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Scorcio storico

D A L L’ U NI TÀ D ’ I TA L I A A L FA S C I SMO
1861-1927

Alessandra Finoia EOI Jesús Maestro


Il nuovo regno e la Destra storica.
Nel gennaio 1861 si ebbero in tutti i territori annessi al regno sabaudo le elezioni al
primo Parlamento italiano. Quantunque eletto da una minoranza di cittadini, data la
ristrettezza del suffragio (meno del 2% della popolazione totale), il nuovo Parlamento
accolse rappresentanti da ogni parte della penisola ed ebbe sede a Torino.
I suoi primi atti legislativi investirono la proclamazione del regno d’Italia, l’attribuzione a
Vittorio Emanuele II del titolo di re e la proclamazione di Roma a futura capitale del
regno (promossa da Cavour).
La questione istituzionale fu al centro dell’impianto del nuovo Stato.
La scelta era tra una soluzione accentrata ed uniforme, ed una soluzione che consentisse
alle regioni tradizionali di conservare una certa autonomia di gestione política visto che
nella penisola c’erano diversità stridenti e disparità di interessi, di condizioni
economiche, di leggi, di costumi, di istituzioni.
La questione istituzionale
fu al centro dell’impianto del nuovo Stato.

Le correnti favorevoli al DECENTRAMENTO (Mazzini , Carlo Cattaneo, i democratici), auspicavano


forme di federalismo del tipo svizzero. Ma tale progetto fu respinto dalla commissione parlamentare e
fu accolta la proposta di estendere a tutto il regno la legge amministrativa piemontese del 1859, lo
Statuto piemontese divenne legge costituzionale italiana.

Il regno fu diviso in 59 province, retta ciascuna da un prefetto.

Così, l’ACCENTRAMENTO, che per Cavour era stato una linea politica adottata temporaneamente per
l’urgenza delle circostanze, divenne sistema stabile di organizzazione. Le possibilità di uno sviluppo
più libero della società civile furono sacrificate alla preoccupazione di evitare spinte centrifughe, di
rafforzare il controllo dello stato da parte della clase dirigente moderata e di conservare l’unità
nell’ordine.
La Destra storica: forte senso dello Stato
Alla morte di Cavour, uomini di elevato livello politico lo sostituirono:

i piemontesi Quintino Sella e Giovanni Lanza


il toscano Bettino Ricasoli
l’emiliano Marco Minghetti
i lombardi Stefano Jacini ed Emilio Visconti
il napoletano Silvio Spaventa

Essi continuarono la linea politica di Cavour


(a favore di Napoleone e della Chiesa) e affrontarono il pareggio del bilancio.
Meriti e limiti della Destra storica
Il merito: aver impiantato e consolidato l’assetto politico-amministrativo di uno
Stato di grandi dimensioni con idealismo nazionale, spirito di rigore e servizio
nell’amministrazione pubblica.

I limiti: avere un debole senso della società civile e delle sue esigenze. Perciò il
governo della Destra storica apparve impopolare, conservatore e repressore,
l’amministrazione troppo rigorosa, al punto da creare il terreno per rivolte
sociali, quali il brigantaggio.
Al Sud: tentativo di
restaurazione borbonica

Da Roma, dove la corte borbonica si era rifugiata, Francesco II profittando della situazione di estrema instabilità
del nuovo Stato e di virtuale anarchia meridionale, si mise a sostenere il brigantaggio con finanziamenti ed ingaggi,
prestando ad esso il vessillo legittimista.
Ma la repressione fu durissima: fu inviato a Napoli il commissario Cialdini ed iniziò una vera guerra con
l’affidamento ai tribunali militari dei processi del brigantaggio (LEGGE PICA 1863)
Le truppe mobilitate nel mezzogiorno giunsero a contare 120000 soldati, circa la metà dell’esercito nazionale. Nel
breve lasso di tempo nel quale la legge speciale fu in vigore eliminò, tra esecuzioni ed arresti, 14000 briganti o
presunti tali. Fu un vero proprio sterminio di meridionali.
Si riuscì a riportare un certo ordine ma non si trovarono soluzioni al problema agrario e sociale del Sud.
Liquidazione dei terreni al Sud
La vendita di vastissimi terreni comunali e demaniali dell’ex regno borbonico e dei beni degli
ordini religiosi soppressi nel 1866 (1 milione di ettari) non migliorò affatto la distribuzione della
proprietà fondiaria, non incrementò la piccola e media proprietà contro la struttura latifondista.

In realtà l’operazione, che serviva principalmente a coprire le più urgenti necessità dell’erario,
non avvantaggiò i contadini che raramente avevano le disponibilità finanziarie per acquistare la
terra e che, anzi, perdettero il godimento degli antichi usi civici (ad es. Il pascolo).

Nel 1866 ci fu una grave rivolta in Sicilia che portò ad un ancor più accentuato AUTORITARISMO
da parte del governo.
Il deficit del nuovo Stato
Diversi sistema d’imposizione e riscossione dei tributi, diverse tariffe
doganali, diverse monete, diversi debiti pubblici, diverse strutture
amministrative…
Il nuovo regno nasceva gravato oltre che dai disavanzi degli altri exStati,
anche dal disavanzo notevole causato dalle spese ingenti che il Piemonte
aveva dovuto affrontare per la guerra del ‘59 e dalla insufficienza degli
antichi sistemi di riscossione dei tributi.

Solo nel 1876 si raggiunse il pareggio del bilancio (Presidente del


consiglio Minghetti) con un sollievo delle condizioni di vita dei ceti medi e
delle masse popolari.
Il partito operaio
Nel 1872 nasceva a Rimini la Federazione dell’Associazione internazionale dei
lavoratori con carattere anarchico e libertario. Vi entrarono a far parte esponenti
del sottoproletariato, ma anche artigiani salariati, dando vita a veri e propri nuclei
di organizzazioni operaie.
Una delle maggiori figure di questo movimiento fu Carlo Cafiero che portò nella
sua azione rivoluzionaria l’istinto della ribellione contro l’ingiustizia e l’iniquità, lo
slancio solidaristico e la fede nel proprio ideale.
Al suo fianco troviamo mazziniani come Andrea Costa, Enrico Malatesta, Osvaldo
Viani. Erano bakuniani che puntavano sulla carta rivoluzionaria,
sull’esasperazione del sottoproletariato urbano e sullo spirito di rivolta.
Marx ed Engels tuonavano contro questo tipo di azione senza coordinamento e
senza precise linee politiche, definendo l’organizzazione bakuniana un “ammasso
di spostati” diretta da “avvocati senza cause”.
Moti insurrezionali bakuniani
Nel 1874 Bakunin e Costa organizzarono un moto insurrezionale ad Imola che venne facilmente
disperso dalla polizia, ma l’episodio più significativo si verificò nel 1877 con il russo Stepniak,
vicino Benevento, in cui si invitava con discorsi incendiari, pronunciati in dialetto, alla rivoluzione
sociale.

Tutti questi tentativi fallirono perché non avevano precisi disegni politici, ma nel 1881 Costa
fondò il partito socialista rivoluzionario delle Romagne e Viani diede vita, a Milano, al partito
operaio italiano.

Alle elezioni politiche con il suffragio allargato concesso da Depretis, Andrea Costa risultò eletto
deputato. Era il primo socialista a far parte del Parlamento italiano.
Prima fase dell’industrializzazione
L’industrializzazione doveva condurre al superamento delle vecchie gerarchie e gettare le premesse
di una nuova solidarietà che accomunava l’antico artigiano, il manovale dell’industria, delle miniere,
dell’edilizia.

Il progresso capitalistico apportò un profondo cambiamento nella figura dell’operaio tradizionale.


Accanto all’operaio qualificato vennero a trovarsi il contadino cacciato via dalla miseria della
campagna, le donne, i fanciulli sottoposti a una difficile e straziante condizione di lavoro.

Nel 1893 nacque il partito socialista dei lavoratori italiani con a capo Filippo Turati formatisi
culturalmente a Milano nel clima della scapigliatura.
Enciclica RERUM NOVARUM

La nuova realtà sociale, frutto della rivoluzione industriale e dello sviluppo


capitalistico in tutta Europa, fu avvertita anche dalla Chiesa e da papa Leone XIII.
L’enciclica fu un atto di accusa contro le esasperazioni del capitalismo, contro il
padronato esoso, contro i ricchi che sembravano dimenticare la dignità umana
dei poveri.
Ebbe da questo momento un notevole sviluppo il movimiento sociale cattolico
per impulso di Romolo Murri che si battè per superare i limiti paternalistici del
vecchio cattolicesimo sociale.
L’avvento al potere della sinistra
Il governo della Destra, capeggiato da Marco Minghetti, venne battuto in parlamento nel 1876 proprio
all’indomani del raggiunto pareggio del bilancio statale. Vittorio Emanuele II chiamò alla presidenza del
consiglio Agostino Depretis, ex mazziniano, che aveva già ricoperto cariche di governo. Il Depretis
costituì un gabinetto con uomini di Sinistra e si parlò di rivoluzione parlamentare.

In realtà, il nuovo programa del Depretis non rappresentò una rottura completa con il passato, ma
soltanto il tentativo di essere più aderente alla realtà politica e sociale del paese.

Si promise l’istruzione elementare gratuita ed obbligatoria, alcune provvidenze a favore dei contadini,
l’abolizione della tassa sul macinato e l’allargamento del suffragio elettorale maschile.
Il TRASFORMISMO
Dal timore che la Sinistra potesse provocare un sovvertimento delle istituzioni,
nacque il trasformismo, cioè la ricerca di una maggioranza parlamentare di centro,
che non teneva conto della posizione politica e ideologica dei partiti, ma cercava il
consenso dei singoli parlamentari, raccogliendo maggioranze eterogenee attorno a
determinati problemi.
In politica estera, quando la Sinistra liberale fu al potere, si ebbe una svolta nella
politica estera. L’Italia si avvicinò all’Austria e alla Germania e aderì alla triplice
alleanza (1882) secondo cui ci si impegnava ad assistere militarmente gli altri paesi
membri.

A Depretis succedeva Francesco Crispi, ex republicano e garibaldino che si dedicò a


rafforzare l’apparato dello stato come la polizia, varò un nuovo codice penale e
represse duramente i movimenti operai e le organizzazioni di estrema Sinistra.
Francesco Crispi

L’Italia occupa alcune colonie in Africa come la


baia di Assab, Massaua e l’Etiopia. Crispi costituì
la colonia Eritrea sul mar Rosso e sulla Somalia
stabilì un protettorato italiano.

L’obiettivo era creare di colonie di popolamento


per la esuberante manodopera italiana e “Il
polmone d’Italia”
L’età giolittiana

Nel 1903 saliva alla presidenza del consiglio Giovanni Giolitti, esponente della Sinistra liberale,
piemontese e fedele monarchico, con cui lo Stato non è più il difensore degli interessi padronali
a danno delle rivendicazioni economiche degli operai e dei contadini.
Giolitti rispettava la libertà di sciopero ed aveva un alto senso di giustizia sociale. Tentò di
allargare la base politica del suo governo offrendo a Turati la possibilità di entrar a far parte del
governo, ricevendone però un rifiuto, motivato dal timore che le masse socialiste non avrebbero
compreso una svolta così radicale.
Giolitti ha legato il suo nome a una serie ininterrotta di riforme sociali: provvedimenti a tutela
dell’invalidità e vecchiaia, del riposo festivo, degli infortuni sul lavoro, del lavoro delle donne e
dei fanciulli.
È l’epoca del decollo industriale. Nel 1899 nasce la Fiat.
La Democrazia Cristiana

Negli ultimi anni dell’800, sulla scia della Rerum Novarum di Leone XIII, si
sviluppò un movimento che assunse il nome di Democrazia Cristiana.
Fu un movimiento guidato da giovani cattolici che sentivano l’esigenza di
operare nella società civile e rinnovare lo Stato. Alla sua testa, un giovane prete
marchigiano, Romolo Murri.

Nel programma si chiedeva la libertà sindacale, il referendum, il decentramento


amministrativo, una riforma tributaria equa, l’allargamento del suffragio
elettorale, la tutela della libertà di stampa, il disarmo.
La conquista della Libia

Si fa avanti l’aspirazione dell’Italia alla conquista della Libia, aspirazione


sostenuta dal nascente movimento nazionalista che presentava la Libia come un
Paese ricchissimo, ove poter indirizzare gli emigranti italiani. Questa conquista
avrebbe rappresentato il riscatto del prestigio italiano nel mondo e l’ascesa a
grande potenza.
Si opponevano alla guerra gli esponenti del partito socialista (antimilitaristi) .
L’esercito italiano riuscì a conquistare la Libia, ma questa non si rivelò il Paese
che avrebbe potuto risovere il problema dell’emigrazione italiana.
Solo grazie ai grossi investimenti compiuti dal governo fascista fu possibile
indirizzarvi coloni italiani, il cui numero non raggiunse mai però grosse cifre.
Il movimento nazionalista
Fu un fenomeno più letterario che politico che ebbe il compito di risvegliare la
borghesia contro il giolittismo, il socialismo, la democrazia ed il parlamentarismo.

L’ambiente letterario era teso alla ricerca di un provinciale e velleitario sogno di


grandezza, sensibile ai miti, alle immagini, alle parole retoriche. Gabriele D’Annunzio,
Tommaso Marinetti, padre del Futurismo italiano, furono i portavoce più
rappresentativi.
Nasceva il mito dell’automobile, dell’aeroplano, della velocità e la pratica sportiva era
vista come sviluppo ed affermazione della razza e come movimiento aggressivo.
Si esaltava la guerra come un fatto catartico che liberava dalle scorie e dalle abitudini
della politica del piede in casa.
Benito Mussolini
Attorno al nazionalismo, uscito rafforzato dalla guerra, vennero a concentrarsi i consensi della
Destra giolittiana che miravano ad un più accentuato conservatorismo ed autoritarismo ed a
una più decisa politica internazionale.

Quanto ai socialisti, la guerra libica aveva riportato in primo piano la corrente rivoluzionaria che
trovava in Benito Mussolini (che durante la guerra libica aveva organizzato a Forlì violente
dimostrazioni di protesta) una figura di primo piano.

Mussolini riuscì a far espellere dal partito socialista coloro che avevano aderito alla guerra libica
ed avevano portato le loro congratulazioni a Vittorio Emanuele III dopo un attenato nel 1912.
La settimana rossa

Il 7 giugno 1914 ad Ancona la polizia sparò su una manifestazione socialista: tre


dimostranti rimasero uccisi. Lo sciopero generale fu proclamato in tutta Italia, ci
furono agitazioni e tumulti per una settimana.
Alla testa del movimiento c’era la Sinistra socialista guidata da Mussolini, nuovo
direttore dell’Avanti!

Il movimento ebbe carattere più repubblicano e anarchico che socialista. Fu


confuso e senza chiare prospettive politiche.
Dopo un mese scoppiava la prima guerra mondiale.
La prima guerra mondiale

Contrari alla guerra:


i socialisti, i cattolici, i giolittiani.
Nel campo interventista:
i nazionalisti, l’interventismo democratico (coloro che si riallacciavano
idealmente alle lotte del Risorgimento) e i sindacalisti rivoluzionari a cui si unì
Mussolini che aveva prima aspramente polemizzato contro la guerra capitalistica
e borghese, ma poi mutò radicalmente opinione.

Espulso dal partito socialista fondo un quotidiano Il popolo d’Italia che divenne
uno dei più decisi e violenti fogli interventisti.
Crisi dello Stato liberale
Non solo le fabbriche erano al centro delle agitazioni sociali nel primo
dopoguerra, anche le campagne furono percorse da un vasto
movimente rivendicativo dalla Val Padana alla Sicilia. I socialisti
volevano la socializzazione della terra, cioè proprietà comuni a
gestione cooperativistica.
La situazione precipitò in seguito all’eccidio di Palazzo d’Accursio a
Bologna (1920) quando il neoeletto sindaco comunista Gnudi,
affacciandosi al palazzo comunale, venne sparato. Furono sparate
bombe dal palazzo che uccisero numerose persone.
Socialisti e fascisti si accusarono a vicenda della strage.
Lo squadrismo fascista
Da questo momento incontenibile fu la formazione di Fasci nei borghi e
nelle città padane, sostenuti da proprietari ed affittuari della terra che si
sentivano minacciati dalla forza del sindacalismo operaio, accusato di
monopolizzare la mano d’opera.
Il fascismo avviò un movimiento di rivincita contro le organizzioni
operaie accusate di tradire gli interessi della Chiesa e la democrazia
liberale.

Mussolini mise da parte i suoi propositi repubblicani e socialisti e si


inserì in questo processo di decomposizione del vecchio ordine liberale
come l’interprete di una larga volontà controrivoluzionaria.
I fascisti alla Camera
Le squadre fasciste aumentarono le loro forze organizzando spedizioni
punitive anche con la compiacenza di forze dell’esercito e della polizia.

Giolitti non ritenne il fascismo un fenomeno eversivo e pericoloso per la


stabilità dello Stato e accettò l’ingresso di candidati fascisti nei blocchi dei
liberali. Credeva, così, di poter porre un freno ai socialisti e popolari. Ma alla
camera entrarono 35 fascisti e Giolitti dovette rassegnare le dimissioni.

Il fascismo apparve come un movimiento giovanile, espressione di un


combattentismo alla maniera dannunziana, una sana reazione patriottica e
borghese che, una volta debellato il sovversivismo, delle masse operaie,
avrebbe accettato di rientrare nella prassi parlamentare.
Benedetto Croce e il fascismo

Una delle menti filosofiche più grandi dell’età contemporanea,


caposcuola dell’idealismo italiano, riconobbe nel fascismo un sistema
che avrebbe accresciuto “il sentimento della salvezza dello Stato” e
stimava grande beneficio la cura a cui il fascismo aveva sottoposto
l’Italia.

Ma la cura era quella del manganello adoperato dagli squadristi


contro gli oppositori.
I quadrumviri e la marcia su Roma
Mussolini presentò il fascismo non più come una forza sinistreggiante, ma come la sola risposta
politica della borghesia italiana alla rivoluzione ateistica del comunismo.
Lo schieramento dei partiti democratici, nel giro di tre anni, apparvero profondamentre lacerati.

Il 24 ottobre 1922 Mussolini concentrò a Napoli migliaia di camicie nere. Tutte le squadre erano
state mobilitate. Fu decisa la marcia su Roma sotto il comando di un quadrumvirato composto
da Emilio De Bono, Italo balbo, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi.

Il presidente del consiglio portò al re il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio, ma il
re si rifiutò di firmarlo. La via per Roma era aperta ai fascisti. Vi entrarono il 28 ottobre 1922.
Mussolini al governo

Il re dette incarico a Mussolini di formare il nuovo governo che risultò costituito


da fascisti, liberali, popolari e indipendenti.
Mussolini, con atteggiamento di disprezzo verso il parlamento, presentò un
programma che soddisfece solo ai conservatori. Fu abbandonata la linea
giolittiana, sciolte le amministrazioni comunali e provinciali (che erano nelle
mani dei socialisti), liquidate le cooperative. Si posero limiti alla libertà
sindacale.

Il problema rimaneva la “normalizzazione”, cioè il ritorno alla normalità,


l’abolizione dello squadrismo e il ripristino della legge anche per i fascisti.
Dittatura fascista

Mussolini aveva raggiunto il potere il potere con l’appoggio dei conservatori e


della monarchia e, all’inizio, non respinse l’invito alla normalizzazione.

Ma la corrente interna al fascismo (Roberto Farinacci) era contraria. Mussolini


trasformò le squadre fasciste in milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Istituì il Gran Consiglio del fascismo, riformò la legge elettorale per assicurarsi la
maggioranza parlamentare e allontanò i popolari dal governo.
Assassinio di Matteotti

Nel 1924 si svolsero le elezioni politiche in un clima politico di intimidazioni. Il successo toccò ai
fascisti.
Giacomo Matteotti, politico del partito socialista, denunciò i brogli elettorali e le violenze perpetrate
dalle squadre fasciste durante il periodo preelettorale. Fu poi rapito da squadristi ed ucciso.
L’opposizione si assentò dal Parlamento e decise di non entrare più in aula sino a quando non fosse
stata abolita la milizia fascista. Questa secessione parlamentare si chiamò Aventino, con evidente
riferimento alla storia romana, in cui si narra che la plebe si rifugiò sull’Aventino per protestare contro
i patrizi.
Gli oppositori finiscono in carcere
L’Aventino guidato da Giovanni Amendola, Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi, Filippo Turati, fu
al centro dell’opinione pubblica del paese.

Mussolini, confortato dall’appoggio dei conservatori, riprende il controllo della situazione. Non
era ancora incominciato il regime autoritario, ma ne furono gettate le premesse politiche.
Iniziò il processo di trasformazione dello Stato di tipo giolittiano in uno Stato forte e accentrato.
Aumentò la polizia, furono epurate le amministrazioni dello Stato dai funzionari non fascisti, fu
ridotta la libertà di stampa mediante censure, fu rivalutata la lira (il che provocò difficoltà del
credito e aumento dei prezzi).
Si introdusse la Carta del lavoro in cui scomparve il diritto di sciopero.
E il resto è storia…

Il fascismo in Italia, video visto in classe

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