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La storia del Regno d’Italia agli inizi del Novecento vede la presenza decisiva di una figura
politica sopra le altre: quella di Giovanni Giolitti.
Egli è ministro dell’Interno nel gabinetto Zanardelli (1901-1903), poi presidente del
Consiglio quasi ininterrottamente dal 1903 al 1914 (1903-05, 1906-09, 1911-13).
Ma, per la sua influenza preponderante nel ministero Zanardelli e per la grande
autorevolezza di cui gode in Parlamento anche quando non è al governo, egli esercita
un’effettiva egemonia durante il primo quindicennio del ‘900.
Nel 1903 Giolitti propone a Filippo Turati de partito socialista di entrare a far parte del
governo. Turati rifiuta perché il partito socialista non voleva collaborare con un governo
borghese. Giolitti però trova sostegno tra i socialisti.
A causa del divario tra Nord e Sud e la diversa politica di Giolitti, si parla di politica dal
doppio volto. Per il Nord Giolitti è progressista, moderno. Per il Sud è uguale ai suoi
predecessori, cioè pur di avere voti ricorre ad intimidazioni e brogli elettorali.
POLITICA ESTERA
Nel 1911 viene decisa l’occupazione della Libia. La Libia sembra essere la terra promessa
come soluzione dei problemi economico-sociali. Gli intellettuali italiani si lasciano
coinvolgere dallo spirito imperialista d’Europa.
In realtà la Libia non è un Paese ricco (uno “scatolone di sabbia”, come nel 1911 la definì
Gaetano Salvemini), però il 20 settembre del 1911 l’Italia dichiara guerra alla Libia. La
conquista è dura.
La Libia apparteneva all’impero ottomano. I Turchi che si oppongono agli Italiani, che
sono costretti ad occupare altri territori turchi (l’isola di Rodi e le 12 isole del Dodecaneso)
per costringere i Turchi a ritirarsi.
La guerra finisce l’11 ottobre del 1912 con la Pace di Losanna. La Libia è colonia italiana. Il
sultano turco rimane il capo religioso.
I CATTOLICI
I cattolici si sono autoesclusi dalla politica italiana: papa Pio IX aveva vietato loro sia di
votare che di farsi eleggere.
Giolitti riavvicina i cattolici alla politica, stipula accordi con il leader delle associazioni
cattoliche (Ottorino Gentiloni), da cui nel 1913 nasce il Patto Gentiloni.
Con questo patto si attenua il “non expedit” di Pio IX: i cattolici ufficialmente possono
essere candidati alle elezioni, ma senza formare lista o partiti cattolici.
Essi si impegnano a votare per quei candidati liberali che si dichiarino contrari
all’istituzione del divorzio e all’abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole
pubbliche.
Giolitti termina i suoi mandati nel ’14 e lascia il governo ad Antonio Salandra, esponente
delle destre. Non potrà ritornare al governo se non nel 1920 per un breve periodo.
Giolitti, sia all’epoca che oggi, lo ritengono responsabile di una politica conservatrice, inerte
di fronte ai gravi problemi sociali e fortemente ambigua.
Il declino di Giolitti comunque non dipese dalle recriminazioni dei suoi avversari, ma
piuttosto dall’esaurimento della favorevole congiuntura economica interna ed
internazionale.
Egli mostrò tuttavia modernità di idee ed una grande capacità di analisi della realtà: ad
esempio comprese leggi economiche non conosciute ai suoi tempi e capì che il potere si
può mantenere solo basandosi su di un vasto e differenziato consenso.
D’altra parte, la grande importanza che la politica di Giolitti ha avuto ad inizio secolo si
può dedurre dal termine con cui gli storici definiscono il periodo del suo governo: età
giolittiana.