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IL PSI DI CRAXI E LE TRASFORMAZIONI DEGLI ANNI ’80:

EREDITÀ DI LUNGO PERIODO

INDICE
INTRODUZIONE..............................................................................................................................1
LA BATTAGLIA CULTURALE DI BETTINO CRAXI...............................................................3
IL GOVERNO CRAXI E I RAPPORTI CON COMUNISTI E I DEMOCRISTIANI...............8
CONCLUSIONE: L’EREDITÀ POLITICA DI BETTINO CRAXI..........................................12
BIBLIOGRAFIA..............................................................................................................................16

INTRODUZIONE

Gli anni ’80 rappresentarono un periodo di svolta per la società italiana e per le culture politiche dei
partiti novecenteschi nati nell’immediato dopoguerra; il decennio precedente, un periodo
contrassegnato da profonde trasformazione occorse nell’apparato sociale del paese e da scontri di
natura politica ed economica che hanno destabilizzato ulteriormente la popolazione italiana, si era
infatti concluso drammaticamente con l’uccisione da parte delle Brigate Rosse di Aldo Moro, un
evento tragico che ebbe come principale conseguenza la conclusione immediata della stagione della
solidarietà nazionale fra le due grandi forze egemoni dell’epoca, la Democrazia Cristiana e il
Partito Comunista Italiano1. Per la storiografia italiana, il 1979 e il 1994 delimitano un “lungo
decennio” segnato dalla crisi della socialdemocrazia, del vecchio sistema politico e dalla sua
mancata trasformazione, un periodo in cui i partiti novecenteschi italiani non riuscirono ad
adeguarsi all’ascesa di una politica accentuatamente liberista, al processo di internazionalizzazione
dell’economia e ai mutamenti dei rapporti internazionali fra gli Stati Uniti d’America e l’Unione
Sovietica, in particolar modo con la fine della distensione fra le due sfere d’influenza e la ripresa
1
Gran parte della storiografia italiana si mostra concorde nel considerare il 1993-1994 come periodo d’inizio della
Seconda Repubblica, poiché in quella finestra temporale si può riscontrare la presenza di un nuovo assetto politico
italiano e di nuovi soggetti politici, i quali avevano rimpiazzato le entità politiche nate nel secondo dopoguerra. Questa
periodizzazione viene però contrastata dallo storico Piero Craveri, il quale invece indica il 1979 come conclusione
effettiva dell’esperienza della Prima Repubblica. Comprendendo di essere in una posizione minoritaria, Craveri ha
indicato alcuni fattori che lo hanno portato a formulare questa sua personale periodizzazione della storia repubblicana
italiana: l’assassinio di Aldo Moro, le elezioni politiche del ’79, la firma del “Preambolo” e la conclusione
dell’esperimento dei governi di solidarietà nazionale, la crisi dei grandi partiti di integrazione di massa, le mutazioni in
atto nei movimenti operai e nella società civile italiana, l’ascesa di Bettino Craxi come leader del PSI, l’avvento del
neoliberismo, del processo di internazionalizzazione della finanza e la fine della distensione fra gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica.
quasi immediata della corsa agli armamenti. Per citare lo storico italiano Piero Craveri, l’espansione
del mercato globale <<metteva in crisi i sistemi socialdemocratici, prima ancora di quelli a
“socialismo reale”, ed era naturale che fosse così, essendo i primi parte integrante del sistema
capitalistico internazionale e dovendo quindi possibilmente precorrerne piuttosto che posticiparne
la logica>>2.

Per lo storico Andrea Graziosi e per l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, la fine del
compromesso storico fra DC e PCI rappresenta la conclusione di un’epoca fondamentale per la
politica italiana e segna l’inizio della crisi per i grandi partiti di integrazione di massa, causata
soprattutto dal processo di delegittimazione e di disaffezione della popolazione civile italiana nei
confronti dell’azione politica dei partiti, un sentimento accentuato anche da una serie eventi tragici
che scossero il paese, come il terremoto dell’Irpinia, l’attentato alla stazione di Bologna del 2
agosto 1980 e la scoperta dell’elenco della loggia-segreta P2, composta per lo più da politici,
magistrati, giornalisti e alti gradi dell’esercito. Inoltre, il paese durante gli anni ’80 fu sconvolto da
una rivoluzione sociale che colpì soprattutto l’impianto economico del paese e diede inizio alla
transizione dell’economia nazionale verso un’economia di matrice post-fordista e neoliberista.
Questi cambiamenti radicali sorpresero la classe dirigenziale italiana, la quale sembrò non
possedere gli strumenti necessari per affrontare al meglio le sfide emerse con la rivoluzione
neoliberista e si dimostrò incapace a venire incontro alle necessità delle componenti più dinamiche
dell’industria italiana.

Da questo clima di incertezza politica e di sfiducia nei confronti delle istituzioni, si deve registrare
l’avvento di una forza politica dalla forte tradizione politica, un partito rimasto per anni ai margini
dell’azione di governo e che durante i “lunghi anni Ottanta” riuscì a contendere l’egemonia della
sinistra italiana con i loro “cugini” del Partito Comunista Italiano, grazie soprattutto alla leadership
di un politico che avrebbe contribuito a cambiare lo scenario politico italiano: il Partito Socialista
Italiano guidato da Bettino Craxi (Milano, 24 febbraio 1934 – Hammamet, 19 gennaio 2000),
segretario del partito a partire dal 15 luglio 1976 e primo socialista italiano ad aver rivestito la
carica di Presidente del Consiglio dei ministri.

Bettino Craxi è considerato come una dei politici più importanti, influenti e controversi della storia
repubblicana, il cui ricordo suscita tuttora sentimenti contrastanti sia da parte dei membri della
classe politica che dell’opinione pubblica. Un personaggio dalle mille sfaccettature, per molti una
figura di culto mentre per altri colui che ha portato alla rovina il paese che ha contribuito a
delegittimare e a distruggere la cultura politica italiana, Bettino Craxi rimane un politico che ha
2
Cfr. Craveri, Piero, “Dopo l’unità nazionale. La crisi del sistema dei partiti”. In Gli anni Ottanta come storia, a cura di
Colarizi, Simona, Craveri, Piero, Pons, Silvio, Quagliarello, Gaetando, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, p.22.
cercato di cambiare e di riformare l’economia nazionale, le gerarchie della sinistra italiana e la
comunicazione politica.

La relazione qui presente cerca di disegnare un ritratto breve ma esaustivo della sua particolare
parabola politica, approfondendo alcuni spunti di discussioni che hanno definito l’azione politica di
Craxi fra il 1976 e il 1993:

 I rapporti burrascosi coi membri del Partito Comunista Italiano, in particolare col segretario
Enrico Berlinguer;
 Il tentativo di Craxi di rappresentare la parte più dinamica della società italiana e di ridefinire le
gerarchie di potere della sinistra, attraverso una proposta politica radicale e riformista;
 L’ascesa del Partito Socialista Italiano in contrasto con la crisi identitaria, di consenso e di
legittimazione delle due grandi forze politiche novecentesche, ovvero la Democrazia Cristiana e
il Partito Comunista Italiano;
 Le trasformazioni politiche e comunicative adoperate da Bettino Craxi durante la sua parabola
politica e l’eredità culturale di Craxi raccolta dalla politica italiana, con riferimento in
particolare all’ascesa di Forza Italia e di Berlusconi, al fenomeno del Berlusconismo e al
concetto di personalizzazione della politica.

La relazione si suddivide in tre capitoli: nel primo capitolo, si cerca di riassumere la battaglia
ideologica e politica condotta da Bettino Craxi per la supremazia della cultura socialista nei
confronti di quella comunista, cercando di individuare da chi Craxi fu influenzato, gli sostenitori di
questa sua lotta culturale e come si evolve il rapporto con i comunisti; nel secondo capitolo la
relazione analizza l’azione di governo di Bettino Craxi, prestando particolare attenzione alle riforme
per il taglio della scala mobile e ai contrasti con i comunisti; infine, nel terzo e ultimo capitolo, la
relazione cerca di trarre una conclusione sulla carriera politica di Craxi e sull’eredità da lui lasciata
e raccolta dai nuovi soggetti politici della Seconda Repubblica, come la Lega Nord e soprattutto
l’imprenditore milanese Silvio Berlusconi e il suo partito Forza Italia.

LA BATTAGLIA CULTURALE DI BETTINO CRAXI


Nella parte centrale degli anni ’70, il Partito Socialista Italiano stava attraversando una profonda crisi
di consensi e di identità. Francesco De Martino, diventato per la terza volta segretario del PSI nel
1972, aveva lanciato una politica di conservazione degli “equilibri più avanzati” di governo,
rimanendo quindi all’interno dell’esecutivo a guida DC nella speranza di garantire ai socialisti un
ruolo centrale nell’azione di governo e soprattutto di diventare una “giuntura indispensabile” per il
Partito Comunista Italiano, alla ricerca di una legittimazione democratica all’interno del sistema dei
partiti italiano. De Martino sperava che i socialisti potessero diventare i registi della piena
legittimazione democratica dei cugini, senza però rinunciare alle istanze autonomiste dei socialisti. La
strategia di De Martino posizionò però il PSI in una sorta di limbo, rendendo il partito un’entità
politica subalterna sia alla Democrazia Cristiana che al Partito Comunista Italiano, le principali forze
politiche dell’epoca che che nel frattempo, attraverso la collaborazione e il dialogo instaurato fra Aldo
Moro ed Enrico Berlinguer, stavano gettando le fondamenta per la stagione dell’esperimento della
solidarietà nazionale, scavalcando di fatto la mediazione del PSI.

Convinto della bontà della sua strategia abdicatoria e dei recenti successi ottenuti dai socialisti con le
amministrative del 1975 e col referendum dell’aborto, De Martino fece uscire il PSI dalla
maggioranza di governo, nella speranza di rafforzare e la centralità del proprio partito con i risultati
delle future elezioni politiche. Nonostante questa decisione del PSI fu accolta fra i malumori e le
perplessità del Partito Comunista Italiano, i socialisti si presentarono fiduciosi alle votazioni del ’76,
forti del rinnovamento in atto nella struttura organizzativa del PSI e fiduciosi che l’avvicinamento del
partito all’atlantismo avrebbe permesso al partito di allargare il proprio consenso e di attirare
soprattutto l’elettorato moderato

Le elezioni politiche del ’76 distrussero però ogni speranza covata finora dai socialisti. Il Partito
Socialista Italiano prese solamente il 9,64%, un risultato di poco superiore a quello delle elezioni del
19723, mentre il PCI riuscì a ottenere il 34,37% e ad aggiudicarsi 228 seggi in parlamento, ampliando
ancor di più la forbice con i socialisti, i quali uscirono dalle politiche del ’76 sconfitti e umiliati. La
maggior parte degli analisti afferma che le principali ragioni di questa pesante sconfitta sono
riconducibili alla perdita d’identità del messaggio dei socialisti, recepito dagli elettori moderati come
troppo simile a quello comunista, e il rafforzamento del bipolarismo imperfetto fra DC e PCI, una
condizione che rese futile e superflua l’esistenza del PSI come partito-ponte fra il governo e
l’opposizione, svuotando quindi ogni capacità dei socialisti di “legittimare” il PCI dentro le logiche
della democrazia italiana. Le elezioni politiche del 1976 trasformarono il PSI in un partito
“scavalcabile” nel dialogo fra Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiana, esaurendo di
conseguenza i motivi che avevano portato all’intensificazione del dialogo fra socialisti e comunisti.

3
A quelle elezioni il PSI ottenne il 9,61%, contro il 38,66% della Democrazia Cristiana e il 27,15% del Partito Comunista
Italiano.
I deludenti risultati delle elezioni del ‘76 costrinsero il Comitato centrale del partito a convocare una
riunione per discutere di un rinnovamento generazionale e programmatico dei quadri dirigenziali del
PSI. Le varie correnti interne al partito erano alla disperata ricerca di una soluzione di transizione e al
di fuori dalla corrente di De Martino, uscito sfiduciato e delegittimato dalle elezioni politiche. Dopo
una serie di sondaggi utili a trovare il candidato perfetto per traghettare il partito verso una nuova fase
della propria storia, il 15 luglio 1976 le molteplici correnti politiche del PSI nominarono come
segretario del partito il politico milanese Bettino Craxi, un giovane membro della corrente minoritaria
degli autonomisti guidata dal suo maestro Pietro Nenni. Craxi all’epoca rimaneva un politico poco
conosciuto al di fuori dei confini lombardi e molti socialisti lo votarono con l’intenzione di rimuoverlo
dall’incarico nel giro di pochi mesi.

Fin da subito, Craxi si rese protagonista di una radicale campagna di rinnovamento della cultura
politica e di costruzione di una specifica identità per il partito, facendosi portavoce di un
<<socialismo occidentale, laico, riformatore, democratico e gradualista>>4 e rivendicando con i
comunisti un rapporto di collaborazione che non inficiasse <<lo sviluppo autonomo di una forza
socialista che sappia avanzare a un tempo la giustizia sociale, la libertà politica e l’efficienza
produttiva>>5. L’elemento principale che Craxi introdotto nella cultura politico-ideologica del PSI è il
recupero del cosiddetto socialismo liberale, una corrente portata avanti dall’attivista socialista italiano
Carlo Rosselli che ipotizzava un socialismo di stampo riformista e ispirato dal laburismo britannico
che, se applicato, avrebbe permesso di <<superare il modello collettivistico e statocentrico del
marxismo-leninismo>>6. Craxi prosegue inoltre il percorso iniziato da De Martino e si avvicinò
ulteriormente all’amministrazione americana e all’atlantismo, attirandosi gli apprezzamenti e le
simpatie sia del 38° Presidente degli Stati Uniti d’America Gerald Ford che soprattutto del Segretario
di Stato Henry Kissinger, il faccendiere della Casa Bianca in questioni di politica estera.

La summa ideologica e politica di Craxi però va riscontrata in un articolo da lui stesso scritto e
intitolato “Il vangelo socialista”, pubblicato il 27 agosto 1978 sul giornale l’Espresso. Nato in
risposta a un precedente intervento di Berlinguer sulla natura del leninismo, l’articolo segna una forte
separazione ideologica tra le due anime della sinistra italiana, soprattutto per l’introduzione nella
cultura del PSI del pensiero di Pierre-Joseph Proudhon, politico ed economista francese che definì il
4
Gervasoni, Marco, La guerra delle sinistre. Socialisti e comunisti dal ’68 a Tangentopoli, Venezia, Marsilio, 2013, p.29.
5
Gervasoni, Marco, La guerra delle sinistre. Socialisti e comunisti dal ’68 a Tangentopoli, Venezia, Marsilio, 2013, p.28.
6
Craxi, Bettino, Attualità di Carlo Rossello in “Avanti!”, 10 giugno 1977.
socialismo come il superamento storico e naturale del liberalismo e che descriveva il comunismo
come una “assurdità antidiluviana” che avrebbe asiatizzato la civiltà europea. Nel descrivere la sua
ideologica Craxi recupera una citazione di Proudhon su cosa sarebbe potuta diventare l’Europa se
fosse prevalsa un’economia collettivista e statalista:

«La sfera pubblica porterà alla fine di ogni proprietà; l’associazione provocherà la fine di tutte le
associazioni separate e il loro riassorbimento in una sola; la concorrenza, rivolta contro se stessa,
porterà alla soppressione della concorrenza; la libertà collettiva, infine, dovrà inglobare le libertà
cooperative, locali e particolari […], «una democrazia compatta fondata in apparenza sulla
dittatura delle masse, ma in cui le masse avrebbero avuto solo il potere di garantire la servitù
universale, secondo le formule e le parole d’ordine prese a prestito dal vecchio assolutismo
riassumibili: comunione del potere; accentramento; distruzione sistematica di ogni pensiero
individuale, cooperativo e locale, ritenuto scissionistico; polizia inquisìtoriale; abolizione o almeno
restrizione della famiglia e, a maggior ragione, dell’eredità; suffragio universale organizzato in
modo tale da sanzionare continuamente questa sorta di anonima tirannia, basata sul prevalere di
soggetti mediocri o perfino incapaci e sul soffocamento degli spiriti indipendenti, denunciati come
sospetti e, naturalmente, inferiori di numero»7.

L’articolo a firma Craxi comparso sulle pagine dell’Espresso segnò quindi uno spartiacque per
l’indipendenza ideologica e per la battaglia culturale portata avanti dal segretario del partito e dai suoi
seguaci. E se il pensiero filosofico e politico di Craxi fu influenzato da Rosselli, Proudhon, Willie
Brandt e dalle discussioni dei membri delle socialdemocrazie francesi e spagnole, bisogna sottolineare
il ruolo tenuto durante questa battaglia culturale dalla rivista “Mondoperaio”, fondata nel 1948 da
Pietro Nenni e diventata organo ufficiale del Partito Socialista Italiano nel 1953. La rivista socialista
era solita includere riflessioni e interventi scritti da filosofi provenienti da quell’area polica e
probabilmente le riflessioni più interessante sono quelle espresse del giurista Norberto Bobbio, il
quale discusse del rapporto fra comunismo e potere, analizzò il concetto di democrazia diretta 8 e la
tendenza del leninismo e dei partiti di comunisti di reprimere le libertà individuali dei cittadini quando

7
Craxi, Bettino, Il vangelo socialista in “L’Espresso”, agosto 1978.
8
Norberto Bobbio non solo contrappone la democrazia diretta a quella parlamentare e rappresentativa, ma specifica
che per lui essa, oltre a essere scarsamente praticabile, non garantisce dai rischi di autoritarismo della maggioranza
sulla minoranza e sulla legittimità di chi prende il potere e come esso poi venga conquistato, esercitato e consolidato
dalla nuova maggioranza. Bobbio cita i Soviet bolscevichi come esempio di democrazia diretta che hanno intrapreso
poi una direzione violenta e autoritaria.
essi raggiungono una posizione di governo etc. Pietro Nenni comprese che il dibattito bobbiano
rappresentava un’occasione per i socialisti di porsi in una posizione di autonomia e non di suggestione
di fronte all’egemonia culturale del PCI e rese “Mondoperaio” la sorgente che riforniva di “anima e
sangue” la politica e l’ideologia del partito socialista, ospitando studiosi (in molti casi ex comunisti)
che non solo portarono avanti la discussione iniziata da Bobbio, ma la approfondirono ulteriormente,
domandandosi se l’azione politica del PCI (con riferimento in particolare al marxismo gramsciano)
avesse raggiunto quella maturazione e legittimazione democratica da tanto inseguita dai membri del
PCI. Gli intellettuali socialisti addirittura avanzarono una proposta audace e irriverente agli occhi del
Partito Comunista Italiano: accettare pienamente la democrazia liberale occidentale e il pluralismo,
abbandonare il leninismo e addirittura la linea politica tracciata sia da Gramsci che da Togliatti.
Attraverso questa critica al comunismo e al marxismo-leninismo, i filosofi socialisti aderenti alla
rivista del PSI contribuirono a delineare i lineamenti di una cultura socialista che, rispetto a quella
comunista, si presentava non solo come più moderna ma anche più vicina alla concezione occidentale
di democrazia, dove la ricerca dell’eguaglianza non si presentava come disgiunta rispetto alla difesa
delle libertà individuali degli individui.

Proprio per questa funzione di produrre cultura, Craxi comprese che il contributo degli intellettuali
socialisti fosse fondamentale per il rilancio del Partito Socialista Italiano e decise di integrare i temi
evocati in Mondoperaio nel programma politico del PSI; infastidito dalle critiche mosse dai socialisti,
il PCI non tardò a replicare, mostrando attraverso il segretario Enrico Berlinguer del risentimento per
quanto riguarda un’intervista rilasciata a Craxi per il giornale francese “Le Monde”, dove il politico
milanese si dichiarò deluso per l’evoluzione del PCI nei confronti del socialismo reale, giudicata da
lui come troppo prudente9.

Infine, bisogna sottolineare come la rivoluzione culturale portata avanti da Bettino Craxi non si limitò
solamente alla cultura socialista italiana e all’esasperazione delle differenze e dei contrasti fra
9
Lo scontro ideologico fra comunisti e socialisti emerse anche in corrispondenza del sessantennio della Rivoluzione
d’ottobre, giudicata da Berlinguer come una <<svolta radicale […] che per la prima volta pose a base della costruzione
di una società nuova il principio dell’eguaglianza tra gli uomini>> e dal dirigente del PCI Paolo Bufalini come <<l’inizio
di una nuova epoca, la pria grande rottura rivoluzionaria in senso egualitario nella storia dell’umanità>>. L’analisi
socialista sugli eventi del 1917 è completamente diversa, con Craxi che definisce la prassi e le strutture del sistema
sovietico come agli antipodi della promessa socialista vincolata ai valori di libertà, pluralismo e laicità, mentre Luciano
Cafagna e Massimo Luigi Salvadori definiscono il sistema politico vigente in Unione Sovietica come <<gerarchico,
autoritario e in perenne fallimento economico>> e il socialismo reale <<un sistema fondato sul ruolo dominante della
burocrazia dello stato partito e della tecnocrazia a essa legata […] e se il socialismo fosse questo sarebbe una delle
forme organizzative sociali tra le più distopiche e alienanti nella storia dell’umanità>>. Cfr. Gervasoni, Marco, La
guerra delle sinistre. Socialisti e comunisti dal ’68 a Tangentopoli, Venezia, Marsilio, 2013, p. 38 – 40.
comunisti e socialisti, ma si estese anche sulla comunicazione politica e sul “fare e produrre politica”.
Craxi propose infatti un modello politico diverso da della Democrazia Cristiana e del Partito
Comunista Italiana, un modello fondato sull'accentuazione della leadership del capo del partito e
della sua presenza costante non solo in parlamento, nei congressi dei partiti o con le interviste lasciate
ai giornalisti, ma anche attraverso la presenza costante in televisione, nel tentativo di instaurare un
rapporto costante e privilegiato con il proprio elettorato10.

Con Craxi comincia quindi a prefigurarsi una tendenza che si rinforzerà negli anni successivi, ovvero
la personalizzazione-coagulazione della politica nella figura del leader carismatico, un principio che
troverà in Silvio Berlusconi il proprio prototipo perfetto/esemplare, capace di cogliere una tendenza
che era già visibile negli anni '80, ovvero la crisi dei partiti novecenteschi a fronte dell'emergere di un
modello politico incentrato sulla figura del Leader e del rapporto diretto fra esso e gli elettori, fra il
segretario e il pubblico: emerge quindi la audience democracy, con il leader politico che comincia a
riferirsi direttamente a un pubblico per cercare di ottenere il suo consenso elettorale, una strategia
politica che sconfina quasi nel marketing e nella comunicazione pubblicitaria e dell’advertising.

IL GOVERNO CRAXI E I RAPPORTI CON COMUNISTI E I


DEMOCRISTIANI

Bettino Craxi riuscì in poco tempo a cambiare la faccia del PSI e a rilanciare un partito dato ormai per
morto. Dopo aver cercato di conquistare uno spazio vasto e autonomo fra la Democrazia Cristiana e il
Partito Comunista Italiano, era giunto il momento di raccogliere quanto fatto in precedenza e di
ristabilire la centralità del PSI nell’azione di governo. Una sponda inaspettata arrivò dal XIV
congresso della Democrazia Cristiana del febbraio 1980 con la stesura e la firma del celebre
“Preambolo”, un documento scritto di pugno dal futuro vicesegretario del partito Carlo Donat-Cattin11
dove si decise di chiudere con l’esperienza della solidarietà nazionale e di interrompere qualsiasi tipo

10
Nonostante si possa considerare il segretario del PCI Enrico Berlinguer come un precursore di questo modello
politico incentrato sulla figura carismatica e corporea del Leader politico, Craxi si differenziava dal suo collega
comunista per la mancanza di rispetto nei confronti delle dinamiche del partito e della politica italiana, disobbedendo
alla necessità di rimettersi sempre all'ordine e alle richieste del partito. Berlinguer non si pose mai direttamente
all'elettorato e fungeva per lo più come rappresentante indiretto per loro delle istanze del partito comunista, mentre
Craxi accentrò i poteri decisionali sulla figura del segretario, facendo perdere di prestigio e importanza alla centralità
del partito.
11
Il conflitto fra Carlo Donat-Cattin e i membri del PCI è ben documentato nell’archivio dedicato alla memoria del
deputato e vicesegretario democristiano. Cfr. Fondazione Carlo Donat-Cattin, “Centenario di Carlo Donat-Cattin: le
battaglie contro il PCI, il rispetto di Amendola e di Bertinotti, la svolta del Preambolo”,
http://www.fondazionedonatcattin.it/?page_id=2621
di collaborazione con i comunisti, escludendo il PCI dall’azione di governo e aprendo di conseguenza
le porte a nuove opportunità politiche. Esse furono colte da Craxi che nel 1979 spinse il PSI a cercare
forze nuove in grado di sorreggere la sua politica autonomista, individuandole nelle piccole e medie
imprese, nel nuovo ceto medio intellettuale e nei nuovi gruppi imprenditoriali emersi dalla crescita
economica e sociale degli anni precedenti. Il PSI riesce a farsi inserire nei governi di Pentapartito,
una coalizione di governo fondata dall’intesa fra la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano,
il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), il Partito Repubblicano Italiano (PRI) e il Partito
Liberale Italiano (PRI) che garantiva l’alternanza di governo e che portò alla nomina del primo
Presidente del Consiglio non democristiano, il liberale Giovanni Spadolini. I governi di pentapartito si
appoggiavano alla spesa pubblica, sulle politiche economiche che prevedevano un taglio del debito
pubblico e soprattutto sulla lotta all’inflazione, battaglie politiche portate avanti sia dal governo
Spadolini che da quello Craxi, divenuto il primo Presidente del Consiglio socialista il 21 luglio 1983 e
rimanendo in carica fino al 18 aprile 198712.

Prima di esaminare l’azione politica dell’esecutivo Craxi e soprattutto, bisogna aprire una piccola
digressione sulla parabola del Partito Comunista Italiano dalla fine dei governi di solidarietà nazionale
fino alla prima metà degli anni ’80 e, di conseguenza, come si erano evoluti i rapporti fra i comunisti e
i socialisti, già abbastanza deteriorati con l’ascesa di Bettino Craxi alla guida del PSI.

Come affermato in precedenza, gli anni ’80 rappresentano un periodo di perdita di consensi e di
identità per i due grandi partiti del dopoguerra italiano, la Democrazia Italiana e il Partito
Comunista Italiano. La crisi identitaria del partito crociato solitamente la si collega alle fratture
interne del partito e soprattutto al processo di modernizzazione e di secolarizzazione della società
civile italiana, sempre meno sensibile ai richiami morali e sociali del cattolicesimo democratico. Per
quanto riguarda la parabola del PCI, molti storici convergono sull'interpretazione storica che il PCI,
dopo la fine dei governi di solidarietà nazionale, cominciasse a fare fatica a creare una proposta
politica concreta e appagante da poter introdurre nell'ambito della concorrenza politica fra partiti, in
particolare contro l'emergente PSI. Il sodalizio con la DC si fermò bruscamente con la fine
dell'esperimento del "compromesso storico" e il PCI cercò di riaffermare la loro gloriosa diversità
rispetto al sistema politico italiano, definito come corrotto e con scarsa cultura democratica. Molti
politologi rilevano inoltre la grande difficoltà del PCI di captare e riscontrare i cambiamenti in atto
12
Durante questo periodo Craxi dovette affrontare una crisi di governo che portò alla conclusione del primo ciclo
legislativo-esecutivo, con il governo che si dimise dopo la mancata approvazione di un decreto legge sulla finanza sul
quale il governo Craxi aveva posto la fiducia.
nella società italiana, a causa anche delle enormi trasformazioni che sconvolsero alcuni dei pilastri
del PCI come l'industria del lavoro (sempre più disarticolata e meno legata al lavoro dipendente) e
la classe operaia, la quale cominciava a perdere l’identità che l’aveva definita durante gli anni
'60-'7013. La crisi della centralità dell'industria manifatturiera e di stampo fordista stordì il partito
comunista, poiché gli tolse un punto d’appoggio fondamentale per le sue politiche sociali ed
economico e mostrò come il partito fosse incapace di adattarsi alla società post-fordista.

Il PCI cercò quindi di difendersi dalle perdite di consensi attraverso il richiamo alla tradizione della
lotta di classe, presentandosi al proprio elettorato come "l'Alternativa Democratica" al sistema
dei partiti di governo, quest’ultimo definito dal segretario del partito comunista Enrico Berlinguer
come colpevole di rendere <<inagibile la democrazia e l’atto della democrazia nel sistema politico
italiano>> e di pensare unicamente alla gestione del potere, definendo i partiti di governo come
<<macchine di potere e di clientela, scarsa o mistifica della vita e dei problemi della società e della
gente, non sono più organizzazioni del popolo ma sono piuttosto federazioni di correnti, camarille,
ciascuna con boss e sottoboss>>.

. L’alternativa democratica del PCI è stata trattata dettagliatamente dallo storico italiano Piero
Craveri, in particolare nel suo libro “L’arte del non governo” dove, nei capitoli dedicati agli anni
’80 e alla parabola decadente dei comunisti italiana, ci invita a riflettere sull'autoisolamento del PCI
iniziato subito dopo la conclusione dell'esperimento della solidarietà nazionalee come esso divenne
un problema effettivo non solo del singolo partito ma anche dell'intero sistema politico italiano.
<<Questa estraniazione del PCI dall'intero sistema politico italiano è destabilizzante per l'intero
sistema politico italiano>>, afferma Craveri, sottolineando come il giudizio etico-morale sollevato
dal PCI escludesse ogni possibilità di creare questa alternativa democratica cercata dallo stesso
partito democratico.

Il PCI negli anni '80 sembra quindi in ritardo e incapace di interpretare i mutamenti sociali-culturali
della popolazione italiana, fatica a ridefinire il proprio rapporto con una società sempre più

13
Un esempio che ci aiuta a comprendere la crisi identitaria del movimento operario è la vertenza del 1980 ,
conosciuta come "la vertenza dei 35 giorni”, fra le organizzazioni operaie e in particolare gli operai della FIAT sostenuti
dai sindacati e gli imprenditori della casa automobilistica, un conflitto sindacale che però si estese al di fuori
dell'impresa torinese e che assunse un valore più simbolico, a causa soprattutto del progresso industriale (la continua
automatizzazione e robotizzazione del lavoro) e dei cambiamenti provocati dalla globalizzazione che hanno aperto la
crisi del sistema fordista occidentale. La vertenza si concluse con la mediazione e l'intervento dello stato attraverso la
cassa d'integrazione, con circa 24000 operai espulsi dalle fabbriche FIAT che verranno però poi sostenuti attraverso un
armonizzatore sociale che potesse fungere come sostitutivo del reddito. La FIAT riesce in questo modo a riorganizzare
la propria struttura aziendale, riaccentrando il proprio ruolo ad enfatizzando la propria figura centrale del sistema
lavorativo, emarginando il ruolo degli operai che era diventato centrale durante gli anni '70, soprattutto nelle fasi di
negoziazione dei contratti di lavoro.
individualizzata e meno coesa nei grandi agglomerati sociali che avevano definito il '900 italiano.
Sarebbe ingiusto affermare che il PCI non abbia riscontrato i cambiamenti radicali in essere nella
società italiana dell’epoca, ma è corretto invece dire che il partito non riuscì a trasformare la propria
cultura politica e a integrarla in sintonia con l'intera società italiana, mostrando le sue difficoltà nel
ricollocarsi politicamente di fronte ai cambiamenti in essere nella società e nella cultura italiana. La
valutazione prevalente degli storici è che il PCI nella prima metà degli anni '80 era diventato un
partito senza una vera e propria proposta politica al di fuori dell'alternativa democratica da loro
avanzata in risposta al pentapartito, rimanendo attaccato a principi più ideologici ed etico-morali
che meramente politici. Gli scontri con i socialisti, demonizzati dalla classe dirigente comunisti,
aumentarono e il conflitto con l’esecutivo di Craxi assunse addirittura caratteri antropologici e di
incomunicabilità, con i leader delle due principali forze politiche della sinistra italiana che si
ergevano a rappresentanti di due visioni completamente differenti della società italiana.

Questo contrasto di visioni si riflette in particolare su una controversia importante che ci aiuta a
definire l’agenda economica dell’esecutivo Craxi14, ovvero la lotta per il taglio della scala mobile
della contingenza, un modello che permetteva di agganciare la crescita dei salari con la crescita
dell’inflazione e che fu tagliata di una percentuale nel 1984 attraverso un decreto, provocando una
separazione netta dalla strada politica intrapresa dai scorsi governi, i quali preferivano trattare con i
sindacati anziché prendere decisioni così drastiche. Il decreto di San Valentino (14 febbraio 1984)
che sancì il taglio percentuale della scala mobile viene infatti ricordato come la fine della politica di
collaborazione e d'accordi nata negli anni '70 fra i partiti di governo e i sindacati, venendo preferita
a una politica più autoritaria e unilaterale che produsse all'inizio reazioni forti sia degli sindacati dei
lavoratori che del PCI, che prima si oppose aspramente in parlamento attraverso la pratica
dell'ostruzione in parlamento e poi propose un referendum sulla questione del taglio della scala
mobile; ebbe inizio quindi una battaglia simbolica fra il PCI e il PSI sulla lotta all'inflazione e
sull'effetto trascinamento dei salari sui costi del lavoro, uno scontro fra due idee di società ben
lontane fra di loro. Il referendum si tenne nel 1985 e vedrà la maggioranza degli italiani esprimersi a
favore del taglio della scala mobile e delle decisioni del governo, un risultato che rappresenta il
successo più importante ottenuto dall’esecutivo durante il suo iter legislativo e che accentuava
ulteriormente la crisi di consensi e di identità del Partito Comunista Italiano.

Gran parte dell'opinione pubblica e dei media italiani si pronunciò del taglio della scala mobile,
poiché era opinione comune che questo modello di innalzamento degli stipendi potesse avere senso
negli anni '70, come sistema di difesa e protezione del potere d'acquisto, ma che, con la ripresa
14
Il contrasto fra le due forze politiche ovviamente non si limita alla questione della scala mobile: per esempio, uno dei
punti di discussioni e di polemica fra le due parti era l’avvicinamento del PSI alla sfera atlantica e al neoliberismo
reaganiano in contrasto con l’associazione del PCI alle logiche politiche, all’ideologia e alla storia dell’URSS
economica degli anni '80, dovesse lasciare spazio alla crescita della produttività e della penetrazione
più efficace dei mercati, adattandosi così al processo di modernizzazione e globalizzazione dei
mercati. La storiografia italiana afferma che i sindacati dovevano accordarsi per un aumento della
produttività e della ricchezza in cambio del riconoscimento di maggior benefici ai lavoratori, tra cui
un aumento dei salari in correlazione all'aumento della produzione, proiettandosi quindi in
un'economia con un'inflazione dimezzata rispetto a quella dei governi precedenti all’esecutivo
socialista. Purtroppo, l'aumento della produttività non coincise sempre con un aumento dei salari dei
lavoratori e rimase un fenomeno isolato in pochissimi settori dell'economia italiana, con imprese
che approfittarono del calo dell'inflazione ma che si dimostrarono poco accondiscendenti allo
scendere a patti con i sindacati e i lavorati per un aumento dei salari. Solo la CGIL e il PCI si
opposero a questa decisione del governo e il referendum sottolinea l'evoluzione importante della
maggioranza della società italiana, sempre più slegata a un'economia dipendente e più immersa nel
processo di globalizzazione/modernizzazione del paese.

Nonostante riuscirono a far calare i tassi di inflazione e a far riagganciare l’economica italiana alla
ripresa economica globale, le riforme di Craxi non furono capaci di risolvere l'annosa questione del
debito pubblico e a riportare il paese in pari rispetto all’economia delle altre nazioni
industrializzate. Le tante promesse avanzate da Craxi di ridefinire la gerarchia della sinistra italiana
e di venire incontro agli elementi più dinamici della società italiana non furono mantenute oppure lo
furono parzialmente. L’esecutivo Craxi riuscì a tamponare parzialmente la crisi del debito pubblico,
ma l’economia e la politica italiana si dirigevano in maniera confusa e disorganizzata verso gli anni
’90 con tanti problemi irrisolti che sarebbero poi implosi con l’inizio del nuovo decennio.

CONCLUSIONE: L’EREDITÀ POLITICA DI BETTINO CRAXI

L’inefficacia della "droga" della spesa pubblica, il crescente aumento del debito pubblico,
l'invecchiamento della popolazione che se si unisce alle politiche di ostacolo all'individualizzazione
della popolazione italiana e in particolare dei giovani sono alcuni elementi che delineano il panorama
di crisi in cui si trovava la politica italiana all’inizio degli anni ’90. A questi elementi bisogna
aggiungere poi i mutamenti in atto nello scenario politico globale con il crollo del Muro di Berlino e
la dissoluzione dell’Unione Sovietica, evento che sancì la definitiva conclusione dell’esperienza del
Partito Comunista Italiano iniziata con la celebre “svolta della Bolognina” (12 novembre 1989)
promossa dall’allora segretario del partito Achille Occhetto, la firma del trattato di Maastricht e di
come i partiti sottovalutarono l'impatto che la firma del trattato avrebbe avuto sull'economia italiana,
le stragi di mafia che sconvolsero soprattutto il Sud Italia e infine lo scandalo di Tangentopoli e
l'inchiesta Mani Pulite, eventi che contribuirono ad accentuare il processo di delegittimazione della
classe politica italiana ma anche a porre fine all’esperienza del Partito Socialista Italiana e alla carriera
politica di Bettino Craxi.

Nelle elezioni del ’92 la Democrazia Cristiana scende per la prima volta sotto la soglia del 30%
mentre il Partito Democratico della Sinistra (PDS), l’organizzazione politica che aveva raccolto
l’eredità della tradizione PCI dopo la dissoluzione del blocco sovietico, raggiunse un drammatico
16,1%, un risultato misero soprattutto se comparato con quelli degli anni ’70 e della prima metà degli
anni ’80. Per la prima volta nella storia del paese fu istituito nel 1993 un governo tecnico a guida Dini,
un evento che rappresenta una prima fase di aggiornamento della politica italiana e che ebbe la sua
conclusione con i governi riformisti dell’esecutivo Prodi della seconda metà degli anni ’90, mentre
stavano emergendo nel paese forze politiche anti-sistema o che producevano una netta cesura con la
tradizione politica del ‘900 italiano, come la Lega Nord di Umberto Bossi e il partito di Forza Italia
dell’imprenditore Silvio Berlusconi. Per questo motivo, nella periodizzazione di molti storici, gli anni
’90 vengono identificati come la conclusione dell’esperienza della Prima Repubblica e l’inizio della
Seconda, poiché si riscontrato nuovi equilibri politici e nuovi soggetti che hanno sostituito non solo le
culture politiche precedente ma anche il “fare politica” dei loro predecessori.

L’ascesa politica di Berlusconi è interessante da analizzare non solo per l’effettivo impatto avuto sulla
scena politica italiana, ma anche per tracciare l’eredità lasciata dalla cultura del Partito Socialista
Italiano e dall’azione politica di Bettino Craxi, in particolare per quanto riguarda la comunicazione,
l’anticomunismo come scheletro del proprio credo ideologico e il rapporto con l’elettorato e con il
proprio partito d’appartenenza. La discesa in campo di Berlusconi ha di fatto completato quanto
iniziato da Craxi per quanto riguarda la comunicazione politica, ponendo definitivamente al centro il
leader carismatico capace di interagire direttamente col proprio elettorato e di accentrare verso di sé
non solo le decisioni e le sorti del partito, ma anche le controverse e i dibattiti politici. Berlusconi però
“estende” la lezione tenuta dal segretario del PSI e rivoluziona la comunicazione grazie soprattutto al
suo assett principale, ovvero la televisione e la propaganda politica filtrata attraverso i programmi
della rete Fininvest. I canali televisivi di sua proprietà diventarono il suo principale di comunicazione
con l’elettorato, il quale si trasformò in una vera e propria audience televisiva a cui venivano vendute
le strategie di vendita e di crescita dell’Italia, screditando nel frattempo i suoi avversari o coloro che
cercavano di criticarlo.

La televisione e la propaganda televisiva sono certamente degli elementi importanti che ci aiutano a
comprendere l'evoluzione dell'esperienza berlusconiana, ma sarebbe sbagliato definirlo come i
fattori della sua ascesa repentina. Silvio Berlusconi, grazie alle sue capacità comunicative e di saper
vivere dentro i confini del mezzo televisivo e della cultura televisiva, impone un linguaggio che
assume caratteri egemoni che si riflette anche nell'opposizione di centro-sinistra; molti storici e
politologi hanno ipotizzato che queste ampie coalizioni di CSX siano rimaste in piedi proprio per
l'ostilità condivisa nei confronti di Berlusconi, riuscendo a integrare e a unire culture politiche
(anche al di fuori delle culture costituzionaliste) completamente diverse fra loro e allo stesso tempo
polarizzando il clima della politica italiana, manifestando l'inconciliabilità fra due emisferi politici
completamente diversi. Molti membri della coalizione di centro-sinistra definivano Berlusconi
come una figura acostituzionale, con scarsi legami con i valori della Costituzione, e
antidemocratica, per le sue vicinanze ad apparati antagonisti allo Stato italiano che lui stesso ha
legittimato, come il partito neofascista Alleanza Nazionale.

Per difendersi da questi continui attacchi provenienti dal centro-sinistra italiano e dagli intellettuali di
sinistra, Berlusconi rievocò un sentimento che con la dissoluzione dell’URSS e della sfera d’influenza
sovietica sembrava del tutto sepolto, quello dell’anticomunismo, un sentimento per molti etichettato
come paradossale e al limite del paranoico poiché il comunismo in Italia non ha mai raggiunto il
potere e non ha mai guidato una legislatura. Negli anni ’70 e ’80 l’anticomunismo fu fatto proprio da
Bettino Craxi, il quale divenne il nume tutelare di questa battaglia politica e ideologica,
promuovendola sia attraverso la rivista del partito “Mondoperaio”, dove venivano ospitati
principalmente interventi e riflessioni critiche nei confronti della cultura comunista e dell’agenda
politica del PCI, sia nelle sue continue diatribe con i membri del partito e con il segretario Enrico
Berlinguer. Berlusconi riprese quindi questa tradizione secolare della politica italiana, nonostante il
comunismo avesse esaurito completamente la forza trascinante che lo aveva contraddistinto per tutta
la Guerra Fredda, e trasformò l’anticomunismo in un concetto superficiale capace di includere
segmenti della popolazione e della politica italiana distanti fra di loro e che, molto probabilmente, non
erano d’accordo con l’ideologia politica diffusa e preservata in Italia da Gramsci, Togliatti e
Berlinguer. Il principale bersaglio di questa rivalsa del sentimento anticomunista fu la magistratura
italiana, già in precedenza incolpava di favoreggiare i comunisti e i membri del PCI durante
l’inchiesta di Mani Pulite, ma furono presi di mira altri elementi della società civile come giornalisti,
intellettuali, attivisti, opinionisti; con Berlusconi, l’anticomunismo si trasformò nuovamente,
probabilmente perdendo quasi completamente il proprio significato originale e diventando un vero e
proprio termine ombrello.

Infine, si può affermare che l’anticomunismo berlusconiano sia più dovuto alla natura antistatalista e
anti-regolamentazione statale di Forza Italia (una forza politica antisistema che si erse protagonista di
una viva e vivace critica al sistema statale italiano), caratteristiche probabilmente ereditate dalle
riforme politiche ed economiche degli anni ’80 attuate dal Partito Socialista Italiano che, attraverso la
lotta dell’inflazione e cercando di venire incontro ai gruppo sociali più dinamici e che erano riusciti ad
adeguarsi alle trasformazioni dell’economia internazionali, cercò di diminuire il peso e la centralità
dello stato sulle decisioni delle singole imprese, seguendo la tendenza europea dell’epoca e
avvicinandosi a una logica di mercato neoliberista. Berlusconi e Forza Italia si innalzarono a difensori
del liberismo e dell’antistatalismo15, attirando a sé non solo gli imprenditori delle piccole e medie
aziende ma anche alcuni politici di estrazione socialista e che erano alla ricerca di una nuova linea
politica dopo la dissoluzione del partito del garofano16.

L’influenza di Craxi sulla politica italiana attuale è percettibile tuttora, nonostante i fallimenti delle
riforme politiche ed economiche attuate durante il suo periodo come Presidente del Consiglio, poiché
è riuscita a lasciare un impatto su alcune caratteristiche della politica italiana che prima della sua
ascesa politica erano state a margini della discussione, come il ruolo della leadership e del capo
carismatico, sul fare e produrre politica, la comunicazione con l’elettorato, i rapporti fra il leader e il
proprio partito di riferimento e la definizione di una cultura politica non solo con la diffusione delle
proprie idee ma anche attraverso il contrasto con le potenze culturali egemoni; malgrado la sua
parabola politica abbia avuto una durata inferiore rispetto a quella di molti suoi colleghi, non si può
negare che Bettino Craxi abbia lasciato un marchio indelebile sulla storia della politica italiana
repubblicana.
15
Di fronte alle critiche spesso a lui rivolte dagli imprenditori e dai membri di Confindustria, Berlusconi rispondeva che
ha sempre difeso <<i valori di liberalismo e di antistatalismo che sono propri di ciascun vero imprenditore>>. Cfr.
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/03/09/berlusconi-industriali-ingrati.html
16
Uno dei casi più celebri è probabilmente quello di Fabrizio Cicchitto, un politico socialista appartenente alla corrente
più vicina al marxismo del PSI che spesso si dimostrò molto critico nei confronti dell’azione politica di Bettino Craxi (in
particolare durante la celebre querelle sul taglio della scala mobile). Dopo essere stato membro di qualche partito
nato durante la “diaspora socialista” degli anni ’90, Cicchitto entrò a far parte dei ranghi di Forza Italia nel 1999. Cfr.
https://www.ilpost.it/2013/10/02/fabrizio-cicchitto
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- Il Post, Chi era Bettino Craxi, https://www.ilpost.it/2020/01/19/bettino-craxi
- Il Post, Breve storia di Fabrizio Cicchitto, 2 ottobre 2013,
https://www.ilpost.it/2013/10/02/fabrizio-cicchitto
-Treccani, Enciclopedia online, https://www.treccani.it/enciclopedia/pierre-joseph-proudhon
- Fondazione Carlo Donat-Cattin, “Centenario di Carlo Donat-Cattin: le battaglie contro il PCI, il
rispetto di Amendola e di Bertinotti, la svolta del Preambolo”,
http://www.fondazionedonatcattin.it/?page_id=2621

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