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La globalizzazione è un fenomeno di progressiva integrazione economica, politica e

culturale, animata dalla crescita economica e dallo sviluppo tecnologico. Dopo aver letto i
due documenti proposti il candidato sviluppi in un elaborato scritto le riflessioni e le
osservazioni che questi suggeriscono, insieme ad una analisi approfondita sul tema della
globalizzazione evidenziando: conseguenze negative, i rischi e potenzialità positive. Il tutto
riferimento alle proprie conoscenze disciplinari di scienze umane e alla propria esperienza
personale.
“Lo spettacolo del mondo globalizzato ci pone così davanti a una serie di contraddizioni che
hanno tutta l'apparenza della falsità. Contraddizione tra l’esistenza proclamata di uno spazio
planetario, aperto alla libera circolazione delle merci, delle persone e delle idee, e la realtà
di un mondo nel quale i più forti proteggono i propri interessi e la propria produzione; nel
quale i più poveri tentano, spesso invano e a costo della loro vita, di rifugiarsi nei paesi
ricchi, che li accolgono con il contagocce.”
(Marc Augé)
“Se la globalizzazione avrà successo, deve averlo tanto per i ricchi quanto per i poveri. Deve
essere portatrice non solo di ricchezza, ma anche di diritti. Deve portare non solo prosperità
economica e migliori comunicazioni, ma anche giustizia sociale ed equità.”
(Kofi Annan)
Con il termine globalizzazione si intende un fenomeno per cui mercati e produzione nei
diversi paesi sono sempre più interdipendenti, fino a diventare parte di un unico sistema
mondiale. Il suo esito è l’accorciamento delle distanze, la libera circolazione di informazioni,
merci e persone, e il superamento delle barriere internazionali, creando una sorta di
“villaggio globale” (McLuhan) a cui tutti apparteniamo e siamo tutti interconnessi.
I processi storici di riduzione delle distanze e di unificazione politica e culturale di civiltà
diverse non sono una novità nella storia universale (possiamo pensare infatti all’Impero
Romano) ma rispetto al passato l’attuale globalizzazione ha assunto dimensioni planetarie
con una fortissima intensità.
Il suo sviluppo ha presupposto alcuni eventi storici: la fine della contrapposizione politica del
mondo in due blocchi e della guerra fredda, la terza rivoluzione industriale, con la nascita di
nuovi sistemi produttivi con l’applicazione dell’informatica ai settori secondario e terziario,
l’evoluzione dei trasporti e delle comunicazioni.
La globalizzazione ha mostrato i suoi effetti in tre settori: l’economia, la politica e la cultura.
Negli ultimi decenni del XX si è assistito ad un’espansione a livello mondiale della
distribuzione dei prodotti cui si è affiancata una tendenza, da parte delle imprese, ad
allentare i legami con lo stato nazionale di appartenenza per diffondere la propria presenza
in diverse aree del mondo. Le multinazionali infatti, protagoniste di questa tendenza, sono
imprese che possiedono o controllano attività di produzione di beni o servizi in vari paesi del
mondo.
Un’altra caratteristica della globalizzazione economica è il fenomeno della delocalizzazione:
molte imprese trasferiscono parte della loro attività produttiva in paesi diversi da quello di
origine dove esistono condizioni economiche più vantaggiose.
Possiamo quindi dire che la globalizzazione ha aperto il mercato del lavoro: oggi i lavoratori
possono muoversi tra una frontiera e l’altra, trovare più occasioni, conoscere nuovi posti e
avanzare nella carriera o cogliere nuove opportunità di business. Proprio riguardo questo
ambito però, poiché le aziende vanno a impiantare stabilimenti e fabbriche dove la
manodopera costa meno, sono aumentate le condizioni di sfruttamento nei paesi di nuova
dislocazione e la perdita di posti di lavoro e manodopera qualificato nei paesi di origine.
Nel mondo globalizzato la presenza e l’esistenza degli Stati è temperato da una serie di
fenomeni in grado di ridimensionare il loro ruolo sulla scena mondiale.
Il modello di democrazia elaborato nell’Europa dell’illuminismo viene ormai recepito a livello
globale e viaggia insieme al modello economico capitalistico-borghese. Da un lato una serie
di paesi e realtà locali cercano di inserirsi nel processo generale per non rimanere esclusi
dai flussi mondiali. D’altra parte c’è chi rifiuta l’omologazione al modello politico occidentale:
è il caso dell’Isis che propone lo stato islamico a livello planetario. Coloro che rifiutano di far
parte del processo di globalizzazione rientrano nel fenomeno chiamato deglobalizzazione,
ovvero il contrapporsi ai modelli “ufficiali” del resto del mondo.
L’altro aspetto che assume la globalizzazione della politica è la nascita di uno spazio
pubblico transnazionale in cui vengono affrontate questioni di interesse collettivo che
richiedono l’intervento di organismi e istituzioni che trascendono le autorità statali. Nel 1945
nasce l’Unione Europea, sia per ragioni politiche, riuscendo a garantire la pace all’interno del
nostro continente, sia per ragioni economiche, allo scopo di favorire gli scambi intra-
continentali.
Oggi abbiamo anche le organizzazioni internazionali come ONU, OMS, FAO, UNICEF, che
affrontano problemi come la salute degli esseri umani, la sicurezza e la pace, la povertà e i
diritti umani, la tutela del pianeta (possiamo citare il Protcollo di Kyoto del 1997). Proprio
riguardo l’ambiente, la globalizzazione presenta un’arma a doppio taglio: i temi del
riscaldamento globale e della difesa del pianeta hanno avuto uno slancio grazie al mondo
globalizzato ma è proprio l’uso di tecnologie e pratiche devastanti, il cui impiego è richiesto
per incrementare la produttività e creare conseguente ricchezza, che genera effetti
devastanti. Si ha un maggiore consumo di materie prime e di energia e un aumento delle
emissioni liquide e gassose che provoca un’alterazione spesso irreversibile degli ecosistemi.
All’interno dell’opinione pubblica sono nate posizioni ostili che sono espresse da movimenti
antagonisti detti “no global”, che criticano sia la globalizzazione economica sia la politica
delle grandi multinazionali del mondo, dei governi più potenti e delle potenze economiche,
accusati di imporre una politica liberoscambista che arricchisce già i ricchi e mantiene in una
condizione di povertà, dipendenza economica (e di conseguenza politica) e sottosviluppo i
più poveri.
La dimensione della globalizzazione forse più familiare a tutti noi è però quella culturale:in
ogni parte del mondo le persone condividono conoscenze, consuetudini, norme e modelli
di comportamento, usi e costumi.
L'analisi della proliferazione su scala mondiale di catene di fast-food, parchi di divertimento,
club-vacanze, ecc., ha suggerito al sociologo Ritzer di identificare la globalizzazione con la
Mcdonaldizzazione, ovvero un processo di omologazione e spersonalizzazione che con i
suoi prodotti occupa un posto di primo piano nella cultura di massa. Ritzer è convinto che
essa non si limiti alla ristorazione ma sia ormai estesa "alla scuola, il mondo del lavoro, i
viaggi, l'alimentazione, la politica, la famiglia", ovvero ad ogni settore della società.
Gli osservatori anglosassoni degli scenari globali hanno preso le distanze da questa teoria:
Robertson e Appadurai usano il termine glocalizzazione per indicare il processo di fusione
tra globale e locale in cui le dinamiche economiche, politiche e culturali si sviluppano.
Sempre più, in campo antropologico-culturale, prevale la nozione di creolizzazione, con cui
si indica la sovrapposizione continua di elementi culturali di diversa provenienza. Oggi
abbiamo infatti il paradigma del multiculturalismo: la compresenza di culture diverse
all’interno della medesima società.
Luogo del multiculturalismo è la città. Città e migrazioni sono i due dei contesti più
emblematici della globalizzazione. Essa infatti non riguarda solo lo spostamento di merci e la
trasmissione di informazioni ma anche la migrazione di migliaia di persone che fuggono da
situazioni di pericolo, dalla mancanza di prospettive e si dirigono verso i paesi
industrializzati.
Potremmo considerare le migrazioni cause ed effetti della globalizzazione: tutto ciò che
quest'ultima implica (sviluppo di un'economia mondiale, liberalizzazione dei movimenti del
capitale, sviluppo delle telecomunicazioni di massa, più libera circolazione dei cittadini ecc.),
infatti, facilita e promuove l'emigrazione e, allo stesso tempo, esso è promosso e portato alle
estreme conseguenze da quest'ultima.
In questa prospettiva di multiculturalità e integrazione, ruolo importante investe la scuola che
non si trova solo a insegnare il valore delle culture diverse ma deve insegnare le discipline
proprie di ogni scuola a studenti provenienti da paesi diversi. Essa diventa quindi il luogo
centrale per sviluppare la convivenza civile tramite regole comuni e formare l’individuo alla
cittadinanza attiva.
La globalizzazione ha effetti decisivi anche sul modo in cui le persone vivono e percepiscono
la loro vita. Ognuno di noi ha la percezione che il mondo sia improvvisamente diventato “più
piccolo”, che la velocità con cui i mezzi di comunicazione ci informano degli eventi abbia di
colpo reso familiare ciò che un tempo era avvertito come estraneo o scarsamente rilevante
per la nostra esistenza. In questo contesto, le persone vivono anche un sentimento di
un'interdipendenza globale: sono cioè consapevoli che quanto avviene in qualsiasi punto del
mondo - si tratti di una crisi politica, di una congiuntura economica o di una catastrofe
naturale - può avere effetti decisivi sulla vita di tutti.
Questa sensazione, se da un lato può favorire la maturazione di una coscienza critica e di
un sentimento di responsabilità collettiva - giacché anche i comportamenti del singolo
vengono percepiti come carichi di conseguenze per l'intero pianeta - può per converso
generare un senso di smarrimento e di impotenza, in quanto l'individuo ha l'impressione che
il complesso degli eventi e delle loro relazioni sia al di là della sua capacità di comprensione
e controllo. Anche la ricchezza e rapidità con cui le informazioni ci raggiungono accresce
questa impressione, impedendoci spesso di distinguere, nel caos dei dati di cui disponiamo,
ciò che è affidabile da ciò che è dubbio, ciò che è fondamentale da ciò che è di minore
importanza, ciò che è definitivo da quanto invece è in fase di evoluzione.
I processi di globalizzazione esercitano quindi influenza sulla capacità immaginativa delle
persone: i mass media (ma anche, per esempio, i racconti dei migranti) offrono infatti alle
persone immagini di vite diverse. Secondo l’antropologo indiano Arjun Appadurai a un
ampliamento dello spettro di vite possibili che le persone sono in grado di immaginare non
corrisponde però necessariamente un effettivo aumento delle possibilità di migliorare la
propria vita. I prigionieri politici, i bambini e le donne costretti a lavorare, non vedono più le
loro vite come pure conseguenze del dato di fatto, ma spesso come l’ironico compromesso
tra quel che potrebbero immaginare e quel che la vita sociale permette loro.
L'uomo globalizzato vive pertanto in una situazione psicologica di precarietà e incertezza, in
cui l'inadeguatezza di fronte ai continui mutamenti si sposa con l'impossibilità di costruire
situazioni stabili, sul piano professionale e su quello degli affetti, nell'appagamento di bisogni
materiali e non. Per designare questa peculiare condizione dell'uomo globalizzato il
sociologo polacco Zygmunt Bauman ha coniato l'espressione vita liquida: in questa nuova
fase di “modernizzazione” il futuro appare ignoto a causa dei continui cambiamenti e proprio
per questo motivo si presenta l'impossibilità di costruire situazioni stabili.
Personalmente ritengo che in realtà la globalizzazione non sia davvero un processo
negativo ma anzi è portatrice di progresso, sviluppo scientifico, miglioramento delle
possibilità di vita e sopravvivenza. Infondo noi giovani siamo nati e cresciuti nell’era globale
e quindi considerano “normale” il mondo in cui siamo immersi e tendiamo a dare per
scontato i tratti del presente. Mentre le varie generazioni di adulti, molto probabilmente,
avendo vissuto il cambiamento e disponendo di un termine di confronto ne colgono
maggiormente le differenze e guardano quindi con disincanto la globalizzazione. Posso dire
di esser comunque consapevole che come gran parte delle cose innovative essa è
purtroppo guidata e lasciata nelle mani di pochi e dei potenti che pensano solo al profitto e
che quindi la trasformano in un’arma fortemente pericolosa e nociva.

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