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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI TORINO FACOLT DI ECONOMIA

Tesi di laurea

OLTRE LO SVILUPPO SOSTENIBILE:


LA TEORIA DELLA DECRESCITA

Candidata: Mariangela Aloi

Relatore: Carlo Salone

Correlatrice: Anna Cugno

Anno Accademico 2007/2008

INDICE
INTRODUZIONE LO SVILUPPO
1.1 Levoluzione del termine sviluppo nel pensiero umano 1.2 Il termine sviluppo nella scienza economica 1.3 Lo sviluppo nel secondo dopoguerra 1.3.1 Gli anni 50 e 60: la Teoria della crescita e la Teoria dello sviluppo 1.3.2 Gli anni 70: il Terzomondismo 1.3.3 Gli anni 80: la Teoria dellaggiustamento strutturale 1.3.4 Dagli anni 90: lo Sviluppo umano 1.4 Fallimento del progetto

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I LIMITI DELLO SVILUPPO


2.1 Lesaurimento delle risorse naturali e il problema ambientale 2.2. La teoria economica delle risorse naturali 2.3 Il rapporto del M.I.T. 2.4 Il rapporto Brundtland e il concetto di sostenibilit 2.5 I limiti sociali 2.6 La misura dello sviluppo

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LA BIOECONOMIA DI GEORGESCU-ROEGEN
3.1 Un economista eretico 3.2 Le leggi della termodinamica 3.3 Un nuovo paradigma 3.4 La teoria bioeconomica 3.4.1 Stock, flussi e teoria della produzione 3.4.2 Il problema energetico e il problema materiale 3.5 Il programma bioeconomico 3.6 La critica allo stato stazionario 3.7 Letica bioeconomica

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DALY E LO SVILUPPO SOSTENIBILE


4.1 Mondo vuoto e mondo pieno 4.2 Lo stato stazionario 4.2.1 Definizioni 4.2.2 Mezzi e fini 4.2.3 Limiti alla possibilit della crescita 4.2.4 Limiti economici 4.3 Lo sviluppo sostenibile 4.3.1 I limiti etico-sociali alla crescita 4.3.2 Utilit e throughput 4.3.3 La scala dello sviluppo sostenibile 4.3.4 Consumo e valore aggiunto 4.3.5 Strumenti per lo sviluppo sostenibile 4.3.6 Istituzioni per lo sviluppo sostenibile 4.4 Comunit di comunit 4.4.1 Limportanza della comunit 4.4.2 I Paesi in via di sviluppo

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UNO SVILUPPO DIVERSO: LA DECRESCITA


5.1 La ricerca di unalternativa 5.2 Che cos la decrescita 5.3 Il programma delle otto R 5.3.1 Rivalutare 5.3.2 Riconcettualizzare 5.3.3 Ristrutturare 5.3.4 Ridistribuire 5.3.5 Rilocalizzare 5.3.6 Ridurre 5.3.7 Riutilizzare/Riciclare 5.4 La critica allo sviluppo sostenibile 5.5 I consumi 5.6 Riscoprire il locale 5.6.1 La decrescita per il Sud del mondo

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I LABORATORI DELLA DECRESCITA


6.1 Reti e Distretti di economia solidale 6.2 Gruppi di Acquisto Solidale 6.3 Bilanci di giustizia 6.4 CAmbieReSti? 6.5 Luci e ombre del consumo critico 6.6 Laltra rete

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CONCLUSIONI
La comunit e il territorio

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BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE
La recente crisi economica ha chiamato direttamente in causa il sistema capitalistico. Sui giornali sono apparsi titoli che annunciano limminente fine del capitalismo e la societ si trovata di fronte ai limiti di un sistema che ha fatto proprio lo slogan della crescita per la crescita. Nei giorni seguenti al tracollo delle borse, economisti e politici si sono affrettati a rassicurare la popolazione circa la capacit del sistema di uscire da questo periodo difficile. Eppure appare evidente che qualcosa nel progetto della societ di mercato non ha funzionato. I limiti pi evidenti riguardano lincapacit del sistema di mercato di gestire la questione ambientale. Nonostante le resistenze da parte di molti, la crisi ambientale risulta ormai unevidenza incontestabile, tuttavia la gravit e lampiezza della situazione e le strategie adeguate ai fenomeni in atto non sono ancora elementi acquisiti in modo concorde. Gran parte di tali diversit e difficolt dipendono dalle differenti visioni del mondo, punto di partenza per ogni tipo di indagine scientifica o intellettuale. Le contraddizioni della globalizzazione (continua tensione tra globale e locale, evidenza delle disuguaglianze tra le diverse parti del mondo, contrasto tra la ricchezza del Nord e la miseria del Sud, lemergere della crisi ambientale) rendono evidente la mancanza di una direzione condivisa. Il dibattito intorno allo sviluppo, che non riuscito fino a oggi a colmare lenorme divario tra i Paesi occidentali e il resto del mondo, come si prefiggeva, si va delineando attorno a due questioni: privilegiare il mercato globale o privilegiare le comunit umane. Esse sono frutto di due diversi approcci alla concezione del mondo e della scienza: il riduzionismo individualista e meccanicista e lapproccio della termodinamica e della teoria dei sistemi. Il modello newtoniano ha dominato per lungo tempo il pensiero umano influenzando tutte le scienze, economia compresa. Affrontare le sfide attuali richiede per un mutamento profondo, a partire dallidentificazione della complessit sistemica del mondo in cui viviamo. La coscienza dei limiti fisici del

pianeta passa dalla comprensione delle complesse interazioni che legano elementi materiali ed esseri viventi allinterno del sistema Terra. Lindividualismo metodologico, frutto del paradigma riduzionista e meccanicista, stato la base della scienza economica, portando a tre credenze erronee: luomo signore e padrone del suo ambiente; viviamo su un pianeta dalle risorse infinite; il mercato e la tecnologia creeranno sempre delle valide alternative.

Dal punto di vista pratico, questo si tradotto in una ricerca continua di crescita: della produzione, dei consumi e della ricchezza. La visione termodinamica e sistemica, al contrario, ha sottolineato come la Terra sia essenzialmente un sistema chiuso dalle risorse limitate, il che implica limpossibilit fisica della crescita illimitata. Inoltre, la complessit degli ecosistemi e larticolato sistema di retroazioni che determinano il funzionamento dellambiente naturale, rendono inutili quegli interventi che non tengono conto delle connessioni tra i sistemi e che si presentano come soluzioni per un solo aspetto della questione. La persistenza dellapproccio riduzionista non riesce a cogliere i problemi della complessit. Emerge la necessit di un cambiamento del paradigma che consenta di affrontare non solo i problemi ambientali, ma anche i problemi sociali causati dalleconomia della crescita. Anche nelle economie occidentali cresce il malessere riguardo a una societ che indebolisce sempre di pi i legami sociali, rende frenetici i ritmi di vita e attira in un vortice le identit di consumatori e cittadini. La sensazione di aver oltrepassato il limite permea di incertezza la visione del proprio futuro, aumentata dalle notizie contraddittorie che ogni giorno commentano la situazione ambientale. Fioriscono testi che elogiano la lentezza, che osano parlare contro il dogma del progresso e riscoprono i benefici di uno stile di vita pi sobrio e frugale. Lattenzione verso lambiente assume un carattere sempre pi pervasivo allinterno della societ e del mercato, e alcuni consumatori iniziano a prendere coscienza del proprio agire di consumo come strumento per manifestare i propri valori e i propri orientamenti economici. Lo scopo di questo lavoro quello di analizzare lemergere di un modo diverso di intendere e vivere leconomia. Si sente sempre pi spesso parlare di sobriet, di

lentezza, di riscoperta delle relazioni umane. Al tempo stesso si avverte la necessit di rimediare alle ambivalenze del progresso, che ha determinato anche effetti quali il problema ambientale e lesistenza di popolazioni che ancora vivono ai limiti della sussistenza. La decrescita e leconomia solidale sono un modo per rispondere a queste questioni, in una critica sistematica alleconomia mainstrem, che passa attraverso la proposta di stili di vita e di consumo diversi. Le societ pi avanzate appaiono, paradossalmente, sempre pi vulnerabili e incapaci di agire alle avversit. In qualche modo, luomo ha perso il controllo della tecnostruttura che lo sovrasta, diventando sempre pi dipendente dalle strutture esterne e dalla tecnologia. Riappropriarsi della capacit di fare (e non solo di consumare) e riappropriarsi del tempo sono due punti cardine della decrescita. Lopposizione allo sviluppo e alla societ della crescita passa attraverso la proposta di una nuova comunit, basata sulla sobriet e sulla convivialit, realizzata grazie alla presa di coscienza, da parte dei cittadini, che la crescita non socialmente, fisicamente e moralmente sostenibile. Questo lavoro articolato in sei capitoli, attraverso i quali si vuole ripercorre la storia delle idee che possono ricondursi a una critica della crescita, partendo dallesposizione del concetto di sviluppo e del progetto che, dagli anni 50, ha influenzato gran parte della politica economica internazionale. Il primo capitolo inquadra il tema dello sviluppo come paradigma che ha guidato le politiche economiche, in particolare verso il Sud del mondo, dal secondo dopoguerra a oggi. Il concetto di sviluppo risulta indissolubilmente legato al concetto di crescita: il problema redistributivo a livello mondiale stato affrontato partendo dal presupposto che una torta pi grande pu sfamare pi persone, senza tenere in conto il fatto che le fette continuano a essere di dimensioni differenti. Il progetto sviluppista non riuscito a raggiungere lobiettivo di elevare le popolazioni del Sud ai livelli di vita occidentali; tuttavia riuscito a diffondere il sogno della crescita in tutto il globo, spazzando via altre forme di sviluppo, altri tipi di economia, estranei al sistema capitalistico, ma derivanti dalla tradizione e dal saper fare locale, che rappresentavano la vera risorsa dei Paesi in via di sviluppo.

Il secondo capitolo dedicato ai limiti dello sviluppo: in primo luogo i limiti fisici e ambientali, messi in evidenza negli anni 70 dal rapporto del Club di Roma ed emersi con sempre maggiore gravit negli ultimi anni. Lesaurimento delle risorse, i cambiamenti climatici, la perdita della biodiversit sono alcuni degli aspetti del problema ambientale che si manifestano a livello globale. Leconomia ha sistematicamente ignorato lambiente allinterno dei suoi modelli,

considerando le risorse infinite e linquinamento unesternalit. Il capitolo presenta anche i limiti di natura sociale: le disparit evidenti tra Nord e Sud sono accompagnate sempre pi spesso da differenze anche allinterno degli stessi Paesi occidentali, tanto che emerge sempre pi spesso una forbice tra laumento del Pil e la percezione di benessere dei cittadini. La corsa incessante verso la crescita porta alla disgregazione dei rapporti sociali e alla perdita del saper fare che, anche nei Paesi occidentali, rappresentano le vere risorse dei territori. Nei capitoli successivi vengono presentati alcuni autori che, in modo diverso, hanno cercato di uscire dal paradigma sviluppista per concentrarsi su un tipo diverso di sistema economico. Il terzo capitolo dedicato a un economista definito eretico dai suoi contemporanei: Nicholas Georgescu-Roegen. Egli introduce nellanalisi economica le conseguenze della teoria termodinamica, per giungere alla formulazione di una nuova teoria: la bioeconomia. Essa modifica il modo di concepire il processo economico di sviluppo, facendo emergere una nuova visione dei rapporti tra linsieme degli esseri viventi (compreso luomo con la propria tecnologia) e la biosfera. Estremamente critico nei confronti delleconomia mainstream ed estremamente pessimista circa il futuro

dellumanit, Roegen stato ignorato dal mondo accademico. La sua teoria, decisamente radicale, il primo approccio teorico alla decrescita: egli, infatti, non solo critica la crescita ma, in base alle leggi della termodinamica, considera insostenibile anche uno stato stazionario. Il quarto capitolo presenta il pensiero delleconomista Herman Daly. I suoi scritti sono conosciuti soprattutto per il sostegno al concetto di sviluppo sostenibile. Riprendendo le critiche alla crescita di Roegen, Daly propone di ripensare lo sviluppo economico tenendo conto delle componenti ambientali e sociali fino a quel momento tralasciate dalla teoria economica mainstream. Egli non si pone al

di fuori delleconomia capitalista, ma si propone di colmare le lacune e gli errori di questo sistema. La sua ricetta per realizzare uneconomia pi giusta e pi sostenibile il raggiungimento di uno stato stazionario, ovvero uneconomia che smette di crescere per mantenere livelli di sfruttamento delle risorse compatibili con la loro rigenerazione. A questo si accompagna una riforma sociale che vede nella riscoperta della comunit la chiave per rendere lo stato stazionario una scelta volontaria e non unopzione imposta dallalto. I contributi di Roegen e di Daly, sebbene presentino elementi di contrasto, in particolare sul concetto di sviluppo sostenibile, permettono di comprendere gli attuali movimenti che si collocano nel panorama della critica al modello di sviluppo. Le esperienze sono molteplici e variegate. Si scelto di concentrare lanalisi su quei movimenti che, partendo dalla consapevolezza dei limiti del pianeta, concentrano la loro attenzione sulla sobriet. Nel quinto capitolo si espone la teoria della decrescita, in particolar modo attraverso i contributi di Latouche. La decrescita allude sul piano economico a una riduzione complessiva delle quantit fisiche prodotte e delle risorse impiegate, ma va intesa in un senso molto pi ampio: si configura, infatti, come una vera e propria rivoluzione sociale, culturale e politica, che pu essere messa in atto attraverso una trasformazione dellimmaginario collettivo. Per quanto possa sembrare utopica, la decrescita rappresenta gi una realt per alcuni gruppi di persone che hanno scelto un diverso modo di consumare. Nel sesto capitolo, attraverso la descrizione di alcune esperienze pratiche, si cerca di capire quali sono le motivazioni che spingono le persone a scegliere uno stile di vita fuori dalle logiche comuni, mettendo in atto un ripensamento dei valori che guidano il proprio agire. Lultimo capitolo, infine, vuole essere un tentativo di individuare nella comunit locale la scala di riferimento per questi movimenti e il nodo attraverso il quale pu nascere una rete pi ampia che, coordinando le diverse esperienze, permetta loro di ampliarsi senza perdere i propri valori etici e allo stesso tempo rappresenti una concreta possibilit di mettere in atto uneconomia altra, inserita nel contesto del doposviluppo.

Capitolo 1 LO SVILUPPO
La parola sviluppo ormai entrata nel vocabolario collettivo e il suo suono riecheggia spesso nei discorsi politici ed economici come panacea per risollevare le sorti dellumanit. In realt il termine sviluppo nato di recente, ed ormai opinione comune fare riferimento alla data del 20 gennaio 1949: in occasione del tradizionale Discorso sullo stato della Nazione il presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, inaugura ufficialmente lera dello sviluppo.

In quarto luogo dobbiamo lanciare un nuovo programma che sia audace e che metta i vantaggi del nostro progresso scientifico e industriale al servizio del miglioramento e della crescita delle regioni sottosviluppate. Pi della met delle persone di questo mondo vive in condizioni prossime alla miseria. Il loro nutrimento insoddisfacente. Sono vittime di malattie. La loro vita economica primitiva e stazionaria. La loro povert costituisce un handicap e una minaccia, tanto per loro quanto per le nazioni pi prospere. Per la prima volta nella storia lumanit in possesso delle conoscenze tecniche e pratiche in grado di alleviare la sofferenza di queste persone. [] Io credo che noi dovremmo mettere a disposizione dei popoli pacifici i vantaggi derivati dalla nostra riserva di conoscenze tecniche al fine di aiutarli a realizzare la vita migliore alla quale essi aspirano. E, in collaborazione con altre nazioni, noi dovremmo incoraggiare linvestimento di capitali nelle regioni dove lo sviluppo manca. [] Il vecchio imperialismo lo sfruttamento al servizio del profitto straniero non ha niente a che vedere con le nostre intenzioni. Quel che prevediamo un programma di sviluppo basato sui concetti di un negoziato equo e democratico.1
H. S. Truman, Inaugural address, 20.01.1949, in Documents on American Foreign Relations, Princeton University Press, Connecticut 1967
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E in questo discorso che, per la prima volta, appare il termine sottosviluppo e questa innovazione terminologica finir per influenzare profondamente anche il significato del concetto sviluppo. Definire la parola sviluppo non un esercizio facile. Essa, infatti, ha ormai assunto una dimensione semantica enorme, che evoca una pluralit di immagini distinte. Nella lingua italiana il termine sviluppo denomina una modificazione quantitativa che avviene nel tempo in seguito a un graduale avanzamento per stadi intermedi da un livello allaltro. Se semplice applicare questo concetto a unentit empirica, ad esempio un essere vivente, le cose si complicano quando si passa a fenomeni e azioni umane. Nessuno ha mai visto culture, societ ed economie crescere e svilupparsi nello stesso modo in cui possiamo dire di vedere questi fenomeni in piante, animali o in unopera in costruzione. Eppure, questo concetto viene utilizzato in larga misura proprio dalle scienze sociali per descrivere i mutamenti che sono osservabili nel progredire della storia umana. Sempre pi legato a discordi economici, nel linguaggio corrente e nella sua accezione pi ampia sviluppo descrive un processo attraverso il quale vengono liberate le potenzialit di un oggetto o di un organismo, fino a raggiungere la sua forma naturale, completa, definitivamente evoluta. Il suo impiego classico il campo della biologia, dove spesso usato come sinonimo di evoluzione. Questo implica lassociazione automatica del concetto di sviluppo allidea del tempo e del cambiamento, in un senso positivo di accrescimento e di miglioramento. Per questo il concetto di sviluppo ha avuto un successo cos evidente negli ultimi 50 anni, a scapito di altri termini che potevano essere scelti per descrivere la ricerca continua del benessere dellumanit, quali civilt, occidentalizzazione o liberazione. Ha prevalso il termine sviluppo perch, come suggeriste Rist (1996), esso presenta diversi vantaggi: la provenienza dal linguaggio scientifico garantisce una certa rispettabilit, evoca immagini di evoluzione e presume lo svolgimento favorevole del processo auspicato; si collega a una tradizione di pensiero, che risale al mito, che ne garantisce la legittimit e la riconoscibilit. Questultimo aspetto non di secondaria importanza: chiunque, per lo meno nel

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mondo occidentale, sentendo pronunciare la parola sviluppo comprende immediatamente di cosa si sta parlando, si pu dialogare su un substrato linguistico comune che permette la piena comprensione e la possibilit di confrontarsi su un campo condiviso e riconosciuto. Lo sviluppo diventato, cos, un termine comodo per descrivere sia il cambiamento sociale che il cambiamento economico che da esso deriva, rendendo entrambi cos simili a dei fenomeni naturali da trasformare lo sviluppo in una meta necessaria e inevitabile. Dallambito biologico vengono anche mutuate quattro caratteristiche fondamentali dello sviluppo: la direzionalit: lo sviluppo procede lungo una strada chiaramente tracciata; la continuit: lo sviluppo non fa salti; la cumulativit: nello sviluppo ogni nuova tappa dipende dalla precedente, in una progressione che porta a uno stato di compimento; lirreversibilit: superata una tappa, lo sviluppo non torna indietro e non regredisce a una condizione precedente. Come osservato in precedenza, se dal punto di vista biologico non possibile opporre delle critiche a questa impostazione, diversa la questione quando si osservano i fenomeni storici e sociali; eventi come il crollo dellImpero Romano dimostrano che la Storia non rispetta la linearit e lirreversibilit dello sviluppo.

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1.1 Levoluzione del termine sviluppo nel pensiero umano


Analizzando levoluzione del pensiero umano, almeno per quanto riguarda la tradizione occidentale, si pu far risalire lidea di sviluppo come progresso allepoca illuminista. Nei secoli precedenti, infatti, il pensiero aristotelico prima e quello cristiano legato alla visione di S. Agostino poi, dominano nettamente la scena, con interpretazioni della Storia e del divenire molto diverse da quelle attuali. Secondo la tradizione mitologica greca e la filosofia di Aristotele, le trasformazioni del mondo si spiegano mediante una successione di et ("<gH), designate metaforicamente con i metalli che simboleggiano la loro perfezione: oro, argento, bronzo, ferro. Ogni et caratterizzata da un momento di crescita, apogeo e quindi di declino, e ogni periodo rappresenta un passaggio a un livello di benessere, conoscenza e ricchezza inferiore a quello precedente. La storia viene quindi vista non come un progresso, bens come un inevitabile declino verso limbarbarimento: ci che nasce, cresce e raggiunge la maturit, in un perfetto parallelismo con la vita umana, poi non pu che corrompersi e morire, in un perpetuo ricominciamento. Il pensiero filosofico di SantAgostino si forma in un contesto storico instabile, nel quale il destino dellImpero Romano sembra ormai segnato, situazione che accredita lidea che il mondo si trovi al termine di un ciclo e che la fine della potenza imperiale sia levoluzione naturale di unet che giunge al suo termine. In questo contesto, Agostino si trova a dover conciliare la visione aristotelica con la teologia cristiana, e ci riesce applicando gli elementi costitutivi del ciclo (crescita, apogeo, declino) alla totalit della storia umana, rappresentando, di fatto, la storia come ununica et destinata, dopo la comparsa di Cristo, allinevitabile fine del mondo e al giudizio universale. Leredit agostiniana viene accolta e sfruttata per tutto il Medioevo e anche il risveglio del Rinascimento, con la riscoperta dellAntichit, si inserisce nello stesso paradigma: gli antichi sono modelli da imitare, perch il processo storico, lungi da portare un progresso e unevoluzione qualitativa, trascina lumanit verso

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un ineluttabile declino. Lidea di sviluppo oggi diffusa non potrebbe essere pi lontana da questa visione. Qualcosa inizia a cambiare con lilluminismo, quando lidea delle magnifiche sorti e progressive si diffonde tra gli accademici e la ragione diviene lo strumento con il quale contrastare il declino e illuminare di luce nuova il destino dellumanit. LAntichit non pi il passato glorioso del genere umano, ma il serbatoio da cui attingere per aumentare le nostre conoscenze:

Una mente ben coltivata , per cos dire, composta di tutte le menti dei secoli precedenti; ununica mente che si coltivata per tutto quel tempo. Cos luomo che ha vissuto dallinizio del mondo fino ad ora ha avuto la sua infanzia in cui si occupato soltanto dei bisogni pi pressanti della vita, la sua giovinezza in cui riuscito abbastanza bene nelle cose dellimmaginazione, come la poesia e leloquenza, e in cui ha anche iniziato a ragionare, ma con meno solidit che ardore. Egli ora nellet virile, in cui ragiona con pi forza e pi lumi che mai []. Sono costretto ad ammettere che luomo non vedr mai la vecchiaia; sar sempre egualmente capace [] cio [] gli uomini non degenereranno mai e le vedute sane di tutte le buone menti che si succederanno si cumuleranno sempre tra di loro.2

Con lo sviluppo della scienza nel XVII secolo, la cultura europea acquista coscienza del progresso e della possibilit di un processo infinito di miglioramenti e avanzamenti. Nasce cos lidea dello sviluppo come capacit intrinseca dellumanit di progredire e crescere, sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista economico: prende forma lidea che esista una storia naturale dellumanit, cio che lo sviluppo delle societ, delle conoscenze e della ricchezza corrisponda a un principio naturale e autodinamico, che fonda la possibilit di una grande narrazione, potenzialmente senza limiti. Questo concetto si ritrova in tutte le scienze umane e viene ripreso anche dalla neonata scienza economica; non a caso, il titolo del testo fondatore delleconomia Indagine sulla natura e sulle
B. Le Bovier de Fontanelle, 1688, Posies pastorales avec un Trait sur la nature de lglogue et une Digression sul les Anciens Potes & Modernes, Van Dole e Foulque, La Haye
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cause della ricchezza delle nazioni3: il progresso della prosperit si presenta come un ordine di cose imposto dalla necessit e promosso dalle inclinazioni naturali delluomo. Lordine delle cose, cio il progresso, si dispiega come una necessit naturale che niente pu arrestare e lo sviluppo diventa non pi una scelta, ma la finalit e la fatalit della Storia. La tendenza al progresso connaturata nelluomo; non dunque la sua natura a mutare, ma laccumularsi dellesperienza che gli permette di progredire illimitatamente in un tempo che non conosce decadenza o fine. Il nuovo paradigma sar completato nel XIX secolo sotto forma

dellevoluzionismo sociale. Adattando la teoria darwiniana alla societ, si diffonde nellimmaginario collettivo lidea di un cammino evoluzionistico della specie umana, in cui il progresso, sociale ed economico, diventa il fine ineluttabile da perseguire come processo naturale della Storia. Possono esserci ritmi diversi, ma ogni nazione e ogni popolo giunger necessariamente a uno sviluppo simile a quello dei Paesi occidentali; lepoca che vede affermarsi lidea moderna di progresso la stessa che dominata dalleurocentrismo e che assiste alla diffusione della distinzione tra i paesi arretrati e primitivi e lEuropa avanzata e civile che, forte del proprio vantaggio economico, dar inizio alla corsa colonialista di sfruttamento dei paesi africani e asiatici. In questa evoluzione, lo sviluppo si legato indissolubilmente alle parole progresso, miglioramento, maturazione e allidea di crescita economica; diventato un metro per misurare il grado di civilt, termine di paragone per analizzare lo stato economico e sociale dei paesi del mondo, ma soprattutto diventato un modello da seguire e da imitare.

A. Smith, 1776, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations

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1.2 Il termine sviluppo nella scienza economica


La diffusione dellespressione sviluppo economico abbastanza di recente. Lattenzione degli economisti, prima della seconda guerra mondiale, era, infatti, pi orientata sullottima allocazione delle risorse in un dato momento piuttosto che sul loro accrescimento. Dopo il secondo conflitto mondiale, i termini crescita economica e sviluppo economico prendono spazio nella scienza economica e danno vita a due distinte famiglie di teorie. Generalmente, quando si parla di crescita, si fa riferimento ai paesi che hanno un reddito procapite superiore a un certo livello (i Paesi industrializzati) e ai modelli che definiscono le condizioni che permettono a un sistema economico di raggiungere il pi elevato tasso di aumento del reddito. La parola sviluppo invece riferita, in genere, ai paesi con livelli di reddito inferiori (i Paesi del Terzo Mondo); lo sviluppo consiste proprio nel processo che porta alla variazione di questa grandezza verso livelli superiori, connotando il passaggio dalla condizione di Paese sottosviluppato a quella di Paese sviluppato. La dicotomia sviluppo/sottosviluppo, per, non una semplice distinzione quantitativa: essa implica anche un giudizio di valore nel modo in cui vengono contrapposte due realt, le economie avanzate e le economie arretrate, e nel significato di sviluppo non come semplice mutamento, ma come progresso e avanzamento verso il meglio. I principali significati che il termine sviluppo assume nella scienza economica si possono sintetizzare, in tre categorie: la crescita, la trasformazione strutturale, il miglioramento del benessere collettivo o della qualit della vita (Volpi, 2003). Lidea di sviluppo come crescita sicuramente la pi diffusa, perch utilizza delle grandezze misurabili e visibili, che consentono di percepire landamento delleconomia. Lindice utilizzato per misurare la crescita il Pil; tale indice diffuso e utilizzato in tutte le statistiche internazionali, consentendo cos un confronto semplice e immediato tra i paesi del mondo. Come noto, il prodotto di un paese la somma dei valori aggiuntivi nei vari settori, ovvero lincremento di valore conferito a ogni bene o servizio in ogni fase della sua produzione, al lordo dellammortamento corrispondente al valore di capitale fisso usato nella

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produzione. Il Pil (prodotto interno lordo) descrive il prodotto dei fattori, anche stranieri, localizzati nel paese. La rilevazione di questo indice presenta alcuni problemi, che hanno rilevanza diversa nei diversi paesi, e dei quali occorre tenere conto soprattutto quando si effettuano confronti internazionali. Il Pil riesce, infatti, a rilevare gran parte delleconomia di un paese, ma tralascia una serie di beni e servizi prodotti da quella che viene chiamata economia sommersa, quelli che sono consumati dai produttori stessi e i prodotti del lavoro domestico. Non tiene conto, in sostanza, di tutte le unit produttive informali che sfuggono al mercato ufficiale, ma che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, rappresentano una grande fetta delleconomia nazionale. Dal punto di vista teorico, per, questo strumento perfettamente coerente con le premesse: se lo sviluppo sinonimo di crescita, allora tutto ci che esula dal mercato irrilevante e non necessario tenerne conto per misurare lavanzamento di un paese. Lesperienza storica mostra che a una crescita della produzione elevata e prolungata per un rilevante periodo di tempo si accompagnano mutamenti nella sua composizione, nei rapporti tra i fattori che la determinano, nei comportamenti dei soggetti, ovvero in quella che si pu chiamare struttura economica di un paese. Variano i prodotti, le tecniche e lorganizzazione della produzione, e questi cambiamenti, a loro volta, influenzano i rapporti sociali e le istituzioni del paese. Quando gli economisti parlano di cambiamenti strutturali, si intende di solito il passaggio da uneconomia tradizionale, dove le attivit prevalenti sono lagricoltura e lartigianato, le tecniche produttive sono semplici, limpiego di capitale modesto, la produttivit del lavoro e il reddito procapite sono bassi e il risparmio decisamente ridotto, a uneconomia moderna, come quella che caratterizza i paesi con un livello di reddito pi elevato. Il concetto di sviluppo prevede quindi unevoluzione, per le nazioni sottosviluppate, verso uneconomia prospera che provochi, allinterno del paese, un mutamento strutturale in grado di modificare la societ e renderla simile a quella dei Paesi occidentali. Crescita del prodotto nazionale, modernizzazione delle istituzioni e sviluppo economico sono concetti ai quali viene associato un valore positivo. Per un singolo individuo, o per una famiglia, questi tre elementi rappresentano

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sicuramente un miglioramento. Quando, per, vengono valutati su di una collettivit possono sorgere dei problemi. E facile osservare che generalmente un maggior prodotto non si distribuisce nella stessa misura tra i cittadini, generando delle disuguaglianze. In sostanza, il Pil non in grado di dire nulla sulla distribuzione del reddito. Gli economisti che ritengono il Pil un indice inadeguato per misurare il grado di sviluppo propongono di integrare questo indicatore con altri indici, riferiti, direttamente o indirettamente, agli obiettivi sociali che il maggior reddito dovrebbe permettere di raggiungere. Il problema si pone allora nel momento in cui, considerando leconomia un mezzo rispetto a dei fini, occorre definire i fini rilevanti che essa dovrebbe raggiungere perch si verifichi un aumento nel benessere collettivo e nella qualit della vita.

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1.3 Lo sviluppo nel secondo dopoguerra


Dal punto di vista storico, leconomia dello sviluppo si concretizza dopo la seconda guerra mondiale, in seguito al gi citato discorso del 1949 del presidente degli USA. Questo introduce, per la prima volta in modo formale, il termine sottosviluppo, creando un confronto inevitabile con lo sviluppo e quindi con i paesi che di questo sviluppo sono i modelli; a partire da essi si genereranno una serie di politiche e di teorie volte a eliminare il divario e a permettere alle popolazioni dei Paesi sottosviluppati di raggiungere il benessere dellOccidente. In realt, se il discorso di Truman formalizza per la prima volta in un documento ufficiale lidea di sviluppo e sottosviluppo (documento che verr poi tradotto in una serie di politiche mirate a diffondere il modello occidentale), lidea della superiorit del modello economico europeo e americano era gi diffusa, di fatto, dallepoca coloniale. Linflusso del positivismo evoluzionista, infatti, dava una giustificazione paternalistica al colonialismo: se i popoli colonizzati vivono in uno stato naturale e primitivo che deve evolvere nella civilt, i colonizzatori hanno il compito di diffondere la civilt occidentale e di sostenere questo processo. Lo sviluppo, infatti, non un evento che avviene per caso, ma il risultato naturale del percorso umano, che pu essere accelerato dalle nazioni che si trovano ai livelli superiori del processo. Il presidente Truman sottolinea, nel suo discorso, lestraneit degli Stati Uniti allapproccio colonialista, nella logica del libero mercato, ma, di fatto, inaugura una nuova stagione imperialista, dove il controllo non passa pi attraverso lapparato amministrativo e lo sfruttamento economico, ma si esplica attraverso limposizione di un modello, lo sviluppo, proprio della cultura occidentale, ma spesso estraneo ai paesi nei quali viene esportato. Non si cerca di spiegare le ragioni del sottosviluppo, ma solo di colmare il divario esistente tra i Paesi sviluppati e i Paesi sottosviluppati; il mondo non viene considerato una struttura nella quale le nazioni dipendono e si influenzano le une con le altre, ma come una collezione di paesi individuali, ognuno con la propria parabola sottosviluppo/sviluppo, che deve necessariamente essere intrapresa. La dicotomia tra Paesi sviluppati e Paesi sottosviluppati obbliga allintervento: se lo sviluppo un fine ineluttabile e benefico, allora occorre uno sforzo collettivo e

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mondiale da parte dei Paesi sviluppati per colmare il divario e permettere a tutta la popolazione mondiale, in tempi rapidi, di vivere e godere dei benefici della crescita economica. Dal discordo del presidente Truman, lo sviluppo stato inteso come un grande progetto di trasformazione capitalistica della societ che, partendo dagli USA e dallEuropa, doveva riguardare tutto il mondo. Il progetto prevedeva il diffondersi delle tecnologie dai Paesi sviluppati a quelli meno prosperi, al fine di ridurre la loro miseria e povert, povert che considerata una minaccia, non solo per le sue vittime, ma anche per i Paesi occidentali. Si tratta di un progetto generoso, frutto di un impasto culturale che, in uno spirito tipicamente americano, mescola insieme ideali e senso degli affari:

[] tutti i paesi, ivi compreso il nostro, approfitteranno largamente di un programma costruttivo che permetter di meglio utilizzare le risorse umane e naturali del mondo.4

Occorre ricordare il contesto storico in cui nasce lidea di questo progetto. I primi anni del dopoguerra vedevano unEuropa in ginocchio, la guerra aveva distrutto non solo le citt ma anche molte delle speranze, alla luce del genocidio ebreo e delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Occorreva lo slancio di un paese giovane e poco toccato dalla guerra per rilanciare la corsa e riaccendere le fantasie progressiste. Gli Stati Uniti sono i candidati ideali: il loro suolo stato solo sfiorato dalla guerra, alle loro spalle ci sono solo una guerra civile e lo sterminio dei pellerossa, nulla a confronto con le secolari guerre di religione dellet pre-moderna e con le due guerre mondiali che hanno, nel giro di 40 anni, devastato lEuropa. Gli Stati Uniti si fanno carico della rinascita economica europea e della diffusione di una nuova speranza progressista e sviluppista, che, dal vecchio continente, deve diffondersi nel resto del mondo.

H. S. Truman, Inaugural address, cit.

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1.3.1 Gli anni 50 e 60: la Teoria della crescita e la Teoria dello sviluppo Nel secondo dopoguerra, grazie anche alla nascita delle organizzazioni internazionali, il progetto per lo sviluppo pu avere inizio. La presa di coscienza dellenorme divario economico tra i vari paesi del mondo (fondamentalmente tra le ex colonie il Sud e gli ex Paesi colonialisti il Nord) porta alla luce i grossi problemi che affliggono le Nazioni sottosviluppate: basso livello di reddito, problemi di carestia, fame o malnutrizione, limitato accesso allacqua potabile, scadenti sistemi pubblici di istruzione e sanit. Uno dei problemi fondamentali che caratterizza questi paesi la mancanza di solide strutture e istituzioni nazionali, legittimate e riconosciute dalla maggioranza della popolazione. I popoli del Sud hanno spesso percepito lo sviluppo economico come un mezzo per raggiungere lo sviluppo politico e per creare una forte sovranit, unindipendenza politica e unidentit culturale che potesse riscattarli dagli anni di sfruttamento coloniale. Gli anni 50, sul piano della politica internazionale, furono sicuramente dominati dalla guerra fredda. Giocata dalle intellighenzie dellOccidente sul piano diplomatico, essa si gioc in modo molto pi concreto nei Paesi del Terzo Mondo, che furono spartiti tra le due potenze in gioco e divennero campo di prova per testare la loro potenza e influenza sul mondo. I diretti interessati, sullonda del processo di decolonizzazione, iniziarono a pretendere di inserire nellagenda delle organizzazioni internazionali le proprie rivendicazioni. Il Sud del mondo, tuttavia, un insieme molto eterogeneo, in cui si trovano paesi relativamente ricchi, come i produttori di petrolio, e nazioni estremamente povere, come gli stati sub-sahariani. Ci nonostante, essi hanno cercato, nel corso degli anni, di costruire alleanze e condurre azioni politiche comuni per poter meglio influenzare il sistema internazionale, nonch per creare una certa resistenza unitaria nei confronti di quello che percepito come il dominio culturale ed economico dellOccidente. La prima tappa di questo percorso storico stata la Conferenza Afro-asiatica di Bandung, in Indonesia, nel 1955, che rappresent il primo passo verso lunificazione dei Paesi decolonizzati. Il risultato concreto della conferenza fu la creazione, nel 1961 (sotto la guida di leader storici del Terzo Mondo come Nehru per lIndia, Tito per la Yugoslavia,

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Sukarno per lIndonesia e Nasser per lEgitto), del Movimento dei paesi non allineati. Sebbene queste nazioni insistano con forza sul principio di autodeterminazione del proprio destino, al tempo stesso esse prendono come modello lo stesso sviluppo proposto dallOccidente, e rivendicano lopportunit di raggiungere lo stesso livello di benessere dei Paesi industrializzati. I Paesi in via di sviluppo rivendicano la propria autonomia, ma riconoscono nello sviluppo economico, nella produzione e nellaccumulazione fondata sugli investimenti privati e sullaiuto esterno, la soluzione alla loro arretratezza economica, aderendo di fatto al modello economico occidentale. Gli anni 50 e 60 vedono nascere molte istituzioni dedicate allo sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo (ad esempio lUNCTAD, United Nations Commission on Trade and Development, che doveva servire come una piattaforma per il dialogo tra Sud e Nord) e il Gruppo dei 77 (nellambito dellAssemblea Generale dellONU, che doveva rappresentare i paesi del Sud presso lUNCTAD) e si moltiplicano gli interventi tecnici e finanziari per creare nel Sud lo stesso miracolo avvenuto nel XVIII secolo in Europa. La tesi dominante in questo periodo la teoria della crescita, anche conosciuta come teoria della modernizzazione. Lanalisi fornita dai teorici della crescita sostiene che la convergenza dei Paesi del Sud deve seguire lo stesso percorso di sviluppo intrapreso dai Paesi dellOccidente. Per raggiungere la modernit, il Sud deve passare da una societ agraria, tradizionale e preindustriale, a una societ moderna e industriale, basata sui consumi di massa. Occorre creare ricchezza che possa essere consumata, dare vita a settori industriali efficienti e produttivi. In questanalisi, di cui Rostow lautore pi eminente, la mancanza di sviluppo deriva dalle stesse politiche economiche adottate dai Paesi arretrati, che non si sono dimostrati in grado di gestire le loro economie in modo efficiente: manca una base produttiva, capitalistica e tecnologica, e mancano le strutture istituzionali in grado di supportare lo sviluppo economico. Le radici del sottosviluppo sono quindi endogene, non esogene, e non dipendono dal sistema economico internazionale. La teoria della crescita pone inoltre laccento sul cosiddetto trickle down effect (letteralmente effetto gocciolamento), secondo il

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quale una crescita imponente a livello mondiale si ripercuote comunque anche sui Paesi meno sviluppati, che possono approfittare di gocce di ricchezza mondiale. La soluzione fornita dalla teoria della crescita al problema dello sviluppo si sostanzia in una ricetta tipicamente liberista: un mercato libero dallintervento statale, investimenti nei settori moderni (agricoltura intensiva orientata verso i mercati internazionali e settore industriale), apertura al mercato internazionale. Nel saggio di Rostow del 1960, intitolato The Stage of Economic Growth: A NonCommunist Manifesto, lautore individua il percorso esatto che un paese deve seguire per raggiungere la modernit. E un percorso a stadi, in cui il processo univoco e irreversibile, e conduce necessariamente allo sviluppo e alla crescita economica: I fase, societ tradizionale pre-newtoniana: caratterizzata dalla scarsit e dalla presenza di barriere mentali che non permettono il pieno sviluppo, perch ancora lumanit non si resa conto di poter conoscere il mondo tramite il linguaggio matematico e la scienza; II fase, pre-condizioni per il decollo: fase transitoria in cui i concetti di scienza moderna iniziano a essere tradotti in nuove funzioni di produzione. I nuovi stimoli possono anche provenire dallesterno, ad esempio da Paesi colonizzatori, che diffondono un nuovo sapere; III fase, il decollo: si afferma la cultura dellaccumulazione capitalistica, che consente un aumento diffuso dei redditi e dei risparmi; i valori tradizionali lasciano il posto alla cultura capitalista; IV fase, la spinta alla maturit: la produzione diventa sempre pi moderna ed efficiente, con un uso intensivo delle tecnologie; leconomia mostra di essere in grado di produrre tutto ci che essa vuole produrre; V fase, il consumo di massa: tipico del fordismo americano, i redditi consentono di incrementare i consumi e la crescita diventa auto-sostenuta. Tutta la popolazione pu beneficiare di un buon tenore di vita e, attraverso il processo politico, le societ possono allocare pi risorse al welfare e alla sicurezza. Lidea principale della teoria di Rostow che il modello evolutivo dellEuropa Occidentale e degli Stati Uniti possa valere per tutti i paesi: seguendo il percorso

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indicato dallautore, e confidando nel commercio internazionale, tutti i paesi possono raggiungere il grado di sviluppo dei Paesi industrializzati. Nella realt questo processo non si verificato; al contrario il divario aumentato, per cui i Paesi pi ricchi hanno visto i propri redditi crescere rapidamente nel boom degli anni 60, mentre per i Paesi poveri la crescita stata decisamente pi contenuta. La distribuzione ineguale della crescita economica ha portato studiosi ed economisti alla ricerca di altre teorie e modelli alternativi di sviluppo. Gli economisti dello sviluppo hanno analizzato il sistema economico mondiale in modo diverso dai loro colleghi della teoria della crescita, aggiungendo un fattore che questi ultimi hanno trascurato: la distribuzione della ricchezza. Per questi studiosi lo sviluppo non pu avvenire a scapito delluguaglianza. La situazione che si presenta ai loro occhi negli anni 50 viene spiegata con lincapacit dei Paesi del Sud del mondo di integrarsi nel sistema economico mondiale. Due sono gli assunti fondamentali delleconomia dello sviluppo: in primo luogo i Paesi sottosviluppati sono fondamentalmente diversi dai Paesi occidentali; in secondo luogo, lorigine del sottosviluppo non va cercata nellincapacit o nellinefficienza delle Nazioni arretrate, ma in fattori al di fuori del loro controllo. Per quanto riguarda la prima ipotesi, limmediata implicazione che lo sviluppo dei Paesi non industrializzati deve seguire una strada diversa da quella dei Paesi del Nord. Le economie del Terzo Mondo sono caratterizzate da condizioni particolari che non consentono la riproduzione tout court dello sviluppo occidentale. Il secondo assunto vede nelle sfavorevoli ragioni di scambio che hanno contraddistinto i commerci degli Stati meno sviluppati (residuo dellepoca coloniale) la causa della loro arretratezza. Il commercio internazionale, al contrario della teoria della crescita, rappresenta un ostacolo allo sviluppo del Sud del mondo. Lunica soluzione per questi paesi ladozione di misure straordinarie: in primo luogo, serve uno Stato forte e interventista che sia in grado di gestire e controllare direttamente leconomia nazionale, in modo da superare i fallimenti del mercato. Lo Stato deve diventare imprenditore e consentire lo sviluppo di una forte struttura industriale, al riparo di alte barriere doganali (questa sar la base teorica della strategia di sostituzione delle importazioni). In secondo luogo, basandosi su un ottimismo antropologico, i teorici sviluppisti

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sottolineano limportanza dei paesi ricchi: per agevolare lo sviluppo dei Paesi del Sud serve una generosa assistenza da parte della comunit internazionale, attraverso investimenti diretti a questi paesi.

1.3.2 Gli anni 70: il Terzomondismo Sul finire degli anni 60 e nel corso della prima met degli anni 70 si diffonde un atteggiamento ottimistico per quanto riguarda la possibilit di crescita economica dei Paesi in via di sviluppo; ottimismo che prende spunto dagli ottimi risultati raggiunti, in termini di crescita economica, da parte di alcuni (pochi) Paesi del Sud del mondo, interessati da flussi di capitali privati a prezzi di mercato che consentono loro di incrementare considerevolmente i tassi di crescita e i rendimenti sugli investimenti. E il caso delle cosiddette quattro tigri asiatiche: Hong Kong, Corea del Sud, Singapore e Taiwan. La crescita economica di questi paesi, iniziata negli anni 70, ma continuata per un ventennio, ha incuriosito molti studiosi, perch un simile fenomeno non si era mai verificato prima. Il modello politico - economico di questi paesi si basa sia su presupposti liberali (il commercio come motore della crescita), sia su basi mercantilistiche (uno Stato interventista che controlla leconomia). Il processo di sviluppo avvenuto in diverse fasi: dapprima lo Stato ha sostenuto fortemente lo sviluppo di un settore manifatturiero efficiente; successivamente si incoraggia lesportazione di beni di consumo durevoli, eliminando alcune barriere doganali, sempre con lappoggio dello Stato; infine, si avvia lespansione delle industrie a maggiore intensit tecnologica e contemporaneamente lo Stato promuove alti livelli di risparmio e alti livelli di investimento, garantendo il capitale fisico, finanziario e umano necessario per uno sviluppo durevole. Latteggiamento ottimistico si trasforma in attesa verso i possibili successi di altre Nazioni in via di sviluppo: lAmerica Latina a finire sotto i riflettori, nella speranza di una replica del successo del cosiddetto Polo confuciano. Tuttavia, questa non dar i risultati sperati. In questarea del mondo, i paesi hanno deciso di adottare una politica basata sulla sostituzione delle importazioni: tale politica si

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concretizza nello sviluppo dellindustria manifatturiera nazionale, sostituendo i prodotti che prima venivano importati con prodotti locali. Per ottenere questo effetto necessario alzare forti barriere doganali. In sostanza, nelle prime fasi le strategie sono simili a quelle seguite dalle tigri asiatiche, ma in un secondo stadio i paesi latinoamericani si sono allontanati dal percorso tracciato per mantenere una politica protezionistica e chiusa nei confronti del mercato globale, che ha finito col danneggiare queste economie, soprattutto perch mancato il re-investimento del capitale acquisito. Si sviluppa in questo periodo una nuova sensibilit negli studiosi che porta a osservare il problema del sottosviluppo dal punto di vista dei paesi che ne sono protagonisti. Se fino a questo momento le teorie per lo sviluppo si erano concretizzate nei ricchi Paesi occidentali, dagli anni 70 sono gli stessi intellettuali dei Paesi in via di sviluppo che contribuiscono al dibattito sulla possibilit della crescita economica diffusa. Ancora una volta i riflettori sono puntati sullAmerica Latina, dove si sviluppa la cosiddetta Teoria della dipendenza, frutto dellevoluzione del pensiero sviluppista. Come gli economisti dello sviluppo, anche i dependentistas sostengono che lo sviluppo dei Paesi del Sud non possa avvenire seguendo lo stesso percorso scelto dai Paesi occidentali. Tuttavia, essi hanno una visione pi scettica della volont dei Paesi del Nord di assumere un ruolo di guida e sostegno nello sviluppo del Sud. Facendo riferimento alla critica neomarxista delle relazioni internazionali, la loro critica principale riguarda i meccanismi di dipendenza che lo sviluppo capitalistico nei Paesi del Nord crea nei confronti dei Paesi del Sud. Il sottosviluppo, in sostanza, sarebbe la diretta conseguenza della struttura economica internazionale. Il libero scambio porta allo sviluppo di relazioni del tipo centro-periferia, dove il Nord, forte della propria ricchezza economica, in grado di esercitare un potere economico, politico e culturale sul Sud, che legato a questa dipendenza. Le soluzioni presentate dai dependentistas si dividono in due tipi di approcci: uno pi moderato, che ammette la possibilit di uno sviluppo mantenendo, in parte, le relazioni di dipendenza con lesterno, e uno pi radicale, che auspica un netto taglio ai rapporti con leconomia capitalista a favore di una cooperazione tra i

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Paesi sottosviluppati, per implementare, anche dal punto di vista politico, una societ socialista. Anche per la diffusione di queste nuove prospettive, gli anni 70 passano alla storia come quelli del rafforzamento dei Paesi del Sud. Il clima culturale, daltronde, crea un terreno fertile alle rivendicazioni di questi popoli, in seguito a due avvenimenti molto importanti: la rivoluzione culturale cinese del 1967 e il movimento del 68. Un numero crescente di persone, anche nei Paesi sviluppati, comincia a movimentarsi a favore delle richieste dei popoli del Sud, basando il proprio discorso su un semplice assunto, sul quale faranno leva anche i teorici della dipendenza: non basta palliare gli effetti del sottosviluppo, occorre agire allorigine, ricercare e correggere le sue cause. Il dibattito si focalizza verso gli elementi che in seguito saranno chiamati fattori strutturali e istituzionali, spostando cos lattenzione verso le problematiche pi direttamente connesse alla povert e allontanandosi dai temi macroeconomici che avevano dominato leconomia dello sviluppo nelle due decadi precedenti. Gli anni 70 vedono cos la nascita dei movimenti terzomondisti: anche al Nord si comincia a dubitare che crescita e prosperit possano essere mantenute, in particolare dopo la pubblicazione del rapporto Meadows, che per la prima volta rende pubblici i limiti della crescita, e con il verificarsi della crisi petrolifera. Nel 1974 i Paesi del Terzo Mondo, in una sessione straordinaria dellAssemblea generale delle Nazioni Unite da loro richiesta, proclamano la Dichiarazione relativa allinstaurazione di un nuovo ordine economico internazionale. Scopo della dichiarazione quello di rivendicare un nuovo ordine economico fondato sullequit, sulleguaglianza sovrana, sullinterdipendenza, sullinteresse comune e sulla cooperazione tra tutti gli stati, per correggere le ineguaglianze e rettificare le ingiustizie, eliminare il fossato che divide i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo e assicurare la pace e la giustizia per le popolazioni presenti e future. I Paesi in via di sviluppo richiedono nuove forme di cooperazione, alla luce delle interdipendenze che i fatti economici del decennio hanno rivelato, nuove regole del gioco che permettano anche a loro di vincere la scommessa della crescita e dello sviluppo. Nonostante si faccia riferimento a un nuovo ordine, gli strumenti richiesti per ottenere il cambiamento sono sempre gli stessi: crescita economica,

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espansione del commercio internazionale e aumento dellaiuto economico da parte dei Paesi occidentali. In realt, invece di contrastare il modello capitalistico, questa rivendicazione dei Paesi in via di sviluppo non fa che rafforzarlo: quello che in concreto si chiede una maggiore integrazione dei mercati periferici nel sistema, al fine di garantirne la crescita continua. Ma questo, lungi dal ridurre la distanza tra centro e periferia, non fa che aumentarla, garantendo mercati pi ampi al Nord del mondo attraverso lerogazione di prestiti, liniezione di investimenti, la possibilit di inviare tecnologie e nuovi prodotti nel Sud del mondo, che vede cos aumentare la propria dipendenza. In realt, lapproccio del Nuovo ordine economico internazionale non ha vita lunga: in primo luogo la crisi petrolifera ha diminuito di molto le potenzialit di aiuto dei Paesi occidentali e, in seconda battuta, la proposta dei Paesi in via di sviluppo presuppone di ridurre di molto lingerenza politica nei loro paesi da parte del Nord del mondo, questione che viene sicuramente poco apprezzata da questi ultimi. Questa stata anche una delle ragioni per cui, negli stessi anni, prende piede la Teoria dei bisogni fondamentali, proposta da Robert McNamara di fronte al Consiglio dei governatori della Banca Mondiale nel 1972. Lidea molto semplice: le priorit dello sviluppo devono essere definite a partire prima di tutto dai bisogni fondamentali delluomo, quali cibo, riparo, ambiente sano, lavoro e istruzione. Questo modello consente alla Banca Mondiale di dribblare il problema dellingerenza negli Stati del Sud, intervenendo per motivi umanitari proprio in quei settori che garantiscono comunque un controllo sullo Stato, e di ottenere allo stesso tempo lapprovazione delle organizzazioni non governative che si occupano di sviluppo.

1.3.3 Gli anni 80: la Teoria dellaggiustamento strutturale Le difficolt dei Paesi del Sud di convergere e sostenere alti livelli di crescita economica scoppiata nel suo aspetto pi devastante nel 1982, quando il Messico si trovato di fronte a una crisi finanziaria che il sistema economico internazionale non stato in grado di gestire seguendo le politiche tradizionali. La crisi (conosciuta come la crisi del debito) si diffusa poi dal Messico in quasi tutti

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i Paesi non industrializzati. Le radici della crisi sono da ricercare negli shock petroliferi del 1973 e del 1979, che, causando forti disavanzi nella bilancia dei pagamenti dei Paesi del Sud, li costringe a ricorrere a forti indebitamenti con le banche dei Paesi ricchi. La decisione delle Federal Reserve di alzare i tassi di interesse sui prestiti, per sconfiggere lelevato tasso di inflazione che sta minacciando leconomia statunitense, rende la situazione sempre pi

insostenibile: per i Paesi del Terzo Mondo gli interessi sui prestiti diventano praticamente impossibili da pagare. In un certo senso, questa crisi diffusa segna il fallimento della strategia della sostituzione delle importazioni e dellapproccio che ha accreditato allo Stato una significativa importanza (come agente che prendeva i prestiti). Alla fine del decennio, con il crollo del Muro di Berlino e la disgregazione dellURSS, crolla anche lidea che uno Stato interventista possa produrre crescita e progresso. Il contesto della crisi del debito ha agevolato lascesa del neoliberismo e del suo successivo trionfo. La rinascita di questo approccio segnala un ritorno ai principi di base della teoria della crescita, accompagnato da un durissimo attacco contro lapproccio keynesiano e contro leconomia dello sviluppo, accusati di aver fallito nelle loro ricette per la crescita e di essere causa dellattuale situazione. Secondo il nuovo approccio, la teoria economica una sola. In altre parole, leconomia deve essere percepita come una scienza universale, applicabile a tutte le societ. Lenfasi viene posta sulla razionalit degli individui, sul principio di utilit marginale e sullimportanza dei prezzi relativi, stabiliti con il meccanismo di domanda e offerta. Secondo i teorici neoliberisti, il sottosviluppo il risultato dellintervento pubblico: essi sottolineano non i fallimenti del mercato, ma quelli dello Stato, a cui imputano la responsabilit dei tassi di inflazione eccessivamente alti e gli enormi debiti pubblici. Secondo la teoria neoliberista, lo Stato dovrebbe fare affidamento sui fondamenti del mercato, senza alterare artificialmente i prezzi e aprendo il mercato alla concorrenza internazionale. Tali politiche furono effettivamente messe in pratica, negli anni 80, da Ronald Reagan negli USA e da Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Nel contesto della grave crisi internazionale, lapproccio neoliberista avvia una nuova strategia per risolverla: di fronte al disordine monetario occorre

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aggiustare le economie e in particolare risanare le bilance dei pagamenti, operando mirate riforme strutturali. Lapproccio prende corpo quando, nel 1985, James Baker, Ministro del tesoro USA, lancia la dottrina dellaggiustamento strutturale: secondo tale dottrina, un paese debitore che richiede lassistenza del Fondo monetario internazionale o della Banca mondiale, deve prima impegnarsi a realizzare diverse riforme macroeconomiche, soprattutto nel settore pubblico, per ridurre il peso dello Stato nelleconomia. Tali interventi, in paesi dalla struttura sociale debole, portano spesso a conseguenze devastanti sulla popolazione: nel nome del liberismo, lo Stato costretto a operare tagli consistenti nel settore dellistruzione, della sanit e del welfare, a sfavore dei settori pi deboli di nazioni gi provate dalla povert diffusa (Stiglitz, 2002). Dalla fine degli anni sessanta, il dibattito sul Terzo Mondo costituiva in larga misura una prerogativa degli intellettuali di sinistra: la critica

alloccidentalizzazione, considerata responsabile degli insuccessi dello sviluppo si accompagnava alle proposte di uno sviluppo autocentrato e alla difesa delle popolazioni indigene. Con la crisi degli anni ottanta e con il perseguire del successo delle tigri asiatiche, il liberismo torna in auge, accusando il terzomondismo di vittimizzare il Sud e accusare il Nord, senza portare a risultati concreti. Il problema dello sviluppo viene integrato nelleconomia ordinaria e smette di essere unemergenza; i programmi per lo sviluppo vengono sostituiti dagli aiuti umanitari e dagli interventi delle organizzazioni non governative. Un nuovo aspetto dello sviluppo emerge negli anni 80, quello ambientale, portato alla luce dei riflettori con la pubblicazione del rapporto Bruntland, stilato nel 1987 da una commissione di specialisti dellambiente. Questo documento ha il merito di aver prodotto un inventario quasi esaustivo dei problemi che minacciano lequilibrio ecologico del pianeta: deforestazione, degrado dei suoli, effetto serra, buco dellozono, demografia, catena alimentare, approvvigionamento idrico, energia, urbanizzazione, estinzioni, protezione delloceano e dello spazio. La commissione Bruntland ha il compito di mettere in evidenza i diversi modi in cui le Nazioni ricche come quelle povere recano danni allambiente; occorre

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conciliare due nozioni antitetiche: il problema ecologico e il diritto allo sviluppo. Se, infatti, gran parte del danno ambientale deriva dallo sviluppo industriale, la crescita dei Paesi in via di sviluppo non pu che peggiorare la situazione; daltra parte le Nazioni pi povere, proprio perch meno sviluppate, hanno meno risorse da destinare alla protezione ambientale e allo stesso tempo reclamano il loro diritto a uno sviluppo pari a quello occidentale. Nasce cos il concetto di sviluppo sostenibile, definito dalla Commissione come sviluppo che permette di soddisfare i bisogni presenti senza compromettere le necessit future. Si possono dare due interpretazioni di sviluppo sostenibile: la prima mette al centro lecologia e presuppone uno sviluppo che permetta di non giungere al termine delle risorse naturali, riducendo la produzione a un volume sopportabile per lambiente; la seconda interpretazione mette al centro leconomia, confidando in uno sviluppo sostenibile che significhi sviluppo durevole, universale ed eterno. Questa seconda interpretazione non fa che riprendere lidea che lo sviluppo sia essenzialmente crescita economica, una crescita senza limiti che manca di considerare tutti i fattori non mercantili che caratterizzano la vita umana e del pianeta.

1.3.4 Dagli anni 90: lo Sviluppo umano Negli anni novanta, il concetto di sviluppo viene associato allaggettivo umano. Lo sviluppo non pi visto in unottica puramente economica, ma ridimensionato a misura duomo, prendendo in considerazione la speranza di vita, la possibilit di istruirsi, laccesso a risorse che permettano di condurre una vita conveniente e dignitosa. Dal 1990 lONU, tramite lUNDP (United Nations Development Programme), pubblica annualmente un rapporto sulla dimensione umana dello sviluppo. Il Rapporto sullo sviluppo umano il risultato di una forte presa di coscienza e della riscoperta di un dato essenziale: luomo il fine ultimo dello sviluppo, non un mezzo per creare ricchezza e crescita economica. Nellottica di questi rapporti, se la crescita del Pil considerata obiettivo intermedio e indispensabile, diventa di fondamentale importanza studiare il modo in cui questa

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crescita, in societ differenti, si traduca o manchi di tradursi in sviluppo umano. In questa prospettiva si colloca la necessit di un migliore rapporto tra crescita economica e sviluppo umano, rapporto che non va considerato automatico. Nonostante molti sostengano che lindice sviluppato nei rapporti di sviluppo umano non cambi radicalmente la posizione di un paese nella classifica mondiale, tale indice aiuta a ridefinire un ordine di priorit nella spesa pubblica. Infatti, lesperienza insegna che raggiungono un livello accettabile di sviluppo umano quei paesi che destinano mediamente il 20% della loro spesa pubblica al soddisfacimento dei bisogni pi basilari dello sviluppo umano (servizi sociali come listruzione elementare e lassistenza medica di base). in questottica che i Rapporti dellUNDP hanno cercato di indicare strategie politiche adeguate per lattuazione degli auspicati cambiamenti. Le considerazioni degli economisti sui mezzi necessari a raggiungere elevati standard di crescita hanno offuscato il fatto che lobiettivo principale dello sviluppo quello di offrire vantaggi alle persone, non solo in termini di crescita del reddito. Naturalmente, tra i vari fattori che migliorano il livello di vita delle persone, vi anche un reddito maggiore ma, come si sostiene nel Rapporto sullo sviluppo umano del 1991, il reddito non la somma totale della vita delluomo. Perci, sostiene lo stesso Rapporto, lo sviluppo umano un processo di ampliamento delle scelte delle persone e del livello di benessere da loro raggiunto.5 Le tre opzioni considerate essenziali per lo sviluppo umano sono: 1) la possibilit di condurre una vita lunga e sana, 2) la possibilit di acquistare conoscenze e 3) laccesso alle risorse necessarie per condurre una vita dignitosa. Nellanalisi condotta dallUNDP vengono subordinate alla disponibilit di questi requisiti minimi tutte le altre opzioni che possono migliorare la qualit della vita. Lo sviluppo umano, comunque, non si ferma a questa prima sintetica definizione. Una pi ampia definizione comprende una serie di opzioni aggiuntive quali la libert politica, economica e sociale, la garanzia dei diritti umani, la possibilit di essere creativi o produttivi e di godere di autostima. Da questanalisi deriva che il reddito solo una delle tante componenti o opzioni che le persone dovrebbero avere. Analizzando lesperienza di diversi paesi possibile osservare come non esista un collegamento automatico
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UNDP, 1991, Rapporto sullo sviluppo umano n. 2, Rosenberg & Sellier, Torino

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tra crescita economica e sviluppo umano. Il rapporto tra queste varianti si trova nel fatto che persone istruite e in buona salute possono, attraverso unoccupazione produttiva, contribuire maggiormente alla crescita economica. In questottica, la crescita economica rimane di fondamentale importanza: se il fine dello sviluppo non la crescita, lassenza di crescita spesso ne rappresenta la fine.6 Tuttavia, essa non deve essere considerata come un mero incremento contabile, ma deve possedere delle caratteristiche che la rendano pi a misura duomo. Una crescita auspicabile se : partecipata, cio se lascia ampi margini alliniziativa individuale e coinvolge il maggior numero di persone possibile; ben distribuita, in modo che i vantaggi raggiungano tutti i membri della collettivit (equit intra-generazionale); sostenibile, cio che laumento della produttivit odierna non infici la produttivit futura (equit inter-generazionale). Ciascun paese avr la propria strategia dazione per implementare lo sviluppo umano, ma il principio di fondo sar uguale per tutti: mettere le persone al centro dello sviluppo e concentrarsi sulle loro necessit e sul loro potenziale.

UNDP (1991), cit.

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1.4 Fallimento del progetto


Nonostante numerose teorie e svariati tentativi di ridurre la miseria e la povert che affliggono il Terzo Mondo, la situazione odierna non rosea. La scommessa dello sviluppo, resa ancora pi appetibile dalla globalizzazione, non ha portato i frutti sperati. La povert, negli ultimi due decenni, aumentata. Circa il 40% della popolazione del pianeta vive in povert (un numero aumentato del 36% rispetto al 1981), mentre un sesto vale a dire pi di 877 milioni di persone vive in estrema povert (il 3% in pi rispetto al 1981). La situazione pi grave si registra in Africa, dove la percentuale di popolazione che vive in estrema povert aumentata dal 41,6% del 1981 al 46,9% del 2001. Considerando la crescita della popolazione questo significa che le persone che vivono in estrema povert sono quasi raddoppiate, da 164 a 316 milioni (Stiglitz, 2006). Quali sono le ragioni che hanno portato al fallimento di questo progetto grandioso e a prima vista benefico per lumanit? Il punto di partenza per capire la situazione odierna la profonda estraneit ambientale, economica, culturale e sociale delle realt in cui lo sviluppo voleva essere implementato. I fautori dello sviluppo hanno dimenticato di considerare le profonde differenze che caratterizzano i paesi e le culture del mondo, appiattendo le nazioni sul modello dellutilitarismo occidentale. Per prima cosa, occorre considerare lEuropa. Non un caso che lo sviluppo capitalistico sia nato nel vecchio continente: sono state le condizioni istituzionali e ambientali a permettere la rivoluzione industriale e lo straordinario sviluppo delle nazioni europee. Esse hanno potuto contare, per la propria modernizzazione, su unincomparabile posizione di dominio commerciale e militare sul resto del mondo: le materie prime del globo intero erano a disposizione della nascente industria di pochi paesi, a prezzi irrisori. LEuropa ha potuto contare su una situazione climatica e ambientale che, in gran parte del resto del mondo, costituisce invece un ostacolo pesantissimo alla crescita economica di tipo capitalistico. Il clima temperato, le piogge ben distribuite nel corso dellanno, ricchi corsi dacqua facilmente sfruttabili, la preziosa alternanza delle stagioni, terreni non facilmente erodibili per effetto del disboscamento: tutte

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queste condizioni hanno costituito un mix vantaggioso che difficilmente si ritrova nei Paesi del Sud del mondo. Basta pensare allesempio dei suoli: in Europa, nel corso dei secoli, milioni di ettari sono stati sottratti a boschi e foreste e trasformati in fertili campi; nei Paesi del Sud del mondo, molto spesso le aree disboscate si trasformano rapidamente in lande aride e sterili, lasciando spazio allavanzare del deserto. Le differenze non si fermano qui. Tra Nord e Sud, stato lambiente pi vantaggioso quello che ha anche ricevuto maggior tutela e protezione. In Europa, una tradizione giuridica antica ha salvaguardato linteresse pubblico e tutelato, da un lato, le popolazioni dai potenziali danni delle alterazioni ambientali, dallaltra, ha protetto lambiente stesso, conservando foreste e boschi. Naturalmente, anche nel vecchio continente limpatto antropico ha prodotto e sta producendo danni rilevanti, ma essi sono comunque frutto di un compromesso continuo tra linteresse pubblico tutelato dalle municipalit e dagli Stati centrali e quello delle imprese. La societ civile riuscita a imporsi per controllare, in qualche modo, la salubrit e la bellezza del suo territorio, affinch esso non venisse sfruttato a soli fini economici, ma conservasse le sue caratteristiche di vivibilit. Questo aspetto del tutto assente nei paesi dellAsia, dellAfrica e dellAmerica Latina. Le culture indigene, che pure guardavano alla natura come a un mondo sacro, non sono state in grado di proteggere e sottrarre le risorse naturali al saccheggio secolare delle potenze coloniali, nessuna tradizione giuridica le ha protette e anzi, esse sono diventate le miniere per lo sviluppo dellOccidente. Esiste ancora un terzo aspetto su cui occorre riflettere. Lo sviluppo capitalistico europeo, sebbene si sia manifestato in modo dirompente con la rivoluzione industriale, in realt frutto di un processo secolare, che ha preparato il terreno a una rivoluzione non solo economica, ma anche sociale. Le istituzioni erano pronte ad accogliere il capitalismo, perch esso il frutto di una cultura e di una struttura sociale che si sono sviluppate in secoli di storia; la rivoluzione industriale si modellata su scenari ambientali e su stratificazioni culturali che ne hanno attutito e diluito limpatto. Nei Paesi del Sud del mondo, dove lo sviluppo stato imposto, non si avuta una crescita simultanea delle istituzioni sociali: le nazioni, gi gravate dallo

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sfruttamento di secoli di colonizzazione, sono state costrette ad accettare programmi di sviluppo capitalistico che non sono conseguenza del lungo corso dellevoluzione storica delle loro terre e del loro popolo, che non hanno nessun legame con il loro passato, ma che sono studiate a Washington, negli uffici della Banca mondiale o del Fondo monetario internazionale, a volte nei consigli di amministrazione di potenti societ transnazionali. Questi nuovi centri di potere sono del tutto estranei alla storia e alla cultura dei paesi dove pretendono di imporre i loro programmi di sviluppo e non tengono in alcun conto, n sono disposti ad attendere, levoluzione storica naturale delle economie locali. Ma lo sviluppo molto spesso totalmente estraneo a questi contesti, prova ne il fatto che molte culture non europee non hanno una parola che possa tradurre questo concetto: una trib della Guinea equatoriale utilizza un termine che significa allo stesso tempo crescere e morire; in Ruanda la parola composta a partire da un verbo che significa spostarsi senza alcuna direzione particolare; per la trib degli Wolof sviluppo viene tradotto come la voce del capo, mentre la traduzione forse pi eloquente per esprimere lestraneit del termine sviluppo nella propria cultura rappresentata dalla locuzione utilizzata dagli Eton del Camerun: il sogno del bianco. Per lOccidente, invece, la problematica dello sviluppo iscritta molto profondamente nellimmaginario collettivo, tanto che lidea di progresso e di crescita economica si sono diffusi ovunque come unanticipazione di un futuro necessariamente migliore, grazie allaumento costante dei beni. Molto del successo della parola sviluppo dovuto allinvenzione del suo concetto opposto, sottosviluppo, creando una dicotomia bene/male che ha portato alla

stigmatizzazione di ogni tipo di economia che non si basasse sul neoliberismo e sulla crescita continua di beni e ricchezza. Il paradigma dello sviluppo si trasformato in una credenza, elemento centrale di una religione moderna che fonda il suo credo sulla crescita infinita (Rist, 1997). Come spiega Durkheim: la religione una cosa eminentemente sociale. Le rappresentazioni religiose sono rappresentazioni collettive che esprimono realt

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collettive;7 si tratta cio di visioni della realt, accettate a livello collettivo, comprese da tutti e facenti parte dellimmaginario di unintera cultura. Il filosofo elimina dalla definizione tutti i riferimenti al soprannaturale, al mistero, alla divinit, interpretando le religioni per quello che emerge dallosservazione della loro pratica: credenze, miti, comunit. La religione diventa il fatto di credere, per un determinato gruppo sociale, a certe verit indiscutibili, che determinano comportamenti che garantiscono la coesione sociale. Nonostante sia opinione comune considerare la societ moderna come diversa dalle precedenti, estranea alle visioni fideistiche e profondamente secolarizzata e razionale, Rist sostiene che ogni societ sia fondata su credenze e tradizioni di natura differente da quelle del passato, ma dotate della stessa forza attrattiva e pervasiva. Le realt ecclesiali hanno effettivamente perso il monopolio nellambito delle credenze condivise, ma esse non sono scomparse: sono semplicemente migrate verso altri ambiti, da sempre definiti profani. Le credenze si situano al di l di ogni contestazione, e per questo non vanno confuse con lideologia: questultima, infatti, pu essere discussa, mentre una credenza una certezza collettiva, considerata vera in modo diffuso. Lo sviluppo, sinonimo di crescita economica, pu essere annoverato tra le credenze moderne, tanto che cinquantanni di fallimenti nella ricerca della sua realizzazione non hanno scalfito la sua forza, e oggi il concetto di sviluppo mondialmente diffuso, anche nei paesi dove ancora non si realizzato. La fede nella crescita considera laumento di utilizzo delle risorse al Nord come una soluzione per la povert del Sud: il Sud pu crescere solo se pu esportare verso i mercati del Nord e se pu ricevere dal Nord forti investimenti. Ma il Nord pu fornire investimenti e importare dal Sud solo se cresce a sua volta. Tuttavia, nel corso degli anni, il progredire della crescita economica in Occidente e la lenta adeguazione dei Paesi in via di sviluppo hanno portato alla ribalta un altro problema legato allo sviluppo. Dopo la constatazione che i numerosi sforzi per diffondere lindustrializzazione e la ricchezza nel Terzo Mondo non stanno ottenendo i successi sperati, ha cominciato a diffondersi anche lidea che lo
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Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa, 1912, citato in Rist G., 1996, Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale, Torino, Bollati Boringhieri

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sviluppo abbia, anche per i Paesi occidentali, dei limiti, legati alle risorse naturali e alla disgregazione sociale prodotta dal consumismo e dal mito della crescita.

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Capitolo 2 I LIMITI DELLO SVILUPPO

2.1 Lesaurimento delle risorse naturali e il problema ambientale


Il problema del possibile esaurimento delle risorse ha iniziato a meritare lattenzione di esperti e dellopinione pubblica soprattutto a partire dagli anni 70, quando la crisi petrolifera e la crescente degradazione dellambiente, sia a livello locale sia a livello planetario, hanno cominciato a mostrare i loro effetti. Il dibattito si concentra sulle ipotesi relative alle entit delle varie risorse e porta a risultati molto differenti, in base al diverso peso che i vari studiosi danno alle potenzialit del progresso tecnologico, alla capacit dellecosistema di sopportare lattivit antropica, portando a una contrapposizione tra ottimisti e pessimisti. Con il termine risorse naturali si soliti indicare linsieme di tutte le materie prime presenti in natura, potenzialmente utilizzabili dalluomo per produrre merci che soddisfino le sue necessit e i suoi desideri. Questa definizione, tra le pi ampie di questo termine, comprende sia le risorse economicamente sfruttabili con le tecnologie disponibili, sia quelle che potrebbero diventarlo in seguito a mutamenti economici o tecnologici. Tra le risorse, cos definite, occorre anche annoverare i cosiddetti servizi ecologici essenziali, ovvero quei servizi immateriali (e difficilmente quantificabili) che la natura ci offre gratuitamente, quali il clima, il patrimonio naturalistico, il ciclo dellacqua, la regolazione della composizione dellatmosfera, che permettono la vita sulla Terra e supportano le attivit umane. Le risorse naturali vengono distinte in due gruppi: le risorse non rinnovabili, che sono non naturalmente riproducibili, anche se molte possono essere in diversa misura riciclate, e le risorse rinnovabili, che si possono riprodurre secondo i loro cicli naturali. Questa distinzione fatta su tempi umani, per cui tra le risorse non rinnovabili si annoverano, oltre ai minerali, anche i combustibili fossili che, pur essendo di natura organica e quindi riproducibili, lo sono solo in tempi geologici, inutili alluomo. Sono invece considerate risorse rinnovabili la terra coltivabile, il

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clima, le risorse idriche, lenergia solare. Questi elementi condizionano, insieme ai cicli biologici di riproduzione e di crescita, la disponibilit delle altre risorse rinnovabili, data da tutte le sostanze di origine animale e vegetale. Occorre sottolineare che, a parte lenergia solare, che costituisce un flusso pressoch inesauribile, anche le risorse rinnovabili non sono disponibili in quantit infinite: il loro uso o prelievo indiscriminato ne pu pregiudicare la qualit (e quindi lutilit) o mettere in serio pericolo i cicli di riproduzione (come dimostrano le estinzioni). La consapevolezza che, essendo la Terra un mondo finito (o un sistema chiuso), tutte le risorse sono limitate unacquisizione abbastanza recente. In passato il nostro pianeta sembrava talmente vasto, rispetto alle necessit e alle esigenze della popolazione umana, da non destare preoccupazioni per leventuale esaurimento delle materie prime; il concetto di scarsit veniva quindi inteso soprattutto in termini relativi. E con la rivoluzione industriale e con laumento esponenziale della popolazione che il mondo sembra diventare sempre pi piccolo. Il dibattito sulla scarsit assoluta delle risorse porta inevitabilmente a domandarsi se, e fino a quando, lo sviluppo economico compatibile con i limiti fisici e ambientali del nostro pianeta, ma porta anche a chiedersi rispetto a quale modello di sviluppo lecito parlare di scarsit delle risorse. Ancora una volta, anche in questo contesto, parlare di sviluppo e dei suoi limiti significa riferirsi a una concezione tipicamente occidentale e storicamente collocabile dopo la rivoluzione industriale. Un dibattito di questo tipo sarebbe stato impensabile in epoche o contesti culturali pre-industriali dove, come visto in precedenza, dominavano ideologie mistiche, sorrette da elaborazioni dottrinarie di carattere teologico. Allo stesso modo, la problematica dei limiti dello sviluppo, risulta abbastanza estranea alle popolazioni del Sud del mondo che in realt subiscono, sul loro territorio, una situazione dovuta allo sfruttamento delle risorse a favore dellOccidente. Infatti, il modello di sviluppo a cui ci si riferisce ancora, nonostante le possibili aperture agli aspetti qualitativi, strettamente correlato al progresso e al successo economico, visti come obiettivi fondamentali della societ. Questi obiettivi non

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sono stati raggiunti da gran parte della popolazione umana, tuttavia il problema ambientale ormai un problema globale. Oltre allesaurimento delle risorse, lo sviluppo deve fare i conti con un sempre crescente inquinamento che colpisce il pianeta sia a livello locale e settoriale che a livello globale. I diversi settori che compongono leconomia hanno differenti impatti sullambiente, ma nessuno sfugge a questa prerogativa: ogni attivit umana influisce sullo stato di salute della Terra. Il settore agricolo causa in particolare tre generi di problemi: riduzione della capacit produttiva futura del terreno, inquinamento delle falde acquifere per luso massiccio di pesticidi e fertilizzanti, progressiva erosione dei suoli e diminuzione della biodiversit a causa dellagricoltura estensiva. Lattivit industriale produce effetti su tutti i settori ambientali: aria, acqua, produzione di rifiuti e rumore. Nei Paesi industrializzati, nonostante le attivit siano pi numerose, le tecnologie e la diffusione della sensibilit rispetto ai problemi ambientali hanno in parte limitato limpatto delle attivit produttive sugli ecosistemi. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, la rincorsa del modello occidentale, senza gli opportuni aggiustamenti, rende limpatto ambientale molto pi elevato sia in termini di inquinamento che in termini di esaurimento delle risorse. Il settore energetico, sia nella fase di produzione che nella fase di consumo, rivela un impatto ambientale potenzialmente molto elevato. In particolare, la combustione delle fonti energetiche causa emissioni in atmosfera di agenti inquinanti quali lanidride carbonica, gli ossidi di azoto, le polveri sottili e metalli pesanti. Strettamente correlato al settore energetico il settore dei trasporti. Se nei Paesi occidentali si stanno introducendo strumenti di varia natura per limitare gli effetti dellinquinamento atmosferico derivanti dalle emissioni dei mezzi di trasporto, anche in questo caso i Paesi in via di sviluppo contribuiscono in maniera massiccia allinquinamento, soprattutto perch in questi paesi non sono ancora diffuse delle tecnologie in grado di abbattere le emissioni. La diffusione del modello occidentale nei Paesi in via di sviluppo sta rendendo il problema dellinquinamento sempre pi serio. Mentre nei Paesi industrializzati la

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sensibilit verso lambiente sempre in aumento e le aziende tendono a mostrare un volto sempre pi verde, nei Paesi in via di sviluppo le problematiche sociali gravi e la necessit di inseguire la crescita portano a trascurare il problema ecologico. Questo si traduce in un inquinamento massiccio delle nuove aree industrializzate e un continuo deterioramento della qualit e della quantit delle risorse naturali. I Paesi in via di sviluppo non hanno, in questo momento, n lincentivo, n la tecnologia, n le risorse per intervenire in ambito ambientale. Tuttavia, il patrimonio ecologico non infinito e, nonostante dimostri di possedere uneccellente capacit di adattamento e di reazione, pur sempre una risorsa limitata, ma indispensabile per la vita umana.

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2.2. La teoria economica delle risorse naturali


La storia economica dei secoli precedenti alla rivoluzione industriale evidenzia come la disponibilit di terra arabile costituisse uno dei principali vincoli alla crescita della popolazione. Lo sviluppo delle citt, delle attivit manifatturiere e commerciali era direttamente correlato alla produttivit agricola, legata al lento progredire delle tecniche di coltivazione e limitata dallestensione delle terre coltivabili. Per questi motivi, i primi pensatori economici non ebbero difficolt a dedicare spazio, nei loro trattati, alle risorse naturali, e in particolare alla terra coltivabile. Per i fisiocrati, la terra lorigine del sovrappi economico: solo lattivit agricola consente di produrre fisicamente nuovi elementi nel mondo dei beni. Il prodotto netto pu essere considerato come lenergia biologica, ovvero quellenergia che muove gli uomini e gli animali e che le piante immagazzinano sfruttando lenergia solare tramite la fotosintesi clorofilliana. I fisiocrati vedono nella prosperit dellagricoltura la ricchezza di una nazione, ma questo non pu essere interpretato come unidea di limite della crescita, soprattutto perch non presente, in questi autori, il concetto di accumulazione del prodotto netto e lidea stessa di sviluppo economico. Sono gli economisti classici, con lelaborazione del principio dei rendimenti decrescenti e della teoria della rendita differenziale, a individuare nei limiti produttivi della risorsa terra un vincolo allo sviluppo economico. Mentre Smith insisteva sulla producibilit pressoch assoluta, senza limiti, di merci e mezzi di produzione e Malthus prospettava la scarsit assoluta delle risorse agricole rispetto allincremento della popolazione, Ricardo formul la teoria della scarsit relativa. Il fenomeno dei rendimenti decrescenti definito come il principio secondo cui, col progredire della coltivazione, la produzione agricola diviene via via pi dispendiosa, questo a causa del limite quantitativo dei terreni coltivabili, ma anche per la differente qualit nella fertilit dei terreni. Questo concetto pu essere esteso a tutte le risorse naturali: man mano che una materia prima viene utilizzata, sar necessario cercare altre fonti, spesso pi costose, cos come con lincremento della popolazione necessario iniziare a sfruttare terreni sempre

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meno fertili, con una diminuzione dei rendimenti. La possibilit di contrastare la tendenziale caduta del saggio di profitto individuata nella meccanizzazione e nel miglioramento tecnologico. Gli economisti classici pensavano che leconomia sarebbe giunta naturalmente a uno stato stazionario, con salari a livello di sussistenza e il sovrappi totalmente destinato ai proprietari terrieri in forma di rendita, senza che restasse nulla per il profitto del capitalista e quindi nessuna motivazione per ulteriore crescita. Questo punto di arrivo era temuto dalla maggior parte degli economisti classici (ma anche dai pensatori attuali) come la fine del progresso, mentre J. S. Mill rappresentava allepoca la voce fuori dal coro. Leconomista inglese, infatti, non condivide il pessimismo dei suoi contemporanei e predecessori, ma anzi auspica questo stato, riconoscendo che una condizione stazionaria del capitale e della popolazione non implica affatto uno stato stazionario del progresso umano, perch, in effetti, vi sarebbe una maggiore possibilit di perfezionare larte della vita, se le menti umane non fossero pi assillate dalla gara per la ricchezza. Con la rivoluzione industriale lidea di uno stato stazionario viene relegata in soffitta. Leconomia neoclassica, con la sua teoria soggettivista del valore, ha spostato lattenzione dalle risorse e dal lavoro verso lutilit, lo scambio e lefficienza. I fattori fisici sono stati spinti sullo sfondo. A differenza degli economisti classici, la teoria economica standard attuale parte da parametri non fisici (tecnologia, preferenze, distribuzione del reddito sono presi come dati) e indaga il modo in cui le variabili fisiche, e cio le quantit di beni prodotti e di risorse utilizzate, devono modificarsi per soddisfare un equilibrio (o un tasso di crescita di equilibrio) determinato da quei parametri non fisici. Le condizioni qualitative, non fisiche, sono date e le grandezze quantitative, fisiche, vi si devono adattare. Nella teoria neoclassica tale aggiustamento comporta quasi sempre crescita economica. C un semplice schema che permette di comprendere la differenza tra la teoria neoclassica e gli economisti che parlano di stato stazionario, tornato oggi alla ribalta a causa del problema ambientale sempre pi evidente: leconomia pu essere rappresentata come una scatola, un quadrato etichettato economia con una freccia in entrata etichettata input e una freccia in uscita etichettata

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output. Questa la visione standard delleconomia, un mondo a se stante, senza rapporti con il sistema che la contiene. Esiste un modo differente di vedere leconomia, che consiste in un semplice gesto: tracciare intorno al quadrato economia un quadrato pi grande, etichettato ambiente che comprenda anche le frecce di input e output. Il significato semplice, ma comporta una visione delle cose estremamente differente: leconomia un sottoinsieme dellambiente e dipende da esso sia come fonte di input di materie prime che come bacino ricettivo per gli output di rifiuti.

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2.3 Il rapporto del M.I.T.


Nel 1970, il Club di Roma affid a J. Forrester e D. Meadows, entrambi studiosi di dinamica dei sistemi del Massachusetts Institute of Technology (M.I.T), il compito di elaborare uno studio per estrapolare il futuro andamento dello sviluppo economico mondiale alla luce delle crescenti interdipendenze e interazioni di cinque fattori critici: laumento della popolazione, la produzione di alimenti, lindustrializzazione, lesaurimento delle risorse naturali e linquinamento. Con uno staff di ecologisti, demografi ed economisti, chiamato System Dynamics Group, venne elaborato un modello, presentato con il titolo The Limits to Growth. Lo studio parte dal presupposto che la crescita della popolazione mondiale e lo sviluppo economico-industriale si basano sulla disponibilit di fattori materiali, i quali possono essere limitati dalla dinamica degli altri tre fattori analizzati: la produzione di alimenti, l'esaurimento delle risorse naturali e l'inquinamento. Certamente non si dimentica l'esistenza di fattori sociali, i quali non sono comunque suscettibili di stima o previsione e quindi non inseribili in un modello. In apertura, lo studio offre una panoramica della situazione dei vari fattori: allepoca della realizzazione dellindagine il quadro mondiale era il seguente. A partire dal 1650 la popolazione del pianeta aumentata in maniera esponenziale e nel 1970 ammontava a 3,6 miliardi, con la tendenza a crescere a un tasso del 2,1% annuo. La produzione mondiale mostra una crescita ancora pi rapida di quella della popolazione, ma questo sviluppo concentrato nei Paesi gi industrializzati, al contrario di quanto avviene per la crescita demografica. La superficie di terra coltivabile in tutto il globo ha unestensione massima di 3,2 miliardi di ettari; anche supponendo di quadruplicare la produttivit agricola e di limitare che le citt sottraggano spazio ai terreni coltivabili, la continua crescita della popolazione porter, nel 2100 a scontrarsi con questo limite. Lo stock di capitale necessario alla produzione di alimenti deve aumentare, ma strettamente legato alla disponibilit di materie prime non rinnovabili. Il rapporto stima, utilizzando i dati del Bureau of Mines degli Usa sulle riserve allora conosciute, la durata prevedibile di alcune materie prime, ipotizzando un tasso di consumo costante.

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Gli studiosi erano per consapevoli che lo scenario pi probabile deve prevedere una crescita esponenziale dei consumi. Anche considerando la scoperta di nuovi giacimenti, fino a quintuplicare le riserve allora conosciute, tutte le risorse non rinnovabili sembravano destinate a esaurirsi entro un secolo, anche considerando leffetto del prezzo come regolatore della scarsit di tali materie prime. Per quanto riguarda lultimo aspetto, linquinamento, si evidenzia come esso sia strettamente legato allaumento della popolazione e dei consumi. Inoltre la pericolosit del fenomeno risiede nellimpossibilit di prevedere quale sia il limite degli ecosistemi nel sopportare il peso dellinquinamento, fino ad arrivare a un punto di irreversibilit del fenomeno. Dopo il quadro generale, il rapporto sviluppa un modello in cui vengono messe in luce le interdipendenze dei vari fattori tra di loro, in modo da poter prevedere le possibili evoluzioni future a livello mondiale. Le relazioni riguardano aspetti economici, socio-psicologici e ambientali. Emergono vari scenari che cambiano in base alle differenti ipotesi iniziali, che hanno in comune lesaurimento delle risorse naturali e il conseguente arresto della crescita economica. Il modello prospetta la necessit di ridurre, a partire dagli anni 70, la crescita della popolazione e dei consumi, per evitare il collasso e stabilizzare la situazione economica a uno stato stazionario. Il rapporto del M.I.T. ebbe un grande successo, in particolare grazie agli avvenimenti storici che si verificarono di l a pochi anni: la prima crisi petrolifera del 1973 fu vista da molti come lavverarsi delle previsioni di Meadows e Forrester. Per contro, la reazione da parte degli economisti fu decisamente critica. Il modello fu definito neo-malthusiano e poco attento allo sviluppo tecnologico, con ipotesi forzate e poco realistiche. Ma in particolare il ruolo della tecnologia che sta a cuore agli studiosi di scienze economiche: lo sviluppo scientifico, infatti, viene interpretato come possibilit reale di superare i limiti fisici delle risorse e dellinquinamento, in quanto permetterebbe di trovare nuovi giacimenti, di sostituire le risorse pi scarse, di ovviare al problema ambientale con soluzioni adatte ad abbattere linquinamento.

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2.4 Il rapporto Brundtland e il concetto di sostenibilit


Nel 1983 le Nazioni Unite convocano una Commissione mondiale per lAmbiente e lo Sviluppo, nellambito dellUnited Nations Environment Programme. La commissione era stata creata per affrontare la crescente preoccupazione circa lincalzante deterioramento dellambiente umano e delle risorse naturali e le conseguenze di tale deterioramento sullo sviluppo economico e sociale. Insieme alla Conferenza di Rio del 1992, il rapporto della Commissione, conosciuto come Rapporto Brundtland dal nome della sua presidente, Gro Harlem Bruntdland, rappresenta una delle tappe fondamentali per prefigurare delle politiche mondiali verso uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Il rapporto della commissione viene pubblicato nel 1987 con il titolo Our Common Future ed definito da molti come il primo documento in cui appare il concetto di sviluppo sostenibile. In effetti, nel testo si trova una definizione di sviluppo sostenibile, cos enunciata:

Il genere umano ha tutti i mezzi per assicurare uno sviluppo sostenibile, per rispondere ai bisogni del presente senza

compromettere la possibilit per le generazioni future di soddisfare i loro. La nozione di sviluppo sostenibile implica certo dei limiti. Tuttavia, non si tratta di limiti assoluti, ma di quelli che impone lo stato attuale delle nostre tecniche e dellorganizzazione sociale, nonch dalla capacit della biosfera di sopportare gli effetti dellattivit umana. Ma noi siamo capaci di migliorare le nostre tecniche e la nostra organizzazione sociale in modo da aprire la strada ad una nuova era di crescita economica. La Commissione ritiene che la povert generalizzata non sia una fatalit. Ora, la miseria un male in s, e lo sviluppo sostenibile significa la soddisfazione dei bisogni elementari di tutti e, per ciascuno, la possibilit di aspirare ad una vita migliore. Un mondo che permette la

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povert endemica sar sempre soggetto a catastrofi ecologiche e altre.8

La definizione, diventata poi la pi diffusa e condivisa, apparentemente intuitiva, ma in realt nasconde implicazioni molto importanti dal punto di vista economico. In primo luogo essa introduce il tema della sostituibilit tra fattori di produzione. La produzione di beni e servizi in un paese resa possibile dalluso di fattori di produzione fisici (il capitale rappresentato dalle macchine), umani (la forza lavoro) e ambientali (le risorse naturali). Le proporzioni tra questi elementi possono variare in maniera considerevole fra i paesi, e per uno stesso paese nel corso degli anni. Essi dipendono da molteplici aspetti; la dotazione naturale, la tecnologia, il livello di sviluppo, i costi dei vari fattori. La possibilit per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni dipende dalla disponibilit di un capitale composito come composito il capitale che questa generazione usa. Sulla base delle sostituibilit tra i fattori ruotano le varie definizioni di sviluppo sostenibile che sono state concepite nel corso degli anni. Esistono almeno quattro posizioni sul tema della sostenibilit: sostenibilit molto debole, sostenibilit debole, sostenibilit forte e sostenibilit molto forte. Le differenze si basano sul grado di sostituibilit che viene attribuito alle varie forme di capitale. Nella prospettiva della sostenibilit molto debole le preoccupazioni ambientali, pur presenti allinterno delle politiche di sviluppo, non costituiscono in nessun modo un vincolo per il perseguimento di queste ultime. Al contrario, nella prospettiva della sostenibilit molto forte, le preoccupazioni relative alla sostenibilit ambientale costituiscono la condizione necessaria per tutte le altre politiche. Occorre inoltre introdurre altri due concetti: il capitale naturale critico, cio il livello minimo necessario alla riproducibilit del sistema biologico e la capacit di carico (carrying capacity), ovvero quanto pu crescere una risorsa nel suo sistema vitale, il numero massimo di individui che un ecosistema pu sopportare. I diversi concetti di sostenibilit valutano in modo differente questi due elementi di soglia,
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Commissione mondiale per lambiente e lo sviluppo, 1988, Il futuro di noi tutti / Rapporto della Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, Bompiani, Milano

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che comportano, ovviamente, una diversa possibilit di sfruttamento delle risorse naturali. Il concetto di sostenibilit debole considera sempre possibile la sostituibilit tra capitale naturale e capitale artificiale, tanto che definisce sostenibile un modello che garantisce uno stock di capitale (naturale + artificiale) non decrescente nel tempo. Il concetto di sostenibilit forte, al contrario, considera impossibile una sostituzione completa tra capitale naturale e capitale artificiale, ad esempio per quel che riguarda il mantenimento dei servizi ecologici vitali (come la fotosintesi), cos che la sostenibilit viene definita come il mantenimento non decrescente dello stock di capitale naturale. Un secondo concetto che pu essere derivato dalla definizione di sviluppo sostenibile del rapporto Brundtland quello di equit. Anche in questo caso possibile fare una distinzione: equit intragenerazionale, sia a livello locale che internazionale, implica la parit di accesso alle risorse (ambientali o meno) da parte di tutti i cittadini del pianeta, senza distinzioni rispetto al luogo in cui vivono; equit intergenerazionale significa invece pari opportunit fra successive generazioni. Il rapporto della Commissione mondiale per lAmbiente e lo Sviluppo pone laccento su altri due elementi: il concetto di bisogni primari e lidea di un limite allo sviluppo. I bisogni sono visti soprattutto in relazione alla componente pi povera dellumanit: le popolazioni del Terzo Mondo devono essere messe in condizione di soddisfare i bisogni primari delluomo. Riprendendo in parte la teoria dei bisogni fondamentali proposta da McNamara, si condivide lidea che non possibile proporre un modello di sviluppo a una popolazione che non in grado di sfamarsi. Il concetto dei limiti, invece, riprende in parte il rapporto del club di Roma, ma in maniera meno drastica: pur riconoscendo che lo stato della tecnologia e dellorganizzazione sociale impongono dei limiti alla capacit dellambiente di soddisfare i bisogni presenti e futuri, tuttavia il rapporto Brundtland non disegna

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uno scenario di collasso del sistema, ma propone lo sviluppo sostenibile come modello da seguire per garantire la sostenibilit del sistema. Il rapporto Brundtland propone tre misure concrete. La prima consiste nel produrre di pi consumando di meno attraverso il riciclaggio, lefficienza energetica e linnovazione tecnologica. La seconda misura riguarda larresto dellesplosione demografica. La terza consiste nella redistribuzione della ricchezza dai Paesi industrializzati al Terzo Mondo. Il concetto di sostenibilit elaborato dalla commissione delle Nazioni Unite stato definito come antropocentrico: al centro della questione non viene, infatti, posto lecosistema, e quindi la conservazione e il benessere di tutte le specie viventi, ma piuttosto luomo e la sopravvivenza di tutte le generazioni future. In seguito il concetto stato ampliato. Nel 1991 la World Conservation Union definisce lo sviluppo sostenibile come un miglioramento della qualit della vita, senza eccedere la capacit di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende. Nello stesso anno Herman Daly propone alcune condizioni generali per garantire uno sviluppo sostenibile, come verr meglio specificato nel quarto capitolo. Nel 1994 lICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) ha fornito un ulteriore ampliamento del concetto: Sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunit, senza minacciare loperabilit dei sistemi naturali e sociali da cui dipende la fornitura di tali servizi. Le dimensioni ambientali, economiche e sociali sono quindi viste come tre elementi strettamente correlati, e tali legami non possono essere ignorati da qualsiasi politica che voglia indirizzare lo sviluppo nella direzione della sostenibilit. Nel 2001 lUnesco ha allargato ancora il concetto di sviluppo sostenibile, indicando che la diversit culturale necessaria per lumanit quanto la biodiversit per la natura () la diversit culturale una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come mezzo per condurre unesistenza pi soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale.

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Il concetto di sviluppo sostenibile quindi un concetto molto ampio, che abbraccia tutta la sfera umana: dalleconomia alla politica, dallambiente alle dinamiche sociali. Non possibile, cio, scindere la sostenibilit in reparti stagni e intervenire solo su alcuni settori: necessario un cambiamento globale che comprenda anche la componente etica. Proprio questo fatto, per, cio la vastit del suo significato, ha indotto alcuni studiosi a criticare il concetto di sviluppo sostenibile: un campo troppo vasto viene visto come uno svuotamento di significato del concetto, poich d la possibilit di fornire interpretazioni molto differenti, a volte anche in contrasto tra loro; interpretazioni che si traducono poi in azioni di diversa natura e orientamento, che vengono tutte giustificate ponendosi sotto lampio ombrello dello sviluppo sostenibile. Inoltre, i concetti di sviluppo sostenibile non si pongono al di fuori del paradigma della crescita, ma sono in armonia con il pensiero economico mainstream. Questo approccio viene aspramente criticato in particolare da quegli studiosi (inseriti nei movimenti che fanno capo alla teoria della decrescita che saranno trattati nel capitolo quinto) che ritengono impensabile che uno sviluppo economico basato su continui incrementi di produzione di merci possa essere in sintonia con la preservazione dellambiente e con un armonico sviluppo della societ umana.

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2.5 I limiti sociali


I limiti fisici del pianeta non possono essere considerati i soli ostacoli al perseguimento dello sviluppo economico cos come fino a oggi stato presentato. Esistono anche dei limiti sociali allo sviluppo, che implicano lassunzione della tesi secondo cui leconomia non pu essere una scienza amorale, ma deve fare i conti con metri di giudizio e con valutazioni etiche. Oltre al filone di ricerca che individua nella limitata disponibilit delle risorse fisiche un ostacolo alle possibilit di uno sviluppo illimitato, negli anni 70, con Fred Hirsch, si inaugura un nuovo approccio, che identifica nel contesto sociale i limiti a una crescita continua. Largomentazione di Hirsch si articola attorno a due problemi principali: una quota importante e crescente del prodotto reale delle economie occidentali consiste in beni e servizi posizionali (piuttosto che materiali), la cui offerta non pu essere di molto aumentata; il perseguimento del proprio interesse da parte dei singoli, da cui dipende lefficienza delleconomia di mercato, indebolisce inevitabilmente i vincoli etici che tengono insieme la societ. Leconomia materiale definita come loutput riconducibile allaumento continuo di produttivit per unit di input di lavoro: con laumento della meccanizzazione e della tecnologia loutput non perde la sua qualit. Leconomia posizionale, invece, riguarda quei beni che possono definirsi scarsi in senso sociale e che sono soggetti ad affollamento e congestione quando il loro uso diventa pi intensivo ed esteso. Chi consuma beni posizionali percepisce una diminuzione della qualit correlata allaumento della loro produzione e alla diffusione del loro impiego. Mentre laccesso ai beni materiali, volti cio a soddisfare i bisogni fondamentali, una funzione del reddito assoluto, cos che esso aumenta con lo sviluppo economico, leccesso ai beni posizionali una funzione del reddito individuale relativo a quello degli altri, sicch esso non aumenta con lo sviluppo economico. Con laumento del reddito e della disponibilit economica diventa importante la propria posizione nei confronti di coloro che ci stanno attorno. Ne deriva che la soddisfazione non data tanto dal consumo di un prodotto, ma dal confronto tra le

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nostre possibilit di consumo e quelle dei nostri vicini. Lo stesso vale per il reddito: non importante in modo assoluto il nostro livello di reddito, quanto piuttosto la differenza tra la nostra retribuzione e quella dei nostri colleghi. Con le parole di J. S. Mill Gli uomini non desiderano essere ricchi, ma essere pi ricchi degli alti uomini9. Dal momento che la lotta per le quote relative un gioco a somma zero, chiaro che la crescita aggregata non pu aumentare il benessere aggregato. Nella misura in cui il benessere dipende da posizioni relative, la crescita non in grado di aumentare il benessere dellaggregato. Essa soggetta a una sorta di trappola autodistruttiva. Il risultato una frustrazione dello sviluppo reale. Lofferta di beni posizionali, quelli cio che possono soddisfare il bisogno di consumo delluomo moderno, non pu essere aumentata oltre un certo livello. Essi, infatti, sono soggetti a quella che Hirsch chiama congestione: luso di tali beni da parte di un numero sempre maggiore di persone influisce, in negativo sulla loro qualit. Il fatto che i beni e i servizi posizionali dipendano, per loro natura, dal reddito e dallo status sociale relativo, comporta, inoltre, diseconomie esterne nel loro consumo (qualcuno ci deve perdere se tu ci guadagni) ed esclude ogni ottimizzazione, favorendo anzi sprechi e distorsioni. Il successo dello sviluppo economico nel soddisfare, nei decenni trascorsi, la domanda di beni materiali ha esaltato oltre misura le motivazioni individuali orientate al mercato e al perseguimento dellinteresse individuale, facendole dilagare oltre i limiti etici entro i quali erano state a lungo contenute. Gli individui, secondo Hirsch, hanno perso i freni che li spingevano ad arrestarsi dal perseguire il proprio interesse nel caso in cui esso mostrasse conseguenze sociali indesiderabili. Lenorme sviluppo economico visto fino a oggi, non stato in grado di distribuire in modo egualitario i beni e i servizi di cui godono da sempre le classi privilegiate. Laccesso a un certo tipo di beni, che si possono definire beni di lusso, si ampliato di molto, ma llite si permette, oggi, beni ancora pi irraggiungibili. Il fatto che sia pi facile raggiungere con poco sforzo beni che prima erano tab per
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Citato in Hirsch F., 1981, I limiti sociali dello sviluppo, Milano, Bompiani

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un certo tipo di classe di reddito, non produce comunque soddisfazione, perch il confronto con gli altri individui porta a desiderare beni posizionali sempre maggiori. Ancora una volta lo sviluppo si scontra con il problema della scarsit: non un limite fisico, ma limpossibilit oggettiva di garantire a tutti il massimo. Lo stato liberale delle opportunit individuali appare oggi in una prospettiva assai pi limitata. Le sue attrattive in se stesse non sono diminuite. Ci che occorre ridimensionare la possibilit di distribuirle a tutto il popolo (Hirsch, 1981). Occorre costruire una nuova morale in cui i valori dellaltruismo mostrino i limiti entro i quali deve muoversi lazione economica motivata dalla ricerca dellinteresse individuale. Tra lo Stato e il mercato, emerge lelemento etico come fattore autonomo e irriducibile di integrazione della societ. Deve emergere, sempre secondo la visione di Hirsch, unetica che veda nellinteresse collettivo un fine a cui deve tendere linteresse individuale, in modo che si ottengano risultati migliori proprio orientando verso il sociale il proprio agire. Questo non richiede, secondo lautore, un cambiamento della natura umana, ma semplicemente un cambiamento delle convenzioni e degli atteggiamenti. Nella scala delle priorit sociali la crescita dovrebbe essere sostituita da altri obiettivi. Quanto emerge da questa analisi una discrepanza tra laumento della ricchezza e la soddisfazione dei consumatori. Chiaramente questo aspetto dello sviluppo ha un senso solo nei Paesi industrializzati, ma pu fornire unindicazione anche per i Paesi in via di sviluppo. Laumento dei consumi non sempre indice di un miglior livello di benessere, tanto che non mancano le analisi economiche che indicano come laumento di reddito non corrisponda a un uguale aumento della felicit (fig. 1), cos come espresso nel cosiddetto paradosso di Easterlin.

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Figura 1

La ragione sempre la stessa: la percezione della nostra felicit non avviene a livello assoluto ma sempre in riferimento al momento contingente e al paragone con le persone che ci sono intorno. Con laumento del reddito, infatti, aumentano anche le aspirazioni e di conseguenza gli individui sono indotti a richiedere continui e pi intensi piaceri per mantenere lo stesso livello di soddisfazione. Da queste analisi emerge che il problema dello sviluppo, inteso come pura crescita economica, pu essere soggetto a molte critiche. Da un lato, i limiti fisici impongono un freno alla produzione e al consumo, che stanno raggiungendo dimensioni esagerate. Dallaltro, come mostrato nelle pagine precedenti, emergono anche delle difficolt sociali, legate allinsoddisfazione crescente che nei Paesi industrializzati colpisce buona parte della popolazione. E impossibile, in questo contesto, escludere letica dalleconomia. Le scelte economiche implicano delle conseguenze sulle generazioni future e sulle altre specie viventi che devono essere considerate. La critica al paradigma della crescita accusa i suoi sostenitori di non aver tenuto conto della distruzione di habitat e dellestinzione di molte specie animali, di non tenere conto dei bisogni delle generazioni future, come se esse non avessero la necessit di utilizzare le risorse terrestri, e di non essere stati in grado di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.

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Nei capitoli che seguono, si andranno ad analizzare i contributi di diversi autori nel proporre una differente idea di sviluppo, legata non alla crescita economica e allaumento del Pil, ma allaspetto qualitativo delleconomia. Per fare ci necessario partire dal presupposto che leconomia non pu essere considerata una scienza pura e isolata. Essa espressione dellattivit umana e in quanto tale non pu essere slegata da tutto ci che riguarda luomo: lambiente naturale in cui vive, i rapporti sociali, la psicologia degli individui, le tradizioni e le culture che determinano certe visioni del mondo e certi modi di consumo. In particolare leconomia non pu essere considerata una scienza universale: essa deve adattarsi alle culture locali e alle differenti situazioni storiche e sociali. Unanalisi globale delle problematiche legate allo sviluppo deve poi concentrarsi sulle opportunit che nascono localmente per affrontare i limiti che emergono da una visione del mondo legata alla semplice crescita quantitativa. La critica al paradigma sviluppista, nelle sue varie forme, ha un punto costante: lo sviluppo qualitativo e a misura duomo non pu essere una ricetta universale da applicare indiscriminatamente a tutti i popoli della terra, ma deve nascere e crescere dallinterno di ogni comunit. Prima di passare allanalisi dei vari contributi teorici, occorre ancora analizzare in che modo viene quantificato lo sviluppo e quali conseguenze ha questa misurazione sulle politiche economiche legate alla crescita.

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2.6 La misura dello sviluppo


Il concetto di sviluppo strettamente correlato alla sua misurazione, in modo particolare quando il termine utilizzato come sinonimo di crescita economica. Negli anni 40, per evitare di farsi cogliere impreparati da uneventuale crisi, comera successo nel 1929, gli Stati Uniti mettono a punto un sistema di misura della produzione aggregata adatto a valutare la situazione economica dei paesi. Dal 1977 il Pil (Prodotto interno lordo) diventa laggregato base raccomandato dallONU per la contabilit nazionale. Il Pil viene considerato, anche a livello sociale e politico, il parametro principale su cui valutare landamento di un paese, sotto tutti i punti di vista: la vitalit economica, il successo delle politiche economiche, il benessere e la felicit dei cittadini. Il Pil il valore di mercato di tutti i beni e i servizi finali prodotti da un paese entro un determinato periodo di tempo, che di norma corrisponde allanno, e nel tempo ha perso la sua connotazione di aggregato di dati imparziale ed diventato la misura del successo di un paese. Il prodotto interno lordo pu essere calcolato con diversi metodi: quello del valore aggiunto, quello del reddito o quello della spesa. Nel primo caso si da rilievo al fatto che il contributo delle imprese allincremento della produzione pari al valore aggiunto che esse incorporano nel prodotto, cio il valore della produzione al netto dei beni intermedi impiegati per ottenerla. Nel secondo caso, si rimarca il fatto che il valore aggiunto deve essere ripartito tra i soggetti coinvolti nella produzione, sotto forma di salari e di profitti. Il terzo metodo coinvolge consumatori e imprese, indicando come reddito e profitti si trasformano in consumi delle famiglie e in investimenti da parte delle imprese. In sintesi, il Pil rappresenta la ricchezza prodotta da un paese. Nessuno oggi sostiene che il Pil sia un indicatore perfetto. Anche i suoi sostenitori ammettono che lindicatore non pu misurare la salute dei cittadini, o il livello dellistruzione; tuttavia, diffusa lidea secondo cui un paese con un Pil elevato garantisce livelli di vita migliori, nonostante lindicatore non consideri molte delle attivit non contabilizzabili. La critica pi comune rivolta al Pil proprio questa: un indice che non in grado di misurare tutta una serie di fattori, che sono invece

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determinanti nella vita delle persone. Alcuni sono fattori in qualche modo economici, come i lavori domestici o gli scambi di servizi che avvengono allinterno della famiglia; altri sono fattori immateriali, che non possono essere ridotti a quantificazioni numeriche, perch la loro natura qualitativa e sociale, pi che economica. Tuttavia, questi possono definirsi difetti interni, cio limiti propri dello strumento, che possono in qualche modo venire migliorati, cercando di inserire qualche correzione e qualche adattamento. Le critiche pi severe, in realt, sono rivolte allinterpretazione data al Pil. Gli autori che criticano leconomia dello sviluppo vedono nel Pil, considerato come indice incontestato del successo economico e come indicatore della felicit di un paese, lo strumento che permette di continuare a presentare la crescita come necessaria e indiscutibile. Daltro canto, se il Pil pu essere definito soprattutto consumo, allora chiaro che la proposta degli obiettori della crescita non pu che essere in netto contrasto con questo indicatore. Lo sviluppo economico definito dal Pil prescinde da due elementi importanti: laspetto qualitativo (quali sono le produzioni e i consumi che hanno generato il Pil) e laspetto della sua ripartizione (in che modo la crescita del Pil si distribuisce tra i cittadini). Tutti gli autori che verranno affrontati nei capitoli seguenti hanno mostrato scarsa propensione a considerare il Pil una corretta misura del benessere reale; tale indicatore, in realt, risulta, soprattutto per gli obiettori della crescita, uno strumento che distorce la percezione e gli incentivi a un corretto uso delle risorse e un equilibrato modello di consumo. Nonostante le differenze nel pensiero degli economisti eterodossi che criticano lo sviluppo e la crescita, la critica al Pil pare una costante che riesce ad accomunare tutti questi autori. Se il Pil rappresenta la misura della crescita e, lontano da essere un indicatore neutrale, influenza la percezione e gli incentivi che vanno nella direzione dello sviluppo, chiaro che una critica del paradigma sviluppista non pu accettare che il livello di ricchezza e benessere di una popolazione sia affidato a un indicatore tanto controverso. Bisogna riconoscere che il Pil ha dei meriti notevoli. E' una di quelle misure aggregate senza le quali chi si occupa di orientare le politiche economiche si

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troverebbe sperduto in un mare di singoli dati non organizzati, e non sarebbe in grado di stabilire e raggiungere degli obiettivi economici. La rappresentazione di un fenomeno attraverso un unico indicatore presenta linnegabile vantaggio di essere facilmente comunicabile e utilizzabile per immediati confronti nel tempo e nello spazio. Ma fuorviante attribuire al Pil anche la funzione di misuratore del benessere e considerare laumento del Pil assolutamente necessario per la felicit dei cittadini. Le critiche mosse verso il Pil riguardano in gran parte le componenti dellazione umana che, sebbene fondamentali nello sviluppo della societ, non vengono colte da questo indicatore. In primo luogo, il fatto che una certa quantit di merci sia stata prodotta non significa che tutti abbiano accesso a questi beni e che siano in condizione di usarli per migliorare la propria esistenza. Una nazione non dovrebbe limitarsi a promuovere la crescita economica, sulla base della convinzione che questa porter benefici a tutta la popolazione, ma distribuire in modo equo le sue risorse in modo che la crescita sia indirizzata al benessere collettivo. Della distribuzione delle risorse e del fatto che qualcuno sia privato di cibo, acqua, alloggio, vestiario, sanit e istruzione, il Pil non dice assolutamente nulla. Per questo pu essere utile, nel cercare di analizzare il grado di sviluppo di una nazione, implementare i dati sulla crescita economica con quelli sulla distribuzione del reddito e sulla povert, i cui indicatori pi usati sono l'indice di Gini e lo Human Poverty Index (HPI). L'indice di Gini in grado di esprimere in termini percentuali il grado di concentrazione del reddito, quindi la ripartizione della ricchezza all'interno di una collettivit. L'HPI stato elaborato dall'ONU per misurare il grado di povert di una nazione. Per i Paesi in via di sviluppo si calcola in base ad aspettativa di vita, analfabetismo, mancato accesso all'acqua potabile, denutrizione infantile e numero di redditi inferiore al dollaro al giorno. Per i Paesi industrializzati, invece dellaccesso all'acqua e della denutrizione infantile, si calcola l'esclusione sociale, misurata dalla disoccupazione di lungo periodo, mentre al posto

dell'analfabetismo completo si misurano le forme di scarsa alfabetizzazione. Se il benessere di un paese si pu definire nella misura in cui la sua popolazione pu soddisfare le proprie esigenze, allora occorre tener conto anche dei fattori

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sociali e culturali che, in gran parte del mondo rendono ancora difficile parlare di parit tra uomo e donna, e che determinano discriminazioni verso alcuni settori della societ. La misura delle disparit di sesso, religione, etnia pu essere verificata utilizzando le misure gi esistenti e applicandole separatamente, ad esempio, alla parte femminile e a quella maschile della societ, o alle diverse etnie. Il difetto maggiore del Pil, tuttavia, quello di non essere in grado di distinguere tra i beni e i mali che una societ produce. L'acquisto da parte di un governo autoritario di armi da usare contro i propri cittadini allo scopo di mantenere il potere, la spesa bellica di una nazione in guerra, i costi che alcune famiglie si trovano a dover sostenere per curare un proprio componente affetto da una nevrosi o dipendente da droga, non sono certo sintomi di benessere per una societ. Eppure contribuiscono all'incremento del Pil. In altre parole esso un indicatore che d lo stesso significato alla spesa per la costruzione di una scuola e allo stesso importo speso per produrre delle armi. Pi in generale, si pu dire che il Pil indifferente rispetto alla destinazione ultima della produzione: se un imprenditore produce qualcosa che si rivela completamente inutile, e quindi rimane invenduto e diventa solo un rifiuto da smaltire, il buonsenso ci dice che c' stato uno spreco, il Pil che c' stato un contributo alla crescita economica. Esistono poi dei beni che hanno un valore, ma non un prezzo di mercato: sono, in modo particolare, i beni ambientali, come la qualit dellaria o la presenza di boschi, e i beni relazionali, come la qualit dei rapporti famigliari e il tempo speso per noi stessi. "Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualit della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. [] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidit dei valori familiari, lintelligenza del nostro dibattere o lonest dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto n della giustizia nei nostri tribunali, n dellequit nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura n la nostra arguzia n il nostro coraggio, n la nostra saggezza n la nostra conoscenza, n la nostra compassione n la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ci che rende la vita veramente degna di essere vissuta", afferm Robert Kennedy nel 1968, in un discorso nel quale criticava l'idea di crescita economica fine a s stessa:"Non troveremo mai un fine

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per la nazione n una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nellammassare senza fine beni terreni"10, sottoline in quell'occasione. La consapevolezza dell'entit che il problema ambientale ha raggiunto rende ormai chiaro come non si possa continuare a misurare la ricchezza delle nazioni solo sulla base della crescita economica, senza calcolare il deprezzamento del capitale naturale che essa provoca, cio i danni all'ambiente e il consumo di risorse ambientali non rinnovabili. Herman Daly, oltre a offrire una critica della contabilizzazione del benessere, nel 1989 ha messo a punto, con John Cobb, un nuovo indicatore: lISEW (Index of Sustainable Economic Welfare, Indice del benessere economico sostenibile). L'ISEW calcola lo sviluppo di una nazione in termini economici, come il Pil, ma comprende, oltre agli elementi positivi che lo fanno aumentare, elementi negativi che gli vengono sottratti. Hanno segno positivo la spesa privata per consumi e investimenti, la spesa pubblica "buona" (quella per la sanit, per le infrastrutture, per l'istruzione e per l'ambiente) e il lavoro domestico, mentre vengono sottratti i danni ambientali, l'esaurimento di risorse non rinnovabili, la perdita di zone umide e di terreni agricoli, le spese per la sicurezza, i costi connessi a urbanizzazione, pendolarismo e incidenti stradali, il grado di iniquit nella distribuzione dei redditi. Un indicatore come questo consente di capire meglio quanto efficace la nostra organizzazione della produzione, tenendo anche conto dei costi ambientali e sociali. Ma non ci dice se l'ecosistema sia in grado di sostenere questa organizzazione, o se la pressione sulle risorse e sull'ambiente risulti troppo forte e destinata a determinare effetti catastrofici nel lungo termine. E' invece significativo da questo punto di vista l'Ecological Footprint (Impronta Ecologica), indice basato specificamente sulla sostenibilit ambientale, che calcola l'area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti. E evidente che linadeguatezza del Pil comincia a essere avvertita anche dalle istituzioni. A livello di singole nazioni ci sono ancora molti passi da fare, ma
Discorso sul Pil pronunciato da Robert Kennedy nel 1968 presso lUniversit del Kansas, fonte: www.depiliamoci.it
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alcune istituzioni internazionali cominciano ad affiancare al Prodotto interno lordo altri indicatori che tengono conto delle variabili sociali. Dal 1990 l'ONU, nei suoi rapporti annuali sullo sviluppo, calcola lo Human Development Index (HDI) di ogni nazione, un indice di sviluppo basato su reddito, speranza di vita e livello di istruzione. Per quanto non risulti esente da difetti, visto che non tiene conto dello stato dei beni ambientali e che le variabili che comprende sono tutte legate ad aspetti individuali, trascurando la dimensione sociale dello sviluppo, l'HDI ha il vantaggio di presentarsi come un indice semplice e comprensibile a tutti e quindi in grado di avere impatto sull'opinione pubblica. Sebbene gli economisti siano concordi nellaffermare che il Pil non una misura esaustiva e che non pu essere considerato un sinonimo di benessere, perch non a questo scopo che stato creato, tuttavia lopinione pubblica e la politica economica sembrano continuamente confondere il Prodotto interno lordo con la felicit: nel nostro immaginario, ma anche nei fatti, il Pil pro capite fortemente legato al livello di vita e allammontare dello stipendio. Anche per questo motivo, lidea di una diminuzione del Pil, come quella proposta dalla teoria della decrescita, genera il panico tra la popolazione, che paragona questa situazione a un impoverimento generale con la conseguente perdita di benessere. In realt, proprio perch il Pil non in grado di misurare tutte le componenti che concorrono nella realizzazione della felicit e del benessere dei cittadini, si pu pensare a uneconomia che, riscoprendo alcuni valori relazionali e sociali (che non possono essere contabilizzati), permetta un miglioramento della qualit della vita senza pretendere di rincorrere la crescita del Pil: in altre parole, dando pi spazio e peso alla qualit piuttosto che alla quantit.

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Capitolo 3
LA BIOECONOMIA DI GEORGESCU-ROEGEN

3.1 Un economista eretico


Nicholas Georgescu-Roegen, nato a Costanza, in Romania, nel 1906, considerato il fondatore di un campo di studi interdisciplinare, a cavallo tra leconomia e lecologia, noto oggi con il nome di ecological economics, ma che egli definiva bioeconomia. Fu sicuramente un autore originale ed eclettico, che non trov molto favore in ambito accademico, per la sua profonda revisione dei fondamenti epistemologici delleconomia mainstream. Introducendo le scienze della natura, e in particolare la termodinamica e la biologia, nellambito economico, egli ha elaborato una nuova dottrina che ha posto sistematicamente in evidenza i limiti naturali della crescita economica, ponendo in primo piano il vincolo dellentropia. Nicholas Georgescu-Roegen crebbe in Romania durante i difficili anni della prima guerra mondiale. Gli eccellenti risultati ottenuti nelle migliori scuole del paese lo avvicinarono fin da bambino alla matematica e gli valsero una borsa di studio per la Sorbona a Parigi, dove consegu con i pi alti onori un dottorato in statistica matematica. La borsa di studio venne rinnovata per due anni di specializzazione post-dottorato a Londra, con Karl Pearson, che avr uninfluenza fondamentale nellavvicinarlo alle scienze sociali. Nel 1934 si trasfer negli Stati Uniti come Visiting Rockfeller Fellow a Harvard, dove, sotto linfluenza di Joseph Schumpeter, divenne un economista. Due anni pi tardi torn a servire il proprio paese natale con incarichi sia accademici che di governo, fra i quali quello di segretario generale della Commissione rumena per lArmistizio del 1944-45. Da questa posizione difese, bench con scarso successo, gli interessi della Romania dalle arbitrarie violazioni della Convenzione dellArmistizio compiute dai rappresentanti dellUnione Sovietica. Era inoltre stato presidente dellAssociazione rumena di amicizia con gli Stati Uniti e

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membro del Consiglio Nazionale del Partito contadino: ce nera abbastanza perch il regime comunista decidesse di volere la sua testa. Allinizio del 1948 riusc a lasciare il paese, insieme alla moglie, nascosto in un tir straniero. Nel corso dello stesso anno ritorn a Harvard e, nel 1949, accett un incarico alla Vanderbilt University di Nashville, dove rimase per ventisette anni, fino al pensionamento e dove visse fino alla morte giunta nel 1994. Georgescu-Roegen forn alleconomia numerosi e diversi contributi, che possono tuttavia essere schematicamente divisi in due categorie: una parte del suo pensiero, quella relativa allesordio come matematico ed economista, include scritti fondamentali sulla teoria del consumatore e della scelta individuale, su misurabilit, aspettative, teoria della produzione, analisi input-output (o analisi delle interdipendenze settoriali) e sviluppo economico. Fu un pioniere della matematica economica, ma era comunque inserito nel canale delleconomia mainstream. Negli scritti pi recenti, tuttavia, si pu riscontrare nel suo pensiero economico unonda rivoluzionaria e sicuramente fortemente critica rispetto alleconomia neoclassica, fino a elaborare una critica epistemologica ai suoi fondamenti, con ampie incursioni nelle scienze naturali. Il primo allontanamento dalla tradizione neoclassica pu essere ritrovato nel volume del 1966 Analytical Economics, nel quale possibile ritrovare tutti i principali filoni in cui scomponibile il pensiero di Georgescu-Roegen: teoria del consumatore, teoria della produzione, economia agraria ed, infine, teoria bioeconomica, la vera novit del suo pensiero, che dal 1971 diventer il tema principale di tutti i suoi scritti. Base di questa nuova teoria economica sono la termodinamica e lentropia.

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3.2 Le leggi della termodinamica


Georgescu-Roegen, nelle sue opere, specialmente in quelle posteriori al 1970, sostiene che qualsiasi scienza che si occupa del futuro delluomo, come la scienza economica, non pu procedere senza tenere conto dellineluttabilit delle leggi della fisica, che governano la vita sulla Terra. Tra queste, un ruolo di primaria importanza rivestito dalle leggi della termodinamica. La prima legge della termodinamica, detta anche legge di conservazione della materia e dellenergia, afferma che: in tutti i sistemi isolati materia ed energia rimangono costanti. La seconda legge fondamentale della termodinamica, o legge dellentropia, pu esser enunciata nel seguente modo: in ogni processo termodinamico che porti da uno stato di equilibrio a un altro, lentropia del sistema e dellambiente o rimane immutata o aumenta. Gli scienziati hanno riflettuto a lungo sul significato e sulle implicazioni di questi due principi, ma in realt essi erano gi ben radicati nella cultura popolare, nella forma di intuizioni date dallosservazione della vita comune. Entrambi i principi possono essere espressi da ununica frase: lenergia totale delluniverso costante e lentropia totale in continuo aumento. Questo significa che impossibile creare o distruggere energia, ma possibile trasformarla da una forma allaltra. Ci importante se si considera che ogni cosa costituita da energia; forma, struttura e movimento di ogni entit sono soltanto materializzazioni di energia, pi o meno concentrata e in trasformazione. Un essere umano, unautomobile o un filo derba sono forme di energia trasformatasi da uno stato a un altro. Quando unautomobile viene rottamata, o il filo derba muore o viene mangiato da qualche animale, lenergia che incorporavano non scompare, viene semplicemente restituita in qualche modo allambiente, sotto forma diversa. Il primo principio della termodinamica non pone particolari problemi allattivit umana, ma occorre tenere conto anche della legge dellentropia. Pensando a un pezzo di carbone che brucia, possibile osservare che lenergia in esso contenuta non si dissolve nella combustione, ma si converte in calore e viene dispersa nelle

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molecole di anidride carbonica, anidride solforosa e negli altri gas nellatmosfera. Per quanto non si sia persa energia nel processo, non possibile bruciare una seconda volta il pezzo di carbone. La spiegazione di questo fenomeno si trova nel secondo principio della termodinamica, il quale afferma che ogni volta che una certa quantit di energia viene convertita da uno stato a un altro si ha una penalizzazione, che consiste nella perdita di utilit da parte dellenergia, come se essa degradasse da uno stato di ordine a uno stato di disordine, che rende lenergia non pi disponibile. La misura di questa perdita di utilit viene chiamata entropia e pu essere definita come misura della parte di energia che non pu pi essere trasformata in lavoro. Un aumento di entropia significa diminuzione dellenergia disponibile. Ogni volta che avviene qualcosa nel mondo una certa quantit di energia si degrada e diventa non pi disponibile per un lavoro successivo. Nelluniverso lentropia tende continuamente verso un massimo, ossia a un livello di equilibrio in cui non esistono pi livelli differenti di energia. Infatti, quando esistono differenze di livello energetico, queste tendono sempre a pareggiarsi. Un esempio intuitivo rappresentato da un attizzatoio appena tolto dal fuoco: quando un ferro rovente viene esposto allaria, si nota subito che esso si raffredda e che laria circostante si riscalda, finch entrambi raggiungono la stessa temperatura. A quel punto, per, lattizzatoio non pi in grado di eseguire un lavoro utile e, per essere riscaldato una seconda, volta sar necessario utilizzare nuova energia. Se si accetta laffermazione secondo cui tutto energia, chiaro che lentropia riguarda anche i beni materiali. La Terra, infatti, un sistema chiuso, ossia un sistema che pu scambiare con lambiente solo energia: il nostro pianeta riceve energia dal sole, ma la materia utilizzabile solo quella gi presente sotto forma di risorse naturali e beni materiali (gli apporti di meteoriti e polveri cosmiche possono essere considerati residuali e ininfluenti). Questo significa che ogni uso che si fa della materia implica un suo decadimento a forme disperse e non pi utilizzabili, o meglio riciclabili, ma solo a costo di un enorme uso di energia. La legge dellentropia stabilisce che tutta lenergia esistente in un sistema isolato tende a portarsi da una situazione di ordine a una di disordine. Lo stato di entropia minima, quello in cui le concentrazioni sono maggiori e lenergia utilizzabile massima, anche lo stato di maggior ordine e, al contrario, lo stato di entropia

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massima, in cui lenergia utilizzabile stata completamente dissipata e dispersa, anche quello di maggior disordine. Per contrastare lentropia necessario apportare materia ed energia nel sistema. Si deve mettere in evidenza che ogni volta che si contrasta laumento di entropia in un ambito ristretto, lo si pu fare solo aumentando lentropia globale dellambiente circostante, perch ogni volta che si fa qualcosa si dissipa una certa quantit di energia che diventa poi completamente inutilizzabile per gli impieghi successivi. Georgescu-Roegen propone, per rappresentare il sistema Terra alla luce delle leggi della termodinamica, limmagine di una clessidra. La sabbia contenuta nella clessidra rappresenta la materia-energia che, come in ogni clessidra ben costruita, resta sempre costante: questo spiega la prima legge della termodinamica. La sabbia scorre sempre dalla met superiore alla met inferiore; rispetto alle clessidre comuni, per, la sabbia cambia di qualit. Quella contenuta nella parte superiore dotata di utilit, quella nella parte inferiore, invece, ormai inutilizzabile. Inoltre, la clessidra non pu mai essere capovolta. Queste due caratteristiche esprimono la seconda legge della termodinamica. Questa clessidra rappresenta in sistema isolato, cio un sistema che non pu scambiare n energia, n materia con lesterno. Si detto, per, che la Terra un sistema chiuso, cio pu scambiare con lesterno energia. Per rappresentare in modo adeguato questa caratteristica, Roegen aggiunge alla clessidra un anello circolare, come rappresentato in fig. 2. Alla luce delle leggi della termodinamica,
Figura 2 La clessidra termodinamica sistema chiuso

Georgescu-Roegen riscrive la teoria economica, mettendo in evidenza come la produzione abbia dei limiti fisici che non possono essere ignorati,

con la conseguenza che la crescita economica e materiale destinata a diminuire necessariamente, perch prima o poi diminuiscono le quantit di energia e di

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materia disponibili per la produzione delle cose necessarie ai bisogni, continuamente crescenti, degli esseri umani.

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3.3 Un nuovo paradigma


Georgescu-Roegen inizia, alla fine degli anni sessanta, a lavorare a un nuovo edificio teorico, alternativo alleconomia standard, con lobiettivo di rivedere i fondamenti epistemologici della scienza economica. I concetti chiave su cui egli fonda il proprio pensiero partono dalla distinzione tra concetti dialettici e concetti aritmomorfici, da cui derivano diversi modi di fare scienza. E opportuno definire cosa si intende con queste espressioni. Un concetto aritmomorfico un concetto che possiede gli attributi del discreto, ossia un concetto rigorosamente definito. Esempi classici di concetti aritmomorfici sono i numeri naturali, mentre i computer sono ottimi esempi di sistemi basati su una logica aritmomorfica: tutta linformazione da essi contenuta costruita sulla distinzione tra zero e uno. Caratteristica peculiare dei concetti aritmomorfici la possibilit di distinguerli nettamente uno dallaltro; in altre parole essi non hanno confini sfumati e non si sovrappongono. Per queste loro caratteristiche i concetti aritmomorfici sono fondamentali nellambito dellattivit scientifica, in quanto base della logica. Un concetto dialettico, al contrario, non possiede confini rigidamente determinati, ma delimitato da una penombra entro la quale si sovrappone il suo opposto. Caratteristica essenziale che a essi non possibile applicare il principio fondamentale della logica, cio il principio di non contraddizione. Questo afferma, come noto, che B non pu essere contemporaneamente A e non A. Viceversa, per i concetti dialettici, pu accadere che B sia al tempo stesso parte di A e di non A. Questa particolarit di giungere a sovrapporsi con il proprio opposto deriva dallelasticit dei confini semantici dei concetti dialettici. Sebbene non siano discreti, i concetti dialettici sono tuttavia distinti: quello che li differenzia dai concetti aritmomorfici che, mentre i concetti dialettici sono separati dal loro opposto da una penombra, nel caso dei concetti aritmomofici la separazione data da uno spazio vuoto. La scienza classica, o teoretica, basata sul meccanicismo, si fonda sui concetti aritmomorfici, in quanto costituita da proposizioni descrittive logicamente ordinate; questo crea un edificio scientifico in cui ogni preposizione legata a

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qualche altra secondo una connessione logica di tipo deduttivo. Questo permette alla scienza teoretica di giungere a conclusioni univoche. La connessione logica, tuttavia, non pu trattare qualunque tipo di preposizione, in modo particolare quando si tratta di comportamenti umani e di scienze sociali. In sostanza, quando si tratta di occuparsi di concetti dialettici, la logica deduttiva della scienza teoretica non permette di cogliere le possibili sfumature del contesto. Ma Georgescu-Roegen offre unulteriore critica ai concetti aritmomorfici: essi non sono in grado di spiegare il cambiamento, levoluzione e la trasformazione, in quanto essi sono sempre uguali a se stessi e non prevedono sfumature. Questa critica diventa fondamentale quando si parla di scienza economica. La storia della scienza in Occidente mostra come questa abbia continuamente aspirato a indossare una divisa teoretica, sin da quando Aristotele diede alla conoscenza una struttura logica, mostrandone i vantaggi. La scienza economica non si sottratta a questa tentazione, le opere di Walras e di Jevons in questo senso sono molto eloquenti11, cos come il concetto di Homo oeconomicus, perfettamente razionale, fondato sui principi deduttivi della logica e su concetti aritmomorfici. In un qualsiasi manuale di economia, il processo economico rappresentato come un processo circolare, allinterno di un sistema chiuso e autosufficiente, in cui la domanda crea una produzione di pari ammontare. A essa corrisponde un reddito che, distribuito alle famiglie, alimenta nuova domanda, in un processo circolare e ricorsivo virtualmente illimitato e, comunque, sempre uguale a se stesso. In altre parole, il modello con cui comunemente si rappresenta il sistema economico non contiene al suo interno alcun principio che ne possa spiegare la trasformazione. Il fondamento principale delleconomia di mercato lidea che, comunque si muovano le curve di domanda e offerta, il mercato ritorni sempre nella stessa posizione di partenza, non appena si verificano degli aggiustamenti. Il processo economico diventa in sostanza un pendolo, che oscilla regolarmente avanti e indietro: esso non rivela in alcun modo il passaggio del tempo. E su questo punto che si inserisce la critica di Georgescu-Roegen alla scienza economica neoclassica: essendo basata essenzialmente su concetti aritmomorfici,
Come nota Georgescu, Jevons parl esplicitamente delleconomia come meccanica dellutilit e dellinteresse particolare.
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essa non in grado di spiegare il proprio cambiamento; una cosa sempre uguale a se stessa, come un concetto aritmomorfico, non pu spiegare la propria evoluzione. Questo limite considerato dalleconomista rumeno molto importante, in quanto i fenomeni di cui si occupa la scienza economica sono soggetti a trasformazioni molto rapide, dato che riguardano fenomeni umani e tecnologici. Il processo economico dominato dallevoluzione e dalla crescita organica, la meccanica pu solo cambiare le quantit, ma non il carattere delle forze. Un altro aspetto delleconomia standard criticato dalleconomista rumeno lassunzione secondo la quale tutte le imprese sono identiche. Questo implica che leconomia neoclassica totalmente incapace di spiegare quali imprese dovranno ritirarsi dal mercato se la domanda si riduce in modo massiccio, ma riesce solo a indicare quante usciranno dal mercato. Questo limite scompare se le imprese vengono valutate qualitativamente, cio dotate di differenti attributi, in senso darwiniano. Questo permette di spiegare i risultati della concorrenza tra le imprese. Anche Schumpeter, da cui Roegen trae ispirazione per questi ragionamenti, mostra unevidente analogia tra lo sviluppo economico e levoluzione biologica, indicando nelle innovazioni il corrispondente economico di ci che le mutazioni sono per la biologia. Secondo Georgescu-Roegen, alla base di ogni fenomeno evolutivo ci sono concetti dialettici e non vi dubbio che, rovesciando il ragionamento, i concetti dialettici esistono proprio in quanto i fenomeni reali, e in particolare quelli legati alle scelte e ai bisogni umani, sono in continua trasformazione. Georgescu-Roegen non nega limportanza della logica e della metodologia deduttiva; tuttavia egli ritiene che sia possibile ragionare correttamente anche con i concetti dialettici, i quali si producono inevitabilmente dal cambiamento del reale con cui leconomista, in quanto studioso delle realt umane e sociali, viene necessariamente a contatto. Egli propone unepistemologia che integri la logica formale allargomentazione dialettica, consapevole che questultima, per quanto non possieda i medesimi attributi di verificabilit della prima, risulta essenziale, in quanto portatrice di modalit conoscitive differenziali e, in questo senso, preziose e insostituibili.

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Tra gli autori che influenzarono il pensiero di Georgescu-Roegen e contribuirono a mantenere una concezione evolutiva, organicistica e interdisciplinare della scienza e della filosofia, concezione in cui si inserisce perfettamente la teoria economica del nostro, sicuramente occorre citare Henri Bergson12 e Alfred North Whitehead13. E la concezione bergsoniana del tempo che ispirer leconomista rumeno, che distingue il tempo della coscienza, o assoluto (T), dal tempo della fisica e della meccanica (t). Questultimo considerato unastrazione, non il tempo reale ma una successione di istanti statici tutti uguali tra loro, indifferenti alla natura qualitativa dei fatti in essi contenuti. Il tempo della coscienza, quello reale, invece, rappresenta il tempo concretamente vissuto dalla coscienza, a livello psichico. Non c soluzione di continuit tra gli stati della coscienza: essi si compenetrano dando vita a un amalgama in continua evoluzione, sono un concetto dialettico. Quando si ha a che fare con fenomeni connessi alla vita, cos come sono i fenomeni economici nella concezione di Georgescu-Roegen, il tempo come successione di istanti aritmomorfici non in grado di spiegare levoluzione del sistema. Il contributo di Whitehead al pensiero di Roegen si inserisce nello stesso ambito. Per il filosofo inglese la realt un processo. Un processo implica una durata e porta con s qualche cambiamento. Nessuna durata distinta in modo discreto da quella che la precede o che la segue, cos come nessun evento pu essere separato completamente dagli altri. Ognuno di essi circondato da contorni sfumati, cio dalla penombra, nel senso roegeniano, dei concetti dialettici. Questa concezione relazionale ed evoluzionistica della scienza si trova in aperto contrasto con il meccanicismo newtoniano e con buona parte degli sviluppi che saranno portati avanti dai neopositivisti, approccio abbracciato totalmente dalla teoria economica neoclassica. Molto del pensiero di Roegen conseguenza delle sue conoscenze in fisica, chimica e biologia, che egli inserisce nella sua critica alleconomia standard. La critica fondamentale che Georgescu-Roegen rivolge agli economisti neoclassici quella di aver derivato la propria epistemologia direttamente dalla
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H. Bergson autore de Levoluzione creatrice, 1907, Parigi A. N Whitehead, autore di Scienza e filosofia, 1948, Milano

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fisica, senza curarsi delle profonde differenze che intercorrono tra le scienze della vita e quelle della materia. La filosofia della scienza generalmente adottata dalla comunit scientifica, e dagli economisti in particolare, si cos ridotta a un elogio della scienza teoretica (Some Orientation Issue in Economics, 1966)14. Tuttavia, solo alcuni campi allinterno della fisica (in particolare la meccanica classica) si adattano perfettamente al modello aritmomorfico della scienza teoretica. Al di fuori della fisica, e soprattutto nellambito delle scienze umane, per ricorrere al paradigma teoretico si costretti a ricorrere a forzature molto evidenti. Una di queste limpossibilit di misurare tutte le variabili di un fenomeno sociale, che intrinsecamente un elemento qualitativo, non misurabile. Una seconda forzatura il deduttivismo meccanicistico: man mano che aumenta la complessit dellorganizzazione degli elementi di una struttura non pi possibile ridurre la struttura stessa alla somma delle sue componenti; un uomo, ad esempio, non solo un ammasso di cellule, come una societ non pu essere definita come una semplice somma di individui. Lorganizzazione complessa porta un contributo di novit alla struttura che non pu essere definito da nessuno schema aritmomorfico. Il paradigma meccanicistico prevede la reversibilit degli eventi, ma in realt i fenomeni sociali e biologici non possiedono questa caratteristica, perch la loro componente essenziale la capacit di evolvere. Questo significa anche che la storia passata ha unimportanza fondamentale nei processi umani, biologici e termodinamici: un evento accaduto non pu essere annullato, non si pu mai tornare alle condizioni di partenza, e questo valido per le societ umane, per la vita e per lentropia. Gli strumenti metodologici introdotti da Georgescu-Roegen, in particolare il riconoscimento attribuito ai concetti dialettici e alla legge di entropia, costituiscono la base per una rappresentazione del sistema economico mediante modelli di tipo evolutivo - funzionale. Ci ha due importanti conseguenze. Da un lato implica una riabilitazione delle istituzioni come espressione sociale e antropologica e come contorno in cui si manifestano i fenomeni economici; dallaltro il riconoscimento del ruolo della storia economica permette di valutare
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Citato in Bonaiuti M., 2001, La teoria bioeconomica, Roma, Carocci Editore

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levoluzione del processo economico. Se limpiego prevalente, da parte delleconomia mainstream, di concetti aritmomorfici porta a conclusioni teoriche tendenzialmente universali e valide per ogni societ, limpiego di strumenti descrittivi dialettici consente di rivalutare la storia e operare un distinguo di carattere istituzionale, sociale e antropologico, funzionale allelaborazione di teorie economiche diverse per contesti culturali diversi. Nella concezione epistemologica delleconomista rumeno, il sistema economico rappresentato come un sistema aperto. Lepistemologia meccanicista porta invece a considerare il sistema economico come un sistema isolato e circolare. In realt, i confini della scienza economica sono penombre in movimento, dove leconomico si mescola con il politico, il sociale e con lambiente naturale.

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3.4 La teoria bioeconomica


GeorgescuRoegen presenta per la prima volta un quadro completo della sua teoria bioeconomica allUniversit dellAlabama, il 3 dicembre del 1970 nella Distingushed Lecture n. 1, elencando a sostegno della sua tesi tre punti fondamentali: esiste una forte parentela fenomenologica tra il processo economico e il dominio biologico; il processo economico costituisce un superamento evolutivo della biologia che caratterizza la specie umana; occorre riconoscere che la biologia e leconomia si distinguono dagli altri domini della natura in quanto entrambe sono governate specificamente dalla legge di entropia, senza la quale esse non potrebbero essere compiutamente spiegate. Come accennato nei paragrafi precedenti, la legge di entropia alla base del pensiero economico di Georgescu-Roegen e, allo stesso tempo, il concetto che determin la prima breccia apertasi, nel corso del diciannovesimo secolo, nellordine determinista della fisica classica e nel paradigma meccanicistico. Il secondo principio della termodinamica che definisce lentropia, accennato da Carnot, ma formulato pi compiutamente da Clausius nel 1850, afferma che in ogni produzione di lavoro mediante calore una parte dellenergia impiegata passa da una forma disponibile a una non disponibile. Lentropia , quindi, un processo di degradazione, che in un sistema isolato tende necessariamente verso un massimo. Secondo Georgescu-Roegen, la legge di entropia si applica direttamente ai processi di produzione che utilizzano energia, ossia al motore stesso del processo industriale. La Terra un mondo limitato sia energicamente che materialmente, in cui ogni attivit economica comporta inevitabilmente una possibilit in meno per il futuro. La legge di entropia si presenta, nel pensiero di Roegen, come la base fisica del valore economico. Lintera vita economica si alimenta di bassa entropia, sia dal punto di vista energetico (tutte le fonti energetiche come carbone, petrolio, uranio, ecc. sono fonti di bassa entropia, di energia libera) che materiale (tutte le materie

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prime adatte alla lavorazione come i metalli, il legno, i minerali ecc., in quanto strutture ordinate, sono fonti a bassa entropia). In questo senso, la termodinamica ci mostra quale sia la vera fonte del valore duso: la condizione necessaria, ma non sufficiente, perch una cosa sia utile che possieda bassa entropia. Lentropia, essendo alla base della scarsit, diventa per Georgescu-Roegen il substrato fisico del valore economico. Per quanto necessaria, tuttavia, lentropia non sufficiente a determinare il valore economico: il vero prodotto del processo economico il flusso immateriale del godimento della vita che, essendo alla base della domanda, risulta complementare allentropia nella determinazione del valore economico. Lapplicazione della seconda legge della termodinamica al processo economico, oltre ad avere conseguenze ecologiche (legate allesaurimento delle risorse e allemissione di inquinanti) comporta significative mutazioni epistemologiche. Il processo economico, infatti, nella teoria di Roegen, considerato un processo orientato nel tempo, in cui, cio, non possibile un ritorno alle condizioni iniziali. Tradizionalmente, invece, il processo economico rappresentato come un processo circolare in cui tutto sembra sostanzialmente riproducibile allinfinito. La critica di Roegen alleconomia neoclassica indirizzata soprattutto al fatto che essa ha ignorato le determinanti fisiche sottostanti al processo economico, sostenendo la visione di un sistema economico chiuso e di un processo circolare, mentre dovrebbe essere inteso come un processo unidirezionale. In base al primo principio della termodinamica luomo non in grado di produrre, n di distruggere, materia ed energia. La domanda che si pone leconomista rumeno allora: che cosa fa il processo economico? La letteratura neoclassica tralascia questa domanda fondamentale, offrendo solo casuali osservazioni circa il fatto che luomo pu produrre solo utilit. Per rispondere a questa domanda Roegen esamina levento economico dal punto di vista puramente fisico, osservando che esso un processo, circoscritto cio da un confine, attraverso il quale materia ed energia si scambiano con il resto delluniverso materiale fisico. A questo punto la risposta semplice: il processo economico, materiale, non produce e non consuma materia-energia, ma soltanto la assorbe e la espelle, il tutto ininterrottamente (Georgescu-Roegen, 1970).

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Leconomia, certo, non un fatto puramente fisico: occorre, infatti, sottolineare che c differenza tra ci che entra e ci che esce dal processo economico, una differenza che deve essere valutata soprattutto dal punto di vista qualitativo. Tuttavia, anche il processo economico sottost alle leggi della fisica, per cui la differenza qualitativa pu essere osservata in termini di entropia: le preziose risorse naturali che entrano nel processo economico sono energia-materia a bassa entropia, mentre gli scarti senza valore che vengono espulsi sono materia-energia ad alta entropia. La seconda legge della termodinamica pu trarre in inganno. Osservando i prodotti dellindustria e le creature viventi, sembra che sia possibile sfuggire alla legge entropica. Un esempio pu essere utile a comprendere meglio questo passaggio. Qualsiasi essere vivente, su archi temporali di breve periodo, riesce a mantenere immutata la propria entropia, non procede inevitabilmente verso il disordine, se non quando cessa la vita. Luomo lesempio pi straordinario di questo fenomeno: per mantenere bassa la propria entropia ricorre alluso della tecnologia e delle risorse naturali, trasformandole in funzione della propria esistenza. Tutti gli organismi viventi si adoperano per mantenere costante la propria entropia, ma questo non significa che essi sfuggano alle leggi della materia. Per ottenere questo scopo, infatti, essi traggono materia ed energia a bassa entropia dallesterno. Ma considerando il sistema nel suo complesso, cio lorganismo pi il suo ambiente, lentropia totale non resta invariata, ma aumenta: vero, infatti, che lorganismo mantiene stabile la sua entropia, ma a scapito delluso di energia e materia provenienti dallesterno. Lo stesso si pu dire dei manufatti e dei prodotti industriali: lentropia del rame metallico pi bassa del minerale allorigine del processo di raffinazione, ma questo non significa che lattivit produttiva sfugga alla seconda legge della termodinamica: la raffinazione del minerale, con lutilizzo di energia e materia, causa un aumento pi che equivalente dellentropia nellambiente circostante. In termini di entropia, in qualsiasi impresa biologica o economica essa sempre maggiore del prodotto e qualsiasi attivit ha inevitabilmente per risultato un deficit. La scarsit, intesa in senso ricardiano, legata, secondo GeorgescuRoegen, non alle materie prime, quanto alla bassa entropia. E questa che

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diminuisce con il procedere del tempo e con il perpetuarsi delle attivit umane; nel corso del tempo lutilit delle risorse che diventa sempre pi scarsa, rendendole di fatto inutilizzabili. Questa osservazione chiarisce la critica allidea di economia come processo circolare: il processo economico saldamento legato a dei vincoli materiali che lo rendono irreversibile e unidirezionale.

3.4.1 Stock, flussi e teoria della produzione Se ci guardiamo attorno, possiamo renderci conto che siamo circondati da uninfinita quantit di energia potenziale, in particolare quella solare, unico apporto esterno al sistema Terra. Nella realt, gran parte di questa energia, libera e a bassa entropia, per noi inutilizzabile, dato che lenergia del sole diffusa, non localizzata e non immagazzinabile. Questo rende lapporto energetico solare importante, dal punto di vista biologico, come essenziale per la vita, ma relativamente poco sfruttabile a livello economico, soprattutto se si confrontano le enormi potenzialit con il minimo sfruttamento che si riesce a fare di questa risorsa. Georgescu-Roegen distingue lenergia libera di cui luomo pu disporre in due fonti distinte: la prima fonte uno stock, rappresentato dalle risorse minerarie presenti sulla terra; la seconda un flusso, quello delle radiazioni solari intercettate dalla Terra. La differenza tra le due fonti essenziale: luomo ha un controllo quasi completo sulla dotazione terrestre di risorse naturali, mentre ha pochissimo controllo sulle radiazioni solari, che non possono essere immagazzinate, come non possibile sfruttare ora il flusso del futuro. I giacimenti di carbone, per esempio, sono un fondo nel senso che possibile utilizzarli tutti oggi, oppure nel corso dei secoli. Al contrario, impossibile usare una qualunque porzione di un flusso futuro di radiazione solare, n possibile immagazzinarlo e utilizzarlo tra un secolo; inoltre, questo flusso fuori dal controllo umano, non possibile agire in alcun modo sulla quantit di energia solare che riceveranno le generazioni future. Rispetto alle risorse naturali, invece, la priorit del presente rispetto al futuro e la

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degradazione entropica fanno s che le generazioni future dipendono interamente da quanta dote terrestre stata consumata dalle generazioni precedenti. In sostanza, le riserve minerarie utilizzate in passato rappresentano consumi in meno che vengono permessi ai nostri discendenti, mentre, per quel che riguarda le risorse biologiche, il flusso di energia solare garantir comunque il nascere di vegetali e animali (inquinamento e alterazioni climatiche permettendo). Leconomista sottolinea, inoltre, la differenza quantitativa tra i due tipi di energia: il flusso di radiazioni solari, oltre a essere praticamente illimitato, , oggi, 13.500 volte superiore alla domanda di energia dellintero pianeta, pari a 178 x 1012 kW; tuttavia esso rappresenta una forma di energia rarefatta, che ne rende difficile lo sfruttamento. Lo stock di materiale terrestre, al contrario limitato e non regge il confronto con la straordinaria quantit di energia solare; tuttavia esso disponibile, concentrato e relativamente facile da sfruttare. Il fatto che sia limitato, per, porta Roegen a dubitare fortemente che uno sviluppo come quello da lui osservato negli anni 70 possa continuare ancora per molto. E lenergia terrestre a essere scarsa eppure, nel modello economico attuale, la pi utilizzata e la pi economica, in quanto il prezzo dellenergia non riflette, come dovrebbe, la scarsit di tali risorse. Tutte le creature viventi utilizzano per le loro attivit quotidiane organi che sono parte della loro struttura biologica, per sopravvivere utilizzano materiale biologico (vegetali ed esseri viventi), sostanzialmente sfruttando la sola energia solare, ossia lunica risorsa illimitata presente sulla Terra. Attraverso levoluzione e le mutazioni, le specie hanno adattato le loro strutture endosomatiche ai fini a esse pi congeniali. Luomo uneccezione: oltre a sviluppare i propri attrezzi endosomatici, egli arrivato a utilizzare ogni tipo di strumento di cui non dotato dalla nascita. Oltre allevoluzione biologica endosomatica si assistito a unevoluzione esosomatica, che ha reso luomo padrone della Terra ma, al tempo stesso, lha reso dipendente da unaltra forma di energia, pi limitata e meno disponibile: quella delle risorse naturali, lo stock di materia contenuto nelle viscere della Terra. La distinzione tra stock e flussi permette a Roegen di formulare una teoria alternativa della produzione, critica rispetto alla tradizionale teoria neoclassica

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della produzione. Come noto, la teoria standard basata su una funzione aggregata del tipo: Q = f (K, R, L) dove K rappresenta lo stock di capitale, R le risorse naturali ed L lofferta di lavoro. Essendo una funzione del tipo Cobb-Douglas, essa assume implicitamente che sia possibile produrre qualsiasi output Q riducendo a piacimento le risorse naturali R, purch venga aumentato sufficientemente lo stock di capitale secondo lespressione: R = Q/KL. In sostanza, si ipotizza la perfetta sostituibilit tra risorse naturali e capitale prodotto dalluomo. Secondo Georgescu-Roegen, tale assunzione viola le leggi della termodinamica, in particolare la prima, poich non viene rispettato il bilancio dei materiali: sarebbe come dire che, se la teoria della produzione considerata una ricetta, possibile, riducendo la quantit di farina e di uova, cuocere una torta pi grande semplicemente utilizzando un forno di dimensioni maggiori, oppure due cuochi al posto di uno. Nella teoria neoclassica della produzione un fondo ha la caratteristica di entrare e uscire dal processo senza modificare la sua efficienza. I fattori di produzione delleconomia classica, cio lavoro, capitale e terra in senso ricardiano, rappresentano le usuali tipologie di fondo, poich, al termine del processo produttivo, essi conservano le medesime condizioni con le quali sono entrati. Per mantenere queste condizioni, un certo ammontare di capitale e lavoro deve essere impiegato per riportare il fondo alle condizioni iniziali. Un elemento di flusso, viceversa, qualcosa che, attraversando il confine del processo, viene utilizzato dagli elementi fondo; pertanto non pu uscire dalla produzione senza modificare le sue caratteristiche. Le risorse naturali e i prodotti intermedi costituiscono le usuali tipologie di flusso in ingresso nel processo produttivo, mentre in uscita troviamo prodotti finiti e scarti. Ci che importante sottolineare che non vi sostituibilit tra fattori flusso e fattori fondo. La produzione, infatti, in realt la trasformazione di risorse in prodotti dotati di utilit e in prodotti di scarto. Lavoro e capitale sono gli agenti di

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trasformazione e le risorse, a bassa entropia energetica/materiale, sono ci che viene trasformato. Questo significa che non possibile, riducendo la quantit di farina, produrre uno stesso numero di pizze semplicemente aumentando il numero di pizzaioli o di forni. In altre parole, possibile sostituire facilmente un elemento di fondo con un altro elemento di fondo, o un elemento di flusso con un altro elemento di flusso, ma la relazione tra flussi e fondi sostanzialmente una relazione di complementariet e non di sostituibilit. Questa implicazione deriva dal bilancio dei materiali definito nella prima legge della termodinamica. Tuttavia, anche la seconda legge, la legge dellentropia, ha delle conseguenze importanti sulla teoria della produzione. Come si visto, essa implica uninevitabile degradazione della materia/energia in input e unaltrettanto inevitabile produzione di scarti. Inoltre, nel modello roegeniano, anche i fattori fondo sono soggetti al medesimo processo di logoramento: un tornio, ad esempio, entra in buone condizioni nel processo produttivo, ma dopo un certo tempo luso lavr sicuramente logorato. Per riportare i fattori fondo alle condizioni iniziali sar necessario un certo ammontare di energia e materia. La sostenibilit del processo produttivo dipende dalla presenza costante di flussi di materia ed energia destinati al mantenimento dei fondi. Il processo produttivo si presenta cos come un rapporto di natura circolare e sistemica che discende direttamente dallapplicazione delle leggi della termodinamica al processo economico. Nelleconomia standard, il problema delle risorse naturali viene spesso liquidato sostenendo che la tecnologia sar in grado di sostituire qualsiasi tipo di capitale naturale: intese come terra ricardiana, le risorse naturali sono perfettamente sostituibili con capitale e lavoro. Leconomista rumeno inserisce, invece, una netta distinzione tra il capitale naturale e il capitale realizzato dalluomo, negando qualsiasi possibilit di sostituzione tra le due forme di capitale. Occorre, per, fare una precisazione: Roegen parla di produzione in termini rigorosamente fisici, mentre gli economisti neoclassici si riferiscono alla produzione in termini di valore. Il valore implica i prezzi e questi ultimi lutilit associata a determinati beni o servizi. Questo porta la questione della sostituibilit/complementariet su un piano totalmente differente. Mentre Georgescu-Roegen fa riferimento alle

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possibilit di sostituzioni fra capitale naturale e capitale manufatto per produrre uno stesso bene, gli autori neoclassici fanno riferimento alle possibilit di sostituzione che si presentano per produrre un determinato livello di benessere. Le possibilit di sostituzione che la tecnologia offre, fra una forma di capitale e unaltra, sono presenti solo se si ragiona in termini di utilit, mentre sono assai pi limitate se si tratta di produrre un certo bene, in termini fisici. Inoltre, diventa importante la scala di riferimento: a livello di mercato e di industria le possibilit tecnologiche sono pi diffuse grazie alla potenzialit di combinazione tra diverse risorse e prodotti intermedi. Tuttavia, se si estende la scala alleconomia intesa come un tutto, le possibilit di sostituzioni si riducono drasticamente: il capitale manufatto, per la sua realizzazione, richiede luso di risorse naturali, che, secondo la teoria di Roegen, sono limitate e soggette alla legge entropica. Esistono inoltre una serie di servizi ecologici, come i cicli naturali, la fotosintesi, il mantenimento dellatmosfera, che sono garantiti solo dalle risorse naturali, e non possono essere sostituiti artificialmente.

3.4.2 Il problema energetico e il problema materiale Georgescu-Roegen sviluppa la sua teoria economica in un contesto internazionale molto particolare. Gli anni 70 sono caratterizzati dalle crisi petrolifere che, per la prima volta, cambiano la percezione della popolazione rispetto alle risorse energetiche. Considerate fino al quel momento un bene abbondante e a basso costo, petrolio e affini avevano permesso uno sviluppo industriale senza precedenti. Gli shock petroliferi del 1973 e del 1979, misero in luce, invece, la scarsit di queste risorse e la precariet delle economie occidentali, strettamente vincolate alla disponibilit energetica. Alla luce della teoria bioeconomica, anche il problema energetico pu essere interpretato in un modo diverso rispetto alleconomia tradizionale. Luomo da sempre ha cercato fonti di energia che gli permettessero di utilizzare nel modo migliore i vari attrezzi esosomatici da cui sempre pi dipendente. Secondo Roegen, due furono le tappe fondamentali nel progresso energetico: la scoperta

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del fuoco e linvenzione della macchina termica. Entrambe le tappe hanno permesso di migliorare la qualit dellenergia a disposizione. Il controllo del fuoco (conversione di energia chimica dei materiali in calore) ha consentito alluomo non solo di riscaldarsi e di cuocere i cibi, ma soprattutto di fondere e forgiare i metalli, cuocere i mattoni, realizzare ceramica e calce. Linvenzione della macchina termica, avvenuta alla fine del XVII secolo a opera di Thomas Savery e Thomas Newcomen, consent alluomo di effettuare una nuova conversione qualitativa: da potere calorifico a energia meccanica. La macchina termica alla base della macchina a vapore che consentir la rivoluzione industriale. Caratteristica comune di fuoco e macchina termica la possibilit di dare inizio a una serie di reazioni a catena: come dalla piccola fiamma di un fiammifero possibile bruciare unintera foresta, cos da una macchina termica e un po di carbone si pu estrarre altro carbone e altri minerali per fabbricare diverse macchine termiche che a loro volta possono produrre alti manufatti e altre macchine termiche. Labbondanza apparente dei combustibili fossili che ha permesso lo sviluppo dellOccidente, secondo leconomista rumeno, ha nascosto agli studiosi la natura entropica dellenergia, cio linevitabile percorso verso la degradazione dellenergia disponibile. Quello che si prospetta una scarsit sempre pi evidente di risorse, che va affrontata, secondo Roegen, in un modo totalmente differente da quanto fatto finora. Poich la Terra un sistema chiuso, essa ha la possibilit di ricevere energia dallesterno, in particolare energia solare. Questo apporto ha consentito lo sviluppo di quello che Georgescu-Roegen chiama dogma energetico: le teorie secondo le quali solo lenergia conta, in quanto sarebbe possibile, con unadeguata quantit di energia, sfruttare e riciclare completamente qualsiasi materia, in quanto questultima pu sostanzialmente essere ridotta a energia in potenza. Il dogma energetico, criticato dalleconomista, considera importante, dal punto di vista umano, la sola energia netta, ovvero lenergia che resta al netto di quella utilizzata per produrla; con un esempio, se per estrarre 10 tonnellate di petrolio serve lequivalente di 1 t di petrolio greggio, lenergia netta che ne risulta

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lequivalente di 9 tonnellate di petrolio. In realt, in questo bilancio energetico necessario inserire anche lenergia consumata per produrre o ripristinare tutte le parti materiali utilizzate durante il processo. In sostanza, occorre tenere conto anche della materia netta. Nel dogma energetico, per, la materia non viene considerata, in quanto essa pu essere completamente riciclata; non vi perci nessuna necessit di inserire altra materia allinterno del processo. Presa alla lettera, questa posizione energetica significa che tutto il pianeta potrebbe essere conservato intatto per sempre. Georgescu-Roegen non daccordo con questa posizione; la critica pi forte indirizzata allidea di riciclaggio completo della materia. Nelluniverso non c creazione di materia a partire dalla sola energia, almeno non in proporzioni minimamente significative, mentre quantit enormi di materia sono convertite continuamente in energia. Lidea di un riciclaggio completo della materia parte dallanalogia con i cicli naturali, dove elementi come lossigeno, lazoto e lanidride carbonica vengono riciclati da processi naturali mossi dallenergia solare. Nella realt, la quantit di sostanze chimiche in questione talmente alta che il deficit entropico diventa visibile solo su periodi molto lunghi. In effetti, ad esempio, parte dellanidride carbonica finisce sotto forma di carbonato di calcio negli oceani, mentre il fosforo degli innumerevoli scheletri di pesci morti tendenzialmente resta disperso sul fondo degli oceani. Lidea di riciclaggio completo viene spesso spiegata con lanalogia di una collana di perle: si sostiene, infatti, che sicuramente possibile riunire tutte le perle di una collana spezzata. Per scoprire lerrore, secondo Georgescu-Roegen, occorre cambiare scala: se relativamente semplice raccogliere tutte le perle cadute sul pavimento di una stanza, diventa assai pi complicato se le stesse perle sono state sciolte in un acido e poi disperse nelloceano. Anche disponendo di tutta lenergia disponibile, ci vorrebbe un tempo estremamente lungo e pressoch infinito per rimettere insieme tutte le perle. Eppure questo esattamente ci che accade alla maggior parte della materia: essa si disperde nellambiente in particelle infinitesime a causa delluso, della legge dellentropia e dellattrito. Il dogma energetico tende a ignorare il problema dellattrito, eppure esso risulta fondamentale per capire effettivamente quale sia il bilancio effettivo di materia ed

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energia al termine di un qualsiasi processo. Infatti, qualsiasi evento vi sia in corso, esso non pu evitare di fare i conti con lentropia e con lattrito. Ogni materiale, anche il pi resistente, deve fare i conti con un inevitabile logoramento. La teoria termodinamica, inizialmente, ha aggirato il problema inserendo come ipotesi la tesi secondo cui un movimento sia reversibile se la sua velocit infinitesimamente piccola. Si parla di movimento reversibile perch, in termodinamica, questo significa riportare qualcosa alle sue condizioni originarie, esattamente quello che dovrebbe fare un riciclaggio completo. Il problema che una velocit infinitesimamente piccola significa un tempo infinito per compiere un movimento: linfinito, per, estraneo alle logiche umane. Quindi, sostiene, Roegen, forse sulla carta anche possibile ipotizzare il riciclaggio completo, ma nella realt non esistono eventi totalmente reversibili. Se questo vero per la materia, il concetto assume ancora pi significato applicato allenergia: lenergia disponibile non pu essere trasformata completamente in lavoro utile, parte di essa viene sempre trasformata in calore irrecuperabile. Il problema che esistono, nella fisica, numerose imperfezioni che non permettono la reversibilit di un evento: oltre allattrito, occorre considerare che non esistono materiali perfettamente elastici, o perfettamente isolanti, o perfettamente conduttori. La materia continuamente modificata e dispersa e, a causa dellentropia, diventa sempre meno disponibile per gli scopi umani. Il dogma energetico sostiene che la dissipazione pu essere completamente corretta purch lenergia disponibile sia sufficiente. Eppure anche il riciclaggio ha bisogno di una struttura materiale per essere effettuato e, poich non esistono strutture materiali eterne, questi strumenti verranno consumati e dovranno essere sostituiti con altri. A conti fatti, il bilancio del riciclaggio sar sempre in deficit: per riciclare una certa quantit di materia comunque necessario utilizzare molta energia e altro materiale rispetto a quello che viene riciclato. Un altro importante problema legato alla materia e allenergia riguarda la disponibilit e la possibilit duso. Sia la materia che lenergia sono presenti in quantit grandi sulla terra, ma non sempre in forma disponibile: dellenergia solare si gi detto, riferendosi ai problemi di cumulabilit e sfruttamento della stessa, ma esistono anche altre forme di energia difficilmente utilizzabili. Uno

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degli esempi pi eclatanti lenorme riserva di energia termica contenuta negli oceani (il differenziale di temperatura tra le acque profonde e la temperatura ambiente): c chi ha stimato che questa energia valga addirittura 20 volte il fabbisogno energetico dellumanit, ma pur essendo molta in quantit, assai povera in qualit; dal punto di vista tecnologico non di nessuna utilit e non sfruttabile. Anche per quanto riguarda la materia esistono le stesse difficolt: attraverso la legge entropica, grandi quantit di materia aumentano continuamente la loro entropia riducendo la loro utilit. La materia aggiunge un ulteriore elemento di criticit: essa, infatti, estremamente eterogenea e difficilmente si trova allo stato puro. Questo implica delle difficolt sia a monte che a valle: al momento dellestrazione servir tanta pi energia tanto pi la materia eterogenea e lo stesso varr al momento del riciclaggio. La conclusione a cui giunge Georgescu-Roegen che, se tra energia e materia, a livello assoluto, la materia a essere scarsa, dato che lenergia teoricamente giunge sulla Terra dallesterno, allora non possibile basare il proprio modello di sviluppo solo sullenergia. Lipotesi che sia possibile creare della materia con lenergia (ad esempio attraverso un riciclo completo), non sostenibile per i motivi di cui sopra. Anche lidea che la scarsit di risorse naturali possa essere sostituita dal capitale ha pochi fondamenti. Come descritto nel paragrafo precedente, fondi e flussi non possono essere sostituiti e inoltre i fondi hanno bisogno di un continuo flusso di manutenzione per essere mantenuti costanti. La conseguenza pi intuitiva che le scelte economiche non possono basarsi solo su una valutazione energetica: non sempre la tecnologia migliore quella che utilizza meno energia. E importante valutare la tecnologia anche dal punto di vista materiale, sia rispetto alla materia usata per la produzione vera e propria, sia rispetto alla materia che serve da supporto fisico per limpiego di energia in quel determinato processo. La critica di Georgescu-Roegen colpisce anche lenergia solare: essa, infatti, viene considerata unenergia non vitale. Per tecnologia vitale leconomista intende una tecnologia in grado di sopravvivere da s, ovvero, una volta nata da una tecnologia precedente, deve essere in grado di mantenersi. Lesempio citato da

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Roegen va indietro nel tempo: i primi martelli di bronzo furono forgiati con martelli di pietra, ma, nellera successiva, tutti i martelli di bronzo vennero costruiti con martelli di bronzo. La debolezza dellenergia solare sarebbe tutta qui: allepoca di Roegen lenergia accumulata da un collettore solare non permetteva di costruire un altro collettore solare, era ancora unenergia parassitaria della tecnologia gi esistente. Lanalisi di Georgescu-Roegen risulta piuttosto impietosa rispetto alle future sorti dellumanit. Egli, infatti, denuncia lo scarso interesse da parte del mondo accademico alle problematiche legate al problema energetico e alla scarsit delle risorse naturali. Luomo ormai schiavo delle strutture esosomatiche, create dallillusoria abbondanza di combustibili fossili nellet delloro del secondo dopoguerra. Lo sviluppo umano reso possibile da quelli che leconomista chiama i doni di Prometeo I (il controllo del fuoco) e Prometeo II (la macchina termica), pu continuare solo con lavvento di un Prometeo III, che doni allumanit una nuova tecnologia in grado di garantire unenergia autoperpetuantesi. Nel frattempo, la sola strategia ragionevole indicata da Roegen solo quella di accumulare il pi grande vantaggio temporale possibile nellattesa di questo incerto Prometeo III, riducendo il pi possibile lo spreco di energia e materia in prodotti e attivit assolutamente superflui.

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3.5 Il programma bioeconomico


Quasi duecentocinquanta anni fa Smith sintetizzava con una metafora geniale lo spirito del liberismo: ogni individuo, perseguendo il proprio interesse auto interessato, spinto da una mano invisibile a promuovere un fine che non era previsto dalle sue intenzioni, ossia a favorire il bene della collettivit. Tuttavia, seguendo le linee tracciata da Georgescu-Roegen appare evidente che agendo allinterno di un sistema limitato, lirreversibile processo di degradazione entropica implica linadeguatezza del criterio di razionalit basato sulla pulsione egoistica individuale. Il punto di conflitto la pulsione egoistica stessa, che spinge leconomia verso la crescita continua della produzione e dei consumi. La teoria bioeconomica insegna che, in primo luogo, nonostante limplementazione di nuove tecnologie riduca sempre di pi gli sprechi, impossibile sostituire le risorse in via di esaurimento con nuove risorse; in secondo luogo, mostra come le leggi della termodinamica indichino che il consumo assoluto, nel sistema Terra, non pu che aumentare. In sostanza: un sistema fisicamente limitato non compatibile con la crescita illimitata. Se le cause della rivoluzione industriale e dellutilitarismo economico che lhanno animata sono storiche e non naturali, ci che ha funzionato per il passato non necessariamente funzioner anche per il futuro. E in questa osservazione che si pu individuare lessenza della critica evoluzionistica roegeniana. Il cambiamento indissolubilmente legato alla Storia, esso modifica il ruolo e il significato dei concetti a seconda dellevoluzione del contesto: i principi di razionalit che si sono dimostrati vincenti in unepoca possono non essere pi validi in un periodo successivo. Cos, mentre agli albori della societ industriale legoismo del birraio e del macellaio era funzionale allinnescarsi del processo di accumulazione, legoismo utilitaristico delluomo contemporaneo comporta una diffusione del consumismo e una crescente pressione sugli ecosistemi. Georgescu-Roegen, nel 1975, propone, in un articolo pubblicato su The Southern Economic Journal, un programma bioeconomico minimale in otto punti15.
N. Georgescu-Roegen, 1975, Energy and Economics Myths, in The Southern Economic Journal, XLI, 3, pubblicato anche in N. Georgescu-Roegen, 1998, Energia e miti economici, Bollati Boringhieri, Torino.
15

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La prima preoccupazione delleconomista quella di abolire la produzione di tutti gli armamenti bellici. La critica alla produzione di prodotti assolutamente superflui che si incrocia spesso negli scritti dellautore, si associa alla convinzione che nulla possa essere pi sprecato di una produzione destinata alla distruzione. Le Nazioni sviluppate, che coincidono con le maggiori produttrici di armamenti, potrebbero cos destinare una grande quantit di forza produttiva verso altri settori, senza far abbassare il tenore di vita nei paesi stessi. Inoltre, considerazione non di poco conto, la conseguente proibizione della guerra, o meglio limpossibilit di metterla in atto senza strumenti, eliminerebbe moltissime morti inutili. Il secondo punto analizza la possibilit di destinare le forze produttive liberate dallindustria bellica allaiuto delle Nazioni in via di sviluppo, per permettere alle popolazioni di questi paesi di raggiungere in tempi brevi un tenore di vita buono. Lautore precisa nel suo articolo che il livello di vita a cui bisogna puntare un livello buono e non lussuoso: lidea di sviluppo presente nel pensiero di Roegen non quella di esportare il modello occidentale di produzione e consumo in tutto il resto del mondo, ma quello di garantire a tutta la popolazione del mondo una vita dignitosa, garantendo al tempo stesso la sopravvivenza del sistema Terra. Come in tutte le ricette per lo sviluppo, anche il programma bioeconomico prevede una riduzione della popolazione. Il livello di popolazione ottimale previsto dalleconomista quello in cui lalimentazione possa essere adeguatamente fornita dalla sola agricoltura organica. Per agricoltura organica, Roegen intende unagricoltura che non debba essere alimentata da materia ed energia esterne, ma che sia in grado di autoriprodursi. Occorre ridurre, come quarto punto, ogni tipo di spreco legato allenergia, almeno fino a che non si sia sviluppata una tecnologia che ci permetta di utilizzare appieno lenergia diretta del sole o la fusione nucleare. Lo spreco di energia, infatti, non fa che accelerare laumento dellentropia del sistema. Il quinto punto dedicato a quella che Georgescu-Roegen chiama passione morbosa per gli oggetti stravaganti: uno degli esempi pi amati dallautore lautomobilina da golf, elevata a icona dellinutilit di certi prodotti. La produzione di tali beni ovviamente subordinata alla domanda dei consumatori; il

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cambiamento deve quindi partire da loro, evitando luso di tali beni inutili, che altro non fanno se non consumare inutilmente materia preziosa. Unaltra mania del consumatore occidentale viene analizzata nel sesto punto: quella di ridurre sempre di pi la durata del ciclo di vita dei prodotti. Leconomista rumeno considera un crimine bioeconomico azioni quali acquistare unauto nuova ogni anno o arredare la casa ogni due anni. Meglio, invece, prolungare la vita dei prodotti finch sono ancora effettivamente utilizzabili, al fine, ancora una volta, di evitare inutili sprechi. Roegen sottolinea che sono i consumatori che devono essere rieducati a un diverso consumo, perch solo in questo modo, con un cambiamento della domanda, anche i produttori saranno costretti a modificare le caratteristiche dei loro prodotti, concentrandosi in particolare sulla durabilit. Il settimo punto, strettamente collegato al precedente, prevede una progettazione che renda i beni riparabili: in questo modo si allunga la vita dei prodotti, risparmiando denaro, materia ed energia. Infine, Roegen propone di liberarci da quella che lui chiama la circumdrome del rasoio: radersi pi in fretta il mattino per avere pi tempo a lavorare a una macchina che rada pi in fretta, per poi avere pi tempo per lavorare a una macchina che rada ancora pi in fretta e cos via ad infinitum (GeorgescuRoegen, 1982). Lobiettivo delluomo non deve essere quello di produrre sempre di pi per aumentare infinitamente i consumi, ma deve essere quello di godersi la vita. Una vita buona, sostiene lautore, quella in cui una quantit considerevole di tempo trascorsa in modo intelligente. Il programma bioeconomico impone un cambiamento radicale nelle abitudini del genere umano, per lo meno di quella parte che vive nei Paesi industrializzati. Lo stesso Roegen era molto scettico circa la possibilit che la sua proposta diventasse popolare. In effetti, trentanni dopo la pubblicazione di questo scritto, non ci sono state inversioni di rotta nelle abitudini di consumo, tanto che le problematiche presentate da Georgescu-Roegen sono ancora attuali.

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3.6 La critica allo stato stazionario


Occorre sottolineare come, data la loro natura estremamente eterodossa, le teorie delleconomista rumeno non furono accolte con entusiasmo dagli ambienti accademici, nonostante risalgano a quegli anni gli studi che per primi indicarono nellesaurimento delle risorse il futuro limite per lo sviluppo economico. Essi indicavano nello stato stazionario la soluzione per evitare il collasso del sistema. Georgescu-Roegen, invece, fu critico anche nei confronti dei sostenitori dello stato stazionario e questo, in un periodo in cui questa tesi era sposata e sostenuta da molti studiosi, non giov certo alla popolarit del nostro. Secondo leconomista rumeno, il cambiamento, in tutte le sue forme, rappresenta da sempre la massima sfida per ogni studioso. Allo stesso tempo, per, diventa lelemento pi scomodo e imbarazzante per chiunque voglia definire una societ ideale. Ecco perch fin dallantichit, lo stato stazionario ha offerto un tranquillo rifugio per la mente di ogni pensatore. Gi Platone e Aristotele, nei loro trattati di politica indicavano nella popolazione stabile e nellattenzione a evitare bruschi cambiamenti le basi per le loro comunit ideali. In effetti, se si in grado di prevenire un cambiamento, possibile assicurare una stabilit sociale permanente e, quindi, una societ che si avvicina il pi possibile allimmortalit, come sognava Platone. Come visto nei paragrafi precedenti, Georgescu-Roegen si preoccupato tantissimo del cambiamento, per esso ha introdotto nelleconomia tutti quei fattori, tipici della biologia, che permettono di seguire levoluzione dei processi. Anche per questo motivo, lipotesi di uno stato stazionario come salvezza ecologica lascia leconomista piuttosto dubbioso e critico. Roegen ben consapevole dellimpossibilit di continuare a percorrere la strada tracciata dalleconomia occidentale, alla luce delle evidenze termodinamiche che impediscono, di fatto, una crescita infinita. Tuttavia, proprio la seconda legge dellentropia porta lautore a proporre una critica fisica allidea di sviluppo sostenibile basata sullo stato stazionario. Il punto di partenza, ancora una volta, risiede nella legge entropica. GeorgescuRoegen propone un modello fondi-flussi per analizzare il ruolo dellenergia e

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della materia nel processo economico, dimostrare come uno stato stazionario non sia fisicamente sostenibile e proporre una quarta legge della termodinamica. Il modello, in figura 3, rappresenta la circolazione globale dei flussi tra lambiente e il processo economico. Questo viene diviso in sei sottoprocessi aggregati: la produzione di energia controllata (per esempio lelettricit), la produzione di materia controllata (tutta la produzione di beni intermedi), la produzione di capitale
Ambiente

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economico osservano

flussi primari in entrata, lenergia e la materia tratte dallambiente; in uscita si hanno i flussi finali, rappresentati dallenergia dissipata, dalla

Figura 3 Circolazione globale dei flussi tra lambiente e il processo economico cE: produzione di energia controllata cM: produzione di materia controllata K: produzione di capitale desercizio C: produzione di beni di consumo R: industria di riciclaggio Hh: economia domestica eE: energia tratta dallambiente eM: materia tratta dallambiente dE: energia dissipata dM: materia dissipata W: scarti rGJ: garbojunk

materia dissipata e dagli scarti.

Energia dissipata e materia dissipata rappresentano risorse non pi

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utilizzabili perch ormai ad alta entropia; ne sono un esempio il calore che si disperde nelle conversioni di energia o i frammenti microscopici di acciaio che un coltello perde durante luso. Esempi di scarti sono invece la roccia frantumata o le scorie nucleari. Ogni attivit economica produce garbojunk, neologismo coniato dallo stesso Roegen, formato dalle parole garbage, rifiuto, e junk, cosa inutile. Essi non sono n materia dissipata, n rifiuto, ma materia utilizzabile che, tuttavia, non si presenta sotto forma per noi utile. Esempi sono bottiglie rotte, vecchi giornali, abiti usati. Lindustria del riciclaggio in grado di riciclare solo garbojunk, poich la materia dissipata non riciclabile. Lindustria del riciclaggio ricicla tutta la garbojunk, compresa quella prodotta da lei stessa, cos che non esiste un flusso in uscita di questo genere. Il diagramma dei flussi rivela alcuni concetti importanti. In primo luogo, nessun sistema economico pu sopravvivere senza un apporto continuo di energia, ma anche di materia: questo ha unimplicazione fondamentale circa le tesi che sposano lidea di stato stazionario. Se la Terra un sistema chiuso, cio riceve dallesterno solo energia, ma non materia, questo significa che impossibile costruire un sistema chiuso allo stato stabile. Anche se tutti i rifiuti venissero riciclati completamente, la dissipazione dellenergia impedirebbe comunque ai fondi del capitale di restare costanti. In secondo luogo, Georgescu-Roegen giunge a formulare la quarta legge della termodinamica: in un sistema chiuso, lentropia della materia deve tendere verso un massimo. Se le leggi classiche della termodinamica prendono in considerazione solo lenergia, con lenunciazione di questa quarta legge leconomista ribadisce ancora una volta come sia la materia il nodo con cui deve fare i conti il processo economico. La materia, finita, rende impossibile pensare a uno sviluppo infinito. Per la maggior parte della sua storia lumanit ha vissuto in una situazione sostanzialmente stazionaria, ma la rivoluzione industriale e il successivo sviluppo hanno aumentato a dismisura il prelievo di risorse materiali: prima o poi, Roegen ne convinto, lOccidente si dovr scontrare con unaccessibilit decrescente della materia-energia di cui ha bisogno.

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La trappola epistemologica nella quale sono caduti i fautori di uno stato stazionario, secondo Georgescu-Roegen, quella di presupporre che uno stato stabile possa permette il mantenimento costante del capitale naturale. Esso in realt non si autoproduce, almeno non a livello globale, in quanto ogni nuova forma di vita e ogni nuovo prodotto non significano altro che un aumento dellentropia in qualche parte del sistema. Lidea di stato stazionario una delle soluzioni proposte da chi si ritiene sostenitore di uno sviluppo sostenibile. Questo concetto, secondo Roegen, un concetto appoggiato da molti perch si presta a essere interpretato in molti modi differenti, tanto da diventare, alla fine, privo di un significato forte. Non un caso che il concetto sia sposato da correnti di pensiero nettamente diverse e che lidea di sostenibilit venga associata alle impostazioni pi disparate. Il futuro prospettato da Georgescu-Roegen non certamente roseo. Tuttavia, egli propone di affrontare linvitabile lotta contro lentropia seguendo una nuova etica.

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3.7 Letica bioeconomica


La teoria bioeconomica non , per Georgescu-Roegen, solo un criterio economico, ma un approccio diverso ai problemi delle tensioni tra gli esseri umani. Lineguaglianza la causa di tali tensioni. Le differenze, nel mondo naturale sono normali e invitabili. Tuttavia, luomo ha sviluppato una forma di ineguaglianza di natura totalmente differente: lineguaglianza sociale, causata dalla differenza economica tra i vari gruppi sociali. La singolarit umana dipende dal fatto che essa, unica tra tutte le specie, ha seguito unevoluzione esosomatica: luso e la produzione di quelli che possono essere definiti prolungamenti degli arti endosomatici hanno consentito uno sviluppo senza precedenti. Questa caratteristica peculiare ha avuto, per, due conseguenze negative. La prima viene definita dalleconomista rumeno assuefazione alle comodit, e fa riferimento a quanto gi citato nei paragrafi precedenti: luomo produce e consuma molto pi di quanto sarebbe necessario e molto pi di quanto la natura finita delle risorse naturali potrebbe permettere. La seconda conseguenza stata quella di creare il conflitto sociale. Possedere o meno degli strumenti esosomatici (non sempre oggetti materiali: nel caso della schiavit, ad esempio, uomini sono stati utilizzati come strumenti esosomatici da altri uomini), significa avere una determinata posizione nella societ. E nata cos la suddivisione del lavoro in base alle professionalit e la divisione tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, che la causa dei conflitti sociali tra le classi. Secondo Roegen, il conflitto sociale non potr essere appianato finch il nostro modo di vita dipender dalla produzione e dalluso di strumenti esosomatci. I modelli economici che utilizzano tasse, sussidi e trasferimenti non sono adeguati a prevenire la violenza del conflitto sociale, poich essa iscritta nel modo di vita esosomatico. I soli strumenti per prevenire il peggioramento sono di tipo politico, e devono assicurare la libert di critica e il diritto di approvare o rifiutare con il voto i governanti e le loro scelte. E chiaro che la popolazione deve essere a conoscenza della situazione e deve prendere coscienza della finitezza del pianeta.

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Lidea di crescita industriale come cura per i mali e le diseguaglianze umane considerata, dallautore, un mito da cui occorre liberarsi: la crescita fine a se stessa non pu che aumentare il conflitto sociale sia allinterno della societ occidentale, sia tra la minoranza ricca e la maggioranza povera dellumanit. Roegen considera la suddivisione tra primo e terzo mondo come una divisione esosomatica in razze allinterno della specie umana. La differenza non sta nella cultura, nel colore della pelle o nelle tradizioni: il diverso uso degli attrezzi esosomatici che crea la diversit. La prova, secondo leconomista, si troverebbe nellanalisi dei risultati degli aiuti finanziari che gli Usa hanno speso dal secondo dopoguerra fino agli anni 70. Gli Stati Uniti hanno indirizzato i loro contributi sia verso lEuropa Occidentale e il Giappone (attraverso il Piano Marshall), sia verso i Paesi del Terzo Mondo (tramite i vari piani di sviluppo promossi dalle Nazioni Unite). Ebbene, i risultati sono stati nettamente diversi: nel primo caso lobiettivo stato pienamente raggiunto, nel secondo, in particolare nei paesi pi bisognosi, il risultato stato vicino allo zero nonostante lo sforzo compiuto. La spiegazione, per Roegen, consiste nel fatto che Europa e Giappone appartengono alla stessa specie esosomatica degli Usa, mentre i Paesi meno sviluppati appartengono a una specie esosomatica diversa. Gli Stati Uniti fornivano la tecnologia necessaria alla ripresa, ma una tecnologia importata dallestero, se non compatibile con la propria struttura esosomatica, non pu essere implementata con successo. In sostanza, lo sviluppo nei Paesi sottosviluppati pu avvenire solo se ricerca e sviluppo si occupano di migliorare il livello esosomatico dei Paesi sottosviluppati e non di esportare la tecnologia creata per una struttura esosomatica differente. Inoltre, data la finitezza degli ecosistemi, le Nazioni pi sviluppate dovrebbero ridimensionare il loro livello di benessere, eliminando il superfluo, in modo da liberare risorse per un adeguato sviluppo dei Paesi pi poveri. Occorre un cambiamento di valori sia nei Paesi occidentali che in quelli sottosviluppati: i primi devono rinunciare a tutto quello che affossa la vita sotto una montagna di gadget inutili, i secondi devono riconoscere lillusione nascosta nella mania della crescita e impegnarsi per ridurre in modo cospicuo la popolazione.

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Quello che prospetta Georgescu-Roegen sono una politica e uneconomia indirizzate verso un desviluppo dei Paesi sviluppati, inteso come processo di liberazione delluomo dallossessione per laccumulazione dei beni materiali tipica della civilt industriale e conseguenza del sistema capitalistico. Se la societ a crescita illimitata unillusione, e altrettanto illusoria la prospettiva di una societ stazionaria, quello che occorre un radicale rinnovamento dei comportamenti di consumo e un cambiamento dei modi di produzione, del mercato e dunque dei rapporti di produzione. Non pu essere il mercato a risolvere i problemi di natura bioeconomica, n pu affrontare le prospettive che essa apre, dato che esse sfuggono alla logica delleconomia capitalista. Occorre una nuova etica e un nuovo modello di consumi, che molti, oggi, chiamano decrescita.

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Capitolo 4 DALY E LO SVILUPPO SOSTENIBILE


Le teorie di Georgescu-Roegen sono state riprese, per essere rielaborate, da Herman Daly, classe 1938, suo allievo e fondatore dellEcological Economics, corrente economica che basa le sue teorie sullo stato stazionario e sullo sviluppo sostenibile. I rapporti con Roegen non sono stati sempre felici, anzi le lettere tra i due testimoniano come leconomista rumeno fosse in disaccordo profondo con le tesi che la nuova teoria economica andava sviluppando; infatti, quando nel 1989 Daly inizia la pubblicazione della rivista Ecological Economics, diventata poi punto di riferimento nel nuovo ambito disciplinare, Georgescu-Roegen non fa parte del comitato scientifico della rivista. I principali motivi di scontro tra i due economisti sono da ricercare nellidea di stato stazionario. Come visto nel capitolo precedente, Roegen giunge a criticare la possibilit di sostenere uno stato stazionario, in quanto reputa impossibile un completo riciclaggio della materia, che pu evolvere solo da una situazione di maggiore disponibilit a una situazione di minore disponibilit. La visione di Daly pi ottimista e fortemente basata sullidea della necessit e sostenibilit di uno stato stazionario; egli deriva le sue teorie dalla bioeconomia di Roegen, ma segue un approccio diverso: mentre leconomista rumeno rifiuta in modo netto leconomia standard, riscuotendo in questo modo scarsi consensi e molte critiche, Daly parte dallanalisi delleconomia neoclassica e sviluppa la sua teoria allinterno di essa, criticando, anche in modo importante, alcuni assunti, ma senza rifiutare il metodo economico mainstream. Egli, infatti, non vuole creare una nuova teoria economica, ma trovare le lacune che essa incorpora e colmarle. Herman Daly, laureato presso la Vanderbilt University di Nashville, diventa professore associato presso la Louisiana State University nel 1968 dove insegna fino al 1988. Durante la sua esperienza alla LSU stato anche Visiting Professor di economia presso l'Universit degli Studi di Cear, Brasile (1968), dove tornato nel 1983 e ha osservato dal vivo le distorsioni delle politiche di sviluppo; stato ricercatore associato all'Universit di Yale (1969-70) e Visiting Fellow

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presso il Centro per le Risorse e Studi Ambientali della Australian National University (1980). Dal 1988 al 1994 stato Senior Economist nel Dipartimento Ambiente della Banca Mondiale, dove ha introdotto le teorie sullo sviluppo sostenibile e ha tentato di applicarle nelle politiche di sviluppo promosse dalla Banca Mondiale nei Paesi in via di sviluppo. Dal 1994 Senior Research Scholar presso la School of Public Affairs della University of Maryland. Nel 1996, oltre al Right Livelihood Award, Daly ha ricevuto il Premio Heineken Environmental Science rilasciato dalla Reale Accademia delle Arti e delle Scienze dei Paesi Bassi. Il pensiero di Herman Daly si sviluppa a partire dal concetto di fallacia della concretezza mal posta, consistente nel considerare reali, al posto degli oggetti concretamente percepiti, le astrazioni fisico-matematiche e i concetti teoricooperativi della scienza. Leconomista fa proprio un concetto sviluppato da Whitehead, e lo utilizza per criticare limpostazione, che egli considera dogmatica, della scienza economica mainstream. Gli economisti neoclassici, secondo Daly, hanno fatto della scienza economica una disciplina che rimasta chiusa nelle universit, i cui teoremi e leggi, frutto di unastrazione, vengono applicati tout court al mondo reale, senza operare gli opportuni aggiustamenti nel passaggio dallastrazione alla realt. Gli errori che emergono da questa discrepanza vengono analizzati da Daly per giungere a formulare una teoria economica in cui la principale dimenticanza delleconomia standard, lambiente, entra a pieno titolo come attore attivo del processo economico. La consapevolezza di vivere in un mondo dotato di risorse finite porta leconomista a riscoprire la teoria di stato stazionario, gi proposta da J. S. Mill, per perfezionarla e applicarla al concetto di sviluppo sostenibile. Fatto proprio linsegnamento di Georgescu-Roegen ed eliminatone i tratti pi estremisti, Daly giunge a formulare una nuova idea di sviluppo, utile sia per i Paesi occidentali che per i Paesi in via di sviluppo, in cui economia e ambiente non sono due mondi separati, ma un unico sistema integrato. La teoria di Daly si pu riassumere in tre critiche alleconomia neoclassica che possono essere definite, usando la terminologia di Whitehead, nel seguente modo:

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1. fallacia ecologica: il processo economico non pu essere chiuso tra processo e consumo, ma occorre considerare leconomia come un sottoinsieme di un sistema pi grande, lambiente, che ha risorse finite; 2. fallacia sociale: luomo stato ridotto a Homo eoconomicus, eliminando tutte le motivazioni non economiche e i rapporti di interdipendenza, escludendo la dimensione sociale dei rapporti umani dal contesto economico; 3. fallacia morale: sotto forma di Pil si pretende di misurare il benessere; in realt questo indice, che viene presentato come imparziale, incorpora giudizi politici ed esprime una realt distorta, senza tener conto dei valori del tempo e della societ.

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4.1 Mondo vuoto e mondo pieno


Riprendendo la teoria della produzione sviluppata da Georgescu-Roegen, Daly sostiene la necessit di riconsiderare lo spazio dentro al quale opera il sistema economico. La macchina economica non viaggia, infatti, in uno spazio vuoto, ma, come ogni altro processo sulla Terra, sottoinsieme di uno spazio pi grande: il sistema ambiente. Poich leconomia neoclassica considera il processo economico un sistema isolato, senza prendere in considerazione lambiente, Daly propone di adottare una nuova visione. Il mutamento di visione necessario consiste nel rappresentare la macroeconomia come un sottoinsieme aperto di un ecosistema naturale non illimitato (lambiente), anzich come un flusso circolare isolato di valore di scambio astratto, non vincolato da equilibri di massa, entropia ed esauribilit. Il flusso circolare del valore di scambio unastrazione utile, [] ma getta unombra impenetrabile su tutte le relazioni fisiche tra la macroeconomia e lambiente (Daly, 2001). Il vero problema, allora, diventa la relazione del sottosistema rispetto al suo insieme superiore e, soprattutto, le dimensioni che il sottosistema assume nei confronti dellinsieme che lo sostiene. Se, infatti, materiale ed energia che permettono il processo economico provengono dallinsieme ambiente, allora sar importante sapere quali sono le sue dimensioni. Lo schema proposto in figura 4 pu essere utile per comprendere meglio il problema. La scala dellecosistema rimane costante a causa delle leggi termodinamiche, gi viste nel capitolo precedente. Il sottoinsieme economico, invece, pu crescere o contrarsi, variando le sue dimensioni. Quello che avvenuto, a partire dalla rivoluzione industriale, una transazione da un mondo relativamente vuoto, dove leconomia aveva proporzioni molto limitate rispetto allambiente, a un mondo pieno, dove le proporzioni del mondo economico sono cresciute in modo esponenziale, occupando gran parte dello spazio naturale. Se nel passato il fattore limitante era rappresentato dal capitale di produzione umana, oggi il fattore limitante diventato il capitale naturale residuo.

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Mondo vuoto
S

Mondo pieno
Ecosistema

Ecosistema S

M Economia

M Economia E

Capitale di produzione umana Capitale naturale S = Energia solare M = Materia E = Energia

Figura 4 Mondo pieno e mondo vuoto

Lidea che le risorse naturali siano dei doni gratuiti deve essere riconosciuta come falsa. Se vero, infatti, che il costo in situ delle materie prime stato storicamente considerato pari a zero, tuttavia questa valutazione ha sempre omesso di considerare il costo di reintegrazione di tali risorse, indispensabile per mantenere inalterato il servizio reso da esse. Il concetto di servizio viene derivato dalla definizione di reddito elaborata da Fisher: il flusso di servizi che in un determinato periodo di tempo viene reso dallo stock di capitale. E inteso come un reddito psichico, ovvero come il benessere, soggettivo, ottenuto tramite i servizi diretti al soddisfacimento dei bisogni. I servizi sono resi dallo stock e dallecosistema naturale. Lo stock comprende la scorta totale di tutti i beni di produzione e di consumo, in sintesi le persone fisiche e le loro estensioni materiali, e pu essere definito come linsieme di tutti gli oggetti atti a soddisfare i bisogni umani e soggetti a un rapporto di propriet. Lo stock di prodotti manufatti

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richiede throughput per la sua manutenzione, ovvero un flusso entropico di materia ed energia che proviene da fonti naturali, attraversa tutta leconomia umana e torna nellambiente sotto forma di scarti. Esso necessario per la conservazione dello stock e determina un consumo delle risorse naturali. Il throughput, cos come definito da Boulding nel 1966, un costo, che generalmente non viene considerato nelleconomia neoclassica, ma che rappresenta, invece, un elemento essenziale nella determinazione delle dimensioni del sottoinsieme economico. Il servizio (reddito psichico netto) il beneficio finale dellattivit economica. Il throughput (un flusso fisico di entropia) il costo finale (Daly, 1981). I problemi da risolvere a livello macroeconomico a questo punto diventano tre: lallocazione, la distribuzione e la scala. Essi non possono essere risolti completamente dal mercato, perch, sostiene Daly, essi non riguardano solo il sottoinsieme economico, ma la sua relazione con linsieme superiore, lambiente, trascurato nelle teorie standard. Il mercato funziona solo nei confini del sottoinsieme economico, dove fa ununica cosa: risolve il problema allocativo fornendo linformazione e gli incentivi necessari. Fa quellunica cosa molto bene. Quello che non fa risolvere i problemi della scala e della distribuzione ottimali (Daly, 2001). In un mondo pieno, come quello attuale, definire le dimensioni della scala diventa un problema fondamentale. Se il mondo sempre pi pieno, allora occorre valutare fino a che punto linsieme ambiente in grado di sostenere e mantenere questo livello. Lallocazione ottimale di una data scala del flusso di risorse fra usi diversi allinterno di uneconomia rappresenta un problema microeconomico; ben altra cosa stabilire la scala ottimale dellintera economia rispetto allecosistema (questione macroeconomica). Daly spiega la differenza con un esempio nautico: Il problema dellallocazione micro analogo a quello di distribuire in modo ottimale un dato peso a bordo di unimbarcazione. Una volta che la distribuzione ottimale del peso sia stata determinata, rimane la questione del peso complessivo che costretta ad imbarcare. La scala ottima assoluta di carico conosciuta, nella terminologia nautica, come linea di Plimsoll, o linea di galleggiamento a pieno carico. Quando lacqua raggiunge la linea di Plimsoll limbarcazione piena, ha

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raggiunto la sua massima capacit portante, oltre la quale non pi sicura. Ovviamente se il peso distribuito male il livello dellacqua raggiunger la linea di Plimsoll pi in fretta. Tuttavia, man mano che il carico aumenta, lacqua raggiunger la linea di Plimsoll, anche se il peso stato distribuito in modo ottimale. Imbarcazioni il cui carico distribuito perfettamente affonderanno comunque sotto un peso eccessivo anche se pu darsi che affondino in modo ottimale! [] Il compito principale della macroeconomia ambientale delineare unistituzione economica analoga alla linea di galleggiamento a pieno carico, per evitare che il peso la scala assoluta delleconomia faccia affondare la nostra arca biosferica (Daly, 2001). Questa lunga citazione una sintesi perfetta del pensiero di Daly: lobiettivo fissare un limite da non superare, in altre parole, giungere a uno stato stazionario.

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4.2 Lo stato stazionario


4.2.1 Definizioni Lo stato stazionario, per Herman Daly, non solo un concetto economico, ma una visione che abbraccia tutte le componenti umane, incluse letica e la morale. Nei libri di testo, leconomia definita come scienza che studia lallocazione di mezzi scarsi fra fini alternativi, dove lo scopo dellallocazione la massimizzazione del raggiungimento di quei fini. In sintesi, leconomia consiste nel modo di agire migliore con le risorse che si hanno a disposizione. Ma non viene considerata lintera gamma dei fini e dei mezzi; gli economisti non parlano del Fine ultimo, neppure dei mezzi primari. Lattenzione degli economisti completamente concentrata sul campo medio di tale spettro, allocando mezzi intermedi dati (lavoro, prodotti) per il raggiungimento di determinati fini intermedi (cibo, benessere, istruzione) (Daly, 1981). Rispetto alleconomia della crescita, seguita dagli economisti neoclassici, leconomia di stato stazionario implica una trasformazione della visione del mondo che analizzi le anomalie teoretiche e morali delleconomia standard e mostri i fallimenti pratici nei quali essa incorsa. Occorre, innanzitutto, definire che cosa si intende per economia della crescita e per economia di stato stazionario. Il termine crescita, [] si riferisce a un aumento nella scala fisica del flusso materia/energia che sostiene le attivit economiche di produzione e di consumo di beni. In uneconomia di stato stazionario il volume di risorse messe in lavorazione costante, sebbene la sua allocazione tra usi alternativi sia libera di variare in risposta al mercato (Daly, 2001). Uneconomia di crescita presuppone risorse infinite. Come si gi avuto modo di vedere nei capitoli precedenti, linsieme delle materie prime presenti sul pianeta invece finito. La legge di entropia fa il resto: le risorse naturali sono continuamente trasformate in scarti ad altra entropia, non pi utilizzabili. Lillusione di una crescita illimitata data dalle caratteristiche degli stock terrestri, che possono essere struttati pi rapidamente, con prezzi bassi che distorcono le informazioni circa la scarsit. Il sistema economico attuale

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dipendente da risorse scarse, invece che da quelle abbondanti, e il sistema produttivo si muove tra limpoverimento delle risorse naturali a monte e linquinamento dellambiente a valle. La crescita un aumento quantitativo: essa si riferisce alla scala fisica della produzione e del consumo; implica, infatti, maggiori livelli di beni e servizi prodotti e maggiori livelli di consumo. Il miglioramento qualitativo nellimpiego di una data scala di produzione fisica, che pu risultare da un avanzamento tecnologico, da un migliore utilizzo delle risorse, si pu chiamare sviluppo. Questa la principale differenza tra uneconomia stazionaria e uneconomia di crescita: questultima, come dice il nome stesso, tende alla crescita quantitativa, leconomia di stato stazionario, al contrario, non pu crescere, ma pu svilupparsi. Nella teoria di Daly, il sottoinsieme economico deve comportarsi allo stesso modo del suo insieme maggiore, il pianeta: la termodinamica insegna che la materia non pu essere creata, n distrutta, di conseguenza la Terra non pu crescere come massa. Lo stesso fa leconomia in stato stazionario: essa si assesta a un determinato livello di uso delle risorse (analogo alla linea di Plimsoll sulle navi), tale per cui il throughput sia in grado di mantenerle costanti nel tempo. Leconomia di stato stazionario quindi uneconomia che mantiene stock costanti di persone e prodotti, conservati a livelli desiderati e sufficienti, con bassi throughput, cio con il minore flusso possibile di materia ed energia dal primo allultimo stadio del consumo. Nella teoria di Daly, tutto ci che ha una natura fisica non pu crescere illimitatamente ed sottoposto a dei limiti naturali che non possono essere valicati in alcun modo. Leconomia di stato stazionario non significa lannullamento del progresso umano. Se ci che ha una natura fisica deve essere mantenuto costante in quanto limitato, tutto ci che non ha natura materiale pu e deve crescere: la cultura, leredit genetica, i principi etici, ma anche la tecnologia relativa, la forma e la composizione dello stock complessivo di prodotti non devono essere mantenuti costanti, cos come pu e deve variare la distribuzione tra la popolazione. Le due componenti fisiche delleconomia sono le persone e i prodotti. Esse devono essere conservate in modo costante: questo significa che sono necessarie

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comunque nuove nascite e nuova produzione per compensare le inevitabili morti e il deprezzamento fisico dei prodotti. Per quanto riguarda la componente demografica, Daly fautore di una riduzione massiccia della popolazione soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove i tassi di crescita sono pi elevati. Leconomia di stato stazionario prevede un numero di nascite pari a quello delle morti a un tasso piuttosto basso che alto, cos che la speranza di vita sia abbastanza elevata. Analogamente, la produzione di nuovi prodotti deve uguagliare il deprezzamento a bassi livelli, cos che la durata o longevit dei prodotti sia pi elevata. La creazione di nuovi prodotti implica un esaurimento crescente delle risorse. Il deprezzamento implica la creazione di scorie fisiche che devono essere restituite allambiente sotto forma di rifiuti e inquinamento. Esaurimento e inquinamento risultano dei costi che devono essere minimizzati per ogni dato livello di stock. Leconomia di stato stazionario rappresenta anche un superamento dellidea di Pil. Esso, infatti, lindice usato per misurare la crescita economica, valutata in termini di flussi fisici. In altre parole, si pu definire il Pil come una misura del throughput. Ma se lo stato stazionario definito in termini di stock costanti (una grandezza misurata in un istante di tempo, come le scorte dei beni) allora il Pil, definito in termini di flussi (una grandezza misurata in un intervallo di tempo, come le vendite annuali) logicamente irrilevante per lo stato stazionario. Tanto pi che il Pil, nella misura in cui riflette il throughput, massimizza quello che nello stato stazionario viene considerato un costo che, al contrario, andrebbe minimizzato: lo stato stazionario cerca di mantenere uno stock desiderato con un throughput minimo, il che presuppone una diminuzione del Pil, evento temuto nelleconomia di crescita, ma perfettamente accettabile nelleconomia di stato stazionario.

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4.2.2 Mezzi e fini Sebbene oggi lidea di stato stazionario suoni strana e lontana dalla realt delleconomia, essa non rappresenta una novit. In realt, per circa il 99% della sua esistenza, luomo ha vissuto in una condizione molto vicina allo stato stazionario. Solo negli ultimi 200 anni la crescita stata tale da essere avvertita nellarco della vita di un singolo individuo e solo negli ultimi quaranta anni ha assunto una priorit fondamentale ed diventata realmente esplosiva. A tempi lunghi, la stabilit la norma e la crescita rappresenta leccezione (Daly, 1981). Secondo Daly, leconomia, che si occupa di fini e di mezzi, si concentrata solo sul campo medio dei mezzi-fini, tralasciando quelli che si trovano agli estremi. Ipotizzando un continuo dei mezzi e dei fini (fig. 5), in cui ogni categoria intermedia un fine rispetto a quelle situate pi in basso e un mezzo per raggiungere quelle pi in alto, leconomista pone alla base la fisica con i mezzi primari (materia ed energia a bassa entropia). I mezzi intermedi
Religione Etica Fini intermedi (ricchezza, benessere, istruzione, ecc) (ordinamento) Economia Mezzi intermedi (prodotti, lavoro) Fine ultimo (?)

sono i prodotti e il lavoro: i mezzi primari, attraverso la tecnologia delluomo e della natura sono trasformati in prodotti e lavoro. I mezzi intermedi, portano tramite al

leconomia,
Tecnologia (delluomo e della natura) Fisica

raggiungimento di fini intermedi, rappresentati dalla ricchezza, dal

Mezzi primari (materia-energia a bassa entropia)

benessere, dallistruzione, ecc. Esiste ancora un livello

successivo che porta al Fine ultimo: esso riguarda la sfera

Figura 5 Dai mezzi primari al Fine ultimo

delletica e della religione, che per Daly assume un valore molto importante.

Secondo leconomista, la teoria neoclassica si concentrata solo sulla parte intermedia dello spettro, tralasciando mezzi e fini assoluti che si trovano agli

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estremi e presupponendo, in modo errato, che la relativit e le possibilit di sostituzione tra fini alternativi e mezzi scarsi che si trovano nella parte centrale fossero rappresentativi dellintero spettro. Possiamo definire la crescita economica in questo contesto come la conversione di mezzi sempre pi primari in mezzi sempre pi intermedi allo scopo di soddisfare fini sempre pi intermedi, qualunque essi siano. Il processo concepito di durata infinita (Daly, 1981). Tuttavia, questa concezione deve essere rivalutata alla luce dellintero spettro dei mezzi e dei fini: La natura del Fine Ultimo limita, infatti, la desiderabilit di una continua crescita economica, mentre la natura dei mezzi primari ne limita la possibilit (Daly, 1981).

4.2.3 Limiti alla possibilit della crescita Dei limiti fisici si gi detto nei capitoli precedenti. Daly riprende sostanzialmente la teoria di Georgescu-Roegen basata sulle leggi della termodinamica. Leconomista sottolinea la dipendenza dellattuale sistema economico dalle risorse pi scarse piuttosto che da quelle abbondanti. Inoltre, luomo ha forzato fino ai limiti gli equilibri ecologici della biosfera. I cicli naturali sono stati sovraccaricati, mentre la produzione di nuovi materiali per i quali non esistono cicli naturali sta producendo quantit di scorie che non possono essere assorbite. E molto recente la notizia che l'Earth Overshoot Day16, ovvero il giorno in cui il consumo di risorse da parte delluomo supera il naturale rinnovamento delle stesse, stato anticipato, nel 2008, al 23 settembre. Nel 1961 met Terra bastava per soddisfare tutte le necessit umane, nel 1986 la specie umana ha iniziato a utilizzare pi risorse di quelle offerte dalla capacit biofisica del pianeta, ma in quellanno il gong era suonato il 31 dicembre. Da allora la scadenza si anticipata un po tutti gli anni, fino ad arrivare a settembre in questultimo anno.

LEarth Overshoot Day viene calcolato ogni anno dal Global Footprint Network, associazione di ricerca che si dedica alla misurazione delle risorse: quante ne restano, chi e come le usa. Inoltre, lassociazione calcola lImpronta ecologica dellumanit (ovvero la sua necessit di campi, pascoli, foreste, aree di pesca e spazio per infrastrutture), e la confronta con la biocapacit globale (ovvero la capacit degli ecosistemi appena citati di produrre risorse e assorbire rifiuti).

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I limiti biofisici vengono affrontati dalla teoria neoclassica attraverso le esternalit. Tutti i fenomeni che non rientrano nel modello del flusso circolare vengono internalizzati adottando questo strumento creato ad hoc. Un ulteriore espediente quello di appellarsi alle infinite risorse della tecnologia e dellingegno umano. Si ritiene, cio, di poter trovare delle soluzioni tecnologiche o dei sostituiti per ogni risorsa scarsa, come una forza dinamica in grado di perpetuare allinfinito la crescita, compensando lo sfruttamento e linquinamento dellambiente. La risposta di Daly a queste argomentazioni deriva ancora una volta dalla teoria termodinamica: nessun capitale artificiale pu essere prodotto senza lutilizzo di capitale naturale, come nessun miglioramento tecnologico pu essere sfruttato senza energia. Essendo complementari, infine, capitale artificiale e capitale naturale non possono essere sostituiti luno con laltro. Se le leggi della termodinamica sono fondamentali per definire i limiti della crescita economica, tuttavia non bisogna, secondo Daly, cadere nella tentazione di fare dellentropia il metro per misurare il valore delle merci. Nonostante la bassa entropia sia una condizione necessaria perch ogni cosa abbia un valore, tuttavia essa non una condizione sufficiente. I valori relativi sono e devono comunque essere determinati dalla domanda e dallofferta e la bassa entropia non pu essere valutata tutta allo stesso modo, ma in base al suo uso: non si pu paragonare il consumo di energia come combustibile al consumo di energia come cibo per gli esseri umani.

4.2.4 Limiti economici Secondo Daly, tuttavia, i limiti a una crescita illimitata sono soprattutto di tipo economico. Considerando un semplice grafico costi/benefici, risulta evidente che non necessario che i benefici marginali vadano a zero, n che i costi marginali crescano allinfinito, per trovare una giustificazione alla necessit di fissare un limite alla crescita: basta che essi siano uguali. Fini e mezzi non vengono raggiunti e consumati in modo casuale: prima vengono soddisfatti i fini pi urgenti e fondamentali, utilizzando i mezzi pi accessibili. Questo ragionamento porta ad avere benefici marginali decrescenti e costi

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marginali crescenti. In qualche punto essi si intersecano: fino a quel punto ci troviamo nella fascia intermedia dello spettro mezzi-fini, in cui sono applicabili i concetti economici; oltre questo equilibrio, i costi marginali sono maggiori dei benefici. In un grafico costi/benefici, la distanza tra le curve di costo totale e beneficio totale indica il beneficio netto. Seguendo il grafico, la crescita ha senso solo fino al punto in cui questa distanza massima, ovvero dove i costi marginali e i benefici marginali si eguagliano: esso rappresenta il limite economico alla crescita, oltre al quale il beneficio netto diminuisce, fino ad assumere segno negativo. Questo tipo di ragionamento viene sviluppato quotidianamente nella microeconomia, ma trascurato dalla teoria macroeconomica. In sostanza, a livello macro sembra non esistere un problema di scala. Questa anomalia deriva, secondo linterpretazione di Daly, dalla visione preanalitica della teoria neoclassica: considerare leconomia un sistema isolato, trascurando lesistenza dellambiente. Dalla teoria dello stato stazionario, con le sue implicazioni ambientali ed etiche, Daly sviluppa il concetto di sviluppo sostenibile.

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4.3 Lo sviluppo sostenibile


4.3.1 I limiti etico-sociali alla crescita Il concetto di sviluppo sostenibile strettamente collegato allidea di Fine ultimo e ai limiti etico-sociali che Daly segnala rispetto alla crescita. Del Fine ultimo, legato alla visione religiosa delleconomista, si parler in seguito. Egli propone per almeno quattro proposizioni che limitano la desiderabilit della crescita dal punto di vista morale. 1. La desiderabilit della crescita finanziata attraverso la riduzione del capitale geologico limitata dal costo imposto alle generazioni future. Tale assunto alla base del concetto di sviluppo sostenibile. Come gi definito nel secondo capitolo, lo sviluppo sostenibile si basa su unidea di equit intergenerazionale. Ogni utilizzo di capitale naturale oggi determina una minore possibilit di utilizzo dello stesso in futuro. Nelleconomia standard lequilibrio tra costi e benefici presenti e futuri viene raggiunto tramite lapplicazione di un tasso di sconto. Il tasso di sconto intertemporale un artificio numerico per esprimere un giudizio di valore sul futuro. Ovviamente pi il futuro lontano, meno sar il suo valore. Pi alto il tasso di sconto, pi corto lorizzonte temporale oltre il quale il futuro non conta. Forse un principio pi acuto [] per equilibrare presente e futuro potrebbe essere che i bisogni essenziali del presente dovrebbero sempre avere la precedenza su quelli futuri, ma i bisogni essenziali futuri dovrebbero avere la precedenza sui lussi eccessivi del presente (Daly, 2001). 2. La desiderabilit della crescita finanziata attraverso il processo di appropriazione degli habitat limitata dallestinzione o riduzione nel numero delle specie non umane sensibili il cui habitat sparisce. La teoria standard sulle risorse rinnovabili pu prevedere anche lestinzione di una specie, se questo evento risponde a un comportamento massimizzante di mercato. Dal punto di vista ambientale, tuttavia, ogni estinzione rappresenta una perdita irreversibile di biodiversit. Questa, inoltre, essenziale per mantenere attivi i cicli naturali che garantiscono i servizi

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ecologici essenziali, senza i quali sarebbe impossibile la vita sulla Terra. Oltre al valore strumentale che le altre specie hanno per noi, Daly sottolinea la necessit di riconoscere a ogni essere vivente un valore intrinseco come esseri sensibili, probabilmente non coscienti, ma che posseggono comunque un diritto al proprio spazio e alla propria sopravvivenza. 3. La desiderabilit della crescita limitata dai suoi stessi effetti distruttivi sul benessere. I bisogni assoluti non sono insaziabili: una volta soddisfatti, difficilmente si trasformano in un desiderio ancora pi grande. I bisogni relativi, invece, sono insaziabili. La loro soddisfazione dipende, infatti, dalla possibilit di sentirsi in qualche modo superiori agli altri. Se il mio stipendio aumenta, ma quello del mio collega aumenta di pi, il mio bisogno di ricchezza non sar soddisfatto, anzi sar frustrato dal confronto con chi mi sta accanto. Laumento di reddito nei Paesi ricchi non fa che aumentare a dismisura i desideri, ma allo stesso tempo aumenta anche linsoddisfazione, perch raggiunto un obiettivo se ne proporr immediatamente un altro ai nostri occhi, pi ambizioso e che consente di raggiungere una maggiore considerazione allinterno della societ. Questo processo, come si visto in precedenza, non aumenta per la felicit; al contrario, esso una sorta di trappola autodistruttiva che si autoalimenta, producendo insoddisfazione e malessere allinterno della societ. 4. La desiderabilit della crescita aggregata limitata dagli effetti corrosivi sugli standard morali che derivano da quegli stessi comportamenti che promuovono la crescita, come la glorificazione dellinteresse individuale e una visione del mondo scientistica-tecnocratica. La crescita illimitata guidata, secondo Daly, dallegoismo e dal desiderio del possesso, e stimolata oltre misura dalla pubblicit, che fa nascere bisogni superflui e inutili. Si sviluppata una societ basata sul consumismo e supportata, a livello dellofferta, dallo scientismo tecnocratico che proclama

linesauribilit delle risorse. Una visione del mondo che presenta seri difetti. Come programma di ricerca molto efficace nel promuovere potere e controllo, ma come visione del mondo non lascia alcuno spazio

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agli obiettivi, e ancor meno alla distinzione tra obiettivi sensati o meno. [] Un potere crescente in assenza di scopi definiti porta a una crescita incontrollata fine a se stessa, con effetti devastanti sullordine morale e sociale cos come su quello ecologico (Daly, 2001).

4.3.2 Utilit e throughput Lapproccio proposto dalleconomista va dalla critica alleconomia della crescita alla proposta di un nuovo tipo di visione del mondo, basata sullo sviluppo sostenibile e sullo stato stazionario. Il concetto di sviluppo sostenibile, come visto nel secondo capitolo, ha diverse sfaccettature e viene utilizzato in pi contesti, a volte contrastanti tra loro. La visione di Daly esce dal binario delleconomia tradizionale, basato sullutilit, per imboccare una strada che descriva in modo completo il processo economico, compreso lambiente naturale allinterno del quale esso si sviluppa. La definizione pi diffusa di sviluppo sostenibile quella che sostiene la necessit di evitare il decrescere dellutilit per le generazioni future, in modo che il futuro offra almeno lo stesso livello di benessere che esiste nel presente. Per Daly, invece, lo sviluppo sostenibile strettamente connesso con il concetto di throughput, cio deve cercare di evitare il decrescere del flusso fisico entropico che dalla fonte naturale si immette nelleconomia e da l fa ritorno allambiente. Ci che deve restare costante il capitale naturale, in modo che nel futuro restino accessibili, almeno al livello del presente, le risorse e le prestazioni biofisiche che lecosistema ci fornisce. Il throughput rappresenta il flusso metabolico attraverso il quale viviamo e produciamo. La sua introduzione nella teoria economica non un modo per ridurre leconomia alla fisica, ma serve a riconoscere i vincoli che le leggi fisiche esercitano su di essa. Sostenibile non significa eterno: la sostenibilit consiste nel rendere il giusto riconoscimento alle istanze di durata nel tempo e di giustizia intergenerazionale, senza per questo ignorare lesistenza della mortalit e della finitezza. In vista della sostenibilit, si rende necessario valorizzare la parte

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rinnovabile del throughput e provvedere alla distribuzione della parte non rinnovabile a un numero pi elevato di generazioni. Daly non nega il valore del concetto utilit, che risulta necessario per stabilire le condizioni preliminari in funzione delle quali deve essere costruito lo sviluppo sostenibile: la qualit della vita deve essere valutata in modo da garantire non solo la longevit, ma anche il benessere. La locuzione sviluppo sostenibile , per, composta da due parole: sostenibile, di cui si spiegato il significato, e sviluppo. Nella teoria economica lo sviluppo indicato semplicemente come crescita del Pil, un indice di valore che comprende sia gli effetti delle variazioni del throughput che gli effetti delle variazioni dellutilit. Daly definisce invece lo sviluppo come aumento dellutilit per unit di throughput, distinguendolo dalla crescita, definita come aumento di throughput complessivo. Il concetto di sviluppo legato al Pil spesso giustificato come speranza per i Paesi in via di sviluppo: la crescita pu consentire che parte dellincremento finisca nelle tasche dei Paesi pi poveri. Secondo questa visione, i benefici della crescita si riversano su tutti, anche sui pi poveri, come unalta marea in grado di sollevare tutte le barche. Daly critica questa visione di sviluppo, puramente legata a un aumento quantitativo del Pil. Esso, infatti, risulta spesso distorto a causa della sua stessa natura: nella contabilit nazionale il consumo di throughput che deriva dalla produzione, ma anche, ad esempio, dalle spese difensive per risolvere i problemi legati allinquinamento, viene considerato allo stesso modo, cio viene sommato come incremento del prodotto interno lordo. E chiaro, allora, che esso non pu essere un indice adeguato per valutare lo sviluppo. Daltro canto, Daly sostiene che la crescita pu risultare antieconomica. Egli non nega che esista un legame tra crescita e benessere, cos come appoggia lidea che pi crescita meglio di meno crescita, almeno fino a un certo punto (Daly, 2007). Tuttavia, il problema sta nel capire se la sola crescita basti a garantire laumento della ricchezza netta: possibile, cio, che la crescita del throughput comporti un aumento dellindigenza, piuttosto che della ricchezza? Leconomista osserva che, nel processo economico, limpoverimento si accumula sia a monte

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che a valle: come impoverimento delle risorse dove esso ha inizio, come inquinamento dove il processo termina. Inserire il concetto di throughput nelleconomia significa capire che la povert ha origine dallo stesso processo che genera ricchezza. Quando la crescita del throughput consuma risorse pi velocemente di quanto produce ricchezza siamo di fronte a una crescita antieconomica. Lo sviluppo sostenibile ha come scopo evitare che la crescita sia antieconomica, calmierandola a livelli sostenibili per linsieme bioeconomico. E molto pi probabile che la crescita si riveli antieconomica nei Paesi occidentali, dato che in essi la crescita riguarda bisogni relativi, che difficilmente riescono ad apportare nuovo benessere reale, mentre nei Paesi in via di sviluppo la crescita spesso economica, almeno quando permette di aumentare il consumo di beni primari e di soddisfare i bisogni assoluti, apportando un effettivo miglioramento nel livello di vita della popolazione. Tuttavia, Daly sottolinea come le organizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo siano abbastanza restie a concentrare il loro intervento nella direzione di una riduzione della crescita antieconomica nei Paesi ricchi per far spazio a una crescita economica nei Paesi pi poveri. Al contrario, il pensiero pi diffuso ritiene che solo una rapida crescita dei Paesi occidentali possa permettere lo sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, garantendo loro un mercato pi ampio per i loro prodotti: in altre parole credono in uno sviluppo fondato sulle esportazioni e sugli investimenti occidentali nei Paesi pi poveri. Ancora una volta questa visione pecca di una lacuna fondamentale, cio lambiente naturale, che impone dei limiti allo sviluppo: necessario dimensionare il processo economico a una scala sostenibile per lambiente che lo contiene.

4.3.3 La scala dello sviluppo sostenibile Lo sviluppo sostenibile si propone come obiettivo quello di definire la scala ottimale del processo economico, partendo dalla considerazione che il processo economico un sottoinsieme aperto di un sistema globale chiuso e limitato. Il problema non di semplice soluzione. Quantificare lesatta scala ottimale del processo economico richiede conoscenze non certo facili da reperire. Anche per

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questa ragione, il problema stato semplicemente ignorato dalla scienza economica tradizionale, in due modi: considerando il sottoinsieme economico come infinitesimamente piccolo rispetto al sistema globale, oppure, allopposto, considerando leconomia come perfettamente sovrapposta al sistema globale. Nel primo caso, la scala irrilevante; nel secondo caso, se leconomia include tutto, il problema della scala scompare. Questi due estremi corrispondono alla vivace distinzione di Boulding fra leconomia del cowboy e leconomia dellastronauta. Il cowboy delle praterie sconfinate basa la sua sussistenza su una produzione in cui la materia prima passa linearmente dalla fonte allo scarico finale, senza necessit di riciclare alcunch. Lastronauta nella sua piccola capsula vive allinterno di cicli di materiali serrati e con feedback immediati, tutti sottoposti a totale controllo e orientati alle sue necessit. Per il cowboy la scala trascurabile, per lastronauta la scala coincide con il tutto. [] In ciascuno di questi due casi estremi lunico problema lallocazione. La scala irrilevante (Daly, 2001). Daly chiama la situazione attuale economia dellelefante nella cristalleria: le dimensioni dellelefante diventano fondamentali per evitare di distruggere tutto ci che gli sta intorno. Il mercato, da s, non in grado di fissare i limiti della scala, perch opera allinterno del sottoinsieme economico. E necessario un intervento esterno, che determini la capacit dellecosistema di sostenere limpatto delle attivit economiche e che limiti queste ultime a un livello tale per cui leconomia si assesti a uno stato di mantenimento e non di crescita.

4.3.4 Consumo e valore aggiunto La dimensione della scala del sistema economico presuppone alcune analisi sul concetto di consumo e di valore aggiunto. Daly indica, infatti, due azioni che vanno intraprese per indirizzare il sistema mondo verso uno sviluppo sostenibile: occorre ridimensionare consumi e popolazione. I due obiettivi corrispondono alla differente situazione dei Paesi mondiali: se per i Paesi del Sud del mondo assolutamente necessario ridurre la popolazione, in modo da riportare il numero di esseri umani a un livello sostenibile per lambiente, il Nord, dal canto suo, deve

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sforzarsi per diminuire il consumo pro capite, in modo da ridurre limpatto antropico sulle capacit di rinnovamento del capitale naturale. Per quel che riguarda il consumo, bene soffermarsi ad analizzare cosa si intende per consumo, e quali siano le differenze tra la teoria neoclassica e la proposta di Daly. Ricordando le leggi di conservazione dellenergia e della materia, e la conseguente impossibilit di consumare le componenti materiali di cui sono fatte le merci, si pu ricondurre il consumo al concetto di valore aggiunto. Marshall definisce la produzione una riorganizzazione di materia che fornisce utilit e il consumo uno stravolgimento di materia che ne distrugge lutilit. Lutilit, aggiunta nella produzione e distrutta dal consumo, viene chiamata dagli economisti valore aggiunto. Solo il valore aggiunto pu essere consumato, perch esso lunica cosa che pu essere prodotta. Nella visione neoclassica, questa analisi porta a considerare la crescita come illimitata: il valore aggiunto pu essere aggiunto e consumato in un circuito infinito. Quello che gli economisti tradizionali non fanno parlare del supporto su cui in valore viene aggiunto: considerando le risorse naturali come un insieme omogeneo e indifferenziato di componenti elementari e indistruttibili, la materia risulta poco interessante e irrilevante nellanalisi economica mainstream. Ma, osserva Daly, il valore non pu essere aggiunto al nulla. In realt, la materia su cui si attua loperazione di aggiunta di valore molto importante. Innanzitutto, la materia non omogenea: la capacit di incorporare valore aggiunto non uniforme per ogni tipo di elemento naturale. Infatti, non tutta la materia riconosciuta e utilizzata come risorsa: in genere, viene presa in considerazione quella parte che consente di aggiungere valore con un dispendio minimo di energia. Quello che cambia la predisposizione della materia a essere o meno materia prima il valore che la natura, prima delluomo, ha aggiunto a essa. La tradizione economica considera le materie prime un dono gratuito della natura; occorre, invece, rendersi conto che pi alto il sussidio che la natura ha fornito, maggiore la possibilit per luomo di sfruttare tale risorsa. Finora, questo si tradotto in prezzi bassi e in un maggior sfruttamento della materia prima, con il rischio del suo esaurimento. Daly propone, invece, di riconoscere il valore aggiunto gi presente nelle risorse e mostrarlo attraverso un corretto sistema dei

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prezzi, per smettere di minimizzare la dipendenza dellattivit economica dalle risorse e dal sistema naturale che le genera, e [di] esagerare limportanza relativa e lindipendenza del contributo umano (Daly, 2001). Grazie allapporto naturale, leconomia ha potuto crescere in rapporto allecosistema, in maniera tale da alterare lo schema della scarsit: un tempo, la possibilit di aggiungere valore era limitata dalla scarsit degli agenti di trasformazione (capitale e lavoro), oggi laggiunta di valore limitata dalla disponibilit di risorse naturali adatte a ricevere il valore aggiunto. La crescita fisica del sottoinsieme economico comporta una trasformazione di capitale naturale in capitale artificiale, cio una perdita di servizio, fornito dal capitale naturale, in cambio di nuovi servizi, offerti dal capitale artificiale. Occorre valutare se la perdita compensata dai nuovi servizi offerti dai manufatti. Secondo Daly, pi aumenta la scala del sottoinsieme economico pi aumentano i costi rispetto ai benefici: i benefici diminuiscono perch i bisogni essenziali sono gi stati soddisfatti, mentre i costi aumentano perch le risorse migliori e pi accessibili sono state utilizzate per prime e in seguito restano le meno economiche. La scala ottimale del sottoinsieme economico, adatta a supportare uno sviluppo sostenibile, rappresentata dal punto in cui benefici e costi marginali si eguagliano. Raggiunta questa scala non si produce pi per la crescita, ma per il mantenimento: Uneconomia matura, come un ecosistema maturo, passa da un regime di efficienza nella crescita (la massimizzazione della produzione per unit di stock di biomassa) a un regime di efficienza nel mantenimento (la massimizzazione del reciproco, ossia la quantit di biomassa mantenuta per unit di nuova produzione). La produzione il costo di mantenimento dello stock e dovrebbe pertanto essere minimizzata (Daly, 2001).

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4.3.5 Strumenti per lo sviluppo sostenibile Le due definizioni di sviluppo sostenibile pi utilizzate vengono denominate sostenibilit debole e sostenibilit forte. La prima considera sostenibile uno sviluppo che mantiene uno stock di capitale (naturale + artificiale), non decrescente nel tempo. Essa implica la perfetta sostituibilit del capitale naturale con il capitale artificiale. La seconda definizione considera sostenibile uno sviluppo che mantiene uno stock naturale non decrescente nel tempo. Come visto in precedenza, Daly assume come vera la seconda definizione, sostenendo lipotesi che capitale naturale e capitale artificiale siano tra loro complementari. Se i fattori sono complementari, allora il fattore la cui offerta scarsa sar quello che limita lo sviluppo. Seguendo la logica economica tradizionale, Daly propone di massimizzare la produttivit del fattore limitante e di investire in esso per aumentarne lofferta. Non si tratta di una nuova economia ma di un comportamento nuovo, coerente con la vecchia economia, in un mondo in cui prevale un nuovo modello di scarsit (Daly, 2001). Investire in capitale naturale significa essenzialmente permettere alla risorsa di conservarsi. E un tipo di investimento sostanzialmente passivo, che si pu operare sulle risorse naturali rinnovabili. Prelevando il raccolto sostenibile si permette alla risorsa di rigenerarsi, in quanto il prelievo sar pari alla sua capacit di ricrescita. In questo modo, la risorsa mantenuta costante nel tempo e si investe nella sua conservazione. Questo comporta, per gran parte delle risorse, una diminuzione del loro consumo. Per quanto riguarda le risorse non rinnovabili, la loro quantit pu solo essere consumata, non possibile farla aumentare (se non in tempi geologici inutili per luomo), neppure annullando del tutto il loro uso. Lunico intervento possibile sulle risorse non rinnovabili un miglioramento nellefficienza del loro utilizzo. I proventi derivati dalle risorse non rinnovabili andrebbero divisi in due parti: una parte di reddito, e una parte di capitale da reinvestire nelle risorse rinnovabili per farle crescere e consentire una produzione di reddito anche nel momento in cui le risorse non rinnovabili andranno a esaurirsi. Sebbene non sia possibile investire in risorse non rinnovabili, possiamo gestire il loro utilizzo in modo da (i) aumentare gli investimenti passivi diretti in risorse rinnovabili e (ii) aumentare gli

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investimenti attivi indiretti rivolti ad aumentare la produttivit delle risorse naturali e quindi a facilitare una riduzione del loro consumo (Daly, 2001). Per ridurre il volume delle risorse naturali necessarie a mantenere un determinato livello di benessere, Daly propone due ordini di investimenti: il controllo demografico e laumento dellefficienza nelluso delle risorse, sia naturali che artificiali. Lefficienza con cui si utilizzano le risorse dipende da due fattori: il valore dei servizi che otteniamo per unit di capitale artificiale (Ka) e il valore dei servizi che sacrifichiamo per unit di capitale naturale (Kn) perso come risultato di questa conversione. Tale rapporto pu essere scorporato in quattro componenti, per mezzo della seguente identit:
servizi ottenuti da Ka servizi da Kn sacrificati servizi ottenuti da Ka risorse totali impiegate nella produzione

stock di Ka

stock di Kn

=
stock di Ka
(I rapporto)

x
risorse totali impiegate nella produzione
(II rapporto)

x
stock di Kn
(III rapporto)

servizi da Kn sacrificati
(IV rapporto)

Ciascun termine dellidentit rappresenta una dimensione dellefficienza. Il primo rapporto rappresenta lefficienza dello stock di capitale artificiale nel fornire servizi allessere umano; essa dipende dallefficienza tecnica di progettazione, dallefficienza economica che deriva dallallocazione, a seconda delle preferenze tra gli individui, e dallefficienza distributiva. La teoria tradizionale, basata sullefficienza paretiana, tiene separati i concetti di efficienza e di distribuzione. In un mondo non affollato si pu effettivamente tralasciare laspetto distributivo, ma in un mondo soggetto a limiti, tutti i miglioramenti che possono derivare da aumenti di efficienza vanno tenuti in considerazione. In sintesi, il primo rapporto misura lintensit del servizio reso, per unit di tempo, dallo stock di capitale artificiale. Il secondo rapporto descrive lefficienza nel mantenimento dello stock di capitale di produzione umana. Esso misura il numero di unit di tempo durante cui lo stock pu fornire un determinato servizio. Dato che il capitale artificiale una trasformazione del capitale naturale, allungare la durata di vita dei prodotti

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consente di aumentare il tempo di impiego di capitale naturale in essi incorporato, consentendo di risparmiare sullestrazione di altre materie prime. Il terzo rapporto riflette lefficienza nella crescita del capitale naturale nel generare un incremento nello stock, utilizzabile nel consumo. Esso dipende dal tasso di rigenerazione della risorsa. La scelta dovrebbe, quindi, cadere su quelle materie prime che hanno tassi di crescita pi rapidi. Il quarto rapporto rappresenta lefficienza nel ruolo ecologico; esso misura la quantit di capitale naturale utilizzato nel processo produttivo (sia come risorsa che come ricettacolo di scarti) per ogni unit degli altri servizi ecologici essenziali che vengono in tal modo perduti. Lobiettivo deve essere quello di minimizzare la perdita dei servizi dellecosistema quando una risorsa viene utilizzata per ricavarne input da destinare ai processi produttivi. Dei vari rapporti, sicuramente il quarto stato tralasciato pi spesso dalleconomia neoclassica. Lo sviluppo sostenibile presuppone, invece, di tenere sullo stesso piano i quattro rapporti di efficienza, al fine di giungere a definire una scala ottimale del sottoinsieme economico che possa continuare a vivere senza soffocare lecosistema.

4.3.6 Istituzioni per lo sviluppo sostenibile Daly propone tre istituzioni per sostenere uno sviluppo sostenibile. Non sono istituzioni rivoluzionarie, ma poggiano sui pilastri delleconomia tradizionale: i prezzi e la propriet privata. Tuttavia, lestensione di tali elementi a settori generalmente non considerati dalleconomia ne fa degli strumenti non convenzionali. Le tre istituzioni proposte da Daly derivano dalla definizione stessa di stato stazionario: stock costanti di persone e prodotti, mantenuti a un livello sufficiente e opportunamente scelto, con il minimo tasso di throughput. Servono quindi: a) unistituzione per stabilizzare la popolazione (licenze di nascita trasferibili); b) unistituzione per stabilizzare lo stock di prodotti throughput sotto i limiti ecologici (quote di sfruttamento); e mantenere il

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c) unistituzione distributiva che limiti la disuguaglianza nella ripartizione degli stock tra la popolazione. Listituzione pi controversa sicuramente la prima. Essa consiste nel fornire a ogni individuo una o pi licenze di nascita (decise a livello statale), in numero uguale per ogni essere umano. Solo in possesso di tale licenza possibile avere un figlio. Le licenze possono essere comprate e vendute, affinch gli individui possano seguire i loro desideri di procreazione, ma in modo connesso alla reale possibilit di mantenere i figli. In questo modo, si pu attuare una riduzione della popolazione senza imporre un numero massimo di figli a famiglia. Le critiche a tale prospettiva sono parecchie e Daly ne consapevole. C una certa riluttanza ad accoppiare il denaro e la riproduzione; sembra, in qualche modo, di profanare la vita. Eppure la vita associata, in senso fisico, a risorse che diventano sempre pi scarse e questultime sono associate al denaro. [] Riconoscere francamente che la riproduzione deve essere considerata da qui in avanti un diritto scarso serve ad affrontare logicamente il problema della migliore distribuzione di quel diritto, del se, e come, permettere una riallocazione volontaria (Daly, 1981). La seconda istituzione gi stata attuata e riguarda le quote di sfruttamento. La logica la stessa che governa il protocollo di Kyoto: il governo mette allasta delle quote di sfruttamento delle risorse scarse, determinando a priori la quantit che possibile utilizzare. In seguito le quote possono essere vendute e comprate sul mercato. Tale sistema permette di limitare il throughput a livello globale e rappresenta una misura pi semplice del controllo dellinquinamento, che impone costi maggiori ed pi difficile da quantificare, presupponendo la conoscenza delle curve di domanda. La terza istituzione unistituzione distributiva. Essa ha come obiettivo la diminuzione della disuguaglianza nei redditi e nella ricchezza degli individui. Daly propone di fissare dei limiti minimi e massimi di reddito e un tetto massimo di ricchezza, e di attuare una riforma fiscale che sposti limposizione dal valore aggiunto al consumo di risorse naturali. I limiti massimi e minimi al reddito dovrebbero state allinterno di un intervallo definito, ad esempio il reddito massimo dovrebbe stare entro dieci volte il reddito minimo. Tale limite permette di controllare anche la ricchezza e rimuove molti incentivi alladozione di pratiche

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monopolistiche. Lequit derivata da questa misura permetterebbe anche una riduzione dei consumi non necessari. Senza una grande concentrazione nella ricchezza e nel reddito i risparmi sarebbero minori e costituirebbero, realmente, una rinuncia al consumo piuttosto che un surplus residuo dopo aver raggiunto la saziet. Ci sarebbe una minore pressione espansionistica da parte di grosse quantit di surplus alla ricerca di nuovi sentieri di crescita esponenziale che portano o alla crescita in termini fisici o allinflazione, o a entrambi (Daly, 1981). Il secondo aspetto dellistituzione distributiva viene chiamata da Daly riforma fiscale ecologica. Una parte di tassazione sul reddito andrebbe mantenuta, con una pressione maggiore sui redditi molto elevati e forme di sussidi per i redditi molto bassi. Ma la parte pi consistente del gettito andrebbe ricavata imponendo tasse sullimpiego di materia ed energia. In questo modo si andrebbe a tassare non il valore aggiunto, ma ci che fino a oggi stato considerato un dono gratuito della natura, andando a correggere le distorsioni nei prezzi e limitando allo stesso tempo lo sfruttamento eccessivo di risorse scarse. E chiaro che tali istituzioni non sono facilmente attuabili, ma anche condivisibili. Il processo verso uno sviluppo sostenibile, basato su uneconomia in stato stazionario, non pu essere attuata attraverso unimposizione dittatoriale, ma solo con un cambiamento nella mentalit e nella concezione del ruolo delluomo allinterno delleconomia e dellambiente naturale. In sostanza, un piano di riforme di questo tipo deve essere accettato dalla popolazione. Daly consapevole che un tale programma pu essere messo in atto solo con un cambiamento nel sistema dei valori, in caso contrario le istituzioni non funzionerebbero. Uno stato stazionario fisico, se vale la pena viverci, richiede assolutamente una crescita morale. [] Cambiamenti istituzionali sono necessari, ma non sufficienti. Anche la crescita morale necessaria ma non sufficiente. Insieme sono sia necessarie che sufficienti, ma i cambiamenti istituzionali hanno unimportanza relativamente minore rispetto ai cambiamenti dei valori morali (Daly, 1981).

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4.4 Comunit di comunit


4.4.1 Limportanza della comunit Nella teoria di Daly, una delle critiche pi importanti rivolta allastrazione dellHomo oeconomicus. Soggetto della teoria economica, egli rappresenta il comportamento economico basato sulla piena razionalit e sullindividualismo metodologico. Leconomista non critica la validit dellHomo oeconomicus nellanalisi economica, anzi, condivide gli aspetti che riguardano lutilit e il consumo, e lo ritiene un ottimo strumento. Quello che manca allHomo oeconomicus la percezione del mondo che gli sta intorno, soprattutto del resto dellumanit. Ci che precluso allHomo oeconomicus la preoccupazione per le soddisfazioni o le sofferenze che non si manifestano come attivit di mercato. [] LHomo oeconomicus non conosce n benevolenza n malevolenza, ma solo indifferenza (Daly, 1994). Eppure, gran parte della soddisfazione umana deriva dalla propria posizione relativa nella societ. Inoltre, la dottrina economica presuppone una caratteristica fondamentale di questo soggetto: il desiderio insaziabile di merci, lesistenza di nuovi beni e nuovi desideri bramati in una quantit sempre maggiore. Secondo Daly, tale caratteristica non propria delluomo reale: se cos fosse, non sarebbe necessaria la pubblicit per stimolare nuovi desideri. E piuttosto un modo per plasmare gli individui alle ipotesi del sistema. LHomo oeconomicus si scontra spesso con la realt e in effetti, afferma Daly, dovrebbe essere solo uno strumento di astrazione, mentre stato preso dagli economisti come modello reale del comportamento economico. LHomo oeconomicus ha desideri illimitati, ma non ha una scala di valori indipendente dalla forza di tali desideri. Per questo, in genere, leconomia tradizionale rifiuta ogni genere di giudizio di valore ed favorevole a una teoria amorale; ne deriva che le decisioni di politica economica, prese seguendo tale dottrina, risultano frutto di modelli matematici, piuttosto che derivare dallosservazione della realt. La visione di Daly presuppone, invece, uneconomia morale, in cui i valori, riconosciuti e accettati dalla comunit, vengano utilizzati come metro per le scelte economiche. Il riferimento alletimologia della parola economia: essa deriva dal

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greco , che significa amministrazione della casa, delleconomia famigliare. Essa privilegia una prospettiva di lungo periodo e prende in considerazione costi e benefici per lintera famiglia o comunit. Loggetto privilegiato il valore duso e non il valore di scambio astratto: esso concreto, ha una dimensione fisica e si riferisce a un desiderio che pu essere oggettivamente soddisfatto. Al contrario, il valore di scambio assolutamente astratto e porta allaccumulazione illimitata. LHomo oeconomicus, nella teoria di Daly, si trasforma in un uomo nella comunit. Luomo non individualista per natura, ma ha unorigine sociale: le persone sono costruite dalle loro relazioni reciproche. Il sistema economico deve garantire, oltre a beni e servizi, una struttura che protegga i rapporti sociali costitutivi della comunit. In una comunit le persone sono legate da relazioni intrinseche che definiscono lidentit personale. Mentre la societ basata su rapporti contrattuali e giuridici di tipo impersonale, una comunit nasce come aggregazione spontanea in base a relazioni di parentela, vicinato, tradizioni e cultura comune. La comunit plurale, non chiusa e omogenea: le persone che la formano hanno unidentit comune a dispetto delle differenze, hanno coscienza della propria comunit e partecipano insieme al compito di dare forma alle pi ampie aggregazioni di cui sono membri. Una societ non dovrebbe essere chiamata comunit a meno che (1) i suoi membri possano partecipare ampiamente alle decisioni che governano la loro vita, (2) la societ nel suo complesso si assuma degli obblighi verso i propri membri, e (3) tra questi obblighi sia compreso il rispetto per le diverse individualit dei membri stessi (Daly, 1994). Le comunit non devono necessariamente avere dimensioni ridotte: anche uno stato nazionale pu essere una comunit. Uneconomia nazionale al servizio della comunit sar quindi uneconomia di relativa autosufficienza. Questo non deve suonare come una condanna del commercio, ma piuttosto della dipendenza dal commercio, specialmente quando un paese non pu partecipare alla definizione dei rapporti di scambio (Daly, 1994). Le comunit di cui parla Daly devono avere una forte base locale, basata sul potere condiviso e sulla capacit di operare insieme per il benessere della

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comunit. Gli Stati possono, quindi, essere indicati come comunit di comunit: la comunit locale diventa la base del processo di identificazione e la partecipazione alla sua gestione diventa fondamentale sia per dare maggior rilievo alle decisioni locali, che per designare rappresentati che partecipino alle decisioni prese ai livelli superiori. Oltre a una spinta al locale, Daly sottolinea limportanza di strumenti sovranazionali in grado di gestire i problemi globali, come quelli ambientali. Non pu essere solo leconomia a internazionalizzarsi, perch, in questo modo, essa sfugge da ogni tipo di controllo: essa deve essere soggetta a qualche tipo di supervisione. In realt, Daly auspica un decentramento economico, verso il livello locale, che porti con s anche un decentramento politico. Tuttavia, gli attuali problemi ambientali richiedono un intervento globale. Lidea di attuare un tale progetto sociale si scontra con la critica che il nemico principale della comunit il desiderio di potere. Se il paradigma basato sul primato dellindividualismo dovesse cedere il passo a un paradigma comunitario, cambierebbe il modo di intendere il potere. Naturalmente fuori questione che esistano relazioni di dominio, e che non basti modificare le idee per mettervi termine. Ma un diffuso riconoscimento sociale del fatto che la ricerca del dominio non porta a ottenere il potere che si desidera potrebbe aprire la strada a un riorientamento della volont di potere sufficientemente ampio da determinare un mutamento dei rapporti sociali (Daly, 1994). Che cosa pu effettivamente portare gli uomini a un cambiamento di prospettiva e di valori? Per rispondere a questa domanda occorre riprendere un concetto introdotto allinizio di questo capitolo, quello di Fine ultimo. Lazione umana non deve fermarsi alla limitata visione dei propri fini intermedi, ma deve spingersi oltre. Il Fine ultimo pu fornire le indicazioni etiche e morali per indirizzare le politiche economiche verso un obiettivo che non sia fine a se stesso, ma che permetta uno sviluppo sostenibile dellintero sistema biofisico. Lidea di comunit, allora, si allarga per diventare un concetto che abbraccia tutti i popoli, gli altri animali, tutti gli esseri viventi e la terra intera (Daly, 1994). Questa totalit, per Daly, rappresentata da Dio: Qualsiasi altra cosa Egli sia, Dio anche a totalit in cui tutto confluisce. La diversit delle parti interconnesse della

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biosfera contribuisce alla ricchezza della totalit che la vita divina (Daly, 1994). Tendere a uno stato stazionario, che permetta uno sviluppo sostenibile significa allora prendersi cura di ci che Dio ha donato agli uomini. Siamo creature dotate di creativit, ma anche soggette a limiti, e abbiamo un impegno con il nostro Creatore a prenderci cura del creato, a mantenere intatta la sua capacit di sostenere la vita e la ricchezza (Daly, 2001). Ci che deve cambiare il principio organizzatore fondamentale, da cui discendono letica e la morale che guidano le azioni umane. Questetica suggerita dai termini sostenibilit, sufficienza, equit, efficienza. [] Per raccogliere linsieme [di questi] valori [] in una sola frase, propongo la seguente: Dobbiamo lottare per una ricchezza pro capite sufficiente, efficientemente preservata e allocata, ed equamente distribuita, per il massimo numero di persone che possono essere sostentate nel tempo in queste condizioni (Daly, 2001).

4.4.2 I Paesi in via di sviluppo Il concetto di sviluppo sostenibile utile anche per i Paesi in via di sviluppo. E chiaro che, presupponendo lo stato stazionario come condizione per uno sviluppo limitato a una scala sufficiente e sostenibile dallecosistema, sono gli Stati supersviluppati quelli che devono, per primi, modificare il loro sistema economico, riducendo i consumi e limitando la domanda di risorse. I Paesi pi poveri hanno la necessit, in prima battuta, di ridurre laumento demografico e, in secondo luogo, di rivedere le loro aspettative di crescita. Questo non nel senso che essi non debbano raggiungere un livello di benessere sufficiente, ma occorre, anche per i Paesi occidentali, ridimensionare il livello di ricchezza e di consumo di risorse, poich se tutta la popolazione mondiale mirasse a raggiungere i livelli di consumo degli Stati Uniti, non basterebbero quattro pianeti per soddisfare le richieste dellumanit. Un simile programma si scontra, sia nei Paesi sviluppati che nelle Nazioni del Terzo mondo, con lesistenza di conflitti di classe allinterno delle nazioni stesse. La crescita demografica dei Paesi sottosviluppati consente alle lite di tali nazioni di avere a disposizione una gran quantit di manodopera a

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basso costo, utile anche ai Paesi occidentali. In questi ultimi, daltro canto, la crescita utilizzata come buon sostituto della redistribuzione dei redditi. Ancora una volta un cambiamento di rotta pu avvenire solo con un ripensamento della scala dei valori. Le politiche promosse dalle istituzioni internazionali a favore dello sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo si sono basate spesso sullaggiustamento17: dei prezzi, per internalizzare le esternalit; delle condizioni macroeconomiche, per eliminare le distorsioni; dei mercati, per integrare il paese nel commercio internazionale. Gli aggiustamenti sono le condizioni necessarie per ottenere i prestiti dalla Banca Mondiale. Le misure di aggiustamento operano principalmente in termini di allocazione, senza considerare la scala e la distribuzione, questioni in primo piano nello sviluppo sostenibile. Se laggiustamento dei prezzi e delle condizioni macroeconomiche sono compatibili con lo sviluppo sostenibile, Daly critica invece il ricorso a un libero mercato globalizzato per aiutare i Paesi sottosviluppati a uscire dalla loro situazione di insostenibilit sociale. Egli individua cinque punti di conflitto tra le due visioni: 1. la correzione dei prezzi per internalizzare i costi ambientali si annulla se le aziende del paese entrano in commercio con quelle di altre nazioni che non applicano la stessa politica. Se le relazioni avvenissero a livello di paese e non di imprese, il paese che ha scelto di internalizzare i costi esterni potrebbe limitare il volume e la composizione dei propri scambi internazionali per non penalizzare le proprie imprese e, al tempo stesso, trarre vantaggio dallopportunit di acquistare prodotti a prezzi che sono, in realt, al di sotto del costo pieno. Si tratta di una politica che mira a proteggere non unindustria inefficiente, ma unefficiente politica di internalizzazione dei costi ambientali; 2. una distribuzione pi equa non compatibile con la libert di movimento di capitali. Finch lampia offerta di manodopera nei Paesi sottosviluppati consentir di avere lavoro a basso costo, il capitale si sposter verso questi paesi, per ricercare un vantaggio assoluto: i salari tenderanno a livellarsi verso il basso, mentre il rendimento del capitale sar sempre maggiore. La
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Vedi cap. 1.3.3: Gli anni 80: la Teoria dellaggiustamento strutturale

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prospettiva neoclassica dellaggiustamento prevede che, nel lungo periodo, lenorme aumento di produttivit, derivata dal libero scambio, faccia assestare i salari su livelli elevati. I limiti fisici del pianeta, e quindi la questione della scala, impediscono che sia ecologicamente possibile sostenere un aumento di produzione tale da arrivare a un aumento sufficiente dei salari; 3. il libero scambio e la mobilit dei capitali contribuiscono fortemente alla disgregazione sociale della comunit. La globalizzazione, che mette sul mercato lofferta di lavoro di tutto il mondo, porta le imprese a cercare il vantaggio del costo minore, piuttosto che la salvaguardia del benessere dei propri concittadini. Quando la classe capitalistica dice alla classe lavoratrice: Ci dispiace, dovete competere per il vostro posto di lavoro e il vostro salario con i poveri di tutto il mondo il fatto che siamo concittadini non genera alcun obbligo da parte nostra nei vostri confronti, effettivamente non rimane un granch del senso di comunit. [] La vera via per una comunit internazionale quella di una federazione di comunit comunit di comunit - e non la distruzione delle comunit locali e nazionali al servizio di un unico mondo cosmopolita di manager finanziari fuori da ogni controllo, che costituiscono non una comunit, ma solo una coalizione di interessi di breve periodo interdipendente, reciprocamente vulnerabile e instabile (Daly, 2001); 4. il libero scambio ha interferito con la stabilit macroeconomica, rendendo possibili enormi squilibri nei trasferimenti di capitale, con il risultato di debiti impossibili da ripagare che, di fatto, aggravano, invece di migliorare, la situazione dei Paesi in via di sviluppo. I tentativi di saldare i debiti conducono a uno sfruttamento eccessivo delle risorse e a deficit di bilancio colmati con la creazione di moneta che causa spinte inflazionistiche, svalutazioni monetarie e speculazioni; 5. la questione della scala non considerata nella teoria del libero scambio. Questultimo consente di allentare i vincoli ecologici a livello locale, ma solo a scapito di un peggioramento della situazione a livello globale. Ogni paese tenta, infatti, di vivere al di sopra della propria portata ecologica,

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portando allesterno i costi ambientali correlati. Questo risulta possibile solo se esistono paesi disponibili a mantenere la loro scala molto al di sotto della propria possibilit e ad accettare il peso dei costi ambientali delle altre nazioni. Significa creare nazioni di serie A e nazioni di serie B, concedere ad alcuni paesi il diritto di crescere e negarlo agli altri. Questo ci che sta accadendo, in effetti. Lo sviluppo sostenibile ritiene questa situazione economicamente ed eticamente inaccettabile. Quello a cui anche i Paesi pi poveri devono puntare lo sviluppo e non la crescita. Il concetto di crescita sostenibile un paradosso che serve solo a creare confusione. La crescita si riferisce solo ad aumenti quantitativi, lo sviluppo riguarda, invece, il cambiamento qualitativo, la realizzazione di una potenzialit, la transizione verso uno stato superiore o pi compiuto. Uno sviluppo sostenibile, uno sviluppo senza crescita, non implica la fine delle scienze economiche al contrario, leconomia come disciplina diviene ancora pi importante. Ma leconomia raffinata e complessa del mantenimento, del miglioramento qualitativo, della condivisione, della frugalit, e delladattamento ai limiti naturali. E uneconomia del meglio, non del pi grande (Daly, 2001).

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Capitolo 5 UNO SVILUPPO DIVERSO: LA DECRESCITA


Il dibattito sulle critiche allo sviluppo e alla crescita ha portato, in questi ultimi anni, alla nascita di un filone di pensiero radicale e alternativo che va sotto il nome di decrescita. Si pu sintetizzare la storia di questo movimento a partire da due approcci: da un lato, la critica ecologica allinsostenibilit del sistema economico capitalista, di cui si occupa in particolare Mauro Bonaiuti, a partire dalla teoria bioeconomica di Georgescu-Roegen; dallaltro, lo sviluppo della critica storica, economica e sociale allo sviluppo, condotta in modo particolare da Serge Latouche e dal MAUSS (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali). Sebbene la sua formulazione compiuta sia abbastanza recente, lidea di decrescita in realt gi stata formulata a partire dalla fine degli anni 60: levidente fallimento dei programmi di sviluppo per il Sud del mondo portano a una critica, da parte di molti autori come Andr Gorz, Franois Partant, Jacques Ellul, Cornelius Castoriadis e Ivan Illich, dellidea di Homo oeconomicus per le sue implicazioni sulla societ e sulle relazioni umane. La societ dei consumi, con le sue basi fatte di progresso, scienza e tecnica, gi in quegli anni non soddisfa le aspettative di una rinascita del Sud e di un reale benessere al Nord, sfociando nella ricerca di un doposviluppo. La critica sociale stata integrata con la questione ecologica: la presa di coscienza, da parte della maggioranza della popolazione, della questione ambientale, ha aggiunto al problema una nuova dimensione poich, oltre a non essere desiderabile, la crescita non neppure sostenibile. La teoria bioeconomica di Georgescu-Roegen rappresenta il primo approccio sistematico al problema, proponendo uneconomia che esca dal sistema della crescita per adeguarsi alla biosfera. La corrente di pensiero che, dagli anni 60, si riferisce al doposviluppo ha prodotto una serie di riflessioni critiche sui presupposti delleconomia e sui fallimenti politici dello sviluppo. La ricerca di unalternativa allo sviluppo ha

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portato alla nascita del movimento Incad (Rete internazionale per la costruzione di unalternativa allo sviluppo), rete che pone al centro della sua analisi la messa in discussione dello sviluppo stesso, cercando una strada che porti alluscita dalleconomicismo e dalla crescita. Il concetto di decrescita si inserisce in questo filone, che procede a una vera e propria decostruzione del pensiero economico, rimettendo in causa le nozioni di povert, bisogni, consumi e crescita. Negli ultimi anni, il tema della decrescita ha avuto un rimbalzo mediatico molto forte, tanto fare il suo ingresso anche sulla scena politica: prima in Italia, nel 2006, con lelezione a deputato di Paolo Cacciari18 e con Maurizio Pallante19 consigliere del ministro per lAmbiente durante il governo Prodi, e poi in Francia, in particolare sostenuta da Yves Chocet dei Verdi. Il successo della parola decrescita pu essere ricondotto a quattro crisi che oggi colpiscono il sistema mondiale: la crisi del clima, la crisi sociale con laumento delle diseguaglianze, la crisi politica con una crescente disaffezione dei cittadini allamministrazione della cosa pubblica, la crisi dellessere umano con la sensazione diffusa di perdita di senso dellesistenza. Sebbene la decrescita venga spesso ridotta a una semplice diminuzione dei consumi e degli sprechi, in realt il movimento degli obiettori della crescita si pone come obiettivo una vera e propria rivoluzione della cultura e degli stili di vita. Nellanalisi che segue, prender in considerazione soprattutto gli scritti di Latouche, in quanto a lui va il merito di aver formalizzato i diversi contributi che vanno nella direzione della decrescita. Il movimento della decrescita, infatti, formato da una serie di esperienze, studi, percorsi, approcci di vita che difficile limitare entro uno stesso contenitore teorico. E inoltre interessante sottolineare come alcune esperienze di consumo alternativo e di stili di vita differenti, messi in atto, gi da tempo, da gruppi di cittadini, siano coerenti con le ipotesi e le proposte avanzate dalla decrescita, per cui, anche senza aderire formalmente alla teoria degli obiettori della crescita, portano avanti un

Autore di Pensare la decrescita. Sostenibilit ed equit edito da Cantieri Carta/Edizioni Intra Moenia, 2006. 19 Autore di La decrescita felice. La felicit non dipende dal Pil edito da Editori Riuniti, 2005

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processo di ristrutturazione della societ perfettamente in linea con quello auspicato dai teorici della decrescita. In che modo possibile definire la decrescita? E improprio parlare di teoria della decrescita, mentre ha molto pi senso definirla un movimento. Non esiste, infatti, un modello di decrescita e le proposte e considerazioni che vengono fatte in questo campo sono frutto pi del confronto tra le esperienze che dellanalisi scientifica. Latouche definisce la decrescita uno slogan politico con implicazioni teoriche, [] un termine esplosivo [] che cerca di interrompere la cantilena dei drogati del produttivismo. [] Decrescita semplicemente uno slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica radicale dello sviluppo e interessati a individuare gli elementi di un progetto alternativo per una politica del doposviluppo. Decrescita dunque una proposta per restituire spazio alla creativit e alla fecondit di un sistema di rappresentazioni dominato dal totalitarismo delleconomicismo, dello sviluppo e del progresso (Latouche, 2007).

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5.1 La ricerca di unalternativa


Da dove deriva questa tensione della societ nel ricercare stili di vita alternativi e in opposizione al sistema corrente? I capitoli precedenti hanno evidenziato come, nel corso degli anni, sia emersa in modo sempre pi evidente la difficolt della convivenza tra capitalismo e ambiente, a discapito di questultimo. Inoltre, le disuguaglianze sociali, lungi dallo scomparire, si sono accentuate, assumendo un certo peso anche nei Paesi sviluppati. Proprio in questi paesi si diffusa lidea di aver in qualche modo superato dei limiti, dal punto di vista ambientale, ma non solo, come dimostra lacceso dibattito sulle questioni etiche. Laumento dello spazio occupato dalle attivit umane, invece di creare solidit allinterno della societ (un maggiore controllo sul mondo), ha prodotto una crescente incertezza, derivante dalla complessit sociale e dalla difficolt di reperire informazioni certe e non contrastanti sui fenomeni che oggi interessano il mondo, in particolare dal punto di vista ambientale. La situazione si traduce in una difficolt sempre maggiore nellinterpretare quale sia il percorso migliore per affrontare il mondo, ma allo stesso tempo crea la convinzione che il sistema attuale non sia assolutamente la soluzione adatta, ma anzi sia la causa stessa del problema. Bauman identifica tre tipi di incertezza che caratterizzano luomo moderno: lincertezza fisica, che deriva dalla paura per la propria incolumit fisica e per la propria salute, in rapporto a fattori che il soggetto individua come pericolosi nellambiente; lincertezza cognitiva, che legata alla difficolt di tenere sotto controllo e verificare le informazioni che giungono al soggetto; lincertezza esistenziale, infine, che riguarda le ideologie e le credenze del soggetto, e rivela una debole visione metafisica del futuro, evidenziando una difficolt nellinquadrare in una visione complessiva i continui cambiamenti che si verificano intorno al soggetto. La societ tende a disgregarsi in nuclei sempre pi piccoli e instabili: i gruppi si sganciano da precisi ordini gerarchici, ma non possono sottrarsi alla necessit di

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instaurare e mantenere rapporti con gli atri. Si crea una societ modulare, in cui le gerarchie si appiattiscono e le relazioni si fanno pi discontinue e frammentarie. I punti di riferimento cambiano continuamente, aumentando lincertezza. Di fronte a questa situazione, possibile individuare una particolare forma di risposta che Giorgio Osti definisce nuovo ascetismo. I rimedi per arginare le quattro crisi che la societ attuale sta affrontando sono da cercare nella semplificazione. Il caos legato a una deriva morale delluomo moderno. [] Lindividualismo senza freni produce sfruttamento dei pi deboli e distruzione dellambiente. [] La radice della questione dunque culturale: viene rintracciata in quella rivoluzione che ha posto luomo al centro delluniverso; ha secolarizzato ogni credenza in forme trascendenti e limitanti la sua capacit di azione. La relazionalit con gli Altri, con il cosmo, con gli esseri viventi stata gravemente menomata per affermare un soggetto padrone del proprio destino. [] La risposta una riduzione dei consumi e dei ritmi di vita, una maggiore attenzione allaltro da s, compresa la natura (Osti, 2006). Si sono andati sviluppando, in questi ultimi anni, una serie di movimenti che, in prima istanza, mirano a un diverso approccio al consumo, ma in realt rappresentano un modo diverso di affrontare laspetto economico nella propria vita. I gruppi di acquisto solidale, i movimenti a favore del consumo critico, le campagne a favore della riduzione degli sprechi energetici, sono fenomeni che, oltre a scongiurare lesaurimento delle risorse naturali, mirano anche a diminuire il senso di esaurimento dello spazio-tempo a disposizione degli esseri umani e a ridurre lincertezza, attraverso la semplificazione delle organizzazioni e delle pratiche di vita. La definizione di nuovo ascetismo parte dalletimologia del termine: esso deriva dal greco Fi0F4H, cio esercizio. Esso indica una selezione delle relazioni nel consumo di beni materiali, una condotta di vita regolata, uno sforzo costante al perfezionamento di s, un riferimento a valori assoluti. Le nuove forme di ascetismo non sono indirizzate allisolamento e alla solitudine, ma si traducono invece in gruppi di individui che, consapevolmente, scelgono di indirizzare il proprio stile di vita secondo una precisa etica e seguendo determinati valori morali. Questa nuova forma di ascesi non , quindi, vista in senso di

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mortificazione delluomo e delle sue pulsioni, o come sacrificio: intesa invece come una scelta consapevole e condivisa, volta a ricreare quei rapporti umani che la societ dei consumi tende a sopprimere. E la ricerca di unaltra societ. La societ della decrescita si pu inscrivere in questo contesto: uscire dallimmaginario dello sviluppo e del consumismo consente agli obiettori della crescita di trasformare la societ per creare un significativo e diffuso aumento del benessere, materiale e mentale, senza distruggere lecosistema.

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5.2 Che cos la decrescita


La decrescita un movimento, complesso e articolato, che si sviluppa a partire da pratiche concrete, in primo luogo la riduzione dei consumi. Esso si inserisce, come gi accennato, nel filone del doposviluppo e, in questo senso, rappresenta anche una critica alle politiche di esportazione del modello occidentale nei Paesi del Sud del mondo. Tuttavia, la critica si concentra particolarmente sulle societ pi sviluppate e sullipercosumismo che le caratterizza. Debitore dei contributi di autori come Georgescu-Roegen, il movimento della decrescita fa proprie tutte le critiche concernenti la finitezza del pianeta e ai limiti fisici delleconomia della crescita, ma si pone in netto contrasto con lidea di sviluppo sostenibile, sostenuta da Daly, come si vedr nei prossimi paragrafi. Se la crescita il totem delleconomia, parlare di decrescita significa prima di tutto mettere in discussione la centralit delleconomico nellimmaginario collettivo e iniziare a pensare a unaltra societ, attraverso una trasformazione complessiva della struttura sociale, politica ed economica. La decrescita non si presenta come un modello compiuto, ma mantiene unanima plurale e multidimensionale, per cui ogni territorio, ogni cultura pu esprimersi in forme e modi diversi. Si possono individuare quattro livelli sui quali agisce la decrescita: quello dellimmaginario, quello economico, quello sociale e quello politico. A livello dellimmaginario necessaria una trasformazione ampia dei valori. Essi hanno carattere sistemico, per cui influenzano e sono influenzati dalle istituzioni, dalla tecnologia, delleconomia. In una prospettiva sistemica non ha senso chiedersi se debbano cambiare prima le istituzioni o i valori: chiaro che entrambi devono modificarsi e che gli uni sostengono e accompagnano la trasformazione dellaltro. A livello economico decrescita significa, innanzitutto, la riduzione delle dimensioni delle grandi organizzazioni, dei sistemi di trasporto, delle tecnocrazie. Queste dimensioni sono connesse ai volumi dei mercati e la decrescita si propone di spostare il baricentro dalleconomia dei mercati globali a quelli regionali e locali, rilocalizzando leconomia.

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Il terzo livello, quello sociale, presuppone di raggiungere la sostenibilit sociale in termini di equit, giustizia e pace. I comportamenti aggressivi sono utili solo in contesti espansivi, in un contesto non espansivo, come quello attuale, sono molto pi utili i comportamenti cooperativi e non predatori. La decrescita, attraverso il progressivo aumento della domanda di beni relazionali, favorisce lo sviluppo di uneconomia solidale e sociale. Il quarto livello quello degli assetti politici. La decrescita mira, attraverso il ridimensionamento delle dimensioni di imprese, istituzioni e mercati,

allaffermarsi di una politica partecipata e conviviale, in modo da offrire a sempre pi persone una migliore qualit della vita, in organizzazioni sociali ed economiche non disumanizzanti, ma al contrario portatrici di senso. Il progetto della decrescita implica il rinascimento di una societ autonoma ed economa. Autonoma nel senso forte, etimologico, di societ che si d le sue leggi, come reazione alleteronomia della mano invisibile del mercato e ai diktat della tecnologia e della scienza sulla societ contemporanea. Economa nel senso di una ri-educazione al risparmio e alla sobriet. Lo slogan degli obiettori della decrescita fare di pi e meglio con meno, nel senso di privilegiare un approccio economico basato sulla qualit, piuttosto che sulla quantit. Lidea guida quella di ridurre ci che diminuisce il benessere delluomo e del pianeta, arrivando a creare degli spazi di libert.

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5.3 Il programma delle otto R


Realizzare una societ della decrescita presuppone come primo passo, secondo Serge Latouche, la necessit di abbandonare le pratiche insensate della crescita e dei suoi effetti negativi e, come secondo passo, lattuazione di circoli virtuosi per un cambiamento radicale della prospettiva e della visione economica. Leconomista francese propone un programma basato su otto R: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Limplementazione di questi otto cambiamenti, tra loro interdipendenti e che si rafforzano reciprocamente, permette di innescare un processo di decrescita serena, conviviale e sostenibile, in risposta allattuale sistema caratterizzato da una serie di sovra: sovrasviluppo, sovraconsumo, sovraproduttivit, sovracomunicazione, sovraindebitamento, sovrabbondanza, ecc

5.3.1 Rivalutare Significa rivedere i valori in cui si crede e in base ai quali si organizza la propria vita. E impossibile, infatti, immaginare cittadini che vivano in una societ della decrescita, ma che rimangano condizionati da un immaginario legato allo stile di vita della societ dei consumi. La decrescita presuppone un profondo cambiamento del sistema di valori su cui si fonda la societ umana. Limmaginario dominante sistemico, cio i valori attuali sono suscitati e incoraggiati dal sistema stesso e a loro volta cotribuiscono a rafforzarlo. Occorre, quindi, agire su ci che sta dietro al sistema e attribuire nuovi significati al tempo, alla vita, allo spazio. I valori da rivendicare, quelli che devono avere la meglio su quelli diffusi nellodierno sistema, sono indicati dallo stesso Latouche: "laltruismo dovrebbe prevalere sullegoismo, la collaborazione sulla

competizione sfrenata, il piacere del tempo libero e lethos del gioco sullossessione del lavoro, limportanza della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, lautonomia sulleteronomia, il gusto della bella opera sullefficienza produttivistica, il ragionevole sul razionale, il relazionale sul

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materiale, ecc. (Latouche, 2008). La necessit quella di modificare la visione predatoria, che il capitalismo persegue nei confronti della natura, con un atteggiamento pi armonioso e complementare con lecosistema.

5.3.2 Riconcettualizzare Significa modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa vissuta, cos da mutarne completamente il senso. In particolare, vanno ridefiniti i concetti di povert e ricchezza, di scarsit e abbondanza. Leconomia attuale, infatti, trasforma labbondanza naturale in scarsit, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso la mercificazione della natura. Il cambiamento dei valori, definito nel paragrafo precedente, porta a una diversa visione del mondo, i cui elementi vanno ridefiniti e ridimensionati. Il cambiamento non pu essere imposto, n facile cambiare volontariamente il proprio immaginario, che accompagna ogni essere umano fin dalla nascita. Alla base di questa volont devono esserci una riflessione profonda e il desiderio di mettere in atto un tale cambiamento. I valori dominanti nella societ odierna sono condivisi da tutti, non esistono sostanziali distinzioni di classe, ceto, et. La cultura del povero e quella del ricco seguono praticamente gli stessi valori, soprattutto nellambito dei consumi, seguendo una sorta di pensiero unico. Leconomia vista universalmente come una funzione fondamentale nello sviluppo dellumanit delluomo; spesso vista come sinonimo di progresso. Uno dei punti fondamentali su cui deve concentrarsi lazione di

riconcettualizzazione il consumo. Latouche riprende la nozione di consumo sviluppata da Berthoud. Egli rifiuta la crematistica, ovvero la scienza economica che tratta la ricchezza in quanto tale, per riscoprire uneconomia fatta di reciprocit e di dono. Per Berthoud, il vero consumo consiste nelluso parsimonioso di una serie di ricchezze di propriet del soggetto, in vista della felicit e in armonia con se stesso. Il consumo diventa frutto della relazione con laltro, perch ricevere dei beni significa soprattutto riceverli allinterno di una cultura e di un mondo. La riscoperta dei beni relazionali, a discapito dei soli beni materiali, uno dei punti di forza della decrescita. Il piacere del consumo non

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deriva dallaccumulo di beni materiali, ma dalle relazioni che lesperienza di consumo permette di avere con gli altri individui. Lideologia del sistema attuale diffusa, secondo Latouche, soprattutto dal sistema pubblicitario. Come osserva Castoridias, per, il pensiero unico non frutto di unimposizione totalitaria, ma ci che la gente vuole. Il sistema, in qualche modo, si autoalimenta in un processo circolare, per cui crea le condizioni che portano a questa situazione e, allo stesso tempo, viene rafforzato e consolidato dai comportamenti degli individui che appoggiano i valori che lo caratterizzano. Il progresso, la crescita, il consumo sono ormai parte della vita e dellimmaginario. Ma non sono pi scelte consapevoli: esse vengono cercate per abitudine, per assuefazione o per adeguamento, e abbandonare tali pratiche non risulta un atteggiamento naturale, come poteva esserlo nel passato, ma deve essere frutto di una precisa volont. La soluzione creare una rete di controinformazione che permetta di uscire da questo circolo vizioso, per mettere in atto una decolonizzazione dellimmaginario.

5.3.3 Ristrutturare Il cambiamento dei valori deve essere seguito da un adeguamento delle strutture produttive, dei modelli di consumo, delle strutture sociali, degli stili di vita. Il cambiamento, infatti, non pu avvenire allinterno di una societ della crescita. Leconomia della crescita il nodo su cui si instaura la questione. La critica degli autori che propongono la decrescita, infatti, non si concentra tanto sul capitalismo, quanto piuttosto su uneconomia che pone alla base della sua realizzazione laccumulazione di capitali e beni materiali. Essi sottolineano come sia stato possibile realizzare uneconomia della crescita anche nelle societ socialiste. Il paradigma della crescita , infatti, stato appoggiato, in modo diverso, ma con gli stessi risultati, sia dalle economie di mercato sia dalle economie pianificate: entrambe sostengono lidea del produttivismo, dello sfruttamento della natura per rispondere alla domanda e si propongono di soddisfare il benessere sociale attraverso aumenti illimitati della capacit produttiva. Il principio della crescita non messo in discussione dalla teoria marxista: si rovescia lo status degli aventi

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diritto alla ripartizione dei suoi frutti, ma non se ne mette in discussione lessenza. La decrescita implica, invece, una diminuzione dellaccumulazione, ma non si accontenta di rallentarla, presuppone di rovesciare il concetto per creare un nuovo modo di produzione. Quello che mancato, nella teoria marxista e nel socialismo reale, stata una riflessione sulla questione ecologica. E opportuno, a questo punto, aprire una parentesi sui rapporti tra capitalismo e decrescita. Come gi accennato, la decrescita non unopposizione al capitalismo, quanto al sistema basato sullaccumulazione e sulla crescita. In questo senso, poich una societ della decrescita opta per una riduzione dello sfruttamento, dellaccumulazione e della spoliazione, non pu che essere in contrasto con il capitalismo, che fa di questi elementi delle caratteristiche prioritarie della sua natura. Il rapporto tra capitalismo e decrescita , dunque, complesso, poich non si tratta solo di contestare le pratiche economiche, ma lo spirito stesso della societ capitalista. Tuttavia, i teorici della decrescita non negano limportanza di alcune istituzioni, diventate caratterizzanti del sistema capitalistico, ma che in realt hanno una natura pi sociale che economica. Latouche porta come esempio le societ africane, dove esistono strutture che possono essere chiamate mercato, moneta o retribuzione salariale, ma che tuttavia non possono certo chiamarsi istituzioni capitaliste. Questi rapporti economici non sono dominanti n nella produzione, n nella circolazione di beni e servizi e, soprattutto, questi aspetti non sono articolati in modo tale da fare sistema. [] Il sistema di pensiero e di valori di queste societ cos poco colonizzato dalleconomia che fanno economia senza saperlo (Latouche, 2007). Le istituzioni che sono diventate tali con il capitalismo, non devono essere confuse con la sua essenza. E possibile pensare a unuscita dal capitalismo? La risposta sicuramente negativa, nel senso che non si pu immaginare una totale abolizione del mercato, dei capitalisti, della propriet privata o della moneta. La societ finirebbe nel caos. Neppure si pu realisticamente pensare a una rivoluzione in nome della decrescita che, in tempi brevi, modifichi un sistema e crei un nuovo immaginario. La soluzione , quindi, quella di non rinunciare alle istituzioni del capitalismo, ma di collocarle allinterno di unaltra logica, guidata dai principi della societ della

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decrescita. E difficile, infatti, implementare una societ complessa, senza avere degli strumenti che coordinino e regolino gli scambi. La moneta, ad esempio, intesa come strumento di scambio e di attribuzione di valore, ha un ruolo importantissimo. Gli obiettori della crescita non giudicano negativamente lo strumento, ma luso che se ne fa, in questo caso quello di veicolo per laccumulazione del capitale. Si tratta, per, di convertire, oltre gli strumenti, anche lapparato produttivo. Questa riconosciuta come una delle fasi pi delicate del passaggio da una societ capitalista a una societ della crescita, perch va a intaccare il cuore del sistema. Latouche propone degli esempi pratici di conversione produttiva: ad esempio la conversione delle industrie automobilistiche in industrie di componenti per la cogenerazione di energia. E difficile dire se una tale operazione sia fattibile: i problemi che emergono non sono tanto a livello tecnologico. Ancora una volta, lelemento chiave la volont di realizzare una societ diversa.

5.3.4 Ridistribuire Il concetto pu essere sintetizzato nello slogan predare meno, piuttosto che dare di pi. La redistribuzione deve riguardare leccesso alle risorse e unequa distribuzione della ricchezza tra tutti gli abitanti del pianeta, tra le classi e tra le generazioni, in modo da assicurare a ogni individuo un lavoro e un livello di vita dignitoso. Il problema ridistributivo pu essere analizzato su pi piani. Innanzi tutto vi un problema di rapporti Nord/Sud. Lo sfruttamento operato dai Paesi occidentali nei confronti del Sud del mondo determina un immenso debito ecologico ed etico nei confronti di queste popolazioni. La redistribuzione e lassolvimento del debito contratto nel corso dei secoli possono partire solo da un ridimensionamento della classe consumatrice mondiale, in modo da limitare la predazione di risorse naturali nei Paesi in via di sviluppo. La redistribuzione riguarda poi luso delle risorse naturali. Anche in questo caso, sono stati piuttosto i Paesi occidentali ad avvantaggiarsi della possibilit di usufruire di materie prime a bassissimo costo, riducendo i Paesi in via di sviluppo

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a miniere per prelevare risorse e a discariche per disfarsi dellenorme quantit di rifiuti prodotti. Occorre garantire a tutti la stessa possibilit di accesso a queste risorse. Uno dei problemi fondamentali riguarda i suoli, in una duplice accezione: come terreno per le attivit agricole e come paesaggio. In entrambi i casi necessario ripensare alluso della terra. La ripartizione dei suoli un problema che tocca da vicino gli agricoltori del Sud del mondo, che devono confrontarsi con le colture estensive che limitano il loro accesso alla terra, oltre che con la sempre pi rapida erosione e desertificazione dei terreni agricoli. Nel Nord, il cambiamento deve riguardare piuttosto la qualit dei suoli, intesi come paesaggi da preservare dalla cementificazione e dallinquinamento. Latouche, appoggiando le proposte degli ecologisti, parla anche di una ridistribuzione del lavoro, sotto due punti di vista: da una parte prospetta una diminuzione delle ore di lavoro, nellottica di riduzione di produzione e consumi e per favorire lo sviluppo di rapporti umani piuttosto che economici; dallaltra, auspica lo sviluppo di professioni verdi, quali possono essere quelle legate alle energie rinnovabili, nellottica di una ristrutturazione del sistema produttivo.

5.3.5 Rilocalizzare In opposizione allattuale tendenza alla globalizzazione e alla delocalizzazione produttiva, la teoria della decrescita propone di tornare a concentrare produzione e consumo a livello locale. Questo permette, innanzitutto, di evitare i costi ambientali ed economici legati ai trasporti e, in seconda battuta, di creare una comunit che sviluppi una politica, una cultura e un senso della vita ancorati al territorio, piuttosto che proiettata a una scala globale ma indeterminata. Il locale deve tornare a essere il punto di riferimento per lo sviluppo della societ: i bisogni locali devono essere soddisfatti localmente, attraverso produzioni che avvengono sul territorio, finanziate dai risparmi raccolti localmente. La societ della decrescita lascia ampio spazio anche allautoproduzione, nellottica della riduzione dei rapporti di mercati superflui. Rendendo sempre pi stretta la relazione tra cittadini e territorio, si raggiunge una nuova consapevolezza del

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potere delle proprie azioni e delle proprie decisioni allinterno del sistema economico e sociale. La societ della decrescita, infatti, pu essere implementata solo attraverso una scelta volontaria e consapevole. Tale scelta pu essere effettuata solo in un contesto di doposviluppo, ed proprio la spinta locale che pu permettere di uscire dallimpasse dello sviluppo, poich crea una collettivit cosciente delle proprie scelte. Non si tratta di sviluppare tante piccole realt slegate dal contesto globale, ma di procedere a una riappropriazione del territorio in chiave sistemica, sviluppando una rete di esperienze che possano pian piano risanare il deserto prodotto dalla globalizzazione.

5.3.6 Ridurre La parola riduzione quasi un sinonimo di decrescita. Tuttavia, ridurre non significa continuare a svolgere le stesse attivit solo riducendo le quantit. Si tratta di diminuire limpatto complessivo delle attivit umane sul pianeta, il che presuppone un cambiamento di stile di vita pi radicale di una semplice riduzione dei consumi. Latouche parla di riduzione nelluso e nella produzione di prodotti tossici, inteso in senso lato: sono tossici tutti quei prodotti e quelle attivit che hanno un impatto sullecosistema, ma anche sul sistema uomo, comprese pubblicit, armamenti ed energia nucleare. La critica di Latouche particolarmente severa nei confronti della pubblicit; citando Besset egli afferma: il sistema pubblicitario si impadronisce della strada, invade lo spazio collettivo depauperandolo si appropria di tutto ci che ha una vocazione pubblica. [] Laggressione avviene a ogni livello. La pubblicit ci segue continuamente producendo inquinamento mentale, visivo e sonoro (Latouche, 2007)20. Lindice degli obiettori della crescita puntato contro il sovraconsumo e contro lo spreco dilagante nelle societ occidentali. La riduzione deve poi riguardare in modo particolare i trasporti e i consumi di energia, attraverso la riduzione degli sprechi energetici e lo sviluppo delle energie rinnovabili.

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Besset J.-P., 2007, La scelta difficile. Come salvarsi dal progresso senza essere reazionari, Bari, Dedalo; citato da Latouche in La scommessa della decrescita.

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Ma la riduzione concerne anche il mondo del lavoro. Secondo le tesi di Latouche, per assicurare a tutti un impiego soddisfacente necessario ridurre le ore di lavoro. Non tutti i teorici della decrescita condividono lassunto secondo il quale una societ della decrescita porta necessariamente a una diminuzione del lavoro. Esistono, infatti, almeno quattro fattori, che spingono in direzioni opposte: da un lato, la rilocalizzazione delle attivit e la fine dello sfruttamento del Sud, insieme alla diminuzione della produttivit conseguente allabbandono del modello termoindustriale, favoriscono un aumento delle ore di lavoro; dallaltra, la creazione di posti di lavoro per tutti quelli che lo desiderano e il cambiamento degli stili di vita, con leliminazione dei bisogni inutili, portano a una diminuzione della quantit di lavoro. Diminuire le ore di lavoro, oltre a consentire a un maggior numero di individui di partecipare alla produzione, significa riproporre il lavoro come valore e permettere di riconquistare il proprio tempo. Lavorare per poche ore al giorno consente di dedicare pi tempo ad altre attivit, favorendo la realizzazione degli individui non come strumenti della produzione e come consumatori, ma soprattutto come persone e come cittadini.

5.3.7 Riutilizzare/Riciclare La societ della decrescita impone un atteggiamento diverso nei confronti delle cose. La societ dei consumi rende i prodotti deteriorabili e obsoleti dopo pochissimo tempo. Per gestire il problema ambientale necessario modificare questa continua tendenza al nuovo, allungando la durata di vita dei prodotti e sviluppando una cultura del riciclo, che consenta una netta diminuzione dellimpatto antropico sullecosistema. Le abitudini del consumismo hanno fatto dimenticare la cultura della riparazione e del riutilizzo che era invece pratica diffusa fino a qualche generazione fa. Il settore industriale ha le sue colpe, poich molti dei prodotti oggi sul mercato sono semplicemente irreparabili, sono cio creati per non durare e per essere sostituiti al minimo guasto. Il riutilizzo , quindi, strettamente legato alla ristrutturazione

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del sistema produttivo e, ancora una volta, a una ridefinizione dei valori che guidano leconomia. Il riciclaggio, per gli obiettori della crescita, diventa una sorta di obbligo morale nei confronti dellambiente, ma anche delle popolazioni del Sud che subiscono lo sfruttamento delle risorse sul loro territorio. Anche il riciclaggio rientra in un riassestamento dei modi produttivi. Per essere riciclate, le merci devono essere prodotte con certi criteri che facilitino loperazione di smaltimento al termine del loro ciclo di vita. Alcuni esempi virtuosi provengono dalle aziende stesse. La Xerox, azienda specializzata nella produzione di fotocopiatrici, dal 1990 concepisce lassemblaggio dei suoi prodotti in modo che le componenti possano essere facilmente riciclabili al termine della vita della macchina. Lazienda stessa riutilizza gran parte dei pezzi per la produzione di nuove macchine.

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5.4 La critica allo sviluppo sostenibile


Il concetto di sviluppo sostenibile era gi stato criticato da Georgescu-Roegen, come un ossimoro svuotato di significato. I fautori della decrescita riprendono questo giudizio, estendendo la critica a tutti i tipi di sviluppo. Negli anni, a partire dalla definizione di sviluppo sostenibile fornita dal rapporto Bruntland, si sono moltiplicati i tipi di sviluppo da implementare per migliorare la situazione della numerosa umanit costretta alla povert nei Paesi in via di sviluppo. La principale critica mossa al concetto di sviluppo sostenibile riguarda la sua stretta relazione con la crescita. A dispetto dellinterpretazione di Daly, Latouche ritrova nella sostenibilit gli stessi elementi che la decrescita vuole cancellare. E lattaccamento al concetto di sviluppo che deve essere trasformato, in quanto proprio lo sviluppo sarebbe la causa delle stesse problematiche che vorrebbe risolvere. Gli obiettori della crescita storcono il naso di fronte al consenso unanime che lo sviluppo sostenibile ha riscontrato sia nel mondo degli affari che nel settore umanitario. Il concetto valido sia nellorientamento realista del mondo degli affari che in quello associativo e degli intellettuali umanisti. Questo possibile perch la parola sostenibile viene interpretata in modi differenti dai due orientamenti: da un lato si traduce in uno sviluppo durevole, cio la speranza che questo tipo di sviluppo possa protrarsi allinfinito; la questione ambientale viene affrontata semplicemente in termini di immagine, introducendo lapproccio environmental friendly allinterno del sistema di produzione. Nel secondo caso, lo sviluppo viene concepito come la possibilit, per i Paesi in via di sviluppo, di raggiungere un benessere e un livello di vita soddisfacente, senza porsi troppi interrogativi sulla compatibilit dei due obiettivi, sviluppo e ambiente. Il tutto giocato sullambiguit nelluso di termini come compatibilit e sostenibilit, la cui differenza, per quanto sottile, importantissima. Lambiguit insita nelluso alternativo che si fa dei due termini, infatti, permette di concepire prima lo sviluppo e poi di renderlo sostenibile, attraverso le diverse forme di compatibilit ambientale.

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Insomma, lo sviluppo sostenibile diventa un concetto di moda, ma con scarsi contenuti, utile per continuare a sostenere il paradigma della crescita, guarnendolo con nuovi aggettivi. Cos, i fallimenti delle politiche sviluppiste hanno portato a un proliferare di nuovi tipi di sviluppo: lo sviluppo autocentrato, umano, partecipativo, equo, locale, lecosviluppo, letnosviluppo e lendosviluppo. In realt, per, non si mette mai in discussione il vero problema, cio laccumulazione capitalista. Latouche considera lo sviluppo, allo stesso tempo, un pleonasmo e un ossimoro. Pleonasmo perch lo sviluppo gi di per s una self-sustaining growth (crescita autosostenuta) secondo la definizione di Walt Rostow. Ossimoro perch lo sviluppo, in realt, non n sostenibile n durevole (Latouche, 2008). Il problema non sta tanto nellaggettivo che a esso viene affiancato, quanto nello stesso concetto di sviluppo: Lo sviluppo una parola tossica, quale che sia laggettivo che gli viene applicato (Latouche, 2008). E vero, infatti, che la sostenibilit risulta un concetto positivo: essa prevede che le attivit umane non incidano sullambiente in modo da oltrepassare la capacit dellecosistema di rigenerarsi. Tuttavia, il significato storico dello sviluppo ha preso strade decisamente lontane da questo criterio. Si tradotto in una mercificazione del rapporto tra uomo e natura, con questultima considerata una risorsa da sfruttare, valorizzare e da cui trarre profitto. Aggiungere alla parola sviluppo il termine sostenibile non serve, quindi, a mettere in discussione lo sviluppo esistente e fino a oggi implementato, ma semplicemente a concepirlo in unaccezione ecologica. Le analisi che calcolano limpronta ecologica dei paesi dimostrano che lattuale sfruttamento delle risorse non compatibile con una sola Terra. I Paesi occidentali stanno vivendo al di sopra delle loro risorse. I teorici della decrescita sostengono che a questo punto la sola crescita zero non abbastanza. Pensare a uneconomia in stato stazionario non basterebbe a rimediare al danno: anche mantenendo la produzione e la popolazione al livello attuale, la Terra non sarebbe in grado di sopportare limpatto delle attivit umane. Il concetto di sostenibilit deve essere rapportato alla riproduzione sostenibile. Questa era la base del rapporto natura uomo nei secoli precedenti: luso delle risorse, fino al XVIII secolo, era limitato alla potenzialit rigeneratrice della

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natura. Difficilmente lo sfruttamento superava la capacit dellecosistema di continuare a riprodursi. Anche se nel Sud del mondo ancora possibile ritrovare artigiani e contadini che vivono in armonia con il loro ambiente, che conoscono i suoi ritmi e che propongono comportamenti sostenibili, oggi non sarebbe pi possibile, agli attuali livelli di sfruttamento e consumo, anche ipotizzando una crescita nulla, implementare una riproduzione sostenibile. Questa la critica che gli obiettori della crescita rivolgono ai sostenitori dello sviluppo sostenibile. Se siamo a Roma e dobbiamo andare a Torino in treno e per sbaglio abbiamo preso la direzione di Napoli, non basta rallentare la locomotiva, frenare o fermarsi, bisogna scendere e prendere un altro treno nella direzione opposta (Latouche, 2007). Mettere in pratica la decrescita si inserisce esattamente in questa prospettiva: occorre cambiare la rotta, non solo rallentare la nostra velocit. Tuttavia, il rapporto tra sviluppo sostenibile e decrescita non pu essere liquidato con una sentenza di incompatibilit totale. Nel capitolo dedicato a Herman Daly, stato possibile osservare come leconomista inglese proponga anchegli una trasformazione della societ. La sua proposta non si ferma allambito economico: necessario raggiungere uno stato stazionario per non oltrepassare i limiti del pianeta, ma allo stesso tempo necessario mettere in atto un ripensamento dei valori e della societ. Lidea di comunit di comunit, presentata da Daly come la possibilit di affrontare in modo partecipato e sostenibile la sfida dello sviluppo, non molto lontana dal concetto di rilocalizzazione presentato da Latouche nel programma delle otto R. Anche Daly critica fortemente gli aspetti dello sviluppo che hanno portato allattuale situazione di emergenza ambientale e sociale. Si tratta quindi solo di una divergenza terminologica? A unanalisi pi approfondita lambiguit del dibattito rimane sullo sfondo, ma forse possibile tracciare alcune linee di chiarimento. E chiaro che lo sviluppo sostenibile proposto da Daly non lo stesso sviluppo reale che domina il pianeta da due secoli. E uno sviluppo diverso, ma che, nonostante le critiche apportate al sistema, si inserisce ancora nel paradigma capitalista. La societ della decrescita, invece, auspica luscita da questo sistema.

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Il concetto di sostenibilit, infatti, pu essere inteso in due modi diversi: da una parte, una sostenibilit che i fautori della decrescita definiscono contraddittoria e che si riferisce a una tecnocrazia ecologica (cio amministrare i livelli di inquinamento e di degrado accettabili, in un contesto capitalista); dallaltr, la sostenibilit rappresenta una possibile porta per uscire dalla cornice ideologica in cui si trova la cultura occidentale ancora religiosamente aggrappata

allimmaginario della crescita e dello sviluppo (Deriu, 2005). In questa seconda accezione, la sostenibilit approvata dalla teoria della decrescita, in quanto non apparentata con il termine sviluppo e connotata da alcuni elementi differenti rispetto a quella presentata da Daly. Lo sviluppo sostenibile riconosce lesistenza di limiti alla crescita. Tuttavia questo non sufficiente: occorre soprattutto cambiare la visione che luomo ha di s e del suo rapporto con la natura. Occorre, quindi, rimettere in discussione il rapporto tra uomo e natura, affrontando la questione ecologica non in termini di interventi ad hoc, ma in maniera sistemica, in modo da influire sulle nostre azioni a monte. La teoria della decrescita percepisce lindividuo inserito allinterno di un ambiente che non qualcosa di differente da s, ma parte dellindividuo stesso, in una concezione che fa delluomo e dellambiente un unico ecosistema. Non considera, quindi, gli ecosistemi come elementi depurati dalla presenza antropica, ma come frutto dellinterrelazione tra individui e ambienti. Questa visione olistica permette di affrontare la questione ambientale non come unesternalit da minimizzare, ma come un elemento da tenere in conto normalmente nellazione umana, in quanto costitutiva delluomo stesso. Lecologia diventa, quindi, non una nuova sensibilit, di moda nel mondo attuale: si vuole recuperare la sensibilit ecologica tipica delle societ tradizionali, che esprimevano unorganizzazione ordinata e armonica delle relazioni con lambiente. Questa concezione appare in netto contrasto con lidea

antropocentrica di uomo dominatore della natura, diffusa con il capitalismo: la decrescita recupera una visione in cui la natura viene riconosciuta e rispettata come elemento fondamentale per la vita umana. Lenfasi posta dallo sviluppo sostenibile rispetto ai diritti delle generazioni future viene affiancata, nella visione della decrescita, a un riconoscimento delle

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generazioni passate. La modernit tende a considerare in modo negativo e riduttivo il passato, poich si basa su una fede nel progresso infinito. Riconoscere e rivalutare il rapporto con le generazioni passate, attraverso la riscoperta di stili di vita davvero sostenibili, rappresenta uno dei modi per mettere in atto la societ della decrescita. Tutto questo senza eliminare con un colpo di spugna la modernit, ma con la consapevolezza che lattuale modello non riproducibile allinfinito e con la creazione di una nuova societ. Lattenzione alla produzione e allo sviluppo sostenibile deve essere sostituita con la riaffermazione della centralit della riproduzione e rigenerazione come condizioni della sostenibilit, cos comera naturale nelle societ tradizionali. E chiaro che non possibile cancellare due secoli di societ della crescita. La necessit di un nuovo paradigma condiviso, di un differente sistema di valori che apra le porte a forme di organizzazione sociale differente, presuppone una rivoluzione dellimmaginario che non contemplata nel concetto di sviluppo sostenibile di Daly che, nonostante ponga laccento sulla necessit di un cambiamento, non si spinge a suggerire una completa uscita dal modello capitalistico occidentale.

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5.5 I consumi
La societ odierna stata definita da Baudrillard societ dei consumi, mentre pi recentemente Bauman ha coniato un appellativo per descrivere lultima evoluzione umana: Homo consumens. I consumi hanno da tempo preso una strada autonoma rispetto alla produzione: non il valore duso o lutilit che fa di un bene un prodotto di consumo, ma il suo significato simbolico, che permette di instaurare un dialogo con la societ e di lanciare precisi segnali alle persone che incontriamo. Se la produzione e il consumo servono a soddisfare i bisogni degli individui, logico pensare a un flusso di informazioni che dal consumatore, attraverso il mercato, arriva al produttore e a un flusso inverso di prodotti che dal produttore, attraverso il mercato, arrivano al consumatore per soddisfare le sue esigenze. Tuttavia, oggi, il flusso informativo si realizza piuttosto nel senso opposto: dal produttore le informazioni, attraverso il mercato, giungono al consumatore, che a questo punto mette in atto le sue dinamiche di consumo, in modo spesso inconsapevole. Il termine consumismo nasce per indicare la ricerca di felicit attraverso laccumulazione di beni di consumo. La produzione di massa permette laumento del tenore di vita di strati sempre pi larghi di popolazione, cresce la capacit di spesa, ma questa stessa crescita desta anche reazioni di delusione e di critica, come se, nonostante la possibilit di soddisfare un numero sempre maggiore di desideri, questi ultimi si rivelino, in realt, illimitati e non soddisfabili. Laumento dei consumi, e la conseguente crescita del Pil, non si sono, quindi, tradotti in un aumento del benessere esistenziale e della felicit. Sono nati nuovi strumenti di consumo, che facilitano lo scambio e creano nuovi rapporti tra gli individui, ma anche rispetto alle cose. Molti dei luoghi in cui oggi trascorriamo il nostro tempo sono diventati strumenti di consumo: non solo i centri commerciali e i negozi, ma anche i parchi a tema, le navi da crociera, gli stadi, gli uffici postali, le universit e i musei. Si modificata la natura dei rapporti sociali: si tratta sempre pi di interazioni con le cose e non con gli altri esseri umani; [] si cerca di massimizzare il contatto senza mediazione tra

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consumatori e merci e sevizi (Ritzer, 1996), in modo che gli individui non siano spinti a far altro che non sia la soddisfazione dei loro desideri. Daltro canto, uneconomia improntata sulla crescita non pu che volere questo, che i desideri siano illimitati per continuare a perpetuare allinfinito il consumo. In questo modo, gli individui darebbero senso alla propria vita attraverso i consumi. Il sistema odierno spinge gli individui verso consumi sempre pi ingenti, creando nuovi bisogni (attraverso la pubblicit), rendendo i prodotti non riparabili e obsoleti dopo pochissimo tempo, cavalcando delle mode decisamente effimere. Daltro canto, il consumatore perennemente insoddisfatto, poich linsoddisfazione il motore stesso del sistema: Occorre sempre eliminare qualcosa, e bisogna farlo in fretta (Bauman, 2007), perch leconomia deve crescere a ritmi sempre pi vertiginosi. Un sistema economico fondato sulla crescita ha bisogno di esseri umani appiattiti sul consumismo, che nellatto di acquistare acquietano le proprie esigenze affettive e trovano la propria realizzazione esistenziale, altrimenti non susciterebbero la domanda crescente necessaria ad assorbire lofferta crescente di merci e il meccanismo della crescita si incepperebbe (Pallante, 2005). La catena chiara: acquistare pi merci e servizi significa incentivare la produzione, che vuol dire pi lavoro, pi redditi ai lavoratori e alle loro famiglie che quindi possono acquistare pi merci e servizi; i quali a loro volta richiedono merci, materiali ed energia. Dove andata a finire la libert, se il sistema ci costringe a consumare sempre di pi, indicandoci anche in quale direzione devono andare i nostri consumi? In realt, il consumo viene percepito come espressione della libert individuale. Lofferta di prodotti talmente ampia che nessuno, in un centro commerciale, pu dire di sentirsi obbligato a consumare. Tuttavia, se il consumo rappresenta un dialogo con la societ e un messaggio per gli individui, in particolare per il gruppo a cui vogliamo appartenere, allora il discorso diventa pi complicato. Si liberi di scegliere, ma la scelta in quanto tale [] non in discussione, dato che esattamente ci che si deve fare e che non si pu in alcun modo evitare di fare, se non si vuole rischiare lesclusione (Bauman, 2007). La scelta e la libert diventano, per il consumatore, la stessa cosa, poich attraverso il consumo che si

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esprime il proprio essere e la propria appartenenza, come cittadini, alla societ dei consumi (si pensi agli inviti a consumare rivolti dalle istituzioni stesse, come la campagna televisiva di qualche anno fa che recitava leconomia gira con te). La societ dei consumi e della crescita ha bisogno di prodotti dalla vita breve e di mode sempre nuove. Ma ha anche bisogno di nuovi strumenti di consumo che accompagnino il consumatore nel suo percorso e lo spingano a mettere in atto ci per cui tali strumenti sono stati creati: aumentare le probabilit di consumo. La pubblicit, attraverso le immagini e i suoni, i luoghi stessi di consumo attraverso colori e luci, creano lo spettacolo, cio il modo per attrarre, in unopera di reincanto, il maggior numero di persone e per indurle a spendere. Baudrillard ha sostenuto che viviamo in una societ della simulazione, in cui gran parte di ci che ci circonda fittizio, irreale e artificiale. La societ dei consumatori ha bisogno, per funzionare adeguatamente, di ricoprire con un velo di ipocrisia la differenza tra le convinzioni popolari e la realt della vita dei consumatori. [] Oltre a essere uneconomia basata sulleccesso e sullo spreco, il consumismo anche uneconomia dellinganno. Solo che linganno, e con esso leccesso e lo spreco, non si manifestano come sintomi di qualcosa che non funziona, ma al contrario come segni di buona salute e ricchezza e come una promessa per il futuro (Bauman, 2007). La pubblicit forse lo strumento che pi di ogni altro incarna questo aspetto. La pubblicit celebra la figura del prodotto-eroe, lanciando un chiaro messaggio: il consumo la soluzione a tutti i problemi. Al tempo stesso, riduce e destrutturalizza i temi dattualit della vita sociale culturale o politica in una semplificazione che si traduce in disinteresse da parte dei cittadini. Il discorso pubblicitario, attraverso la retorica dellassociazione, manipola la realt attraverso le immagini e riduce i valori a segni. I simboli diventano patrimonio collettivo, mentre la solidit dei valori si perde in un caleidoscopio di immagini. Lonnipresenza quantitativa del fenomeno pubblicitario ha determinato anche un modo diverso di imporre i modelli su una societ sempre pi vulnerabile a ogni stimolo esterno. E ormai un discorso dominante, per cui il modello non viene imposto con fate cos, ma reso reale da un tutti fanno cos; non si mostra quello che devi essere, ma si rivela ecco ci che tu sei.

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Il consumismo ha serie conseguenze anche sulle relazioni umane, disgregando i rapporti e sostituendo il contatto con laltro con il contatto con le merci. Esposti al bombardamento incessante della pubblicit, per effetto delle tre ore di televisione che guardano, in media, ogni giorno (pari a met del loro tempo libero), i lavoratori sono persuasi ad avere bisogno di un maggior numero di cose. Per comprare ci di cui, a questo punto, hanno bisogno, servono loro dei soldi. E per guadagnarseli, lavorano pi a lungo. Ma dato che stanno sempre pi fuori casa, cercano di rimediare alla propria assenza facendo dei regali costosi ai famigliari. In altre parole materializzano il proprio amore. E il ciclo continua (Hochschild, 2003)21. La convivenza con gli altri diventa sempre pi difficile e il crescente distacco emotivo porta a una sempre minore capacit di gestire i conflitti. Nella moderna societ dei consumi non esiste pi un gruppo di riferimento: stato sostituito da quello che Bauman chiama sciame. Essi si radunano e si disperdono a seconda delle occasioni, spinti da cause effimere e attratti da obiettivi mutevoli. Il potere di seduzione degli obiettivi mutevoli generalmente sufficiente a coordinare i loro movimenti rendendo superfluo ogni ordine dallalto (Bauman, 2007). Lo sciame non ha gerarchia e non segue dei leader: la sicurezza si ritrova nei numeri, nella presenza di cos tanti individui che seguono uno stesso obiettivo. Poich lattivit di consumo essenzialmente unazione solitaria, lo sciame una formazione pi vantaggiosa del gruppo. Essa tuttavia non crea unit, ma disgregazione, perch i legami sono del tutto occasionali e superficiali. La proposta della decrescita contiene una forte critica nei confronti dellHomo consumens e del sistema che induce a consumare sempre pi materia ed energia, senza aumentare il benessere reale. Limperativo consumare presenta, infatti, una serie di inconvenienti che di solito vengono ignorati dai fautori della crescita. Si ritiene che i consumi sostengano la crescita delle economie domestiche. Grazie alla globalizzazione, le merci acquistate sono prodotte ovunque nel mondo e incorporano materiale e lavoro che sempre pi raramente sono della stessa nazionalit del consumatore: non detto che, consumando, si contribuisca alla

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Hochschild A. R., 2003, The Commercialization of Intimate Life, Berkeley, University of California Press, citato in Bauman, 2007, Homo consumens

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crescita economica del proprio paese, anzi, se si favoriscono economie straniere, probabile che questo avvenga a discapito delloccupazione e dei redditi nazionali. Lo stesso fatto, linternazionalizzazione delle merci, fa s che il settore dei trasporti sia oggi tra i pi inquinanti. Dallanalisi dei flussi di trasporto tra le nazioni emergono dei fatti decisamente curiosi: che senso pu avere un flusso di camion tra le valli alpine che trasporta acqua imbottigliata in Francia sul mercato italiano e acqua imbottigliata in Italia sul mercato francese? Analizzando il percorso dei beni di consumi emergono assurdi viaggi di prodotti che potrebbero essere realizzati e consumati localmente. Oltre allinquinamento dovuto ai trasporti, ogni bene di consumo si traduce sempre pi velocemente in un rifiuto. La societ dei consumi, poi, fatta di apparenza e simulazione, fa degli imballaggi e delle confezioni un ulteriore meccanismo di attrazione del consumatore, aumentando ancora di pi i prodotti di scarto. Con una riduzione dei consumi e lo sviluppo locale dei prodotti possibile ridurre questi inconvenienti. La riduzione dei consumi non deve essere un semplice fatto quantitativo: non sufficiente ridurre la quantit di beni acquistati, occorre cambiare il modo di consumo. Pallante si pone il problema della sostituzione dei consumi. Diminuire il denaro destinato allacquisto di beni superflui o che possibile autoprodurre crea del risparmio aggiuntivo. Ora, se questo viene usato per comprare unaltra merce, che prima non si riusciva a comperare, chiaro che questo comportamento non va nella direzione della decrescita, poich si sostituisce soltanto una merce con un'altra, senza andare a incidere sul bilancio globale dei consumi. I risparmi possono anche essere depositati in banca: anche in questo caso le banche useranno quel denaro per incrementare i loro investimenti, inserite nello stesso sistema produttivo della crescita. Lunica possibilit di far decrescere il prodotto interno lordo non utilizzare il denaro risparmiato, ma, sostiene Pallante unidea talmente stupida (Pallante, 2005). Egli individua, infatti, una quarta ipotesi, che quella in linea con la teoria della decrescita: il denaro risparmiato consente di lavorare di meno per dedicare pi tempo alle esigenze spirituali, alla famiglia, alle relazioni umane, alla cultura.

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Strettamente legato a questo discorso quello relativo allautoproduzione. Oltre alla sobriet, ovvero la riduzione delle merci che comportano utilit decrescenti e disutilit crescenti, generano un forte impatto ambientale e ingiustizie sociali, necessario mettere in atto lautoproduzione, ovvero la sostituzione delle merci con i beni. Le merci sono tutti quei prodotti che vengono scambiati con il denaro. Non sempre esse generano utilit, per lo meno a livello globale: passare unora in coda con la propria automobile aumenta il consumo della merce carburante, ma genera una disutilit che si traduce in inquinamento ambientale. I beni sono invece quei prodotti che non vengono necessariamente scambiati sul mercato, ma generano sempre utilit, in quanto nella loro definizione insita una connotazione qualitativa che manca, invece, al concetto di merce. Lautoproduzione e gli scambi non mercantili, basati sulla reciprocit e sul dono, permettono di ridurre limpatto sullambiente, di diminuire il prodotto interno lordo e di riscoprire il piacere del fare e del donare. Alcuni fautori della decrescita propongono quella che viene definita semplicit volontaria, cio la scelta consapevole di uno stile di vita sobrio e conviviale. In realt, altri sono coscienti del fatto che il rapporto con il consumo ha radici profonde, che abbiamo ereditato e interiorizzato. Non si tratta semplicemente di educare il comportamento o colpevolizzare la corsa allacquisto. Luomo occidentale dipende dal consumo in termini materiali, psicologici e identitari. La strada verso un rapporto pi equilibrato con le cose e con il consumo pi simile a un disapprendimento, a una disintossicazione. Il cambiamento non avviene a livello individuale, di ogni singola persona, invece qualcosa che si sviluppa nelle relazioni e nellinterazione tra pi soggetti. Si devono creare (o ricreare) forme di socialit che escano dalla coazione del consumo, che siano estranee alle logiche mercantili e rafforzino invece le identit e la sicurezza, ricreando delle certezze. La decrescita, applicata agli stili di vita e di consumo, diminuire la spinta allaccumulo, limitare, selezionare, liberarsi da fardelli e bisogni inutili, sia concreti che psicologici. Il consumatore bombardato continuamente da stimoli emotivi e da offerte di oggetti, tanto che le menti sono intossicate e non possono farne a meno. Ma pi stimoli e pi oggetti significano pi attenzione, pi tempo consumato, pi spazio ingombrato, pi rifiuti, pi investimento energetico. Si

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moltiplicano le contromisure per rimediare ai danni che il sistema stesso crea, aumentando lo spreco di materiali, tempo ed energia. Manca, nella maggioranza delle persone, la consapevolezza delle cause del malessere diffuso della societ: si percepisce che si andati troppo oltre, ma tornare indietro pare impossibile, soprattutto perch lassuefazione alla crescita fa s che il termine decrescita evochi immagini di grigiore, austerit e stenti. Per proporre una societ della decrescita occorre, quindi, tenere conto di questi fattori, poich imporre o anche solo proporre un ridimensionamento dei consumi, della produzione e del lavoro, nellattuale sistema, non ha alcun senso: la societ non pronta e non ha gli strumenti per accettare un simile cambiamento. Imparare a governare la decrescita significa tenere in considerazione anche i lati psicologici della questione, modellando nuovi comportamenti in cui si possa intravedere la convenienza per lindividuo, che lo rassicuri e lo incoraggi verso il ridimensionamento.

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5.6 Riscoprire il locale


Uno dei punti fondamentali del programma delle "otto R" prevede di rilocalizzare consumi e produzione. La globalizzazione non riuscita a ridurre le differenze e le ingiustizie, tanto meno ha portato a un migliore rapporto tra gli individui, nonostante oggi sia possibile conoscere le usanze e i modelli di vita di tutte le popolazioni mondiali. Il distacco dal territorio ha causato disagi sociali (ad esempio a causa della delocalizzazione di attivit produttive verso nazioni con un pi basso costo del lavoro) e relazionali poich, in un mondo sempre pi globale, luomo moderno rischia di perdersi e vedere annullata la sua identit. Lintegrazione astratta dellumanit in un tecno cosmo, attraverso

lonnimercificazione del mondo e la concorrenza generalizzata, avviene a prezzo di una desocializzazione concreta e di una decomposizione del legame sociale (Latouche, 2005). Linternazionalizzazione della produzione e dei consumi, come gi visto nei paragrafi precedenti, ha inoltre causato laumento di rifiuti, inquinamento e sfruttamento delle risorse. Il concetto di locale rimanda immediatamente allimmagine di un legame con il territorio e con i patrimoni in esso presenti, patrimoni materiali, culturali e soprattutto relazionali. Questa ricchezza va riscoperta e valorizzata. Il locale si inserisce nel dibattito della decrescita in due modi: da un primo punto di vista, la riduzione dei consumi si traduce necessariamente nella scelta di prodotti realizzati localmente, per accorciare al massimo la filiera e ridurre inutili viaggi della merce. Anche la scelta dellautoproduzione va in questo senso: evitare di acquistare quei beni che possibile produrre da s riduce a livello locale molte transazioni che altrimenti avverrebbero probabilmente a livello

transnazionale. Il secondo aspetto quello relazionale: riappropriarsi del proprio territorio rende necessario sviluppare una serie di relazioni sociali, che altrimenti non esisterebbero, e consente di realizzare una rete di rapporti che contribuisce a creare e valorizzare il territorio.

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Latouche molto severo nei confronti dello sviluppo locale. Egli sostiene che come ogni altra forma di sviluppo aggettivato, lo sviluppo locale non fa altro che dare un vestito nuovo al paradigma della crescita. Gli esempi che porta a supporto della sua tesi sono raggruppabili sotto il titolo di localismo eterodiretto, cio politiche che di locale hanno solo il nome, ma che in realt sono frutto di una combinazione distorta di territori senza potere e poteri senza territorio. Sono un esempio di questo tipo di sviluppo locale le politiche che si traducono in concorrenza tra i territori non per offrire eccellenze e qualit, ma per garantire il minor offerente fiscale, sociale, ambientale e [il] miglior offerente economico (in termini di sovvenzioni) (Latouche, 2007). In questo senso vero che i patrimoni locali sono depredati e che le iniziative, la creativit locale [] sono deviate, strumentalizzate, marginalizzate secondo la logica delleconomia e dello sviluppo (Latouche, 2007). Tuttavia, il mio percorso di studi non mi permette di valutare lo sviluppo locale in termini cos negativi. Il centro della questione terminologico: le tesi di Latouche criticano ogni tipo si sviluppo, perch esso visto nellottica della crescita e dellaccumulazione capitalistica. Eppure, nella pratica, possibile osservare esempi di sviluppo locale che hanno contribuito alla creazione di quella rete di valori condivisi e di scambi relazionali che sono lobiettivo della societ della decrescita. Ci che divide gli approcci di sviluppo locale dagli approcci della decrescita laccettazione o meno dellattuale societ della crescita. Le politiche di sviluppo locale, messe in atto dalle istituzioni, sono chiaramente inserite nel sistema della crescita, e come tali non possono che implicare scelte che sono in contrasto con quelle di una societ della decrescita. Tuttavia, il movimento della decrescita non pu prendersi il merito di essere lunico modello in grado di riattivare quei percorsi sociali che permettono a un territorio di essere vivo, consapevole e attivo. Lo sviluppo locale presuppone la presenza di attori collettivi, sociali, che riconosco di avere unidentit specifica e distinta. Il senso di appartenenza che lega questi soggetti li rende in grado di attuare un processo di cooperazione per sviluppare interessi comuni che, come conseguenza, consentono al territorio di instaurare un processo di produzione e autoriproduzione di se stesso. Il processo diventa irreversibile, poich

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lautorganizzazione ha interrotto la linearit: in questo modo i vantaggi derivati dallo sviluppo mantengono una buona capacit di permanenza nel tessuto socioeconomico. Lo sviluppo locale criticato da Latouche sembra corrispondere di pi a quello che porta a una semplice valorizzazione del territorio. Pu sembrare una semplice diatriba sui termini, ma in realt i due approcci portano a risultati nettamente distinti. Se il processo di sviluppo locale non si realizza appieno, oppure se le forze in gioco non sono in grado di attivare il tessuto relazionale e le potenzialit del territorio, allora si riscontra un semplice tentativo di valorizzazione del territorio, tradotto nella risposta passiva alla domanda globale. In questo caso si possono riscontrare dei punti di contatto con la critica di Latouche, nei suoi riferimenti ai processi di concorrenza al ribasso. Ma come si traduce, praticamente, il suggerimento verso la rilocalizzazione? Rilocalizzare significa, in prima battuta, produrre e consumare localmente. Questo consente di diminuire i costi di trasporto, in primo luogo, e quindi linquinamento; ma significa anche riscoprire lautoproduzione, limitando gli sprechi e contribuendo alla decrescita delleconomia. Lautoproduzione, inoltre, uno dei mezzi per riscoprire il contatto e lappartenenza al territorio. Conoscere e sentire proprio il territorio porta a sviluppare maggiore consapevolezza e responsabilit nei suoi confronti. Di fronte alla topogafia della cosmopoli, ovvero alla bulimia di un modello urbano centralizzato che divora lo spazio, importante lavorare per sostenere una rinascita dei luoghi e la territorializzazione. Bisogna reagire contro la lobotomia dello spirito locale che segna la rottura con lambiente in cui si vive (Latouche, 2007). Le attivit produttive locali, che comprendono sia la creazione di merci attraverso lartigianato locale e le piccole industrie, sia una serie di servizi alla popolazione come le attivit culturali e ricreative, la cura dellambiente, la manutenzione urbana, favoriscono lo sviluppo di relazioni di scambio non mercantili, ma basate sulla reciprocit e sulla fiducia; in altri termini consent[ono] la creazione di spazio pubblico come autoriconoscimento del patrimonio comune da mettere in valore (Magnaghi, 2000). Questo tipo di ragionamento non cos lontano dalla definizione di sviluppo locale.

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Nel modo in cui lo sviluppo locale definisce i concetti di capitale sociale e capitale naturale possibile riscontrare molti punti di contatto. Le teorie sullo sviluppo locale attribuiscono unimportanza fondamentale al capitale sociale che, ancorato al territorio, si pu denominare capitale sociale territoriale. Esso consente di individuare la rete di relazioni, soprattutto sociali, ma anche economiche, che si sviluppa in un determinato territorio. Quando i teorici della decrescita parlano di riscoprire i benefici dei rapporti conviviali e di sviluppare le relazioni a livello locale, in fondo si riferiscono alla valorizzazione del capitale sociale presente in un determinato territorio. Il capitale sociale territoriale, daltro canto, fa riferimento anche al capitale naturale presente nel territorio: esso inteso non come materia prima, ma come attore a tutti gli effetti del processo di sviluppo locale e come tale viene gestito in modo sostenibile. La rilocalizzazione consente al territorio di tornare a essere un soggetto attivo e protagonista nei processi economici e sociali, un attore a cui vengono riconosciute le caratteristiche di soggetto vivente ad alta complessit. [La

riterritorializzazione] un processo complesso e lungo che riguarda la costruzione di una nuova geografia, fondata sulla rivitalizzazione dei sistemi ambientali e sulla riqualificazione dei luoghi ad alta qualit dellabitare come generatori di nuovi modelli insediativi capaci di rivitalizzare il territorio dalle ipotrofie della megalopoli. Questo processo non pu avvenire in forme tecnocratiche, esso richiede nuove forme di democrazia che sviluppino lautogoverno delle comunit insediate, poich riabilitare e riabituare i luoghi significa nuovamente prendersene cura quotidianamente da parte di chi ci vive, con nuove sapienze ambientali, tecniche e di governo (Magnaghi, 2000). Rilocalizzare, allora, significa anche auspicare a una trasformazione sul piano politico. La globalizzazione ha fatto s che il livello locale perdesse fascino e interesse: limitare la propria azione a un territorio ristretto soffoca lindividuo che vede di fronte a s il mondo intero. I luoghi devono ritrovare il loro significato e riappropriarsi della capacit di dare significato. La costruzione di economie locali e di comunit politiche locali non rappresenta una forma di autarchia, n significa creare dei microcosmi chiusi. Al contrario, essa rappresenta un nodo allinterno di una rete di relazioni trasversali non gerarchiche e solidali nellobiettivo di

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sperimentare pratiche di rafforzamento dellesercizio della democrazia in grado di resistere alla dominazione liberista (Latouche, 2007) e al mercato unico. Lattenzione al locale giustificata dalla consapevolezza, da parte dei teorici della decrescita, che il cambiamento non pu che partire dal basso. E inimmaginabile un processo di decrescita che parta dalle istituzioni, poich esse si fondano su quello stesso sistema che dovrebbero eliminare. A livello locale, invece, possibile realizzare dei cambiamenti, anche importanti, come dimostrano gli esempi che saranno presentati nel prossimo capitolo, poich si attivano sul piano del concreto vissuto dai cittadini. La presa di coscienza delle contraddizioni locali si pu risolvere agendo a livello locale e concreto con azioni che vanno nella direzione di un cambiamento del sistema, a favore di una riappropriazione degli spazi e del tempo. A livello locale, poi, anche possibile creare dei contatti con gli altri movimenti che rientrano nel filone del doposviluppo: Si tratta di mettere in relazione la protesta sociale con la protesta ecologica, con la solidariet verso gli esclusi del Nord e del Sud, e con tutte le iniziative associative che vanno nel senso di una rivitalizzazione del locale, per articolare resistenza e dissidenza e giungere in definitiva a una societ autonoma che partecipi alla decrescita conviviale (Latouche, 2007).

5.6.1 La decrescita per il Sud del mondo La rivoluzione industriale, che ha portato a uno sviluppo senza precedenti dellOccidente, avvenuta a scapito dei Paesi del Sud del mondo, utilizzati come miniere e come fornitori di mano dopera. In un certo senso, i vincoli della natura, da cui luomo ha avuto la sensazione di liberarsi con lo sviluppo, sono in realt stati esportati verso le periferie del pianeta. Gli obiettori della decrescita sono spesso accusati di rifiutare la possibilit di una vita migliore per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Pensare di far decrescere i consumi di queste nazioni pare effettivamente un controsenso. Il progetto della decrescita prevede, in realt, forme differenti di attuazione in base ai contesti locali. La riduzione dellimpronta ecologica deve essere messa in atto dai Paesi occidentali: essi, infatti, sono responsabili del superamento dei limiti

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fisici del pianeta. La decrescita nel Sud si pu organizzare cercando di creare un circolo virtuoso, come per il programma delle "otto R", a partire da altri presupposti: se per i Paesi sviluppati si parla di ridurre, riconcettualizzare e riciclare, per i Paesi pi poveri si pu parlare di rompere, riannodare, recuperare, reintrodurre. Tuttavia, seppure in maniera diversa, questi aspetti riportano a un obiettivo comune con i Paesi occidentali: rompere con il paradigma della crescita. Questo significa in primo luogo, per i Paesi del Terzo Mondo, rompere con la dipendenza culturale ed economica rispetto al Nord. Le produzioni, che oggi sono destinate ai mercati occidentali, dovrebbero invece essere sostituite da colture locali in grado di sostenere la popolazione. Anche per queste popolazioni lobiettivo pi ambizioso quello di mettere in atto una decolonizzazione, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista culturale. Il secondo capitolo ha messo in evidenza come siano molto rare le voci fuori dal coro, anche nei Paesi in via di sviluppo: le politiche implementate per migliorare la situazione di questi paesi si sono mosse sempre nel binario della crescita. I popoli devono riprendere il filo della loro storia interrotta dalla colonizzazione, dallo sviluppo e dalla globalizzazione e devono riappropriarsi della propria specifica identit culturale. [] Reintrodurre i prodotti specifici dimenticati o abbandonati e i valori antieconomici legati alla propria storia parte di questo programma cos come recuperare tecniche e abilit tradizionali (Latouche, 2007). Esistono delle forme di scambio e di organizzazione sociale che non possono essere inserite nella realt dello sviluppo capitalistico. Esse si sono sviluppate soprattutto nelle periferie del mondo, dove lo sviluppo non riuscito a penetrare. Queste pratiche consistono nellimplementazione di quella che stata definita economia informale, ossia quelle pratiche economiche che non rientrano nelle consuete abitudini di mercato, ma che consentono di realizzare una vita dignitosa, favoriscono lo sviluppo di relazioni e la creazione di un tessuto sociale solido e attivo. Ogni luogo, compresi i Paesi pi poveri, possiede un patrimonio culturale e sociale che la globalizzazione e la corsa allo sviluppo hanno spesso rovinato. Questo perch gli aiuti internazionali tendono a formalizzare tutta la complessit

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delleconomia informale che, in realt, la pi vitale. Essendo fondata sulle conoscenze e sulle capacit presenti sul territorio, leconomia informale pu garantire una riproduzione nel tempo e unadattabilit al contesto in cui implementata. La proposta della decrescita presuppone di far rivivere, dove sono state soffocate, tutte quelle pratiche di scambio e di produzione che, prima della necessit di intervento manifestata dai Paesi occidentali, consentivano al Sud del mondo di sopravvivere. Queste popolazioni erano povere, ma nel senso che disponevano di minori mezzi e minori beni di consumo rispetto allOccidente, ma esse riuscivano a sopravvivere in un modello economico sostenibile. Oggi, molte di quelle popolazioni, in particolare in Africa, non riescono a sopravvivere, perch la volont di adeguare le strutture economico-sociali allOccidente ha distrutto le tradizionali forme di comunit presenti in questi territori. Cos come nei Paesi occidentali, anche nei Paesi in via di sviluppo la via per la decrescita passa dal risveglio del locale, per cogliere sul territorio, nellambito del concreto, le forze che possono consentire di instaurare un livello di vita soddisfacente e dignitosa. Sia al Nord, come al Sud, i circoli virtuosi delle otto R devono intrecciarsi tra loro: ridurre e ridistribuire, nei Paesi ricchi, si traduce in una restituzione a favore dei Paesi in via di sviluppo, che possono cos mettere in atto un processo di rinnovamento e ristrutturazione delle pratiche economiche a favore di una comunit pi locale e pi consapevole.

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Capitolo 6 I LABORATORI DELLA DECRESCITA


Questultimo capitolo si propone lobiettivo di analizzare alcuni esperimenti concreti orientati alluscita dalla logica sviluppista, a favore di un orientamento pi sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Le esperienze di seguito riportate non si rifanno esplicitamente alla teoria della decrescita: alcune sono nate prima, altre partono da ispirazioni diverse, ma tutte si inseriscono nel binario del doposviluppo e tutte presentano forti analogie con le pratiche proposte dalla decrescita. Si noter che le varie esperienze hanno tutte carattere locale: di fronte alla deframmentazione della globalizzazione e allannullamento dellidentit nel globale, a partire dal basso e dalla ricerca di aggregazioni fisiche di persone che possibile mettere in atto una reazione a un contesto che non riesce pi a soddisfare i desideri sociali dei cittadini. Le buone pratiche, come le definisce Tonino Perna, sono uno strumento che permette alla collettivit di uscire dallo schema classico Stato-Mercato, per costruire unaltra cittadinanza e unaltra economia. Molte delle esperienze si inseriscono nel movimento del consumo critico, volto a creare dei consumatori consapevoli e attenti allimpatto ambientale e sociale dei propri comportamenti. Prendendo spunto dai quattro principi di comportamento economico indicati da Polanyi (amministrazione domestica, reciprocit, redistribuzione e mercato), si pu dire che il consumo critico, o consumo solidale, tende a riportare in auge i tre comportamenti che il mercato ha reso periferici. In particolare, la redistribuzione e la reciprocit diventano fondamentali nella scelta dei prodotti e dei fornitori, mentre lamministrazione domestica, intesa come la produzione svolta per il proprio uso e per il sostentamento del proprio gruppo, diventa uno strumento alternativo di uscita dal mercato, per dimostrare la propria alterit rispetto al modello dominante. Lemergere di queste esperienze dimostra una sensibilit diffusa verso le problematiche sociali e ambientali che lattuale modello di produzione e di

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consumo creano sia nella propria nazione che nei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, difficile catalogare sotto una singola voce le miriadi di esperienze che si rifanno a questo modo di intendere il consumo e leconomia. Il panorama decisamente variegato. Occorre sottolineare, infatti, come le scelte di consumo possano svolgersi tranquillamente a livello individuale, rendendole difficili da individuare e analizzare. Molte sono per le persone che, condividendo una stessa etica nei confronti del consumo, si riuniscono formando gruppi locali che permettono il confronto e la crescita, sia a livello individuale sia a livello collettivo. In alcuni casi, i gruppi sono riusciti a creare delle reti pi o meno articolate, a livello nazionale, che diventano punti di riferimento per tutte le persone che decidono di partecipare a un diverso stile di vita. Nonostante le differenze e le peculiarit di ogni gruppo e di ogni associazione, possibile individuare due elementi cardine di questo modo diverso di fare e vivere leconomia: la contrapposizione alleconomia mainstream attualmente dominante e il radicamento nel tessuto sociale. E un movimento che, spesso sottotraccia, sta agitando le societ industrializzate. Non si pu certo definire una teoria economica nuova, ma sicuramente un movimento della societ civile che rivendica un altro modo di fare economia. In parte, questi movimenti sono debitori della tradizione mutualistica sviluppatasi a cavallo tra Otto e Novecento, quando i lavoratori iniziarono ad aggregarsi contro il potere dei padroni per far nascere le prime organizzazioni sindacali e le prime cooperative sociali. Ma mentre questi movimenti nascevano dalla necessit concreta di autodifesa nei confronti di un capitalismo aggressivo che non contemplava il concetto di welfare, e poco per volta sono stati istituzionalizzati, come organizzazioni, allinterno dello stesso sistema capitalistico, gli attuali movimenti di altro-consumo si rivelano pi disgregati e pi ostili allintegrazione allinterno del sistema attuale e si rivelano ancora abbastanza deboli nella capacit di incidere sul piano globale degli scambi commerciali. La frammentazione delle esperienze rischia di essere un ostacolo allopportunit di unazione concreta, e non solo ideale, per trasformare la societ. La transizione va immaginata su pi livelli: da un lato la creazione di spazi economici anticapitalisti, dallaltro una lotta quotidiana di contaminazione del sistema. Questo sforzo di radicale cambiamento possibile solo a due condizioni:

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la convergenza di tendenze eretiche presenti in ambiti diversi della societ; la capacit di soddisfare - con nuove risposte bisogni e aspettative di ampie fasce della popolazione (Guadagnucci, 2007). Lutopia concreta di cui parla Latouche , quindi, gi in atto in alcune esperienze che qui di seguito si andranno a illustrare. Il rischio di questi movimenti quello di venire assorbiti dal sistema dominate: a tale proposito le posizioni sono differenti, poich alcuni autori, come Zamagni, sostengono che questo pu avere un positivo effetto di contaminazione del sistema attuale, mentre altri, come Latouche, sperano di unautonomia e in unuscita dal sistema di mercato capitalista. Attualmente, i vari movimenti che si ispirano alla critica dello sviluppo e alleconomia solidale si muovono ancora in un ambiente di nicchia, anche se cominciano a formarsi e a crescere delle reti che mettono in connessione i vari gruppi e stabiliscono dei legami che rafforzano reciprocamente le varie attivit, aumentandone anche la visibilit a livello nazionale e globale.

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6.1 Reti e Distretti di economia solidale


Le Reti di economia solidale si muovono proprio nella direzione di mettere in connessione le varie esperienze che, in Italia, si sviluppano nella prospettiva di costruire uneconomia altra. Il percorso verso la costruzione di Reti di economia solidale nel nostro Paese prende avvio in modo esplicito il 19 ottobre 2002 a Verona, nel corso di un seminario sulle Strategie di rete per leconomia solidale promosso dal Gruppo di lavoro tematico Impronta Ecologica e Sociale della Rete di Lilliput22 e preparato insieme a diverse realt italiane di economia solidale. Nel corso del seminario le numerose persone e realt convenute hanno deciso di iniziare un viaggio collettivo: stato creato un gruppo di lavoro su base volontaria e informale, che ha proposto alcuni documenti di riferimento sui principi e sugli obiettivi delle Reti di economia solidale e che costituisce un luogo di confronto, di scambio e di sintesi delle diverse esperienze e realt. Il primo passo ha portato alla definizione della Carta per la Rete italiana di economia solidale, presentata per la prima volta nel maggio 2003 alla fiera Civitas di Padova. Nella Carta si riassumono le caratteristiche delle esperienze di economia solidale e si lancia la proposta di attivare i Distretti di economia solidale (DES), laboratori in cui sperimentare la strategia delle reti a partire dalle esigenze e dalle caratteristiche dei territori. Lattivazione di questi Distretti ha il fine di verificare nel concreto, a partire dalla dimensione locale, lefficacia della strategia delle reti e della democrazia partecipativa applicata alleconomia, cos da consentire la valutazione, e poi la diffusione, di queste esperienze. Il ruolo specifico della Rete di economia solidale quello di sviluppare uneconomia liberata, equa ed etica, al servizio delle persone. Essa dunque aperta a collaborare con tutte le altre reti e gli altri soggetti che condividono tale prospettiva o che intervengono sul terreno dellautosviluppo locale, equo e
La Rete di Lilliput nasce nel 1999 con lobiettivo di far interagire e collaborare le miriadi di esperienze locali che in Italia cercano di lottare contro le disuguaglianze nel Mondo. Oggi la Rete prosegue il suo impegno nella proposta di cambiamento delle regole che governano le istituzioni finanziarie e i commercio internazionale, promuove un cambiamento negli stili di vita e nella gestione del territorio e si impegna nello sviluppo di uneconomia basata sulla giustizia e sulla solidariet
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sostenibile. Infatti, la Rete non propone delle regole di adesione, ma riunisce diverse esperienze e diversi approcci. Lorganizzazione in una rete consente ai diversi attori di conoscersi e farsi conoscere, aiutare e farsi aiutare, innescare processi economici nuovi, coordinati e partecipati e diffonderli, nella convinzione che ci potr portare giovamento a tutti i soggetti coinvolti oltre che al contesto sociale ed ecologico in cui essi operano. 23 Il processo di costruzione della Rete di economia solidale, come gi accennato, ha mosso i primi passi con la proposta e lavvio dei Distretti di economia solidale, che sono la sperimentazione della strategia delle reti sul territorio. La costruzione dei Distretti parte dalle diverse realt che gi operano nei territori, come ad esempio i gruppi di acquisto solidali, le botteghe del mondo, le realt della finanza etica e del turismo responsabile, i piccoli produttori biologici, le cooperative sociali e le cooperative che offrono servizi e beni di consumo, artigiani, commercianti, lavoratori autonomi, associazioni e gruppi informali che condividono i principi delleconomia solidale. I prodotti e i servizi non disponibili allinterno di un distretto vengono scambiati, a livello paritario, con gli altri distretti o con altre realt di economia solidale presenti nel territorio. I DES in Italia sono ormai diciotto e nel 2003 nato DESTO, il Distretto di economia solidale di Torino. Creare un Distretto di economia solidale significa mettere in relazione le diverse realt presenti sul territorio, in un tipo di rete che non sia solo informativa, ma anche economica. Questo significa che i diversi nodi della rete (produttori, distributori, consumatori) cercheranno, per quanto possibile, di rifornirsi gli uni dagli altri, portando ad attivare dei circuiti sia di fiducia che economici, per sostenere le realt aderenti. La creazione di un Distretto di economia solidale vuole sviluppare tre obiettivi principali: rafforzare le realt di economia solidale che vi aderiscono attraverso una promozione comune verso lesterno; favorire le realt di economia solidale attraverso strumenti comuni di gestione (ad esempio per la logistica o lo scambio di informazioni);

23

Carta della Rete italiana di economia solidale, marzo 2007.

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mostrare come la costruzione del Distretto di economia solidale possa rappresentare un vantaggio per tutti nella costruzione di uneconomia alternativa.

I principi ispiratori dei DES sono contenuti nella Carta dei principi della Rete e corrispondono ai seguenti elementi caratterizzanti: nuove relazioni tra i soggetti economici, basate su principi di reciprocit e cooperazione; giustizia e rispetto per le persone, espressi in base alle condizioni di lavoro, alla salute, alla formazione, allinclusione sociale, alla garanzia dei beni essenziali; rispetto dellambiente in termini di sostenibilit ecologica; partecipazione democratica; disponibilit di entrare in rapporto con il territorio attraverso lespressione di un progetto locale condiviso; disponibilit di entrare in relazione con le altre realt delleconomia solidale condividendo un percorso comune; impiego degli utili per scopi di utilit sociale.

I vari principi si possono sintetizzare in tre filoni: dal punto di vista sociale i rapporti tra i soggetti si ispirano ai principi di cooperazione e reciprocit. I Distretti sono, infatti, formati da imprese, consumatori, risparmiatori, finanziatori e lavoratori che, abbracciando lo stesso orizzonte etico, partecipano al processo economico, impegnandosi a realizzare gli scambi prevalentemente allinterno del Distretto stesso, garantendo tuttavia la pluralit dellofferta e delle forme di scambio. Dal punto di vista dello sviluppo territoriale, i DES si prefiggono lobiettivo di valorizzare le peculiarit del luogo, viste come ricchezze (stock) da accrescere e non come flussi di risorse da sfruttare ai fini del profitto. Il territorio non va inteso, per, come un sistema chiuso, ma come un sottoinsieme di un pi vasto sistema economico e sociale. Dal punto di vista della sostenibilit, i DES si muovono nella direzione di dellequit sociale e dei limiti ecologici. Per minimizzare limpatto umano sul

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sistema ambiente possibile individuare dei tetti massimi di reddito e produzione, in modo da ridurre limpronta ecologica del Distretto. I DES applicano il metodo della partecipazione attiva dei vari attori coinvolti alla definizione delle modalit concrete di gestione dei processi economici propri del distretto, al fine di realizzare i principi fondamentali. La realizzazione dei Distretti locali permette, dal punto di vista sociale, di attivare legami di fiducia sul territorio e, dal punto di vista economico, di chiudere localmente i cicli di produzione e consumo, diminuendo limpatto ambientale; inoltre, aumentando la conoscenza tra le diverse realt, pone le basi per la costruzione di una progettualit locale di trasformazione del territorio. Lopinione pubblica sta dimostrando unaccresciuta sensibilit ai temi delleconomia solidale e del consumo critico: questo rappresenta sicuramente un vantaggio per i Distretti, che si inseriscono in una realt non ostile, anzi spesso si sviluppano a partire da realt che gi sperimentano un altro modo di fare economia. Attraverso i DES, possibile coagulare tra loro le diverse energie disperse, aumentare le dinamiche relazionali e promuovere la partecipazione di nuovi aderenti. Tuttavia esistono anche delle criticit. La stessa realt multipla, infatti, rende difficile creare una rete compatta e riconoscibile. Dalle relazioni annuali della Rete emerge che proprio la realizzazione di una struttura di relazioni pi formali risulta essere la parte pi complicata da mettere in pratica. Questi molteplici gruppi, che a livello informale riescono a creare relazioni basate sulla fiducia e sulla reciprocit, riescono con qualche titubanza a replicare la cosa a scale maggiori, al fine di realizzare una Rete pi strutturata e incisiva a livello nazionale. Questo si concretizza nella difficile interazione tra i soggetti dei Distretti e gli attori istituzionali, oltre che nella debolezza dei circuiti economici, che raramente sono stabili. Lesistenza, allinterno di uno stesso Distretto e fra pi DES diversi, di esperienze differenti, fa s che non esista un unico orizzonte economico condiviso e che le possibili sinergie virtuose tra i diversi settori siano limitate. Tuttavia, quello che si sta delineando allinterno dei Distretti di economia solidale e nella Rete unesperienza, seppure impegnativa, molto importante e

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significativa. Leconomia solidale (che rappresenta la base comune di tutte le esperienze che sono inglobate nella Rete), intrattiene rapporti con tutte e tre le sfere di scambio sociale individuate da Laville: leconomia di mercato, il settore pubblico e la sfera tradizionale. I soggetti dei DES, per quanto in misura ridotta e seguendo determinate regole etiche, realizzano comunque i loro scambi sul mercato; nonostante il baricentro economico sia spostato dalle realt globali a quelle locali e nonostante il fatto che allo scambio siano affiancate varie forme di reciprocit, non si pu, oggi, immaginare una forma di economia solidale che non intrattenga rapporti con il mercato. Inoltre, leconomia solidale collabora con il settore pubblico, poich da questo riceve spesso sovvenzioni e incentivi; lo Stato, poi, contribuisce a definire la cornice istituzionale nella quale opera leconomia solidale. Esistono esempi di istituzioni impegnate in prima persona nello sviluppo di Reti di economia solidale, come nel caso dellesperienza veneziana CAmbieReSti?. Infine, leconomia solidale si rapporta in modo particolare con il settore sociale. Da questo non solo trae le risorse, in termini di impegno volontario, ma con esso condivide quella cultura di relazioni di reciprocit che ne costituisce il tratto dominante. In questa sfera gli individui si sentono persone, scambiandosi beni scambiano significati, e quindi senso, motivazione, qui prendono la parola, discutono, partecipano, decidono (Bonaiuti, 2006). Il mercato in cui si muove leconomia della Rete e dei Distretti solidali si differenzia dal mercato globale. Questultimo , infatti, assolutamente spersonalizzato; questa caratteristica, oltre ad aver favorito gli scambi, ha portato con s alcune conseguenze negative, prima fra tutte la mercificazione dei rapporti sociali. Al contrario, leconomia solidale si muove in un contesto pi simile ai mercati tradizionali, ai bazar africani. A differenza di molti altri termini economici, Bonaiuti sottolinea come il concetto di mercato sia comune a moltissime culture. Nel significato di piazza, agor, il mercato unistituzione che si sviluppata anche al di fuori del contesto capitalistico, e che rappresenta per molte culture il luogo di incontro, in cui lo scambio non ha solo valore economico, ma anche relazionale ed il luogo per ritrovare parenti e amici e per annunciare pubblicamente avvenimenti importanti e scambiarsi informazioni. Il

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mercato quindi inteso prima come istituzione sociale, e poi come istituzione economica. Le esperienze che si concentrano nella Rete di economia solidale e che si esplicano in una pluralit di concretizzazioni diverse cercano di recuperare questo significato di mercato.

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6.2 Gruppi di Acquisto Solidale


I Gruppi di acquisto solidale (Gas) sono uno degli strumenti che permettono di mettere in atto la creazione di un DES. In realt, la nascita dei Gas antecedente alla volont di riunire le varie esperienze in una Rete, ma fa parte della molteplicit di modi in cui la societ civile ha cominciato a esprimere il suo disaccordo con il sistema economico mainsteam. Far parte di un Gas significa provvedere allacquisto di beni e servizi cercando di mettere in atto una concezione pi umana delleconomia, mettendo in primo piano le reali esigenze delluomo, ma anche dellambiente. I Gas sono gruppi di famiglie e singoli che si riuniscono e adottano una comune politica di consumo, indirizzata alla scelta (su base collettiva) di prodotti e fornitori, secondo criteri etici condivisi. A differenza dei semplici gruppi di acquisto, che puntano sul risparmio agendo su grandi quantitativi, i Gas aggiungono un attento esame della provenienza del prodotto e analizzano cosa c dietro il bene acquistato, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Il primo Gruppo di Acquisto Solidale nasce a Fidenza nel 1994. Nel novembre dello stesso anno, il gruppo si presenta cos: Non intaccheremo i fondamenti delleconomia capitalista e del libero mercato (libero per chi?), ma per ci che ci riguarda testimoniamo che possibile affermare principi di solidariet anche a livello economico. Gruppo di acquisto solidale, sempre pi spesso solo Gas, il nostro nome. [] Il gruppo solidale: tra noi soci perch ci impegniamo in base alle disponibilit a titolo gratuito; con i produttori che ci forniscono i prodotti biologici; con lambiente perch la scelta del biologico, del prodotto di stagione, permette il rispetto dellequilibrio ambientale; anche con il Sud del mondo, con chi sfruttato e inquinato per mandarci pesche e ciliegie a Natale. Il gruppo si costituito da pochi mesi, su alcune semplici idee di fondo: acquisto di alimenti di qualit biologica garantita; direttamente dai produttori, con vantaggio economico reciproco.

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Non abbiamo spaccio, non abbiamo magazzino, non facciamo alcun ricarico sui prezzi, perci ciascuno coinvolto nellorganizzazione degli acquisti, in solidariet con gli altri []. In conclusione questa iniziativa, partita con scopi principalmente legati allalimentazione, ha gi favorito una presa di coscienza del fatto che, nel piccolo villaggio che ormai il mondo, stare bene o per tutti o per nessuno.24 La spinta a creare un modo diverso di consumare deriva da un incontro del 1993 svoltosi allArena di Verona, organizzato dai Beati costruttori di Pace, dal titolo Quando leconomia uccidebisogna cambiare. Da questa esperienza nascono diversi gruppi di consumo critico, tra cui anche il movimento Bilanci di Giustizia che sar trattato nel terzo paragrafo. I gruppi di acquisto solidale partono da una riflessione sullinsostenibilit sociale e ambientale del modello di vita occidentale e cercano una strada per attuare nel concreto unobiezione al sistema capitalista e al mercato, senza dover rinunciare allesigenza di consumare prodotti di qualit. Il primo settore a cui si rivolgono i Gas quello alimentare, ma oggi i consumi gestiti attraverso i gruppi si sono estesi a molti altri settori. Contattando direttamente i produttori, e instaurando con essi un rapporto di conoscenza, fiducia e amicizia, gli appartenenti a un Gas rispondono a diverse esigenze: personali, sociali ed economiche. Le persone trovano occasioni di relazione e percepiscono la sicurezza di acquistare prodotti sani e di qualit; i piccoli produttori possono sfruttare un canale alternativo al mercato tradizionale, con lopportunit di sfuggire alle logiche della grande distribuzione. Produttori e consumatori si ritrovano accomunati da uno stesso sentire: la volont di ridurre limpatto sullambiente e sulla societ (anche quelle pi lontane), senza dover rinunciare a prodotti gustosi e sani, ma che racchiudono in s un significato. La conoscenza diretta del produttore diventa una garanzia di qualit e le relazioni che si instaurano funzionano anche come indiretto controllo sul rispetto delle condizioni a cui implicitamente sottostanno tutti i membri del Gas. Il ciclo corto promosso dai Gas riporta leconomia al livello delle relazioni, cortocircuitando le reti lunghe e anonime del supermercato mondiale. A questo livello di rapporto
Testo di presentazione del primo Gas italiano di Fidenza, citato in Valera L., Gas. Gruppi di Acquisto Solidali.
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diretto tra i produttori e i consumatori possibile stabilire alleanze che saldano i legami sul territorio e attivano circuiti di fiducia. E questi circuiti caldi possono dare rifugio a chi si trova espulso dalle regole della concorrenza (Valera, 2005). Dal punto di vista pratico, i Gas funzionano come nodo nella catena del commercio. Per evitare le logiche della grande distribuzione e per avere la sicurezza di poter controllare lorigine dei prodotti che si intendo acquistare, i Gas hanno rapporti direttamente con i produttori. Durante le riunioni, che in media si svolgono mensilmente, vengono proposti prodotti e produttori disponibili a entrare nella rete dei Gas. Solitamente esiste un referente per ogni tipo di prodotto che si occupa di raccogliere gli ordini, contattare il fornitore, definire i prezzi, ricevere le consegne e distribuirle tra i gasisti. Far parte di un Gas implica un impegno notevole in termini di tempo, per questo i vari ruoli sono spesso assegnati a rotazione e in ogni caso il gruppo funziona solo se c la collaborazione e la disponibilit da parte di tutti gli aderenti. Ogni Gas ha le proprie regole e segue un differente modello organizzativo, modellato su misura in base alle esigenze e alle competenze degli aderenti. In genere, il referente che segue il prodotto in tutti i suoi passaggi la modalit pi diffusa. Altri gruppi preferiscono suddividersi i compiti in base alle fasi (dallinformazione su prodotti e produttori alla consegna). Spesso i gruppi di acquisto solidale si appoggiano a botteghe del commercio equo e solidale e aderiscono o promuovono iniziative a carattere solidale o ambientale. La scelta dei prodotti il cuore dellattivit dei Gas, poich attraverso essa si esplica il concetto di equit e solidariet che muove gli aderenti ai gruppi. Alcuni dei criteri pi comunemente adottati per scegliere i prodotti sono: piccoli produttori: sono spesso realt che nonostante la qualit delle loro merci non riescono ad affermarsi nel sistema della grande distribuzione poich non riescono a offrire grossi quantitativi. I piccoli produttori possono essere conosciuti di persona, instaurando relazioni di fiducia e, aspetto non meno importante, lavorano di solito impiegando pi manodopera che capitale: lacquisto dei loro prodotti quindi finanzia loccupazione pi che gli azionisti;

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prodotti biologici: sono quei prodotti coltivati senza luso di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici. Lagricoltura basata sulluso di questi prodotti altamente inquinante e ad alto consumo di energia. Rivolgersi al biologico significa ridurre limpatto ambientale dei prodotti agricoli, diminuire i rischi per la salute e riscoprire la stagionalit dei cibi;

prodotti locali: i vantaggi derivano principalmente dallabbattimento dei costi di trasporto e dalleffetto inquinante dei lunghi viaggi che spesso i prodotti fanno prima di arrivare nelle case dei consumatori. La merce, viaggiando di meno, arriva pi fresca e richiede luso di meno conservanti. Inoltre, la scelta di prodotti locali favorisce la conoscenza diretta con i produttori, instaurando relazioni durature e stabili che consentono la nascita di una rete non solo economica, ma anche sociale, che si instaura sul territorio;

prodotti realizzati in condizioni di lavoro dignitose: se la corsa alla riduzione dei costi produce rapporti di lavoro al limite dello sfruttamento e della denigrazione della persona, i gruppi di acquisto solidale scelgono prodotti realizzati senza sfruttamento per difendere la regolamentazione del mercato del lavoro e la dignit della persona;

prodotti realizzati da cooperative sociali o da chi lavora con persone svantaggiate: si premia lattivit di chi promuove la dignit e lautonomia di tutte le persone e si introducono nel mercato i soggetti che per vari motivi sono di solito marginalizzati o esclusi.

Lobiettivo di un Gas non solo quello di ordinare, ritirare e pagare, ma quello di creare un gruppo di persone che hanno in comune determinati valori etici e che, nella partecipazione condivisa e nella reciprocit esprimono il loro dissenso verso il sistema dominante. Laggettivo solidale, che distingue i Gas dai semplici gruppi di acquisto, definisce il fatto di riconoscersi parte di una comunit umana che travalica confini e culture, e rivendica come precisa responsabilit di ciascuno la disponibilit a farsi carico delle disuguaglianze che la affliggono (Valera, 2005). Ma la solidariet si manifesta anche tra i membri del gruppo, nellaccezione di forma di affinit ideologica ed emotiva basata sullesistenza di interessi comuni

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che, di conseguenza, genera la capacit di prestarsi reciproca assistenza e si manifesta nella condivisione di impegni e di responsabilit. La partecipazione un fattore fondamentale, perch permette di creare i legami di cui il gruppo ha bisogno per restare attivo. Tuttavia, non sono escluse forme di partecipazione passiva, che prevedono solo il ruolo di acquirente e non organizzativo. Ricostruire relazioni collettive, favorire il confronto di idee, la partecipazione diretta allattivit del gruppo, lo scambio di esperienze tra i componenti, sono utili strumenti per determinare le scelte comuni attraverso il consenso e non secondo il principio della maggioranza. [ ] Siamo per lautogestione perch crediamo nellorganizzazione non gerarchica, basata sulla rotazione degli incarichi, rifiutiamo cos di delegare ad altri la responsabilit delle nostre decisioni; vogliamo sperimentare lautorganizzazione sociale e lautotutela per tradurre le nostre idee in azioni e comportamenti coerenti.25 Aderire a un Gruppo di acquisto solidale significa rivedere i propri consumi e quindi il proprio stile di vita. Il cambiamento riguarda innanzitutto il tipo di prodotti che vengono acquistati e, in seconda battuta, comporta un ripensamento critico dellutilit o meno dei prodotti che si vanno ad acquistare. Anche il rapporto con i produttori decisamente diverso rispetto a quello che si sviluppa nel tradizionale sistema economico: sono spesso i consumatori che, attraverso vere e proprie ricerche, contattano i produttori che, a volte, entrano essi stessi a far parte del Gas. La dinamica della pubblicit, fondamentale nella societ dei consumi, viene completamente superata e sostituita dalla fruizione di esperienze dirette del prodotto e di chi lo produce, attraverso la conoscenza personale tra consumatore e produttore. Il produttore spesso chiamato a fornire informazioni che non aveva preventivato di mettere sul mercato, come le modalit di pagamento di eventuali dipendenti o a quale banca si appoggia per finanziare lattivit. Lo scambio non si riduce ai prodotti, ma si allarga alle esperienze e alla conoscenza, fino al confronto tra le scelte di vita e alla condivisione negli ambiti della resistenza civile e politica. I Gas rappresentano uno strumento di contrasto alle logiche del consumismo e unalternativa concreta al sistema di relazioni umane proposto dalla societ
25

Manifesto del Gas Coala, citato da Valera (cit.)

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capitalista, e come tali si presentano nella societ. Pur essendo delle nicchie, i Gruppi di acquisto solidale non rappresentano, infatti, degli universi chiusi e isolati, ma interagiscono attivamente sia sul mercato (gli acquisti sono il fulcro della loro attivit) che sulla scena sociale e politica, dimostrandosi dei laboratori di pensiero critico. Chi partecipa a un Gas una sorta di obiettore di coscienza. Sfugge alle costrizioni delliperconsumo e recupera in tutti i suoi risvolti lautonomo uso del proprio tempo (Guadagnucci, 2007).

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6.3 Bilanci di giustizia26


Il movimento Bilanci di Giustizia nasce nel 1993, a Verona, in occasione del quinto raduno del movimento Beati i costruttori di pace. I soggetti di questo movimento sono le famiglie, come microunit di consumo. Lobiettivo della campagna quello di controllare i consumi della propria famiglia al fine di ridurli e riorientarli, seguendo un preciso indirizzo etico. Al termine di ogni mese, le famiglie compilano un dettagliato bilancio delle proprie spese, riepilogato al termine di ogni anno. Il bilancio non resta privato, ma viene inviato alla segreteria nazionale, che provvede a stilare un rapporto annuale e a produrre circolari periodiche, inviate a tutte le famiglie, che consentono di mantenere i contatti con il resto dellorganizzazione. La rete dei bilancisti aderisce al consumo critico e alla finanza alternativa, poich lorizzonte etico in cui si muove quello di combattere linvadenza e lo strapotere della razionalit economica a partire dal carrello del supermercato e dallo sportello di una banca. I bilanci famigliari sono divisi in due voci distinte: consumi usuali e consumi spostati. La prima voce si riferisce ai consumi tradizionali, che sono cio gli stessi che si effettuavano prima di aderire alla rete dei bilancisti. La seconda voce, invece, si riferisce ai consumi fatti dopo una scelta guidata da criteri di eticit e sostenibilit ambientale, e corrisponde al cambiamento nelle abitudini della famiglia. I dati dimostrano che si pu spostare, o perlomeno ridurre, praticamente ogni tipo di consumo. Esempi che vanno in questa direzione sono la scelta di prodotti biologici, lutilizzo di oggetti riciclati o riparati al posto di oggetti nuovi, laffidamento dei propri risparmi a banche etiche o a cooperative. I migliori risultati nel cambiamento dei consumi (vedi tabella 1)27 si riscontrano nel settore alimentare (oltre il 40%), in quello dei beni durevoli (35%) e nel capitolo igiene (quasi il 40%). Il confronto con i dati dei consumi tradizionali dimostra che le famiglie che aderiscono al movimento Bilanci di giustizia riescono a ridurre gran parte dei
Dove non indicato diversamente, le citazioni di questo paragrafo sono tratte dal sito www.bilancidigiustizia.it . 27 Fonte: Campagna Bilanci di Giustizia, Rapporto 2007
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consumi: Secondo lultimo rilevamento, dellestate 2006, una famiglia bilancista consuma il 20% in meno della media nazionale; i consumi di energia elettrica sono inferiori del 49%, quelli di acqua del 49% e il tasso si motorizzazione di 46 auto ogni 100 persone contro un dato nazionale di 59 su 100 (Guadagnucci, 2007). Anche i dati relativi al 2007 vanno in questa direzione (tabella 2)28.

Tabella 1 Percentuale di consumo spostato* per capitolo di spesa

Tabella 2 Consumi medi mesili individuali dei bilancisti a confronto con i relativi valori nazionali

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Fonte: Campagna Bilanci di Giustizia, Rapporto 2007.

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Le scelte dei bilancisti si dirigono verso particolari settori del mercato, che possono essere sintetizzati dal termine consumo critico: mercato equo-solidale, biologico, preferenza dei produttori locali. Lattenzione viene rivolta anche alla trasformazione dei prodotti, scegliendo articoli che hanno subito pochi passaggi, ad esempio pane e marmellata al posto di una merendina confezionata. Lunica voce in cui i consumi dei bilancisti non sono inferiori a quelli medi rilevati dallIstat quella relativa al divertimento e alla cultura. La riduzione dei consumi, a quanto pare, non corrisponde quindi a una vita meno vissuta, segnata da austerit e rinunce, ma si configura piuttosto come unesistenza pi sobria, ma accompagnata da unelevata qualit della vita. E anche per questo che si pu dire che le loro scelte non sono orientate al risparmio in s, ma a uno spostamento da consumi spreconi di risorse naturali verso consumi immateriali che non pesano sullambiente. Insomma, limpronta ecologica dei bilancisti sicuramente inferiore alla media degli italiani e le scelte dei bilancisti sono orientate verso un risparmio significativo e sistematico delle risorse naturali.29 Uno dei meccanismi pi utilizzati per diminuire consumi e impatto ambientale il ricorso allautoproduzione. Questa molto diffusa tra i bilancisti, in modo particolare nel settore alimentare. Attraverso coltivazione e allevamento possibile ricavare gran parte degli alimenti necessari per la famiglia. Il passaggio allautoproduzione in aumento negli ultimi anni, anche grazie alle esperienze e alle conoscenze che vengono messe in rete tra i membri del movimento. Questo uno degli aspetti pi interessanti del fenomeno: il gruppo Bilanci di Giustizia non si limita a raccogliere i bilanci mensili delle famiglie. Dato che il percorso da affrontare non semplice, poich presuppone un cambiamento profondo delle abitudini e degli stili di vita, la forza del movimento risiede nel sostegno reciproco che gli aderenti offrono agli altri bilancisti. Essendo sparsi in tutta Italia, essi si muovono in rete, attraverso internet, e favoriscono la nascita di gruppi locali in cui le famiglie possono confrontarsi e consigliarsi: In questo modo, nel corso del tempo sono riusciti a formare un corpus di esperienze, e anche di elaborazioni, che oggi costituiscono un prezioso patrimonio culturale per il movimento del consumo critico (Guadagnucci, 2007).
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Campagna Bilanci di Giustizia, Rapporto 2007

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La scelta di aderire al movimento Bilanci di Giustizia si ripercuote anche sulla mobilit. Poche sono ancora le famiglie che non possiedono unauto (5%), mentre sono il 50% le famiglie, anche numerose (la media di componenti del nucleo famigliare 3,6), che decidono di possedere una sola auto. Il risultato che il tasso di motorizzazione risulta pari a 393, del 37% inferiore rispetto al dato medio nazionale pari a 620. La scelta di questo stile di vita determina per molti la conseguente riduzione delle ore di lavoro. I due fattori sono concatenati tra loro: da un lato, la scelta di un modo diverso di consumare presuppone minori spese che consentono di dedicare meno ore al lavoro, dallaltro, il maggior tempo libero permette di dedicarsi ad attivit di autoproduzione che consentono di acquistare meno merci sul mercato. Nel rapporto annuale del 2007 si legge: Insomma lavorare molto non lascia il tempo per le cose importanti. O forse le cose importanti non si trovano essenzialmente nel lavoro retribuito. Come per la decrescita, la critica rivolta a chi fa questo tipo di esperienza riguarda il livello di reddito, come se scelte di vita differenti ed estranee alle logiche di mercato fossero possibili solo per ricchi. Un confronto effettuato in occasione della redazione del rapporto per lanno 2007 tra i redditi medi nazionali e i redditi dei bilancisti mostra che questi ultimi sono nella media per quanto riguarda i redditi singoli, mentre stanno al di sotto della media nazionale man mano che aumenta il nucleo famigliare (tabella 3)30.

Tabella 3 Reddito famigliare annuo lordo

Componenti nucleo 1 2 3 4 5 o pi Totale

BDG 2007 20.588 27.755 38.776 42.254 39.862 36.750

ISTAT 2003* 20.948 35.181 50.773 58.863 60.340 39.319

SCOST. -2% -21% -24% -28% -34% -7%

*ISTAT 2003 Nord-Est a prezzi 2007 NOTA: I dati ISTAAT sono del 2003 aggiornati al 2007 in base allinflazione 2003-2007 e trasformati in reddito lordo aumentando il valore ISTAT fornito al netto di un valore medio di tasse del 25%

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Fonte: Campagna Bilanci di Giustizia, Rapporto 2007.

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La povert viene calcolata dallIstat non in base al reddito, ma in base ai livelli di spesa. In questo senso, poich tutti i bilancisti riducono i loro consumi, molti rischiano di essere collocati al di sotto della soglia di povert. Andando ad analizzare i livelli di reddito, ci si accorge che con laumento del nucleo famigliare il livello di reddito scende al di sotto della media nazionale. Molte famiglie bilanciste hanno volontariamente ridotto il proprio reddito, ad esempio diminuendo le ore di lavoro. Ma si pu anche vedere la cosa da un altro punto di vista: la riduzione dei consumi pu aver permesso, a queste famiglie, di ridurre il reddito, perch non hanno la necessit di avere guadagni elevati per mantenere il loro livello di vita; unapiccola grande rivoluzione, come viene definita nel rapporto 2007: Sembrerebbe vero che scegliere come e quanto consumare possibile e che questo d la libert di scegliere quindi quanto lavorare.31 Daltro canto, viene da chiedersi se possedere o meno unauto, non acquistare dal verduriere, ma autoprodursi insalata e zucchine, cucire da s i propri vestiti, facendo spendere di meno, significhi essere pi ricchi o pi poveri. Le famiglie che adottano questo stile di vita si dichiarano pi ricche, intendendo come ricchezza la riscoperta di alcuni valori e piaceri che si erano persi: la condivisione, il tempo da dedicare alla famiglia e alla cultura, il lavoro manuale, la solidariet. Certo che, nellattuale sistema economico e con gli attuali parametri, valutare questo modo alternativo di vivere risulta molto difficile, poich esce dalle logiche capitaliste e di mercato. Tuttavia, questa esperienza rappresenta un modo di mettere in pratica lutopia concreta delluscita dal paradigma dominante per cercare di mettere in atto uneconomia pi giusta e sostenibile. I bilancisti hanno preso coscienza del fatto che leconomia non deve essere identificata con la realt, e che questa non si pu ridurre alla sola economia. Leconomia esercita oggi un ruolo mitico. Il mito ci che crediamo senza nemmeno esserne coscienti; []. I bilancisti sono persone che hanno preso coscienza di questo mito, lo hanno guardato e osservato a partire dalla loro esperienza concreta. Hanno analizzato i propri bisogni a partire dai propri consumi. E con questo sguardo consapevole praticano scelte di libert: scelgono, ad esempio, di limitare il ruolo del mercato e del sistema economico nella propria vita, con le scelte di autoproduzione, di
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relazioni significative, di ospitalit e di sostegno reciproco, dando maggiore spazio ai beni non economici che soddisfano bisogni importanti come le relazioni, la spiritualit, la formazione, il silenzio.32 Le famiglie bilanciste tengono a sottolineare che aderire a Bilanci di Giustizia non significa rinunce o sacrifici: le scelte derivano da unanalisi critica dei propri consumi, che ha fatto capire come questi non corrispondano in molti casi a dei reali bisogni umani. Non si nega la propria identit di consumatori, ma la si vive in modo responsabile e consapevole, esercitando il proprio potere del consumatore per mettere in atto una scelta in contrapposizione con leconomia capitalista. Si pu notare una certa corrispondenza tra le scelte dei bilancisti e quelle delle famiglie che fanno parte di un Gas. In effetti, i consumi di entrambi i gruppi si spostano in sostanza verso i prodotti biologici, quelli del commercio equo solidale e hanno una predilezione per i prodotti locali: insomma, appartengono entrambi a quel settore che pu essere riassunto dal termine consumo critico. Le differenze riguardano piuttosto il modo di condividere questa esperienza: i Gas sono gruppi di persone che decidono insieme cosa acquistare e da chi; i bilancisti mantengono lautonomia sui propri consumi, ma si impegnano a rendere conto delle proprie spese per vivere insieme unesperienza di consumo differente. Bilanci di giustizia ha una formalizzazione ancora pi leggera rispetto a quella dei Gas, poich non c la necessit di avere un coordinamento per gli acquisti. Tuttavia, in entrambi i casi, le relazioni con gli altri membri del gruppo sono fondamentali, sia per dare pi senso alla propria scelta, sia per mettere in rete le conoscenze e le capacit al fine di migliorare insieme. I bilancisti si muovono nella direzione di creare una comunit di persone caratterizzata dalla sobriet e da una certa rettitudine morale (molti gruppi bilancisti hanno, infatti, ispirazione cattolica).

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6.4 CAmbieReSti?
Liniziativa CAmbieReSti? (acronimo di consumi, ambiente, risparmio

energetico, stili di vita) si differenzia dalle due precedenti perch non nasce dalla volont dei cittadini, ma su proposta di unistituzione pubblica. Il progetto stato promosso dallAssessorato allambiente del Comune di Venezia e finanziato dal Ministero per la Tutela dellAmbiente e del Territorio, nellambito dei bandi di attivazione di Agende 21 locali nel 2002. Il progetto, partito nel settembre del 2004 e concluso a febbraio 2006, si articolato in tre fasi: 1. nella prima fase, durata sei mesi, stata sviluppata la co-progettazione con tutti i partner del progetto, attraverso lattivazione di tavoli di discussione. Seguendo i principi dellAgenda 21 sono state definite le regole del gioco. Questa prima fase ha visto anche lavvio della campagna informativa con la raccolta delle prime adesioni; 2. la seconda fase stata quella attuativa: dal 1 marzo del 2005, per dieci mesi, stata avviata la vera e propria sperimentazione con ladesione di 1250 famiglie; 3. lultima fase stata dedicata alla valutazione del progetto e allelaborazione finale dei dati, per giungere a un giudizio sullesperienza. Il progetto ha avuto come obiettivo quello di coinvolgere i cittadini nella sperimentazione di nuovi stili di vita pi equi, solidali e rispettosi dellambiente, attraverso il riorientamento dei consumi, il rafforzamento dei legami comunitari e il recupero delle relazioni non mercantili. Il progetto CAmbieReSti? rappresenta uno dei pochi esempi di consumo critico incoraggiato da unistituzione pubblica. Il progetto non si basa su strumenti coercitivi per raggiungere gli obiettivi di una sostenibilit sociale e ambientale ma, come accade nei gruppi autonomi di cittadini, si concentra sullaspetto educativo e relazionale. La novit sta, quindi, non nel metodo, ma nel fatto che unamministrazione pubblica entra nel sancta sanctorum dei consumi privati e cerca di modificarli [] Non si limita, cio, a fare campagne di stampo pubblicitario n alle consuete azioni nelle scuole, ma forza in una determinata direzione i consumi delle persone (Osti, 2006).

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Le famiglie coinvolte nel progetto sono state invitate a rivedere i propri consumi definendo un nuovo paniere di beni e servizi, in base a una consapevole scelta di ci che realmente serve al proprio benessere, coniugando la propria qualit della vita con il rispetto dellambiente e della giustizia verso i popoli dei Sud del mondo. Oltre alle famiglie, sono stati coinvolti altri numerosi partner, Enti istituzionali, societ di natura economica, movimenti e associazioni, che hanno collaborato a vario titolo, attraverso contributi economici, servizi, consulenze tecniche, idee e progettualit. La fase di sperimentazione ha visto come protagoniste assolute le famiglie. I nuclei, distribuiti su tutto il territorio comunale, sono stati suddivisi in 49 gruppi locali. Il percorso, di dieci mesi, stato seguito con due modalit: la partecipazione assidua ai gruppi locali che si riunivano mensilmente, oppure la fruizione in modo libero e autonomo degli strumenti, pratici e informativi, messi a disposizione dal progetto. CAmbieReSti?, infatti, stato concepito come un percorso formativo e informativo con due obiettivi: da un lato focalizzare lattenzione sugli impatti globali delle scelte individuali, attraverso un processo di conoscenza e corresponsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti; dallaltro, stimolare lacquisizione di buone pratiche e di modi diversi di consumare, legando la scelta individuale del consumatore informato e consapevole a comportamenti collettivi alternativi, per costruire scambi meno iniqui e meno nocivi, e per riscoprire il valore della sobriet e della sufficienza. Nessuna famiglia stata obbligata a partecipare a incontri e iniziative: lunico impegno richiesto stato la compilazione di questionari e la lettura periodica dei propri contatori. I gruppi locali, che si sono incontrati una volta al mese, sono stati il punto di riferimento per le famiglie aderenti al progetto. Allinterno dei gruppi i partecipanti hanno potuto trovare assistenza e supporto per controllare landamento dei cambiamenti effettuati. Il ruolo dei gruppi mensili non stato tanto quello della formazione e delleducazione ambientale, ma piuttosto quello di creare dei momenti di riflessione, degli spazi di condivisione di idee, esperienze, buone pratiche, proposte. Si trattato, in altre parole, di uno spazio per creare delle relazioni sociali tra persone accomunate dagli stessi interessi e dagli stessi

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obiettivi; un modo per incontrare persone che condividono la stessa critica al sistema in vigore e che, insieme, trovano pi forza e pi incentivi per modificare il proprio stile di vita e di consumo. Inoltre, i gruppi locali hanno permesso di mettere in piedi una rete sociale che, al termine della fase di sperimentazione, ha saputo riorganizzarsi per proseguire il cammino intrapreso in una forma autogestita e autonoma, senza il bisogno di un sostegno dellamministrazione pubblica. Parallelamente ai gruppi locali, sono stati organizzati incontri tematici con esperti (forniti dagli altri partner del progetto) per fornire un percorso educativo e formativo di approfondimento e riflessione sui vari temi affrontati da CAmbieReSti?. Questo tipo di incontri mirava anche a soddisfare una richiesta pratica di informazioni e nozioni tecniche necessarie per mettere in atto azioni concrete di cambiamento. Gli incontri sono stati, infatti, di due tipi: alcuni hanno avuto uno sviluppo pi teorico, altri sono stati strutturati come laboratori per coinvolgere i partecipanti in attivit manuali. I temi affrontati sono stati molteplici: dal risparmio energetico alla bioedilizia, dal risparmio idrico allalimentazione e alla mobilit sostenibile, e ancora ai rifiuti, al turismo responsabile, alla finanza etica, alla medicina naturale, al rispetto dei diritti degli animali, per finire con il consumo critico e il commercio equo solidale. Si fatto esplicito riferimento ai principi di sobriet e di decrescita, proponendo esperienze di autoproduzione. Linterfaccia tra le famiglie e lamministrazione cittadina avvenuta tramite la creazione di sportelli denominati StilInfo, aperti a Venezia e a Mestre. Essi sono stati il supporto logistico e informativo per le famiglie aderenti, ma anche contenitori e motori di ricerca di informazioni, approfondimenti tematici, opportunit di agevolazioni e incentivi. Il progetto CAmbieReSti? ha voluto sostenere parallelamente la creazione di una Rete di economia solidale tra produttori e consumatori, considerata fondamentale perch la consapevolezza della necessit di un altro consumo si traducesse poi in pratiche reali. Al progetto hanno aderito alcune aziende biologiche, panificatori, produttori di pannelli solari, botteghe del commercio equo e solidale, associazioni per il turismo responsabile, ecc. Tutti hanno sottoscritto i principi dellaltra

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economia (ecosostenibilit, cooperazione, trasparenza, predilezione di prodotti locali, ecc.) e si sono impegnati a intraprendere qualche azione concreta (prezzi trasparenti, vendita diretta, laboratori per le famiglie, ecc). I partner del progetto, oltre a fornire le loro conoscenze tecniche, hanno contribuito alla distribuzione di incentivi e agevolazioni, soprattutto al fine di far conoscere meglio alle famiglie partecipanti prodotti e servizi gi facilmente accessibili sul territorio. Sono state distribuite lampadine a basso consumo, riduttori di flusso per lacqua, copie di varie riviste riguardanti argomenti legati alla sostenibilit ambientale e sociale (ad esempio Altreconomia, Gaia e Aam TerraNuova), miniguida per il compostaggio domestico, carrellini porta-rifiuti, borsa in tela per la spesa, abbonamenti per lautobus urbano, buoni per lutilizzo del servizio di car-sharing, analisi della qualit dellacqua domestica e controlli sullefficienza energetica dellabitazione. Inoltre, i soggetti che hanno aderito alla Rete di economia solidale si sono impegnati a garantire servizi o agevolazioni particolari per le famiglie partecipanti, ad esempio sconti sulle merci, corsi e laboratori, consulenze. CAmbieReSti? ha messo in moto una dinamica relazionale e creativa tra le persone. E cresciuta la consapevolezza rispetto alle proprie responsabilit verso lambiente e la societ. Il progetto stato soprattutto un impegno educativo e formativo, mostrando come la conoscenza sia il vero motore del cambiamento. Il bilancio dellesperienza contiene diverse sfaccettature. Per misurare il cambiamento degli stili di vita e dei consumi stato elaborato un eco-punteggio che ha rivelato dati incoraggianti: sono diminuiti gli acquisti di beni usa e getta con un contemporaneo aumento dei prodotti con pochi imballaggi; i consumi di prodotti equo solidali sono aumentati, come pure quelli di prodotti biologici e di detersivi non tossici; si sono diffusi i riduttori di flusso per i rubinetti e le lampadine a basso consumo. In alcuni settori, tuttavia, i cambiamenti sono stati ridotti, in particolare per quanto riguarda i mezzi di trasporto, la gestione del denaro e il compostaggio degli scarti della cucina. Inoltre emerge, dalle interviste ai partecipanti, che lesperimento stato soddisfacente e stimolante, ma che liniziativa pare isolata e incapace di produrre un impatto significativo. Questo fa intendere che la Rete di economia solidale sia ancora tutta da costruire.

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Lamministrazione comunale, pur essendo il soggetto promotore delliniziativa, non stata immune da critiche, anzi: durante la fase di sperimentazione, con una lettera aperta, alcune famiglie hanno espresso il loro disappunto per una gestione della cosa pubblica che ritenevano lontana dai parametri e dalle logiche che la stessa amministrazione intendeva sviluppare con CAmbieReSti?. Tuttavia, lesperienza non certo stata fallimentare: ha aumentato la consapevolezza dei cittadini rispetto alle tematiche del consumo critico; ha creato dei legami relazionali che in alcuni casi si sono trasformati nella volont di dare vita a Gruppo di acquisto solidale; stata replicata in altre citt come Piacenza, Colorno, Biella e Campobasso e ha dato vita, a Venezia, a un secondo progetto. Si tratta di Cambieresti? Energia 300X70, un progetto che ha coinvolto 300 famiglie nella riduzione dei consumi domestici da riscaldamento a 70 Kw/h/a. CAmbieReSti? stato definito da Guadagnucci un laboratorio di democrazia: stata unesperienza che ha messo in moto risorse umane e competenze altrimenti non disponibili a impegnarsi in un progetto di trasformazione sociale: il Comune diventato protagonista di una sperimentazione che non avrebbe potuto avvenire senza la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini (Guadagnucci, 2007).

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6.5 Luci e ombre del consumo critico


Gli esempi riportati in questo capitolo mostrano un atteggiamento differente rispetto al tradizionale modo di intendere i consumi, e in particolare si rivelano come una reazione alla societ dei consumi e alla mercificazione dei rapporti. Si detto che queste esperienze possono rientrare nel contesto del consumo critico, ovvero quei comportamenti di consumo che prevedono la consapevolezza, da parte del consumatore, che il proprio atto dacquisto non un gesto neutrale, ma produce conseguenze a livello ambientale, sociale e politico. Quello che la societ dei consumi rende un atto privato diventa, nel caso del consumo critico, un atto pubblico, una testimonianza delle proprie convinzioni e dei propri valori. A livello di numeri, il peso economico dei consumi critici ancora poco rilevante; assume, per, sempre maggior peso il suo significato simbolico: in altri termini, essi non funzionano solo come strategia exit defezione dal mercato tradizionale o rifiuto di alcune merci ma soprattutto come voice, ovvero come protesta simbolica. Diventano quindi importanti non solo i consumi in se stessi, ma anche le cornici e i contesti in cui vengono effettuati. Riunirsi in Gruppi di acquisto solidali o prendere parte a un progetto come CAmbieReSti?, concorre a creare un tappeto diffuso di individui che operano in modo alternativo al mercato. Infatti, il consumo critico viene in qualche modo sempre pi appoggiato anche dalle imprese, che sullonda della popolarit di questi comportamenti, pubblicizzano i loro prodotti rimarcando sempre pi i comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale e sociale. Le cause della scelta del consumo critico possono essere di duplice natura: si pu avere a cuore la propria salute e la qualit delle merci acquistate; o si pu consumare alternativo per esprimere sentimenti politici. In questa seconda accezione si ritrovano gli obiettori della crescita. Anche a livello delle esperienze citate in questo capitolo, occorre sottolineare che, pur ottenendo come risultato una decrescita dei consumi e del Pil, non tutti gli attori sono pienamente consapevoli di questa conseguenza politica. Tuttavia, non bisogna neppure dimenticare che consumare in un modo diverso non mai una scelta casuale, ma corrisponde sempre a una presa di coscienza da parte del consumatore. Questa pu

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riguardare i problemi ambientali, i problemi sociali, la disuguaglianza tra Nord e Sud, o tutte queste cose insieme come per chi abbraccia la filosofia della decrescita. In un contesto politico in cui le ideologie sono sempre pi deboli e lindividuo diventato il centro di tutto lagire, riunirsi in gruppi e cercare lappoggio di una collettivit rappresenta il modo per ritrovare il contatto e il confronto con gli altri. Attraverso la condivisione con gli altri si rende meno astratto il proprio agire. I consumatori critici sono consapevoli della debolezza del singolo e delle azioni parcellizzate, tuttavia, attraverso il micro-cambiamento possibile criticare il sistema partendo proprio dalle forme promosse dal liberismo, cio il consumo, attraverso la difesa dei beni pubblici e la riappropriazione del tempo, denunciando le alienazioni contemporanee. Il tipo di consumatore che emerge da queste esperienze ha caratteristiche diverse da quello evidenziato dalle teorie della societ dei consumi. L dove queste descrivono un individuo egoista e razionale, che basa il proprio comportamento sul calcolo economico e sulla soddisfazione edonistica, si sostituisce un individuo che pensa al proprio interesse e benessere, ma associando lo stesso pensiero anche verso la collettivit e verso lambiente. Il consumo diventa una risorsa identitaria, un momento di autorealizzazione che si concretizza in un consumo responsabile ma gradevole, che permette non solo di soddisfare i propri bisogni, ma soprattutto di esprimere le proprie convinzioni e la propria partecipazione in prima persona alle problematiche sociali e ambientali. Vengono cos ribaltate le teorie classiche del consumatore, che lo descrivono o come schiavo delle merci, o come padrone del mercato: il consumatore critico consapevole e in grado di esercitare pressioni politiche pi che economiche. La sovranit del consumatore non emerge come risultato della mano invisibile delladagio smithiano, ma pu emergere solo se ognuno si fa carico delle conseguenze etiche, sociali e ambientali delle proprie scelte. In opposizione al modello liberale, il modello critico della sovranit definito meno dallautonomia individuale e pi dalla capacit di riconoscere le interdipendenze, di affrontare un dialogo, mettersi in gioco a partire dallidea che le interconnessioni tra attori non

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solo sono inevitabili, ma sono anche, potenzialmente, la fonte principale di senso e del piacere che deriva dal mondo degli oggetti (Sassatelli, 2008). Ai soggetti che praticano il consumo critico vengono attribuite delle responsabilit e dei doveri in quanto consumatori, e ai consumatori viene attribuito il potere di agire eticamente e politicamente. In realt, le stesse responsabilit sono affidate anche a tutti gli altri soggetti, ma molti non ne sono consapevoli; le persone che praticano un consumo diverso, invece, hanno sviluppato questa consapevolezza e il loro impegno diventa una testimonianza nella societ. La scelta di uno stile di vita diverso da quello proposto dalla societ, frutto di una ricerca e di nuova conoscenza, non percepito come un obbligo o come una riduzione della libert. Al contrario, essa rappresenta una libert di scelta allinterno di vincoli, ambientali e sociali, che sono scelti e fissati dallindividuo stesso, in base alle proprie convinzioni morali. I vincoli vengono tracciati attraverso le relazioni personali che permettono di reperire informazioni e di conoscere le merci. Dietro alle scelte di consumo effettuate, infatti, si cela un processo di ricerca e di apprendimento che emerge chiaramente nelle indagini condotte dai Gas. La merce non viene acquistata per quello che , ma per cosa c dietro e per il valore etico che essa incorpora. Il consumo ha rappresentato, nei primi anni del capitalismo, una valvola di sfogo dal lavoro; in tempi pi recenti viene giustificato da retoriche pi edonistiche e autoriferite. Oggi, in seguito alla produzione di massa basata sulla gerarchia e sul controllo, il capitalismo ha recuperato e internalizzato concetti quali la flessibilit e la creativit, mostrando prodotti con unimmagine di autenticit che la massificazione aveva cancellato. Eppure esso rischia di fa saltare gli stessi valori di cui si appropriato, promuovendone la mercificazione e il disincanto. Chi si oppone a questa evoluzione propone allora di recuperare tali valori fuori dal consumismo, attraverso competenze informali e interstiziali. Si pu allora parlare di edonismo frugale: Le narrazioni che contribuiscono a consolidare ledonismo frugale fanno riferimento al principio [] del poco ma buono: recuperano essenzialmente lidea che per consumare ci voglia tempo; che per gustare appieno le proprie scelte occorra sviluppare una relazione con le cose fondata anche sul recupero delle relazioni (di produzione, scambio e

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consumo) che le accompagnano, anzich sulla loro rimozione o mascheramento (Sassatelli, 2008). La sobriet diventa quindi non una semplice riduzione dei consumi, ma controllo degli sprechi e selezione delle giuste alternative: non un consumo ridotto, ma un consumo migliore. Si detto pi volte che il consumo critico rappresenta anche una scelta politica. Sotto questo punto di vista emergono diverse problematiche. Le scelte alternative al sistema dominante presentano come punto di forza il fatto che il cambiamento si possa esprimere attraverso azioni individuali che non devono aspettare il cambiamento, pi lento e difficile, delle istituzioni. Essendo una scelta individuale essa si concretizza in una pluralit di esperienze che difficilmente possono essere riunite in ununica corrente. Per questo, la conseguenza pratica sulla politica emerge come frammentata ed eterogenea, con un potere di incisione ancora limitato. Tuttavia, proprio il carattere individuale della scelta e il fatto che il consumo rappresenti qualcosa di abitudinario e quotidiano, fa s che per la persona questo cambiamento risulti estremamente importante, tanto da rappresentare un completo capovolgimento dello stile di vita. In questo senso, le reti di consumo critico si propongono di cambiare la societ dallinterno, a partire da una rivoluzione a livello individuale da esportare nella societ. Latteggiamento, pi che di protesta, diventa quindi propositivo e positivo. Allo stesso tempo, lenfasi sullindividuale e sulla quotidianit si accompagna alla preoccupazione che i consumi critici possano rimanere una realt marginale, senza riuscire a incidere in modo rilevante sulla societ capitalista. Inoltre, il timore di molti attivisti nelle reti di consumo critico che una diffusione massiccia di queste pratiche possa venire assorbita dal sistema capitalistico, e che il consumo critico diventi una moda, piuttosto che una scelta consapevole. Si sviluppa unantinomia tra il successo commerciale e lintegrit etica dei consumi critici. La soluzione prospettata da molti attivisti, cos come dai fautori della decrescita, quella di mantenere il collegamento con il territorio, attraverso la molteplicit delle esperienze (contro la standardizzazione) e il coesistere di esperienze diverse e sempre nuove che provengono dal basso e dal piccolo. La ricetta sembra essere

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quella di sfuggire allomologazione ricercando unidentit forte e radicata nei rapporti con il territorio e con le persone. Resta comunque il problema della difficolt nel coniugare individuale e collettivo, cio la capacit di tradurre la politica del quotidiano promossa dal consumo critico in una forma di partecipazione politica efficace (Sassatelli, 2008). Il consumo deve quindi essere sostenuto da una rete di significati, da pratiche e rapporti sociali, da reti di relazioni che inseriscano lagire di consumo in un ambito di idee e valori condivisi e non di semplice soddisfazione di un bisogno. La scelta di un prodotto diventa cos espressione di una scelta di vita e di un percorso politico che determina il rifiuto dellattuale sistema e propone un diverso modo di affrontare leconomia. Il concetto di decostruzione dellimmaginario proposto da Latouche si inserisce appieno in questo filone di esperienze. La scelta di una vita che non si basa sulla quantit ma sulla qualit, di un percorso che pone al centro le relazioni con gli individui piuttosto che le relazioni economiche, che sostiene luguaglianza delle popolazioni del mondo invece di accentuare la distanza attraverso metodi di consumo iniqui sono elementi che appartengono sia al mondo del consumo critico che alle proposte della decrescita. In effetti, non essendo la decrescita una vera e propria teoria, essa si esplicita piuttosto attraverso esperienze concrete che non tramite programmi e ricette gi pronte.

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6.6 Laltra rete


Intorno alle nuove pratiche di consumo si costruiscono rapporti che danno vita sostanzialmente a nuove comunit. Si detto come la rilevanza delle relazioni e il substrato morale che caratterizza quelli che sono stati chiamati i laboratori della decrescita, rappresentino una reazione allatomizzazione generata dal consumismo e al conseguente isolamento sociale. Il desiderio di comunit appare radicato e cercato con costanza. E interessante notare come, in realt, la voglia di comunit sia diffusa in modo generalizzato nella societ, tanto da esplicitarsi in forme di aggregazione non tradizionali, rese possibili soprattutto dalle nuove tecnologie di comunicazione. Il processo di deterritorializzazione messo in atto dalla globalizzazione favorisce il nascere di processi di aggregazione non pi basati sulla prossimit fisica, ma piuttosto sulla prossimit culturale. Le nuove tecnologie comunicative permettono lo sviluppo di reti che suppliscono alla degenerazione dei rapporti faccia-a-faccia, implementando una nuova forma di reciprocit, basata non sullinterazione fisica, ma sulla condivisione di idee e valori. Liberati dai vincoli fisici, gli individui possono completare la ricerca di collettivit attraverso la creazione di comunit virtuali, che possono condividere ogni tipo di argomento. Quando loggetto di condivisione una merce, si pu parlare di comunit di consumo, o di brand: individui che si riuniscono attorno a un marchio, un prodotto o un punto vendita. Essi cercano informazioni e assistenza rispetto al proprio consumo, ma manifestano anche il desiderio di trasformare un agire individuale in un agire collettivo. Essere parte di una comunit di consumo permette di soddisfare al meglio il bisogno che si riconosce in quellarea di consumo (Fabris, 2003). E frutto di una socialit diversa da quella tradizionale, che non si riconosce in un progetto politico o sociale, non si iscrive a nessuna finalit: la sua unica ragion dessere la cura di un presente vissuto collettivamente (Fabris, 2003). Il collante il consumo, come agire che genera emozioni e passioni che sfociano in unestetica collettiva, la cui base un oggetto, un bene di consumo. Consumare lo stesso bene diventa la dimostrazione di un sentire comune che si realizza attraverso un oggetto. In qualche modo questo

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fenomeno frutto della mercificazione della societ contemporanea, in cui gli oggetti, pi che le relazioni, diventano il fulcro della vita sociale. La relazione non fine a se stessa ma, per essere implementata, ha bisogno dellintermediazione di un oggetto o di un comportamento di consumo. Il consumo, daltro canto, si espande fino a includere non solo il prodotto, ma anche le relazioni che possono nascere dallinteresse comune in un ambito di consumo. Attraverso la rete, le relazioni diventano pi facili, rapide e potenzialmente globali. Si pu parlare di comunit di consumo anche nellambito del consumo critico? Sicuramente esistono delle affinit, ma sono evidenti anche alcune differenze. Le potenzialit della rete sono un vantaggio che anche i consumatori critici hanno deciso di cogliere: come si visto, i vari gruppi si organizzano e dialogano tra loro attraverso internet. Il web, grazie alla rapida diffusione delle informazioni, consente di dare ampia visibilit alle proprie iniziative e permette di mantenere i rapporti anche in mancanza della prossimit fisica. Tuttavia, dagli esempi presentati in questo capitolo, emerge come le tecnologie informatiche siano utilizzate come strumento, piuttosto che come obiettivo della relazione. In altre parole, in molte comunit virtuali la relazione viene messa in atto proprio perch mediata dal mezzo informatico, perch consente una maggiore fluidit e facilit nellinstaurare un rapporto. Nel caso del consumo critico e delleconomia solidale, il passaggio nella rete un mezzo per arrivare a un altro obiettivo. Se le generiche comunit di consumo hanno come fine il prodotto (e grazie a esso si possono anche creare delle situazioni di socializzazione), nelle comunit di consumo critico il fine non tanto il consumo in s, quanto la dimostrazione della propria critica alleconomia di mercato. Inoltre, laspetto relazionale non un corollario al consumo, ma un elemento centrale di questi movimenti, che auspicano una socializzazione pi umana, basata su rapporti costruiti e lenti, nel senso di relazioni che non si consumano nella frenesia tipica della societ contemporanea, ma che si gustano grazie a incontri e confronti continuativi e reali. Le comunit virtuali si configurano come una risposta sia alla disgregazione delle relazioni sociali, sia alla crisi dei territori come luoghi attivi di partecipazione sociale. Obiettori della crescita e consumatori critici, invece, puntano proprio a riportare la partecipazione allinterno dei territori. Si preferisce lincontro faccia-

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a-faccia: non si spiegherebbe, altrimenti, il tempo speso nellorganizzazione dei gruppi in cui si ritrovano i membri dei movimenti. Sarebbe pi comodo dialogare tramite internet anche allinterno della stessa citt, per evitare di dover trovare del tempo da dedicare a incontri reali. Proprio la dimensione del tempo rappresenta, invece, il cuore del discorso: le cose facili e le scorciatoie non piacciono, la reciprocit deriva dalle relazioni che si possono sentire e gustare. Riappropriarsi del proprio tempo, e decidere in che modo spenderlo, rappresenta una conquista per gli obiettori della crescita. I Gas, che pure sono comunit di consumo e che hanno organizzato il proprio coordinamento nazionale attraverso la rete internet, tengono a sottolineare che non il consumo il fine ultimo del loro impegno. Lattenzione rivolta piuttosto a ci che fa da contorno al consumo: i metodi di produzione, i diritti dei lavoratori, limpatto ambientale e sociale del prodotto. Il consumo diventa il mezzo per affermare quali sono i principi etici che muovono queste persone. Daltro canto, lattenzione allaspetto locale e il reiterato riferimento a un progetto locale che si ritrova in tutte le esperienze di consumo critico e solidale, porta alla conclusione che le comunit che si creano sono reali, piuttosto che virtuali. La rete resta uno strumento fondamentale per mettere in connessione le diverse realt, e si dimostra unottima tecnologia al servizio di questo scopo. Ma viene utilizzata pi come mezzo di informazione che come strumento di socializzazione, al quale si preferiscono i rapporti faccia-a-faccia, sentiti come pi veri e genuini.

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CONCLUSIONI
Nel corso di questo lavoro, sono state evidenziate diverse problematiche legate allattuale modello di sviluppo, esportato in tutto il mondo grazie al contributo della globalizzazione. Lemergere del problema climatico con toni sempre pi preoccupanti, tali da trovare spazio sui media, solo un aspetto del problema. La sua importanza non deve oscurare il lato pi nascosto della globalizzazione e dello sviluppo, cio il progressivo logoramento dei legami sociali e delle pratiche relazionali sia nei Paesi occidentali che nel Sud del mondo. Lo sviluppo, seppure teoricamente riproducibile, pare non essere

universalizzabile, soprattutto a causa dei limiti fisici del pianeta. Laspetto quantitativo dello sviluppo risulta incompatibile con la struttura fisica della Terra. Gli aspetti qualitativi, daltro canto, si sono diffusi assai poco. Il benessere derivante dallaccumulazione di beni, che pure ha portato significativi miglioramenti nella vita delluomo occidentale, ancora un sogno da raggiungere per molte delle popolazioni che vivono nei Paesi in via di sviluppo. La critica allo sviluppo e allaccumulazione capitalista esposta in questo lavoro, ha tuttavia cercato di esplicare come non solo lavere sia importante per realizzare il benessere di una societ. E innegabile che i bisogni fondamentali debbano essere garantiti per assicurare la sopravvivenza ma, oltre a questi, non sempre avere di pi corrisponde a una vita migliore. Gli autori analizzati in questo lavoro sottolineano invece come, anche a livello economico, siano molto pi importanti gli aspetti qualitativi delle merci e le relazioni che si instaurano con le persone che ci sono intorno, con la comunit a cui si appartiene. Le esperienze presentate nel capitolo precedente sono degli esempi pratici dellimportanza delle relazioni allinterno di un contesto che si distacca dal paradigma sviluppista per proporre unalternativa alla dinamica della crescita illimitata. La teoria della decrescita (anche se, come si visto, sarebbe pi opportuno chiamarla movimento), si propone come una sintesi tra la critica sociale dello sviluppo e la critica ecologia che, superato il concetto di sviluppo sostenibile,

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traccia laffresco di una societ liberata dallassillo della crescita e avviata verso un modo diverso di intendere i rapporti umani e i rapporti economici.

La comunit e il territorio
Herman Daly tratteggia il suo progetto di societ sostenibile a partire dalla riscoperta della comunit, mentre la decrescita e le esperienze di consumo critico vedono nel locale la possibilit di uno sviluppo economico diverso, pi a misura duomo. Entrambi gli approcci considerano la globalizzazione e la ricerca della crescita illimitata la causa di un processo disgregativo che minaccia le relazioni umane e i rapporti sociali: Siamo indotti a cercare [] soluzioni personali a contraddizioni sistemiche; cerchiamo la salvezza individuale da problemi comuni (Bauman, 2001). Il risultato una crescente incertezza che si traduce nella ricerca di cose concrete, come il nostro corpo con tutte le sue estensioni esosomatiche e i suoi baluardi. Nel fare ci, cresce la diffidenza verso ci che ci circonda, gli estranei e il diverso da noi, che si traduce in un isolamento progressivo che lacera i rapporti con la fetta di societ che ci sta intorno. Anche il territorio, come la comunit, appare intaccato dal processo della globalizzazione: la dinamica delocalizzativa messa in atto dalle imprese multinazionali e linternazionalizzazione del mercato del lavoro provocano un affievolimento del territorio come soggetto autonomo, che si trova a fare i conti con dinamiche globali antitetiche alla sua identit locale. La dimensione economica gioca un ruolo fondamentale: la creazione di un unico mercato mondiale consente di superare i limiti regolamentativi dello stato-nazione e di realizzare il sogno di un mercato veramente libero. La territorialit non si dissolta, ma piuttosto stata colpita nei suoi aspetti di sovranit e di relazionalit, che rendono il territorio non solo uno spazio fisico a supporto delle attivit umane, ma un vero e proprio attore nelle dinamiche economiche e sociali di una comunit. Il territorio e la cultura locale che esso incorpora sono inoltre minacciati da unaltra forma di globalizzazione: quella che viene anche chiamata

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occidentalizzazione del mondo. Lesportazione della cultura occidentale nel resto del mondo, attraverso una sorta di nuova colonizzazione commerciale, ma anche attraverso lesportazione di un modello di sviluppo che intende trasferire il successo occidentale sul resto del mondo, causa un repentino declino delle tradizioni locali, a vantaggio di unomologazione che riguarda pi le aspirazioni che le reali condizioni di vita. Questo problema non si manifesta soltanto nel Sud del mondo, ma negli stessi Paesi occidentali, che pian piano hanno perso quanto era legato alla tradizione e a un modo di intendere la vita fatto di relazioni, sobriet e convivialit. I movimenti della decrescita e delleconomia solidale, cercando di recuperare questi elementi, producono un rinnovamento nellidea di comunit e di territorio. Si tratta di un vero e proprio recupero e riappropriazione culturale. Come sottolineato pi volte dai diversi autori e dai protagonisti di esperienze di decrescita, questo non implica un ritorno al passato, ma un nuovo modo di intendere leconomia e le relazioni, tenendo per ben presente linsegnamento del passato. E un fatto culturale, nella misura in cui significa pensare il proprio stile di vita a partire dalla sapienza e dalle risorse locali esistenti, assumere la responsabilit del proprio patrimonio come sostegno e qualit della vita da mantenere nel futuro, autodeterminazione in forma creativa del proprio modello economico, organizzazione di processi interattivi di progettazione autonoma attraverso la costruzione di reti sociali e produttive locali in grado di autorganizzarsi rispetto ai sistemi territoriali locali e allo stesso tempo in grado di rapportarsi, criticamente e in autonomia, alle reti globali. In questo senso possibile parlare di sviluppo locale, nella misura in cui i cittadini, per manifestare il proprio dissenso a una forma economica che non condividono, si riuniscono in gruppi che si relazionano con il territorio attraverso un rapporto operativo reale. La riscoperta dei produttori locali e la pratica dellautoproduzione rendono il territorio, con le sue risorse, un soggetto attivo nellimplementazione di uno stile di vita alternativo e allo stesso tempo rendono i cittadini consapevoli e responsabili del territorio stesso. Nella misura in cui il territorio assume questa rilevanza, esso impone anche ritmi e tempi diversi alla vita umana. Lesempio dei Gas, che consumano

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esclusivamente frutta e verdura di stagione, corrisponde a un modo diverso di intendere il tempo: non luomo a imporre i propri ritmi, sempre pi frenetici, anche allecosistema, ma il territorio che impone i propri tempi, definendo esso stesso la propria sostenibilit. Ecco allora che, quello che per leconomia della crescita diventa un costo aggiuntivo (coordinare le necessit economiche con i limiti ambientali), nelleconomia della decrescita diventa un automatismo dettato dallambiente stesso, che si realizza con la semplice consapevolezza, da parte del cittadino/consumatore, che la natura presuppone dei tempi che luomo non pu stravolgere senza causare danno. Un diverso modo di vivere che potrebbe essere definito slow life: per i fautori della decrescita e per gli aderenti alle Reti di economia solidale, la riappropriazione del tempo si concretizza attraverso i momenti spesi per confrontarsi sui nuovi prodotti da acquistare; nel tempo passato a confezionarsi un abito, magari nellambito di un gruppo di cucito, invece di un pomeriggio speso a fare shopping; nei pomeriggi passati con i figli invece che trascorsi in ufficio a fare straordinari. Anche la dicotomia tempo libero/lavoro assume un valore diverso: i contorni diventano meno netti, perch diventa difficile catalogare attivit come lautoproduzione nelle due categorie, cos come il tempo impiegato nella redazione del bilancio famigliare o nella ricerca sul territorio di nuovi produttori. La societ della decrescita presuppone un vivere lento, pi misura duomo, perch quello che si cerca la riappropriazione del gusto delle relazioni umane, per godere appieno della propria vita. Sfuggire alla moda, alla pubblicit e ai consumi condizionati permette di riscoprire la propria identit e i propri reali bisogni, abbandonando gli oggetti che appesantiscono, infastidiscono e occupano ormai troppo spazio e troppo tempo. Leconomia si sposta su una scala diversa: dal livello globale al livello locale, mettendo in pratica concetti quali la conservazione, la stabilit, lautosufficienza e la cooperazione. La possibilit di creare reti dal basso, non gerarchiche ma solidali, consente di contrastare gli effetti negativi della globalizzazione, inserendo nelle reti stesse il territorio, come attore a tutti gli effetti. Dal momento in cui si guarda il territorio come un luogo denso di storia, di cultura, di saperi, di

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strumenti per uno sviluppo autogovernato, da quel momento si sta lottando efficacemente contro un territorio usato dalle grandi multinazionali e da chi lo tratta come puro strumento per la produzione di profitto e di mercato (Magnaghi, 2002). Le risorse del territorio vengono percepite come ricchezze da valorizzare, riprodurre e conservare, al fine di autoprodurre un proprio duraturo sviluppo. Il tentativo di chiudere i cicli economici allinterno del territorio facilita la riduzione dellimpronta ecologica e crea un rapporto con i luoghi dellabitare che rende i soggetti pi responsabili delle proprie azioni e del proprio agire economico. La debolezza dei movimenti critici attuali risiede nella loro frammentariet e nella loro molteplicit. Nonostante questo venga percepito come una ricchezza culturale e come possibilit di esprimere la propria individualit allinterno di un gruppo, laltra faccia della medaglia mostra come questo renda deboli i movimenti a livello di incidenza sul sistema globale. Il progetto della Rete di economia solidale punta proprio nella direzione di mettere insieme le diverse realt, non per omologarle, ma perch ogni gruppo, nei vari luoghi, sia in grado di mettere in atto un modello economico alternativo, partendo dalle risorse e dalle peculiarit del territorio. Le reti di produttori, consumatori, volontari, attivisti e culture che si esprimono nei vari movimenti possono essere in grado di realizzare dei laboratori di decrescita autogovernati. Gli obiettori della crescita si presentano come cittadini che desiderano partecipare attivamente alla vita amministrativa ed economica, cos come i sostenitori delleconomia solidale. Limpegno dimostrato da questa parte della popolazione, sebbene rappresenti una minoranza in un panorama che vede sempre maggior disinteresse verso la politica, stato in qualche modo percepito dalle amministrazioni. La Rete del Nuovo Municipio, nata nel 2002 e sottoscritta da molti amministratori locali, tenta il seguente passaggio: a partire dalla crescente domanda di partecipazione dal basso e da un nuovo ruolo delle amministrazioni locali, oggi pi sensibili e attrezzate, diventa possibile stipulare patti locali per lo sviluppo del territorio, incontri a mezza strada fra amministrazioni locali e movimenti. La Carta (lo statuto dellassociazione) propone di stipulare patti tra soggetti diversi, amministratori locali che si sporgono verso il sociale e

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movimenti che si aprono verso listituzionale e che, anche con conflitti, si muovono verso la costruzione di patti e di laboratori costituenti nuovi istituti di democrazia. La promozione, da parte del Nuovo municipio, di economie locali che mettano in valore i beni territoriali e ambientali comuni, che tendano a chiudere i cicli della riproduzione dell'ambiente e della societ locale, che sviluppino tecnologie e filiere produttive appropriate al luogo e alle sue risorse, pu generare sicurezza comunitaria senza citt blindate, competizione sulla qualit dei prodotti senza guerra, relazioni improntate allo scambio solidale.33 Il progetto della decrescita implicitamente anche un progetto di relazioni sociali, di appropriazione fisica e culturale, di costituzione di significati sociali. La riscoperta del senso del luogo, ovvero losservazione e la partecipazione allambiente che ci circonda, passa anche attraverso la riscoperta dei legami comunitari. Proprio la globalizzazione fa s che tutti gli individui vivano in una forma di interdipendenza, per cui esistono compiti che non possono essere affrontati individualmente, ma che occorre sostenere collettivamente. E qui che nasce il desiderio di ritrovare la comunit, come possibilit di affrontare lincertezza e le sfide comuni. Tale sentimento, per chi sceglie leconomia solidale e la decrescita, risulta ancora pi acuto, perch nella comunit il proprio comportamento viene supportato e assume caratteristiche pi reali e vere. Tra gli elementi che identificano una comunit, Bagnasco suggerisce lidentit, la fiducia e la reciprocit E possibile trovare questi elementi allinterno delle reti di economia solidale e nella societ proposta dalla decrescita? Lidentit definita come modo in cui gli individui si pongono allinterno di un campo simbolico, tracciando confini e limiti per mantenere la differenza tra s e il mondo. Individuare un proprio spazio allinterno della societ dispersa diventa molto pi difficile: la comunit, come insieme pi ristretto e definito di individui permette di definire meglio il proprio ruolo. Coloro che fanno propria la critica allo sviluppo, implementando modi di vita differenti da quelli proposti dal sistema, si prospettano come attori protagonisti di un processo di cambiamento che li vede attivi in prima persona. La ricerca di unidentit passa attraverso la

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Carta del Nuovo Municipio (www.nuovomunicipio.org)

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scelta di consumi e modus vivendi differenti, come risposta allomologazione della globalizzazione e come testimonianza dei propri valori morali. La fiducia rappresenta laspettativa di reciprocit nel lungo periodo, aspettativa positiva derivata dallesperienza che rende gli individui disponibili a giochi cooperativi. Questo aspetto fortemente sentito allinterno dei Gruppi di acquisto solidale, che creano reti di fiducia con i propri fornitori, cos come determinante nella formazione di distretti di economia solidale. La fiducia deriva dalla conoscenza diretta e dalla creazione di rapporti personali che vanno oltre il semplice rapporto economico, ma si concretizzano nella condivisione di un progetto e di valori. Leconomia si inserisce nella comunit attraverso il concetto di reciprocit. Il cuore del sistema economico, infatti, rappresentato dagli scambi che, in un contesto di economia di mercato, permettono la soddisfazione di entrambi gli attori coinvolti, che percepiscono un reciproco vantaggio. Il concetto di reciprocit, che bene rappresenta gli scambi anche nellabito del commercio critico e solidale, contiene per delle sfaccettature diverse. Il termine reciprocit, infatti, un concetto ampio e variegato: Dire vita civile dire reciprocit scrive Bruni (2006), intendendo la vita civile come linsieme di tutti i comportamenti che permettono la convivenza e lo sviluppo di una comunit. Reciprocit pu essere intesa, in una prima accezione, come reciprocit cauta: la forma tipica dei contratti, ovvero una situazione in cui i soggetti decidono di accordarsi mettendo a rischio molto poco del loro interesse personale, poich il contratto prevede un sistema di enforcement (garantito dalle istituzioni) che tutela i contraenti. La reciprocit, in questo caso, nasce da un calcolo razionale. E la forma di razionalit ammessa nella teoria economica neoclassica. Essa, infatti, considera le relazioni di mercato, diverse dalle relazioni personali di amicizia e conoscenza. Esse si sviluppano sostanzialmente tra persone che non si conoscono, per cui solo un contratto pu far nascere la fiducia e la reputazione. La cooperazione, in questo contesto, frutto del mercato, e sono gli scambi a permettere la nascita di relazioni di reciprocit. Questo tipo di reciprocit quindi condizionale, nel senso che non esiste gratuit nelle azioni ma, in assenza di enforcement, le prestazioni tra due soggetti saranno una la ragione e la condizione

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per la prestazione dellaltro. Senza incentivi, e al di fuori dei contratti, difficilmente si mette in atto un comportamento cooperativo, poich il significato di relazionalit cauta indica esattamente la scarsa propensione ad attuare la prima mossa da parte dei soggetti (essi cooperano solo in risposta di un comportamento cooperativo). La reciprocit cauta non in grado di spiegare i comportamenti di consumo critico che non si basano su calcoli razionali rispetto al proprio interesse, ma che vedono, invece, nelle relazioni, una componente pi importante dello scambio stesso. Riprendendo la distinzione di Bruni, possibile descrivere altri due tipo di reciprocit: la reciprocit philia e la reciprocit incondizionale. La condizionalit, anche nel linguaggio comune, sembra essere la caratteristica tipica della reciprocit: esiste reciprocit, infatti, nel momento in cui la relazione prevede una restituzione nei confronti di un comportamento precedente. La reciprocit philia rientra in questa categoria: essa richiama esplicitamente al concetto di amicizia. La cooperazione nasce da interazioni ripetute, in cui il soggetto rischia la prima mossa, cooperando, aspettando la disponibilit dellaltro soggetto a mantenere questo rapporto di amicizia. Chiaramente, se il soggetto B non si dimostra disponibile a cooperare, il rapporto si interrompe. In questo caso la fiducia non nasce dagli scambi, ma preesistente: il mercato permette di verificarla, ma essa nasce in un momento precedente, attraverso una relazione di conoscenza e di confronto che precede laspetto economico. Questo tipo di reciprocit si adatta bene ai Gruppi di acquisto solidale, in cui lo scambio avviene con una cerchia di fornitori amici, scelti sulla base di determinate caratteristiche condivise. Al contrario della reciprocit cauta, lo scambio non anonimo, ma avviene in un contesto di amicizia, in cui le intenzioni (il perch si decide di cooperare) risultano fondamentali e lidentit dei soggetti fa dellazione economica un elemento altamente personalizzato. Il terzo tipo di reciprocit si slega dalla condizionalit, quasi a sembrare una contraddizione in termini. Essa si pu esprimere anche con il termine gratuit: lazione cooperativa, infatti, avviene indipendentemente dai comportamenti altrui, poich il valore aggiunto intrinseco allazione stessa. Le motivazioni degli altri

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non contano, poich la scelta viene effettuata sulla base di convinzioni eticomorali molto forti. La scelta, per, diventa pienamente efficace solo se gli altri soggetti rispondono con un comportamento reciprocante: la condizionalit non nella scelta, quindi, ma nei risultati. Nonostante questo, il soggetto continua ad applicare il proprio comportamento, anche se non riceve risposte positive, poich il valore intrinseco della scelta riesce a compensare i costi. Anche questo tipo di reciprocit di adatta bene a spiegare i comportamenti dei consumatori critici: le loro scelte nascono, infatti, da una presa di coscienza che modifica i loro valori. In questo contesto si pu anche spiegare limportanza, sottolineata pi volte, delle relazioni: i comportamenti, non essendo dettati dal semplice calcolo razionale, derivano dalla soddisfazione che si riceve dalla relazione stessa, prima ancora che dalla merce scambiata. E cos possibile, anche se salta lipotesi della condizionalit, continuare a parlare di reciprocit: essa deriva dalla relazione, senza la quale il comportamento cooperativo non si mette in atto, neppure nei soggetti che praticano la gratuit. Bruni, infatti, distingue questultima dallaltruismo, che un rapporto incondizionale e non reciproco, poich per attuarsi non ha bisogno dellelemento relazionale e, in quanto tale, pu anche essere impersonale. Leconomia solidale e leconomia della decrescita che, come si visto sono strettamente correlate e hanno confini molto labili tra di loro, hanno come oggetto, pi che le merci, i beni. La distinzione, gi accennata nel capitolo cinque, riflette la differenza nella valutazione economica tradizionale: i beni, infatti, hanno valore perch soddisfano un bisogno, ma la valutazione del loro prezzo di mercato pu risultare difficile o impossibile. In particolare, allinterno di queste economie, sono i beni relazionali quelli che assumono maggiore rilevanza: sono elementi che emergono dalle relazioni e che non possono essere consumati n prodotti da un solo individuo, ma dipendono dalle interazioni con gli altri e possono essere godute solo nella reciprocit. Essi diventano la principale ricchezza allinterno di una comunit poich rappresentano il suo prodotto, e solo allinterno di essa possono essere ricreati, attraverso la reciprocit. Nonostante le due forme di reciprocit che meglio si adattano alla comunit e quindi alle economie solidali siano la reciprocit philia e la reciprocit

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incondizionale, Bruni sottolinea come la ricchezza di una societ stia nella molteplicit delle reciprocit. La reciprocit una, ma le reciprocit sono molte. [] Ci che infatti tipico in ogni forma di reciprocit il suo essere un dare che incontra un ricevere. Per questo la reciprocit una. Al tempo stesso, le modalit e le motivazioni sottostanti le reciprocit sono diverse. Le reciprocit sono molte. [] Pi le forme di reciprocit sono molte e articolate, pi aumenta leterogeneit della vita civile, pi lalchimia degli interessi che diventano inconsapevoli alleati della gratuit pu funzionare (Bruni, 2006). Lanalisi delle varie forme di reciprocit condotta da Bruni mostra che in uninterazione complessa tra le varie forma di reciprocit, anche quando la gratuit parte con un vantaggio numerico, la non cooperazione che tende ad avere la meglio nel tempo. Sono, infatti, i soggetti che si comportano secondo la reciprocit cauta e la reciprocit philia a rappresentare lago della bilancia e a equilibrare la situazione; il rischio , infatti, che, di fronte a troppa gratuit, aumentino i comportamenti opportunistici non-cooperativi. Emerge allora la necessit, se si vogliono diffondere le buone pratiche del commercio critico e della decrescita, di non creare delle reti esclusive e selettive, ma di mantenere un rapporto aperto di confronto, anche se critico, con il resto della societ che presenta diverse vocazioni e diversi gradi di motivazioni intrinseche. La logica del non volersi contaminare, altrimenti, pu essere una condanna allestinzione. Attraverso il confronto, invece, possibile, in primo luogo informare e, in seconda battuta, attivare i cooperatori dormienti che, sebbene predisposti alla reciprocit, non sono abbastanza coraggiosi per compiere la prima mossa. I cooperatori del commercio equo [e del commercio critico], se passano dal confronto faccia a faccia con la grande distruzione non cooperativa [] a un confronto a tre o a quattro dimensioni, possono ottenere addirittura lobiettivo che nel mercato normale si affermi la reciprocit, e si salvi anche la loro identit fatta anche di gratuit (Bruni, 2006). I movimenti di economie alternative tentano di inserirsi negli spazi abbandonati dalleconomia globale: alla flessibilit e velocit di questultima, essi antepongono la lentezza delleconomia informale. La decrescita si pone un obiettivo pi ambizioso: occupare anche gli spazi di cui si impadronito il

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sistema attuale. Leconomia di mercato, infatti, riesce a funzionale al meglio usando risorse materiali e culturali socialmente prodotte. Sono risorse preziose e a riproduzione lenta, che leconomia sempre pi veloce e onnivora tende a sfruttare rapidamente senza riprodurle e senza pagare il prezzo di tale uso. La riscoperta del valore di queste risorse la chiave per costruire una societ della decrescita, in cui possono coniugarsi libert e solidariet. La limitata diffusione (parlando di numeri) dei movimenti di altra economia, rappresenta il principale ostacolo alla realizzazione di una societ della decrescita. Per giocare un ruolo importante essa deve essere in grado di offrire opportunit concrete e deve saper coinvolgere ampie fasce della popolazione. Lesperienza accumulata dai vari movimenti pu essere il punto di partenza: realizzano gi, qui e ora, il modello immaginato per il futuro (Guadagnucci, 2007). La partecipazione diffusa della popolazione alle scelte economiche e sociali del territorio deve essere il mezzo per raggiungere il cambiamento, attraverso la diffusione delle buone pratiche di cittadinanza, che poggiano sulla condivisione e sulla creativit delle persone.

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Ringraziamenti

Ringrazio il relatore prof. Carlo Salone e la correlatrice prof.ssa Anna Cugno per le loro consulenze e i loro suggerimenti. Ringrazio la mia famiglia e Serafino che mi hanno permesso di arrivare fino a questo lavoro; un ringraziamento particolare a Caterina per il supporto tecnico. Ringrazio tutti gli amici di questi anni duniversit, in particolare Marco, per le preziose conversazioni e Lorenzo, per il tempo trascorso insieme. Infine, un ringraziamento a tutti gli amici e le persone che mi hanno fornito stimoli interessanti per questo lavoro e che mi sono state accanto.

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