di acqua la
ragazza perde le forze e muore tra le braccia dell'amato.
È un'opera che nasconde un significato morale: chi si allontana dalle leggi morali (prostituta) paga
prima o poi con la propria vita.

A differenza del teatro eroico di Verdi, il quale era attratto da figure maschili eroiche, il teatro di
Puccini era attratto da figure femminili. Ricordiamo infatti Manon.
Nel periodo in cui Puccini completa Manon, hanno inizio le riflessioni relativi alle opere successive.
Comincia a pensare al progetto di Tosca, tragedia francese. Con Ricordi va a Parigi per chiedere
l'autorizzazione dell'opera e l'ottiene. Nonostante ciò Puccini cambia idea, non compone Tosca ma
si interessa di un opera verista, “la lupa” tratta dall'opera omonima di Verga. Il libretto di Tosca
viene affidato a Franchetti. Verga vuole evitare che si ripeti ciò che era accaduto con cavalleria
rusticana, cioè che il libretto fosse una riduzione della sua opera. È disposto quindi a cedere i diritti
ma dopo aver visionato il libretto. La stesura del libretto viene quindi affidata ad un uomo di fiducia
di Verga, Federico De Roberto. Puccini comincia a scrivere ma poi decide di abbandonare anche
questa opera. Federico De Roberto cerca quindi di riciclare il libretto con un autore minore. Puccini
decide di comporre la “BOHEME”, termine che indica uno stile di vita cioè la condizione di
persone che stanno fuori dalle regole, es. zingari. Il libretto viene composto da Giuseppe Giocosa e
Luigi Illica. Un gruppo di giovani artisti costituiscono lo sfondo dei diversi episodi in cui si snoda
la vicenda dell'opera, ambientata nella Parigi del 1830. i ragazzi non sono ricchi di denaro ma nelle
speranze per cui questo stile di vita ricorda la vita di Puccini quando viveva con Mascagni in una
soffitta senza molto denaro. La Boheme viene pubblicata tra il 1844/1845 in riviste in vari episodi
ambientati a Parigi. A Milano Puccini incontra Leoncavallo e scopre che entrambi lavoravano sulla
stessa opera. Questa notizia esce anche nei giornali. La Boheme di Puccini va però in scena prima
di quella di Leoncavallo e avrà un successo maggiore, anche se in maniera progressiva. Il tempo del
teatro musicale è molto vicina al tempo reale. L'opera quindi è molto breve, ogni quadro dura circa
20/25 minuti. I TEMI principali alla base dell'opera sono amore e morte, desiderio e dolore. L'opera
è composta da quattro quadri:
-1° quadro: è ambientato in una soffitta in cui sono presenti un poeta (Rodolfo), che guarda fuori
dalla finestra il contesto natalizio, e il pittore (Marcello). I due erano infreddoliti e non avendo
denaro furono costretti a bruciare nel caminetto il grosso manoscritto del poeta. Rientrano il filosofo
e il musicista che, esultante, porta della legna e del denaro, guadagnati grazie ad una produzione
musicale. I quattro amici decidono di festeggiare la vigilia di Natale quando giunse, inatteso, il
padrone di casa a reclamare il pagamento degli ultimi tre mesi. Gli inquilini lo costrinsero a bere e il
vecchio si confida circa le sue infedeltà con la moglie perciò viene cacciato dagli inquilini, che si
finsero dei buoni moralisti. Il musicista, il filosofo e l'artista uscirono, mentre il poeta si attardò per
finire di scrivere un articolo di giornale. Nel frattempo appare Mimì, una bella ragazza che abita in
una soffitta accanto. La giovane chiese aiuto perché le si era spenta la cancela e non appena entrò si
sentì male e le cadde il candeliere e le chiavi di casa, che il poeta prese ma non restituì. Nel
frattempo gli amici lo chiamarono a gran voce, impazienti di aspettare e la ragazza si unì a loro. I
due si erano però innamorati e si baciarono.
-2° quadro: è ambientato in un caffè, nel quale i protagonisti si recarono. In un tavolo vicino a
quello degli amici, c'è Musetta con il suo fidanzato. Questo, però, viene allontanato con una scusa e
la giovane si unisce al loro tavolo, cercando di sedurre l'amico pittore. I sei ragazzi vanno via e
quando il ragazzo di Musetta torna non trova più la fanciulla ma ben due conti da pagare.
-3° quadro: Marcello vive con Musetta mentre Rodolfo vive con Mim'. Ad un certo punto entra in
scena Mimì, la quale racconta a Marcello che la convivenza con Rodolfo sta sempre più diventando
insopportabile e sofferente. Anche Rodolfo, poco dopo, si sfoga con Marcello: Mimì è malata e
nella fredda soffitta finirebbe per morire: è necessaria una separazione. Mimì nascosta lì vicino, si
lascia sfuggire uno singhiozzo e Rodolfo la scopre: un appassionato colloquio si crea tra i due
amanti, che ricordano tutte le gioie passate assieme. I due si avviano verso i loro ultimi giorni di
felicità ma nel frattempo anche la convivenza tra Marcello e Musetta è diventata insopportabile.
-4° quadro: è ambientata nuovamente nella soffitta degli amici. Rodolfo e Marcello, da qualche
tempo lontani dalle ragazze, si mostrano felici ma in realtà nascondono nostalgia. Mentre gli amici
si divertono Musetta arriva improvvisamente, accompagnando Mimì sofferente e svenuta. Musetta
prega affinché l'amica si riprenda, ma nel frattempo i due amanti rievocano i dolci momenti del loro
amore e stringendosi al corpo di Rodolfo, Mimì muore. Lui piange sul corpo dell'amata
invocandola.
A partire da Boheme Puccini cominciò a lavorare con i librettisti Illica e Giocosa ed insieme
realizzarono anche Tosca e Madame Butterfly. Puccini, già al tempo di Manon Lescaut, aveva
manifestato un certo interesse verso Tosca. Tosca è un dramma storico, al quale Puccini rivolge la
sua attenzione nonostante ilo fatto che fosse generalmente disinteressato di storia e politica.
TOSCA= è un opera rappresentata per la prima volta a Roma nel 1900. E' composta in 3 atti, ma
inizialmente era stata pensata per essere composta in 5 atti. È un opera ambientata il 17/06/1800,
esattamente un secolo prima a Roma. Aperta la scena, infatti, il pubblico vede la propria città un
secolo prima. L'azione si svolge nell'arco di poche ora, di una giornata. È ambientata subito dopo il
fallimento della Repubblica romana, quando lo Stato Pontificio stava catturando i rappresentanti ed
i sostenitori della Repubblica.
PERSONAGGI PRINCIPALI: Tosca non è un personaggio realmente esistito, ciò che è reale è il
contesto storico. Lei è una cantante lirica, una bella donna e molto gelosa del suo fidanzato, Mario
Cavaradossi, un pittore. Mario simpatizza i liberali e ha seguito molto bene la creazione e la caduta
della repubblica romana. La gelosia di Tosca metterà a repentaglio la loro relazione. L'opera, infatti,
racconta la distruzione della loro felicità. Le vite dei due amanti si incroceranno con quella di
Cesare Angelotti, patriota fuggito dalle carceri. Sulle sue tracce c'è Scarpia, capo della polizia
segreta pontificia. È una persona priva di qualsiasi senso morale ma è innamorato di Tosca, ed è
infastidito dalla sua relazione con Mario, pertanto cerca di distruggerla.
-1° atto:è ambientato nella chiesa di Sant'Andrea della Valle, verso il centro della città. Qui si
rifugia Cesare Angelotti. Il pittore Mario Cavaradossi, intento a dipingere quadri per la chiesa, lo
scopre, e riconoscendo in lui un amico e seguace delle stesse idee politiche, lo aiuta nella fuga. Il
colloquio tra i due è interrotto dall'arrivo di Tosca. Per timore Mario, fa nascondere l'amico. Appena
Tosca va via Mario fa nascondere Cesare nella sua villa. Nel frattempo un colpo di cannone viene
sparato da Castel Sant'Angelo, che avvisa che l'evasione è stata scoperta. Nel frattempo Scarpia
arriva in chiesa e trova un ventaglio di Cesare e non vedendo Cavaradossi, intuisce che è complice
di Cesare. Quando Tosca torna alla ricerca di Mario, Scarpia le fa vedere il ventaglio, alimentando
in lei la gelosia e i suoi sospetti.
-2° atto: è ambientato all'interno di Palazzo Farnese, più precisamente la scena si apre con la camera
di Scarpia. Mentre mangia viene informato dell'arresto di Cavaradossi: il fuggiasco non è ancora
stato trovato ma è stato arrestato per il suo comportamento ironico e provocante. Successivamente
Mario viene interrogato da Scarpia e all'interrogatorio, in un primo momento è presenta anche
Tosca. Quando si sentono le grida di dolore di Cavaradossi, Tosca non resiste ed indica il luogo nel
quale è nascosco Angelotti. Scarpia si libera del prigioniero e dica a Tosca che non lo farà
giustiziare solo in cambio del suo amore. Con ribrezzo la donna esita, anche se quando sente che
Angelotti si è ucciso e che tutto è pronto per la fucilazione di Mario, accetta il ricatto firmando il
lascia passare che prevedeva una finta uccisione per Mario e in seguito la fuga di Scarpia e Tosca.
Dopo aver firmato, Scarpia tenta di abbracciare la donna, la quale però lo pugnala con un coltello
trovato sulla tavola.
-3° atto: è ambientato sugli spalti di Castel Sant'Angelo (luogo di esecuzione, uccisioni).
Avvicinandosi l'ora della fucilazione, Mario chiede la grazia di mandare un ultimo scritto a Tosca,
dando in cambio alla guardia l'unico anello che possedeva. Nonostante avesse ottenuto il foglio,
Mario non riesce a scrivere nulla e piangendo canta un brano conosciuto come “e lucevan le stelle”.
Giunge improvvisamente Tosca che, felice, comunica a Mario l'uccisione di Scarpia e gli mostra lo
scritto con il quale potranno lasciare Roma per sempre. Lo informa che però dovrà sottostare alla
fucilazione simulata e fingere di cadere morto alla prima scarica dei fucili. Sorridendo, mario si
avvia al supplizio. Quando Tosca si avvicina al corpo dell'amato per aiutarlo a rialzarsi si ritrova
con le mani sporche di sangue e scopre di essere stata ingannata: Mario è morto. Alcuni soldati
vogliono vendicare la morte del loro capo, ma Tosca si getta nel vuoto.

Dopo la pubblicazione di Tosca, Puccini non pubblica per un po' di tempo e si dedica a viaggiare. A
Londra vide la rappresentazione di una nuova opera di David Belesco: Madame butterfly e se ne
interessa. Chiese, grazie a Ricordi, i diritti per trasformarla in opera lirica con lo stesso nome. In
quel periodo comincia a cresce l'interesse verso l'arte esotica. L'opera racconta lo scontro tra la
cultura giapponese (chiusa) e quella occidentale (molto più aperta). Il racconto è ambientato a
Nagasaki, città portuale. Il contrasto tra le due culture viene accentuale ancor di più dalla figura di
un ufficiale della deriva militare, Pinkerton, il quale è grottescamente convinto del fatto che la
cultura occidentale sia molto più superiore rispetto alla cultura giapponese, che quindi va dominata.
La protagonista è una donna giapponese, una geisha, Cio-cio-san.
L'opera è divisa in due atti:
-1° atto: Pinkerton decide di sposare Cio-Cio-San, con la concezione di poter sciogliere questo
matrimonio da un momento all'altro. Per Madame Butterfly, invece, questo matrimonio è reale, ella
infatti si è innamorata dell'uomo e crede che anche lui sia innamorato. Il primo atto rappresenta il
matrimonio tra i due e poco prima il rito attraverso il quale la donna rinnega la fede dei proprio avi
per convertirsi al cristianesimo. Durante il matrimonio lo zio della ragazza scopre la conversione e
tutti i parenti della donna la rinnegano. Cio-cio-San scoppia a piangere e viene rassicurata
dall'abbraccio del marito.
-2° atto: si apre con la figura di Suzuki, che lavora presso la casa di Cio-cio-San che prega affinché
Madame smetta di piangere. Questo secondo atto infatti è ambientato tre anni dopo il matrimonio.
In questo frattempo Pinkerton disse alla moglie di dover partire per gli Stati Uniti per lavoro e le
raccomandò di aspettare, un giorno, il suo ritorno con una nave. Quando l'uomo partì la donna era
incinta e nonostante avesse dato alla luce il bambino, non si stancò mai di aspettare, invano, il
ritorno del marito. Nel frattempo un uomo comunica a Cio-cio-san l'arrivo di una lettera per lei da
parte del marito. La donna esultava felicità, ma in realtà la lettera informava che Pinkerton si era
risposato in America con un'altra donna e che sarebbe tornato a Nagasaki con quest'ultima. La
donna, contenta della lettera, non la riesce a leggere tutta non scoprendo la verità. Nel frattempo,
Pinkerton viene informato dell'esistenza del figlio. Qualche giorno dopo, Madame intravede la nave
del marito e fa allestire il palazzo di fiori, nonostante il fatto che gli altri cercano di convincerla a
risposarsi e di lasciar perdere Pinkerton. Non appena l'uomo arriva a Nagosaki con la moglie, Cio-
cio-san informa che il figlio dovrà essere consegnato solo al padre e a nessun altro; dopo aver
salutato il figlio si uccise con il pugnale con il quale anni prima si era tolto la vita suo padre.
Quando Pinkerton scoprirà la verità, pieno di sensi di colpa, si getta in lacrime sul corpo inanime
della donna.
La prima rappresentazione dell'opera avvenne nel teatro La Scala di Milano. L'opera non ebbe
subito successo. Si pensa che il fiasco che l'opera provocò fu in realtà pilotato da Sonzogno, con il
quale Puccini si contendeva. Puccini si rese però conto che l'opera doveva essere ri-visionata.
Originariamente era infatti composta da 5 atti e quello centrale era, fondamentalmente, vuoto. Dopo
varie modifiche l'opera venne ridotta in 2 atti. Questa seconda versione andò in scena a Brescia.
Il primo atto termina con un duetto tra i due amanti; è un duetto particolare perché si avvale della
tradizione del teatro delle ombre in cui i marionettisti sono presenti sulle scende ma sono velati di
nero.

Con la composizione di Madame Butterfly, si è concluso un ciclo della vita artistica dell'autore (la
fase centrale), e lui ne è consapevole. Avverte l'esigenza di cambiare, aggiornare il proprio stile
compositivo e di orientarsi verso scelte e scene diverse. Il problema è che non sa neanche lui cosa
vuole. Intanto, trascorrono 6 anni per una nuova pubblicazione: LA FANCIULLA DEL WEST.
Questa va in scena a New York nel 1910. Puccini compose questa opera perché ricevette una
commissione, ovvero la proposta di scrivere un opera da un teatro importante che si trova in
America. Puccini è quindi alla ricerca del soggetto giusto. La scelta cadde nuovamente su un'opera
di David Balesca, intitolata “la fanciulla del west”. L'idea di Puccini è quella di scrivere per il
metropolitan di New York. L'opera è ambientata in California. È composta da tre atti:
-1°atto: La protagonista Minnie è la padrona della “Polka”, un locale. È considerata un punto di
riferimento per i minatori che ogni giorno frequentavano il locale. Una sera nel locale entra un
giovane straniero, Dick Johnson. Il suo sguardo si incontra con quello di Minnie e i due si
innamorano.
-2°atto: è ambientato nella capanna di Minnie. Si scopre che in realtà quel ragazzo è venuto con
l'intenzione di rapinare la cassa del saloon, ma Minnie non conosce la vera identità dell'amato. I due
si incontrano in una capanna la stessa sera e il loro amore si alimenta sempre più. Alcuni minatori la
mettono in guardia sullo straniero. Il ragazzo allora è costretto ad abbandonare la capanna, ma
sull'uscio viene abbattuto da una pistola di uno sceriffo. La ragazza però si era ormai innamorata del
giovane. Propone allo sceriffo una partita a poker: se avesse vinto lui si sarebbe portato il corpo del
ragazzo, in caso contrario lei lo avrebbe curato. Minnie riesce a pilotare la partita e vince, ottenendo
così la salvezza dell'uomo.
-3° atto: i minatori continuano a cercare Johnson. Viene trovato e arrestato. Viene condannato a
morte ma prima canta un brano dedicato all'amata, intitolato “Ch'ella mi creda libero e lontano”.
L'assolo viene però interrotto dal sopraggiungere improvviso di Minnie, a cavallo con una pistola
tra i denti. Minnie si rivolge ai cercatori d'oro, ricordando a ciascuno ciò che lei ha fatto per loro.
Grazie all'amore che la folla ha per Minnie il giovane viene perdonato avendo così la possibilità di
vivere la vita con la sua amata in maniera dignitosa.
Dopo la pubblicazione di quest'opera trascorre un po' di tempo e Puccini si appassiona al genere
operetta, forma costituita da dialoghi recitati e pezzi cantati. Decide quindi di comporre “LA
RONDINE”. Dopo le prime stesure Puccini abbandona l'idea di creare un'operetta e lavora su un
libretto tradizionale. Puccini in un primo momento vorrebbe rappresentarla a Vienna, ma in quel
periodo scoppia la prima guerra mondiale e dato che l'Italia era in contrasto con l'Austria, l'idea non
può concretizzarsi. Puccini rimase però insensibile alla guerra, continuando a condurre lo stesso
stile di vita precedente. L'opera viene rappresentata nel 1917 al teatro dell'opera di Montecarlo.
L'opera è composta da tre atti. La vicenda è ambientata in Francia durante il secondo Impero
napoleonico. La protagonista è la cortigiana Magda, mantenuta da un banchiere. Durante una festa
conosce il giovane Ruggero, da poco giunto nella provincia. I due si innamorano. Come una rondine
in fuga verso il mare, Magda abbandona il banchiere e va a vivere con Ruggero in Costa Azzurra. Il
giovane chiede ai genitori il loro consenso a sposare l'amata. Questi accettano ma Magda aveva
nascosto al giovane la sua vera identità e capisce, dunque, di non poter sposare Ruggero.
Nonostante il fatto che il giovane la supplichi, ella, straziata dal dolore lo abbandona.

Attendendo che maturino le condizioni per il debutto della rondine, Puccini legge per cercare di
capire come proseguire. Decide di comporre il “TRITTICO”, composto da tre opere relativamente
brevi (circa un ora ciascuno) ambientato in tre epoche diverse. La prima opera è il TABARRO
(termine che significa “mantello”), è un opera che rientra nello stile verista. La seconda opera è
SUOR ANGELICA, ambientata in un convento di clausura, dove quindi ci sono solo donne. Suor
Angelica si suicida ma vede una sorta di visione del paradiso, vede l'immagine di suo figlio avuto
da giovane, “il figlio della colpa” che la accoglie in paradiso. La 3 opera è GIANNI SCHICCHI,
un'opera comica. È ambientata nella Firenze medievale. Prende spunto da Dante, quando con
Virgilio si trova nel girone degli infamatori dove incontra Gianni Schicchi. Quest'uomo è una
persona realmente esistita che arrecò seri danni economici alla famiglia Dante.
(anche Verdi concluse la sua carrire con un opera comica).
Gianni Schicchi è l'ultima opera di Puccini integra. L'opera è comica ma è una comicità un po'
macabra. Il tema centrale è l'eredità di Donati, un uomo ricco appena morto. Tutti piangono e
pregano ma al contempo cominciano a cercare il testamento, scoprendo che l'uomo ha lasciato tutta
la sua ricchezza ai frati del convento dei francescani. Rinuccio, figlio di uno di loro, ha l'idea di
chiamare Gianni Schicchi. Tutti i parenti non sono d'accordo. Rinuccio è innamorato della figlia di
Gianni ma non ha il consenso da parte dalla famiglia. Scendono ad un compromesso: se Gianni
avesse trovato la soluzione, lui avrebbe sposato la figlia. Non appena Rinuccio chiamò Gianni,
questo ebbe un'idea: vuole nascondere il cadavere, travestirsi da Donati e riscrivere il testamento.
La famiglia accetta ma dinnanzi al notaio Gianni detta il testamento solo a suo favore. (la madre di
Dante fa parte della famiglia Donati, motivo per il quale Dante inserisce quest'uomo nella categoria
degli infamatori). Un brano importante dell'opera è quello cantato dalla figlia di Gianni, innamorata
di Rinuccio; il brano si intitola “o mio babbino caro”.
Il Trittico viene rappresentato al metropolitan di New York nel 1918.
Una sera del 1920, Puccini si ritrova in un ristorante con degli amici e ad un tratto un uomo
pronunciò la parola “Turandot”. Puccini non conosce la storia e, curioso, chiese informazioni
all'uomo. La fiaba così intitolata fa parte di “uno e una notte”. Il racconto dell'uomo incuriosisce
ancor di più Puccini che comincia a desiderare di leggere la fiaba. Dopo averla letta decide di
lavorarci. Turandot è un'opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni,
lasciata incompiuta da Giacomo Puccini a causa della sua morte e fu successivamente completata da
Franco Alfano, uno dei suoi allievi. Puccini riesce a comporre fino a ¾ dell'ultima parte poi muore a
causa di un tumore alla gola. La stesura di Alfano si distingue in “Alfano 1” (è la prima stesura di
Alfano ma viene rifiutata perché ritenuta “troppo Alfano e poco Puccini”) e “Alfano 2” (versione
rappresentata per la prima volta nel 1926 al teatro La Scala di Milano). Stranamente l'ultima musica
scritta da Puccini fu la musica funebre per la morte di Lijù. Per la prima rappresentazione Toscanini
interruppe in questo preciso punto l'opera annunciando “oggi l'opera finisce qui perche la morte ha
superato l'arte”, l'obiettivo era quello di ricordare e onorare la morte di Puccini.
Con TURANDOT Puccini rappresenta la Pechino di un'epoca remota, anche la musica è esotica.
Questa opera segna il ritorno alla dimensione esotica per Puccini e a questo stile potremmo
ricondurre altre opere come salone, electra, la sagra della primavera, opere di altri autori. Una delle
novità proposte in quest'opera è la figura della schiava Liju, un modello di donna diverso rispetto ai
precedenti soggetti di Puccini. Il successo dell'opera si deve principalmente a questo personaggio
che permette all'autore di operare un costante confronto tra due tipi di donne: Lijù innamorata,
schiava e Turandot spietata e sanguinosa. L'opera ruota intorno al rito sanguinoso immaginato e
messo in atto da una donna terribile, Turandot, figlia dell'imperatore della Cina. Tutto ruota intorno
al fatto che questa donna rifiuta di sposarsi ma questa decisione riguarda non solo lei ma l'intero
impero della Cina che cerca un erede vista l'età avanzata dell'anziano imperatore.
-1°atto: Un mandarino annuncia pubblicamente un editto: Turandot, figlia dell'Imperatore, sposerà il
pretendente di sangue reale che abbia svelato tre difficili indovinelli da lei stessa proposti; colui
però che non riuscirà a risolverli, sarà decapitato. Il principe di Persia, ultimo dei tanti sfortunati
pretendenti, ha fallito la prova e sarà giustiziato al sorger della luna. All'annuncio, tra la folla
impaziente di assistere all'esecuzione, è presente il vecchio Timur che, nella confusione, cade a terra
e Liù, la sua fedele schiava, chiede aiuto. Un giovane di nome Calaf corre ad aiutare il vecchio e
riconosce nell'anziano uomo suo padre, il vecchio re. I due si abbracciano commossi e il giovane
Calaf prega il padre e la devota schiava Liù di non pronunciare il suo nome per paura dei regnanti
cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. La schiava Lijù rivela al giovane il suo amore. Nel
frattempo, mentre il boia affila la lama preparandola per l'esecuzione, la folla continua ad agitarsi.
Al sorgere della luna, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista del giovane principe, la
folla, dapprima eccitata, si commuove per la giovane età della vittima, e chiede per lui la grazia.
Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine al boia di
giustiziare il Principe. Calaf, che prima l'aveva maledetta per la sua crudeltà, è ora turbato dalla
regale bellezza di Turandot, e decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù
tentano di dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo imperiale. Tre figure lo
fermano: sono Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincerlo a lasciar
perdere, manifestando l'insensatezza dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta
di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot. Turandot appare
quindi sulla loggia imperiale del palazzo e accetta la sfida.
-2°atto: È notte. Ping, Pong e Pang si lamentano del fatto che sono costretti ad assistere alle troppe
esecuzioni delle sfortunate vittime di Turandot. Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito
dei tre enigmi. Il mandarino fa iniziare la prova, ripetendo l'editto imperiale, mentre entra in scena
Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo
regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di
uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata
possedere da un uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li
avrebbe mai risolti. Calaf riesce a risolvere uno dopo l'altro gli enigmi e la principessa, disperata e
incredula, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per
l'imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo avverte che in questo
modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal giuramento
proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell'alba, riuscirà a scoprire il suo
nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne,
l'inno imperiale.
-3°atto: È notte. Si sentono da lontano gli araldi che annunciano l'ordine della principessa: quella
notte nessuno deve dormire a Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a ogni
costo, pena la morte. Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere intona un brano intitolato “all'alba
vincerò”. Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il
principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche
Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere
il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Pur torturata continua
a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e
Liù risponde che è l'amore a darle questa forza. Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma
torna subito ad essere l’algida principessa di sempre e ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi
il nome del principe ignoto. Liù, sapendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, strappa di
sorpresa un pugnale ad una guardia e si trafigge a morte. Il corpo senza vita di Liù viene portato via
accompagnato dalla folla che prega. A questo punto ha inizio la musica funebre ed è proprio in
questo punto che termina il lavoro di Puccini.
(Uno dei tanti finali successivamente composti da altri autori raccontano che: Turandot e Calaf
restano soli e lui la bacia. La principessa in un primo momento lo respinge, ma poi ammette di aver
avuto paura di lui la prima volta che l'aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia
ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e
le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il nome, potrà perderlo, se vuole. Il giorno
dopo, davanti al palazzo reale, è riunita dinanzi al trono imperiale una grande folla. Squillano le
trombe. Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero: «il suo nome è
Amore». Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.)
Turandot conclude la tradizione del melodramma; in realtà ci furono successivamente altre opere di
altri autori che però non riuscirono a raggiungere gli stessi livelli raggiunti da Puccini.

Adorno amava liquidare Puccini con un detto: “musica leggera”. Una delle mosse più significative
del teatro pucciniano fu proprio quella di rimettere in movimento le frontiere tra musica colta e
musica leggera. Con un particolare importante: la musica leggera, ai suoi tempi, non esisteva
ancora. Quando Adorno parla di musica leggera non pensa semplicemente a un determinato
repertorio popolare: pensa a un certo sistema di fruizione, a un pubblico particolare, a un sistema di
mercato ben preciso. Le opere di Puccini andavano verso la modernità, inventavano la musica
leggera. L'opera d'arte se voleva sopravvivere e far sopravvivere le istanze che incarnava, doveva
riciclarsi come merce. Non è più tanto il pubblico che deve seguire l'artista ma l'opera che deve
trovare le forme, i materiali e la lingua per pronunciare i desideri e le attese del pubblico. È una
svolta copernicana.

LA MUSICA IN FRANCIA...

Tra l'800 e il 900 la Francia era la capitale artistica del mondo, in cui nacquero diverse mode.
Proprio lì si notato autori di tutti i tipi, non solo francesi. È quindi una città proiettata verso la
modernità. Nell'ambito della musica, abbiamo principalmente orientato il nostro sguardo verso
autori come: Debussy, Satie, Ravel e Stravinskij.
Con Debussy si dà avvio ad un vero e proprio movimento: “il debussimo”, caratterizzata da una
prevalenza della musica per pianoforte, poi per orchestra. A Debusssy interessa infatti creare una
musica in grado di trasmettere impressioni; Debussy era in grado di esaltare lo “sfumato”, cioè di
tradurre in suoni le singole impressioni in maniera immediata, semplice e spontanea, così come i
pittori francesi a lui contemporanei. Vari studi hanno poi affermato che il debussismo può essere
considerato l'equivalente in musica del simbolismo in letteratura e dell'impressionismo in arte.
Debussy disprezzava l'arte di facile effetto e di basso divertimento, per cui può essere inserito nella
generazione di letterati e di pittori decadenti. Ebbe contatti con Oscar Wild, Mallarmè e Baudelaire.
Amava frequentare luoghi della bohème parigina. Relativamente alla musica di Wagner, Debussy
accettava, in un certo senso, l'estetica ma quanto più questa assumeva contorni definiti, tanto più
Debussy se ne allontanava. Debussy era infatti convinto del fattto che l'arte deve essere fatta di
accenni, misteriose analogie; l'arte non dice tutto. Egli reinventò per molti aspetti il timbro
dell'orchestra e del pianoforte. La sua musica fu ammarita e continuanta anche da coloro che ,
come Satie o Stravinskij, partiranno da presupposti estetici lontani dal decadentismo di fine secolo.
DEBUSSY è attratto dalla poesia di Marlammè, in particolare si interessa al “il pomeriggio di un
fauno” e ispirandosi a quest'opera compone un pezzo sinfonico. Il fauno è un personaggio della
mitologia greca, mezzo uomo e mezzo animale. La musica racconta le fantasie diurne di un fauno
che si diletta a suonare il flauto e ha un incontro con alcune ninfe. Di nuovo solo, il fauno riprende
la sua melodia fino a cadere in un sonno beato. Il linguaggio usato è ambiguo: si sottolinea
l'erotismo del fauno tra sonno e veglia; questo si erge vergo allettevoli ninfe, probabilmente più
allertate ad abbracciarsi tra loro. Il termine “pomeriggio” allude probabilmente al momento della
vita del Fauno, che non è nel pieno delle sue forze giovanili ma al contempo non è neanche nel
crepuscolo della vita. Questa composizione rappresenta una sorta di manifesto della poesia
simbolista. Debussy lavora a questo pezzo dal 1890 al 1894 e viene rappresentato per la prima
volta a Parigi nel 1894.
In generale Debussy non era molto interessato all'opera lirica; la sua opera era troppo evocativa per
essere descrittiva. Guardando al suo repertorio possiamo trovare diversi progetti teatrali rimasti
incompiuti, come ad esempio “il martirio di San Sebastiano”, di Gabriele D'Annunzio (al contrario
di Puccini, Debussy ebbe contatti diretti con D'Annunzio). Il protagonista dell'opera è una donna
russa, una star della danza a quei tempi. L'opera è suddivisa in 5 atti più il preludio. Gabriele
D'annunzio fu anche il primo interprete dell'opera “Bolero” di Ravel, e dell'opera “persefona” di
Stravinskij.
Così come fece Puccini in Italia, anche Debussy si interessò alla musica orientale. Nel 1889,
durante l'inaugurazione della Torre Eifèl, Debussy ebbe la possibilità di ascoltare il “gamenal”,
un'orchestra di strumenti musicali di origine indonesiana. Debussy rimase affascinato da questa
tipologia di musica in quanto gli dava la possibilità di viaggiare verso luoghi lontani, esotici e
misteriosi che lui stesso evocava in diverse opere.
Scorgendo il catalogo delle opere di Debussy ci imbattiamo nella composizione di “Suite
Bergamasque” tra il 1890 e il 1905 e “Children's Corner”. Questa è una suite per pianoforte,
composta nel 1907 e pubblicata nel 1908. E' dedicata alla figlia Emma, detta Chou-chou. Attraverso
questa opera, Debussy intende rappresentare in modo poetico il mondo dell'infanzia, l'angolo dei
bambini. Children's Corner comprende in tutto sei brani, tra cui “Golliwogg's cake-walk”. Questp è
il pezzo più ritmico della raccolta, improntato alla vivace danza afroamericana del cake-walk che si
immagina ballata da Golliwogg, personaggi di libri per bambini avente le fattezze di una bambina di
colore.

La battaglia culturale di Debussy, a Parigi e poi a livello internazionale, può dirsi vinta agli inzi del
900. Ravel mosse i primi passi in un contesto culturale differente rispetto a quello con il quale, solo
15 anni prima, Debussy dovette misurarsi. Ravel quindi visse in un contesto culturale diverso
rispetto a quello di Satie. SATIE è un compositore molto originale, talmente tanto che non tutti
riescono a prenderlo sul serio. È isolato ma ha attorno un gruppo di artisti che ne comprendono
l'originalità, tra questi Picasso e Stravinskij; gli manca quindi il riconoscimento da parte del
pubblico. Soltanto alla fine della sua vita ebbe la possibilità di far sentire la sua musica sui grandi
palcoscenici dei grandi teatri. Satie apparteneva ad una famiglia non benestante, per cui durante i
suoi studi irregolari dovette guadagnarsi da vivere suonando la notte nei locali notturni. Tentò la
carriera militare ma essendo inadatto lascia l'esercito e comincia a lavorare nei locali notturni. La
sua musica può essere distinta in:
-musica per i locali notturni, ovvero canzoni e baciate che rappresentavano il suo volto più solare;
questo tipo di musica era chiamata “musica di arredamento”, così chiamata per sottolineare il fatto
che la musica, così come la carta da pareti, arredamento e tappeti, rende confortevole un ambiente.
-Pezzi che nessuno suonava e che scriveva per se stesso e per la cerchia di sostenitori.
Relativamente a questa sua produzione possiamo parlare di “produzione esoterica”, destinata cioè
ad essere conosciuta da pochi.
La raccolta esoterica e i pezzi per i locali notturni, apparentemente diversi, hanno degli elementi in
comune: è una musica che non deve necessariamente dire qualcosa, ma serve da sottofondo. Vi è
inoltre la componente della ripetizione, presente in entrambe. Secondo Satie, inoltre, la musica aiuta
a creare una sorta di barriera rispetto ai rumori che provengono dall'esterno e di aiutare e colmare i
vuoti di una conversazione.
Satie lavora per sottrazione, non è interessato ad aggiungere tante note ma le toglie per ritornare alla
musica semplice e lineare.
Il suo stile di vita era abbastanza semplice, da molti definito “francescano”, cioè poco appariscente.
Viveva in una casa di sole due stanze, una delle quali era chiusa a chiave e conteneva una grande
collezione di ombrelli.
Dando uno sguardo alla sua produzione esoterica, è possibile fare riferimento a 3 pezzi famosi:
GYMNOPEDIES, pubblicate assieme nel 1886. il termine “gymnopedies” si riferisce ad una
ritualità della musica di Sparta in cui prima di determinate manifestazioni ginniche c'erano dei
cortei di ragazzi nudi che ballavano queste musiche. Questo tipo di musica è una musica molto
lenta, evocativa e lineare che immagina possa rappresentare la danza ballata a Sparta.

Il successo di Satie è strettamente dovuto al drammaturgo, regista Cocteau, che gli propose di
realizzare un opera in collaborazione con lui, che avrebbe scritto il soggetto e Picasso che avrebbe
disegnato le scene. La composizione sarebbe stato un balletto d'ispirazione cubista e lo spettacolo
va in scena a Parigi nel 1917 con il titolo “ PARADE”. Qui Satie usa suoni innovativi, non presenti
nelle sue precedenti composizioni. Verso la fine della sua vita Satie si avvicina anche al cinema, che
nasce grazie ai fratelli Lumiere nel 1896 che brevettarono il cinematografo. Satie è uno dei primi
compositori a rapportarsi con la sonorizzazione cinematografica. L'idea era di associare alle
immagini del cinema muto la sua colonna sonora, sia per attenuare i rumori del cinematografo sia
per sottolineare i vari momenti espressivi. Un film famoso in cui Satie partecipò è “Entr'acte”
(intermezzo), film di Renè Clair del 1924.il film è considerato il manifesto del cinema dadaista. Il
film era nato per essere proiettato durante l'intervallo, tra i due tempi di un balletto . La musica del
film, composta da Satie è una musica ironica e ritmana, facilmente adattabile alle immagini.

(“dessazion” (torture) è un brano musicale molto famoso dell'autore. È composto da moduli


ripetibili anche all'infinito. Un modulo musicale è composto da 16+16 battute, ovvero 32
complessive, ripetibili per 240 volte. La durata, a seconda della velocità di esecuzione, è superiore
alle 18-20 ore)

RAVEL nacque nel 1875. Rispetto a Debussy e a Satie appartiene ad una generazione culturale
differente. All'inizio della sua carriera venne accusato di essere “debbussista” in realtà Raval
dimostra di essere un compositore diverso, di grande talento ma molto razionale. Da ragazzo, Ravel,
ebbe una esperienza diretta con il mondo spagnolo e questo rapporto, di tanto in tanto, riaffiora
nella sua musica. Inoltre, Ravel ha un grande interesse per il mondo della fiaba e dell'infanzia. Tra
le sue prime composizioni di successo, infatti, troviamo un pezzo che rievoca il mondo
dell'infanzia: “Pavana per una principessa defunta”. La Pavana è un'antica danza padovana; è lenta e
caratterizzata da un clima malinconico. Questa composizione è una composizione per pianoforte
presentata nel 1910; più tardi riscrisse la partitura per orchestra, presentandola nel 1911.
L'ambientazione è il mondo delle fate, quel mondo che quel giorno ha smesso di risplendere perché
e morta la principessa. Dunque è come se tutti i personaggi che popolano quel mondo si riuniscono
per renderle omaggio.
Il catalogo delle opere di Ravel è vasto, ma non vastissimo. Ricordiamo:
-una certa quantità di brani per pianoforte;
-due balletti: 1) “Dafne e Cloe” (balletto di ambientazione neoclassica); 2) “i racconti di mamma
oca”;
-due concerti, uno dei due è un concerto un po' particolare scritto per un pianista che ha persi la
mano destra durante la guerra per cui i pezzi sono stati scritti per essere suonati solo con la mano
sinistra; un altro concerto conosciuto è “Bolero”;
-due opere liriche di breve durata: 1) l'ora spagnola 2) il fanciullo e i sortilegi”.
L'ora spagnola è un'opera ambientata in Spagna con un soggetto divertente e spinto, la moglie di un
orologiaio piena di amanti che nasconde dentro le casse degli orologi. Durante l'opera si vengono a
creare una serie di equivoci e travestimenti.
Il fanciullo e i sortilegi è un opera lirica in un atto e suddivisa in due scene; è composta tra il
1920/1924 insieme ad una scrittrice francese. L'opera dura poco meno di un'ora. Tendenzialmente è
dedicata ai ragazzi ma anche agli adulti. L'opera racconta di un bambino di 7 anni che, durante un
pomeriggio in una vecchia casa di campagna in Normandia, brontola davanti ai compiti di scuola.
La madre si arrabbia per la pigrizia del figlio e lo punisce. Il bambino, preso dalla collera, getta la
tazza e la teiera a terra, martirizza lo scoiattolo dentro la gabbia, tira la coda del gatto, rovescia il
bollitore, lacera il libro, strappa la carta da pareti e demolisce il vecchio orologio. Esausto, si lascia
cadere nella vecchia poltrona ma questa arretra. Comincia il fantastico gioco: uno dopo l'altro gli
oggetti e gli animali si animano, parlano e minacciano il bambino pietrificato. Dal libro di
matematica esce un vecchio che gli propone degli esercizi irrisolvibili, facendo impazzire. La casa
piano piano scompare e l'anziano si trasferisce nel giardino. Nella casa e poi nel giardino le creature
espongono le loro lamentele ed esprimono vendetta. Mentre il bambino chiama la sua mamma, tutte
le creature si gettano su di lui per punirlo. Prima di svenire, il bambino si appresta a curare il
piccolo scoiattolo da lui precedentemente punito. Le creature si emozionano, si scusano e lo
riportano dalla sua mamma.
Bolero= composto nel 1928 è un balletto divenuto celebre anche come musica brano da concerto. Il
titolo è ripreso dal no9me di una danza popolare spagnola. È un ritmo di danza lento, molto
sensuale basato sempre sulla ripetizione incessante dello stesso ritmo sul quale si dispiega una
melodia esotica che si va spostando da una sezione ad un'altra dell'orchestra. Man mano che questo
ritmo si ripete si viene a creare una sorta di crescendo di intensità: la musica parte leggera e poi
comincia a diventare sempre più forte fino a diventare esplosiva. All'inizio il palcoscenico è buio e
poi viene illuminato un solo danzatore poi comincia ad illuminarsi tutto. I gesti diventano più ampi
e intorno al danzatore c'è un cerchio di persone.
STAVINSKIJ è nato nei pressi di Pietroburgo, in Russia nel 1882, ma appartiene a quella serie di
artisti che percepiscono il senso della centralità di Parigi e dunque si ritrovano in questa città a
giocare alcune delle carte fondamentali della loro vita. Muore nel 1971. Questi anni, quasi 100 anni,
coincidono con varie trasformazioni e sono caratterizzati da una forza creativa straordinaria. La sua
vita, coincide infatti, per buona parte con il secolo breve, ovvero, l’arco di tempo che va dall'inizio
della grande guerra alla caduta del muro di Berlino. Quando Stravinksij nasce, nel 1882, è un
suddito dell'impero zarista e quando diventa famoso, a Parigi nel 1909 con il balletto l'uccello di
fuoco, in Russia c'è ancora lo zar. Stravinksij è figlio di un famoso cantante lirico, ricorda infatti,
nella sua autobiografia percorsi della mia vita, pubblicata a Parigi nel 1935, che lui ha sempre
frequentato i teatri di Pietroburgo, in cui un giorno la madre gli indicò Cajkovski, questa visione lo
accompagnerà per tutta la vita. Poco prima dell'inizio della seconda guerra mondiale si trasferisce
negli Stati Uniti, viaggio che si trasforma invece in un lungo esilio.
Stravinskij scrive una moltitudine di composizioni, il suo catalogo è vastissimo.
Data la vastità è opportuno suddividere la vita di questo compositore in periodi/ fasi. Questi però
non vanno assunti in maniera troppo rigida.
Stravinskij è paragonabile a Picasso, la cui produzione è anch'essa suddivisa in fasi in quanto vasta,
sia per la vastità della produzione sia per il ruolo nella cultura del 900. Inoltre i due frequentavano
gli stessi ambienti e collaborano per la produzione di un balletto “pulcinella” che va in scena nel
1920 con le musiche di Stravinskij e le scene e i costumi di Picasso.
Il primo periodo è definito:
1.Periodo rosso: va dal 1904-1905 ovvero, dal momento in cui S. comincia a studiare con
l'importante compositore russo Nikola Korsakov, fino al 1913, ovvero quando S. è ancora giovane e
il suo rapporto con la tradizione, con la cultura e il mondo della fiaba e del folkore russo è ancora
forte.
Durante questo periodo S. comincia a collaborare con Miknail Fokine, primo promotore della
compagnia del balletto russo. Per questa compagnia di danza, S. realizza tre grandi spettacoli di
danza: 1.l'uccello di fuoco 1909-1910; 2.Petruska 1911, in cui il protagonista è Nijiski; 3. la saga
della primavera 1913.
In questo stesso periodo, realizza una seria di altri composizioni e realizza la sua prima opera lirica
l’usignolo: il soggetto è tratto da un racconto di Anderson. Questo spettacolo va in scena a Parigi
nel 1914. S. comincia a scrivere il primo atto nel 1908 e conclude il lavoro nel 1914.
Il 1914 è anche l'anno in cui comincia la prima guerra mondiale in Svizzera.
Mentre è a Parigi con la sua famiglia apprende della caduta dello zar e dell'esplosione della
rivoluzione d'ottobre. S. è lontanissimo dagli ideali sociali del bolscevismo e dunque rifiuta la
nuova unione sovietica, comprende di non poter tornare più in patria e si trova a vivere in esilio.
Tra le due guerre S., torna a Parigi e assume la cittadinanza francese.
2. Periodo cubista, corrisponde agli anni della Grande Guerra; anni durante i quali la sua musica era
gradualmente diventata molto più tagliente e geometrica. Ed era stata destinata soprattutto a singoli
strumenti o a piccoli organi strumentali.

3.Periodo neoclassico, chiamato così in quanto, di ritorno a Parigi, S. muta gli orizzonti compositivi
e dà avvio con Pulcinella, ad un periodo creativo che dura 30 anni, dal 1920 al 1950. Dal 1920 al
1939 S. vive a Parigi. Nel 1939, mentre l'Europa si avvia alla guerra, S. accetta l'invito
dell'università degli Stati Uniti a tenere lì un ciclo di lezioni. Lì viene raggiunto dalla notizia
dell'invasione della Polonia e dell'inizio della 2° guerra mondiale. Quello che sembrava un
soggiorno relativamente breve, si trasforma di nuovo in un lungo esilio. Assume la cittadinanza
americana.
Il periodo neoclassico essendo molto lungo, include molte opere diverse, volendo individuare solo
alcune di queste opere, bisogna parlare di: 1)pulcinella; 2) ou dipus rex, 1927; 3)la carriera di un
libertino.
Quest'ultima è composta in 3 atti. Va in scena a Venezia nel 1951. Questo è anche l’inizio di un
rapporto emotivo tra S. e Venezia destinato a diventare negli anni sempre più forte.
4.Periodo seriale, S. si dedica soprattutto alla musica sacra, come il cantico sacro in onore di San
Marco, del 1955, e le lamentazioni del profeta Gerema, del 1958.

Durante gli anni 50 S. viene invitato presso l'Unione Sovietica a dirigere alcuni concerti. Dopo un
momento di incertezza, si reca a Mosca, a Pietroburgo e ottiene un immenso successo da parte di un
grande pubblico che prima di allora non aveva mai seguito la sua musica, dato che la sua musica lì
era proibita per motivi politici. È quindi il momento di ricongiungimento tra S. e il suo popolo (non
con il governo russo).

Nel frattempo le tecniche di registrazione discografica hanno fatto enormi passi avanti e S. si rende
conto che è molto importante per un compositore moderno lasciare diretta testimonianza della
propria carriera e si dedica ad una registrazione, quasi integrale, della sua produzione.
S. muore a Ne York nel 1971 e viene seppellito, secondo la sua volontà, a Venezia, nell’isola di San
Michele.
Gli anni della formazione
Relativamente alla vita di S. è utile precisare che pur essendo figlio di un cantante lirico, pur
essendo cresciuto in una casa in cui si ascoltava e si faceva sempre musica e pur essendo stato in
teatro sin da bambino, S. non trovò nella sua famiglia un aiuto ad intraprendere la carriera di
compositore; anzi il padre non condivideva l'idea che il figlio volesse intraprendere questa strada.
Sognava per lui un corso di studio e una carriera nell'ambito della burocrazia. Tuttavia non gli
venne impedito alcun rapporto con la musica, che era però circoscritto. Soltanto in seguito S. riuscì
ad avere dal padre il permesso di seguire privatamente le lezioni di Nicolai Cojkoiski, professore
molto famoso che il padre conosceva personalmente.
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secondo è come se la scena della musica fosse divisa in due
diversi orientamenti:
- da un lato c'era un orientamento detto “europeista” del quale era esponente Ciacoski e si basava
sull'idea che la musica russa dovesse fare ogni sforzo per allinearsi ai traguardi conseguiti dalla
musica europea. Doveva, almeno in parte, scrollarsi di dosso la sua componente nazionalista russa;
- dall'altro lato troviamo i compositori della svolta nazionalista che sostenevano il contrario, ovvero
che la musica russa dovesse mantenere la propria specificità: una musica legata alle tradizioni slave
e russe. Tra gli esponenti troviamo Cajkovski, uno dei compositori più importanti del tempo.

Dunque se S. ebbe da un lato l'occasione di studiare con uno dei più importanti compositori della
sua epoca, dall'altro lato si formò in un ambiente culturalmente caratterizzato in senso nazionalista.
Anche se S. era troppo intelligente e curioso per lasciarsi imprigionare dentro i limiti del proprio
paese. S. era infatti sempre al passo con le novità provenienti dall'Europa, in particolare con quelli
provenienti dalla Francia. Era infatti molto interessato all'impressionismo di Debussy.
I suoi due modelli, apparentemente contrastanti sono:
-da un lato il nazionalismo russo del suo maestro;
-dall'altro l'impressionismo francese di Debussy.
L'evento cruciale della carriera di S. è stato l'incontro con Djagilev, l'inventore della compagnia dei
balletti russi.
Tra l'800 e il 900 sembra che la tradizione del balletto russo abbia la capacità di rinnovarsi.
L'idea di Djagilev è quella di mettere la grande tradizione del balletto russo in relazione con le
nuove tendenze. Questa nuova via passa da Parigi. Questo progetto necessita di un nuovo
repertorio. La cosa più importante per Djaglev è quella di entrare in contatto con nuovi compositori
che realizzino questo uovo repertorio.
In questi stessi anni, S. era un giovane compositore di talento in cerca di grandi occasioni per farsi
conoscere. Le strade dunque di questi due personaggi si incrociarono. S. comincia a collaborare con
le compagnie dei balletti russi di Diaglev realizzando le trascrizioni per orchestra di alcuni pezzi
pianistici che confluiscono in uno spettacolo di danza intitolato ….................
Dato il successo, Djaglev decide di affidare a S. l'incarico di comporre un balletto che faccia serata.
La scelta cade su una celebre fiaba del repertorio russo intitolato “l'uccello di fuoco”. L'uccello di
fuoco è una fiaba in cui si contrappongono le forze del bene e del male. Il bene è incarnato dalla
figura di un principe, Ivan, che si ritrova in una specie di giardino incantato nel quale scorge la
figura fantastica di un uccello di fuoco. Tenta di catturarlo, ci riesce, ma l'uccello lo prega di
lasciarlo libero e gli offre, in cambio della sua libertà, una piuma incantata, tramite la quale il
principe potrà avere, in ogni momento, l'aiuto dell'uccello. Il principe accetta. Il giardino magico,
ma tenebroso, nel quale si trova è un giardino di un mago che ha rapito un gruppo di principesse che
sono rinchiuse nel castello. Il principe si innamora di una delle principesse e decide di liberarle.
Riuscirà nel suo intento grazie all'intervento dell'uccello di fuoco che diventa l'elemento risolutore
di questa incarnazione dell'eterno conflitto tra le forze del bene e del male. Questo balletto va in
scena per la prima volta a Parigi nel 1910 con un successo enorme.
Djaglev aveva capito già durante la prova che l'effetto sarebbe stato colossale.
C’è da dire che la musica di S., ancora giovane, è una musica che soltanto a tratti rivela una grande
forza dei gesti originali e personali, in quanto in altri momenti risente ancora degli influssi da un
lato del suo paese e del suo maestro e dall’altro dell’impressionismo di Debussy.
Dunque si percepiscono da un lato i due grandi modelli a quali si riferisce e dall’altro si vede
affiorare a tratti i lineamenti di uno stile compositivo tipico suo.
È inoltre, possibile notare come nell’arco di tempo brevissimo che è trascorso tra uccello di fuoco
del 1910 e Petruska del 1911, la sua musica subisca un'accelerazione in senso moderno. Uccello di
fuoco, infatti, è una musica nel segno della tradizione mentre Petruska è completamente orientata
verso il moderno.

L'autobiografia di Stravinskij cronache della mia vita, è stata pubblicata per la prima volta a Parigi
nel 1935. Ricopre dunque un ampio arco della sua vita, ma non tutta, in quanto lui muore nel 1971.
Cronache della mia vita riguarda, quindi, la sua infanzia, gli anni della formazione, gli studi con
Nikola Korsakov, l’incontri con Djaglev, il debutto a Parigi, la genesi e la storia delle sue prime
opere, la prima guerra mondiale e la decisione di non tornare in Russia dopo la rivoluzione di
ottobre.
Comunque, anche la seconda parte della vita di S. è in realtà documentata da lui stesso e da altre
persone a lui vicine attraverso altri libri, ad esempio: durante gli anni del suo esilio americano, S. è
entrato prima saltuariamente, poi stabilmente in rapporti di amicizia con un giovane direttore
d'orchestra americano, Roberto Craft che un po' alla volta sarebbe diventato uno di famiglia, una
specie di segretario artistico di S., soprattutto man mano che quest'ultimo cominciava a diventare
più anziano.
S. e Craft hanno dialogato molto tra di loro e Craft ha trascritto questi dialoghi e li ha poi pubblicati.
Si tratta di un volume abbastanza corposo, pubblicato in Italia da Enaudi e che si intitola colloqui
con Stravinskij che in qualche modo costituiscono l'aggiornamento e la prosecuzione del processo
delineato in cronache della mia vita. Craft teneva un diario molto dettagliato, di tutto ciò che faceva
con S., quindi viaggi, incontri, concerti, turnee e incisioni discografiche. Inoltre anche la seconda
moglie di S. teneva un diario, più sintetico che contribuisce a delineare il quadro degli ultimi 20-30
anni della vita e delle attività di S.
Tra l’altro nel 1939, S, fu invitato dall’università di Harvard a tenere un ciclo di lezione. Queste
lezioni furono pubblicate con il titolo “poetica della musica”.
Anche se non sono testi autobiografici, contribuiscono a delineare il quadro dell’esperienza
culturale e musicale di S., dal punto di vista della sua concezione della musica.
S. a partire dagli anni 60, inizia in maniera più sistematica a incidere su disco la quasi totalità della
sua produzione compositiva. Esiste dunque un cofanetto di 30 cd con quasi tutta la musica diretta da
S. che ha scritto nell’arco di quasi tutta la sua vita.
Tornando ad analizzare i periodi della vita di S. possiamo osservare che:
-Il periodo rosso: va dal 1904-1905 ovvero, dal momento in cui S. comincia a studiare con
l'importante compositore russo Nikola Korsakov, e si conclude intorno al 1913-1914, ovvero dopo il
completamento della partitura teatrale dell’opera lirica le rossignol.
Questo è un momento cruciale della carriera di S. , poiché è il momento in cui diventa
improvvisamente famosissimo. Anche se in S, il mondo della musica popolare russa avvolte
affiora, non è un elemento predominante nel suo linguaggio, questo primo momento creativo viene
dunque definito russo, in modo generale, perché è un momento in cui è evidente il rapporto di S.
con la cultura russa nel suo complesso, si tratta di un rapporto profondo e di un interesse con il
mondo dal quale il giovane proviene.
In questi anni si ritrova a studiare con l'importante compositore russo Nikola Korsakov, comincia a
scrivere le sue prime composizioni ed entra in contatto con Djagilev, l’inventore della compagnia
del balletto russo.
Tra i due si crea un forte sodalizio creativo dal quale scaturiscono i primi grandi capolavori musicali
che impongono improvvisamente il nome di S, all’attenzione del pubblico e della critica
internazionale.
3 opere in particolare sono:
1.il balletto fantastico: l’uccello di fuoco, che va in scena a Parigi nel 1910, con la coreografia di
Fochine, in un allestimento moderno che riprende filologicamente la coreografia originale del 1910.
2.Petruska, che va in scena a Parigi nel 1911 e che ha come protagonista il danzatore Nijiski.
3.Sagra della primavera, opera scritta tra il 1911 e 1913, e che va in scena con enorme scalpore a
Parigi nel 1913. Alla cui realizzazione Nijiski partecipa non come danzatore, ma come coreografo.
Infine è possibile ricondurre a questo orizzonte di opere del periodo russo anche “Le Rossignol”,
una fiaba musicale in 3 atti che S., ispirandosi ad un racconto di Anderson, comincia a comporre nel
1908 mentre è ancora allievo di Korsakov. Aveva infatti sottoposto all’attenzione del suo maestro il
primo quadro dell’opera, quando l’incontro con Djagilev cambia tutto, poiché questo lo indice ad
interrompere il lavoro per dedicarsi, in rapidissima sequenza, a uccello di fuoco, Petruska e sagra
della primavera.
È sagra della primavera dunque che costituisce il punto in cui S, avverte di avere concluso una fase
della sua vita e l’esigenza di prendersi un momento di pausa per rinnovare il suo stile compositivo.
Questo momento di pausa termina quando, S. riceve dalla Russia la proposta di completare la
partitura rimasta incompiuta di Le rossignol.
Ciò inizialmente, lo pone di fronte ad un problema di carattere compositivo, stilistico e di coerenza
musicale, ovvero di fronte al fatto che il suo linguaggio del 1914 è profondamente diverso rispetto
al suo linguaggio del 1908. In quegli anni il suo linguaggio si era infatti evoluto velocemente e
dunque non sente più suo ciò che aveva scritto nel 1908 e soprattutto sente di non poter più
comporre in quello stile.
Comunque, dopo alcune esitazioni S. riprende la partitura di le rossignol.
Tra il 1913 ed il 1914, scrive il 2° ed il 3° quadro e l’opera viene rappresentata a Parigi nel 1914, a
ridosso della grande guerra. Ciò implica un cambiamento epocale immenso non solo nella storia
d’Europa, ma anche nella vita di S, in quanto in quegli anni sceglierà di trasferirsi con la famiglia in
Svizzera.
In Svizzera, nel 1917, raggiunto dalla notizia della rivoluzione d’ottobre, S, avverte una sorta di
repulsione nei confronti del suo paese, e il soggiorno in Svizzera si trasforma in un lungo esilio.
In questa fase molto frenetica dell’esperienza creativa di S, le idee si susseguono e si accavallano
con incredibile rapidità. Stava infatti lavorando a Sagra della primavera, nata dalla visione di un
antico rito pagano in cui degli uomini anziani con delle lunghe barbe bianche siedono in un cerchio
intorno ad una fanciulla che è stata eletta per sacrificare la sua vita al dio della primavera, questa
dovrà danzare fino alla morte affinché torni la primavera, quando si rende conto che non si sente
pronto per questo progetto.
Abbandona dunque quest’opera per dedicarsi ad un’altra opera, Petruska, che nasce anch’essa da
una visione, ovvero la visione di una marionetta impazzita che esegue al pianoforte degli arpeggi
scatenati che fanno inferocire un’orchestra. Tra la marionetta e l’orchestra si scatena una sorta di
battaglia musicale che si conclude con la sconfitta della marionetta che si accascia al suolo.
Petruska va in scena a Parigi nel 1911, solo un anno dopo il successo di uccello di fuoco. Petruska
è un’opera molto più moderna, più personale di uccello di fuoco, in cui erano ancora evidenti i due
grandi modelli di S. È un balletto in 4 quadri, il successo è immenso ed è in qualche modo
amplificato dalla presenza sulla scena di Nijiski, il danzatore più importante del secolo.
Conclusa questa seconda esperienza creativa, S, ritorna a lavorare al suo progetto precedente.
(Il prof. Mette in relazione la musica di “sagra della primavera” e “les demoiselles d’Avignon” di
Picasso. Questo non è soltanto uno dei quadri più celebri del periodo cubista di Picasso, ma è anche
uno di quei quadri in cui affiora un tratto caratteristico e di moda in certi ambienti della Parigi del
primo 900. Il prof. Fa riferimento alle arti dei popoli primitivi.)

In questo periodo sono di moda i riti pagani e le maschere africane. Si comincia a pensare che vi sia
una sorta di forza brutale e affascinante nell’eleganza di queste forme artistiche, antichissime, ma
allo stesso tempo nuove per il fatto che vengono appena riscoperte.
È questo il motivo per cui queste misteriose figure femminili, in parte si presentano con i propri
volti, seppure trasfigurate in una prospettiva cubista, in parte non hanno un volto, ma è come se
indossassero delle maschere antiche, che richiamano l’arte africana.
S, non è attratto dall’arte africana, ma dalla Russia pagana cioè da un sistema di gesti, riti e
credenze che appartengono alla Russia dell’età della pietra, prima che entrasse in contatto con la
cristianità. Il sottotitolo di “la sagra della primavera” è infatti “I quadri della Russia pagana”.
Dove con il termine pagana si riferisce ad una Russia antica, precristiana e dominata da credenze e
ritualità antichissime e crudeli.
Sagra della primavera, non è un balletto. È si, uno spettacolo di danza, ma non ha una trama vera e
propria. Non troviamo infatti una storia, un protagonista, un racconto o un soggetto.
C’è una sorta di presenza collettiva del popolo russo primitivo che vive le proprie battaglie e celebra
i propri riti, che ruotano intorno a temi basilari e terribili, come la vita, la morte, il ritorno della luce
con la primavera dopo il lunghissimo e terrificante inverno russo. Il ritorno della primavera viene
scandito da una serie di ritualità che culminano nel sacrificio umano di una ragazza, che viene scelta
tra le tante e costretta a danzare fino alla morte. Può essere definito uno spettacolo di danza che
assume come argomento culminante e conclusivo il sacrificio umano. Troviamo infatti una musica
rocciosa, violenta e barbarica, capace di abbattersi come una sorta di uragano sul pubblico seduto in
platea.
Per creare questo uragano musicale S, raduna un’orchestra di vaste dimensioni e caratterizzata da
un’ampia presenza di strumenti a percussione. Troviamo 10-11 percussionisti che imprimono una
sorta di scansione ritmica furibonda alla musica e che trasformano la musica nella cosa più simile
ad un uragano che si possa immaginare. Dunque un effetto forte, violento e diverso dalle opere
precedenti.
Dati i precedenti risultati per questo spettacolo si crea una grande attesa. Inoltre vi è il debutto di
Nigiski come coreografo, le prove erano state svolte in assoluto segreto e Djagilev incuriosiva la
stampa montando un po’ questo caso. Durante la prova generale, in cui erano presenti Debussy e
Ravel tutto era andato bene. Quando il balletto fu rappresentato per la prima volta però, la gente era
rimasta sbalordita, tanto che lo spettacolo venne interrotto per motivi di ordine pubblico perché si
era scatenata una rissa in teatro, che proseguì anche fuori. S, rimane amareggiato, mentre Djagilev,
che ama gli scandali ne è felice. L’opera che gli spettatori hanno visto durante la prima
rappresentazione, dura 30 minuti, e si divide in 2 quadri.
Il primo quadro, si intitola “l’adorazione della terra”; il secondo quadro, si intitola “il sacrificio”.
Ognuna delle due parti dura 10-12 minuti e presenta un preludio strumentale, cioè un pezzo
eseguito da sola orchestra. In particolare l’introduzione alla prima parte è particolarmente celebre e
comincia pianissimo con l’evocazione di un’antica melodia popolare lituana eseguita dai fagoti
(strumenti a fiato), poi piano piano cominica a mettersi in moto una macchina ritmica che è la cosa
più vicina all’hard rock, che si potesse immaginare nel 1913.
Stravinskij nel 1939 si trova in California, in occasione dell’invito dell’Università di Harvard, e
riceve una lettera dalla Disney studios, in cui viene chiesta l’autorizzazione ad utilizzare “sagra
della primavera” per un cartone animato. C’è da dire che, a partire dalla seconda metà degli anni
30, Disney entra in una fase matura della sua esperienza creativa, questo passaggio si traduce
attraverso l’esigenza di lasciarsi alle spalle i cortometraggi comici (in cui compaiono topolino e
paperino) e iniziare a raccontare storie più lunghe. Il primo lungometraggio a cartone animato nella
storia del cinema è Biancaneve e i 7 nani.
Segue un progetto molto complesso, intitolato “Fantasia” che viene presentato al pubblico nel 1940,
è composto da 6 episodi a cartone animato collegati da riprese reali delle prove di un’orchestra, e
ogni episodio è legato ad un grande brano musicale della tradizione classica.
In Fantasia, dunque un film a cartone animato a 6 episodi, troviamo:
-Lo schiaccianoci di Ciaicioschi;
-La sinfonia pastorale di Beethoven;
-L’apprendista stregone di Dukas;
-L’ave e Maria di Shubert;
-La danza delle ore di;
-Una notte sul monte calvo di Musorgski;
-La sagra della primavera di Stravinskij;
la sagra della primavera è l’unico pezzo del 900 presente in Fantasia.
Viene utilizzato per un episodio un po’ tenebroso, dove vi è la nascita dell’universo, l’apparizione
delle prime forme di vita su una terra ancora abitata da dinosauri e caratterizzata da maremoti e
terremoti. È dunque un episodio che terrorizza un po’ i bambini.
S, inizialmente rimane un po’ perplesso all’idea che il suo capolavoro possa diventare la musica di
un cartone animato, avendo però bisogno di soldi e conoscendo il direttore artistico musicale di
Fantasia, che era un grande direttore d’orchestra scozzese di origine ebraico trapiantato in America
che si chiama Leopold Stokowski, il quale era stato il primo interprete di sagra della primavera,
accetta. Dopo aver visto la proiezione, S, infatti, capisce il potenziale che quest’opera ha e decide
dunque di mettere sagra della primavera nelle mani di Disney e di Stokowski, che ne fanno un
episodio fortemente giurassico, che rende S, famoso presso i ragazzini americani.

(Il prof fa riferimento a Franco Battiato:)


Intorno a Stravinskij, Diaghilev e Nigiski ruota una canzone di Franco Battiato. Battiato, è un
compositore siciliano ormai settantenne. Il titolo della canzone è: Prospettiva nevski, che è la strada
più importante del centro di San Pietroburgo. Battiato, in questa canzone, mescolando immagini di
luoghi lontani, Pietroburgo, e immagini di luoghi suoi, siciliani ed autobiografici, in una specie di
montaggio cinematografico alternato a dei testi, immagina di trovarsi di notte sulla prospettiva
nevski e di incontrare questi 3 personaggi, ovvero: Stravinskij; Diaghilev, impresario della
compagnia dei balletti russi, omosessuale, che si innamorò perdutamente del suo primo ballerino; e
Nigiski, danzatore.
Battiato cita anche Sergej Ejzenstejn, il più grande regista russo della prima metà del 900.
Il film sulla rivoluzione, di cui parla, si chiama Ottobre, è un film muto con le musiche di Dmitri
Sostakovic, che fu realizzato nel 1927 nel decimo anniversario della rivoluzione d’Ottobre e
ricostruisce gli eventi cruciali della rivoluzione nei veri luoghi e in parte anche con il vero popolo di
San Pietroburgo, che 10 anni prima era stato protagonista della presa del palazzo d’inverno e che
aveva realmente vissuto quello che adesso rappresentava e immortalava.
Petruska, è il primo balletto in cui affiora in forma evidente la cifra stilistica originale ed
inconfondibile di Stravinskij.
(Fa ascoltare: il primo quadro di petruska)
L’attacco dell’introduzione di sagra della primavera 1913, manca un anno all’inizio della grande
guerra, ma è come se S, preannunciasse quell’apocalisse facendo scoppiare un’apocalisse musicale
dentro il più importante teatro di Parigi. Questo balletto che mette in scena riti arcaici sacrifici
umani si abbatte sul pubblico con una forza stravolgente alla quale il pubblico non era preparato e
dunque con gioia di D la prima si trasforma in uno scandalo e stranamente però questo pezzo così
forte e violento comincia pianissimo con l’evocazione di un’antica melodia lituana enunciata dai
fagotti e poi attorno a quel tema comincia a montare la furia prorompente della sagra.
Stravinskij percepisce la sua sagra sia come un punto di arrivo che come punto di non ritorno che
impone una svolta stilistica e creativa. Dunque dopo avere completato un’opera giovanile Le
rossignol che aveva iniziato nel 1908 durante il suo apprendistato con Corsacov.
Dopo aver rimesso mani su questa partitura incompiuta per concluderla, mentre in Europa esplode
la grande guerra, si trasferisce da Parigi in Svizzera e comincia a scrivere un tipo di musica
completamente diversa da prima, pur mantenendo il carattere tipicamente stravinschiano della sua
musica.
Per esempio, scompare la grande orchestra, S avverte da un punto di vista sonoro l’esigenza di
rifondare il proprio linguaggio compositivo da 0, da brani per un singolo strumento o comunque per
piccoli gruppi strumentali. Dunque la sua musica diventa più asciutta, più geometrica e tagliente.
Da questa somma di aggettivi, nasce l’idea di un accostamento possibile con il cubismo di Picasso,
si parla dunque di un periodo cubista. Breve, che coincide con gli anni della grande guerra, della
rivoluzione d’Ottobre.
S è in Svizzera, e questo soggiorno di trasforma nell’inizio di un lunghissimo esilio.
In un momento in cui i grandi teatri erano chiusi e S si trova ad affrontare della gravi difficoltà di
carattere economico, ha l’idea del teatro portatile, uno starno ed originale esperimento di teatro da
camera, con un attore, un piccolo gruppo strumentale con scene e costumi ridotti all’essenziale che
permetta di montare e smontare in una specie di carrozzone da circo.

L’opera è: Histoire du soldat, che racconta la storia di un soldato che torna dalla guerra, e incontra
sulla riva di un fiume un simpatico vecchietto con una retina per catturare le farfalle, questo lo
convince a vendergli il suo violino e poi si scoprirà che il violino era l’anima del soldato e il
vecchietto il diavolo. Senza saperlo il soldato ha venduto la sua anima al diavolo, poi riuscirà a
riconquistarla al gioco. E con quel violino, che è la sua anima ritrovata guarirà una principessa
malata suonando per lei un piccolo concerto. È costituito da 3 danze moderne: un tango un ratain e
un valzer. Soprattutto Il tango e il raitan sono nel 1918 molto moderni appartengono a quei nuovi
ritmi di danza che giungono dalle americhe.
Sono questi nuovi ritmi di danza che affluiscono dalle Americhe verso l’Europa che penetrano in
Europa attraverso la porta Parigi e sono molti i compositori colti di quell’epoca che si lasciano
sedurre dall’idea di rifare a modo loro un ritratto stilizzato di questi nuovi ritmi di danza.
Tra questi compositori c’è anche Stravinskij. Dopo la fine della grande guerra S, torna a Parigi,
dove nel frattempo un po alla volta la vita tende a tornare alla normalità, anzi c’è un gran desiderio
di dimenticare la guerra e quegli anni terribili. La società parigina reagisce alla guerra con un sorta
di nuova voglia di vivere, ma anche di divertirsi e cambiano molte cose. Per esempio nell’ambito
della musica si avverte l’esigenza di un ritorno all’ordine dopo che i primi anni del secolo erano
stati caratterizzati da intense novità rivoluzionari e scandali, dopo la grande guerra l’esigenza è
quella di ritornare ad una musica più tranquilla e ordinata, meno esuberante, complessa e
rivoluzionare. La gente vuole divertirsi.
Questa esigenza di un relativo ritorno al passato è un esigenza che viene percepita da molti
compositori tra cui S, che ancora una volta cambia abbastanza radicalmente la sua musica.
Il pubblico parigino aveva lasciato S al tempo della sagra, le opere del periodo cubista, a causa della
guerra non avevano avuto una vasta circolazione, erano rimaste circoscritte in un ambito ristretto.
Quando riprendono le attività e viene annunciato un nuovo balletto di S, che si intitola Pulcinella, e
che ha le scene e i costumi di Picasso, il pubblico immagina che S sia ancora quello del 1913.
Pulcinella è dunque lo spettacolo di danza con il quale S si ripropone al pubblico parigino dopo 6-7
anni di assenza in cui però nella sua vita e nella sua musica sono cambiate molte cose.
-Con questa opera S inaugura il periodo neoclassico. E' il più lungo dei suoi periodi creativi perché
comincia intorno agli anni 20 subito dopo la conclusione della grande guerra e termina all’inizio
degli anni 50, è dunque un periodo lungo 30 anni che vede S, prima a Parigi e dal 1939 negli Stati
uniti.
In S, l’esigenza di ritornare all’ordine, diventa il desiderio di guardare al passato e alla storia della
musica, facendola rivivere nelle proprie note.
Non a caso si è parlato soprattutto riguardo a Pulcinella di musica al quadrato. Ad un certo
momento S si imbatte nelle opere di Giovanni Battista Pergolesi, un compositore napoletano della
prima metà del 700, che era diventato famoso nel 1733 con un intermezzo buffo intitolato “la serva
padrona”.
Stravinskij, si innamora di queste musiche, della scuola napoletana del 700, e decide di rifarle
proprie. Allora prende le musiche di Pergolesi le trascrive e le rielabora.
Dunque musica al quadrato perché la musica base sarebbe la musica originale di Pergolesi.
Stravinskij, però fa una sorta di riflessione compositiva su quella musica e dunque è come se la
elevasse al quadrato. Come se decidesse di scrivere una musica a partire da una musica preesistente.

Un'altra immagine è quella che descrive questa fase di Stravinskij, nei termini di fossili e cristalli.
Ci sono delle pietre d’Ambra che hanno imprigionato al loro interno un insetto. L’idea è quella che
Stravinskij sceglie un fossile del passato della musica che lui ama, lo smaterializza e ci costruisce
intorno il cristallo della sua musica.
Quando questo cristallo è molto limpido il fossile che è all’interno è pienamente visibile, come nel
caso di Pulcinella. A volte però questo fossile è più opaco e dunque si percepisce meno il fossile e
più il cristallo. È un’idea suggestiva l’idea che la musica come un cristallo che cattura relitti del
passato.
E un po’ alla volta Stravinskij accumulerà un po’ di questi relitti del passato. Si approprierà infatti
delle opere e dello stile di Mozart, di Beethoven, di Verdi o di altri compositori molto remoti.
Molte composizioni del periodo neoclassiche sono caratterizzate da questa idea di ripensare e
rielaborare creativamente il passato. Come a costituire una sorta di museo della musica in cui
Stravinskij mette uno accanto all’altro i suoi oggetti amati.
Si può parlare di un fenomeno di stravischizzazione, nel senso in cui, Stravinskij si appropria delle
opere altrui e le rifà in modo suo. Noi percepiamo in modo più o meno esplicita l’opera di partenza
il suo stile, il suo linguaggio, ma percepiamo anche il tratto inconfondibile dello stile di Stravinski.
Nel mondo delle arti figurative Andy Warhol, attraverso delle operazioni, ha fatto per certi aspetti
delle cose simili. Gran parte delle sue operazioni sono basate sull’idea di rielaborare attraverso uno
stile e dei colori immediatamente riconoscibili delle immagini preesistenti. Per esempio, Marylin è
un’immagine della diva ritagliata da una rivista proiettata su tela e colorata alla Andy Warhol e
replicata centinaia di volte.
Noi riconosciamo subito il volto di Marylin, ma al tempo stesso non abbiamo dubbi sul fatto che
non è l’immagine originale, ma è l’immagine riletta da Warhol.
Così come ascoltando Pulcinella si percepisce che è un musica che sembra del 700, ma non lo è.
Ci sono dei dettagli che ci fanno capire che è un ripensamento su quella musica.
Warhol, ha fatto tantissime di queste valorizzazione, passando dal repertorio dei divi e degli oggetti
è passato alle opere del passato, per esempio l’ultima cena di Da Vinci.
Nel campo della musica il primo ad avere quest’idea è Stravinski, che comincia ad appropriarsi
delle musiche degli altri e a stravinschizzarle.
Stravinschizzazione: appropriazione di un oggetto musicale remoto che viene trasformato in un
pezzo di musica di Stravinski in cui però dentro c’è la musica dell’altro compositore.
Essendo molto lungo, le opere che Stravinski realizza durante il periodo neoclassico sono tante.
Inizia con Pulcinella, e termina nel 1951 con la carriera di un libertino. Una grande opera in 3 atti su
un libretto in lingua inglese con la quale Stravinski inaugura nel 1951 il primo festival di Venezia
dopo la seconda guerra mondiale.
Tra queste opere, cui ricordiamo in particolare, un gruppo di 4 opere su soggetto greco.
Cioè 4 opere in cui, in maniera molto evidente Stravinski si pone in relazione creativa con il mondo
della mitologia, dell’arte e della tragedia greca.
Dunque 3 opere liriche e un balletto, che in ordine di apparizione, sono:
-Oedipus rex, 1927, opera lirica, edito re;
-Apollon musagete, 1928, balletto, Apollo protettore delle muse;
-Persephone, 1933, opera lirica;
-Orpheus, 1947, opera lirica, Orfeo.
Queste 4 opere su soggetto greco, si dispiegano lungo un arco di tempo di 20 anni, come se
l’interesse di Stravinski per la cultura della Grecia antica fosse un interesse intermittente.
Sia “Edito re”, che “Persephone”, vedono Straviski al fianco di due grandi scrittori e autori:
-nel caso di Edito re: Jean Cocteua;
-nel caso di Persephone: Andrè Gide, ed è uno spettacolo teatrale scritto per Ida Rubnstein.
Edipo re: Stravinski e Cocteau, individuano nel tracciato drammaturgico dell’ edito re, di Sofocle,
non tutto il testo teatrale, ma solo alcune sequenze essenziali, per le quali Cocteau riscrive il testo
originale di Sofocle, pensando alle esigenze legate al fatto che questo testo non deve essere recitato,
ma cantano.
Per quanto riguarda la lingua Stravinski, sceglie il latino.
L’idea di Stravinski è che non si può raccontare un soggetto sublime come edipus rex, utilizzando
una lingua quotidiana o viva, ma una lingua pietrificata, che attribuisca al libretto un carattere
monumentale e lontano da qualsiasi banalità.
Edipus rex, per Stravinski, non deve essere uno spettacolo teatrale in senso normale, ma la
manifestazione di un rito arcaico in cui i cantanti parlano una lingua che non parla più nessuno. Lo
spettacolo comincia con l’arrivo sulla scena di un narratore con abiti moderni e nella lingua del
luogo in cui si sta svolgendo la rappresentazione. Il narratore entra in scena di tanto in tanto per
raccontare ciò che il pubblico vedrà.
Edipo, che ha risolto gli enigmi della sfinge, che è convinto di essere l’artefice del proprio destino è
in realtà vittima di una trappola che gli dei hanno concepito per lui prima ancora della sua nascita.
Questa trappola si chiude intorno a lui e lo distrugge.
Il narratore, dunque anticipa gli eventi, poi esce di scena, si accende il palcoscenico e c’è la
sequenza in cui c’è un episodio cantato in latino con gli attori fermi e il coro, poi riappare il
narratore che racconta il seguito dell’azione, segue un’altra scena musicale e così via.
Questi interventi parlati, è come se costruissero delle cornici intorno alle sequenze musicali.
Il libretto, è infatti un libretto plurilingue, perché la parte parlata è in una lingua moderna (dipende
dal luogo in cui si fa), mentre le parti cantate sono tutte in latino. I testi furono tradotti da uno dei
più importanti latinisti francese del tempo. (da qui il complesso di edipo, istinto del bambino a
liberarsi del padre per avere la madre tutta per se)
Il periodo neoclassico si conclude nel 1951 con “la carriera di un libertino” opera in 3 atti, su un
libretto in lingua inglese in cui il fossile trattato è il teatro mozartiano e con il quale Stravinskij
inaugura il primo festival di Venezia post seconda guerra mondiale.
Stravinskij nel 1951 pur avendo 70 anni, ha in serbo un ultimo radicale cambiamento compositivo
che lo avvicina al fronte della musica dodecafonica dalla quale si era sempre tenuto lontano.
Alla fine della sua carriera Stravinskij diventa dodecafonico. Si dedica molto alla musica sacra e
scrive per la città di Venezia i suoi ultimi due capolavori:
-il Canticum sacro, nel 1955, in onore di San Marco, un pezo scritto per essere eseguito nella
basilica di San Marco;
-Le lamentazioni del profeta Geremia.
Con gli anni le composizioni di Stravinskij diventano più brevi, ma non viene meno la sua vitalità,
continua infatti a viaggiare nel mondo per eseguire le sue musiche.
Stravinsi muore a New York nell’aprile del 1971. Essendo senza patria, decide di essere sepolto a
Venezia, nell’isola di San Michele, accanto a Dialeger.
Dimitri Sostacovic
Dimitri Sostacovic, è insieme con Sergei Prokof’ve, autore di Pierino e il lupo, il più importante
compositore russo della fase centrale del ventesimo secolo.
È di Pietroburgo, nasce nel 1906, fa parte di una generazione successiva a Stravinskij, se però
consideriamo l’enormità dei mutamenti storici, politici ed economici che scandiscono quell’epoca
storica in Russia, 20 anni sono tantissimi.
Nel 1917, Stravinskij è un artista adulto, ha 30 anni, questi primi anni della sua vita li ha vissuti nel
crepuscolo dell’impero zarista.
Quando esplode la rivoluzione d’Ottobre, Stravinskij è in Svizzera, questo avvenimento cambia la
sua vita, che si divide in prima della rivoluzione e dopo.
Per Sostacovic è diverso perché tutta la sua vita avviene durante i primi anni che seguono la
rivoluzione e la sua carriera si sviluppa in un sistema politico che è quello dell’Unione Sovietica, di
Lenin prima, e Stalin dopo.
Sotto certi aspetti è ancora di più, rispetto a Stravinskij, dentro il secolo breve e il mondo sovietico.
Inoltre, Sostacovic, a parte piccoli viaggi, ha sempre vissuto in unione sovietica.
Comincia a suonare il pianoforte, spinto dalla madre che fu la sua prima insegnante e mostrò fin da
subito un talento eccezionale nella disciplina pianistica. Poi studia al conservatorio di Pietroburgo
con Glazunov, un compositore che era l’allievo prediletto di Corsacov e che era stato anche il
maestro di Stravinskij.
Sostacovic da ragazzo rimane orfano di padre, questo gli impone di provvedere ai bisogni della sua
famiglia, comincia allora a lavorare nei cinema, in un epoca in cui si proiettava il cinema muto.
Narrazione cinematografica e musica sono intimamente legati fra loro. Non si può infatti
immaginare un gran film senza una colonna sonora. Fin dai tempi del cinema muto infatti, per
alleggerire il rumore della proiettore, ma soprattutto per dare più forza ai vari momenti, si accostò
fin da subito la musica al cinema muto. La musica si doveva fare dal vivo. Nei cinema più
importanti c’erano delle piccole orchestre che preparavano un repertorio da adattare ai vari film.
All’inizio non c’era l’idea che il compositore doveva scriveva una musica da esibirsi dal vivo con
quello specifico film, ma venivano usate delle musiche da repertorio, ovvero adeguate alle
immagini. Poteva dunque capitare di guardare film diversi con musiche già sentite.
Altri cinema avevano invece il pianista in sala che doveva essere dotato di forza fisica perché
rimaneva lì seduto per parecchie ore, doveva essere un grande improvvisatore, ovvero capace di
adattare la musica alle esigenze di narrazione visuale e poi doveva avere un grande repertorio di
pezzi da poter utilizzare.
Sostacovic da giovane era un pianista eccezionale con un vastissimo repertorio, per lui lavorare in
cinema fu un’esperienza importantissima, anche perché scoprì di avere una certa affinità con il
mondo del cinema. La composizione di colonne sonore rimase per lui infatti, anche in seguito un
mestiere di riserva. Quando le cose dal punto di vista economico andavano male, lui comunque
riusciva a trovare un ingaggio nel mondo del cinema. Tra le sue opere troviamo infatti 20-30
colonne sonore.
Il catalogo delle sue opere è vastissimo troviamo: qualche opera lirica, moltissima musica per
pianoforte, musica da camera, balletti , 14 sinfonie.
La sua vita è comunque segnata anche da momenti di depressione. Noi siamo a conoscenza della
biografia di Sostacovic, grazie al fatti che scriveva moltissime lettere. Attraverso queste lettere si
può infatti ricostruire in maniera molto dettagliata il pensiero, i sentimenti, la genesi delle opere e le
cose quotidiane della sua vita. Scriveva dunque musica e lettere.
Data la vastità della suo catalogo possiamo individuare del periodi, collegati fra loro e non divisi
nettamente.
-Si può infatti, immaginare una prima fase della carriera di Sostacovic che va dalla fine dei suoi
studi fino al 1936 circa che si può definire un periodo modernista, ovvero un periodo in cui il
giovane Sostacovic scrive una musica molto moderna, questo era anche un periodo storico in cui in
unione sovietica c’era l’idea che le grandi novità del campo della politica e della società dovessero
rispecchiarsi anche nelle arti. Veniva dunque privilegiato il nuovo rispetto al vecchio. Sostacovic è
protagonista di questa fase innovativa dell’unione sovietica e durante questo periodo modernista
scrive: le sue prime 4-5 sinfonie; le sue prime opere liriche, una delle quali si intitola il naso ed è
tratta da un racconto di Gogol; l’altra si intitola Lady Macbeth.
Lady Macbeth è un personaggio di Shakespeare, è la moglie cattiva che spinge Macbeth al
tradimento e al delitto per diventare sempre più potente, ma in questo modo in realtà lo spinge verso
la distruzione. Quest’opera è ambientata in Russia, è diversa dalla storia che racconta Shakespeare,
perché Sostacovic, ha l’idea che questa donna crudele è una figura che esiste da sempre e ovunque.
E quindi una Lady Macbeth può esistere anche in una provincia russa, il titolo completo dell’opera
è infatti Una lady Macbeth del distretto di Mcensk. È un’opera ambientata nella campagna russa in
cui non c’è una sorta di reincarnazione del personaggio originale. È una storia moderna e super
spinta e proprio per questo nella sua prima rappresentazione del 1934 ebbe un successo enorme.
Pur non essendoci mai stata ostilità da parte del governo nei confronti di quest’opera,
improvvisamente cambia tutto, perché è cambiato il clima politico in unione sovietica, a Lenin è
infatti subentrato Stalin, e lui ha un’idea completamente diversa di quello che può e deve essere il
presente ed il futuro del popolo. Stalin andava spesso al teatro e quando va a vedere quest’opera
rimane in silenzio. Il giorno dopo Sostacovic, nel giornale legge un articolo non firmato che si
chiama caos anziché musica. Gli articoli non firmati erano i più terribili perché indicavano
l’espressione di un pensiero comune, un pensiero dell’intero partito. Sembra che in quel caso,
alcune frasi siano state dettate proprio da Stalin.
Sostacovic terrorizzato per la sua vita rimane estromesso da tutto per un periodo.
Tra l’altro il 1936, è la vigilia della lunga fase storica definita “il grande terrore”.
La riabilitazione politica e dunque artistica di Sostacovic coincide con la seconda guerra mondiale.
Nel 1939, alla vigilia dell’invasione della Polonia, Hitler aveva stretto un patto segreto con Stalin, il
patto Molotov, che aveva come obiettivo quello di spartirsi la Polonia. Mentre Stalin è convinto che
Hitler sia un uomo d’onore, tra la notte del 21 e il 22 Giugno del 1941, Hitler lo aggredisce
all’improvviso senza dichiarazione di guerra scatenando l’operazione Barbarossa, e che alcuni
storici considerano una sorta di terza guerra mondiale non dichiarata, perché è un tipo di guerra
completamente diversa dalle precedenti. Perché non è una guerra di conquiste, ma di distruzione.
L’idea è quella di eliminare completamente la popolazione russa, trasformarla in una popolazione di
schiavi e annettere qualsiasi forma di risorsa.
Stalin rimane frastornato da questa notizia. Passano infatti, alcune ore prima che Molotov vada alla
radio e dia questo annuncio. L’unione sovietica essendo molto vasta, a saperlo era solo la
popolazione nella zona di frontiera, ovvero quelli che erano al confine con i nazisti, il resto
dell’unione sovietica ne era all’oscuro.

Era domenica 22 Giugno, e Sostacovic si stava recando allo stadio quando sentì il discorso di
Molotov alla radio, che annunciava la notizia dell’invasione da parte dei tedeschi.
L’attacco di Hitler aveva colto il paese di sorpresa e le truppe tedesche avanzavano rapidamente
verso l’interno. Entro la fine di Agosto avevano raggiunto i dintorni di Leningrado e cominciato
l’assedio della critta destinato a durare 900 ore, ovvero 3 anni.
Sostacovic espresse il desiderio di essere arruolato nell’esercito, ma dei problemi alla vista non
glielo consentirono. Si assunse allora dei compiti volontari lavorando con le squadre assegnate a
scavare le trincee per la difesa della città.
Il suo successivo arruolamento nelle squadre di pompieri al conservatorio di Leningrado fu usato a
scopo di propaganda. Sostacovic fu spinto dalle autorità ad usare il suo talento in modo diverso.
Sostacovic, direttamente coinvolto da questo momento storico comincia a scrivere un’opera
colossale, che prima pensa che possa avere orchestra e coro poi soltanto l’orchestra, che realizza
con grande intensità e che sarà la sua settima sinfonia intitolata Leningrado, è un’opera che scrive
nel 1941, il manoscritto viene microfilmato e portato in aereo fuori dalla città assediata.
L’opera viene eseguita in tutto il mondo. Negli stati uniti, sarà Arturo Toscanini a dirigerla. Diventa
un’opera simbolo dell’incredibile resistenza del popolo sovietico contro questa aggressione.
Sostacovic, che negli anni precedenti era caduto in disgrazia e viveva con la paura di essere
deportato diventa il compositore ufficiale del regime in quel momento di difficoltà.
Leningrado, è un brano musicale incredibile, di dimensione colossale, dura infatti un’ora e venti.
È come un grande monumento che in parte descrive la guerra, la vita prima della guerra, il
cordoglio delle innumerevoli vittime, la speranza e la fiducia nella certa vittoria finale.
È una delle sinfonie più importante del 900. La sinfonia comprende 4 movimenti:
-Il primo movimento inizia delineando attraverso la musica uno scenario sereno, interrotto dagli
invasori. Affiora un tema ossessivo, ovvero l’avanzata dell’esercito avversario, un esercito fatto di
una specie di marionette meccanizzate.
L’operazione Barbarossa è un’operazione militare, che segna l’inizio della fase più terribile
dell’aggressione nazista contro gli ebrei d’Europa, perché queste squadre d’azione cominciano ad
uccidere le persone non perché sono un potenziale pericolo, ma perché appartengono ad un
determinato segmento biologico che i nazisti hanno deciso di cancellare. Tutto questo in Europa non
era ancora cominciato, questo viene attuato nell’estremo est dell’Europa. Tra il 29 ed il 30
settembre del 1941 vengono fucilati e gettati in un enorme burrone 33 mila 771 ebrei.
Durante gli anni della guerra, Sostacovic con altri artisti sovietici importanti, vengono considerati
come un bene del popolo sovietico e vengono portanti in salvo. Sostacovic, viene dunque portato,
con un aereo militare, fuori dall’assedio e rifugiato in un luogo sicuro.
Sostacovic, trascorre dunque gli anni della seconda guerra mondiale in una sorta di esilio di stato.
A partire dal 1944, l’armata rossa comincia a respingere i nazisti, che prima si ritirano e poi
cominciano a scappare verso la Germania.
Lungo la strada, attraversando i territori dell’unione sovietica vedono che i nazisti avevano raso al
suolo tutto, quando arrivano in Polonia si imbattono nei campi di sterminio.
Queste notizie filtrano attraverso la stampa sovietica e l’opinione pubblica è traumatizzata da quello
che scopre, e anche Sostacovic, che traumatizzato dai lutti del proprio popolo e dai lutti del popolo
ebraico. Il tema delle evocazioni della shoa attraverso la musica, diventa uno dei temi intorno ai
quali ruotano alcune opere di Sostacovic, per esempio: il trio per violino, violoncello e pianoforte
scritto nel 1944, in cui alla fine c’è una danza macabra che riecheggia la musica popolare ebraica,
cioè la musica di un popolo che non esiste più.
Sostacovic continua a lavorare su questo tema della shoa, e nel secondo dopoguerra è indignato dal
fatto che l’orientamento del governo sovietico è quello di non attribuire al popolo ebraico una
specificità del lutto, ma parlare in termini generici dei lutti del popolo sovietico, 60 milioni di morti.
Per varie ragioni:
1. -Stalin voleva trasformare i tanti popoli dell’Unione sovietica in un unico popolo, quindi era
radicalmente nemico dei nazionalismi, anche al costo di privare quei popoli della propria
lingua, tradizioni e costumi.
2. -Inoltre, in unione sovietica troviamo un antisemitismo latente, in ucraina ci furono
moltissimi che accolsero i nazisti come liberatori.
Dopo la morte di Stalin, nel 1953 inizia una fase politica che si chiama disgelo, in cui l’unione
sovietica e gli stati uniti si arrendono all’idea che devono coesistere su uno stesso pianeta e
pensano di attenuare i toni della guerra fredda.
Iniziano degli scambi culturali tra le due popolazioni, ci sarà infatti il viaggio di Stravinskij.
Inoltre, la vita politica e cultura interna dell’unione sovietica è un po’ più libera.
Anche S. comincia a sentire l'esigenza del disgelo e vuole parlare della morte degli ebrei, allora
scrive una sinfonia “baby a” (1962/63), la sinfonia 13. c'è un grande coro maschile di voci russe che
cantano poesie, la prima “baby a”(racconta che non c'è alcun monumento che ricorda quelle 33.771
morti ebrei; l'autore dice di sentirsi in quel momento anche lui ebreo; si paragona anche ad Anna
Frank). Questa sinfonia viene per la prima volta rappresentata nel 63 in un clima di ostilità del
governo ma raggiunge un colossale successo. Racconta per la prima volta pubblicamente ciò che
tutti sanno ma che nessuno ha mai potuto dire: il martirio del popolo ebraico. Per il governo è
troppo, S. si è spinto troppo in là. Le sue rappresentazioni vengono sempre più ostacolate, fino a
quando l'opera esce di scena. E le incisioni discografiche scompaiono misteriosamente.
S. vive gli ultimi anni della sua vita in un clima oppressivo e divide la sua produzione tra opere
destinate alla rappresentazione in pubblico, che rispecchiano le indicazioni del governo, e opere
segrete che chiama “ per il cassetto” alle quali affida la sua voce più personale, i suoi stati d'animo
più segreti, in contrasto evidente con il realismo socialismo. S. è un artista di regime e un artista
dissidente, al contempo. I suoi ultimi quartetti sono una specie di diario segreto, che tiene per se
stesso, immaginando o sperando che in futuro possano raggiungere un pubblico più ampio. S. non
vivrà la fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, non vedrà la fine del secondo breve
all'interno del quale ha vissuto la sua vita. Muore nel 1965, 4 anni dopo Stravinksij.
Dimitri Sostacovic
Dimitri Sostacovic, è insieme con Sergei Prokof’ve, autore di Pierino e il lupo, il più importante
compositore russo della fase centrale del ventesimo secolo.
È di Pietroburgo, nasce nel 1906, fa parte di una generazione successiva a Stravinskij, se però
consideriamo l’enormità dei mutamenti storici, politici ed economici che scandiscono quell’epoca
storica in Russia, 20 anni sono tantissimi.
Nel 1917, Stravinskij è un artista adulto, ha 30 anni, questi primi anni della sua vita li ha vissuti nel
crepuscolo dell’impero zarista.
Quando esplode la rivoluzione d’Ottobre, Stravinskij è in Svizzera, questo avvenimento cambia la
sua vita, che si divide in prima della rivoluzione e dopo.
Per Sostacovic è diverso perché tutta la sua vita avviene durante i primi anni che seguono la
rivoluzione e la sua carriera si sviluppa in un sistema politico che è quello dell’Unione Sovietica, di
Lenin prima, e Stalin dopo.
Sotto certi aspetti è ancora di più, rispetto a Stravinskij, dentro il secolo breve e il mondo sovietico.
Inoltre, Sostacovic, a parte piccoli viaggi, ha sempre vissuto in unione sovietica.
Comincia a suonare il pianoforte, spinto dalla madre che fu la sua prima insegnante e mostrò fin da
subito un talento eccezionale nella disciplina pianistica. Poi studia al conservatorio di Pietroburgo
con Glazunov, un compositore che era l’allievo prediletto di Corsacov e che era stato anche il
maestro di Stravinskij.
Sostacovic da ragazzo rimane orfano di padre, questo gli impone di provvedere ai bisogni della sua
famiglia, comincia allora a lavorare nei cinema, in un epoca in cui si proiettava il cinema muto.
Narrazione cinematografica e musica sono intimamente legati fra loro. Non si può infatti
immaginare un gran film senza una colonna sonora.
Fin dai tempi del cinema muto infatti, per alleggerire il rumore della proiettore, ma soprattutto per
dare più forza ai vari momenti, si accostò fin da subito la musica al cinema muto.
La musica si doveva fare dal vivo. Nei cinema più importanti c’erano delle piccole orchestre che
preparavano un repertorio da adattare ai vari film. All’inizio non c’era l’idea che il compositore
doveva scriveva una musica da esibirsi dal vivo con quello specifico film, ma venivano usate delle
musiche da repertorio, ovvero adeguate alle immagini.
Poteva dunque capitare di guardare film diversi con musiche già sentite.
Altri cinema avevano invece il pianista in sala che doveva essere dotato di forza fisica perché
rimaneva lì seduto per parecchie ore, doveva essere un grande improvvisatore, ovvero capace di
adattare la musica alle esigenze di narrazione visuale e poi doveva avere un grande repertorio di
pezzi da poter utilizzare.
Sostacovic da giovane era un pianista eccezionale con un vastissimo repertorio, per lui lavorare in
cinema fu un’esperienza importantissima, anche perché scoprì di avere una certa affinità con il
mondo del cinema. La composizione di colonne sonore rimase per lui infatti, anche in seguito un
mestiere di riserva. Quando le cose dal punto di vista economico andavano male, lui comunque
riusciva a trovare un ingaggio nel mondo del cinema. Tra le sue opere troviamo infatti 20-30
colonne sonore.
Il catalogo delle sue opere è vastissimo troviamo: qualche opera lirica, moltissima musica per
pianoforte, musica da camera, balletti , 14 sinfonie.
La sua vita è comunque segnata anche da momenti di depressione.
Noi siamo a conoscenza della biografia di Sostacovic, grazie al fatti che scriveva moltissime lettere.
Attraverso queste lettere si può infatti ricostruire in maniera molto dettagliata il pensiero, i
sentimenti, la genesi delle opere e le cose quotidiane della sua vita.
Scriveva dunque musica e lettere.
Data la vastità della suo catalogo possiamo individuare del periodi, collegati fra loro e non divisi
nettamente.
-Si può infatti, immaginare una prima fase della carriera di Sostacovic che va dalla fine dei suoi
studi fino al 1936 circa che si può definire un periodo modernista, ovvero un periodo in cui il
giovane Sostacovic scrive una musica molto moderna, questo era anche un periodo storico in cui in
unione sovietica c’era l’idea che le grandi novità del campo della politica e della società dovessero
rispecchiarsi anche nelle arti. Veniva dunque privilegiato il nuovo rispetto al vecchio.
Sostacovic è protagonista di questa fase innovativa dell’unione sovietica e durante questo periodo
modernista scrive:
le sue prime 4-5 sinfonie;
le sue prime opere liriche, una delle quali si intitola il naso ed è tratta da un racconto di Gogol;
l’altra si intitola Lady Macbeth.
Lady Macbeth è un personaggio di Shakespeare, è la moglie cattiva che spinge Macbeth al
tradimento e al delitto per diventare sempre più potente, ma in questo modo in realtà lo spinge verso
la distruzione. Quest’opera è ambientata in Russia, è diversa dalla storia che racconta Shakespeare,
perché Sostacovic, ha l’idea che questa donna crudele è una figura che esiste da sempre e ovunque.
E quindi una Lady Macbeth può esistere anche in una provincia russa, il titolo completo dell’opera
è infatti Una lady Macbeth del distretto di Mcensk.
È un’opera ambientata nella campagna russa in cui non c’è una sorta di reincarnazione del
personaggio originale. È una storia moderna e super spinta e proprio per questo nella sua prima
rappresentazione del 1934 ebbe un successo enorme.
Pur non essendoci mai stata ostilità da parte del governo nei confronti di quest’opera,
improvvisamente cambia tutto, perché è cambiato il clima politico in unione sovietica, a Lenin è
infatti subentrato Stalin, e lui ha un’idea completamente diversa di quello che può e deve essere il
presente ed il futuro del popolo.
Stalin andava spesso al teatro e quando va a vedere quest’opera rimane in silenzio.
Il giorno dopo Sostacovic, nel giornale legge un articolo non firmato che si chiama caos anziché
musica. Gli articoli non firmati erano i più terribili perché indicavano l’espressione di un pensiero
comune, un pensiero dell’intero partito. Sembra che in quel caso, alcune frasi siano state dettate
proprio da Stalin.
Sostacovic terrorizzato per la sua vita rimane estromesso da tutto per un periodo.
Tra l’altro il 1936, è la vigilia della lunga fase storica definita “il grande terrore”.
La riabilitazione politica e dunque artistica di Sostacovic coincide con la seconda guerra mondiale.
Nel 1939, alla vigilia dell’invasione della Polonia, Hitler aveva stretto un patto segreto con Stalin, il
patto Molotov, che aveva come obiettivo quello di spartirsi la Polonia. Mentre Stalin è convinto che
Hitler sia un uomo d’onore, tra la notte del 21 e il 22 Giugno del 1941, Hitler lo aggredisce
all’improvviso senza dichiarazione di guerra scatenando l’operazione Barbarossa, e che alcuni
storici considerano una sorta di terza guerra mondiale non dichiarata, perché è un tipo di guerra
completamente diversa dalle precedenti. Perché non è una guerra di conquiste, ma di distruzione.
L’idea è quella di eliminare completamente la popolazione russa, trasformarla in una popolazione di
schiavi e annettere qualsiasi forma di risorsa.
Stalin rimane frastornato da questa notizia. Passano infatti, alcune ore prima che Molotov vada alla
radio e dia questo annuncio.
L’unione sovietica essendo molto vasta, a saperlo era solo la popolazione nella zona di frontiera,
ovvero quelli che erano al confine con i nazisti, il resto dell’unione sovietica ne era all’oscuro.
Era domenica 22 Giugno, e Sostacovic si stava recando allo stadio quando sentì il discorso di
Molotov alla radio, che annunciava la notizia dell’invasione da parte dei tedeschi.
L’attacco di Hitler aveva colto il paese di sorpresa e le truppe tedesche avanzavano rapidamente
verso l’interno. Entro la fine di Agosto avevano raggiunto i dintorni di Leningrado e cominciato
l’assedio della critta destinato a durare 900 ore, ovvero 3 anni.
Sostacovic espresse il desiderio di essere arruolato nell’esercito, ma dei problemi alla vista non
glielo consentirono. Si assunse allora dei compiti volontari lavorando con le squadre assegnate a
scavare le trincee per la difesa della città.
Il suo successivo arruolamento nelle squadre di pompieri al conservatorio di Leningrado fu usato a
scopo di propaganda. Sostacovic fu spinto dalle autorità ad usare il suo talento in modo diverso.
Sostacovic, direttamente coinvolto da questo momento storico comincia a scrivere un’opera
colossale, che prima pensa che possa avere orchestra e coro poi soltanto l’orchestra, che realizza
con grande intensità e che sarà la sua settima sinfonia intitolata Leningrado, è un’opera che
scrive nel 1941, il manoscritto viene microfilmato e portato in aereo fuori dalla città assediata.
L’opera viene eseguita in tutto il mondo. Negli stati uniti, sarà Arturo Toscanini a dirigerla. Diventa
un’opera simbolo dell’incredibile resistenza del popolo sovietico contro questa aggressione.
Sostacovic, che negli anni precedenti era caduto in disgrazia e viveva con la paura di essere
deportato diventa il compositore ufficiale del regime in quel momento di difficoltà.
Leningrado, è un brano musicale incredibile, di dimensione colossale, dura infatti un’ora e venti.
È come un grande monumento che in parte descrive la guerra, la vita prima della guerra, il
cordoglio delle innumerevoli vittime, la speranza e la fiducia nella certa vittoria finale.
È una delle sinfonie più importante del 900.
La sinfonia comprende 4 movimenti:
-Il primo movimento inizia delineando attraverso la musica uno scenario sereno, interrotto dagli
invasori. Affiora un tema ossessivo, ovvero l’avanzata dell’esercito avversario, un esercito fatto di
una specie di marionette meccanizzate.
L’operazione Barbarossa è un’operazione militare, che segna l’inizio della fase più terribile
dell’aggressione nazista contro gli ebrei d’Europa, perché queste squadre d’azione cominciano ad
uccidere le persone non perché sono un potenziale pericolo, ma perché appartengono ad un
determinato segmento biologico che i nazisti hanno deciso di cancellare.
Tutto questo in Europa non era ancora cominciato, questo viene attuato nell’estremo est
dell’Europa. Tra il 29 ed il 30 settembre del 1941 vengono fucilati e gettati in un enorme burrone 33
mila 771 ebrei.
Durante gli anni della guerra, Sostacovic con altri artisti sovietici importanti, vengono considerati
come un bene del popolo sovietico e vengono portanti in salvo. Sostacovic, viene dunque portato,
con un aereo militare, fuori dall’assedio e rifugiato in un luogo sicuro.
Sostacovic, trascorre dunque gli anni della seconda guerra mondiale in una sorta di esilio di stato.
A partire dal 1944, l’armata rossa comincia a respingere i nazisti, che prima si ritirano e poi
cominciano a scappare verso la Germania.
Lungo la strada, attraversando i territori dell’unione sovietica vedono che i nazisti avevano raso al
suolo tutto, quando arrivano in Polonia si imbattono nei campi di sterminio.
Queste notizie filtrano attraverso la stampa sovietica e l’opinione pubblica è traumatizzata da quello
che scopre, e anche Sostacovic, che traumatizzato dai lutti del proprio popolo e dai lutti del popolo
ebraico. Il tema delle evocazioni della shoa attraverso la musica, diventa uno dei temi intorno ai
quali ruotano alcune opere di Sostacovic, per esempio:
-il trio per violino, violoncello e pianoforte scritto nel 1944, in cui alla fine c’è una danza macabra
che riecheggia la musica popolare ebraica, cioè la musica di un popolo che non esiste più.
Sostacovic continua a lavorare su questo tema della shoa, e nel secondo dopoguerra è indignato dal
fatto che l’orientamento del governo sovietico è quello di non attribuire al popolo ebraico una
specificità del lutto, ma parlare in termini generici dei lutti del popolo sovietico, 60 milioni di morti.
Per varie ragioni:
-Stalin voleva trasformare i tanti popoli dell’Unione sovietica in un unico popolo, quindi era
radicalmente nemico dei nazionalismi, anche al costo di privare quei popoli della propria lingua,
tradizioni e costumi.
-Inoltre, in unione sovietica troviamo un antisemitismo latente, in ucraina ci furono moltissimi che
accolsero i nazisti come liberatori.
Dopo la morte di Stalin, nel 1953 inizia una fase politica che si chiama disgelo, in cui l’unione
sovietica e gli stati uniti si arrendono all’idea che devono coesistere su uno stesso pianeta e
pensano di attenuare i toni della guerra fredda.
Iniziano degli scambi culturali tra le due popolazioni, ci sarà infatti il viaggio di Stravinskij.
Inoltre, la vita politica e cultura interna dell’unione sovietica è un po’ più libera.
Anche S. comincia a sentire l'esigenza del disgelo e vuole parlare della morte degli ebrei, allora
scrive una sinfonia “baby a” (1962/63), la sinfonia 13. c'è un grande coro maschile di voci russe che
cantano poesie, la prima “baby a”(racconta che non c'è alcun monumento che ricorda quelle 33.771
morti ebrei; l'autore dice di sentirsi in quel momento anche lui ebreo; si paragona anche ad Anna
Frank). Questa sinfonia viene per la prima volta rappresentata nel 63 in un clima di ostilità del
governo ma raggiunge un colossale successo. Racconta per la prima volta pubblicamente ciò che
tutti sanno ma che nessuno ha mai potuto dire: il martirio del popolo ebraico. Per il governo è
troppo, S. si è spinto troppo in là. Le sue rappresentazioni vengono sempre più ostacolate, fino a
quando l'opera esce di scena. E le incisioni discografiche scompaiono misteriosamente.
S. vive gli ultimi anni della sua vita in un clima oppressivo e divide la sua produzione tra opere
destinate alla rappresentazione in pubblico, che rispecchiano le indicazioni del governo, e opere
segrete che chiama “ per il cassetto” alle quali affida la sua voce più personale, i suoi stati d'animo
più segreti, in contrasto evidente con il realismo socialismo. S. è un artista di regime e un artista
dissidente, al contempo. I suoi ultimi quartetti sono una specie di diario segreto, che tiene per se
stesso, immaginando o sperando che in futuro possano raggiungere un pubblico più ampio. S. non
vivrà la fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, non vedrà la fine del secondo breve
all'interno del quale ha vissuto la sua vita. Muore nel 1965, 4 anni dopo Stravinksij.

STRAUSS
Strauss, compositore tedesco nato a Monaco di Baviera nel 1864. In un epoca in cui la Germania
come entità politica di fatto non esisteva ancora.
La storia politica della Germania è infatti simile a quella dell’Italia, sono infatti la Germania e l’Italia
due paesi che raggiungono l’unità nazionale relativamente tardi.
L’unità nazionale italiana risale al 1860 con Roma capitale nel 1870; quella tedesca risale al 1870.
Dunque in senso stretto Strauss quando nasce appartiene al vasto orizzonte della cultura tedesca
però è un suddito del regno di Baviera.
Quando nasce nel 1864, sul trono del regno di Baviera, c’è un personaggio molto particolare, che si
chiama Ludwig II di Baviera, che passa alla storia per il fatto di non essersi mai occupato di quelle
cose che catalizzano l’attenzione degli uomini di governo, come la politica, l’economia, l’esercito.
Ma la sua attenzione, un po’ maniacale, era dedicata alla musica, ed in particolare alla musica di
Wagner. Il suo sogno era infatti quello di convincere Richard Wagner a trasferirsi a Monaco e
trasformare Monaco in una sorta di capitale mondiale del wagnerismo. Ciò gli riesce.
Infatti, proprio nel 1864, Wagner è a Monaco ed è il momento in cui risuonano a Monaco alcuni
dei suoi grandi capolavori, come Tristano e Isotta; I maestri cantori di Norimberga; Le prime
giornate dell’anello del Nibelungo.
Ludwig II di Baviera, si lascerà convincere a costruire per Wagner un teatro molto particolare
anche dal punto di vista dell’architettura, esclusivamente dedicato ad accogliere le sue opere.
È dunque un teatro unico al mondo, poiché è l’unico teatro in cui risuona la musica di un solo
compositore, il quale considerava la propria produzione incompleta se non avesse avuto anche un
luogo ideale in cui realizzarsi.
Ludwig II finanzia questo progetto, contro il punto di vista del governo, della corte ed in parte
anche del popolo. È una tappa lungo un percorso destinato ad essere tragico perché un po’ alla
volta Ludwig scivola nella follia. Viene rinchiuso in manicomio ed infine suicida e omicida del suo
medico che trascinerà nelle acque con sé.
Ciò è interessante perché, non solo dal punto di vista storico Strauss nasce a Monaco nel
momento in cui Monaco è la capitale del wagnerismo mondiale, ma anche perché il padre di
Strauss era un musicista molto famoso ed apprezzato.
Era il solista di corno dell’orchestra di corte di Monaco. E dunque, suonava in quell’orchestra che
proprio in quegli anni suonava per la prima volta al mondo alcuni tra i grandi capolavori di
Wagner.
La madre di Richard Strauss, era l’ereditiera di una piccola industria di birra.
Il fatto che suo padre fosse un musicista stimato, gioca un ruolo non marginale, nella vita del
piccolo Strauss, perché lui è una sorta di bambino prodigio, però è uno di quei bambini prodigio
che vengono subito riconosciuti come tali e crescono in un ambiente perfetto per sviluppare le
proprie potenzialità, tanto che quando comincia a scrivere i primi pezzi, è facile per il padre riunire
la domenica pomeriggio i suoi colleghi dell’orchestra in casa e far sentire al figli o quello che ha
composto. Cosa che per un compositore ha un’importanza enorme perché, anche se si può
immaginare l’effetto, il contatto diretto con la musica tramite l’ascolto è ciò che per un
compositore fa la differenza (un po’come Puccini che seguiva le produzioni delle sue opere per gli
aggiustamenti), in quanto ciò gli permetteva di apporre gli ultimi ritocchi (senza fine poiché era un
incontentabile patologico).
Strauss inoltre, non appartiene alla categoria degli artisti con la testa fra le nuvole, ma è una
persona molto meticolosa, razionale e pianificatrice.
Dunque avendone l’occasione comincia la sua carriera non come compositore, ma come direttore
d’orchestra. Anche qui, entra in contatto con direttori d’orchestra molto importanti che lo
prendono come assistente. E piano piano comincia una carriera di direttore d’orchestra. Si intende
di repertorio tradizionale, dirige Beethoven, Mozart, Schubert.. però a volte dirige anche la sua
musica. Perché per un direttore artistico, mettere in programma un pezzo nuovo di un
compositore che nessuno conosce è sempre importante. Però il fatto che ci sia il compositore che
è anche il direttore d’orchestra che all’interno di un repertorio classico mette uno o due pezzi suoi,
attira l’interesse del pubblico.
All’inizio della sua carriera, anche se lui sogna l’opera lirica e i palcoscenici del teatro, concentra la
propria attenzione soprattutto sul genere sinfonico, perché è quel genere che gli consente di
mettere lui stesso in circolazione la sua musica insieme con il repertorio tradizionale che viene
sempre più spesso invitato a dirigere.
Il catalogo delle opere di Strauss è vastissimo e vario, c’è la musica da camera, la musica sinfonica,
moltissima opera lirica, è da notare che nella prima fase della sua carriera, in cui tende ad
affermarsi come direttore d’orchestra, prevale la produzione sinfonica perché questa gli consente
un più facile accesso ai palcoscenici delle sale da concerto e dei teatri. Perché essenzialmente lui si
propone come direttore d’orchestra che fa il repertorio tradizionale e occasionalmente dirige
anche la sua stessa musica. E comincia così a diventare un compositore famoso in Europa.
Rispetto al modello della sinfonia classica (tipo Mozart e Beethoven) la generazione romantica dei
compositori nati intorno al 1810 che entrano in attività nel 1830-35, o si dimostrano molto
interessati rispetto alla forma sinfonica classica o avvertono l’esigenza di trasformarla in
qualcos’altro, in particolare Franz Liszt, grande pianista e compositore anche di musica sinfonica,
inventa il poema sinfonico, che è diverso dalla sinfonia. Perché la sinfonia è soltanto musica,
musica pura, che non ha specifici riferimenti extramusicali; invece il poema sinfonico rispecchia
l’ambizione tipica dell’epoca romantica di mettere le arti in relazione tra di loro.
Per cui il poema sinfonico è una composizione per orchestra che trae spunto da un elemento extra
musicale, che può essere un testo poetico, letterario, filosofico, un quadro, una statua, il
personaggio di un dramma teatrale. Uno dei suoi poemi sinfonici si intitola “Sinfonia Dante”, è
articolato in 3 movimenti che si intitolano: inferno purgatorio e paradiso.
Il poema sinfonico comunque, non è l’esplicazione sonora letterale del testo, ma è un evocazione
dei contenuti poetici, tramite la musica si esprime ciò che le parole non possono trasmettere.
Strauss non è attratto dal modello della sinfonia classica tradizionale, ma preferisce seguire questo
filone romantico, inaugurato da Liszt.
Da ragazzo compone, dunque un certo numero di poemi sinfonici.
Il primo si intitola “Aus Italien”in tedesco, dall’italia, in italiano.
Parliamo in un epoca in cui il viaggio in Italia, (Firenze, Venezia, Roma, Napoli, Pompei) costituiva
un momento fondamentale nella formazione di un giovane tedesco con una certa ambizione
culturale. Secondo i tedeschi infatti l’Italia per un giovane artista era una tappa formativa
fondamentale.
Quando il giovane Strauss intraprende questo viaggio in Italia, ha l’idea di fare un diario di viaggio
musicale e lo intitola appunto “Aus Italien”.
L’ultimo movimento di questo poema, è anche il movimento che descrive la parte conclusiva di
questo suo viaggio che sarebbe Napoli, la costiera Amalfitana, il Vesuvio.
I tedeschi impazziscono per il mare e per il sole.
Strauss ama Napoli, al punto da utilizzare come tema conduttore dell’ultimo movimento del suo
poema la famosa canzone napoletana Funiculì funiculà.
Che secondo lui era una sorta di simbolo della vitalità che scopre a Napoli.
Oltre a Aus Italien, Strauss, in questo periodo della sua carriera scrive una decina di poemi
sinfonici, alcuni titoli sono molto espliciti, troviamo:
-Don Giovanni;
-Macbeth;
-Morte e trasfigurazione: che è il tentativo di raccontare attraverso la musica gli ultimi istanti di
vita di un moribondo, e questo vedersi scorrere davanti gli occhi tutto un passato, e al contrario
vedere dinanzi a se una luce;
-I tiri burloni di Till Eulenspiegel;
-Così parlò Zarathustra, uno dei più famosi, ispirato all’omonima opera poetico-filosofica del
filosofo tedesco Nietzsche;
-Don Chisciotte;
-Vita d’eroe: una specie di autobiografia di Strauss da giovane che si ritrae come un eroe capace di
sconfiggere le forze avverse della gente che lo detesta;
-Sinfonia domestica;
-Sinfonia delle alpi.
Per la generazione di Strauss “Così parlò Zarathustra” è una specie di testo obbligatorio.
È come se ogni generazione tedesca abbia avuto la sua opera simbolo. Si può immaginare che:
l’opera simbolo della generazione romantica siano stati “i dolori del giovane Werther”;
l’opera simbolo della generazione del 1848-50 il libro di riferimento era “il mondo come volontà e
rappresentazione” di Schopenhauer; poi “Così parlò Zarathustra”; poi il “crepuscolo
dell’occidente” poi tragicamente il libro di riferimento diventa “Mein Kampf” di Hitler. A partire
dal momento in cui i tedeschi cominciano a leggere, amare e mettere in pratica questo libro,
entrano in una fase decisiva per la propria cultura.
Lo stile orchestrale di Strauss è caratterizzato da colori molto forti e intensi, con neri cupissimi e
rossi accesi. “Così parlò Zarathustra”, può essere considerato il suo pezzo simbolo. È un pezzo
famosissimo, molto utilizzato anche nel cinema. Soprattutto i primi minuti sono un colpo di genio.
In generale, l’attacco, di un film, di un romanzo, a volte determinato tutto il seguito. Questo
attacco di Così parlò Zarathustra cattura all’istante.
Succede che gli strumenti gravi dell’orchestra, (violoncelli e?) fanno per alcuni secondi una specie
di suono indistinto, di boato lungo e lontano, come se fosse una specie di linea dell’orizzonte
lontana dove non è ancora sorto il sole, e dunque non si capisce in che momento della giornata ci
si trova, ma si ha la percezione di un rumore sordo che viene dalle fondamenta, poi su questa
specie di scenario, palpitante, si istalla una specie di gesto eroico delle trombe che molto
rapidamente raggiunge un culmine di intensità, e poi ci sono dei ritocchi barbarici dei timpani, e
improvvisamente finisce tutto. Poi si ripete tutto però più lunga e dilatata, poi di nuovo più lunga
più dilatata più forte e poi comincia il pezzo. È una specie di nascita del mondo. L’idea che da una
specie di entità indistinta che non capisci se terra cielo, acqua, mare, notte o giorno esploda una
cosa da cui poi inizia tutto.
Una descrizione particolarmente efficace di Strauss (uomo /artista) e del modo in cui si relazionava
con la creazione artistica perviene da Stefano Swag, autore tedesco che fu suo collaboratore
brevemente intorno al 1933/1934, cioè all'inizio della presa del potere dei nazisti. Swag intitola la
biografia “il mondo di ieri” e dedica alcune pagine, molto interessanti, a Strauss. In particolare ci
racconta che Strauss non amava parlare di arte, di creazione ma considerava la musica il suo
lavoro allo stesso modo in cui può farlo un artigiano sapientissimo nel suo mestiere. Anche strauss
avrà questo approccio alla sua musica, e scrive Swag “questo lavorare è un singolare processo in
Strauss, nulla di demoniaco; (…) lavora in modo calmo e regolare”.
A volte la musica di Strauss esercita una forte effetto di passionalità, reazione emotiva, suscita il
risveglio dell'eros ma c'è anche un certo aspetto di freddezza nell'uomo di Strauss. Ci sarà poi il
riscontro di certe scelte particolari, ad esempio del suo rapporto con il nazismo. Noi stiamo ancora
parlando ancora del GIOVANE Strauss, che è interessato al genere del poema sinfonico.
La prima opera lirica di Strauss risale alla fine dell'800 “Guntran”, ambientazione medievale. Non
viene accolta con molto interesse perchè pubblico e critica hanno l impressione che si tratti di un
opera poco originale, dell'ombra wagneriana. Nell'anno preciso del 1900, anno in cui Puccini in
Italia aveva rappresentato Tosca, Strauss pubblica un opera in un solo atto intitolato “fogliers
nout” (intraducibile in italiano il titolo) un po' comica, che allude a una situazione un po' eroica.
Suscita un certo scalpore, ma nulla che si possa paragonare al successo che Puccini in quegli anni
ottiene. Strauss si rende conto di non essere più giovanissimo; altri autori a quell'età erano già
affermati. Lui ambisce ad un successo famoso, raggiungibile sono con l'opera lirica grazie ai teatri
(così come oggi per noi il successo massimo si può raggiungere attraverso la tv). Così come Puccini
è alla ricerca del “soggetto giusto”, del personaggio giusto che faccia nascere una musica capace di
“catturare” il pubblico. Non è semplice e per anni non trova ciò che cerca. Improvvisamente a
Berlino, vede un allestimento del dramma Salomen di Oscar Wilde. È una specie di testo
maledetto, che per il suo mettere in rapporto amore, potere, sesso e morte ha una specie aurea
maledetta. Lo stesso Wilde è un personaggio complesso, è stato a quel tempo arrestato per
omosessualità. Salomen viene da molti definito immorale ma ha un successo incredibile. Strauss
rimane folgorato da questo testo e la stessa sera decide di farne la versione operistica. Comincia a
scrivere, un atto unico (70 min circa). Vengono fatti certi tagli nel testo. La difficoltà è trovare il
teatro che permettesse a Strauss di rappresentare questa opera. Voleva rappresentarla al teatro
dell'opera di Vienna ma non gli venne permesso perchè era una città piena di valori morali, dove
vive l'imperatore, è una città religiosa. L'opera viene poi rappresentata in una città periferica ma
prestigiosa Dresda, nel 1905 cominciano le prove di questo spettacolo. È già, un po' come la Sagra
della Primavera di Stravinksij, nel frattempo che avvengono le prove i giornali scrivono, si crea “il
caso” che esplode con una forza incredibile perchè nonostante tutti quelli che non incoraggivano
la scelta di Strauss di lavorare su questa opera, Salomen sarà la sua opera con maggior successo. È
l'opera che lo lancia definitivamente come compositore di opere liriche. Si occuperà del teatro
musicale, dell'opera lirica. Salomen, in effetti, è un po' sconvolgente. In genere ciò che è
sconvolgente dipende dal contesto socio-culturale. Salomen invece ancora ora, a distanza di più di
un secolo, è sconvolgente. I temi fondamentali sono potere, sesso, morte. La vicenda è ambientata
in Palestina, al tempo del nuovo testamento ed è infatti la prima volta che nella tradizione appare
il personaggio di Salomen è nel vangelo di Matteo il versetto racconta la morte di San Giovanni
Battista. È un personaggio femminile omicida, inquietante intorno al quale torna una famiglia
terrificante: il padre di Salomen, Tetrarca (re) di Giudea, è stato assassinato dal fratello affinchè
quest'ultimo potesse perdere il potere. Sposa l'ex cognata, Erodiade (una donna senza freni) che
ha una figlia, Salomen. Quindi lei è nipote e figliastra di Erode. Lei diventa una bella adolescente
ed Erode comincia a guardarla con occhi diversi. L'opera si svolge in un solo luogo, in un solo atto,
in circa 70 min di opera. È il giorno del compleanno di Erode, c'è una festa dentro il palazzo ma noi
non vediamo perchè l'opera si svolge nel terrazzo del palazzo. Noi possiamo solo immaginare la
festa: gente che balla, suona, ubriaca. Il potere perde il senso del limite. Salomen sente sempre, in
mezzo a questo caos, lo sguardo di Erode e decide di uscire fuori, nel terrazzo. Nei sotterranei del
palazzo è rinchiuso, non sappiamo da quanto tempo, San Giovanni Battista. Lui ha accusato
pubblicamente la follia di questa famiglia. Erode non ha avuto il coraggio di ucciderlo, ma ha
deciso di rinchiuderlo per sempre nelle prigioni del terrazzo. Nel frattempo Salomen, passeggiando
di notte vicino al palazzo di Erode, sente la voce di San Giovanni Battista che viene dal sotterraneo
del palazzo e comanda ai soldati di tirarlo fuori perchè lo vuole vedere. I soldati lo prendono e
viene descritto in una condizione disumana: sporco, con insetti che gli ruotano attorno, vestiti
strappati ecc. Salomen lo trova bellissimo e chiede a San Giovanni B. di baciarla; lui la trova
orrenda dal momento che è l'incarnazione del vizio, del peccato, del male e chiede di essere
riportato nel suo carcere. Il Santo viene portato giù e Salomen rimane pensierosa dal momento
che venne rifiutata. A quel punto arriva Erode, ubriaco e chiede a Salomen di ballare per lui. Non si
sa se è già successo altre volte, si ipotizza. Lei si fa pregare e poi danza per lui solo quando lui le
promette di darle in cambio ciò che vuole. Vi è “la danza dei 7 veli”, una specie di poema sinfonico
dentro l'opera lirica e in un certo senso rappresenta una specie di teatro nel teatro perché tutti
quelli che sono sul palco scenico, si siedono per assistere allo spettacolo sensuale di Salomen che
dovrebbe concludere con la caduta dell'ultimo velo con Salomen nuda. Salomen, al termine della
danza, annuncia la sua richiesta: “voglio che mi si porti su un vassoio d'argento la testa di Battista”.
Erode rifiuta ma lei gli ricorda di aver giurato; al termine di questa lunga discussione Erode è
“obbligato” a realizzare la richiesta della ragazza. “Le sia dato ciò che desidera”. Il boia scende nei
sotterranei e risale con la testa del battista sul vassoio d'argento; salomen la prende tra le mani e
comincia a cantare una specie di aria di amore, di follia in cui dice “non hai voluto baciarmi e ora
sarò io a baciarti”. Gli altri personaggi escono di scena, si abbassano le luci ma la forte luce della
luna illumina Salomen che bacia la testa del Battista. A quel punto Erode comanda ai suoi soldati di
ucciderla. (Fa vedere la danza dei 7 veli).
Rispetto ai personaggi di Puccini, Salomen esprime una femminilità aggressiva, sconvolgente,
traumatica, omicida, intensamente sensuale. Sembra però anticipare Turandot. In Salomen vi è la
rappresentazione di un ambiente arcaico in cui il tema del bene e male sono stravolti: es. la
possibilità di uccidere un uomo pur compiacere una fanciulla. Per Strauss è una svolta colossale
nella sua carriera, prima che Salomen va in scena (Salomèn=opera francesce; Salomen=opera di
Wilde), Strauss incontra un uomo che gli propone di mettere in musica Electra di …. . questa è la
tendezza di far rivivere gli antifatti remoti di epoche barbariche. Strauss la realizza dopo Salomen.
Electra viene composta in un unico atto; anche questa opera racconta la storia di una famiglia
scellerata, pazzesca. Electra è la figlia di Agamennone, che in ritorno dalla guerra di Troia, viene
assassinato dalla moglie affinchè l'amante di lei possa prendere il trono. Electra viene rinchiusa nel
palazzo e le viene impedito qualsiasi forma di contatto sociale, in particolare con gli uomini perchè
non deve procreare alcun figlio che possa ambire a diventare successore al trono. Nella solitudine,
per il dolore di questo delitto efferato, Electra perde un po il senso della realtà e trascorre la sua
vita sperando nel ritorno del fratello Oreste, che dovrà vendicare la morte del padre. Molti
ritengono che non tornerà più, ma lui ritorna e subito lei arma la sua mano con l'arma con la quale
dovrà uccidere la madre per vendicare il padre. Anche la musica è terrificante. Però sembra che
Strauss sia rimasto ad un unico genere di opere: sembra che queste opere siano troppo simili.
Strauss lo percepisce e la successiva opera, rappresentata nel 1911, di nuovo con libretto di Hugo
von Hofmannsthal Strauss cambia genere. L'opera è “il cavaliere delle rose”. Non è più in un unico
atto ma è un opera in 3 atti, ambientata nella prima metà del 700 a Vienna. È una commedia, con
un finale un po' malinconica di quegli anni ricordati come età dell'oro. Segna una svolta radicale
della produzione di Strauss, che ormai si percepisce come autore classico e non più come giovane
autore. (fa sentire il terzetto finale).
Dopo Salomen diventa ciò che ha sempre desiderato essere: un autore con molto successo. Poco
tempo dopo, nella stessa città (Dresda che oggi è stata totalmente distrutta dalla 2 guerra
mondiale), Strauss presenta Electra, che segna l'inizio con la sua collaborazione con Hugo von
Hofmannsthal, drammaturgo viennese che rimarrà al suo fianco per un quarto del secolo e
assieme a lui Strauss comporrà i suoi più grandi successi. Electra presenta molte affinità con
Salomen: entrambe sono ambientati in violenti luoghi arcaici (Salomen in un luogo cristiano;
Electra nel periodo della guerra di Troia); entrambe raccontano le vicende di due famiglie
scellerate nelle quali si intrecciano voglia di potere, sesso, amore e morte; entrambe pongono al
centro delle opere una figura femminile sopra le righe, eccessiva, passionale e crudele, pronta a
tutto anche al delitto (S. pretende e ottiene la testa del Battista; Electra arma la mano del fratello
e lo spinge ad assassinare la madre x vendicare la morte del padre). Dal punto di vista musicale e
quindi dal punto di vista compositivo Salomen è un opera che rispetto alle opere dell'inzio del
secolo è un'opera moderna; Electra ancor di più: è più espressiva. Sembra che Strauss stia
diventando un compositore d'avanguardia, moderno: vedremo che in realtà non sarà così.
Nell'arco di tempo relativamente lungo che separano Electra e Il cavaliere della rosa matura una
radicale trasformazione del suo stile compositivo ed elabora una sua stagione neoclassica, in cui
prevalgono valori, stile espressivo e compositivo, che pur rimanendo molto personale, molto
straussiano, è diverso rispetto a quello violento di Salomen ed Electra. Il cavaliere della rosa è
un'opera diversa, soprattutto in merito alla struttura formale. Le due opere precedenti erano
composti in un unico atto, senza divisioni in atti, senza pause o interruzioni. Il cavaliere della rosa è
un'opera di grandi dimensioni che dal punto di vista formale ritorna alla tradizioni, è un opera
composta in 3 atti. È un opera in cui torna la luce. Electra e Salomen erano ambientata di notte, un
luogo oscuro. In quegli anni Freud cominciò a parlare dell'interpretazione dei sogni e rivelò che
ogni persona possiede una parte inconscia che potrebbe riemergere da un momento all'altro. Con
Electra e Salomen è come se Strauss volesse descrivere o far emergere gli elementi più nascosti
dell'uomo: volontà di potere a tutti i costi. Il cavaliere della rosa è un opera, al contrario, molto
luminosa, ambientata nella Vienna della prima metà del 700 e quindi nell'epoca d'oro, detta
epoca teresiana. È un opera galante, dei travestimenti con un finale un po' malinconica ma con un
lieto fine. La musica diventa molto più classica. Lui stesso si vede un autore molto più classico.
In sintesi questa opera narra la storia di una bella donna, il top della aristocrazia tedesca che si
chiama Maria Teresa (non è la vera imperatrice ma è come se fosse lo specchio di questa donna).
Lei ha un marito, di cui si parla ma non si vede, è molto assente. In questo tempo ha una storia con
Octavian, il così detto cavaliere della rosa. Maria Teresa è un soprano. Riprendendo un'antica
abitudine del teatro settecentesco Octavian, è un adolescente, è in realtà una donna, con voce
cupa, travestita da uomo, da cavaliere aristocratico. Il duetto d'amore è quindi un duetto tra due
donne. Questa consetudine rappresenta la tradizione settecentesca, in particolare un personaggio
di Mozart,le nozze di Figaro in cui uno dei personaggi , cherubino, è in realtà interpretato da una
donna. L'abitudine del teatro settecentesco era infatti: l'uomo adulto veniva rappresentato con la
voce del tenore, l'uomo anziano dal basso, il ragazzo o l'adolescente aveva la voce di un contratto,
quindi una donna travestita da uomo.
Quando l'opera comincia si capisce che M.Teresa ed Octavian hanno avuto una notte d'amore, ma
lei ha paura che lui potesse innamorarsi di qualche altra ragazza più giovane. Lui la riassicura ma in
realtà succede proprio questo: lui incontra una giovane ragazze, Sofì, di cui si innamora. Nasce
una storia di equivoci e travestimenti, fino a quando i due ragazzi si confessano l'amore e M.
Teresa sente il loro discorso. Siamo in un contesto diverso rispetto alla Sicilia di Cavalleria
Rusticana, quindi in qualche modo M. Teresa lascia che i due ragazzi vivano il loro giovane amore.
Con il cavaliere della rosa vi è primo caso in cui fanno il film dall'opera. È un film muto al quale
Strauss partecipa attraverso la colonna sonora. (1926/27). Non ebbe molto successo perchè venne
rappresentato in un periodo di transizione tra il cinema muto e il cinema sonoro.
(Fa vedere un pezzo del cavaliere della rosa).
Mentre sia Salomen ed Electra sono i ripensamenti teatrali di pezzi già esistenti, il Cavaliere della
Rosa, nasce in modo originale. Celebra il mito dell'età dell'oro in un epoca in cui (1911) ci si sta
incamminando verso il grande abisso della grande guerra mondiale, che ridisegna la mappa
geopolitica
dell'Europa e comporta il crollo dei grandi imperi. Appena tre anni dopo inizia la grande
guerra, a seguito della quale Vienna non è la capitale dell'impero multi-etnico, ma solo la capitale
della Repubblica Austriaca, che vive fino al 1938, cioè fino a quando viene annessa al Reich
tedesco dove fin dal 1933 domina Hitler. Strauss è curiosamente non partecipe, non interessato ai
cambiamenti politici. È concentrato sulla propria carriera.
Swag nella autobiografia “il mondo di ieri”, parla di una sorta di sacro egoismo di Strauss, parla di
una totale insensibilità del mondo politico che lo spinge anche a compiere azioni pericolose in un
certo senso. In quel periodo molti autori decidono di abbandonare la Germania per andare in
America. Strauss poteva farlo, ma compie una scelta diversa: si accosta ai nuovi signori; si incontrò
con Hitler e fu nominato presidente della camera musicale del nazismo. Strauss è convinto di
potersi consentire delle autonomie, delle scelte ma in realtà non è così e quindi ben presto il loro
rapporto entrerà in crisi ma ai nazisti fa comodo mantenere Strauss in Germania, per ricchezza
culturale. Strauss ha qualcosa da temere: suo figlio ha sposato una donna ebrea, i suoi nipoti per i
quali lui stravedeva, secondo le leggi di Norimberga, erano predestinati ad essere esclusi dalla
società. Strauss quindi infondo ha un motivo personale, familiare per mantenere i rapporti con il
nazismo. Al contempo in nazismo ha i suoi motivi per mantenere i legami con Strauss. Strauss
rimane in Germania per tutta la guerra e vede la distruzione della Germania stessa. Vede anche la
distruzione del teatro dell'opera di Vienna. Vive quindi il crollo del mondo al quale appartiene.
Vive quello che Swag definisce “il mondo di ieri”. Al tempo stesso avverte l'esigenza di non lasciare
in sospeso le sue produzioni e decide di scrivere la sua ultima opera lirica, Capriccio che andrà in
scena nel 1942. è ambientata nella Francia prima della Rivoluzione Francese. È incredibile che nel
pieno della guerra mondiale, Strauss scriva un opera galante, intellettuale ambientato in quel
preciso luogo. Per Strauss quel mondo remoto più civile rappresenta un mondo rifugio, nel quale
potersi rifugiare rispetto al mondo reale caotico e terribile in cui invece vive. Nel 45 scrive il suo
ultimo poema sinfonico, Le Metamorfosi. È un brano molto austero, una sorta di ricapitolazione
della propria esistenza. Rappresenta un vero e proprio cambiamento nello stile compositivo di
Strauss. È scritto per un'orchestra per soli archi, dunque per un'orchestra senza strumenti a fiato,
senza percussioni, una dimensioni timbrica molto severa. Sono datate ad aprile 1945, quindi
l'ultimo mese della Guerra. Vive in una villa sulle Alpi Bavaresi, acquistata grazie al successo di
Salomen e nonostante il fatto che vivesse in “solitudine” viene raggiunto dalle notizie della guerra.
Scrive sull'ultima pagina scrive “in memoria alla memoria” senza specificare ciò a cui si riferisce.
Parla in realtà di un mondo scomparso di cui si sente un ultimo sopravvissuto, muore infatti nel
1949. Si era dapprima rifugiato in Svizzera, perchè teme che la fine della guerra possa portargli
delle conseguenze gravi a livello personale, poi ritorna in Germania e venne sottoposto al processo
di de-nazificazione, un tribunale speciale americano che valuta il suo grado di intimità, contiguità
con il nazismo. Alla fine della sua vita, tra il 1948/1949 scrive 4 pezzi per voce femminile orchestra
che intitola “i 4 ultimi canti”. L'uso del termine “ultimo” ha un significato:
- autobiografico, nel senso che comprende, che essendo anziano, questa sarà la sua ultima
produzione;
-storico, è un cittadino del tardo-romanticismo che sta nonostante ciò dopo tutto: dopo la guerra,
dopo il Reich tedesco, dopo Auschwitz.
Questi 4 ultimi canti sono quindi ruotano intorno al tema dell'addio, della morte del cognato.
L'ultimo si intitola “la luce rossa del crepuscolo”, simbolo della fine della esperienza produttiva di
Strauss.
(Fa una riflessione generale su Vienna... e dice che oggi non è una città cruciale oggi anche se in
passato lo è stato. Periodo in cui da un lato era la capitale dell'impero austro ungarico, è la città
dell'imperatore; tra 800 e 900 è anche una città combattiva e inquieta nella quale vi sono molte
voci di dissenso, che contribuiscono a delineare il contesto della modernità. Fa riferimento a
diversi autori/pittori di quel tempo; parla anche di Freud che in quel tempo pubblica alcune opere
destinate in qualche modo a diventare cardini del pensiero moderno, della nostra concezione del
rapporto tra noi e il rapporto con gli altri. Ci sono certe rivoluzioni che rimangono circoscritte, es.
la teoria della relatività che, nonostante il fatto che sia reale e importante, non viene compresa da
tutti al contrario ad esempio della interpretazione dei sogni che invece è una teoria che anche oggi
riguarda tutti. Ci sembra, oggi, impossibile che possano esistere anni in cui Freud ancora non
esisteva. Eppure è così. In quegli anni vi è anche la figura di Kafka, che muore a Vienna. )
Dopo la morte di Hugo von Hofmannsthal, Strauss è alla ricerca di un nuovo collaboratore. Poi
troverà Stefan Swag, che era ebreo e morirà suicida.
GUSTAV MAHLER
Gustav Mahler nasce nel 1860 e in senso giuridico e legale è un suddito dell’impero austro-ungarico, ma
l’impero era una grande entità multietnica che abbracciava regioni, popoli, linguaggi, culture e religioni
molto diverse tra di loro. Tra l’altro questa caratteristica multietnica e culturale dell’impero austro-ungarico
se da un lato costituisce nella storia uno dei suoi principali elementi di ricchezza, dall’altro lato costituisce,
nella fase terminale della sua vicenda, il suo problema fondamentale ed infine irrisolvibile, perché di fatto
l’impero esploderà sotto la spinta dei nazionalismi, cioè di quelle regione e di quei popoli che non accettano
più l’idea di fare parte di un grande organismo politico sovranazionale, ma ambiscono a configurarsi ognuna
per se come nazione.
Non è un caso che la mano che uccide a Sarajevo l’erede al trono degli Asburgo, è la mano di un nazionalista
serbo cioè di un patriota dal loro punto di vista che si scaglia contro l’incarnazione di un potere recepito
come invasore, opprimente e che nega le culture dei singoli popoli specifici.
Dunque quando parliamo di una carta geopolitica dell’Europa che viene radicalmente ridisegnata dopo la
prima guerra mondiale, per quel che attiene agli extra territori dell’impero austroungarico ciò coincide con la
nascita di una serie di nazionalità: la Repubblica Ceca, la Polonia, l’Ungheria, Trieste all’Italia, gli stati
balcanici..cioè l’impero si frantuma in una serie di entità nazionali indipendenti, alcune delle quali, tra
l’altro, avranno una vita breve, circoscritta nell’arco di tempo che va tra la fine della prima guerra mondiale e
l’inizio della seconda.
Questa crisi dell’impero che si avvicina viene avvertita con anni di anticipo rispetto al momento vero e
proprio in cui l’impero esplode. Viene però avvertito da pochi, mentre la maggior parte lo nega. Vienna è
infatti la città in cui i valzer, i brindisi e le feste non si fermano mai.
È la città in cui vive l’imperatore che sembra eterno, ma è anche la città inquieta e battagliera in cui vivono
una serie di intellettuali e di artisti che percepiscono intorno a se questa crisi, che è anche una crisi
economica, sociale, degli alloggi, della disoccupazione.
Possiamo dunque dire che Vienna, nella fase conclusiva della sua storia, non è soltanto un valzer, ma è una
grande città che vive problematiche molto complesse.
Joseph Roth, nel romanzo “La marcia di Radetzky ” scritto molto dopo la fine dell’impero e che di quella
fine dell’impero è in qualche modo l’espressione letteraria per eccellenza, ha individuato l’immagine molto
intensa ed efficace dei mulini di morte che in qualche posto hanno già cominciato a muoversi e a macinare il
tempo degli ultimi mesi e anni, ma <sono pochi> aggiunge l’autore, <coloro che avevano un udito talmente
sottili da percepire questo concludersi del tempo.
Tra questi che percepivano intorno a se un orizzonte di catastrofe e di fine, c’era Gustav Mahler il quale
nasce nel 1860 in un piccolo centro al confine tra le regioni della Boemia e della Moravia, oggi la
Repubblica Ceca.
È un suddito della periferia dell’impero, è ebreo e nasce in una famiglia non particolarmente benestante.
A partire dal diciottesimo secolo il governo degli Asburgo aveva avviato una politica di graduale
liberalizzazione delle condizioni degli ebrei che sostanzialmente vivevano nell’impero senza particolari
vincoli, costrizioni o limitazioni dei loro diritti se non quelli che nascevano da una sorta di pregiudizio
sociale, sotterraneo, ma esistente, legati al fatto di essere ebrei in un impero fortemente caratterizzato in
senso religioso dal cattolicesimo.
Questa dimensione, tra virgolette, ebraica, è una dimensione che Mahler avverte con una intensità
particolare, più volte nel corso della sua vita, rifletterà su questo suo essere estraneo al mondo, guardato male
perché in realtà nessuno dimentica mai che è un ebreo.
Questa dimensione ebraica in qualche modo affiora di tanto in tanto anche nella sua musica, insieme a tante
altre cose che riguardano la sua infanzia. Nel senso che rispetto ad altri autori Mahler, ha una sorta di
singolare predisposizione verso la dimensione autobiografica nel comporre per cui la dimensione del ricordo
dell’infanzia è una dimensione che nella sua produzione compositiva ha un ruolo abbastanza particolare.
Lui viveva in campagna al confine tra la regione della Boemia e della Moravia, in una zona in cui non
c’erano grandi orchestre e grandi teatri, ma c’erano i gruppi ebraici di musica 22, c’erano le bande di paese
che suonavano ai matrimoni e ai funerali, le bande militari che suonavano nelle occasioni ufficiali, c’erano i
suonatori ambulanti e i suonatori d’organetto.
Tutti questi elementi in qualche modo estranei all’orizzonte della musica colta e accademica, e che invece
fanno parte del vissuto di Gustav Mahler, a volte affiorarono in maniera anche sorprendente e vistosa nelle
sue composizioni che sono piene di questi relitti, la cui presenza sarebbe difficile da spiegarsi se non con la
prospettiva autobiografica.
Ma la dimensione autobiografica del comporre maleriano non è legata soltanto ad elementi musicali, ma
anche ad elementi familiari che diventano elementi caratteriali.
Il padre di Gustav Mahler era il proprietario di una distilleria di liquori con annessa osteria, era un uomo
brillante e con ambizioni di cultura pur essendo di ceto sociale abbastanza modesto, però era anche un uomo
passionale ed incapace di frenarsi, alcolizzato.
La famiglia era difficile, una casa poco serena, anche per il susseguirsi di morti in famiglia.
Mahler era il secondo di 13 figli, di cui soltanto pochi sopravvivono.
Vive da più grande questa esperienza dei fratellini e delle sorelline che nascono e che muoiono in questo
clima familiare reso turbolento dai conflitti di carattere tra i genitori e da questa maniera un po’ incontrollata
di vivere del padre, dall’alcolismo.
Un’infanzia dunque complessa che in qualche modo determina certe scelte di vita del compositore da adulto.
Ha una risonanza nella sua musica, per esempio, Gustav Mahler, racconta che durante una scena di
particolare intensità di violenza e di scontro tra i suoi genitori, angosciato scappò di casa e andò a sedersi
(parliamo di un villaggio di 500 abitanti) al margine di una strada stravolto dentro di se e in quel momento
passava un suonatore ambulante con un organetto a manovella che suonava una particolare melodia popolare
tedesca molto famosa che però nel vissuto del compositore smarrisce il suo originario carattere spensierato e
leggero di musica che invita alla danza, e si lega all’idea della tragedia e della catastrofe e dunque questo
tema che poi riaffiora nelle sue composizioni sinfoniche in realtà è una sorta di illusione dell’allegria perché
nella simbologia interiore del compositore significa l’esatto contrario. Ovvero angoscia e catastrofe.
Allora spesso queste apparizioni sono da interpretare in maniera diversa da come sembrerebbe e comunque
caratterizzano in maniera abbastanza curiosa la musica fortemente autobiografica per certi aspetti di Gustav
Mahler.
Questa musica, di Gusta Mahler, per lo più il pubblico viennese la trovava un po’ incomprensibile e quindi la
sua carriera come compositore è per gran parte della sua vita, una carriera abbastanza travagliata, nel senso
che il pubblico non capisce, respinge, a volte anche detesta le sue composizioni per varie ragioni.
La carriera di Gustav Mahler è per certi aspetti simile a quella di Richard Strauss, in relazione al fatto che
entrambi entrano nel mondo della musica in prima luogo come direttori d’orchestra.
Anche Gustav Mahler, comincia come direttore d’orchestra e rivela un talento straordinario, diventa
nell’arco di pochi anni uno dei più famosi direttori d’orchestra europei e prima della fine del 19° secolo,
quindi fra i 30-40 anni, quindi giovane, viene nominato direttore musicale del teatro dell’opera di Vienna che
è uno dei 2-3 teatri più importanti d’Europa, è dunque un teatro di carriera enorme, soprattutto se si
considera la provincia, la povertà della famiglia e il fatto di essere ebreo, tutti questi sono ostacoli, una strada
in salita, con una pendenza che viene compensata da una forza di volontà sovraumana e ad un talento
straordinario.
Tra l’altro ad un certo momento di questo percorso Gustav Mahler, decide di convertirsi alla religione
cristiana, cosa che però non costituisce un’eccezione del suo comportamento, ma rientra in una sorta di
normalità di un certo tipo di ebrei della classe colta che da un certo punto di vista smarriscono un po’ il senso
del rapporto con il mondo religioso e culturale dal quale provengono e dell’altro lato sono ansiosi di essere
accettati nel contesto cristiano e dunque considerano la conversione come una sorta di passaporto verso i
traguardi di carriera.
Però è chiaro che il rapporto con la cultura ebraica è un rapporto che nel frattempo ha perso di intensità,
perché altrimenti non verrebbe in mente un passo così eclatante che invece era abbastanza frequente e
diffuso.
Così come erano diffusi nelle classi sociali più alte, sia in senso economico che culturale a Vienna, i
matrimoni misti tra ex ebrei e cristiani.
Vienna era una delle capitali dell’ebraismo europeo insieme con Praga, Budapest e Varsavia.
Ma era al tempo stesso la città, tra quelle appena citate, che vantava il maggior numero di conversioni al
cristianesimo, cioè in fondo gli ebrei viennesi di una certa classe sociale tendevano ad assumere un
atteggiamento culturale di carattere un po’ vario, nel senso che avevano perso il senso di un rapporto
profondo con la religione ebraica, ma non diventavano cristiani ferventi, ma cristiani da un punto di vista
legale e burocratico.
Dunque, questo gli toglieva un po’ di ostacoli, però in fondo non erano particolarmente legati né ai valori
della religione ebraica, né a quelli della religione cristiana.
Gustav Mahler era un direttore d’orchestra ritenuto geniale e fantastico, anche se il suo carattere un
po’collerico, il suo perfezionismo estremo e la sua propensione a non accettare compromessi nel campo della
cultura e dell’arte, in qualche modo hanno reso sempre un po’ complessi i suoi rapporti con le orchestre, con
i teatri e con le maestranze.
Ciò non di meno era considerato un dio nella direzione dell’orchestra, cioè uno che con tutti gli svantaggi,
già elencati, prima di fare 40 anni è direttore di uno dei teatri più importanti del mondo.
La sua attività di compositore risente da un certo punto di vista dell’enorme impegno richiesto dalla sua
attività d’orchestra, nel senso che ha poco tempo per scrivere.
Sostanzialmente, scrive in estate, ovvero quando si ritira in luoghi solitari sulle alpi austriache, ama infatti la
natura. Dunque la natura e la solitudine contribuiscono in qualche modo a rigenerarlo da un punto di vista
emotivo e psicologico e fanno rinascere dentro di lui l’istinto del compositore.
Però in realtà le sue composizioni non sono tante, sia per questo motivo, ma anche per via dell’enorme e
singolarissima durata delle suo composizioni.
Guardando il catalogo delle opere di Gustav Mahler si nota che, mentre per esempio Strauss è attivo nel capo
del poema sinfonico, della musica da camera, concerti e moltissime opere liriche, Mahler non scrive durante
tutta la sua vita neanche un’opera lirica. Era un grandissimo direttore di opere liriche, ma lui stesso non ne ha
scritta neanche una. Non gli interessava la musica da camera, non era attratto dalla musica sacra, non gli
interessavano i poemi sinfonici.
Era attratto dalla sinfonia. Lui le chiama sinfonie, usa la stessa parola che usavano anche i maestri del
classicismo viennese, Mozart e Beethoven, però in realtà dietro questa parola che è sempre uguale, nel suo
caso si nascondo delle strutture compositive estremamente innovative.
È totalmente diversa come concezione, come struttura, come contenuti, come tutto.
Un altro aspetto che lo interessa è la musica v-locale, in tedesco si chiamano lieder che si traduce
letteralmente in canti, si intende in realtà una composizione l-vocale d’autore, da camera (voce più
pianoforte), oppure da concerto (voce più orchestra).
Mahler scrive alcune lieder da camera, scrive molti lieder da concerto, articolati per lo più in grandi cicli,
quindi non singoli pezzi, ma pezzi collegati tra di loro. Delineano una sorta di costellazione tematica o
emotiva.
Fondamentalmente, il catalogo delle opere di Gustav Mahler è costituito da:
-9 sinfonie, più l’abbozzo incompiuto di una decima. La numero 9 è una sorta di colonna di Ercole del
genere sinfonico. Questa percezione del numero 9 come numero limite nasce dal fatto che Beethoven scrisse
9 sinfonie e che per altri compositori è stato per lungo tempo impossibile superare questa soglia, che diventa
così una sorta di soglia magica.
La decima di Gustav Mahler rimane incompiuta alla sua morte nel 1911.
-una serie di cicli di lieder tra cui i più celebri sono:
“il ciclo dei canti dei bambini defunti” che ha una forte risonanza autobiografica in lui, che è un canto
funebre per bambini morti;
“il canto della terra” che è un grandissimo ciclo di lieder per tenore e orchestra su testi di antichi poeti cinesi
in traduzione tedesca, dunque un brano che in qualche modo rientra nell’orizzonte degli esotismi europei.
Il pubblico rimaneva un po’ perplesso e stupito di fronte alle opere di Gustav Mahler e spesso reagiva con
ostilità, cosa che per Mahler era estremamente angosciante e dolorosa perché per lui la direzione d’orchestra
e dei teatri era lavoro, ma la parte creativa della sua vita era data dalla composizione.
Soltanto in parte e con grande ritardo la sua musica viene accettata durante la sua vita.
I motivi per rifiutare la musica di Gustav Mahler sono tanti, innanzitutto diciamo che la parola sinfonia è un
po’ come la parola romanzo, cioè quando qualcuno dice romanzo fa nascere determinate aspettative, ovvero
che sia un libro di medie o di vaste dimensioni con un certo tipo di articolazione di struttura.
Lo stesso accade con il termine sinfonia, invece quando comincia una sinfonia di Gustav Mahler, gli scenari
che si aprono di fronte agli spettatori sono completamente diversi e in attesi e spesso il pubblico è un po’
ostile.
-Per esempio la durata delle sinfonie di Gustav Mahler, è una cosa che un po’ scoraggia il pubblico, perché
sono opere a volte di dimensioni veramente colossali.
La durata è infatti un elemento importante in un epoca in cui la musica si ascolta in una sala da concerto, in
quanto non è come la lettura di un romanzo che si può interrompere e riprendere in seguito, e dunque una
sinfonia che dura due ore e mezzo con una musica molto complessa, nasce un senso di ribellione da parte del
pubblico, perché è lungo e diversa dalle aspettative;
-Inoltre l’estrema complessità e fluidità dei percorsi musicali che sono lontanissimi della architetture della
convenzione tradizionale;
-un altro elemento incomprensibile al pubblico era l’esigenza di radunare sul palco delle orchestre
grandissime, di dimensioni mai viste prima;
La tendenza all’accrescimento degli organici orchestrali è una tendenza che caratterizza la musica europea da
Beethoven in poi. Mahler ha l’esigenza di radunare intorno a se, spesso era lui stesso a dirigere le sue
composizioni, degli organici colossali, a volte anche con l’aggiunta di voci, cosa che nell’ambito della
sinfonia, con l’eccezione della 9 di Beethoven, è abbastanza inconsueta.
In genere infatti la sinfonia è un pezzo di musica per orchestra e basta.
Invece non sempre, ma spesso Mahler avverte l’esigenza di utilizzare nelle sue sinfonie anche voci, cori di
bambini, cori nascosti dietro il palcoscenico.
In realtà questa massa orchestrale non è che venga continuamente utilizzata come massa, nel senso che, gli
strumenti non suonano sempre tutti insieme, non è una musica sempre in forte, ma ha momenti di forte, a
volte anche sconvolgenti però per lo più lui utilizza (come debussy) tutti questi strumenti per creare come
degli accostamenti di suoni e colori, e come la tavolozza di un pitture, lui ha bisogni tutti questi colori per
creare tutte queste sfumature.
Capita infatti che per fare per esempio il campo della terra senta l’esigenza di scritturare un mandolinista,
perché è previsto in partitura che ci sia un mandolino. Il mandolino non fa parte dell’organico orchestrale
classico, serve dunque scrittura un mandolinista.
Però scorre il tempo, ma questo non suona mai soltanto alla fine, forse 3-4 minuti prima che finisca tutta
questa cosa che dura quasi 2 ore, improvvisamente si sente come un leggero palpito il mandolino, che per
Mahler era indispensabile. Che sta là fermo per tutto il tempo, ma alla fine c’è un momento in cui che per lui,
se non ci fosse stato, sarebbe stata una catastrofe.
Quello che però probabilmente risultava più fastidioso al grande pubblico era la dimensione un po’ profetica
apocalittica della musica di Gustav Mahler che riletta con il senno del poi è una musica che rivela quell’udito
finissimo, è una musica che prefigura delle catastrofi, che parla delle catastrofi personali di Gustav Mahler,
ma in qualche modo prefigura le catastrofi di un mondo che invece preferisce i valzer e i brindisi.
Mahler diceva infatti della sua musica “il mio tempo verrà”.
Un grande direttore d’orchestra anche maleriano della seconda metà del 900, Leonard Bernstein, scrive non a
caso negli anni 60 “il suo tempo è venuto”, perché nel frattempo parla di Auschwitz, dell’omicidio Kennedy,
del razzismo negli Stati Uniti, della guerra fredda. Dopo tutto questo il pubblico riesce a capire di cosa ci
parlava la musica di Mahler all’inizio del secolo.
L’inizio del secolo, 1911 che poi è anche l’inizio del secolo breve, quindi si è creata l’immagine di Gustav
Mahler che è un compositore che prefigura gli scenari apocalittici del secolo più violento della storia
dell’umanità.
Mahler era abbastanza consapevole della problematicità spirituale interiore e psicologica in cui viveva e i
suoi successi come direttore d’orchestra, il fatto di avere sposato una delle ragazze più belle di Vienna Alma
Mahler Schindler, che era la figlia di un famoso paesaggista, non lo consola.
E la sua musica risulta in qualche modo specchio di questa sua problematicità.
Problematicità di cui Mahler era consapevole al punto che ad un tratto cercò di mettersi in contatto con
Freud. Però anche questo contatto con il dottor Freud, fu u contatto problematico perché intanto, si
scrivevano per telegramma attraverso cui più che altro Mahler cancellava gli appuntamenti. Si sono infatti
incontrati solo una volta mentre Freud era in vacanza ad Ostenda (olanda), e Mahler lo raggiunge lì e
trascorrono circa 3-4 ore passeggiando.
Si salutano formulando la speranza di rivedersi, ma questo non accadrà mai.
Freud ritornerà anni dopo su questo incontro, importante anche per lui, e scriverà che Gustav Mahler gli
sembra incredibilmente dotato per stabilire un rapporto psicologico profondo, ma che al tempo stesso durante
quelle conversazioni non affiorò alcun sintomo indicativo.
Freud afferma che era un po’ come scavare una misteriosa struttura, qualcosa difficile da comprendere e che
avrebbe richiesto molto più tempo, che non c’è stato anche perché Gustav Mahler muore giovanissimo, quasi
all’improvviso nel 1911, dopo essersi trasferito a New York dove trascorre gli ultimi anni della sua vita
perché viene a chiamato a dirigere l’orchestra filarmonica di New York.
È un periodo in cui gli Stati Uniti avvertono l’esigenza di sviluppare una propria vita culturale, tendono
dunque di invitare i grandi nomi della cultura europea in America e i particolare più o meno nello stesso
periodo in cui Puccini presenta al Metropolitan la sua “fanciulla del west”, a New York c’è anche Gustav
Mahler.
Ritornerà in Europa poco prima di morire. Morirà a Vienna nel 1911.
Tra i suoi appassionati c’era anche Arnold Schonberg che dipinge un celebre quadro, di fantasia, sulla
sepoltura di Gustav Mahler al quale dedica la sua opera teorica più importante il “manuale di armonia”.
È immaginabile suddividere il catalogo delle opere di Gustav Mahler in blocchi, per cui abbiamo: --le prime
quattro sinfonie scritte durante gli ultimi anni del 19° secolo;
-un gruppo di 4 grandi composizioni con “il canto dei bambini defunti” e le sinfonie n° 6-7-8 brani scritti nei
primi anni del 900;
-le ultime opere che costituiscono quella che viene definita trilogia della morte e che sarebbero: “il canto
della terra”, la nona sinfonia e il frammento incompiuto della decima.
La quinta sta un po’ da sola è la prima composizione di Gustav Mahler ad essere iniziata nel nuovo secolo ed
è un po’ un pezzo sparti acque, che sta a metà tra la sua produzione precedente prefigurando al tempo stesso
novità della sua produzione successiva. È il brano più noto, sia per le sue dimensioni relativamente
contenute, dura soltanto 70 minuti, sia per la presenza di un brano “Adagietto” che un brano molto lento,
lirico, intenso, appassionato e struggente, divenuto celebre anche in quei segmenti di pubblico che non
frequenta le sale da concerto e che non conoscono Mahler.
(Fa vedere un concerto in cui Leonard Bernstein che dirige il primo movimento della quinta sinfonia e poi
l’adagietto)
Il primo movimento è una marcia funebre. Un pezzo molto particolare con toni molto accessi e atmosfere
musicali molto cangianti tra di loro che si può comprendere solo se pensiamo alla logica delle libere
associazioni, ovvero quelle cose che determinano gli sviluppi imprevedibili del paziente che parla con il
proprio analista. Non c’è una logica normale, ma una consequenzialità sommersa in cui le cose si associano
liberamente tra di loro secondo una logica che sfugge per lo più a chi parla, ma che viene colta dall’analista
che ascolta. Sembrano dunque sviluppi disparati, ma che seguono una loro logica nascosta e sommersa.
È uno di quei movimenti maleriano in cui è particolarmente evidente l’idea di mettere insieme cose
diversissime tra di loro.
Mahler diceva che una sinfonia deve essere uno specchio del mondo, ma il mondo non è soltanto bellezza e
nobiltà, ma anche bruttezza, sfortuna e volgarità.
Quindi una sinfonia che ambisce ad essere un mondo non può rifugiarsi dentro il castello della bellezza, ma
deve essere in grado di accogliere anche il brutto. Ecco perché si alternano in questo pezzo musiche che
sembrano suonate da bande di paese, che Mahler da piccolo sentiva in paese nei matrimoni e nei funerali,
momenti che sembrano esplosioni incomprensibili e poi momenti di grande intensità come slanci verso ideali
meravigliosi che poi improvvisamente precipitano nell’abisso tutto in una sequenza un po’ difficile da
ricondurre ad uno schema architettonico coerente. Bisogna dunque in qualche modo abbandonarsi a questo
flusso.
In effetti il simbolismo maleriano è molto flusso, fiume.
Qualcuno ha suggerito l’idea che, quando nasce la sinfonia, ai tempi di Mozart, è come un fiume che nasce
nella alte vette delle alpi, limpido cristallino e scorrendo si ingrandisce e le acque diventano torbide
trascinando con se relitti che affiorano di tanto in tanto e si alternano a cose bellissime. Potremmo dire che è
una logica post-freudiana delle libere associazioni.
Questa quinta sinfonia è suddivisa in 3 parti, cosa abbastanza inconsueta, come se fossero i 3 grandi capitoli
di una narrazione romanzesca.
-la prima parte è costituita dai primi due grandi movimenti;
-la seconda parte dal terzo;
-la terza parte dai due movimenti conclusivi.
L’inizio della terza parte coincide con il quarto movimento ciò Adagetto.
(il prof. considera) Il primo e il quarto movimento come due movimenti nettamente contrapposti dal punti
vista emotivo espressivo, perché sono come due volti dello stesso compositore.
Il primo movimento è un pezzo esuberante dai colori luminosi e accesi in cui si alternano drammaticamente
scenari e gesti espressivi diversi, mentre l’Adagetto è come lo studio di un unico stato d’animo, non ci sono
alternanze di alcun tipo. È uno stato d’animo nostalgico come di chi si accosta all’idea dell’addio. E per
rendere questo stato d’animo così crepuscolare e sospeso Mahler avverte l’esigenza di far tacere una gran
parte dell’orchestra, cioè rinuncia a tutti gli strumenti a fiato (legni, ottoni), alle percussioni, dunque ai colori
accesi dell’orchestra per far suonare soltanto gli archi (violini, viole, violoncelli e contrabbassi) più l’arpa.
L’arpa di norma ha un ruolo a volte un po’ marginale, invece nella musica di Mahler ha un ruolo molto
importante, in lontananza.
Questo brano è rafforzato da una scelta espressiva del regista Luchino Visconti che ha utilizzato questo
Adagetto come elemento portante della colonna sonora del film “Morte a Venezia”.
Film più malinconico del dissolvimento della vita dell’impero che si possa immaginare. In cui risuona
incessantemente questo Adagetto, a partire da questo film una parte del pubblico è legato a questa visione di
Venezia un po’ malinconica.
In netta contrapposizione con le tinte accese e i gesti drammatici del primo movimento---il prof fa ascoltare
una parte della tragedia, immerso nella luce di un sole che tramonta lentamente è la dimensione espressiva
poetica ch caratterizza tutta la fase conclusiva dell’esperienza creativa di Gustav Mahler in cui questi Adagio
divengono immensi e si ha la percezione di un continuo ritorno sulla stato d’animo dell’addio. Questo addio
si conclude nel 1911, Guastav Mahler muore giovane per un problema cardiaco congenito lasciando
incompiuto l’abbozzo della sua decima sinfonia che doveva cominciare con un grandissimo adagio.
La sua vita e la sua carriera sono state abbastanza complessi e controversi, ma egli ha sempre potuto contare
non sull’appoggio, ma sull’ammirazione incondizionata di un gruppo di sostenitori che lo consideravano un
Dio e dei quali facevano parte Schonberg e i suoi allievi.
ARNOLD SCHONBERG
Arnold Schonberg è molto più giovane di Mahler, è nato a Vienna nel 1874, 14 anni dopo Mahler, un’altra
generazione. Anche Schonberg è ebreo, suo padre ha un piccolo negozio di pellame e di scarpe in un
quartiere ebraico di Vienna in un epoca in cui Vienna era una delle capitali dell’ebraismo europeo, con
Budapest e Varsavia, ma anche la città in cui era più diffusa la consuetudine della conversione al
cristianesimo e l’abitudine anche socialmente accettata ai matrimoni misti.
Anche Schonberg tra l’altro in un certo momento si converte alla religione cristiana.
Schonberg non ha un corso di studi regolari, è per molti aspetti un geniale autodidatta che ha come unico
maestro da giovane Alexander Zemlinsky, un compositore e direttore d’orchestra anche lui ebreo viennese,
che era anche il maestro di composizione di Alma Mahler, cioè la futura moglie di Gustav Mahler.
Zemlinsky è per un certo periodo il maestro di composizione di Arnold Schonberg, e diventerà in seguito suo
cognato, poiché la prima moglie di Schonberg, sarà la sorella di Zemlinsky.
Schonberg non appartiene ad una famiglia particolarmente adagiata e non avendo seguito un corso di studi
regolare trova un po’ difficile guadagnarsi da vivere come gli altri musicisti.
Quasi nessuno riusciva a vivere facendo solamente il compositore, ma per lo più quotidianamente facevano i
pianisti o direttori d’orchestra.
Schonberg non è un grande pianista, violinista o direttore d’orchestra, ma è un compositore molto originale.
Non avendo seguito un corso di studi regolari è automaticamente fuori dalle accademie, anche se non ci
entrerebbe a prescindere perché lui è troppo innovativo e particolare per il mondo accademico e inquadrato
del fine 800.
È dunque la sua, una carriera musicale che nasce all’insegna della difficoltà e che per un certo periodo è
costretto ad abbandonare del tutto perché suo padre muore quando lui è ancora giovane e lui si trova ad avere
la responsabilità della famiglia e trova un lavoro in banca che per lui è una prigione. Fino a quando ha
un’idea cruciale per il futuro della sua vita, perché gli rivela un talento che non sapeva di avere, cioè il
talento della didattica.
Ad un certo punto, Schonberg si accorge che un mestiere che potrebbe iniziare a fare nel mondo della musica
è quello dell’insegnante di composizione privato.
Pubblica degli annunci sul giornale in cui si propone come insegnante di composizione privato per giovani
allievi che vogliono imparare la musica moderna. Si riunisce così, accanto a lui, un primo gruppo di allievi
che sarà il primo passo della futura scuola musicale di Vienna.
Ciò che gli consentirà di mantenere la famiglia sarà dunque l’insegnamento, prima privato e inseguito
all’interno di istituzioni musicali o università.
Un insegnamento ai massimi livelli che diventa un fatto anche creativo, una componente importante
dell’esperienza creativa di questo compositore.
C’è una prima fase della sua attività di didatta a Vienna prima della guerra in cui tra l’altro entra in contatto
con due compositore destinati a diventare a loro volta due compositore importanti cioè: Anton Webern e
Alban Berg.
Durante la grande guerra tutto si ferma e persino Schonberg molto inadatto all’esercito viene chiamato a dare
il suo contributo agli inutili sforzi della patria, perché poi l’Austria perde l’impero e tutto cambia. C’è un
dopoguerra molto difficile sotto tutti i punti di vista.
In questo dopoguerra Schonberg riprende l’attività di insegnante e si crea intorno a lui un nuovo gruppo di
allievi del quale fa parte per esempio Victor Ullmann, un compositore ebreo viennese che rimane con lui
pochi mesi, ama cruciali per la sua vita, poi deciderà di trasferirsi a Praga in cui ha una vita molto difficile
che si conclude ad Auschwitz dove viene ucciso nell’ottobre 1944.
Tra le due guerre, quindi dopo essere stato maestro a Vienna del giovane Ullmann, Schonberg viene
chiamato alla cattedra di alta composizione dell’accademia di Berlino, che era nel pieno della repubblica di
Vaimar, e stava vivendo un momento inteso e che è attratta da tutto ciò che c’è di nuovo e moderno.
È la prima volta, tra le due guerre, che Schonberg mette piede in una grande istituzione e dunque si
trasferisce a Berlino.
Nel 1933, l’anno in cui con una fatidica fatale stretta di mano consegna i destini della Germania e
del mondo nelle mani del cancelliere Hitler, e le cose cominciano a cambiare in Germania e Schonberg sente
intorno a se un incremento enorme di ostilità razziale nei confronti degli ebrei, ecco che, prima ancora di
essere licenziato dall’insegnamento decide di dimettersi dall’accademia di Berlino e di trasferirsi con la
famiglia a Parigi.
A Parigi si compie un percorso spirituale importante. Già a partire dai primi anni dopo la grande guerra
Schonberg aveva avviato un graduale percorso di riavvicinamento alla cultura ebraica e si avvicina sempre
più all’ebraismo man mano che cresce e diviene più evidente intorno a lui l’ostilità contro gli ebrei. L’odio
per gli ebrei infatti non lo inventa Hitler. Hitler lo coglie intorno a se e lo trasforma in un punto essenziale
del programma politico e militare dello stato tedesco, ma c’era già nell’aria questa ostilità.
Quando Vienna era una città tollerante lui era laico, quando l’Europa comincia a montare questa ostilità, lui
per reazione tende di recuperare le sue origini e comincia a riavvicinarsi alla cultura ebraica, in particolare lo
attrae l’idea formulata da Teodor Herzl, grande protagonista della cultura ebraica di fine 800, il fondatore
del movimento sionista, cioè è la persona che comincia a dire agli ebrei austriaci e tedeschi, convertiti e non
di non dover adattarsi o assimilarsi al contesto cristiano, perché i cristiani non li avrebbero mai accettati. La
soluzione per lui non era dunque quella di sforzarsi per essere uguali agli altri, ma la soluzione era la nascita
di uno stato ebraico nella terra promessa di Palestina. Cioè Herzl è quello che ha l’idea che gli ebrei devono
smetterla di vivere in Europa, ma devono avere l’orgoglio di rivendicare le proprie origini e tornare in
Palestina, dove deve nascere una nazione degli ebrei. Schonberg diventa molto vicino alle posizioni di Herzl
man mano che sente crescere intorno a lui l’ostilità contro gli ebrei.
Quando in Germania prende il potere il nazismo e Schonberg intravede intorno a se il pericolo e si trasferisce
a Parigi dopo essersi licenziato dall’insegnamento si riconverte alla religione ebraica in una sinagoga di
Parigi vantando come padrino Marc Chagall il grande pittore ebreo russo.
A partire da quel momento Schonberg avverte se stesso non più come compositore austriaco o viennese, ma
come compositore ebreo. Crede che Parigi non sia abbastanza lontano da Berlino, decide quindi di trasferirsi
negli Stati Uniti.
Quando arriva a New York, il New York times pubblica un articolo “il mistero della musica moderna
arriva”. Lui era visto come l’incarnazione della modernità più estrema. E si immaginava che in America, che
è più avanti, sarebbe stato accolto. In realtà l’America, non sarà la sua terra promessa, ma un rifugio che gli
consentirà di salvarsi.
Negli Stati Uniti si stabilisce inizialmente a New York, insegnando a Boston e a New York. In seguito si
trasferisce in California a Los Angeles, dove insegna all’università della California e ricomincia la sua
attività di insegnante privato. Si crea dunque intorno a lui un nucleo di allievi americani all’università e a
casa sua. Alcuni di questi allievi, diventeranno a loro volta compositori importanti nel campo
dell’avanguardia e della musica da film.
Per la cronaca Bernard Herrmann che è l’autore delle colonne sonore di Alfred Hitchcock come psyco, è
stato allievo di Schonberg.
Schonberg non tornerà mai più in Europa, anche dopo la fine della seconda guerra mondiale rimarrà negli
Stati Uniti, dove muore a Los Angeles nel 1951.
Continuerà dagli Stati Uniti ad essere il protagonista di questa opposizione politica al nazismo, sarà molto
impegnato dal punto di vista politico e alcune delle sue composizioni avranno un contenuto fortemente
politico. Farà parte di quella comunità di geni in esilio a Los Angeles di cui in quegli stessi anni fa parte
anche Stravinskij.
I rapporti tra Schonberg e Stravinskij furono sempre tesi e i due evitarono per tutta la vita di incontrarsi,
limitandosi a parlare malissimo l’uno dell’altro nelle proprie cerchie di amici.
Il percorso compositivo di Schonberg si può suddividere in momenti o periodi.
Arnold Schonberg nasce a Vienna nel 1874 e muore a Los Angeles nel 1951 a guerra mondiale ormai
conclusa, ma senza aver mai più rimesso piede in Europa. Possiamo immaginare di suddividere i suoi
percorsi biografici e artistici in 3 periodi, non definiti rigidamente.
L'attività di Schonberg, che fa eseguire le sue produzioni in pubblico ha inizio nel 1899.
I tre periodi della sua fase produttiva sono infatti:
-fase giovanile: inizia nel 1899. Anno particolare, ultimo anno del 19° secolo.
È l'anno in cui presenta in pubblico “notte trasfigurata”, anno in cui Puccini ritocca e termina Tosca
(rappresentata nel 14/01/1900).
Notte trasfigurata è un sestetto d’archi, un pezzo di musica da camera che sviluppa l'ambizione di adattare
alla dimensione della musica da camera un aspetto tipico del poema sinfonico, ovvero una composizione
strumentale per orchestra che assume come spunto di partenza un pezzo extra-musicale (che può essere un
testo filosofico, quadro ecc).
Il punto di partenza di Schonberg per il suo sestetto per archi notte trasfigurata, è una poesia di Richard
Dehmel, che si intitola appunto “notte trasfigurata” e che fa parte della raccolta poetica intitolata “donna ed
mondo”.
Il tentativo di Schonberg è quello di realizzare un poema sinfonico da camera: cioè di creare un corto circuito
tra la tipica dimensione ispirativa del poema sinfonico che cerca le proprie origini al di là dei confini della
musica applicato alla dimensione più intima di un sestetto d’archi.
È dunque il paradosso di un poema sinfonico da camera.
Su questo paradosso Schonberg, tornerà qualche anno dopo con la “sinfonia da camera”, anche qui si crea un
corto circuito, perché la sinfonia per sua natura dovrebbe essere un pezzo per orchestra, ma lui ha come l'idea
di ricondurre una scrittura sinfonica di vasto respiro al più intimo intenso respiro musicale di un piccolo
gruppo di 13 solisti, indotti ad eseguire una musica di estrema difficoltà che a quel tempo veniva considerata
una musica utopica, ineseguibile.
Cosa che poi si dimostrò non essere così. Però è forte in Schonberg la tentazione di spingere la musica e i gli
interpreti di quella musica fino ai limiti possibili di quel tempo.
Possiamo quindi dire che durante questo periodo giovanile Schonberg si confronta con i modelli
Della tradizione tardo romantica, per esempio il poema sinfonico o la sinfonia. Tentando in qualche modo di
ricondurre l'ampio respiro sinfonico alla più circoscritta intensità di una scrittura da camera complessa.
In questo periodo giovanile, Schonberg scrive una musica tutto sommato oggi abbastanza “normale”, ma che
fu accolta a suo tempo con stupore, al limite dello scandalo.
Schonberg si costruisce l'immagine di un compositore innovativo, di controtendenza che non si considera
rivoluzionario, ma vede se stesso come il proseguitore di una tradizione che vede la musica come
l'espressione dell'interiorità umana, come linguaggio dei sentimenti, linguaggio non verbale che dice ciò che
le parole non riescono ad esprimere.
Schonberg parte da questo principio e si interroga tuttavia su quale sia la verità della condizione umana del
suo tempo: è una condizione di equilibrio tra l'individuo e la società? L’individuo vive in una condizione di
serenità o di oppressione? È costretto a rimuovere i propri desideri?
Nel quadro della inquietante Vienna, in cui emergono gli studi di Freud, è chiaro che un autore come
Schonberg descriva la condizione dell'uomo in maniera tragica e dominata dall'angoscia.
La musica deve dunque esprimere tutto questo e perciò non può essere una musica dolce.
Per Schonberg, infatti la musica non ha il compito di consolare il pubblico, ma di mettere il pubblico di
fronte alla verità della propria esistenza.
Durante il suo periodo giovanile, Schonberg si interroga concretamente, cioè scrivendo musica, sul fatto che
forse le forme e linguaggi ereditate dalla tradizione romantica, non sono adeguati a descrivere la situazione
dell'uomo contemporanea.
Si rende conto che è necessario addentrarsi in una terra sconosciuta in cui tutto è possibile, ma al contempo
nessuna forma di convenzione del passato ha più diritto d'esistenza.
Dunque a partire dal 1908/1909 Schonberg entra in una fase produttiva, chiamata “espressionista”.
-fase espressionista: ha inizio intorno al 1908/1909: la sua musica cambia radicalmente.
Si lascia dietro le spalle ogni forma di convenzione ereditata dal passato e assume un carattere di estrema,
violenta modernità.
Lui non è di per sé un riformatore, ma avverte che questo sia il destino della musica e lui è il continuatore,
consapevole, di una tradizione che indirizza la musica verso quella direzione.
Non a caso Adorno, che è anche compositore allievo di Schonberg, che dopo la 2 guerra mondiale
scrive un libro “filosofia della musica moderna” suddivide questo libro in due parti dedicati una
parte a Schonberg e l'altra a Stravinskij.
Adorno interpetra questi due compositori come i due poli opposti dalla cui dialettica si realizza la musica
moderna.
Adorno intitola la parte dedicata a Schonberg “Schonberg o il progresso” perché in tedesco
“progresso” significa “passo avanti”, questa parola ha in se l'idea di una tradizione che continua. Schonberg
si definisce il proseguitore di quella tradizione che spinge la musica verso il compito di essere non
consolazione, ma verità.
Il saggio su Stravinskij si intitola invece “Stravinskij o la restaurazione”, che tende a far regredire la musica
verso un passato non più recuperabile.
La musica considerata come verità della realtà dell'uomo è una musica che il pubblico rifiuta.
Per Schonberg questo rifiuto assume il valore di un elemento di merito: pensa che il pubblico rifiuta questa
musica non perché sia molto lontana all'uomo, ma troppo vicina e ricorda qualcosa che l'uomo vorrebbe
dimenticare o non guardare.
Dunque per lui, l'indignazione del pubblico è la prova della qualità artistica dell'opera. La mancanza del
consenso è per lui un elemento di qualità.
La sua musica è in grado quindi di cogliere e riflettere sulla qualità della vita umana.
È la prima volta che ci accostiamo quindi ad un autore che oltre ad essere un compositore riflette anche su
temi filosofici. È un compositore senza alcuna professione tipica nell'ambito della musica: non è un pianista,
violinista ha una forte componente teorica, estetica, filosofica.
Scrive diversi libri di teoria musicale, il più importante è “manuale di armonia” prima edizione viene
pubblicata 1911, anno che coincide con la morte di Gustavmaled ed infatti permette di ricordare l'autore.
E’ un didattica che interpreta la sua attività didattica come un elemento fondamentale da rivolgere ad un
gruppo ristretto di persone con cui si crea un rapporto personale, dal quale sia gli allievi sia il maestro
imparano qualcosa a vicenda.
Durante questo periodo espressionista, che alcuni chiamano “atonale”, espressione che Schonberg odia,
perché lui intendeva tono come suono, quindi per lui atonale significava per lui musica senza suono. In
realtà in ogni musica ci sono suoni quindi il problema è il modo in cui vengono organizzati questi suoni.
Infatti in questo periodo Schonberg organizza il suono in modo diverso rispetto a quanto fatto durante la
tradizione musicale. Atonale si può considerare come non più tonale.
Durante questo periodo, Schonberg e i più importanti dei suoi allievi, hanno una difficoltà: articolare vaste
forme musicali.
Riuscire ad articolare un lungo e complesso discorso, dipende dal fatto che si fa costantemente ricorso alle
regole della grammatica e della sintassi; è per questo che riusciamo a parlare, perché facciamo riferimento ad
una struttura che poi viene adattata in base alle diverse situazioni.
È come se Schonberg decidesse di non riuscire più a fare riferimento alle strutture tradizionali, inventandone
di nuove che però non vengono comprese da nessuno.
Si ricomincia da 0 e quindi è difficile fare un discorso lungo, e dunque sul piano compositivo le alternative
sono due:
1) creare una musica strumentale, orchestra o da camera, concepita sotto forma di aforisma, brevissima frase
con significato intenso e quindi la durata delle sue composizioni strumentali tende a ridursi a frammento:
brani musicali che durano 1 minuto, ma hanno un impressione intensa.
Questo cambiamento, un po' dopo, accade anche nel mondo della letteratura italiana, cioè accade che una
generazioni di poeti, che noi chiamiamo ermetici sono stanchi della super retorica D’Annunzio. Questi poeti,
hanno l'impressione che le parole hanno perso significato e valore e quindi immaginano poesie piccolissime
capaci di esprimere una intensità immensa. Es. “mi illumino d’immenso”.
Vi è l'esigenza di tornare all'essenziale. Da un certo punto di vista, la cerchia dei compositori viennesi, è
come se esprimesse l'esigenza di restituire alla musica una certa purezza espressiva. Questa brevità è
paradossale nel caso delle composizioni per orchestra.
Ad esempio nel 1913 verranno presentati, da un autore, 6 pezzi per grande orchestra, che nel complesso
durano 9/10 minuti.
2) stabilire un rapporto intenso tra musica e testo (poetico o teatrale) in questo caso la durata della musica è
garantita dalla durata del testo.
Quindi Schonberg e i suoi allievi scrivono anche molte opere vocali.
Tra le opere vocali di questo periodo Schonberg compone:
-il monodramma attesa, il termine monodramma è inventato da Schonberg ed è l'equivalente musicale del
monologo, vi è quindi un solo personaggio che canta un lungo testo: non si parla di melodramma (dramma
cantato), ma monodramma (dramma con una sola persona);
-La mano felice, opera simbolista, incomprensibile fuori da questa dimensione simbolica;
-Pierrot Lunaire,opera 21, Berlino, 1912, è un ciclo di 21 pezzi suddivisi in 3 segmenti simmetrici per voci
femminili, e un complesso costituito da flauto, clarinetto, pianoforte, violino e violoncello. La voce
femminile dà vita ad un'altra invenzione di Schonberg, quello ovvero “canto parlato”.
Quando nel 1924, un famoso compositore e direttore d'orchestra italiano, Alfredo Casella, decide di far
conoscere Schonberg al pubblico italiano e decide di organizzare una tuornè musicale, sceglie questa opera
per farlo conoscere, anche se Schonberg nel 1924 si è già interessato ad altre opere, ma questa, per molti, è la
sua opera simbolo.
In questo periodo anche Puccini decide di conoscere Schonberg proprio durante una rappresentazione di
questa opera. Anche Stravinskij ascoltò questa opera nel 1912 a Berlino.
Nel 1913 a Vienna c'è un concerto diretto da Schonberg, con musica di Schonberg e i suoi allievi, durante il
quale Schonberg dirige i 6 pezzi, opera 6 di un suo allievo, Webern.
Durante questa fase espressionista, Schonberg e i compositori come lui si lasciano alle spalle termini come
sinfonia, trio, quartetto, sonata, rondò, allegro, parole che indicano un genere che per loro non esistono
dunque parlano solo di “pezzi”, termine neutro. Questi sei pezzi musicali:
il primo esprime l'attesa di una catastrofe; il secondo esprime la certezza che essa si compierà;
il terzo, il più tenero, il più tenero contrasto, è introduzione al quarto che è una marcia funebre, il quinto e il
sesto sono un epilogo che esprimono ricordo rassegnazione.
L’insofferenza apertamente dimostrata da parte del pubblico diventa una protesta tanto che si interrompe la
produzione, stesso destino di sagra della primavera, che viene eseguita a Parigi solo alcuni mesi dopo.
Webern ha appena perso la madre e ha l'idea di mettere al centro dell'opera una marcia funebre, è anche una
sorta di rappresentazione della sua autobiografia, ma è anche un omaggio a Gustav Mahler, marce funebri
che per Mahler avevano un ruolo importantissimo.
È una marcia funebre molto breve, dura pochi minuti. Ma dato che Mahler diceva che le sue sinfonie erano
come un romanzo e dovevano essere gigantesche. È Schonberg a trovare un collegamento tra Mahler e
Webern, definendo la musica del suo allievo un romanzo in un sospiro. Cioè un romanzo brevissimo che
però ha in se la forza espressiva di un romanzo.
Questa micro marcia funebre è il pezzo più lungo dei 6, e dura 3 minuti e 50 secondi.
È un pezzo molto particolare, perché l’orchestra è tradizionale sinfonica, ma Webern soprattutto all’inizio è
come se spingesse fortemente la musica verso un orizzonte sconosciuto, che è l’orizzonte del rumore, una
specie di rombo cupo, profondo sul quale poi si scaglia questo crescendo di marcia funebre.
Durante gli anni della prima guerra mondiale Alban Berg, che anche lui aveva scritto dei pezzi che dovevano
essere eseguiti in quel concerto, ma non si arrivò mai all’esecuzione perché nel frattempo il concerto era
stato sospeso, comincia a rimuginare dentro di se l’idea di scrivere un’opera lirica di grandi dimensioni
concepita secondo lo stile espressionista atonale. Operazione che nessuno aveva mai tentato fino a quel
momento, perché gli altri esempi teatrali, il monodramma attesa, la mano felice, erano spettacoli teatrali
relativamente di breve durata, mentre Berg aveva in mente uno spettacolo teatrale che facesse serata, però
concepito interamente attraverso lo stile e il linguaggio espressionista atonale. Quando ne parla con il suo
maestro, Schonberg rimane molto perplesso, cioè gli sembra impossibile che questo ragazzo così elegante e
timido possa sviluppare l’ambizione di scrivere un pezzo teatrale che faccia serata tutto nel linguaggio
atonale.
Lo stima, ma gli sembra eccessivo e soprattutto non condivide la scelta del soggetto perché Berg ha scelto di
mettere in scena il testo teatrale di un poeta tedesco maledetto del romanticismo Gheorg Buchner e il
frammento teatrale si chiama “Wozzeck”, è un frammento teatrale, un’opera incompiuta che prende spunto
da un fatto realmente accaduto che ruota intorno ad un omicidio.
Il protagonista è un povero soldato semplice dell’esercito prussiano Wozzeck, sul quale il mondo intero si
accanisce, perché il suo capitano lo tratta come uno schiavo e lo tormenta con tutta la violenza dell’apparato
autoritario militare,c’è un medico che lo usa come cavia umana sottoponendolo a ridicoli esperimenti.
Wozzeck, che è una persona fortemente disturbata dal punto di vista psicologico che ha visioni e sente voci, è
un personaggio che andrebbe aiutato, invece al contrario il mondo circostante lo spinge verso soglie di follia.
Wozzeck, vive senza essere sposato con una donna che si chiama Marì ed hanno un figlio il cui nome non
viene dichiarato nel testo e viene chiamato semplicemente il bambino.
Marì è bella, ma inquieta e tradisce Wozzeck con uno dei suoi aguzzini, una specie di sergentone panzone
sempre ubriaco che maltratta Wozzeck. Quando Wozzeck scopre che Marì, che costituisce una specie di oasi
di affetto nella sua vita, che l’ha tradito con quell’uomo, decide di ucciderla.
Allora, non potendosi permettere una pistola, compra un coltello da un usuraio ebreo.
Di notte mentre lui e Marì fanno una passeggiata sulla riva di un lago la uccide e nel tentativo di crearsi un
alibi si precipita in una taverna dove c’è un clima di follia collettiva, canta e tenta di ballare con una ragazza,
ma lei si accorge che lui è tutto sporco di sangue e allora fugge tornando sul luogo del delitto, lancia il
coltello nel lago, troppo vicino lo cerca nelle acque, lo trova e lo lancia più lontano fino a quando annega nel
lago.
Il capitano ed il dottore passeggiano lì intorno e sentono le urla che sembrano voci di fantasma come se nelle
acque di quel lago, dove da tanto tempo non è più annegato nessuno, chiamassero una nuova vittima.
All’indomani il bambino si sveglia e non trova nessuno, esce fuori a giocare con altri bambini e ad un certo
punto qualcuno lo avvisa che hanno ucciso sua mamma e di andare a vedere. Tutti i bambini corrono per
andare sul luogo e il bambino rimane da solo a giocare con il suo cavallino canticchiando popopoo. Fine.
Un’opera pazzesca e raggelante, anche perché è un’opera incompiuta costituita da singole scene che sono
come frammenti, come sequenze di un film che non è mai stato montato in una sequenza definitiva.
Berg decide di assumere quel testo così com’è in una forma frammentaria, scrivendo degli interludi sinfonici
che collegano tra di loro le varie scene che però non hanno una logica normale di sviluppo, ma sono come
spezzoni di un film che non è mai stato montato in maniera definitiva.
Quindi c’è una scena, poi buio mentre c’è l’orchestra, poi si accende un altro pezzo di palcoscenico, c’è
un’altra scena, poi buio, e così via.
Quindi l’effetto complessivo è un modello di drammaturgia assolutamente nuovo, diverso, innovativo,
cinematografico e fortemente espressionista con una musica di intensità talmente sconvolgente, con una
forza anche nel racconto, è tratto da una storia vera, anche se in realtà Wozzeck non si suicida, ma viene
arrestato.
È un’opera molto verista sotto certi aspetti, però è un verismo inventato in una prospettiva completamente
diversa allucinogena ed espressionista.
Questo pezzo teatrale che viene rappresentato per la prima volta a Berlino agli inizi degli anni 20, pur
essendo molto innovativo ha fin dall’inizio un enorme successo nel pubblico. Lascia tutti sbalorditi, anche
Berg stesso. Perché questo successo sembra contraddire l’idea di Schonberg dell’insuccesso come trionfo.
Infatti sembra che mentre il pubblico in sala applaudiva, Berg si fosse chiesto in che cosa aveva sbagliato.
Schonberg e i suoi allievi restano all’interno dell’orizzonte atonale espressionista sino all’inizio degli anni
20, anche se gli anni della grande guerra saranno anche per loro anni di impossibile produttività artistica.
Nel secondo dopo guerra Schonberg riprende a Vienna la sua attività di insegnamento privato e si raccoglie
intorno a lui u nuovo gruppo di allievi.
Nel frattempo elabora un metodo di composizione con 12 suoni che nel lessico musicale corrente verrà
nominato dodecafonia, che è un metodo per organizzare i suoni attraverso prescrizioni, divieti, regole, cose
che si possono fare e cose che sono proibite.
Dunque alla grande fase di libertà espressiva totale del periodo espressionista subentra un nuovo ordine che
in qualche modo allinea Schonberg anche ai comportamenti di altri autori del suo tempo che dopo le grandi
innovazioni degli inizi del secolo e dopo la sconvolgente esperienza della grande guerra avvertono il bisogno
di ritornare all’ordine.
Questo bisogno di ritornare all’ordine assumerà per Stravinskij i connotati della sua stagione neoclassica,
mentre per Schonberg il ritorno all’ordine sarà l’invenzione di un nuovo ordine.
Però costituito un sistema in progress di regole e divieti. Lui lo chiama metodo di composizione con dodici
suoni. Gli altri lo chiameranno dodecafonico.
I primi pezzi in cui Schonberg comincia ad applicare questo metodo che sta sviluppando sono 5 pezze per
pianoforte che scrive tra il 1920 ed il 1923.
10 anni dopo la individuazione del metodo dodecafonico può dirsi compiuta e Schonberg si accosta all’opera
più complessa della sua vita.
Prima pensa che possa essere una cantata scenica, poi il suo progetto si trasforma in un progetto di una
grande opera lirica incentrata sulle figure bibliche di Mosè e Aron.
Una scelta che può sembrare strana, ma che invece è logica se si considera il suo itinerario spirituale e
politico che in quegli anni ricomincia a riaccostarsi alla religione ebraica ed è affascinato dalle teorie di
Teodor Herz, il sionismo, l’idea del ritorno degli ebrei nella terra promessa.
Mosè è il simbolo di questo ritorno perché è colui che libera gli ebrei dalla schiavitù in Egitto e attraverso un
lungo e difficilissimo cammino attraverso il deserto da loro le leggi, le tavole con i 10 comandamenti, e li
accompagna sino alle soglie della terra promessa.
Non potrà varcare quella soglia, perché il suo destino non è quello di vivere la terra promessa, ma di guidare
il suo popolo dalla schiavitù in Egitto fino alla libertà nella propria nazione.
Questa impresa assume agli occhi di Schonberg un significato di estrema attualità.
Lui racconta una storia remota, ma parla agli ebrei del proprio tempo.
Mosè e Aron per varie ragioni rimarrà incompiuto. Schonberg è anche l’autore del libretto, scrive per intero i
primi due atti, poi si ferma nella composizione e prevedere di completare il suo capolavoro in seguito, in
realtà l’opera resta incompiuta.
Nel 1933 Schonberg si licenzia dall’insegnamento al conservatorio di una Berlino diventata nel frattempo
nazista e si trasferisce prima a Parigi e poi negli Stati Uniti.
Il periodo dodecafonico è dunque parte in Europa e parte in America.
Schonberg acquisisce la cittadinanza americana insegna prima tra New York e Boston, poi si trasferisce
stabilmente a Los Angeles in California. Lì dopo la fine della guerra apprende, come tutto il resto
dell’opinione pubblica mondiale, ma con un senso di maggiore angoscia perché lui è ebreo, cosa è successo
degli ebrei in Europa durante la seconda guerra mondiale.
Alle notizie, nel dopoguerra, si aggiungono le immagini fotografiche dello sterminio, dei campi, le
testimonianze dei sopravvissuti che raccontano ciò che hanno visto e subito.
Schonberg, con altre persone è sconvolto da questo destino e avverte prepotentemente dentro di sé l’esigenza
di ergersi a testimone del destino del popolo ebraico. Attua questa forma di testimonianza attraverso la
musica attraverso una delle sue ultime composizioni, intitolata “Un sopravvissuto di Varsavia”, un breve
pezzo per voce recitante maschile, orchestra, coro maschile.
Il sopravvissuto racconta ciò che ha visto, uno degli ultimi giorni del ghetto di Varsavia.
Lui è creduto morto e dunque riesce a salvarsi, ma tutti gli altri venivano avviati verso il grande piazzale dal
quale partono i treni verso Austwiz, e c’è questo momento terribile in cui ogni speranza viene abbandonata e
gli ebrei cominciano a salire sui treni e in quel momento risuona dentro di loro la fede dimenticata e
prorompono tutti un grande canto ebraico, tipo il padre nostro della religione ebraica, che è “l’ascolta
Israele”, questo pezzo è come se fosse una sorta di microdramma teatrale della durata di un 7 minuti in cui
c’è il narratore, il sopravvissuto, che racconta,. Il testo che racconta è in lingua inglese sia perché l’inglese è
la lingua della nazione in cui Schonberg è stato accolto e in cui vive, sia perché è la lingua che consente la
massima diffusione possibile di questo racconto nel mondo, sia perché il tedesco gli sembra orrendo, è la
lingua dei mostri.
Il narratore racconta dunque quel giorno in inglese. Di tanto in tanto cede il cambio agli ordini urlati in
tedesco da un ufficiale delle ss, e infine prorompe il coro maschile che canta in ebraico “l’ascolta Israele”, la
fede dimenticata che gli ebrei riscoprono nel momento in cui sanno che stanno per morire.
Schonberg non tornerà mai in Europa, morirà a Los Angeles nel 1951 per uno strano e anche tragico destino,
i suoi allievi più importanti moriranno tutti prima di lui:
Berg muore per un infezione dovuta da una puntura di insetto a Vienna nel 1936, lasciando incompiuta la sua
seconda opera lirica Lulu?;
Webern muore a guerra già conclusa nel 1945 assassinato da un soldato americano che gli spara senza
ragione;
Ullman a Vienna dopo la grande guerra viene deportato a Teresienstadt e ucciso ad Ausschwitz nel 1944, la
sua opera più importante si intitola “l’imperatore di Atlantide” ed è un’opera che compone durante il periodo
di detenzione nel ghetto di Teresienstadt.

IL SECOLO BREVE di Hobsbawm


Il secolo breve è un saggio dello storico Eric Hobsbawm.
Secondo l’autore l’inizio del 900 non va situato nel canonico anno 1900, ma nel 1914, con lo scoppio della
Prima Guerra Mondiale, mentre il suo termine può essere collocato nel 1991, anno della caduta e del
conseguente dissolvimento dell’Unione Sovietica.
Fu infatti nel 1914 che a Sarajevo veniva assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
d’Austria-Ungheria, e sua moglie Sophie, furono uccisi da alcuni colpi di pistola sparati da un nazionalista
serbo.
Da questo avvenimento scaturì la Prima Guerra Mondiale.
Più precisamente Hobsbawm divide il secolo breve in 3 fasi:
-una prima fase definita “età della catastrofe” che va dal 1914 al 1945, che comprende la prima e la seconda
guerra mondiale;
-una seconda fase definita “età dell’oro” che va dal 1946 al 1973, con la definitiva fine del colonialismo, le
scoperte in campo medico, scientifico e tecnologico, la crescita dell’economia basata sul capitalismo;
-una terza fase definita la “Frana” che va dal 1974 al 1989, anno della caduta del muro di Berlino e poi al
1991, con il dissolvimento dell’URSS.
L’autore nell’introduzione afferma che “l’intento di questo libro non è di narrare la storia del periodo che è
oggetto del secolo breve che va dal 1914 al 1991, benché io sia consapevole che non si può dare per scontata
la conoscenza dei fatti anche più elementari della storia del nostro secolo.
Il mio obiettivo è di comprendere e di spiegare il perché le cose siano andate in un certo modo e come i fatti
si colleghino tra di loro”.
Il contenuto del libro è organizzato secondo la partizione temporale che abbiamo esposto.
Il libro comincia con la Prima guerra mondiale che ha segnato il crollo della civiltà occidentale dell’800.
I decenni che vanno dallo scoppio della prima guerra mondiale fino agli esiti rovinosi della seconda furono
per questa società un’epoca catastrofica.
Quella società fu segnata da due guerre mondiali, una crisi economica.
Mentre l’economia barcollava, le istituzioni della democrazia scomparvero in ogni paese, sotto l’avanzata del
fascismo e del nazismo.
Solo l’insolita alleanza del capitalismo e del comunismo salvò la democrazia.
Nella seconda parte del libro, l’autore analizza la cosiddetta età dell’oro, che va dal 1946, fine della seconda
guerra mondiale, al 1973. Un’epoca anomala. Caratterizzata da scoperte in campo medico, scientifico e
tecnologico e la crescita dell’economia basata sul capitalismo.
La terza ed ultima parte del libro prende in analisi la cosiddetta età della frana, che va dal 1974 al 1991.
Caratterizzata dalla caduta del muro di Berlino nel 1989e dal dissolvimento dell’URSS nel 1991 e la
conseguente fine della guerra fredda.
Oggi sulla terra vi sono 5 o 6 miliardi di persone di più di quante ve ne fossero allo scoppio della prima
guerra mondiale.
Ai nostri giorni la popolazione non è solo cresciuta numericamente, ma è meglio nutrita, vive più a lungo, ha
un tenore di vita superiore, ha un grado di istruzione di gran lunga più alta di quella che aveva nel 1914.
Il mondo alla fine del secolo breve non può essere paragonato con il mondo ai suoi inizi, è infatti un mondo
diverso per almeno 3 aspetti.
In primo luogo non è più un mondo eurocentrico. La seconda trasformazione è più significativa. Il carattere
sempre più unitario del mondo. La terza trasformazione è la disintegrazione dei vecchi modelli di relazioni
umane e sociali e la rottura dei legami tra le generazioni, specie nei paesi avanzati. Questa è la situazione con
cui parte l’umanità.
Noi possiamo guardare indietro alla strada che ci ha condotti fin qui. Non sappiamo cosa plasmerà il futuro.

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