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TRACCIA D

ECONOMIA SOSTENIBILE E QUESTIONE AMBIENTALE


La crisi economica, sociale e sanitaria provocata dalla pandemia ci ha messo di fronte
alla evidente complessità del periodo che anche l’Italia sta attraversando. Le
difficoltà emerse richiedono pertanto una seria riflessione sulla necessità di sfruttare
questa drammatica occasione per ripensare il nostro modello di sviluppo in un’ottica
che tenga conto della sostenibilità economica, sociale, ambientale, anche criticamente,
in relazione alle scelte dei soggetti economici e dei policy makers.
Il /La candidato/a facendo riferimento agli spunti di riflessione presenti nei testi
proposti, alle sue conoscenze acquisite durante il percorso di studi, alle letture ed
esperienze personali, realizzi un elaborato, di non più di quattro pagine (New Times
Roman, corpo 12, interlinea 1) nel quale spieghi quali sono le problematiche relative
tema proposto.
Integri l’elaborato, eventualmente in una prospettiva multidisciplinare, con apporti di altre
discipline o competenze individuali presenti nel suo curriculum, e con eventuali esperienze
significative di PCTO svolte durante il percorso di studi. Organizzi l’elaborato in modo tale
che tesi e argomenti siano presentati in un discorso coerente e coeso.

Doc.1
In molti si chiedono se la recessione economica provocata dalla pandemia di Covid-19 ci trascinerà
in un nuovo periodo di crisi di intensità pari o peggiore a quella successiva alla Grande Recessione
del 2007-8.. Tuttavia, a nostro parere, la vera domanda che dovremmo porci è: saremo in grado di
sfruttare questa drammatica occasione per cambiare rotta e modificare il nostro modello di
produzione e di sviluppo?
L’alternativa non può essere quella tra salute e lavoro, tra Natura ed Economia: dovremmo pensare
e muoverci, piuttosto, in direzione di uno sviluppo simbiotico tra loro (…)
Se è vero – come teme la comunità scientifica – che l’orizzonte sia di pochi anni, occorre agire
subito. Inoltre, se il mercato continua a perseguire la massimizzazione dei profitti a prescindere –
dalla salute e dalla Natura – perché dovremmo attenderci che si auto-corregga?
Dobbiamo quindi dare una spinta al cambiamento: un cambiamento – ripetiamo – non più
rinviabile. Come? Innanzitutto, attraverso l’eliminazione dei circa 20 miliardi di sussidi pubblici
alle attività che danneggiano l’ambiente. In secondo luogo, orientando le politiche fiscali e
impositive – le cosiddette tasse verdi, circa 15 miliardi – in modo da influenzare, sul lato
dell’offerta, l’adozione di processi produttivi a minor impatto ambientale (riciclo, economia
circolare) e la produzione di beni e servizi green e, sul lato della domanda, lo stimolo ad abitudini di
consumo maggiormente sostenibili.(…)
Se la Natura e le sue risorse dovessero esaurirsi, l’uomo, le economie e le società scomparirebbero,
non è vero il contrario. L’economia si è cacciata in una “trappola evolutiva”, alla ricerca del profitto
di breve periodo e mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza.(…)
L’unica via percorribile, dunque, prevede necessariamente una transizione verso un modello di
sviluppo alternativo a quello attuale, un modello di sviluppo sostenibile. La politica deve guidare il
cambiamento da un’economia rapace all’economia del bene comune. (…).
Esistono ormai da molti anni degli indicatori che cercano di andare oltre il Pil. In Italia, ad esempio,
l’Istat e il Cnel hanno prodotto il BES (Benessere Equo e Sostenibile), e anche l’Ocse ha un indice
chiamato Better Life: tutti utilizzano un cruscotto di indicatori economici, sociali e ambientali.
Questo tipo di informazioni è fondamentale per garantire una bussola non esclusivamente
“mercatista” lungo traiettorie di crescita e sviluppo realmente sostenibili per le nostre economie e le
nostre società.
Abbiamo bisogno di cambiare le traiettorie dello sviluppo, di indicatori per monitorarlo e di un
diverso modo di pensare all’Economia, alla Natura e alla Società.
( da Un’economia sostenibile per evitare il collasso Lucrezia Fanti, Mauro Gallegati in
sbilanciamoci.info 25 Maggio 2020 )

Doc.2

[…] “Decrescita” è prima di tutto uno slogan provocatorio (uno slogan, perché vivendo in una società della
comunicazione dobbiamo utilizzare mezzi mediatici...). Tutti vogliono crescere, tutti i viventi crescono: gli
animali, gli alberi/le piante. Ma non crescono all’infinito. Crescono, ma poi ad un certo punto si fermano e
muoiono. Il problema è che gli economisti hanno pensato alla società come ad un organismo, ma ad un
organismo che possa crescere all’infinito. “Decrescere per crescere” sembra un’assurdità, ma non meno,
non di più che “crescere per crescere”. Per essere più rigorosi dovremmo parlare di “a-crescita”, come si
parla di ateismo, e più precisamente di un ateismo della crescita; diventare agnostici dell’economia, di tutti
questi dogmi, per uscire dalla colonizzazione dell’immaginario da parte dell’economia,
dall’economicizzazione del mondo. Abbiamo utilizzato questa parola “a-crescita” per la prima volta nel
2002, in opposizione ad un altro slogan mistificatore dello “sviluppo sostenibile”. Mistificatore perché
rappresenta un ossimoro: lo sviluppo non è sostenibile. Parlare di sviluppo sostenibile è come volere la
botte piena e la moglie ubriaca. Dietro questo slogan c’è un progetto di costruire una società, o delle
società alternative, che chiamerò “società di abbondanza frugale”. Dove l’abbondanza frugale non è un
ossimoro, come spiegherò in seguito, poiché la frugalità è una condizione dell’abbondanza. Allora si
mettono in evidenza un aspetto negativo ed uno positivo: quello negativo è rappresentato dalla necessità di
uscire dalla società dei consumi, dalla società della crescita; l’aspetto positivo sta nel costruire una società
nuova, di abbondanza frugale. […] Ora ci sono una quantità enorme di rapporti, da quello intergovernativo
sul cambiamento e l’evoluzione del clima (IPCC) al Rapporto Stern, del governo britannico, ecc. Tutti
portano alla conclusione che se non cambiamo strada andremo a fracassarci contro il muro dei limiti entro
2030-2050. Abbiamo definito questa società come non-sostenibile perché basata sull’illimitatezza, e più
precisamente su una triplice illimitatezza:

1. Illimitatezza del prodotto, che significa illimitatezza nello sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili e
non rinnovabili;

2. Illimitatezza dei consumi, che significa creazione illimitata di bisogni sempre più artificiali (poiché non
basta produrre, si deve consumare);

3. Illimitatezza dei rifiuti e dell’inquinamento, dell’aria, dell’acqua e della terra.

Questa società, dunque, non è sostenibile, e ora ne abbiamo un indice abbastanza mediatizzato: l’impronta
ecologica.

L’impronta ecologica rappresenta tutto ciò che produciamo, consumiamo e scartiamo (rifiuti) e che si
traduce in una certa quantità di superficie che resta. La terra è limitata5 : 51miliardi di ettari. Questi ettari
poi non sono tutti produttivi, perché ci sono i fondi degli oceani che possono sempre servire per buttare
rifiuti nucleari e le cime delle montagne che servono solo per raccogliere le scatole di birra degli alpinisti
(sono inquinati o inaccessibili). Dunque la superficie utile è stata calcolata a 12miliardi di ettari. Con
7miliardi di uomini, più o meno, abbiamo una superficie possibile da sfruttare -una impronta ecologica
sostenibile- di 1.8 ettari (mappa impronta ecologica mondiale). […] Esperti dell’istituto in California6 che si
occupano di calcolare l’impronta ecologica, hanno stimato che noi paesi occidentali sorpassiamo la capacità
di rigenerazione della biosfera mediamente del 50%. Alcuni paesi come anche noi, europei-italiani-francesi
abbiamo un’impronta ecologica che è vicina a 5ettari, va detto quindi che se tutti vivessero come noi ci
vorrebbero 3 pianeti. […]
(LA DECRESCITA: UNA SFIDA PER IL FUTURO INCONTRO DIBATTITO CON SERGE LATOUCHE “PROFESSORE
EMERITO DI SCIENZE ECONOMICHE UNIVERSITÀ DI PARIS-SUD”, ORTONA VENERDÌ 21 FEBBRAIO 2014,
Trascrizione ed integrazioni a cura di Grazia BORRONE)

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