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CAPITOLO 2 : GLI STRUMENTI FINANZIARI “GREEN”

2.1 Crescita Green e Green Economy

La sfida per l’economia consiste nell’aumentare il reddito nazionale senza

avere un impatto significativo sull’ambiente, spostando l’economia da una fase

“brown” a una “green”. Il termine “green economy” è emerso negli anni ‘70 e ha

guadagnato popolarità nel 2009, quando la comunità mondiale ha iniziato a

implementare politiche sostenibili in grado di distinguere tra la crescita economica

e le emissioni di CO2 (Chen et al., 2023). La crisi finanziaria ed economica

globale ha portato la crescita verde all’agenda di nazioni e organizzazioni

internazionali (OECD, 2011).

La ricerca tradizionale sulla crescita economica non si concentra sul

cambiamento tecnologico quale strumento perché la green economy raggiunga in

tempi utili l’obiettivo prefissato della transizione ecologica. Il concetto di

equilibrio laissez-faire è un principio fondamentale nella letteratura classica sulla

crescita economica, il quale peggiora il deterioramento ambientale. Al contrario,

la crescita verde si riferisce all’uso dell’innovazione tecnologica verde per la

generazione di energia sostenibile e l’impedimento del degrado ambientale senza

compromettere il ritmo della crescita economica.

Le sfide emergenti, tra cui il cambiamento climatico, l’incertezza politica e

l’incertezza economica, sono rese più evidenti nell’economia globale.

L’incertezza delle politiche economiche è aumentata a livello globale con eventi

imprevedibili come Brexit, il conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti e la

pandemia di COVID-19. Questa incertezza identifica eventi economici

1
imprevedibili che causano cambiamenti nelle decisioni riguardo alle politiche

governative, monetarie e fiscali.

La letteratura esistente fornisce risultati misti per la relazione tra le incertezze

economiche e la qualità ambientale. Alcuni studi suggeriscono che le industrie ad

alta intensità energetica sono collegate ai processi produttivi e che l’impressione

negativa su investimenti e consumo può portare a una riduzione delle emissioni di

CO2 e dell’inquinamento mentre altri studi mostrano come le incertezze

economiche ostacolano l’uso di fonti di energia rinnovabile senza ridurre le

emissioni di CO2.

Esamineremo una ricerca condotta da Ahsan Anwar e colleghi sulla reale

possibilità di costruire un mondo “green” tenendo conto delle economie più fragili

(Anwar et al., 2024).

Lo studio ha ottenuto tre principali conclusioni. In primo luogo, evidenzia una

connessione positiva tra le reti industriali verdi e la crescita verde. Di

conseguenza, i governi delle economie fragili dovrebbero adottare politiche di

crescita favorevoli all’ambiente per promuovere la crescita “green”. A tal fine,

dovrebbero incentivare la tecnologia verde nei settori industriali e dei trasporti,

fornendo sconti fiscali e agevolazioni finanziarie per la sostituzione di macchinari

convenzionali con tecnologie eco-sostenibili. Questa promozione della tecnologia

verde non solo migliorerà l’ambiente, ma aumenterà anche la crescita economica

attraverso un aumento della produzione.

In secondo luogo, i risultati mostrano che l’incertezza nelle politiche

economiche ha un impatto positivo sulla crescita. Questo risultato è allarmante

perché potrebbe indicare che un aumento delle incertezze potrebbero ridurre la

2
tendenza degli investimenti e dei consumi di beni ad alta intensità energetica,

portando a una diminuzione delle emissioni di CO 2 e quindi a un aumento della

crescita. Pertanto, i governi delle economie fragili dovrebbero ridurre il divario

economico derivante dalle incertezze stabilendo politiche a lungo termine e

sostenibili che non siano influenzate dai cambiamenti nel regime politico. Inoltre,

dovrebbero incoraggiare il settore privato a investire di più in progetti eco-

sostenibili, tra cui progetti di energia verde e produzione di veicoli elettrici.

In terzo luogo, la ricerca sostiene che gli investimenti diretti esteri promuovono

la crescita così che i governi di questi Paesi dovrebbero agevolare il settore

finanziario affinché investa in progetti basati sull’energia verde e li incoraggi a

finanziare progetti eco-sostenibili.

È importante notare che la ricerca si basa sui dati di soli cinque paesi fragili, e

future ricerche potrebbero estendere l’analisi ad altri gruppi di Paesi.

2.1.1 L’Orange economy. L’intervento pubblico contemporaneo

La “Orange economy”, che si candida ad essere la forma economica dei

prossimi anni, rappresenta una novità ancora non del tutto conosciuta adatta a

fornire dinamiche innovative utili alla trasformazione degli scenari costruiti dalla

globalizzazione nei quali ancora mancano garanzie sociali concrete..

Questa economia, che stimola nuove forme di intervento pubblico, introduce

una configurazione del valore economico inedita, rispondendo alla necessità del

mercato di trovare ispirazioni più in linea con il principio di sostenibilità,

focalizzato dalle istituzioni europee e internazionali. Tale approccio si discosta dal

modello tradizionale, che ha mostrato nel tempo le sue vulnerabilità.

3
“Orange economy”, vedi (Buitrago Restrepo & Duque Márquez, 2013), trova il

suo fondamento nelle culture antiche dove all’arancione si associava l’idea di

cultura e creatività e così l’economia “orange” si candida ad essere una nuova

visione dell’economia sostenibile.

Questa “potente nuova economia” si concretizza in diverse sfaccettature.

Innanzitutto, il settore culturale e creativo, sebbene ancora non qualificato in

modo univoco, rappresenta una componente significativa. La sua definizione è

complessa e articolata, con implicazioni ancora da esplorare e una questione

definitoria aperta riguardo alle attività comprese al suo interno.

La composizione dei prodotti dell’economia creativa è inquantificabile in

quanto sono beni economici che hanno come caratteristiche l’essere derivati da

trasformazione di idee e conoscenza il cui valore principale è culturale o artistico

e che è utile per la diffusione, la promozione, la riproduzione, la

commercializzazione di beni o servizi sia tangibili che intangibili. Questo

comporta che le industrie creative operano un cambiamento nel modello classico

dell’economia, soddisfacendo le esigenze dei consumatori attraverso l’utilizzo

predominante di abilità, idee e talento individuale, riducendo il consumo di

materie prime che è un tema altamente rilevante in un periodo nel quale è

l’aspetto principale che si vuole curare nell’idea di trasformazione dell’economia

e correzione degli aspetti problematici della economia tradizionale.

L’Orange economy, rappresentata dal settore culturale e creativo, emerge come

una forza trainante capace di generare sviluppo e dinamismo nelle economie

regionali e nazionali. Le politiche pubbliche, sempre più orientate verso questo

settore, rispondono alla crescente consapevolezza del suo impatto positivo, come

4
evidenziato nei rapporti dell’ONU sul commercio e nello sviluppo (Cavaliere,

2024).

Questa forma di economia, caratterizzata dall’integrazione di diritto, economia,

cultura e sociologia, contribuisce ad integrare quegli elementi che consentono di

considerare l’economia alla stregua delle scienze sociali. Lo sviluppo economico e

occupazionale che si era registrato prima del lockdown nel settore, dopo una breve

pausa di rallentamento dovuto al COVID-19, ha dimostrato di essere resiliente,

influenzando positivamente l’innovazione e il benessere collettivo.

L’economia creativa ha rappresentato uno dei motori principali dell’economia

italiana, con un effetto moltiplicatore sugli altri settori così che si può parlare di

vantaggio generale dell’economia. Nonostante la difficoltà di quantificare

esattamente il suo contributo, le attività creative e culturali sono cresciute in modo

più rapido rispetto a settori tradizionali, come la produzione manifatturiera.

La creatività, espressa attraverso arte e cultura, ha dimostrato di arricchire la

vita quotidiana delle persone e ha contribuito a plasmare il mondo moderno.

L’accesso alla cultura è sottolineato anche dalle normative nazionali e

internazionali, evidenziando il ruolo cruciale dell’intervento pubblico nel

sostenere le imprese culturali e creative. L’Europa sociale di mercato promuove la

competitività economica, ma con un’attenzione crescente al benessere, favorendo

una governance che sostiene la cultura.

Tuttavia, l’Orange economy presenta diverse criticità che coinvolgono la

domanda, il modello economico che troppo spesso mostra tendenze

monopolistiche che rischiano di oscurare i vantaggi, e non di rado, a causa di furti

di proprietà intellettuali e di plagio, mostra criticità anche nel mercato del lavoro.

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Queste sfide richiedono politiche pubbliche mirate per bilanciare inefficienze e

garantire un sostegno adeguato al settore. In conclusione, l’Orange economy è una

forza dinamica che richiede una gestione olistica per massimizzare il suo impatto

positivo e affrontare le sfide emergenti (Ibidem).

2.1.2 Dal capitalismo speculativo all’economia della cultura

L’Orange economy, rappresentando un nuovo modello di produzione, si

configura come una risposta al desiderio di un cambiamento nell’economia,

mirando a superare il tradizionale focus sul profitto a tutti i costi e il modello

capitalistico. Questa transizione è guidata dai valori legati ai diciassette obiettivi

SDGs delle Nazioni Unite e all’Action plan della Commissione Europea per la

crescita sostenibile.

L’economia arancione si propone di realizzare crescita sostenibile, inclusione e

benessere sociale, integrando sia aspetti simbolici e identitari che economici.

Rappresenta un settore chiave per la sostenibilità, offrendo modelli di impiego

dei capitali che promuovono la collaborazione e riducono i divari territoriali

esistenti.

Aristotele sottolineava che la ricchezza non è il bene ultimo, ma è perseguita in

vista di qualcosa d’altro. L’Orange Economy si avvicina alla prospettiva

aristotelica di ricchezza come bene per generare altri beni, producendo reddito e

migliorando contemporaneamente il soddisfacimento dei bisogni umani della

società. Una economia del genere, che pone al centro la persona piuttosto che il

capitale è capace di integrare in sé una componente di sistema così che il ritorno si

ha anche in altri settori che ne possono sfruttare idee e innovazioni (BCE, 2024).

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Il luogo di lavoro è il posto dove le persone vogliono affermare la loro

importanza nel mondo, dare il loro contributo per la crescita ed è impensabile che

gli individui possano guidare la trasformazione della filosofia economica senza

essere loro stessi testimoni del cambiamento, della transizione e per questo

nell’orange economy gli impieghi devono essere svolti in nome della sostenibilità

affinché la stessa mission di ogni singolo impiego sia dignitosa e soprattutto più

soddisfacente rispetto ai settori industriali tradizionali dove è il lavoro e

soprattutto il guadagno a comandare ogni azione invece che il contrario.. Le

imprese culturali e creative coinvolgono micro, piccole e medie imprese,

contribuendo a ridurre le disuguaglianze e a sostenere le minoranze. Tuttavia, le

sfide finanziarie persistono, con istituti di credito che mostrano diffidenza verso

attività difficilmente quantificabili.

Per la realizzazione di questi obiettivi l’economia arancione necessità di un

cambiamento radicale nella mentalità e delle strategie diverse per i canali di

finanziamento: è necessario un rinnovamento nella metodologia attraverso attività

più mirate. L’investimento di venture capitalist, mecenati e fondazioni bancarie

svolge un ruolo cruciale nel sostenere queste attività.

La nuova economia ha postulati completamente diversi rispetto all’economia

industriale e dei servizi non solo in materia di sostenibilità: trasforma il concetto

di proprietà, l’organizzazione produttiva e soprattutto il rapporto tra pubblico e

privato. La smaterializzazione dell’economia porta a una concezione di scarsità

non solo legata ai mezzi, ma anche alla produzione in generale. La cultura diventa

economia così che non è solo produrre e quanto produrre la filosofia ispiratrice

ma anche come produrre e quale impatto crea la produzione così che la distanza

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tra istanze della collettività e del benessere ambientale viene ridotta anche se la

completa trasformazione richiede una rivisitazione completa del concetto di fare

mercato che nasconde diverse difficili sfide da affrontare.

L’Orange economy, centrata sulla produzione di beni culturali e creativi,

sottolinea la natura dei suoi prodotti come beni comuni, privi di esclusività e con

costi di riproduzione minimi, principalmente immateriali. Questo settore sfida le

categorizzazioni classiche, non rientrando né nella definizione di bene privato né

di bene pubblico, ma presentando caratteristiche di beni non rivali parzialmente

escludibili. La non rivalità, specie nei casi in cui le idee possono essere copiate e

condivise attraverso il diritto d’autore, conferisce loro un accesso controllato.

I lavoratori dell’Orange economy agiscono come imprenditori di sé stessi,

evitando lo sfruttamento del lavoro e valorizzando la dignità individuale. Questi

“cultural and creativity workers” sono altamente istruiti, di ambiente accademico

o di settori di ricerca e sviluppo, posseggono titoli non comuni e hanno capacità di

contribuire ognuno all’innovazione così che la concorrenza nel settore non è più

determinata dal prezzo ma dal livello di innovazione..

Nonostante il cambiamento paradigmatico proposto dall’Orange economy, il

modello tradizionale di finanziarizzazione e consumismo persiste come fulcro

dell’economia, creando precarietà occupazionale, incertezza nei redditi e nei

servizi sociali. Questo modello, nonostante la crisi della fabbrica tradizionale,

ostacola l’affermazione dell’Orange economy con dinamiche produttive non

convenzionali. La transizione verso questo nuovo modello richiede un cambio

culturale, economico e tecnologico, un adattamento che le politiche monetarie e

fiscali devono ancora affrontare.

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Le iniziative nell’ambito dell’Orange economy spesso coinvolgono

prevalentemente attori privati, più inclini ad abbracciare le dinamiche innovative.

Tuttavia, le istituzioni e i policy makers intervengono attraverso aiuti di Stato e

creazione di contesti fiscali o infrastrutturali per sostenere la crescita del settore.

La regolamentazione diretta del mercato culturale non è, però, l’approccio ideale

in quanto stimolare la crescita attraverso la promozione della dinamicità tra

domanda e offerta contiene gli interventi nell’alveo del consentito dall’antitrust e

della concorrenza.

La sostenibilità della qualità del capitale umano è essenziale per uno Stato,

indipendentemente dal settore di attività in cui opera. Le imprese dell’Orange

economy, spesso prive di competenze contabili-amministrative tradizionali,

richiedono un approccio innovativo e meno burocratico da parte della pubblica

amministrazione. In questo contesto, nuove azioni e programmi di sostegno

specifici possono favorire l’innovazione sociale derivante dalla cultura,

promuovendo una crescita più sostenibile e inclusiva (Cavaliere, 2024).

2.1.3 Politiche europee a sostegno

Gli sforzi per valorizzare l’economia creativa e culturale nei Paesi in via di

sviluppo sono stati ampiamente riconosciuti e promossi attraverso specifici

Rapporti sull’economia creativa pubblicati nel 2004, 2008, 2010 e 2013 dalla

Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo. In tali occasioni i

Paesi coinvolti hanno inteso che era necessario cambiare atteggiamento nei

confronti dell’ambiente e dello sviluppo e hanno prodotti diversi documenti

programmatici. Tali documenti hanno evidenziato come l’impiego delle risorse

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culturali sia un viatico per una crescita economica e un vantaggio per tutti i settori

dello sviluppo, compresa l’occupazione, grazie all’espansione delle esportazioni.

In tutto il mondo si è aperta, quindi, la corsa agli interventi pubblici per

incentivare le imprese creative e culturali che nel nuovo paradigma arancione

appaiono sicuramente più competitive e adatte a favorire lo sviluppo economico

ma a livello europeo, nonostante la possibilità di attingere ai Fondi Strutturali

Europei, non è apparsa efficace la strategia per il raggiungimento degli obiettivi

troppo spesso per un’erronea o non ottimale applicazione delle risorse.

Con l’intento di programmare un sempre maggiore impegno nella cultura e

nell’industria della cultura l’Unione Europea ha previsto per il 2014-2020 una

sempre maggiore attenzione alle politiche asset-based per il sociale, per le attività

culturali e creative integrando nell’Agenda 2018-2022, poi, linee guida per la

partecipazione culturale e la promozione di iniziative politiche coordinate per

sostenere la cultura nella crescita sociale ed economica. L’Europa ha rinnovato

poi il suo impegno anche nel “Creative Europe 2021-2027” nel quale ha fissato

«obiettivi chiari per potenziare la competitività e il potenziale economico dei

settori culturali e creativi». All’uopo si è deciso di assegnare un fondo di di 1,8

miliardi di euro, cui si sono aggiunti ulteriori 600 milioni di euro a partire dal

2022.

La creazione dell’ EACEA (Agenzia esecutiva europea per l’istruzione e la

cultura) è stata una mossa significativa, poiché gestisce finanziamenti per diversi

settori, inclusi istruzione, cultura, audiovisivi, sport, cittadinanza e volontariato.

La sua responsabilità di ricevere, valutare e finanziare proposte ritenute

10
finanziabili sottolinea l’impegno dell’Europa nel sostenere concretamente le

attività culturali e creative.

2.1.4 Il sostegno della cultura in Italia

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano prevede diverse

azioni correlate alla costituzione di fondi speciali 1 e agevolazioni fiscali, le quali

richiedono un’attenta disanima in relazione alla normativa sugli aiuti di Stato. In

particolare, «L’art. 53 del Regolamento 651/14 identifica le attività culturali e

creative soggette alle regole dell’art. 107 TFUE, sottolineando che queste si

applicano principalmente alle “attività di tipo economico” finanziate

principalmente dai contributi dei visitatori o utenti, o attraverso altre transazioni

commerciali. Al contrario, le attività culturali non conformi a questo criterio sono

escluse da tale disciplina» (BCE, 2024).

L’articolo 54 del Regolamento del 2014 si concentra sugli audiovisivi,

indicando che gli aiuti sostengono prodotti culturali, soggetti alla normativa sugli

aiuti di Stato, tranne in casi specifici. Il legislatore europeo, consapevole delle

diverse definizioni attribuite dai Paesi membri, stabilisce procedure affinché

1
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede azioni specifiche per
favorire la transizione digitale nel settore culturale e creativo, come l'Azione A2. Questo
piano mira a erogare contributi a fondo perduto a micro e piccole imprese, enti del terzo
settore e organizzazioni profit e no-profit attive in tali settori, al fine di promuovere
l'innovazione e agevolare l'adozione delle tecnologie digitali. Tuttavia, esistono delle
sfide legate alla diversità nell'interpretazione del concetto di "industrie creative e
culturali", che potrebbe creare incertezze sulle agevolazioni fiscali e normative. Alcuni
autori, come C. E. Baldi e A. Bruno, hanno affrontato questa questione analizzando
l'intervento pubblico nel settore culturale e le implicazioni della programmazione per il
periodo 2021-2027. (Cfr.: C. E. Baldi, “L’intervento pubblico in campo culturale. Il
faticoso iter di linee guida condivise” su www.aedon.ilmulino.it, n.2/2018; A. Bruno,
“Nuove considerazioni in tema di aiuti di stato per imprese culturali e creative:
tassonomie generiche, contrasti normativi e programmazione 2021-2027” su
www.ildirittoamministrativo.it, 2023.)
11
ciascuno Stato dell’UE classifichi in modo accurato i prodotti culturali, al fine di

evitare errori nella loro identificazione.

In Italia, da anni si è assistito ad una sempre più diffusa attenzione del

legislatore riguardo al settore culturale, riflettendo il riconoscimento delle imprese

culturali come risorsa chiave per il Paese. Diversi interventi pubblici sono stati

implementati a partire dagli anni Ottanta, con azioni sempre più specifiche in

risposta alla crescente richiesta culturale. La legislazione è stata caratterizzata

dalla legge Ronchey del 1993, che ha introdotto servizi aggiuntivi nei musei,

mentre in termini di attribuzioni la riforma costituzionale del 2001 ha rimodulato

il rapporto esistente tra Stato ed enti locali sui beni culturali per consentire l’arrivo

di maggiori fondi per le iniziative culturali a livello locale e la ridefinizione delle

attribuzioni finanziarie per i beni storici e di interesse culturale che servono ai

servizi turistici che sono diventati l’economia predominante delle imprese un po’

ovunque nella penisola e soprattutto laddove il tessuto industriale non è

sviluppato.

Nonostante siano stati realizzati diversi riordini ministeriali e l’approvazione di

leggi organiche e specifiche per il settore cinematografico, il percorso legislativo

non ha sempre seguito una linea coerente, compromettendo a tratti l’efficacia

complessiva. Le politiche attuali, integrate nel PNRR, evidenziano l’impegno a

sostenere attivamente le attività culturali e creative, con particolare attenzione alla

digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, riconoscendo

l’interconnessione di queste componenti con i processi di miglioramento della

società.

12
In Italia, le istituzioni pubbliche, a cominciare dal Mibac 2, seguendo le direttive

man mano emanate dalle autorità continentali, «hanno il preciso compito di

promuovere la conoscenza, l’utilizzazione e la fruizione dei beni culturali, un

obbligo sancito dagli articoli 6, comma 1, e 112, comma 1, del Codice dei beni

culturali e del paesaggio»3.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta uno strumento

chiave per realizzare questo obiettivo, attraverso una serie di misure specifiche

destinate al settore culturale e creativo. Alla “Digitalizzazione, innovazione,

competitività, cultura e turismo” è, infatti, dedicata la missione 1 del Piano a

testimonianza dell’impegno nel perseguire l’interoperatività tra le componenti e

le filiere attive nell’ambito culturale e creativo così da apportare miglioramenti

alle società che si prodigano nel settore attraverso gli investimenti mirati alla

“innovazione”, la “modernizzazione” e la “competitività” anche in imprese non

orientate al mercato

La digitalizzazione si propone, quindi, anche come pilota dell’innovazione

culturale con le nuove tecnologie usate come strumento per la diffusione

democratica del sapere cui si attinge attivamente combattendo la diffusione delle

false credenze ed aumentando il livello di elargizione delle conoscenze.

L’impiego di queste nuove conoscenze va così a costituire la base per la creazione

di valore aggiunto in cui l’attività di impresa si arricchisce di talenti per integrare

l’innovazione alla produzione e diventare risorsa per l’intera comunità e per una

sostanziale crescita generale del Paese. Le misure sono progettate per essere

implementate in sinergia con altri settori e aree di intervento.

2
Acronimo per Ministero della Cultura
3
http://sabap_ssnu.beniculturali.it/it/505/valorizzazione-artt_-111-112
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Le azioni intraprese dall’Italia riflettono un nuovo paradigma di sviluppo

sostenibile, concentrato sulla rigenerazione territoriale e il potenziamento degli

strumenti di intelligenza artificiale. Inoltre, tali interventi si allineano agli obiettivi

dell’Agenda 2030, impegnando sia i governanti che i governati a ridefinire

l’economia a partire dalla cultura.

L’economia arancione, centrata sulla cultura e sulla creatività, emerge come un

settore particolare caratterizzato da beni comuni mancanti di esclusività. I prodotti

culturali sono immateriali, poco competitivi, e hanno costi di riproduzione bassi.

Gli attori in questo settore sono sia imprenditori che lavoratori, spesso provenienti

da background istruiti, promuovendo innovazione e sperimentazione.

Tuttavia, l’Orange economy, non definibile come bene privato o pubblico, lotta

per affermarsi nel contesto economico tradizionale dominato dalla

finanziarizzazione e dal consumismo. Cambiamenti culturali, economici e

tecnologici sono necessari, ma le politiche non si sono ancora adattate

completamente alla nuova realtà produttiva.

Le iniziative nel settore coinvolgono principalmente il privato, ma i policy

maker forniscono sostegno attraverso aiuti di Stato e creando contesti favorevoli.

È cruciale bilanciare il sostegno senza falsare la concorrenza. La formazione di

capitale umano di alta qualità è vista come essenziale per la crescita

socioeconomica.

Le imprese del settore spesso operano con asset intangibili, richiedendo

politiche pubbliche più adatte. Il PNRR e altre iniziative europee dimostrano un

impegno crescente nel sostenere l’Orange economy attraverso finanziamenti,

agevolazioni fiscali e interventi infrastrutturali.

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Il rapporto tra Italia e Orange economy è consolidato nel quadro normativo,

anche se interventi passati sono stati a tratti frammentati. La digitalizzazione è

centrale nelle nuove politiche, e la cultura è vista come fondamentale per uno

sviluppo sostenibile.

Al fine di giungere agli obiettivi prefissati a livello continentale, l’Italia si sta

dotando di strumenti di intervento oculati e diretti a promuovere quelle pratiche

che facciano risaltare collaborazione, innovazione e resilienza per creare un

modello di produzione alternativo, a fondamento culturale, in grado di sostenere

la crescita favorendo l’integrazione di ricerca e sviluppo con la sostenibilità

ambientale, la democrazia del sapere, il benessere economico diffuso.

Gli esempi internazionali mostrano come l’Orange economy possa contribuire

a una crescita economica più umana e inclusiva. In Italia, progetti come la

trasformazione di Bagnoli testimoniano del successo di tale approccio nel

generare posti di lavoro, promuovere il turismo e migliorare la qualità della vita

locale attraverso la cultura.

2.2 Le implicazioni macroeconomiche della transizione green

Attraverso il programma Next Generation UE, l’Agenda 2030 e il New Green

Deal, che fissano la data ultima per le emissioni “0” nel 2050, l’Unione europea

ha voluto imporsi come primo organismo di Stati al mondo in grado di tenere

sotto controllo il Climate Change e a tal proposito con il pacchetto “Pronti per il

55%” è stato elaborato il piano di riduzione dei gas serra rispetto a quelle del 1990

entro il 2030, con misure che includono incrementi dei prezzi sui prodotto che

aumentano le emissioni e ingenti investimenti verdi, e sarà applicato tra il 2024 e

il 2034. Il Bollettino economico 1/2024 della BCE presenta un quadro tutt’altro

15
che ottimistico per il raggiungimento degli obiettivi in quanto si prevede che

l’impatto sul PIL dei Paesi aderenti in quanto il pacchetto prevede misure

discrezionali e le economie più deboli, o le scelte politiche come nel caso

dell’Italia, possono rallentare la strada verso gli obiettivi finali.

Le misure di bilancio discrezionali che producono effetti positivi sulla

transizione ecologica sono comunemente categorizzate come misure verdi. Queste

misure, sia dal lato delle entrate che delle spese, sono identificate come tali

quando mostrano un impatto favorevole nella prevenzione o adattamento ai

cambiamenti climatici. Esse rappresentano principalmente scelte discrezionali

adottate dai governi nazionali, come ad esempio l’aumento delle imposte

sull’energia a livello nazionale o delle accise sui carburanti. Tuttavia, tali misure

non forniscono una panoramica dettagliata sul livello di entrate o spese verdi, né

considerano l’impatto delle fluttuazioni dei prezzi dei permessi di emissione

nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE (EU

Emissions Trading System, EU ETS).

Conformemente ai principi alla base delle proiezioni macroeconomiche degli

esperti della BCE e dell’Eurosistema, le misure verdi devono essere

adeguatamente dettagliate e ricevere approvazione legislativa per essere

considerate nell’esercizio di proiezione. Nell’orizzonte temporale di proiezione, le

misure di bilancio verdi integrate nell’esercizio condotto dagli esperti

dell’Eurosistema a dicembre 2023 hanno avuto un effetto complessivo contenuto

sull’inflazione e sulla crescita del PIL nell’area dell’euro. L’impatto

sull’inflazione complessiva è stimato a circa 0,1 punti percentuali in tutti gli anni

della proiezione, mentre per la crescita del PIL in termini reali si stima un effetto

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negativo di circa 0,07 punti percentuali nel 2023, -0,01 punti percentuali nel 2024,

-0,06 nel 2025 e -0,02 nel 2026.

Il combinato effetto delle misure di bilancio verdi su inflazione e crescita del

PIL varia tra i diversi Paesi: l’inflazione misurata sull’indice armonizzato dei

prezzi al consumo (IAPC) dovrebbe risalire temporaneamente nel breve periodo a

causa di un rialzo del tasso di variazione dei prezzi dell’energia 4.. Tuttavia, le

proiezioni di base formulate dagli esperti dell’Eurosistema, anche considerando

alcune misure del pacchetto “Pronti per il 55%”, potrebbero non essere sufficienti

per raggiungere appieno gli obiettivi dell’UE riguardanti la riduzione delle

emissioni, l’efficienza energetica e la produzione di energia rinnovabile

(Bollettino Economico BCE1/2024, (BCE, 2024)).

Le ragioni di tale insufficienza sono molteplici, tra cui la programmazione di

alcune misure dopo il termine dell’orizzonte temporale di proiezione nel 2026, la

necessità di recepire gli obiettivi dell’UE nelle legislazioni nazionali ed europee, e

il fatto che gli Stati membri devono ancora adempiere agli obiettivi di riduzione

delle emissioni stabiliti nel pacchetto “Pronti per il 55%” (-29% a -40% entro il

2030 rispetto ai livelli del 2005). Pertanto, le recenti proiezioni sulle emissioni

degli Stati membri indicano un divario significativo rispetto agli obiettivi dell’UE,

richiedendo ulteriori misure per ottemperare al pacchetto “Pronti per il 55%”.

Al fine di analizzare l’impatto di scenari di transizione in linea con gli obiettivi

di riduzione delle emissioni dell’UE, sono state utilizzate simulazioni basate su

modelli. Le simulazioni, condotte con il New Area-Wide Model (NAWM) con il

settore energetico disaggregato (NAWM-E)5, considerano uno scenario di


4
Cfr. su https://www.ecb.europa.eu
5
Il modello NAWM-E fonde il New Area-Wide Model (NAWM) della BCE con una struttura
disaggregata per la produzione e l’uso di energia. In questo contesto, imprese e famiglie
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riferimento basato sulle proiezioni attuali delle emissioni e sulle politiche

esistenti. Al fine di definire un prezzo di riferimento per le emissioni di anidride

carbonica, le attuali misure di bilancio relative alle emissioni sono sintetizzate in

un prezzo effettivo, calcolato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo

sviluppo economico (OCSE), pari a 87 euro per tonnellata di CO2 nel 2023.

Le simulazioni mirano a raggiungere entro il 2030 una riduzione ulteriore delle

emissioni, pari al 18%, in aggiunta alle riduzioni richieste dalle politiche esistenti,

conformemente all’obiettivo dell’UE di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030

rispetto ai livelli del 1990. Considerando che diverse combinazioni di strumenti

possono consentire il raggiungimento di tale riduzione, questo contesto prende in

considerazione le imposte sulle emissioni di anidride carbonica e, in uno scenario,

ipotizza aumenti più significativi nella produttività del settore dell’energia pulita e

una dismissione più ordinata dell’energia inquinante, senza specificare

esplicitamente i mezzi per conseguire tale risultato.

Le simulazioni basate su modelli considerano diversi scenari, come illustrato

nella tabella in fig. 5:

1. Scenario delle imposte sulle emissioni di anidride carbonica basato sui

dati dell’AIE: In questo scenario, le imposte sull’anidride carbonica

costituiscono l’unica misura per la riduzione delle emissioni. L’ipotesi si

basa sul World Energy Outlook 2022 dell’Agenzia Internazionale per

l’Energia (AIE) e prevede un aumento lineare delle imposte fino a 140

euro per tonnellata di CO2 entro il 2030. Tuttavia, si sottolinea che tali

manifestano la loro domanda di energia sia per scopi produttivi che di consumo. Questo approccio
è descritto dettagliatamente nel documento Coenen, G., Priftis, R., & Lozej, M. (2023).
Macroeconomic Effects of Carbon Transition Policies: An Assessment Based on the Ecb's New
Area-Wide Model with a Disaggregated Energy Sector. ECB Working Paper No. 2023/2819.
18
imposte da sole non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi di

riduzione dell’UE.

2. Scenario delle imposte sulle emissioni previste nel pacchetto “Pronti

per il 55%”: Anche in questo scenario, le imposte sull’anidride carbonica

rappresentano l’unica misura per la riduzione delle emissioni. Le imposte

aumentano in modo lineare fino a 225 euro per tonnellata di CO2 entro il

2030. Questo modello soddisfa l’obiettivo di riduzione delle emissioni

dell’UE entro il 2030, indipendentemente da ulteriori regolamentazioni

sulle emissioni di anidride carbonica o dal progresso tecnologico.

19
3. Scenario policy mix del pacchetto “Pronti per il 55%”: Questo scenario

contempla l’aumento delle imposte sulle emissioni di anidride carbonica

insieme a elementi diversi da tali imposte. Le imposte aumentano

linearmente fino a 180 euro per tonnellata di CO2 entro il 2030. Gli

elementi diversi includono un aumento dell’1% della produttività totale

dei fattori (PTF) nel settore dell’energia pulita durante l’orizzonte

temporale di simulazione, insieme a una maggiore elasticità di sostituzione

tra energia “sporca” ed energia pulita, nonché tra energia e altri fattori di

produzione e consumo. Questi elementi riflettono possibili cambiamenti

nella combinazione di tecnologie del settore dell’energia pulita e una

regolamentazione ambientale più rigorosa. Poiché i cambiamenti

tecnologici sono previsti su un orizzonte temporale più lungo, questo

scenario è stato ideato a scopo illustrativo per raggiungere gli obiettivi di

20
riduzione delle emissioni dell’UE, insieme agli obiettivi europei relativi

alla produzione di energia pulita e ai consumi di energia, entro il 2030.

Le imposte sulle emissioni di anidride carbonica influiscono sulla domanda di

energia, incoraggiando la sostituzione dell’energia “sporca” con quella pulita, che

è più economica per la produzione di beni energetici aggregati. L’aumento dei

prezzi dell’energia “sporca”, al netto delle imposte, insieme all’incremento del

prezzo dell’energia pulita dovuto alla domanda più elevata, comporta un aumento

complessivo dei prezzi dei beni energetici. Questo rincaro si riflette nei costi

marginali delle imprese e nei paniere di consumo delle famiglie, generando un

aumento dell’inflazione complessiva. Dal lato reale dell’economia, le imprese

vedono diminuire la redditività, mentre le famiglie sperimentano una riduzione

del reddito reale, incidendo su investimenti e consumi, e di conseguenza sul PIL.

21
Poiché le emissioni di anidride carbonica sono correlate alla produzione di

energia “sporca”, queste diminuiscono durante la transizione verde, dato che le

imprese utilizzano una maggiore quantità di energia pulita, ma globalmente una

quantità inferiore di energia per la produzione.

A seconda dello scenario considerato, l’inflazione, misurata attraverso l’Indice

Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IAPC), può aumentare da 0,2 a 0,4 punti

percentuali nel 2025 e nel 2026 rispetto allo scenario di riferimento senza misure

aggiuntive. Contestualmente, il PIL reale può registrare una diminuzione. Tali

risultati sono influenzati dall’entità delle imposte e dal grado di sostituzione tra i

diversi tipi di energia. In particolare, lo scenario delle imposte previste nel

pacchetto “Pronti per il 55%” amplifica gli effetti rispetto allo scenario basato

sulle imposte dell’AIE.

Nello scenario di policy mix del pacchetto “Pronti per il 55%”, l’aumento della

produttività totale dei fattori (PTF) nel settore dell’energia pulita migliora

l’efficienza, consentendo una maggiore produzione di energia pulita. Una

maggiore elasticità di sostituzione tra energia pulita e energia “sporca” rafforza

ulteriormente questa sostituzione, determinando una riduzione delle emissioni di

anidride carbonica, un aumento della quota di energia pulita e una diminuzione

dei consumi totali di energia. In termini complessivi, gli impatti negativi sul PIL e

sull’inflazione sono mitigati, soprattutto nel medio termine, e il PIL registra un

modesto aumento nell’immediato grazie all’effetto espansivo dell’aumento della

PTF.

È importante sottolineare che l’analisi basata sui modelli presenta limitazioni,

tra cui la mancanza di esplicita modellizzazione degli elementi normativi del

22
pacchetto “Pronti per il 55%” e delle attività relative agli investimenti verdi.

Inoltre, diverse scelte di modellizzazione, come la ridistribuzione dei proventi

delle imposte sulle emissioni o le modalità di attuazione delle politiche di

bilancio, possono influire sui risultati. Gli scenari proposti sono quindi indicativi e

riconoscono la possibilità di definire alternative che raggiungano gli stessi

obiettivi di riduzione delle emissioni con diverse implicazioni macroeconomiche.

2.2 La nuova fiscalità per lo sviluppo equo e sostenibile

L’Europa si è trovata nel recente passato di fronte alla necessità di riformare in

modo sostanziale il sistema di finanziamento del suo bilancio, a causa

dell’impatto della grave emergenza sanitaria e delle nuove sfide globali. La crisi

sanitaria ha causato una significativa caduta della produzione e del reddito tanto

che dietro alla previsione della contrazione del PIL dichiarata dal Fondo

Monetario Internazionale e la recessione cha ha colpito tutti i Paesi dell’Unione in

modi differenziati, è maturata la decisione di avviare un Piano di Ripresa

finanziato con emissione di debito in conseguenza del quale sono state necessarie

risorse adeguate dal bilancio europeo. La circostanza ha generando un dibattito

sulla natura di queste risorse e sui nuovi compiti assegnati al bilancio oltre alla

distribuzione delle risorse tra i diversi livelli di governo.

Il dibattito sul bilancio non si è limitato solo all’emergenza sanitaria, ma ha

coinvolto anche questioni di sicurezza, cambiamenti geopolitici e la necessità di

affrontare sfide come il terrorismo, le migrazioni e la sostenibilità ambientale e si

è reso ancor più necessario dopo che le crisi belliche, quella russo-ucraina e quella

israelo-palestinese, hanno avuto un forte impatto sul mercato energetico che da

sempre è il motore principale di tutta l’economia. Nella situazione che si è andata

23
a creare era ed è cruciale promuovere la competitività economica europea e

garantire la stabilità sociale di fronte alle trasformazioni rapide del mercato del

lavoro dovute alla rivoluzione tecnologica. In seguito alla crisi economica

ereditata dalla prima decade di questo secolo, le istituzioni europee e i governi

nazionali si hanno dovuto tener conto dei limiti quantitativi e della struttura di

finanziamento del bilancio ereditata, che non è più in grado di affrontare

efficientemente le nuove esigenze e adattarsi ai cambiamenti strutturali

nell’economia. La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica accentuano

l’urgenza di una riforma profonda, poiché la mobilità dei redditi di capitale e

l’elusione fiscale delle grandi imprese multinazionali creano sfide fiscali

significative.

Il dibattito sulla riforma del bilancio europeo parte dal riconoscimento della

necessità di adottare un modello di federalismo fiscale. Attualmente, la

competenza fiscale europea è concorrente con quella dei livelli inferiori di

governo, nazionale, regionale e locale, senza garantire un’autonomia fiscale a

livello europeo. Sebbene il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

stabilisca che il bilancio dell’Unione deve essere finanziato integralmente tramite

risorse proprie, l’articolo 311 definisce una procedura che concede agli Stati

membri l’ultima parola nella creazione di tali risorse, escludendo un ruolo

significativo del Parlamento europeo.

Le dimensioni del bilancio sono attualmente stabilite nel Quadro Finanziario

Pluriennale con una procedura che richiede una decisione all’unanimità del

Consiglio (con possibilità di modifiche tramite maggioranza qualificata) e

attribuisce un potere decisionale al Parlamento europeo che vota a maggioranza.

24
Tuttavia, l’attuale bilancio europeo è limitato, costituendo circa l’1% del Pil

europeo, e le risorse proprie sono principalmente derivanti da dazi doganali,

prelievi sullo zucchero e risorse legate all’IVA e al reddito nazionale lordo degli

Stati membri.

L’urgenza di riformare in modo sostanziale le dimensioni e le modalità di

finanziamento del bilancio europeo è accentuata da due fattori di cambiamento

mondiale: la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica. La globalizzazione

complica la tassazione dei redditi di capitale mobili, mentre l’elusione fiscale

delle grandi imprese multinazionali contribuisce a spostare la base imponibile

verso aree con tassazioni più favorevoli. La rivoluzione tecnologica, nel

contempo, riduce l’impiego nel settore industriale, rendendo difficile garantire

entrate stabili dall’imposta sui redditi.

È necessario, quindi, riformare non solo le dimensioni del bilancio, ma anche

la struttura di finanziamento, considerando in modo critico le attuali risorse

proprie e promuovendo un approccio più equo ed efficiente per far fronte alle

nuove sfide e ai cambiamenti strutturali dell’Unione europea.

Nel contesto europeo, l’analisi delle prospettive del federalismo fiscale deve

considerare due trasformazioni istituzionali interconnesse che si stanno

verificando contemporaneamente. Da un lato, si osserva una devoluzione di

competenze dall’ambito nazionale all’Unione europea, e parallelamente, si

verifica un trasferimento di competenze verso il basso, dagli Stati agli enti

territoriali. Questa doppia dinamica, spesso trascurata nel dibattito politico attuale,

richiede un’approfondita riflessione in quanto i due problemi vengono

comunemente esaminati separatamente.

25
Il crescente decentramento delle funzioni pubbliche verso gli enti territoriali

rappresenta un fenomeno diffuso in molti Stati dell’Unione europea. Nuove

competenze vengono assegnate ai livelli infra-statuali, e al contempo, si verificano

trasferimenti differenziati di risorse finanziarie per affrontare le necessità di spesa.

Tuttavia, la partecipazione all’Unione europea introduce nuovi vincoli e

opportunità che richiedono una considerazione più approfondita da parte di tutti i

livelli inferiori di governo.

Il modello Musgrave-Oates, basato sulla divisione di poteri tra enti centrali e

territoriali, offre una giustificazione economica per una struttura federale dello

Stato. Questo modello non solo ottimizza i benefici politici attraverso un sistema

democratico e competitivo, ma anche quelli economici, garantendo

coordinamento ed efficienza nella politica di stabilizzazione e redistribuzione a

livello centrale, e al contempo, mantenendo indipendenza e diversità a livello

territoriale nella politica allocativa.

Nel contesto europeo, questa prospettiva federale si arricchisce di elementi

originali che la differenziano dal modello tradizionale di federalismo fiscale.

L’efficienza del coordinamento e la preservazione della diversità territoriale

diventano cruciali in un’Unione caratterizzata da una crescente integrazione e

interdipendenza tra gli Stati membri. Pertanto, la riflessione sulla riforma fiscale e

sulla ripartizione delle competenze deve considerare attentamente il contesto

europeo, bilanciando la necessità di coordinamento con la preservazione della

diversità a livello territoriale (Majocchi, 2022).

2.2.1 Il modello europeo di distribuzione delle funzioni

26
La struttura teorica del federalismo fiscale, derivata dalle analisi di Musgrave e

Oates, sembra essere contraddetta dalla distribuzione effettiva delle funzioni

nell’Unione europea. Attualmente, almeno due aspetti della distribuzione delle

funzioni sollevano interrogativi:

 La politica di redistribuzione interpersonale è principalmente assegnata a

livello decentrato anziché all’Unione. Questa scelta è giustificata

teoricamente anche considerando le forti differenze nazionali nelle

preferenze relative al livello ottimale di perequazione, come suggerito

dalla letteratura.

 Anche la politica di stabilizzazione è prevalentemente affidata al livello

nazionale. Nonostante il trasferimento della gestione della politica

monetaria all’Unione europea, il ruolo della Banca centrale europea è

limitato alla stabilità dei prezzi, mentre la politica di stabilizzazione è

lasciata al coordinamento delle politiche nazionali.

Per quanto riguarda la funzione allocativa, il bilancio dell’Unione europea ha

un ruolo estremamente limitato, rappresentando solo circa l’1% del Pil europeo.

La produzione di beni e servizi pubblici rimane principalmente a livello nazionale,

sebbene con variazioni significative tra i diversi livelli di governo all’interno

dell’Unione.

Il modello di federalismo fiscale che emerge nell’Unione europea sembra più

decentrato rispetto al modello teorico derivato dalle analisi di Musgrave e Oates.

Tuttavia, la struttura federale effettiva che possa garantire efficienza e massima

decentralizzazione delle funzioni economiche pubbliche ancora non esiste. Questa

mancanza di una struttura federale ben definita può causare problemi durante la

27
transizione, in particolare riguardo all’efficacia della politica di stabilizzazione. La

crisi finanziaria del 2008 ha evidenziato la difficoltà degli Stati membri

nell’attivare politiche fiscali espansionistiche a causa dell’apertura dei mercati

nazionali e delle restrizioni imposte dalle regole di bilancio europee.

In risposta a questa sfida, durante la crisi finanziaria del 2008, i governi

europei hanno affidato la politica di stabilizzazione all’Unione europea, in

particolare all’area euro, affidando alla Banca Centrale Europea il compito di

agire attraverso il Quantitative Easing. Tuttavia, questa transizione verso una

maggiore centralizzazione è stata limitata dalla struttura aperta e globalizzata del

mercato europeo.

Il Green Deal presentato dalla Commissione europea rappresenta un potenziale

cambio di rotta nella gestione della politica di stabilizzazione e sviluppo a livello

dell’Unione europea. Questo approccio propone una politica di investimenti e

produzione di beni pubblici per accompagnare la politica monetaria, puntando non

solo sulla crescita economica, ma anche sulla redistribuzione del reddito

attraverso riduzioni fiscali e la produzione di beni pubblici che migliorino la

qualità della vita per tutte le classi sociali.

2.2.2Sostegno agli investimenti “verdi” tra aiuti di Stato e regole di bilancio

Attualmente, all’interno dell’Unione europea, la redistribuzione interpersonale

dei redditi è prevalentemente gestita a livello nazionale, con una limitata

attuazione a livello europeo. Tuttavia, la pandemia di Coronavirus ha portato a

qualche innovazione in questo settore. A livello europeo, le politiche di

perequazione territoriale sono ancora limitate ma rilevanti. Queste politiche sono

giustificate non solo per ragioni di equità, ma anche a causa delle differenze nella
28
capacità fiscale tra i paesi membri, che comportano la necessità di imporre

aliquote fiscali più elevate nelle aree meno sviluppate.

La distinzione attuale nell’Unione europea è notevole tra la redistribuzione

territoriale e quella personale del reddito. Mentre il livello europeo interviene

nella redistribuzione territoriale attraverso trasferimenti perequativi per garantire

opportunità uguali in tutte le regioni e un accesso uniforme ai servizi di base, la

gestione della politica sociale e della redistribuzione personale del reddito rimane

principalmente sotto la responsabilità degli Stati membri e delle comunità

territoriali. Tuttavia, è riconosciuto che c’è ancora molto lavoro da fare per

garantire standard minimi equi di servizi pubblici come sanità e istruzione.

Dal punto di vista politico, sembra che ci sia uno spazio limitato, almeno nel

breve termine, per rafforzare i processi redistributivi interpersonali all’interno

dell’Unione. La politica di redistribuzione interpersonale delle entrate non ha

avuto origine come politica pubblica, ma è stata tradizionalmente gestita a livello

privato e locale, basandosi sul sentimento di solidarietà che è più forte nelle

relazioni personali a livello locale. Questo sentimento di solidarietà è spesso più

efficace a livello locale, dove esistono relazioni face to face e interdipendenze

nelle funzioni di utilità.

Durante l’emergenza sanitaria, si è osservato un rinforzo delle manifestazioni

di solidarietà a livello locale, con l’coinvolgimento di individui e organizzazioni

di volontariato. Tuttavia, rimane cruciale promuovere a livello europeo la

definizione di standard comuni che limitino le disuguaglianze nella distribuzione

del reddito tra gli Stati membri. Questo dovrebbe avvenire in modo compatibile

29
con gli obiettivi del modello sociale europeo, garantendo il rispetto delle

prescrizioni dell’Articolo 3 del Trattato sull’Unione europea.

La questione della riforma della governance economica in Europa pone

l’accento sulla necessità di condividere il motivo per cui gli Stati europei debbano

cooperare prima di decidere il modo in cui farlo. Attualmente, si affrontano due

importanti passaggi: la riforma del Patto di Stabilità e Crescita, che riguarda le

regole fiscali europee, e la definizione di una Politica industriale europea, cruciale

per competere globalmente.

Le regole europee sulla concorrenza sono state originariamente create per

gestire la competizione all’interno del Mercato unico europeo, ma ora si discute

della necessità di riorientarle per promuovere un’industria “europea” competitiva

a livello mondiale. L’Amministrazione Biden ha implementato massicci

programmi di aiuti di Stato negli Stati Uniti per sviluppare tecnologie verdi,

energie rinnovabili e semiconduttori, suscitando preoccupazioni protezionistiche.

Il tema della politica industriale europea è diventato cruciale a seguito di queste

azioni degli Stati Uniti. Tuttavia, la definizione di politica industriale è complessa

e spesso si confonde con altri concetti. L’Europa, a rischio di replicare approcci

protezionistici, si interroga sulla necessità di allentare le regole che limitano gli

“aiuti di Stato” alle imprese europee.

Il problema chiave globale è l’aumento del tasso di investimento per sostenere

la crescita e soddisfare la domanda di beni e servizi necessari alla transizione

ecologica. Nonostante l’elevata liquidità, l’investimento globale rimane

insufficiente. Si sottolinea che l’obiettivo non dovrebbe essere solo garantire

30
quote di mercato, ma piuttosto espandere il mercato, favorendo la cooperazione

internazionale.

Si evidenzia che gli aiuti di Stato all’industria possono promuovere la crescita

con spillover positivi in altri settori e paesi. Le barriere al libero commercio e la

discriminazione nell’acquisizione di tecnologie per motivi geopolitici sono

considerate dannose, mentre gli aiuti di Stato per lo sviluppo possono attivare

moltiplicatori di crescita.

Si riconosce il rischio di una crescente conflittualità se la cooperazione

internazionale per affrontare il cambiamento climatico e sviluppare una Green

Economy si trasforma in una lotta economica guidata da motivazioni geopolitiche.

La necessità di una politica industriale europea è stata a lungo presente, ma la

competizione interna e la sfiducia hanno ostacolato la costruzione di una strategia

europea credibile.

Si discute della gestione dei fondi sovrani europei per finanziare investimenti

infrastrutturali di interesse europeo. Tuttavia, la mancanza di una politica fiscale e

di bilancio europea rappresenta una debolezza nella governance economica

europea. La necessità di affrontare questo deficit è sottolineata nella riforma del

Patto di Stabilità e Crescita.

In tale contesto l’Italia affronta sfide nell’utilizzo degli aiuti di Stato, legate a

interpretazioni restrittive delle regole europee da parte delle strutture ministeriali.

Si sottolinea che ottenere maggiore spazio d’azione in Europa richiede anche

capacità operative interne (Tria, 2023).

2.3 La crescita Green e lo sviluppo sostenibile

31
Negli ultimi anni, il mondo ha affrontato una serie di crisi di grande rilevanza,

tra cui la crisi ambientale, la pandemia, l’invasione dell’Ucraina, la crisi

mediorientale, lo shock energetico e la stagflazione, creando una “policrisi” che

ha sfidato i principali attori internazionali, inclusa l’Unione europea (UE). L’UE

ha storicamente esercitato un ruolo di attore primario grazie al “effetto Bruxelles”,

utilizzando regole e standard del mercato interno europeo per influenzare paesi e

l’economia globale.

Tuttavia, il passato utilizzo di questo “soft power” non sarà più sufficiente per

mantenere all’Europa un ruolo di protagonista globale. Saranno necessarie

risposte nuove ed efficaci, un cambio di passo nelle strategie e politiche di

intervento. L’Europa dovrà acquisire un potere interno ed esterno di relativa

autonomia, sviluppando una capacità di “resilienza” a livello economico e oltre,

senza necessariamente rimanere equidistante tra USA e Cina.

Una delle sfide cruciali sarà la formulazione di una politica e strategia

industriale europea in risposta alle sfide degli Stati Uniti e della Cina nella

gestione della transizione energetica e ambientale. Nel contesto della

riorganizzazione produttiva globale, le politiche industriali e gli interventi statali

stanno tornando al centro dell’attenzione, con gli Stati Uniti che hanno varato

massicci piani di sostegno alla transizione economica e industriale.

Tuttavia, tali piani, come l’Inflation Reduction Act (IRA) negli Stati Uniti,

presentano elementi protezionistici che minacciano seriamente l’economia e

l’industria europee. Ad esempio, molti sussidi saranno erogati solo se le imprese

beneficeranno di produzioni localizzate o utilizzeranno componenti fabbricate

32
negli Stati Uniti o nell’area NAFTA, violando principi fondamentali di non

discriminazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).

Il rischio concreto per l’UE è che molte imprese possano ridurre gli

investimenti in Europa per beneficiare degli incentivi statunitensi. Questo è già

evidente nei settori automobilistici, con alcune grandi aziende europee che hanno

annunciato lo spostamento di parte dei loro investimenti in Nord America.

Di fronte a questa sfida, diventa urgente per l’Europa formulare una politica

industriale comune, superando regole obsolete e rispondendo alle nuove sfide

della transizione ambientale. Sebbene siano emerse prime misure nell’ambito di

un piano strategico industriale europeo, sarà fondamentale valutarne novità e

limiti. La necessità di un’azione coordinata diventa ancora più critica data la fase

delicata attraversata dall’Italia, con rischi di stagflazione e difficoltà

nell’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

L’Unione Europea (UE) e i suoi Stati membri hanno espresso preoccupazioni

significative riguardo alle politiche protezionistiche adottate dagli Stati Uniti, le

quali hanno avuto impatti avversi sull’industria europea. Nonostante le critiche, le

reazioni americane sono state limitate, lasciando l’Europa alla ricerca di una

strategia efficace per rispondere a tali sfide.

Opzioni e Rischi: Una possibile risposta potrebbe essere l’adozione di misure

simili attraverso un “Buy European Act”, ma questa strategia rischia di innescare

un conflitto commerciale diretto con gli USA, potenzialmente danneggiando le

relazioni commerciali dell’Europa a livello globale. Inoltre, una politica di questo

tipo potrebbe generare disaccordi all’interno dell’UE, specialmente tra quei paesi

33
che sostengono il libero scambio e che potrebbero vedere minacciati i loro legami

di difesa con gli Stati Uniti.

Politica Industriale Comune: La mancanza di una politica industriale

condivisa tra gli Stati membri dell’UE complica la situazione. Tuttavia, è stata

presa la decisione di agire a livello europeo, allentando i vincoli normativi

sull’uso degli aiuti statali. Questa mossa mira a creare un quadro regolamentare

più flessibile e prevedibile, facilitando le procedure e accelerando i tempi per le

notifiche e le autorizzazioni, in particolare per i nuovi impianti di produzione di

tecnologie sostenibili.

Rischi di Distorsione del Mercato: Un allentamento eccessivo dei vincoli,

tuttavia, potrebbe distorcere il Mercato unico europeo, intensificando la

competizione tra i paesi membri e le imprese, e portando a uno spreco di risorse

pubbliche. Questo rischio è emerso durante la recente crisi energetica, quando la

sospensione temporanea dei vincoli agli aiuti di Stato ha beneficiato

principalmente Germania e Francia a scapito degli altri Stati membri.

Strategie di Mitigazione: Per prevenire ulteriori frammentazioni, è cruciale

che qualsiasi allentamento dei vincoli sia circoscritto, mirato, temporaneo e

concentrato su settori e tecnologie sostenibili di importanza strategica. Questo,

però, limita la capacità di utilizzare gli aiuti statali come risposta efficace alle

politiche industriali degli Stati Uniti e di altri grandi attori globali, evidenziando la

necessità di sviluppare approcci complementari e più ampi.

Quindi, mentre l’Europa valuta le sue opzioni, è fondamentale che qualsiasi

azione intrapresa sia ben ponderata, equilibrata e in linea con gli obiettivi a lungo

termine di integrazione e sostenibilità economica dell’UE (Guerrieri, 2023).

34
2.3.1 La comune politica industriale europea per la transizione ambientale

La necessità di una risposta europea alle politiche americane rappresenta

un’opportunità per l’Unione Europea (UE) di sviluppare una strategia e politica

industriale comune. Tale approccio dovrebbe favorire un’accelerazione verso

energie pulite e una rapida trasformazione delle strutture produttive, supportato da

adeguate risorse finanziarie a medio termine.

La crisi energetica, la guerra in Ucraina e i crescenti conflitti geopolitici hanno

messo in discussione la struttura produttiva europea, ancora orientata verso

l’energia a basso costo, settori ad alta intensità energetica e esportazioni nette

verso la Cina. Nella transizione ambientale in corso, è previsto uno spostamento

verso settori digitali e a basse emissioni di carbonio, richiedendo un’efficace

reazione europea che non si limiti a consolidare l’esistente, ma fermi il processo

di deindustrializzazione minacciando parti significative della base manifatturiera

europea.

La politica industriale comune è vista come uno strumento per garantire una

ricomposizione qualitativa dell’offerta aggregata europea nel medio termine. La

Presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen, ha sottolineato la necessità

di realizzare la transizione industriale verso emissioni zero senza creare nuove

dipendenze.

Per implementare questo piano, sono necessari investimenti industriali

focalizzati sulle tecnologie future, sull’espansione delle energie rinnovabili e

sull’innovazione industriale. Politiche attive dovrebbero supportare le imprese

private, fondamentali nell’adozione di nuove tecnologie, specialmente digitali, e

nella transizione climatica.

35
Le priorità di intervento includono la creazione di nuove imprese, il sostegno ai

processi innovativi, l’attrazione di investimenti stranieri, il miglioramento delle

istituzioni, l’elevazione delle risorse umane e delle infrastrutture a servizio del

sistema produttivo europeo, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione

industriale con paesi terzi. La creazione di grandi gruppi europei richiede una

strategia industriale comune e proiettata a medio e lungo termine.

Un nodo cruciale è la mancanza di un vero mercato comune dei capitali in

Europa, a differenza di quello americano, penalizzando la crescita delle imprese

europee e la loro competitività globale. Per sostenere la trasformazione digitale e

verde, è urgente colmare questa lacuna, accelerando l’attuazione del piano

d’azione per l’unione dei mercati dei capitali e completando le proposte legislative

esistenti (Guerrieri, 2023).

2.3.2La necessità di reperire nuove risorse: il Fondo Sovrano

La Commissione Europea ha recentemente presentato una serie di proposte

nell’ambito del Green Deal Industrial Plan, mirando a sviluppare una strategia

industriale comune per l’Unione Europea. Queste proposte includono la creazione

di un Fondo strategico europeo, la revisione degli Important Projects of Common

European Interest (IPCEI), e la formulazione di politiche attive per sostenere il

settore e le imprese private. Inoltre, è previsto un aumento della qualificazione

delle risorse umane per elevare le competenze necessarie per la transizione verde

in Europa.

Il Consiglio europeo del febbraio 2023 ha approvato la revisione e l’uso più

flessibile dei fondi europei esistenti, compresi i Piani nazionali di ripresa e

resilienza (PNRR), per rispondere alle nuove esigenze di investimento derivanti


36
dalla crisi energetica e dalla guerra in Ucraina. A metà marzo successivo, è stato

presentato il Net Zero Industry Act, il primo elemento del Piano industriale verde,

che comprende misure volte a garantire la competitività dell’industria europea a

zero emissioni.

Tuttavia, uno dei principali ostacoli è rappresentato dalla limitatezza delle

risorse destinate al finanziamento delle nuove politiche industriali. Si prevede di

sfruttare principalmente risorse già esistenti, come REPowerEU, InvestEU e

Innovation Fund. Pur riconoscendo l’importanza di utilizzare al meglio tali

risorse, si evidenzia la necessità di ulteriori investimenti per affrontare le nuove

sfide industriali e fornire risposte comuni.

Il Green Deal Industrial Plan propone la creazione di un “Fondo sovrano

europeo” a medio termine per rafforzare la competitività dell’industria europea

durante la transizione ambientale. Questo fondo avrebbe diverse finalità,

compreso il supporto a progetti innovativi e l’attrazione di investimenti privati. La

proposta, tuttavia, affronta divisioni tra i Paesi membri dell’UE, con alcuni

favorevoli e altri contrari alla creazione di debito comune e all’accorpamento delle

politiche industriali sotto la gestione centrale di Bruxelles.

Nonostante le divisioni, è da sottolineare che una politica industriale comune

rappresenterebbe un “bene pubblico europeo” essenziale per affrontare le sfide

globali. La proposta del Fondo sovrano sarebbe pertanto da sostenere, anche se la

sua realizzazione richiederà un consenso tra i Paesi membri. Il successo di tale

iniziativa sarà cruciale per il futuro dell’industria e dell’economia europee.

2.3.3La revisione del PNNR

37
Nel 2020, l’Unione Europea ha introdotto il Next Generation EU, destinando

all’Italia la più ampia quota di risorse (circa 209 miliardi di euro) tra prestiti e

sovvenzioni da utilizzare in sei anni. Questa opportunità è stata considerata unica

per rilanciare l’economia italiana, tuttavia, il successo dipendeva dall’efficace

utilizzo dei fondi europei, che a sua volta richiedeva una rapida e accurata spesa

delle risorse, riforme strutturali significative per migliorare l’efficienza

nell’allocazione delle risorse, e un utilizzo prioritario per stimolare la crescita

sostenibile e ridurre il peso del debito.

Tuttavia, dopo tre anni, l’Italia ha incontrato difficoltà su tutti e tre i fronti. La

spesa dei fondi PNRR è risultata limitata, raggiungendo solo il 6% escludendo

alcune voci specifiche. Il percorso delle riforme è incerto, con molte iniziative del

PNRR appena avviate o bloccate. Inoltre, il PNRR manca di una visione

d’insieme e di un disegno complessivo che influisca sulla crescita economica.

La possibilità di una revisione significativa e maggiore flessibilità nell’utilizzo

dei fondi europei, specialmente dal PNRR, potrebbe rappresentare un’opportunità

per l’Italia. Tuttavia, è essenziale una focalizzazione mirata degli investimenti,

evitando risorse sprecate su progetti di limitato impatto economico. È cruciale

integrare in modo coeso il PNRR con i Fondi di coesione e gli obiettivi di

REPowerEU. Tuttavia, è importante notare che queste misure non risolveranno i

problemi cronici di capacità di spesa, che richiedono riforme procedurali e

amministrative.

Il futuro a medio termine dell’economia italiana dipenderà fortemente dal

settore industriale, considerando che l’Italia rimane il secondo paese

manifatturiero d’Europa. L’ottenimento di maggiore flessibilità nei fondi europei

38
non dovrebbe essere considerato come un mezzo per compensare il divario con

paesi più ricchi come Germania e Francia, ma come un modo per migliorare la

focalizzazione degli investimenti. La revisione dei fondi dovrebbe concentrarsi

sulla selezione e la riformulazione dei progetti per conferire un disegno

complessivo agli interventi, mirando all’aumento del tasso di crescita potenziale

dell’economia italiana al livello degli altri paesi europei.

L’Italia dovrebbe sostenere e promuovere l’intero pacchetto di proposte di

politica industriale comune discusse tra i Paesi europei, compreso il Fondo

sovrano. La creazione di un’alleanza tra Paesi favorevoli a questa strategia è

essenziale per il successo, e l’Italia dovrebbe assumere un ruolo guida in questo

processo. Questo richiede chiarezza nella strategia italiana nei confronti

dell’Europa, poiché recentemente è apparsa complessa e in parte contraddittoria.

L’adozione di una politica industriale europea rappresenta una priorità per

l’Italia, ma è essenziale affiancarla a una strategia nazionale per sostenere e

promuovere il sistema produttivo italiano. Nonostante la resilienza del sistema

industriale italiano agli shock recenti, la trasformazione ambientale e tecnologica

richiede una ristrutturazione significativa per garantire la competitività nell’offerta

di beni e servizi di alta qualità e contenuto tecnologico.

Il dualismo persistente nel sistema industriale italiano, con un forte focus sulle

performance di alcune aziende medio-grandi a scapito di molte piccole imprese,

rappresenta una sfida da affrontare. Il divario di produttività tra imprese avanzate

e il resto del sistema ostacola la diffusione delle innovazioni e contribuisce a una

distribuzione inefficiente delle risorse. Un impegno mirato a colmare questo

divario è cruciale per una crescita economica sostenibile.

39
Oltre alla manifattura, i servizi giocano un ruolo sempre più rilevante nella

ristrutturazione aziendale e negli scambi internazionali. Pertanto, politiche e

interventi devono favorire lo sviluppo e la modernizzazione dei servizi,

rafforzando il legame tra manifattura e servizi per promuovere sinergie e

opportunità reciproche.

La carenza di politiche industriali e tecnologiche adeguate è evidente nel Piano

Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano, che si concentra

principalmente su riforme generali e investimenti infrastrutturali. La necessità di

scelte mirate per la modernizzazione del sistema produttivo italiano richiede

politiche che promuovano le grandi trasformazioni necessarie.

La frammentazione delle competenze tra diversi ministeri, inclusi Economia e

Finanze, Sviluppo Economico e Transizione Ecologica, rappresenta un ostacolo

per decisioni rapide ed efficienti in materia di politica industriale. Una maggiore

concentrazione delle competenze necessarie per le decisioni di politica industriale

è essenziale per un’azione coesa a livello di sistema paese.

La discussione europea sulla transizione industriale ed energetica, insieme alla

riforma del Patto di Stabilità e Crescita, richiede un approccio tattico negoziale

per ottenere flessibilità nelle nuove regole di bilancio. L’Italia dovrà cercare

alleanze con altri paesi membri, in particolare con Germania e Francia, per

garantire il successo di una politica industriale e economica orientata verso

l’Europa (ibidem).

Purtroppo, come spesso accade, gli interessi di parte comportano ritardi sui

programmi e la mancanza di una visione d’insieme del problema e questo in Italia,

in particolare, accade fin troppo spesso. Le coalizioni al governo non sono

40
omogenee, il rischio forte di decentramenti rispetto agli obiettivi proposti dalle

linee programmatiche sono all’ordine del giorno e, soprattutto quando i capitali in

gioco sono ingenti, si assiste a derive di impieghi delle finanze verso progetti

senza finalizzazioni come, ad esempio, il continuo richiamo al progetto del “Ponte

sullo stretto” senza che le linee di collegamento interne alla Regione Sicilia siano

mai state modernizzate. In Italia, poi, troppo spesso la politica viene

personalizzata e la messa in discussione di tante componenti della compagine

governativa per faccende personali pone forti dubbi sulla stabilità e sulla serietà

degli impegni presi così che si rallentano gli investimenti e la fiducia dei mercati.

In quest’ottica l’approvazione del disegno di autonomia differenziata rischia di

dare il colpo di grazia alla ripresa e alla piena applicazione del PNNR che fu

ideato per cercare di colmare il divario interno e rilanciare il Sud del nostro Paese.

Dirottare gli investimenti destinati al sud per arricchire le economie già sane del

nostro Paese è come coltivare su terreno già coltivato lasciando inaridire quello

povero riportando il Paese in un medioevo economico e se a questo si aggiunge

che spesso la gestione finanziaria diventa arma politica, come nel caso del blocco

dei Fondi di Coesione destinati alle Regioni con guida politica avversa a quella

governativa, il quadro degli obiettivi a medio termine previsti dall’Agenda 2030

diventa mera chimera.

2.4 Gli investimenti sostenibili

La sostenibilità, intesa come la capacità di soddisfare i bisogni presenti senza

compromettere quelli delle generazioni future, è un concetto di crescente

rilevanza, particolarmente in considerazione delle preoccupazioni legate al

cambiamento climatico, all’esaurimento delle risorse e all’ineguaglianza sociale.

41
Questo principio abbraccia diverse pratiche e principi volti a preservare

l’equilibrio ecologico, promuovere l’equità sociale e garantire la sostenibilità

economica per il benessere umano e la salute del pianeta nel lungo periodo.

In particolare, la sostenibilità economica implica la promozione della crescita

economica a lungo termine senza impatti negativi sulla salute sociale o

ambientale. Questo include pratiche commerciali etiche, responsabilità sociale

delle imprese e una gestione sostenibile delle risorse.

La finanza svolge un ruolo cruciale nel promuovere la sostenibilità, diventando

sostenibile quando tiene conto dei fattori ambientali, sociali e di governance

(ESG) nelle decisioni di investimento. Ciò si traduce in maggiori investimenti a

lungo termine in attività economiche sostenibili e progetti, riflettendo la crescente

importanza della finanza sostenibile nel contesto attuale.

Quando si affronta la finanza pubblica sostenibile, diventa evidente che è

necessario integrare gli aspetti sociali e ambientali nel sistema finanziario

pubblico. In altre parole, gli elementi ESG devono essere considerati nel contesto

della finanza pubblica sostenibile.

La finanza sostenibile rappresenta un settore di grande rilevanza nel panorama

finanziario contemporaneo in quanto detiene un significativo potere coincidente

col finanziare progetti rivolti alla sostenibilità. Questo settore gioca un ruolo

cruciale nel sensibilizzare sulle tematiche ambientali, sociali e di governance

(ESG), sostenendo lo sviluppo di fonti energetiche alternative e promuovendo

pratiche lavorative equilibrate e sostenibili.

Nel contesto post-Covid, caratterizzato dalla crescente globalizzazione digitale,

la finanza, attraverso lo sviluppo del Fintech, assume un ruolo essenziale secondo

42
Schilirò (Schilirò, 2024). La crisi climatica accentua l’importanza del settore

finanziario come attore primario, poiché le questioni ESG influenzano sempre più

le decisioni di investimento e le strategie aziendali.

Per comprendere appieno la finanza sostenibile, è utile richiamare il concetto di

sviluppo sostenibile, che mira a generare benefici economici, sociali ed ambientali

per un numero illimitato di stakeholders. Taccuso 6 definisce la finanza sostenibile

come l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile all’attività finanziaria,

con l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo, investendo in attività che

generino valore economico, siano utili alla società e non dannose per l’ambiente.

La finanza sostenibile integra criteri ESG nelle decisioni aziendali e di

investimento, contribuendo alla crescita economica sostenibile e affrontando le

sfide ambientali e sociali. Questo settore svolge un ruolo cruciale nel dirigere il

capitale verso iniziative favorevoli alla transizione verso un’economia più

sostenibile, mitigando i rischi legati al cambiamento climatico, all’esaurimento

delle risorse e alla disuguaglianza sociale.

A livello aziendale, la finanza sostenibile è la priorità per le imprese che

promuovono la sostenibilità ambientale, inclusiva e rispettano gli standard etici.

Le funzioni finanziarie aziendali devono ora considerare i rischi legati agli

investimenti sostenibili, come i contratti di energia rinnovabile, e adottare pratiche

ESG nell’analisi finanziaria tradizionale.

Broom (Broom, 2022) sottolinea che, oltre a contribuire all’ambiente e alla

giustizia sociale, le imprese orientate alla finanza sostenibile offrono rendimenti

più elevati per gli investitori. Questo successo è attribuito al cambiamento di

6
Finanza sostenibile: cos’è, come funziona, ESG e come investire, Consulenza vincente, 20
luglio. https://www.consulenzavincente.it/finanza-sostenibile/
43
atteggiamento dei consumatori, che preferiscono aziende in linea con i loro valori.

Inoltre, le industrie ad alta intensità di carbonio trovano sempre più difficile

raccogliere capitali, mentre le aziende sostenibili ricevono investimenti record.

La finanza sostenibile presenta diversi aspetti chiave, come la finanza verde,

sociale, gli investimenti sostenibili, l’integrazione ESG, la finanza per il clima, le

banche sostenibili, sviluppi normativi e innovazioni nei prodotti e servizi

finanziari. Tuttavia, le sfide come il greenwashing e la mancanza di

standardizzazione dei dati ESG richiedono ulteriori sforzi per far progredire

questo settore in crescita. In conclusione, la finanza sostenibile sembra destinata a

crescere nei prossimi anni, guidata dalla consapevolezza delle sfide ambientali e

sociali e dalla ricerca di performance finanziarie a lungo termine.

Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha manifestato un notevole impegno nei

confronti della sostenibilità e della finanza sostenibile. Tuttavia, come spesso

accade a Bruxelles, tale impegno si è tradotto in una serie di norme e burocrazia

che non sempre affrontano in modo efficace i problemi legati alla sostenibilità e

non sempre realizzano un modello operativo valido e socialmente inclusivo per la

finanza sostenibile. Nonostante ciò, l’UE ha elaborato un quadro normativo

europeo che mira a sostenere le aziende e il settore finanziario, incoraggiando il

finanziamento privato di progetti e tecnologie di transizione e facilitando i flussi

finanziari verso investimenti sostenibili.

È importante sottolineare il ruolo chiave della finanza sostenibile nel piano di

investimenti dell’UE all’interno del “Green Deal”, che ambisce a raccogliere 1,14

trilioni di dollari entro il 2050 per rendere l’Europa a zero emissioni. Tuttavia,

questo piano ha incontrato resistenze da parte di alcuni gruppi sociali, come gli

44
agricoltori, che si sentono danneggiati da alcune misure contenute nel programma

dell’UE. Ciò evidenzia la complessità e la difficoltà di attuare un programma di

sviluppo sostenibile che mira a soddisfare i criteri ESG (Ambientali, Sociali e di

Governance).

Le principali misure adottate dall’UE in materia di finanza sostenibile

includono il Regolamento Tassonomia (UE) 2020/852, che disciplina una

tassonomia delle attività eco-sostenibili; il Regolamento Benchmark (UE)

2019/2089, che introduce nuove categorie di indici di riferimento con

considerazioni ambientali; e il Regolamento Disclosure (UE) 2019/2088, che

impone obblighi di trasparenza informativa sulla sostenibilità per alcune tipologie

di intermediari.

Inoltre, la Commissione europea ha emendato le discipline MiFID II, IDD,

UCITS e AIFMD per favorire l’integrazione dei profili di sostenibilità nei

processi degli intermediari. Il quadro normativo è ancora in fase evolutiva, con

ulteriori proposte normative, come il Regolamento Delegato (UE) 2022/1288, che

specifica disposizioni riguardo a contenuti, metodologie e modalità di

rappresentazione delle informazioni da pubblicare da parte dei partecipanti ai

mercati finanziari e dei consulenti finanziari, entrato in vigore il 1° gennaio 2023.

Ulteriori iniziative normative da parte della Commissione Europea sono tuttora

in embrione o in programma, una di queste, risalente al luglio 2021, European

Green Bond Standard - EU GBS) «…mira a facilitare e sostenere lo sviluppo del

mercato delle obbligazioni verdi, definendo un marchio di alto livello a cui

soggetti europei e di Paesi terzi potranno assoggettarsi volontariamente in

occasione dell’emissione di un green bond» (Schilirò, 2024).

45
Lo sviluppo sostenibile, essendo una sfida che richiede considerevoli

finanziamenti, necessita di un sistema di finanza pubblica sostenibile e di

adeguate strategie finanziarie per questo la finanza pubblica gioca un ruolo

cruciale nell’implementare azioni per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo

sostenibile, quali la riduzione della povertà, la promozione della salute e del

benessere, la fornitura di un’istruzione di qualità e la lotta al cambiamento

climatico. La spesa pubblica assume un ruolo chiave nel finanziare investimenti e

tecnologie a favore dell’ambiente, oltre a stimolare gli investimenti privati

attraverso il cofinanziamento di progetti con il settore privato ma, nonostante

l’importanza della finanza pubblica, i finanziamenti richiesti per raggiungere gli

obiettivi di sviluppo sostenibile superano spesso le risorse disponibili, anche a

causa dell’alto e crescente debito pubblico che caratterizza molte economie. I

progressi verso l’Agenda 2030 sono lenti e poco omogenei, con il rischio che

alcuni obiettivi non vengano raggiunti e che milioni di persone continuino a

vivere in condizioni di estrema povertà, mentre l’ineguaglianza e i modelli di

produzione insostenibili persistono.

Per rendere fattiva la transizione green, sono necessarie raccomandazioni

drastiche tradotte in decisioni politiche ed economiche forti. Strategie come la

sostituzione dei combustibili fossili, la riduzione degli inquinanti climatici, il

ripristino degli ecosistemi, i cambiamenti nei consumi alimentari, la conversione

verso un’economia a emissioni zero e una politica demografica sostenibile sono

cruciali, richiedendo un cambiamento radicale nei modelli di consumo e

produzione.

46
La cooperazione internazionale è fondamentale per mitigare gli impatti

negativi sull’ambiente a livello globale. La finanza pubblica, sebbene importante,

non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, e quindi la

collaborazione pubblico-privato è essenziale. Gli investitori privati, sempre più

consapevoli delle sfide legate al cambiamento climatico, stanno sviluppando

modalità per misurare i rischi climatici e indirizzare i flussi di capitale verso

progetti sostenibili.

Tuttavia, affinché la finanza privata giochi un ruolo significativo nella lotta al

cambiamento climatico, potrebbe essere necessario un cambiamento del

paradigma economico, abbandonando l’approccio neoclassico. L’economia

comportamentale può offrire spunti su come ambienti e contesti possano

influenzare scelte più sostenibili. La cooperazione internazionale e sforzi

significativi per riformare le normative finanziarie globali sono essenziali per

allineare gli investimenti finanziari con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. In

sintesi, la finanza sostenibile, sia pubblica che privata, si configura come uno

strumento essenziale per accelerare l’azione per il clima e gestire efficacemente i

rischi e le opportunità associati al cambiamento climatico.

2.5 I Green Bond

I Green Bond7 (o obbligazioni verdi) sono strumenti finanziari utilizzati per

raccogliere fondi destinati a progetti ecosostenibili. Questi titoli di debito possono

essere emessi da varie entità, tra cui imprese, banche, Stati e organismi

sovranazionali.

7
Le obbligazioni verdi sono un sottoinsieme di obbligazioni obbligatorie, insieme alle
obbligazioni sociali, di sostenibilità e legate alla sostenibilità, concepite per promuovere progetti
ambientali e sociali. Queste obbligazioni forniscono risorse finanziarie, finanziano progetti sociali
e ambientali e sostengono attività sociali.
47
Secondo l’International Capital Market Association (IMCA), i Green Bond

sono definiti come strumenti obbligazionari i cui proventi sono utilizzati

esclusivamente per finanziare o rifinanziare progetti ambientali. Questi progetti

devono essere allineati con i quattro principali componenti dei Green Bond

Principles (GBP):

1. Utilizzo dei proventi (Use of Proceeds): I proventi devono essere

utilizzati per finanziare o rifinanziare progetti che generano benefici

ambientali.

2. Processo di valutazione e selezione del progetto (Process for Project

Evaluation and Selection): L’emittente deve comunicare in modo chiaro e

trasparente agli investitori gli obiettivi di sostenibilità ambientale e i

processi con cui si determina la compatibilità dei progetti scelti con i

criteri ambientali.

3. Gestione dei proventi (Management of Proceeds): I proventi devono

essere registrati e tracciati in un sistema informativo controllato

dall’emittente.

4. Attività di reporting (Reporting): Gli emittenti sono tenuti a mantenere

aggiornate le informazioni riguardanti l’uso dei proventi almeno una volta

all’anno.

L’IMCA ha individuato quattro tipologie di Green Bond, ciascuna delle quali

deve essere allineata con i GBP:

1. Green Bond con utilizzo dei proventi di tipo standard: Questi titoli

permettono al sottoscrittore di agire nei confronti dell’emittente nel caso in

cui questi non sia in grado di restituire il capitale investito.

48
2. Green Bond sui ricavi: Questi titoli di debito hanno un rimborso garantito

dai flussi di cassa ottenibili dai progetti green finanziati.

3. Green Bond di progetto: Questi titoli sono emessi per uno o più progetti

green per i quali l’investitore è esposto direttamente ai rischi del progetto.

4. Green Bond cartolarizzato: Questi titoli sono a garanzia di uno o più

progetti green, i cui flussi di cassa provenienti dalle attività sottostanti

cartolarizzate costituiscono la principale fonte di rimborso.

I GBP raccomandano agli emittenti di avvalersi di uno o più revisori esterni

indipendenti per confermare l’allineamento dei Green Bonds alle linee guida e per

verificare che i fondi raccolti siano effettivamente utilizzati per gli scopi previsti

inizialmente. Questo processo è noto come “second opinion”.

Le caratteristiche finanziarie dei green bonds non sono dissimili da quelle delle

obbligazioni convenzionali. L’elemento distintivo è l’obbligo di utilizzare i

proventi raccolti per finanziare attività economiche sostenibili dal punto di vista

ambientale.

Il mercato dei green bonds ha registrato una crescita esponenziale tra il 2014 e

il 2022, grazie all’ingresso nel mercato di operatori dei paesi emergenti, alla

crescente attenzione delle istituzioni sovranazionali al tema della sostenibilità

ambientale e alla sottoscrizione dell’Accordo di Parigi sul clima nel 2015.

Nel 2007, la Banca Europea per gli Investimenti ha emesso la sua prima

obbligazione verde per finanziare progetti di energia rinnovabile. Nel 2015, la

Banca Popolare Cinese ha pubblicato le proprie linee guida in materia di

obbligazioni verdi.

49
In Europa, il primo paese a emettere obbligazioni verdi sovrane è stata la

Polonia nel 2016. Successivamente, hanno emesso titoli di Stato green Irlanda,

Belgio e Olanda. Più recentemente, la Spagna, la Francia e la Germania hanno

emesso obbligazioni verdi per finanziare vari progetti ecosostenibili.

Il mercato italiano dei green bonds, sebbene in costante crescita, registra

ancora un certo ritardo rispetto ai principali paesi europei. Nel marzo 2021, lo

Stato italiano ha emesso il suo primo BTP green.

Nel complesso, la percentuale del volume mondiale di titoli della specie emessi

dall’UE ha raggiunto il 21 per cento nel 2021 e le obbligazioni verdi

rappresentano circa il 3-3,5 per cento dell’emissione totale di obbligazioni.

2.5.1 La regolamentazione nella UE

La Banca Europea per gli Investimenti ha emesso il suo primo green bond nel

2007 per finanziare progetti di energia rinnovabile. Nel 2015, la Banca Popolare

Cinese ha pubblicato le sue linee guida sui green bonds.

In Europa, la Polonia è stata il primo paese a emettere obbligazioni verdi

sovrane nel 2016. Successivamente, Irlanda, Belgio e Olanda hanno emesso titoli

di Stato green. Più recentemente, Spagna, Francia e Germania hanno emesso

obbligazioni verdi per finanziare vari progetti ecosostenibili.

Il mercato italiano dei green bonds, pur in crescita costante, mostra ancora un

ritardo rispetto ai principali paesi europei. Nel marzo 2021, l’Italia ha emesso il

suo primo BTP green.

Nel 2021, la percentuale del volume mondiale di titoli della specie emessi

dall’UE ha raggiunto il 21% e le obbligazioni verdi rappresentano circa il 3-3,5%

dell’emissione totale di obbligazioni.


50
Per prevenire il greenwashing8, il Regolamento EUGB (european green bond)

prevede alcune disposizioni in materia di informativa volontaria al pubblico per le

obbligazioni commercializzate come obbligazioni ecosostenibili. Entro il 21

dicembre 2024, la Commissione europea pubblicherà linee guida che definiscono

modelli per l’informativa volontaria per gli emittenti di obbligazioni della specie.

Gli articoli 22-43 del Regolamento EUGB disciplinano i requisiti e le attività

dei revisori esterni. Per poter svolgere l’attività, i revisori devono essere registrati

presso l’ESMA9 (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) e

soddisfare una serie di requisiti, tra cui il possesso, da parte dell’alta dirigenza e

dei membri del consiglio di amministrazione, di “sufficiente buona reputazione”,

di sufficienti competenze e qualifiche professionali e di esperienza in specifiche

attività come la garanzia e il controllo della qualità.

Viene introdotto l’obbligo, per i revisori esterni, di notificare all’ESMA

eventuali modifiche sostanziali alle informazioni fornite nella domanda di

registrazione, prima che tali modifiche vengano attuate.

8
Il “greenwashing” è un termine usato per descrivere le azioni di un’organizzazione che
esagera o falsifica il proprio impegno o contributo alla sostenibilità. Questa strategia di marketing
può riguardare un’organizzazione, un prodotto finanziario o un servizio. In Italia, tali pratiche sono
considerate ingannevoli e sono regolamentate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato.
9
L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) è un’autorità
indipendente dell’UE il cui obiettivo è migliorare la protezione degli investitori e promuovere
mercati finanziari stabili e ordinati.
Gli obiettivi dell'agenzia sono tre:
 tutela degli investitori - garantire un migliore soddisfacimento delle esigenze finanziarie
dei consumatori e rafforzare i loro diritti in quanto investitori, riconoscendo al tempo
stesso le loro responsabilità
 corretto funzionamento dei mercati - promuovere l'integrità, la trasparenza, l'efficienza
e il corretto funzionamento dei mercati finanziari e una solida infrastruttura di mercato
 stabilità finanziaria - rafforzare il sistema finanziario in modo che sia in grado di
resistere agli shock e al logorio degli squilibri finanziari, e favorire la crescita economica.
L'ESMA ha inoltre il compito di coordinare le misure prese da autorità di vigilanza sui valori
mobiliari o di adottare misure di emergenza in caso di crisi.
51
Ai revisori esterni viene richiesto l’impiego di sistemi, risorse e procedure

adeguati, nonché di monitorare e valutare l’affidabilità e l’efficacia dei

meccanismi e dei dispositivi di controllo interno con cadenza almeno annuale e

adottare misure appropriate per eliminare eventuali carenze.

Si dispone che l’alta dirigenza e i membri del consiglio d’amministrazione del

revisore esterno assicurino una gestione sana e prudente del revisore,

l’indipendenza delle attività di valutazione, l’adeguata individuazione ed

eliminazione o gestione di eventuali conflitti d’interesse (effettivi o potenziali),

nonché la loro divulgazione in modo trasparente, e il costante rispetto da parte del

revisore delle disposizioni regolamentari.

I revisori esterni sono chiamati inoltre: i) ad assicurare che i loro analisti e

dipendenti, nonché qualsiasi soggetto direttamente coinvolto nelle attività di

valutazione, dispongano delle conoscenze e dell’esperienza necessarie

all’espletamento dei loro compiti; ii) ad istituire e mantenere una funzione

permanente, indipendente ed efficace di controllo della conformità per le attività

svolte, con il compito di riferire i propri risultati a un organo di sorveglianza o a

un organo di amministrazione del revisore esterno; iii) a definire politiche e

procedure interne di due diligence, tali da assicurare che gli interessi aziendali non

compromettano l’indipendenza o l’accuratezza delle attività di valutazione,

nonché procedure amministrative e contabili affidabili, solidi dispositivi di

controllo interno e di salvaguardia per i sistemi di trattamento delle informazioni;

e iv) ad attuare misure destinate ad assicurare che le revisioni pre e post emissione

di EUGB si basino su un’analisi approfondita di tutte le informazioni disponibili e

rilevanti.

52
Sono regolate le ipotesi di possibili errori nelle metodologie di valutazione o

nella loro applicazione e di esternalizzazione delle sole attività di valutazione a

prestatori di servizi terzi, dandone notizia all’ESMA. Rimane ferma, comunque, la

responsabilità dei revisori esterni per le attività esternalizzate.

È sancito l’obbligo di conservazione quinquennale della documentazione

relativa all’attività svolta e di gestione dei conflitti di interesse (effettivi o

potenziali) riguardanti, tra gli altri, gli azionisti e dipendenti del revisore nonché

gli azionisti che detengono almeno il 10 per cento dei capitali o dei diritti di voto

dei revisori esterni o di una società che è in grado di esercitare un controllo o

un’influenza dominante sui revisori.

Si vieta ai revisori esterni di fare riferimento, nelle loro revisioni, all’ESMA o

ad altra autorità competente in maniera tale da indicare o suggerire che tali organi

avallino o approvino tale revisione o qualsiasi altra attività di valutazione. Si

impone inoltre ai revisori di pubblicare e rendere disponibili sui loro siti web,

gratuitamente, le revisioni pre e post emissione e le revisioni delle relazioni

sull’impatto da loro emesse.

Si consente ai revisori esterni dei paesi terzi di prestare i propri servizi, purché

iscritti nell’apposito registro tenuto dall’ESMA. L’iscrizione ha luogo soltanto se

sono soddisfatte alcune condizioni, tra le quali l’intervenuta sottoscrizione di

accordi di cooperazione tra l’ESMA e le autorità competenti di paesi terzi il cui

quadro giuridico e di vigilanza è stato riconosciuto come effettivamente

equivalente. L’ESMA è altresì competente a revocare la registrazione, qualora

abbia fondati motivi per ritenere che il revisore esterno del paese terzo: i) agisce

in modo tale da mettere in pericolo gli interessi degli investitori o l’ordinato

53
funzionamento dei mercati; o ii) ha commesso una grave violazione delle

disposizioni di legge e regolamentari.

Gli articoli 44-67 regolano il sistema di vigilanza cui sono sottoposti gli

emittenti di EUGB e i revisori esterni da parte, rispettivamente, delle autorità

competenti e dell’ESMA. La vigilanza viene esercitata:

- a livello nazionale, dalle autorità competenti designate ai sensi

dell’articolo 31 del Regolamento (UE) 2017/1129, relativo al

prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla

negoziazione di titoli in un mercato regolamentato. Nell’esercizio

dei loro compiti le autorità competenti dispongono, in conformità

del diritto nazionale, oltre che di poteri di vigilanza e di indagine,

anche di poteri sanzionatori sotto forma di misure cautelari e di

sanzioni amministrative e altre misure amministrative. Le decisioni

adottate a fronte di riscontrate violazioni regolamentari, oltre ad

essere adeguatamente motivate e impugnabili, devono essere

pubblicate dalle autorità competenti sul loro sito web ufficiale

subito dopo che il soggetto responsabile è stato informato (art. 52)

ed è avvenuta segnalazione all’ESMA che ne dà notizia nella

relazione annuale ex art. 53;

- a livello europeo dall’ESMA che detiene i poteri di richiesta di

informazioni, di indagine generale, di ispezione in loco, di

imposizione di sanzioni pecuniarie, inflizione di penalità in mora e

di informazione pubblica ex artt. (54-63)10.

10
https://www.tidona.com/green-bonds-struttura-mercato-e-nuove-regole-europee/
54
2.5.2 Investire in green bond fa bene al portafoglio oltre che all’ambiente?

La transizione verso un’economia sostenibile richiede ingenti capitali e il

mercato obbligazionario, in particolare i green bond, svolge un ruolo cruciale in

questo processo. I green bond sono obbligazioni che finanziano progetti legati

all’ambiente e la loro popolarità è cresciuta rapidamente, con un aumento del 90%

ogni anno dal 2016 al 2021. Un esempio di questo forte interesse è la raccolta

record di 12 miliardi di euro del primo green bond dell’UE emesso nel 2021.

Secondo Goldman Sachs Asset Management (GSAM), la transizione verso

un’economia sostenibile non è più un obiettivo astratto. Aziende, governi e

istituzioni sovranazionali stanno sviluppando nuove tecnologie all’avanguardia

per accelerare il passaggio all’energia pulita. Tuttavia, la strada è ancora lunga e si

stima che saranno necessari investimenti medi annuali di 9,4 mila miliardi di

dollari fino al 2050.

I green bond hanno la stessa struttura dei bond tradizionali e non presentano

alcuna differenza significativa in termini di rendimento. La differenza principale è

che i green bond finanziano progetti o attività con chiari propositi di tutela

dell’ambiente. Sostituire parte del portafoglio obbligazionario con green bond può

avere benefici che vanno oltre il supporto degli obiettivi climatici, come il

finanziamento di edifici green che potrebbero avere un rischio di credito inferiore

nel tempo.

Nonostante la preoccupazione per il cosiddetto greenium o green premium,

ovvero la paura che investire in green bond possa comportare un costo per la

performance finanziaria, non esiste alcuna ragione teorica per cui essere ‘verde’

dovrebbe impattare sul prezzo delle obbligazioni. Anche se i green bond hanno

55
qualche costo aggiuntivo, come la necessità di una revisione da parti terze e di

certificazioni, questi costi sono in continua diminuzione.

Nonostante la forte volatilità e l’aumento dei tassi di interesse che nel 2022

hanno causato un rallentamento nell’offerta di nuovi green bond, GSAM stima

che quest’anno verranno emessi 600 miliardi di euro di obbligazioni verdi,

portando il mercato a valere più di 2.000 miliardi di euro. Questo è anche grazie

alla svolta green che le obbligazioni sovrane e corporate stanno prendendo11.

La Bioeconomia circolare paradigma di crescita

La transizione verso un modello di sviluppo sostenibile e resistente ai

cambiamenti climatici costituisce una delle sfide globali più rilevanti. La

bioeconomia emerge come un potente strumento per affrontare questa sfida,

poiché rappresenta un punto d’incontro tra diverse discipline e offre un notevole

potenziale innovativo, come evidenziato dall’Organizzazione per la Cooperazione

e lo Sviluppo Economico (OECD) nel 2009.

La bioeconomia è parte integrante di un’ampia visione chiamata “S-

economics”, che abbraccia concetti come economia verde, circolare, blu e a basse

emissioni di carbonio, oltre alla bioeconomia stessa. Questa intersezione tra

aspetti biologici ed economici ha radici nella letteratura economica, e ha dato

origine a un discorso multidisciplinare che riflette diverse prospettive sulla

relazione tra sistema economico ed ecologico.

La terminologia “bioeconomia” fu originariamente coniata dal biologo russo

Baranoff nel 1920 per descrivere un livello ottimale di sfruttamento delle risorse

ittiche in base alla capacità dell’ecosistema di rigenerare le risorse utilizzate. La

11
https://www.we-wealth.com/enterprise/goldman-sachs/news/green-bond-punti-di-forza-
portafoglio-verde
56
letteratura economica offre tre narrazioni principali sulla bioeconomia: la prima la

considera come economia delle risorse rinnovabili, la seconda come utilizzo delle

biotecnologie per promuovere lo sviluppo economico, e la terza come sistema

economico basato sulle risorse biologiche.

La prima narrazione introduce il concetto di bio-capacità e dei limiti del

pianeta nei modelli economici, considerando un bilancio dei materiali e

dell’energia per adeguare i processi produttivi e di consumo alle impronte

ecologiche generate sugli ecosistemi. In questa prospettiva, le innovazioni

dominanti mirano a migliorare l’efficienza produttiva e promuovere

comportamenti pro-ambientali.

La seconda narrazione evidenzia la bioeconomia come un processo guidato

dalla ricerca nelle biotecnologie, dove la ricerca e sviluppo (R&S) svolge un ruolo

centrale. Le politiche sono orientate a creare condizioni favorevoli

all’accelerazione della generazione di nuove conoscenze sui processi biologici e al

facilitare il trasferimento di nuovi regimi tecnologici.

Infine, la terza narrazione propone la sostituzione delle risorse fossili e non

rinnovabili con risorse biologiche e rinnovabili, mettendo al centro la conoscenza

sulle biomasse e la massimizzazione del valore derivante dal loro utilizzo. In

questa prospettiva, la bioeconomia gioca un ruolo fondamentale nella transizione

verso un’economia più sostenibile e resiliente come alle sfide ambientali.

La bioeconomia, considerata per la sua intrinseca importanza e le implicazioni

sullo sviluppo economico, è stata incorporata nelle politiche di numerosi Paesi.

Oltre 60 nazioni hanno sviluppato strategie focalizzate sulla fornitura e il consumo

di risorse biologiche rinnovabili. Queste strategie, integrate negli anni con

57
obiettivi a lungo termine come la decarbonizzazione e la mitigazione dei

cambiamenti climatici, creano una rete complessa di priorità, strumenti e azioni

che coinvolge diverse Direzioni Generali e si applica su vari livelli territoriali e

temporali.

Le misure per promuovere la bioeconomia derivano da diverse strategie e

programmi settoriali, coprendo ambiti come agricoltura, ambiente, commercio,

energia e finanza. Questa complessità ha generato la necessità di analizzare la

coerenza tra le priorità, le azioni e gli strumenti di policy, spesso implementati in

modo settoriale senza una visione integrata.

C’è una discrasia tra gli obiettivi a lungo termine delle politiche e delle

strategie e le prospettive a breve-medio termine degli attori economici. Le

sovvenzioni per lo sviluppo industriale e la ricerca e sviluppo privata sono

identificate come principali motori di innovazione nei settori emergenti, anche se

talvolta possono creare dipendenza.

La letteratura sulle strategie di business per la bioeconomia si concentra

sull’analisi dei modelli che consentono alle imprese di creare e catturare valore

attraverso nuove filiere o trasformazioni industriali più ampie. Questi modelli

enfatizzano la creazione di valore finanziario, sociale ed ambientale, con un focus

sulla comprensione di come le imprese possano cogliere opportunità di business,

sfruttando le conoscenze generate dai processi biologici o nuovi approcci legati

all’economia circolare e alla green economy.

Alcune classificazioni di modelli di business nella bioeconomia si basano

sull’innovazione dominante, distinguendo tra innovazioni tecnologiche, sociali e

organizzative. Queste categorie evidenziano come le innovazioni possono

58
generare valore utilizzando risorse biologiche, fornendo una visione chiara dei

settori chiave dell’innovazione. La comprensione di tali modelli è fondamentale

per la trasformazione industriale legata alla bioeconomia, poiché va oltre la

disponibilità di biomasse, cercando di capire come utilizzarle per creare filiere

sostenibili ad alto valore aggiunto (Lepore et al., 2021).

2.6 La trasformazione dei modelli produttivi

L’adozione di sistemi di gestione è un elemento chiave per promuovere nuove

abitudini produttive e di consumo, orientando il mercato verso scelte più

ecosostenibili. Questi sistemi sono fondamentali per l’implementazione di molti

elementi dell’economia circolare.

I prodotti/servizi Ecolabel UE si distinguono per i loro elevati standard

prestazionali e un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita. Questi

prodotti promuovono la consapevolezza e la responsabilità condivisa del

produttore.

Le organizzazioni EMAS (Eco-Management and Audit Scheme sistema

comunitario di ecogestione e audit) sono consapevoli dei propri impatti ambientali

e lavorano costantemente per aumentare l’efficienza ambientale del sistema

produttivo. Queste organizzazioni sono inclini all’innovazione tecnologica,

trasparenti nella comunicazione dei propri dati ambientali e costruiscono un

dialogo aperto con gli stakeholder.

Il nuovo standard AFNOR XP X30-901:2018 (Circular economy project

management system – Requirements and guidelines) è l’unica norma

internazionale certificabile per la gestione dei progetti di economia circolare. La

59
sua implementazione è facilitata se l’organizzazione dispone già di un Sistema di

Gestione (Qualità e/o Ambientale).

La registrazione EMAS è uno strumento per le organizzazioni che intendono

valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali. Questa registrazione

implica non solo il rispetto dei limiti di legge, ma anche il miglioramento continuo

delle prestazioni ambientali, la partecipazione attiva dei dipendenti alla vita

dell’organizzazione e la trasparenza verso le istituzioni e gli stakeholder.

La Commissione Europea ha pubblicato il rapporto “Moving towards a

circular economy with EMAS”, che evidenzia il collegamento tra il Regolamento

EMAS e l’Economia Circolare. L’obiettivo di questo documento è dimostrare che

le organizzazioni con una registrazione EMAS operano secondo i principi

dell’economia circolare.

Ecolabel UE è il marchio di qualità ecologica dell’Unione Europea che

contraddistingue prodotti e servizi con un ridotto impatto ambientale durante

l’intero ciclo di vita. Questo marchio facilita i consumatori nel riconoscere i

prodotti o i servizi che hanno un minore impatto ambientale a parità di prestazioni

e qualità rispetto agli altri.

L’adozione dei principi dell’economia circolare offre l’opportunità di

sviluppare nuovi modelli di business. Questo richiede un passaggio da un

approccio lineare a uno circolare, mettendo in discussione i modelli di business

esistenti e rispondendo alle nuove esigenze del mercato. È fondamentale

identificare modelli di produzione che siano compatibili con gli obiettivi di

sostenibilità.

60
Studi internazionali, come quelli condotti da Lacy, Rutqvist e Lamonica (Lacy

et al., 2016), hanno stimato che i benefici economici derivanti

dall’implementazione dell’economia circolare potrebbero raggiungere i quattro

trilioni di dollari entro il 2030. Questi studi hanno proposto cinque modelli di

business ( 1. Filiera circolare “fin dall’inizio”; 2. Recupero e riciclo; 3. Estensione

della vita del prodotto; 4. Piattaforma di condivisione; 5) Prodotto come servizio)

che potrebbero portare a un sistema produttivo in linea con questi obiettivi.

In Italia, è importante superare gli standard esistenti, sfruttando la

digitalizzazione per personalizzare i prodotti e i servizi offerti ai consumatori su

scala globale. Questo comporta la costruzione di catene di produzione flessibili

che operano su richiesta e aprono nuove opportunità in aree di alta complessità e

valore.

È importante considerare il processo di smaterializzazione dell’economia, che

attribuisce valore non tanto agli oggetti, ma ai significati derivati dalle esperienze

di coloro che sono coinvolti nella loro produzione e consumo. Questi significati

offrono ampi spazi per l’invenzione e la sperimentazione di nuovi processi di

creazione di senso.

La sperimentazione di nuovi modelli di business nell’era digitale dovrebbe

promuovere la trasformazione della produzione in servitizzazione 12. La

servitizzazione è un modello di business che si concentra sulla trasformazione

delle aziende dalla vendita di un bene o prodotto a un servizio.

Questa trasformazione è guidata da due fattori: la crisi economica, che ha

costretto le aziende a ridurre drasticamente gli investimenti e a rivedere le


12
Il termine servitizzazione, traduzione del termine inglese servitizazion, indica un modello di
business che si incentra sulla trasformazione delle aziende dalla vendita di un bene/prodotto a un
servizio
61
modalità di impiego della forza lavoro; e lo sviluppo tecnologico, che ha portato

alla disponibilità di mezzi di comunicazione sempre più pervasivi e performanti.

Nella servitizzazione, le aziende operano attraverso relazioni su richiesta che

mettono il produttore “al servizio” del cliente. Di conseguenza, la

modernizzazione dei servizi attraverso l’uso intensivo del digitale è diventata un

campo cruciale di innovazione sia per il settore terziario, che sta modernizzandosi

rapidamente, sia per il settore manifatturiero, che sta sperimentando nuove

relazioni di servizio con i clienti.

Anche il recupero, la manutenzione e la reperibilità dei manufatti richiedono

nuovi modelli di business, così come nuove competenze e figure professionali. È

quindi essenziale coinvolgere il sistema di formazione e di educazione nel

processo, identificando le figure professionali richieste e interfacciandosi con le

imprese e le loro esigenze.

È quindi opportuno rafforzare i meccanismi di incentivi finanziari e facilitare

l’accesso ai contributi per il lancio di progetti di ricerca dedicati alle nuove

tecnologie in collaborazione con le università e i centri di ricerca, introducendo

meccanismi premianti per le aziende virtuose.

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