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LA GERUSALEMME PERDUTA
I luoghi misteriosi dove s'incontrano le religioni di occidente e di oriente
La Gerusalemme Perduta
Seimila chilometri in tre mesi, un viaggio
emozionante dall'Italia al sepolcro di Cristo
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Che notte. Le stelle fanno una curva lunga sulla Moschea della
roccia, luogo santissimo dell'Islam, del Giudaismo e della
Cristianità, e l'ombra della cupola pare un'astronave persa nelle
galassie. Nel quartiere musulmano la civetta ripete il suo grido
metallico, quasi ultraterreno. Nella cattedrale di San Giacomo si
alza un canto veloce, tenebroso, inconfondibile. Sono gli armeni,
in fuga da millenni col Libro sotto braccio. Pregano come soldati,
mentre la Luna penetra dal lucernario e taglia con un raggio blu
l'aria piena d'incenso.
La minaccia dell'Islam? C' è dell'altro. Il nazionalismo, per
cominciare. Nel 2004, un centinaio di chiese serbe in Kosovo
sono state date alle fiamme da albanesi (musulmani ma anche
cattolici) impregnati di filo-americanismo e coccolati dalla Nato.
Un secolo fa, i bulgari ortodossi hanno distrutto i monasteri greci
del Nord con più ferocia degli ottomani. E i turchi hanno
massacrato greci, armeni e siriaci solo durante l'agonia
dell'impero, quando Ataturk si avviava a bandire alfabeto arabo,
velo e barbe, mettendo in riga gli imam.
E poi, l'indifferenza. In Cappadocia i visitatori europei
arrostiscono spiedini nelle chiese rupestri senza nemmeno
chiedersi come mai, in una terra intrisa di storia cristiana, non ci
sia più un solo cristiano. Non un siriaco, un armeno, un greco.
Come se tutto fosse finito da ottanta secoli, non da ottant' anni. E
qui a Gerusalemme, guardando turisti in bermuda parlare al
telefonino davanti alla tomba di Cristo come fossero a
Disneyland, ho pensato al tramonto dell'Occidente.
Incredibilmente, in questo disastro, i cristiani hanno tempo per
farsi la guerra. Persino nel Sepolcro, è uno scontro di processioni
e cori; uno strepito che solo l'organo cattolico sa far tacere,
sparando la cannonata finale. "Una volta era peggio - scherza
Michele Piccirillo, mitico francescano scopritore dei più bei
mosaici di Terrasanta - i cattolici buttavano pepe in polvere dalle
balaustre sui greci che cantavano di sotto, per farli starnutire".
La ruggine è così antica che, per evitare risse, le chiavi del tempio
sono da secoli in mano a un musulmano. Siamo divisi in ventidue
confessioni. Ebbene, persino in ciascuna esse regna la discordia.
Tutte ballano sull'abisso. I russi si sbranano fra anticomunisti e
non, si lanciano accuse di furto, corruzione, droga. Le lobby
cattoliche si fanno guerra per i miliardi del turismo religioso. I
greci hanno quasi linciato il loro patriarca che aveva venduto agli
ebrei terreni nella città vecchia. Gerusalemme può essere una
gabbia di folli.
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(1 agosto 2005)
CAPITOLO 2:
"Le chiedo una sola cosa: non faccia il mio nome. Mi chiami il
Monaco, e basta. E ora venga, scendiamo nel sotterraneo".
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Il Monaco racconta. Nel 1100 i crociati vollero quella
riproduzione per vincere la nostalgia della tomba autentica,
l'ombelico del mondo cristiano. La vollero, guarda caso, in un
altro ombelico: il foro, il simbolo della Civitas, all'incrocio delle
grandi strade romane, Cardo e Decumano. Due segni della croce
sovrapposti. Una coincidenza non casuale. Indica una parete in
penombra: "Quello è l'ambulacro, anche nella città santa ne
troverà uno così. E la tomba è lì in fondo. Lì, nel Seicento, San
Carlo Borromeo si chiudeva in digiuno e preghiera, da solo. Se
guarda bene, lo può vedere ancora, oltre la grata, accanto al
sarcofago".
E' vero. C'è un uomo chino su una tomba. Sta fra quattro colonne
collegate da robusti tramezzi in ferro, in uno spazio rettangolare
più basso di un metro rispetto al pavimento romano. E' una statua
seicentesca, illusionismo barocco puro. Il cancello è aperto, il
lucchetto ha la chiave sopra, come se l'uomo fosse entrato un
minuto prima. Lo avvicini di spalle, e per guardarlo bene in faccia
non basta la luce fioca di una lampadina. Serve un cero acceso. E
la fiamma subito movimenta e approfondisce le ombre del vestito
cardinalizio. Rendendo la verosimiglianza ancora più
impressionante.
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La carta dice anche altro. A due passi dal Sepolcro c'è la Zecca,
poco in là Piazza Affari. Banche dappertutto. Come mai Religione
e danaro si sovrappongono in modo così totale proprio qui? Che
c'entra Dio con la Milano dei danè? Torniamo alla Biblioteca,
muro perimetrale esterno, lato Nordovest. Se ne diparte una via
ortogonale, che costeggia la Banca d'Italia: via della Moneta.
"Questa strada esiste da duemila anni. E prima della banca c'era
un tempio, a Giunone Moneta". Un altro sfondamento prospettico.
"Denaro viene dall'aramaico "din", che significa religione. Ma
"religione" è un concetto che non ha poco a che fare con la fede,
esiste solo nel Mediterraneo antico. Vuol dire regola, unità di
misura, elemento commerciabile. E di riflesso anche denaro".
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Sento che fare questo viaggio sarà niente rispetto alla fatica di
scriverlo. Sbarco sul molo abbacinante di luce. E il convento,
accanto alla chiesa, pare già un'Arca di Noé che salva dal grande
nulla della terraferma.
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Sapevo che gli ebrei fossero erranti; non sapevo che errassero le
sinagoghe. Ignoravo che queste fossero capaci di traversare mari,
volare da un continente all'altro con rotoli di preghiera, arredi e
rabbini, come in un quadro di Chagall. E invece succede, le
sinagoghe volano. Lo scopro nel Ghetto di Venezia, il padre di
tutti i ghetti (il nome viene da una vecchia fonderia, il "getto")
dove uno studioso della Serenissima mi narra questa fantastica
storia.
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© MONIKA BULAJ
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"Non c'è russo che non sappia trovare Bari sulla carta geografica"
gongola Giovanni il priore, trentenne domenicano, col sorriso
smagliante dei commessi viaggiatori d'una volta. "A Mosca mi
conoscono più che a Roma, un giorno mi hanno fermato per
strada perché mi avevano visto in Tv". Sa benissimo di gestire un
posto unico al mondo. Il solo dove cattolici e ortodossi coabitano,
dividendosi il tempo con precisione condominiale.
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Stelle, umidità sul ponte. Non c'è nessun Camino de Santiago che
valga questo andare dall'altra parte, verso la Terra dello scontro
che però è la stessa dove gli ebrei non hanno conosciuto Olocausti
e dove, fino a ieri, i cristiani hanno tenuto le posizioni nonostante
infinite guerre. Oggi si guarda a Occidente. Ma che c'è oltre
Santiago, se non il nulla dell'Oceano? "A Oriente invece - ghigna
Ovadia - c'è l'intuizione pazzesca di Abramo, quella di un Dio
unico di fronte al quale tutti sono egualmente stranieri, dunque
fratelli...".
"Ma lo sai che cos'è il Giubileo? Non è solo festa grande. E'
azzeramento di tutto, ridistribuzione delle proprietà,
riconoscimento che la terra la possono lavorare i residenti ma
anche i forestieri... E' questo che dice Dio ad Abramo".
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La guerra può essere anche acustica. Chi perde, tace. Chi vince, fa
rumore. Attorno a Sveti Jovan Bigorski, per esempio, un idillico
monastero in Macedonia (lì intorno si è girato "Prima della
pioggia", film-simbolo della maledizione balcanica), gli albanesi
hanno piazzato altoparlanti da stadio, e appena i frati vanno a
dormire, li massacrano di decibel. Non preghiere del muezzin.
Rock duro per spaccare i timpani. Gli albanesi hanno una
religione sola: l'Albania.
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Profumo di legna, rumore del fiume, il cielo rischiara. Decine di
ombre traversano il chiostro per la funzione. Monaci, neri e
barbuti come briganti, alti come giocatori di basket. Teodosij il
priore, severo, di pelo grigio. Ksenofont e Andrej, due visi da
"Signore degli Anelli". Sava, il vice-priore, col biondo codino.
Avvakum, taciturno, un sorriso da gnomo. Abitano un mondo di
tagliagole, ma emanano una mitezza da boscaioli.
Nella chiesa una luce azzurra crea un effetto lanterna magica sulle
pareti affollate di santi, immagini vecchie di sei secoli. Pie donne,
profughe dai villaggi, si inchinano davanti a un sarcofago posto su
due supporti di pietra, gli strisciano sotto carponi. E' la tomba di
Stefano di Decani, con dentro un terribile segreto. Fu accecato dal
padre, poi assassinato dal figlio. In Oriente è facile trovare tracce
di turpitudini nei luoghi più idillici. Sbudellamenti,
defenestrazioni, gente impalata, evirata. Forse non esiste pace
senza il sangue del martirio.
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Si parla del Turco, che fu signore dei Balcani. Del suo pugno di
ferro. Ma i monaci ci spiazzano: "Gli Ottomani? Ci davano scorta
armata, come voi italiani". La scorta contro chi? "I signorotti
albanesi". Già, ma al Sultano che importava di voi? "Avevamo un
segreto. Allevavamo i falchi da caccia per la corte di Istanbul".
Straordinario. Viva i falchi, penso, riapriamo l'allevamento. E
viva gli imperi, casa comune dei popoli. Viva gli Ottomani, viva
gli Asburgo. Abbasso le nazioni, regressioni infantili delle
culture.
Dal fondovalle piove l'ultima luce, purissima. La chiamano
"Sviete Tihi", luce silente. Poi, appena il sole scende dietro le
montagne, la valle ha un brivido, si riempie di vento e odore di
neve. Le donne apparecchiano, dalle cucine arriva profumo di
pane. Sul tavolo niente carne: nella terra delle grigliate, il
monastero è vegetariano. Patate fritte, un paté di melanzane
chiamato Ajvar, olive, formaggio di capra, vino, uova strapazzate,
scalogno. E già si preparano dolcetti e caffè.
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Sento dire che l'Onu se ne andrà da queste terre già nel 2006 e che
l'Italia vuole restare in Afghanistan per altri dieci anni. Pare che
l'idea sia degli stessi partiti che ci asfissiano con le "radici
cristiane" dell'Europa. Già due anni fa qualcuno da Roma aveva
dato ordine di allentare la sorveglianze ai monasteri in Kosovo, e
l'ordine fu revocato in extremis solo grazie all'indignazione di un
funzionario Onu che avvertì la stampa by-passando la politica.
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Esce la luna, il vento cala, nella valle resta solo il rumore del
fiume, si tira tardi chiacchierando sul loggiato. E' tutto così
semplice: se i nostri se ne vanno, non ci sarà più cristianesimo in
quell'angolo dei Balcani. Metto sul tavolo un bel cardo viola a
stelo lungo, trovato nel bosco: Andrej lo benedice, consiglia di
portarlo a Gerusalemme come portafortuna, facendolo essiccare a
testa in giù. Le pie donne sparecchiano, preparano la zuppa per il
piantone italiano che smonta. Avvakum gioca con la Brojanica, il
rosario nero a cento nodi.
Il pellegrino Ovadia s'imbarca in una discussione tosta su
ermeneutica e cabala. Ma ha filo da torcere, la barbuta masnada è
diabolicamente colta. Poco prima, ha trovato un frate lavandaio
che discettava di Tarkowski. Un ultimo grappino, ed ecco che le
ombre della notte ci regalano la visione finale. Una fila di
pellegrini italiani con bisacce, ceri accesi e bastoni da viaggio,
che escono dal bosco e bussano al portone, dopo aver traversato
mare e montagne solo per ritrovare Decani, perla dimenticata
sulla strada di Gerusalemme.
(7 agosto 2005)
CAPITOLO 8
I bulgari e i romani d'oriente
la frattura dello scisma non è saldata
In Grecia tra le gole dello Struma. Un obelisco ricorda i soldati dello zar
accecati
per ordine di Basilio II. "L'Islam? Prima devono parlarsi cattolici e ortodossi"
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Moni parte a caccia di libri sefarditi per uno spettacolo che sogna
di fare da sempre, ma da sempre rinvia, prigioniero com'è del suo
personaggio yiddish. Il Mediterraneo preme nella sua anima
bulgara. "Pensa - sussurra - allo sgomento di questi ebrei del Sud,
figli della cultura del sole, che non andarono solo nell'abisso della
morte, ma anche nel mondo dell'ombra, sotto cieli sempre più
bassi...".
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Ecco, ora nessuno sorride più. Le icone sono portate fuori, infilate
su aste e piantate una accanto all'altra su un tavolo lungo, alto e
stretto, munito di appositi buchi. La gente arriva da ogni parte con
vino, dolci, ex voto, cesti decorati di trine. Il capo della
cerimonia, il vecchio Panaiotis, alimenta l'incenso, senza mai
smettere di fumare. Sofia, un'ateniese, guarda estatica il cielo.
Giuro a me stesso che non svelerò il nome di questo luogo; questa
gente non si merita ficcanaso intorno. Le sante immagini sono
tolte dal tavolo, bagnate nell'acqua. Ora tutti ripetono
freneticamente il segno della croce. Infiorano di rosso anche il
toro, gli mettono un mazzetto di maggiorana sulla testa. Il
momento arriva.
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Eppure che strano. Non c'è nulla che preluda al sangue. Il clima è
da briscola e scampagnata; i bambini si rincorrono, le mamme li
lasciano fare; Panaiotis sorride con la cicca di traverso. L'assenza
di formalità è tale che non capisci dove stia il sacro. C'è solo una
tranquilla ripetizione di gesti, e la consapevolezza - altrettanto
tranquilla - che quei gesti servono a garantire la continuità del
mondo.
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Penso alla badessa invisibile, che prega e dorme nel buio come la
madonna nera in una cripta. Mi chiedo: anche ammesso che riesca
a capire questo posto, come farò a farmi capire?
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Tutto è cominciato per caso, due anni fa, in una piccola "tekke"
(luogo di preghiera) di Istanbul, frequentata da mistici Sufi legati
a Mevlana. Per entrarci, avevo ottenuto un viatico da Gabriel
Mandel Khan, un affascinante turco-afghano padrone di dieci
lingue, grande padre in Italia di un'importante confraternita Sufi,
gli Halveti. Quando bussai, Ibrahim Baba, un vecchio
veneratissimo, m'accolse come un figlio e disse: "Il nostro nome
viene da Halva, ritiro, perché il nostro sceicco, il capo prescelto,
deve ritirarsi per 40 giorni in una stanza senza finestre, con solo
un buco per ricevere il cibo". E mi fece sedere alla turca a un
tavolo rotondo, a due passi dai maggiorenti della santa congrega.
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Così fui ammesso alla preghiera, che durò cinque ore, fino a notte
fonda. Ero l'unico cristiano presente. Cominciò con uomini
schierati in file diagonali, rivolti alla Mecca. L'angolo tra quella
direzione e l'asse della moschea diceva forse che l'edificio era
stato una chiesa. Partì un flauto, poi un canto, un ritmo nomade,
regolare come un metronomo, costruito attorno a una nota unica
di fondo. Lo guidava un cieco dalla voce purissima, che restava
sospesa nell'aria come un grido nel deserto. Quel cieco cantava
come se Qualcuno abitasse in lui.
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Mica lo sanno gli italiani che una volta, alla fine dell'impero, il
mondo era alla rovescia: la Turchia risplendeva di cristianesimo e
noi eravamo terra pagana. Allora, Roma era una succursale
periferica della nuova fede nata a Oriente, e posti come le Alpi
erano così irriducibilmente attaccati agli dei antichi, da portarsi
dietro fino all'oggi una fama brigantesca. A Trento, per esempio,
dicono che quelli della Val di Non sono "Brusamadonne". I
montanari carnici, pure loro, gente "cence dio e cence madone",
cioé senza né dio né madonna. I biellesi neanche parlarne, dopo la
rivolta di Dolcino.
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Sera nella città vecchia, partita di pallone tra bambini nel cortile
della chiesa dei siri. C'è una rissa a fondo campo, i genitori
intervengono, c'è qualche spintone. I piccoli urlano come
tarantolati, ma la loro lingua non è turco né arabo. Troppo poche
le "h" aspirate, e le vocali dure sono assenti. C'è semmai qualcosa
che ricorda l'ebraico. Chiedo all'arciprete di tradurre. "Vuol dire
puttana tua madre, sei più deficiente di un cammello, e altre
amenità". In che lingua, gli domando. E lui: "Aramaico".
Aramaico? La lingua di Cristo? Certo. Di Cristo e dei siri, che un
tempo erano gli assiri della Mezzaluna fertile.
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Si chiama Azis, e deve andare al suo paese, Mar Jakup, cioè San
Giacomo. E' l'unico cristiano rimasto. Gli altri sono curdi, i nipoti
di quelli che eseguirono materialmente le stragi novant'anni fa,
"Oggi - spiega - c'è intesa perfetta". Quando gli dico che vado a
Han, ammutolisce, gli occhi gli si riempiono di lacrime. Chiede:
"Posso venire con lei?". Così eccoci in due, verso il cuore di Tur
Abdin. A ogni tornante è un Eden che si dischiude, ogni isoipsa è
un pastino di frutteti. Nubi basse a Est, sole a Ovest, due
arcobaleni nel cielo nero, passeri fermi a mezz'aria controvento.
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Preparo il sacco per Antiochia, scendo in cucina per colazione, le
pie donne raccontano del deserto della cristianità che le circonda.
Rachele e Rinaldina non si sono mosse quasi mai da Iskenderun,
mi chiedono di mandar loro gli appunti di viaggio via mail.
Hanno sete di conoscere, seguono i miei racconti sull'ultimo
Oriente come due bambine che ascoltano una fiaba. Chi invece
viaggia in modo pazzesco è padre Roberto Ferrari, un francescano
ottantenne ipercinetico e asciutto come un ballerino di tango.
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"Guardalo bene, come fai a non fidarti di una faccia così?". Nella
sua stanza disadorna in una baracca col tetto in lamiera, Maria
guarda dolcemente la sua icona di Cristo. Non è un prezioso
dipinto in cornice d'argento. E' un ritaglio di giornale vecchio di
vent'anni, appeso al muro sopra il letto. Poco lontano, un
orsacchiotto di peluche. Con Gesù Maria parla continuamente; ha
più di ottant'anni - è nata non sa nemmeno lei quando - capelli
nerissimi e una serenità contagiosa. S'è fatta battezzare da vecchia
da padre Domenico e quel Cristo bizantino è il suo unico amico.
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Aleppo è una Polinesia del cristianesimo. Non dipende solo
dall'antica discendenza aramaica e cristiana della Siria. E' che la
città-bazar tra le più favolose d'Oriente, è anche la più vicina alla
Turchia ed è diventata per questo il rifugio dei cristiani cacciati in
massa dai signori di Istanbul. Antiochia per esempio, la città dove
è nato il cristianesimo, ha cinque patriarchi, ma nessuno di essi ci
vive. Sono tutti all'estero, e tre su cinque stanno ad Aleppo.
Caldei, greci, armeni, siriaci, cattolici, ortodossi, nestoriani. I resti
di un mondo plurale da sempre diviso, illuminato da roghi,
terremotato da eresie, scomuniche, fanatismi e guerre dottrinali,
qui si ritrova unito in esilio, in una miracolosa polifonia della
fede.
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I turisti occidentali viaggiano
solo in branco, hanno paura di
chissà che cosa. Mi accorgo che
sono l'unico straniero che si
muove da solo. Davanti alla
chiesa dei siro-ortodossi trovo
tre italiani spaventatissimi - due
uomini e una donna - guidati da
un profeta pazzo annunciatore di
sventure. "Pregate che l'ora è
vicina, nessuno ci crede ma la parola di Dio si compirà, nemmeno
Sodoma e Gomorra ci credevano. In Siria se un cristiano da una
sberla a un musulmano va in galera, se un musulmano ammazza
un cristiano, non lo tocca nessuno".
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Verso le 11, in mezzo alla folla del suk, mi imbatto in un
serpentone candido di bambine in vestito da sposa, tutte riccioli,
fiocchi, angeliche alette dietro le scapole. Sono siro-cattoliche e
vanno cantando alla prima comunione in mezzo a nuvole di
incenso. Le seguo, è uno spettacolo da non perdere. Le bimbette,
sui sette-otto anni, hanno come scorta un servizio d'ordine di
scout e ragazze in divisa. Mica roba da oratorio come da noi: no,
tacchi alti e permanente per le femmine, vestito da Rambo per i
maschi.
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Non c'è coprifuoco la notte ad Aleppo. Il fiume di gente non si
ferma mai tra il centro, il bazar e la gigantesca fortezza araba
illuminata che pare uscita dal "Signore degli Anelli". Il glorioso
hotel Baron, dove passarono Churchill e Lawrence d'Arabia, è
diventato un costoso rudere per orfani dell'Orient Express, e dopo
mezzanotte, viste le imposte fatiscenti e il caldo, è difficile
convivere con le urla dei gatti e la puzza delle immondizie che si
ammonticchiano sul retro. Così non ti resta che uscire e inseguire
il sogno di una birra.
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"Sono di Grénoble e ho viaggiato molto fin dall'adolescenza per
dare un senso alla vita. Cristo? Non l'ho mai cercato, è stato lui a
trovare me. E' cominciato a vent'anni, facevo il taglialegna in
Alsazia, e un giorno, girando a suonare la chitarra nei paesi come
un "troubadour", trovai monete in una fontana e le rubai. Ero al
verde. Dopo un po' cominciai a sentirmi male, non era solo la
vergogna, era qualcosa di molto più forte.
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Lampeggia, scendiamo al monastero sotto il diluvio, Frédéric urla
nel vento, impossibile sentirsi altrimenti. "Il senso di quest'acqua
benedetta è nella sete che l'ha preceduta! Per questo ho cercato il
deserto! La sete del corpo aiuta a capire quella di Dio!". Il
francese si lascia inzuppare con gioia, cerca apposta le
pozzanghere con i sandali. "La fede è desiderio, e il desiderio
passa attraverso il corpo! Il mondo occidentale ha ucciso il
desiderio ingozzando il nostro corpo!". Arriviamo sotto il
monastero, un quadrilatero di muraglie vecchio di mille anni,
quasi tibetano, accessibile solo da un buco alto un metro, fatto
apposta per tener lontani i briganti. Non ce lo vedo un Papa che si
mette gattoni per entrare qui dentro. Deir Mar Musa è un posto
per duri.
***
Il cielo si pulisce, diventa madreperla, e verso il deserto si apre un
doppio arcobaleno. L'acqua della valle canta dopo la grande
pioggia, l'ouadi è ridiventato torrente. Fa un freddo becco, ma c'è
il vento; i monaci portano la biancheria ad asciugare, centinaia di
lenzuola si gonfiano come vele, il monastero pare un brigantino in
navigazione sotto le stelle. Dalla cucina arriva profumo di
zucchine e pane, nella piccola chiesa - sotto gli affreschi di
Sant'Elia, San Paolo e di Cristo Pantokrator - si officia la messa
del vespero, col rito siro-ortodosso in lingua araba. La parola più
insistente è "Nur", luce. Poi, un canto: "Leila al illa, la illallah",
c'è un solo dio, è la stessa preghiera dei musulmani, ma priva
della seconda parte: "e Maometto è il suo profeta". Chissà cosa
direbbe di tutto questo il Santo Uffizio a Roma.
©MONIKA BULAJ
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Boris Nikolajevic Aradov compare allora. Entrando dal chiostro
pieno di luce, all'inizio è solo un'ombra con un'aureola. La barba
gli splende d'argento, ha braccia sono lunghe, ieratiche, le mani
da contadino. Ma ecco che si avvicina a un'icona in punta dei
piedi, si prostra, tocca il pavimento, poi si inarca all'indietro, alza
gli occhi chiusi al soffitto e, con un gesto rotondo simile a quello
del seminatore di grano, porta sulla fronte la mano chiusa alla
maniera ortodossa, col pollice contro la punta delle altre dita. E'
solo il primo dei quattro gesti del segno della croce. M'accorgo
che noi occidentali, al confronto, disegniamo il Padre-Figlio-
Spirito Santo con una rigidezza da soldati.
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Il monastero di Seydnaya -
dedicato alla Madonna - è un
piccolo Cremlino nel deserto. Le
sue cupole d'oro sovrastano il
villaggio arabo come meringhe,
il suo interno ospita mosaici con
l'effigie di Giustiniano e
Teodora, trionfi di penombre e
candelabri fiammeggianti,
monache con vesti nere che
sembrano chador, canti stupendi
sospesi nell'aria. Duro da digerire un posto simile, per chi urla
allo scontro fra Cristo e Maometto. A Seydnaya vengono anche
donne musulmane, a chiedere a Maria la benedizione di far figli.
Ma che cos'è, questa coabitazione di Russia e deserto se non
Bisanzio? Da dove se non da Bisanzio - la seconda Roma - a'
venuta l'anima di Mosca, la Terza Roma?
***
Ma ecco il primo pellegrino di area cattolica, in un angolo del
monastero, che tira il fiato su una terrazza verso il tramonto. Si
chiama Gérard, è francese e viene a piedi dalla Dordogna, una
delle culle del monachesimo occidentale. Come Boris è tostato
dal sole, segnato da rughe, ha i capelli d'argento. Per il resto,
viene da un altro pianeta. "Je suis pas un pélérin", non sono un
pellegrino, spiega a scanso di equivoci. "La mia è una camminata
mistica e culturale, non vado a caccia di luoghi santi, mi basta la
gioia di svegliarmi al mattino". Ma poi l'Invisibile ci mette le
coda: "Mia moglie è morta da poco, faccio questo viaggio per
ritrovarla. E per riconquistarla spiritualmente".
Il cruscotto psichedelico di
Ahmed buca la notte verso
Damasco, incrocia camion
sauditi illuminati come alberi di
natale, affianca un serpente di
luci con le prime targhe
irachene, si riempie di musica
carovaniera, supera un grande
cartello azzurro con la scritta
Baghdad, mi spinge in un
dormiveglia popolato di raffinerie illuminate (il Kuweit?), donne
misteriose (Aleppo?) e canneti nel vento (Nassiriya?) verso il
Golfo Persico. E' un vero califfo Ahmed il tassista. Pacioso e
debordante, con in bocca sempre la stessa, fondamentale parola-
chiave: "No problem". Sul sedile posteriore uno scatolone di
biscotti, il narghilé, una scorta di bottiglie d'acqua, una coperta
per dormire.
***
Il primo segnale parte nitido, poi un secondo, un terzo, un quarto
rompono definitivamente il silenzio. Non è più la voce
preregistrata che esce in simultanea dai minareti turchi. Quella dei
muezzin siriani è un'anarchia polifonica totale. Richiami striduli,
baritonali, rauchi, lenti, nasali, profondi oppure bassi come quelli
di un pope. Un'onda sonora ramificata che invade il labirinto con
la prima luce del sole e ti conduce verso la grande meta, la
moschea degli Omeiadi. Un magnete della fede, nel cuore del
bazar.
***
Un antiquario tenta di accalappiarmi chiedendomi da dove vengo.
Sì chiama Josef, parla anche l'italiano ed è siro-cattolico. "Noi di
Damasco - si vanta - siamo diventati cristiani prima di San
Paolo". Mi invita nella bottega; dalla terrazza al terzo piano,
spiega, potrò vedere tutta la città. Saliamo una scala a chiocciola,
sbuchiamo in un negozio ingombro di oggetti. "Ecco - dice - da
questa parte hai i tessuti dei musulmani. Qui i legni intarsiati dei
cristiani. E qui gli ottoni fatti dagli ebrei". In tre pareti, le tre
religioni del Libro sotto forma di suppellettili.
Una corriera
nella valle del Giordano
***
Tramonta sulle cupole dorate di Màdaba, ultima isola cristiana
prima del confine d'Israele. Nella chiesa greca di San Ghiorgos tre
uomini si rimandano, in arabo, note pazzescamente basse. Di
nuovo quel mix di Russia e Mediterraneo che svela il marchio
millenario di Bisanzio prima delle dominazioni islamiche. Due
agenti passeggiano chiacchierando col mitra a tracolla, mi aiutano
a cercare un Internet point, mi indicano persino un locale con la
birra. La balconata sul Giordano (un salto in basso di mille metri)
è vicinissima, lo senti dalle correnti d'aria e dalle prime luci che
brillano sui colli nel cielo color pesca.
Dal barbiere trovo due italiani nel sapone fino agli occhi. Si
occupano di beni culturali e vanno in un luogo che ho appena
conosciuto, il monastero di Mar Musa, per monitorarne gli
affreschi. Domenico si specializza in conservazione dell'arte,
Gaetano è laureando, e con tutto quel candido morbidume sul
mento paiono i santi Basilio e Crisostomo. La conversazione che
si svolge attraverso lo specchio, tra il mio divano e le loro
seggiole da dentista, viaggia su temi off-limits sotto la
supervisione cerimoniosa del barbiere. Si parla delle allucinazioni
e degli incubi che popolavano le notti degli eremiti; o dell'idea di
Purgatorio, nata solo nel Medioevo, che l'Alighieri raccontò tra i
primi.
***
I muezzin mi svegliano con le stelle, è un'onda acustica che arriva
dalla valle dell'Indo, galoppa sui fusi orari, si moltiplica di
minareto in minareto come i richiami dei galli, sbatte contro la
muraglia del Giordano, si arrampica fino a Gerusalemme. Il senso
di accerchiamento di Israele lo senti già da quest'onda che sorvola
Una bambina di 7 anni
sorveglia le pecore
Aspetto che il sole sorga sulla Terra Promessa. Nedal e Rafat, due
poliziotti di frontiera in mimetica blu, incontrati per caso, mi
accompagnano nella brughiera, preoccupati che finisca su un
campo minato. In alto, un jet scende in silenzio verso Amman, in
basso un'upupa vola a saltelli nella direzione opposta.
Gerusalemme luccica sul crinale di fronte, il cielo è nitido, la
grande pioggia fuori stagione che due giorni fa ha innevato il
Monte Libano, ha ripulito l'aria. Non poteva andar meglio.
Quando sogni la valle del Giordano, è con un cielo simile.
***
Il Giordano non c'è più, è un rigagnolo lento e fangoso, l'hanno
svenato e gli hanno rubato l'anima. Conosco il procedimento.
Funziona ovunque allo stesso modo. Proclami sacro un fiume, lo
decori con cartelli e musei, poi lo intubi, lo inquini e lo disidrati. I
fascisti hanno messo monumenti alla Patria sul Piave, poi l'hanno
ridotto a un deserto di ghiaie. La Padania ha nominato Dio il Po,
poi ci ha rovesciato il doppio dei veleni. Non parliamo dei russi
con il favoloso Oxiana, ucciso dalla piantagioni di cotone.
Qui non conta nemmeno Cristo, nei frutteti sulle due rive vedi alti
zampilli che vaporizzano nell'aria rovente già prima di cadere a
terra. Giordania e Israele non si scambiano colpi da fuoco ma
sono in guerra per l'acqua. E c'è di peggio: i fili spinati della
frontiera. Il luogo del battesimo è già crocefissione, una corona di
spine anziché un nascimento. Vicino alla "no man's land" trovo
profughi iracheni parcheggiati qui dai tempi della prima guerra
del Golfo e dell'embargo americano. Vendono arachidi sotto un
sole da paura. Molti sono cristiani, totalmente dimenticati
dall'Occidente. Non contano nulla i cristiani dell'Islam.
Che brutto posto. Un visitor center, un cartello con la scritta
"Bapitsm Site", canneti, fango secco, qualche resto archeologico,
uno shuttle dove ti guardano a vista, caldo da crepare, il
telefonino che fa "bip" ogni tre minuti per la guerra dell'etere fra
le due telefonie, israeliana e giordana. Poveri i pellegrini di una
volta: se tornassero non riconoscerebbero nulla. Magia finita.
Meglio prendersi un
tranquillante prima di entrare in
Israele per il ponte di Allenby, il
più tosto di tutti i confini. Non è
per i controlli, prevedibili con
l'aria che tira durante il ritiro dei
coloni dai Territori. È per la
mancanza di rispetto. Tutto
sembra lì per alzare la tensione, non per abbassarla: il
giovanissimo Rambo senza divisa che mastica gomma col mitra a
ciondoloni, tenuto con civetteria; la coda sotto il sole di mamme
con bambini; la soldatessa ventenne che sfoglia il passaporto
come se toccasse un bavoso lumacone, per minuti, lasciandoti in
piedi in silenzio senza guardarti negli occhi.
***
Il vecchio mi invita a dormire a casa sua, accetto. È cristiano, me
lo dice solo dopo che gli ho detto sì. Chiede alla moglie, ai figli e
ai nipoti di lasciarci soli, poi, davanti a un piatto di ceci, comincia
a raccontare nella sera piena di grilli. "Hai visto cosa significa
vivere qui? Ti manca l'aria. Questa è la nostra vita da 40 anni.
Siamo nulla per gli ebrei perché siamo arabi". Chiedo: ma gli
arabi musulmani come vi trattano? "In Europa dite che c'è guerra
tra Islam e Cristianesimo. È falso. Vai a Gerusalemme e dimmi se
vedi guardie armate attorno al Sepolcro. Non ce ne sono, perché
non ce n'è alcun bisogno. Qui nessun musulmano attaccherà mai
una chiesa".
E allora? "Siamo troppo pochi. Non c'è futuro. Non c'è lavoro. Se
hai fatto l'università te ne vai. I migliori di noi l'hanno già fatto
nel '48. Se mia figlia volesse sposarsi con un palestinese d'Israele,
non potrebbe abitare da lui. La cristianità qui sta morendo, non si
faccia impressionare dagli incensi e dai pellegrini. A
Gerusalemme nessun patriarca ti dirà quanto grave è la situazione,
per quieto vivere. This is the battle of Jerusalem. Si lotta per ogni
metro di terreno e il grosso dei terreni in Città Vecchia è cristiano.
La pressione è bestiale, il patriarca greco ha dovuto cedere e
vendere, per essere riconosciuto. E quando i suoi l'hanno
scoperto, a pasqua, l'hanno quasi linciato".
***
***
Mentre aspetto il taxi mi accorgo che dalla gola arriva una puzza
tremenda. È il fiume. Scendo a vedere, ma non trovo acqua. C'è
uno scolo orripilante. Tutta la periferia di Betlemme sfoga lì
dentro, invelenisce di miasmi ogni minuto della santa vita
monacale. Non è un gran benvenuto nella città di Dio. Risalgo,
trovo il tassista nervosissimo, e capisco subito perché. È arabo
palestinese, ma ha targa israeliana, e intorno può esserci qualche
testa calda. Non ha paura di chi gli si avvicina, perché parla arabo
perfetto e la complicità scatta subito. Ha paura delle sassate che
possono arrivare da lontano.
Parliamo del ritiro dei coloni da Gaza, del muro di divisione con i
palestinesi. Forse tutto questo finirà. In fondo nel 1989, anche il
muro di Berlino sembrava eterno. Se il muro cade anche qui, se
gli togli questa gabbia agli ebrei, chi li tiene più, con l'anima
nomade che si ritrovano. Torneranno a frullare per il mondo. Con
o senza bussola.
***
Notte senza luna, ritorno al Sepolcro, la città vecchia s'è svuotata.
Non so più dove cercare la pace dopo la cacofonia del giorno.
C'era, penso, più armonia tra fedi a Sarajevo, prima che dei pazzi
la distruggessero invocando il Dio-nazione. Qui mi sembrano tutti
un po' matti. A Gerusalemme si diventa matti. C'è una sindrome
ben codificata dagli psichiatri. Le fedi monoteiste diventano fedi
monopoliste, in guerra per briciole di potere e terreni.
Sul tetto del tempio, sotto un cielo immenso pieno di stelle, c'è un
monaco etiope, Michael, avvolto in una coperta. È solo, legge le
Scritture senza bisogno di candela. Mi saluta con un'occhiata, mi
ha giù visto durante il giorno, poi torna a immergersi nella lettura.
Che nobiltà in quest'uomo. Ci siamo dimenticati che il fascismo,
in nome della razza italica, massacrò la sua gente, un altro popolo
cristiano, uno dei più antichi della Terra. I più poveri, anche, qui
nel Sepolcro di Cristo.