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BIOGRAFIA LOMBARDI

Riccardo Lombardi nacque a Regalbuto (Enna) il 16 agosto 1901.


Dopo aver cominciato gli studi di ingegneria all’Università di
Catania, nel 1919 si trasferì a Milano dove, l’anno successivo, si
iscrisse al Politecnico. Tra la fine del 1919 e l’inizio del 1920
aderì, insieme al fratello Ruggero, al Partito popolare italiano,
orientandosi verso il gruppo della sinistra. Confluì quindi nel
Partito cristiano del lavoro, fondato dagli esponenti di questa
tendenza alla fine del 1920. Nel 1922 conseguì la laurea in
ingegneria industriale. Dopo aver partecipato ad alcune azioni
degli Arditi del popolo, nel 1923 collaborò con il giornale della
sinistra cattolica, “Il Domani d’Italia”. Proprio in questi anni
Lombardi maturò il suo distacco dalla cultura cattolica per
avvicinarsi al pensiero marxista. Impiegatosi stabilmente presso
un’impresa privata, nella seconda metà degli anni Venti continuò
l’impegno politico, partecipando all’attività clandestina, a fianco
sia di esponenti dell’antifascismo democratico sia di esponenti
comunisti.

Nel 1928 conobbe Ena Viatto, una giovane militante comunista,


che divenne la compagna della sua vita. Agli inizi di agosto del
1930, a seguito di un volantinaggio davanti ad alcune fabbriche, fu
scoperto ed arrestato dalla milizia fascista; fu rilasciato alla fine di
agosto dopo aver subìto violenti percosse che gli lesionarono un
polmone, creandogli problemi di salute per tutta la vita.

Interrotti i rapporti con il Partito comunista, nel corso degli anni


Trenta conciliò l’attività professionale con una limitata azione
clandestina nelle file di “Giustizia e Libertà”. Fino dalla sua
costituzione nel 1942, fece parte del gruppo dirigente della sezione
milanese del Partito d’Azione. L’anno successivo partecipò come
delegato del Pd’A alle riunioni del comitato dei partiti antifascisti,
poi Clnai. Agli inizi del 1944 entrò nella segreteria del Pd’A per
l’Alta Italia, assunse la direzione dei “Nuovi quaderni di GL” ed
entrò nel comitato direttivo dell’Unione tecnici italiani.

Il 25 aprile 1945 fece parte della delegazione del Clnai che si


incontrò a Milano con Mussolini, cui fu richiesta la resa
incondizionata. Il giorno dopo assunse, su incarico del Clnai, la
carica di prefetto di Milano, che mantenne fino a dicembre
quando, essendo stato nominato ministro dei Trasporti nel primo
governo De Gasperi, si trasferì a Roma. Nel 1946 fu eletto prima
in una segreteria a tre e poi segretario unico del Pd’A, carica dalla
quale si dimise l’anno successivo; guidò comunque la confluenza
della maggioranza del partito nel Psi.

Nelle elezioni del 2 giugno 1946 fu eletto deputato nel collegio


unico nazionale. Svolse parallelamente un’intensa attività
sindacale, mettendo in primo piano le esigenze occupazionali. Nel
1947 fu nominato presidente dell’Ente siciliano di elettricità; negli
anni Cinquanta si occupò sistematicamente, alla Camera, del
controllo delle risorse energetiche e fu poi uno dei principali
sostenitori della nazionalizzazione dell’energia elettrica (1962).
Nel 1948 assunse la presidenza dell’Azienda tramviaria milanese,
carica che conservò fino al 1953. Nel corso del XXVI congresso
nazionale del Psi (gennaio 1948) fu eletto membro della
Direzione del partito. Al congresso successivo, indetto dopo la
sconfitta elettorale del 18 aprile 1948, risultò vincitrice la corrente
autonomista, della quale Lombardi era uno dei massimi
esponenti: fu allora nominato direttore dell'”Avanti!”. Mutati nel
XXVIII congresso (maggio 1949) i rapporti di forza all’interno del
partito, Lombardi perse sia la direzione dell'”Avanti!” che
la carica di membro della Direzione nazionale. Ricoprì
nuovamente tale carica dal 1953 fino alla sua morte, mentre
diresse una seconda volta il giornale socialista dal dicembre 1963
al luglio 1964.

Nella prima metà degli anni Cinquanta rivestì un ruolo di primo


piano nel movimento internazionale dei Partigiani della pace, dal
quale uscì nel 1956, dopo l’intervento sovietico in Ungheria. Nel
1977 promosse la costituzione dell’Istituto per la cooperazione
politica economica culturale internazionale – Icipec, di cui assunse
la presidenza. Nel 1979 emersero sempre più nette le divergenze
di Lombardi con Bettino Craxi, allora segretario del partito. In un
tentativo di mediazione tra gli autonomisti e la sinistra del partito,
Lombardi fu eletto presidente del Psi nel gennaio 1980, ma due
mesi dopo si dimise dalla carica. Negli anni successivi continuò,
dall’opposizione, la sua battaglia politica. Candidato al Senato
nelle elezioni del 1983, non fu rieletto. Morì a Roma il 18
settembre 1984.

Nato nel 1901 a Regalbuto (Enna). E' indubbiamente una delle figure più originali e
significative della storia del movimento socialista italiano. Giovane seguace di Guido
Miglioli e delle idee del sindacalismo cattolico di sinistra nei primi anni’20, militante di
Giustizia e Libertà e poi tra i fondatori del Partito d’Azione nel 1942, prefetto di Milano
al momento della Liberazione, ministro dei Trasporti nel primo governo De Gasperi (la
sua unica esperienza governativa), allo scioglimento del Partito d’Azione Lombardi
confluirà nel PSI, partito nel quale militerà fino alla morte, leader con Nenni della
corrente autonomista e poi, dopo la rottura all’atto della formazione del primo governo
di centrosinistra, della minoranza di sinistra. 

Nasce a Regalbuto (Enna) il 16 agosto 1901


Deceduto il 18 settembre 1984
Laurea in ingegneria; ingegnere.
Attivista del Partito popolare all'età di diciotto anni, antifascista della prima ora, dirigente azionista e poi del Psi, ingegnere di
professione, Riccardo Lombardi è stato spesso presentato come un socialista inquieto e una coscienza critica della sinistra.
Basandosi su una documentazione a stampa e d'archivio in buona parte inedita, il volume ricostruisce il primo trentennio, sinora
poco studiato, del suo impegno politico, dall'esordio nelle leghe "bianche" della natia Sicilia durante i moti contadini del primo
dopoguerra all'ingresso nel Partito socialista e alla sua prima esperienza come direttore dell'"Avanti!" all'indomani della sconfitta
del Fronte popolare nelle elezioni del 1948. Il rifiuto della mistica della guerra, la precoce considerazione del fascismo come
reazione antipopolare, la critica alle dottrine economiche liberiste, la Resistenza come rivoluzione democratica e l'ostilità alla
politica di collaborazione tra sinistre e partiti moderati nel secondo dopoguerra: sono questi alcuni dei temi che si ritrovano nella
sua biografia e che risultano fondamentali anche per comprenderne l'operato nei decenni successivi, quando Lombardi
diventerà un punto di riferimento per molti giovani alla ricerca di una nuova concezione del socialismo.

https://radicalsocialismo.it/i-nostri-maestri/i-nostri-maestri-riccardo-lombardi/

Riccardo Lombardi
di Giancarlo Iacchini 
All’alba del ventesimo secolo nasceva una grande personalità del socialismo italiano: Riccardo Lombardi (1901-
1984). A parlare di lui bisogna rifuggire la retorica, perché se c’è una cosa assolutamente lontana dal suo modo di
essere e di agire, quella cosa è proprio la retorica. Fu un uomo del fare, e del fare concreto, il socialista siciliano poi
trapiantato nel capoluogo lombardo (divenne prefetto di Milano subito dopo la Liberazione, ed appena assunta la
carica propose l’abolizione dei prefetti, giusto per dimostrare quanto tenesse alle poltrone). Allora militava ancora
nel Partito d’Azione, sotto le cui bandiere aveva guidato la Resistenza antifascista dopo il canonico passaggio
attraverso “Giustizia e Libertà”, per poi confluire nel Partito Socialista Italiano dopo lo scioglimento del PdA.
Lombardi fu l’uomo della ricostruzione, economica e morale, a partire dalla “basi” materiali e infrastrutturali del
paese, ed in questo fece valere la sua professione di ingegnere, insieme al suo sano pragmatismo anti-ideologico: «A
me sembra che una politica intelligente e che si preoccupi dell’avvenire della classe operaia si deve soprattutto
preoccupare di salvare l’efficienza economica dell’apparato industriale; che questo apparato resti di proprietà privata o passi in proprietà
collettiva, il problema non muta», ebbe a dire in quel drammatico ma liberatorio 1945.

Efficienza e “pulizia” prima di tutto, a vantaggio della classe operaia, senza schemi ideologici precostituiti. Andando al nocciolo dei
problemi, al di là del “fumo” politico che pure amava aspirare come il fumo della sua pipa: «Io non giudico un partito politico dal suo
programma, che è sempre qualcosa di astratto ed esangue, ma dall’atteggiamento che esso tiene su quei due o tre problemi essenziali che si
presentano in ogni fase decisiva; dal risalto, dallo spicco che esso sa dare alle soluzioni concrete dei problemi posti dalla situazione».

Era stato picchiato a sangue dai fascisti, dopo essere stato arrestato, e quelle botte gli avrebbero compromesso la salute per tutta la vita,
danneggiandogli un polmone. Nel ’43 aveva fondato il giornale clandestino “L’Italia libera”, e radicalmente libertaria era la sua idea del
socialismo, unendo insieme Marx e Keynes, ma anche Schumpeter e i “tecnici” della socialdemocrazia nordeuropea: «All’azione
rivoluzionaria deve seguire, senza soste e senza debolezze, l’azione riformatrice (dico riformatrice, non riformista) in modo da pervenire il
più rapidamente possibile alla riforma della struttura dello Stato». Già, il suo vecchio pallino delle “riforme di struttura”, che invocherà per
tutti gli anni Sessanta e Settanta, non senza qualche significativo risultato pratico (la nazionalizzazione dell’energia elettrica fu in gran parte
opera sua). Poi negli anni Ottanta gli toccò di assistere a quella che lui stesso definì la “mutazione genetica” del Psi, con l’avvento di Craxi e
del craxismo. E uno che “incideva le idee a colpi di scalpello” (come scrive Paolo Vittorelli), dimostrò di saperci fare anche con le parole:
«Ci sono più socialisti in galera oggi che ai tempi del fascismo», sbottò sarcastico dopo l’esplosione di Tangentopoli.
Nessuno più di lui poteva essere estraneo e lontano (anni luce) dal “nuovo socialismo” dei… nani e delle ballerine: lui che parlava di teorie
economiche perfino nei comizi, con la più scrupolosa attenzione al rapporto tra il settore pubblico e quello privato, invocando il controllo
democratico del primo sul secondo e, per entrambi, la regola aurea della massima efficienza. Idee chiare fin dalla Liberazione: «Il Partito
d’Azione assegna al nuovo Stato il compito di un piano di ricostruzione economica che coordini i due settori a gestione socializzata e a
gestione privata, indirizzi la politica finanziaria, del credito industriale e dei lavori pubblici all’integrale utilizzazione della capacità
produttiva del Paese e all’assorbimento delle energie di lavoro disponibili. Questo piano di ricostruzione nazionale dovrà essere
inquadrato in un piano europeo e mondiale di più razionale distribuzione delle materie prime, delle industrie produttive, dei traffici e delle
forze del lavoro. Tale coordinamento economico, il cui fine dev’essere di sviluppare al massimo la circolazione libera degli uomini e delle
merci sulla terra, è alla base del nuovo ordine democratico internazionale». Concetti di immutata attualità, dopo mezzo secolo di una politica
economica ed estera contro la quale Lombardi si è battuto per tutta la seconda parte della sua vita, da parlamentare socialista e testimone
moralmente indiscusso dell’antifascismo militante.
Senza perdere mai di vista né il piano ideale (la concreta utopia del socialista radicale) né quello concreto, hic et nunc, a beneficio degli
interessi presenti e futuri del popolo lavoratore: «Che cosa è essenziale per la democrazia in Italia? E’ essenziale che il Paese sia attivizzato,
che il più gran numero possibile di lavoratori di tutti i ceti sia interessato politicamente ed economicamente ad uno stato democratico, al
punto che tutti si sentano minacciati quando la democrazia è in pericolo; abbattere le strutture corporative che sono le eredità più persistenti
del fascismo e che ancora oggi sono profondamente radicate nella coscienza non soltanto dei singoli ma perfino dei partiti e dei partiti
sedicenti rivoluzionari; riformare l’apparato burocratico dello Stato; frenare le inframmettenze clericali». Le “inframmettenze”, disse proprio
così, con un curioso arcaismo che oggi naturalmente si tradurrebbe con “interferenze”: ma non cambia la straordinaria attualità del concetto.
Un politico vero, a tutto tondo e “tutto d’un pezzo” come pochi, questo galantuomo siciliano che ebbe il rispetto di tutti gli avversari, ma uno
che sapeva prendere le distanze dalla politica come professione; da questo punto di vista, in piena sintonia con la tipica nobiltà morale dei
grandi azionisti: «Il Partito d’Azione – scrisse dopo il disastro della guerra fascista – costituisce oggi il solo partito che non si preoccupa
affatto di vincere come partito, che non condiziona per niente il raggiungimento del suo programma alla conquista dello Stato da parte del
partito stesso e come tale, pur nelle sue manchevolezze organizzative e nella esiguità della sua base di massa, rappresenta una forza
democratica dalla funzione insostituibile. Io so benissimo che nella competizione elettorale il PdA avrà una possibilità infinitamente più
ridotta che nella fase cospirativa e nella guerra di liberazione; indiscutibilmente il numero dei suoi deputati sarà infinitamente inferiore al
numero dei suoi fucilati: tuttavia io so che se questa forza mancasse, la democrazia italiana sarebbe impoverita perché sono profondamente
convinto che le forze tradizionali italiane, da sole, sono troppo legate costituzionalmente ad una concezione, ad una pratica ed a una
mentalità che potranno anche essere occasionalmente utilizzate per la democrazia, ma non sono necessariamente e solo democratiche, e sono
incapaci di tenere il loro posto in qualunque situazione e davanti a qualunque pericolo».
Fu facile profeta di un democrazia zoppa e ben poco laica ed autonoma. Ma oggi, a 35 anni dalla morte, l’esempio etico e politico di
Riccardo Lombardi può dire molto a chi intenda rifondare la sinistra e l’intero senso della politica in questo paese, cercando di non separare
più la lungimiranza dei valori dalla concretezza della prassi quotidiana. Giustamente un profondo conoscitore del pensiero lombardiano come
Giovanni Scirocco così scrive: «Che cosa ci manca di Lombardi? Ci manca, a mio parere, il segno della sua contraddizione, la scommessa
fallita ma tenacemente indicata di tenere insieme la democrazia coi suoi limiti e l’idea di un socialismo radicale». Ecco perché la
definizione “radicalsocialista” è un binomio linguistico e concettuale che non sarebbe affatto dispiaciuto al fiero esponente
dell’altro socialismo, quello vero e quello antico, né dogmatico-totalitario né riformista-rinunciatario.

http://www.avantionline.it/riccardo-lombardi-per-il-socialismo-e-la-liberta/

Nacque a Regalbuto, in quel di Enna, il 16 agosto del 1901, in una famiglia di


origine toscana. Compiuti gli studi primari e secondari nel Collegio Pennisi di
Acireale frequentò i corsi di ingegneria nel Politecnico di Milano fino al
conseguimento della laurea in ingegneria industriale.
La sua partecipazione all’attività politica si realizzò inizialmente nelle file del Partito Popolare Italiano sturziano: fu una
adesione di breve durata ma intensa ai principi del cristianesimo sociale. All’indomani della Grande guerra si schierò con
le forze popolari e progressiste e nei confronti del fascismo in ascesa si collocò su posizioni di netto rifiuto e di lotta
collaborando alla stampa cattolica più combattiva. Dopo il ’26, essendo stati sciolti i partiti avversi al regime fascista, si
aggregò ad elementi che si impegnavano nell’attività clandestina e svolse attività di propaganda. Per questo nel ’31
venne malmenato dai fascisti. Arrestato, subì la tortura e ne soffrì poi le conseguenze per tutta la vita.

Assunto da una società tedesco – olandese di impiantistica, si affermò come tecnico di grande valore. Quando si
approssimò la fine della dittatura fascista, tornò all’attività politica. Sempre alla ricerca di un soddisfacimento ideale, lo
trovò per qualche tempo nel socialismo liberale interpretato dal Partito d’Azione, del quale promosse l’organo di stampa
“Italia libera”. Partecipò alla Resistenza armata contro i nazi-fascisti aggregandosi alle brigate “Giustizia e libertà” e fu tra
i capi partigiani del CLN che seguirono le trattative di resa dei “repubblichini” di Salò rappresentati da Mussolini, Graziani
e altri.

All’indomani della Liberazione aderì al Partito Socialista Italiano, avviando una fase nuova del proprio impegno politico
destinata a essere l’ultima, la più ricca di contenuti e la più intensamente vissuta. Meritando la piena fiducia dei partiti
antifascisti e degli Alleati venne nominato prefetto del capoluogo lombardo, e tenne l’incarico con raro equilibrio e al
tempo stesso con forte impegno.

Nel dicembre del ’45 venne chiamato a far parte del primo governo De Gasperi, nel quale tenne il Dicastero dei Trasporti
e si impegnò per avviare la ricostruzione della rete ferroviaria, antiquata e gravemente colpita negli anni del conflitto.
Sostenne allora con forza la ricostruzione del Mezzogiorno, con una agricoltura ancora arretrata e privo di industrie,
ottenendo tra l’altro la costituzione dell’Ente Siciliano di Elettricità e da questa anche le centrali idroelettriche del Pelino,
di Troina e del Carboi, atti a potenziare le infrastrutture rinnovatrici, e inoltre gli impianti termici di Augusta e di Termini
Imerese.

Per qualche tempo fu segretario del Partito d’Azione, e in tale veste nell’ottobre del ’47 guidò la maggioranza del partito
nella adesione al PSI. Pienamente inserito tra i maggiori dirigenti del partito, concorse a far sì che i socialisti favorissero
l’adesione del’Italia all’EURATOM e si astenessero sulla adesione alla CCE.

Fu tra gli “autonomisti” che avversavano lo stretto legame del partito con il Partito Comunista e con l’Urss voluto dalla
corrente “frontista” allora capeggiata da Nenni, Lizzadri, ecc. Per questo avversò le liste unitarie presentate col Pci nelle
elezioni del ’48. Dopo i risultati assolutamente deludenti in termini di eletti ottenuti dal Psi, portato dal congresso
nazionale, con Jacometti, Giancarlo Matteotti, Vittorio Foa, Fernando Santi e altri alla testa del partito, diresse l’Avanti”.
Quando però di lì a un anno, la corrente nenniana tornò alla direzione del partito, preferì autoemarginarsi.

Nel ’56, ricollocatosi il Psi su posizioni di autonomia dopo i fatti di Ungheria, che avevano dato prove inconfutabili del
falso internazionalismo dell’Urss, riprese il suo posto di lotta. Convinto sostenitore del passaggio alla politica di centro-
sinistra e alla nascita dei governi che se ne facevano interpreti, sollecitò con risultati positivi la riforma della scuola
media, con l’introduzione della scuola media unica, il nuovo diritto di famiglia con l’introduzione del divorzio, dell’ aborto,
ecc..
Successivamente apparve molto preoccupato per la resistenza opposta dalla Dc sotto la spinta delle orrenti più
conservatrici alla realizzazione di nuove importanti riforme, tra cui la riforma urbanistica, che a suo parere era
assolutamente necessaria.
Si battè allora per l’ “alternativa socialista” e insistette con forza a sostenere la necessità di nuove iniziative atte a
introdurre altri elementi di rinnovamento e di modernizzazione nella economia e nella società. Durante la segreteria di
Francesco De Martino considerò con preoccupazione le sconfitte subite dal partito, e nel ’76 sostenne l’ascesa di Craxi,
condividendo molte delle idee rinnovatrici del giovane leader, tra cui l’adeguamento delle strutture organizzative ai tempi
nuovi, e nell’80 fu per due mesi presidente del partito. Subito dopo, però, assunse una posizione di forte critica rilevando
carenze, per lui inaccettabili, nella gestione del partito, in particolare l’accentramento e la personalizzazione.
Sostenne allora l’ “alternativa di sinistra”, auspicando che attorno a questa formula si realizzasse l’unione di tutte le forze
progressiste. Morì il 18 settembre dell’84 per fibrosi polmonare e insufficienza respiratoria.

Giuseppe Miccichè

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