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CAP.

II – PRINCIPI-GUIDA DEL DIRITTO PENALE: OFFENSIVITÀ, PROPORZIONE,


SUSSIDIARIETÀ, COLPEVOLEZZA

1. Introduzione: nozione formale di reato e limiti alla discrezionalità del legislatore penale

Nel capitolo 1 abbiamo visto che – a parte i correttivi derivanti dai criteri Engel elaborati dalla
Corte EDU – il reato è individuato essenzialmente sulla base di un mero criterio nominalistico (in
base al nomen della sanzione), e non in base ai suoi contenuti.
Ciò, ovviamente, apre una rilevantissima questione in ordine proprio ai contenuti della norma
penale e, quindi, alla individuazione dei comportamenti che potrebbero essere sanzionati con la
pena (con la sanzione, cioè, più atroce e inflittiva a disposizione dello Stato): il legislatore è
completamente libero nella scelta dei comportamenti sanzionabili con pena? Non ci sono vincoli
nella scelta incriminatrice del legislatore? Oppure il legislatore soggiace ad alcuni v ncoli nella
individuazione dei contenuti della norma penale e, quindi, nella creazione dei reati?

Ad esempio – cominciando con esempi paradossali – potrebbe il legislatore prevedere come reato i
seguenti comportamenti?
- chiunque non si fa la doccia almeno una vol a alla settimana, è punito con l’arresto;
- chiunque (non) si taglia la barba, è punito con l’arresto;
1
- chiunque indossa una gonna corta sop a il ginocchio è punito con la multa .

Passiamo ad esempi più vicin , nel tempo e nello spazio, alla nostra realtà attuale:
1) nell’articolo unico del R.D.L. 19 aprile 1937, n. 880 era stabilito che:
“il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle colonie tiene relazioni di indole coniugale
con persona suddita dell’Africa orientale italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia
tradizioni, costumi e concetti giuridici analoghi a quelli dei sudditi dell’Africa Orientale italiana, è
punito con la reclusione da 1 a 5 anni”;

2) secondo le leggi razziali del 1938, l’ufficiale di stato civile che univa in matrimonio persone di
razza diversa (es., razza ariana e razza ebraica o nera), era punito;

1 Purtroppo, gli esempi non sono tutti di mera fantasia: v. notizia apparsa su quotidiano 24 minuti il 30 aprile 2007: “le parrucchiere e
i barbieri iraniani non potranno più tagliare la barba in stile occidentale, né usare prodotti cosmetici o sfoltire sopracciglia. Lo
riferisce il quotidiano riformista Etemad. Chi non si adegua al diktat delle autorità islamiche rischia la chiusura del negozio”.
1
3) fino agli anni ’60, in Italia, costituiva reato la relazione extraconiugale;

4) fino al 1999, era punito “chiunque bestemmia”;

5) in Germania, fino agli anni ’70 era punito qualsiasi cittadino maggiorenne che aveva un rapporto
omosessuale con un altro cittadino maggiorenne, in un luogo privato; una legge analoga fu in vigore
2
in Texas fino ai primi anni di questo millennio .

6) altri raccapriccianti esempi, tratti dalla legislazione sovietica, sono forniti dalla lettura el libro Arcipelago Gulag di
Aleksandr Solženicyn

SE davvero il legislatore NON avesse vincoli nella individuazione dei reati, tutti i comportamenti
sopra esemplificati potrebbero, anche oggi, in Italia, costituire reato: sarebbe sufficiente la loro
previsione come illeciti colpiti dalla sanzione della PENA.

IN REALTÀ
esistono dei LIMITI ai quali il legislatore è subordinato nella individuazione dei REATI, nella
selezione dei comportamenti costituenti reato, nelle sue scelte incriminatrici.
Come sottolineava un grande penalista edesco dell’inizio del secolo scorso, von Liszt: “il diritto
penale è il potere dello Stato delimitato g ur dicamente. Delimitato giuridicamente nei presupposti e
nei contenuti: delimitato nell'interesse della libertà individuale”.

Tali limiti discendono dai seguenti principi:

1) PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ;
2) PRINCIPIO DI PROPORZIONE;
3) PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ (O ULTIMA RATIO);
4) PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA.

2 Tex. Penal Code § 21.06(a) (2003)), c.d. anti-sodomy law, che criminalizzava la condotta di chiunque “si intrattiene in un rapporto
sessuale deviante con un altro individuo dello stesso sesso”, legge dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema americana
Lawrence v. Texas : cfr. http://www.nytimes.com/2003/06/27/us/supreme-court-homosexual-rights-justices-6-3-legalize-gay-sexual
conduct.html.
2
Trattasi di principi di matrice LOGICO-COSTITUZIONALE

MATRICE LOGICO MATRICE


COSTITUZIONALE
limiti imposti dalla necessità di
buon funzionamento, di limiti imposti dalla Costituzione
razionalità e di coerenza quale fonte sovra-ordinata cui è
dell’ordinamento giuridico nel sottoposto anche il legislatore
suo complesso. (ordinario)

2. IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

1. Nozione
Il primo e fondamentale limite che si impone al legislatore nella scelta, nella selezione dei
comportamenti costituenti reato, discende dal principio di offensività in forza del quale

può essere previsto come REATO solo un comportamento/un fatto che OFFENDE un bene
giuridico.

Scomponiamo questa definizione nei suoi due elementi costitutivi:

- bene giuridico
è una situazione di fatto o di diritto, carica di valore, modificabile in peius per effetto di un
comportamento umano.

- offesa
è un pregiudizio, una modifica peggiorativa, che può manifestarsi in due livelli (due soglie di
offesa): - DANNO = distruzione o diminuzione di valore del bene giuridico;
- PERICOLO = probabilità del danno, messa in crisi, scuotimento della garanzia della sicurezza del
g dimento del bene giuridico.

3
In relazione ad alcuni reati risulta relativamente agevole individuare tanto il bene giuridico quanto
la relativa offesa. Ad esempio:

• Omicidio (art. 575) il bene giuridico tutelato è la vita; l’offesa ad esso arrecata si manifesta
in termini di danno (la morte);

• Tentato omicidio (artt. 575 + 56) il bene giuridico tutelato è la vita; l’offesa ad esso arrecata
si manifesta in termini di pericolo (messa in crisi, scuotimento della garanzia di sicurezza del
godimento del bene giuridico “vita”);

• Lesioni personali (art. 582) il bene giuridico tutelato è l’integrità fisica; l’offesa ad esso
arrecata si manifesta in termini di danno (la malattia nel corpo o nella mente).

2. Classificazione dei beni giuridici


I beni giuridici sono numerosissimi e possono assumere le fisionomie più diverse.
Di essi è possibile fornire una classificazione sulla scorta del criterio della “natura” del soggetto
titolare del bene giuridico offeso.
Sulla base di tale criterio possiamo distinguere:

A) BENI INDIVIDUALI, quali, ad esempio:


• vita, integrità, patrimonio, onore;
• libertà sessuale, libertà di autodeterminazione;
• libertà di movimento.

B) BENI COLLETTIVI, che a loro volta si suddividono in



B.1) BENI ISTITUZIONALI che fanno capo ad una istituzione, quali, ad esempio:
- lo Stato;
- la pubblica amminis razione;
- l’amministrazione della Giustizia.

B.2) A TITOLARITÀ DIFFUSA in quanto non appartengono ad una singola entità specifica,
ma a tutta la collettività in modo diffuso; ad esempio:
- fede pubblica;
- ec n mia pubblica,
- trasparenza e corretto funzionamento dei mercati finanziari;
- ambiente.

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3. Individuazione del bene giuridico
Come si fa ad individuare il bene giuridico protetto da una norma penale attraverso la previsione
come reato dell’offesa al medesimo arrecato?


i) Innanzitutto, occorre guardare al linguaggio impiegato dal legislatore ad esempio, menzione
espressa del bene giuridico o menzione espressa dell’offesa ad esso arrecata (es.: la morte).

ii) In mancanza di indicazioni espresse, indicazioni utili possono essere ricavate dalla:
-collocazione topografica (soprattutto per i reati collocati nel codice);
-da altri criteri interpretativi (quali l’interpretazione storica, l’interpretazione
costituzionalmente conforme, etc.).

Ad esempio, quale è il bene giuridico tutelato dal delitto di rissa di cui all’art. 588 c.p.?
Secondo l’opinione più diffusa, l’art. 588 co. 1 è posto a tutela dell’ ncolumità individuale, ma secondo un
orientamento minoritario tale bene giuridico andrebbe invece individuato nell’ordine pubblico, in particolare in quella
componente dell’ordine pubblico costituita dalla tranquillità pubblica.
Chi ha ragione?

1. A favore dell’individuazione del bene giuridico protetto dalla rissa nell’incolumità individuale depone in primo luogo
la collocazione topografica dell’art. 588 all’interno del Titolo XII (“Dei delitti contro la persona”), Capo I (“Dei delitti
contro la vita e l’incolumità individuale”), del libro econdo del codice penale.

Questo argomento è stato sottoposto a critica da chi ha messo in evidenza come “particolari contingenze d’ordine
politico, sociale, economico determinano spesso il legislatore a classificare sotto un Titolo anziché sotto un altro un
reato senza che per ciò l’oggettività g ur dica di quello venga a mutare. Si pensi alle numerose innovazioni apportate nel
codice vigente dal legislatore fascista rispetto al codice abrogato, con la soppressione o aggiunta di interi titoli e quindi
con il conseguenziale ed indiscriminato spostamento di taluni delitti”3.
Sulla scorta di tale condivisibile premessa, l’autore in parola conclude, però, negando qualsiasi rilievo, ai fini
dell’individuazione del bene giuridico protetto (dall’art. 588 e, in genere, da qualsiasi norma incriminatrice), al “criterio
topografico”: il che ci sembra una conclusione che va oltre il segno. Se è vero, infatti, che al criterio topografico non può

essere attr bu to un valore assoluto, è anche vero che esso può essere in grado di fornire indicazioni preziose 4,

3PONZ DE LEON, L’ordine pubblico quale oggetto specifico della tutela penale nel delitto di rissa, RP 1955, 581. Guardando alla
‘topografia’ originaria del codice Rocco, non sono pochi, in effetti, gli esempi di norme incriminatrici la cui collocazione sotto l’uno
o l’altro Titolo risulta(va) platealmente inidonea a fornire un’indicazione circa il bene giuridico protetto affidabile e coerente coi
valori c stituzi nali: si pensi all’originaria collocazione dell’aborto tra i delitti contro “la integrità e la sanità della stirpe”, o del duello
tra quelli contro “l’amministrazione della giustizia”, o ancora – e si tratta forse dell’ipotesi che più è stata oggetto di attenzione, e di
critica sul punto, da parte della dottrina (v. per tutti B ERTOLINO, Libertà sessuale e tutela penale, Milano, 1993, 75 ss.) – della
violenza carnale tra i delitti “contro la moralità pubblica e il buon costume”.
4V. il seguente passaggio della Relazione al Re sul codice penale: “La classificazione dei reati in categorie più o meno vaste
(titoli, capi, sezioni) è stata fatta in base al criterio dell’oggetto giuridico (interesse leso) dei reati medesimi” ( Relazione a S.M. il Re
sul codice penale, Gazz. Uff. 26 ottobre 1930, n. 6).
5
soprattutto quando – come nel caso della rissa – non risulti contraddetto da alcun evidente argomento contrario e
trovi anzi conferma anche in altri elementi.

2. Un secondo argomento a favore dell’individuazione del bene giuridico protetto dalla rissa nell’incolumità i dividuale
(e nella vita) può ricavarsi dal collegamento sistematico del primo comma dell’art. 588 con il suo secondo comma,
ove è prevista una pena più grave per l’ipotesi in cui dalla rissa derivi la lesione o la morte di una persona: secondo
comma prospetta in tal modo una sorta di progressione (che trova riscontro anche nella misura aggravata della pena
comminata) nell’offesa al medesimo bene – l’incolumità individuale (e la vita) – già pregiudicato dalla condotta di cui
al primo comma.

3. A favore dell’orientamento in esame (o meglio, a conferma dell’inaccettabilità di quello opposto) si è, in terzo


luogo, rilevato che se il bene giuridico tutelato dalla rissa fosse davvero l’ordine pubblico, la legge avrebbe richiesto
l’elemento della pubblicità del luogo.

Anche questo argomento è stato sottoposto a critica da parte di chi ha evidenziato che l’estremo della pubblicità del fatto non
è richiesto, in termini espliciti, neppure in talune norme che prevedono delitti inequivocamente posti a tutela dell’ordine

pubblico (ad es., l’associazione per delinquere di cui a ’art. 416) 5. Ma anche questa critica – a parte la non agevole
comparabilità tra associazione per delinquere e rissa nella prospettiva della rilevanza dell’estremo della pubblicità
– non coglie nel segno: al di là, infatti, della mancata previsione l gale espressa del requisito della pubblicità, è innegabile
che se davvero la rissa fosse posta a tutela dell’ordine pubblico sfuggirebbero alla punibilità ai sensi dell’art. 588 tutti
quegli episodi di violenta colluttazione che, per essersi verificati in luogo privato e chiuso al pubblico o in luogo
deserto, in nessun modo potrebbero aver offeso l’ordine pubblico: si pensi, ad es., ad un violento ‘regolamento di conti’
tra due bande rivali avvenuto all’interno di una palestra privata e chiusa al pubblico (anzi, con l’ingresso sprangato per
l’occasione per non avere ‘disturbi’ dall’esterno).

4. Se non esistesse il princip o di offensività...


Dopo questi chiarimenti sul bene giuridico e sulla sua individuazione, torniamo al principio di
offensività per mettere in luce che se tale principio non esistesse, se, quindi, il REATO non dovesse
necessariamente consis ere in un'OFFESA AD UN BENE GIURIDICO, il nostro ordinamento
penale potrebbe ispirarsi a modelli alternativi di reato, che prescindono, per l’appunto, dall’offesa
ad un bene giuridico.

Se non esistesse il principio di offensività, pertanto:


1. il reato otrebbe coincidere con il PECCATO IN SENSO RELIGIOSO: comportamenti quali
la mancata presenza alla Messa domenicale, la bestemmia, l’aborto, i rapporti sessuali

5PONZ DE LEON, op. cit., 579.


6
prematrimoniali, l’adulterio e l’omosessualità potrebbero costituire reato, in quanto comportamenti
deprecabili sul piano religioso;

2. il reato potrebbe coincidere con un COMPORTAMENTO MERAMENTE IMMORALE:


comportamenti quali il tradimento del coniuge, lo scambio di partner, i rapporti con e prostitute, il
gioco d'azzardo e l’ubriachezza potrebbero costituire reato, in quanto comportamenti deprecabili sul
piano morale;

3. il reato potrebbe coincidere con la manifestazione di PERICOLOSITÀ INDIVIDUALE e/o di


ANTISOCIALITÀ: di conseguenza, si potrebbe punire un soggetto per le sue caratteristiche biologico-
somatiche, per la sua posizione socioculturale, per l’ed cazione ricevuta, per la sua origine
etnica o provenienza geografica.
Si pensi, ad esempio, che nel codice penale sardo-piemontese del 1865 esistevano ancora reati che
perseguivano categorie di persone per le loro ab tud ni e i loro stili di vita, quali oziosi, vagabondi,
mendicanti, in quanto ritenuti pericolosi per la società borghese dell’epoca . Oggi a tali categorie
potremmo aggiungere "il cland stino", “lo zingaro".

4. il reato potrebbe coincidere con la mera VOLONTÀ CRIMINALE, con la mera intenzione
di commettere un fatto: così, potrebbe essere punita la mera “volontà”, il “desiderio” di uccidere,
di truffare, di corrompere il pubblico funzionario, etc., al di là dell’effettiva realizzazione, in un
fatto concreto, di tale volontà.

Ma il nostro ordinamento non adotta questi modelli!


La nostra legislazione pe ale è sostanzialmente conforme al principio di offensività, imposto, come
tra breve vedremo, dalla COSTITUZIONE.
Nel nostro diritto penale, grazie al principio – logico e costituzionale – di offensività, il Reato deve
consistere in un’offesa al bene giuridico.

5. Fondamento costituzionale del principio di offensività.


Il principio di offensività ha fondamento costituzionale?
Sì, anche se tale fondamento non si ritrova in una singola disposizione della Costituzione, ma
emerge da una lettura congiunta di plurime disposizioni della stessa.

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Per individuare il fondamento costituzionale del principio di offensività:

1. partiamo dall'art. 25, co. 2, Cost., ove si parla di "fatto": il diritto penale punisce i fatti, e non i
pensieri (cogitationis poenam nemo patitur); il diritto penale non punisce le cattive inte zioni!

2. leggiamo ora la parola “fatto” alla luce di una serie di previsioni costituzionali che delineano il
rapporto tra Stato e cittadino, tra autorità e individuo: è proprio in tali norme, infatti, che si può
cogliere il “volto” del diritto penale quale massima espressione di autorità dello Stato nei confronti
del cittadino-individuo.

Art. 1, co. 2 la sovranità appartiene al → →


lo Stato la sua autorità la sua massima
Popolo Art. 101, co. 1 la giustizia è
espressione di autorità, cioè il diritto penale, è
amministrata in nome del Popolo al serv z o del popolo:
il diritto penale non può quindi essere utilizzato
p r perseguire finalità trascendentali o
metafisiche o per ottenere l'obbedienza a
precetti religiosi o morali, bensì solo per
perseguire finalità terrene e rivolte,
specificamente, al benessere del popolo.

Art. 3, co. 1 principio di eguagl anza;


Art. 8, co. 1 e Art. 19 eguaglianza e libertà
nei confronti della religione; Il diritto penale non può essere strumento per
Art. 21, co. 1 liber à di pensiero ed opinione, l’imposizione coattiva delle opinioni politiche,
caratterizzante uno Stato pluralistico, laico, religiose, etiche del gruppo di maggioranza; non
ispirato a valori di tolleranza. può essere strumento di repressione del dissenso.
Tali principi costituzionali sono confermati
e rafforzati dagli artt. 9 (libertà di pensiero,
coscienza e religione) e 10 (libertà di
espressione) della Conv. EDU.

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Art. 3, co. 1 dignità dell’uomo: Il diritto penale non può ridurre l’uomo a “materiale” da
l’uomo non è riducibile ad una sottoporre a “trattamento” per reprimerne la presunta
cosa, ad un oggetto, a uno pericolosità/anti-socialità individuale; l’uomo non può
strumento per il essere punito per il pericolo che egli in futuro commetterà
raggiungimento di fini fatti di reato.
ulteriori

Art. 2 riconoscimento e
garanzia dei diritti inviolabili
dell’uomo; Il diritto penale deve fare i conti con i diritti inviolabili e
Art. 13, co. 1 la libertà in primis con il diritto alla libertà personale, e conferirvi
personale è inviolabile; il massimo rispetto compatibile con le esigenze
principi confermati anche punitive.
dall’art. 1 (diritto alla vita) e
dall’art. 5 (diritto alla libertà e
sicurezza) Conv. EDU.

Ebbene, l’unico modello di diritto penale compatibile con questo quadro costituzionale è quello di
un diritto penale strumento di protezione dei beni giuridici.

Se, pertanto, rileggiamo ora la previsione dell’art 25, co. 2, Cost. – “nessuno può essere punito se
non per un FATTO” – alla luce delle norme sopra citate, che delineano l'intera fisionomia dello
Stato, e dei rapporti Stato-individuo, disegnati dalla Costituzione, vedremo che la locuzione ‘fatto’
acquista il significato di ‘offesa ad un bene giuridico’.

6. Il principio di offensività quale vincolo per il legislatore ordinario (e per il giudice).



Quale conseguenza della sua previsione nella Costituzione il principio di offensività rappresenta
un vincolo sia per il legislatore, sia per il giudice:

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- il legislatore: deve operare la selezione dei fatti costituenti reato, individuando come tali solo i
fatti offensivi di beni giuridici (e quindi non può prevedere come reato il taglio della barba, il
rapporto sessuale prematrimoniale o extra-matrimoniale, etc.…);
- il giudice: il principio di offensività, tuttavia, vincola anche il giudice, il quale deve escludere la
sussistenza del reato ogniqualvolta manchi l’offesa ad un bene giuridico nel caso concreto sottoposto al
suo esame. Il giudice deve cioè procedere ad un'interpretazione della singola norma nel caso concreto
"conforme" al principio costituzionale di offensività, così da espungere dall’ambito di applicazione della
fattispecie incriminatrice quei comportamenti in concreto inoffensivi del bene giuridico tutelato (ne
riparleremo a proposito della interpretazione c.d. costituzionalmente conforme).

Ad esempio, “falsa testimonianza c.d. innocua”: se la falsa testimonianza (art. 372) cade su
circostanze ininfluenti sul processo decisionale del giudice, la condotta del soggetto agente –
quand’anche sussumibile nella fattispecie incriminatrice –sarà in concreto inoffensiva e, dunque,
dovrà andare esente da punizione.

7. Costituzione e beni giuridici penalmente tutelabili


La Costituzione, peraltro, non si limita ad imporre il principio di offensività, ma fornisce un’altra fondamentale
indicazione riguardante il principio di offensività. In particolare, ci fornisce indicazioni in merito a quali beni giuridici
possono essere tutelati penalmente.
Si tratta, peraltro, di una indicazione di segno olo negativo, nel senso che sulla scorta della Costituzione possiamo
procedere ad una fondamentale esclusione: NON possono essere puniti fatti che siano espressione di libertà
costituzionali, che siano conformi ai principi costituzionali. Il reato non può essere incompatibile con libertà o principi
costituzionali
Alcuni esempi di incompatibilità “sopravvenute” (sopravvenute nel momento in cui il codice penale del 1930 si è
dovuto confrontare con la Costituzione del 1948):
- Art. 553 c.p.: incitamento a pratiche contro la procreazione o propaganda a favore di
essa incompatibile con
Libertà di espressione – manifestazione del proprio pensiero (Art. 21 Cost).
- DELITTI DI SCIOPERO art. 502 c.p.: serrata e sciopero per fini
contrattuali incompatibile con
Diritto di sciopero (Art. 40 Cost).
- divieti di matrimonio previsti dalle leggi razziali del 1938
incom atibile con
Uguaglianza (Art. 3 Cost.).
- Artt. 402 ss.: delitti in materia di religione, con una tutela privilegiata per la religione
cattolica incompatibile con
Uguaglianza delle confessioni religiose e libertà di culto di cui agli artt 8, 19 Cost.

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La Costituzione ci fornisce anche un’indicazione vincolante di segno positivo?
La Costituzione ci dice quali beni giuridici devono essere necessariamente tutelati attraverso la pena?
Vale a dire, tutte le situazioni permeate di un valore costituzionalmente compatibile debbono essere tutelate con pena?
(cioè la loro offesa deve essere prevista come reato)? Tutti i beni giuridici, che alla luce della Costituzione risultano
“meritevoli” di protezione devono essere protetti attraverso il diritto penale? NO!
L’unico obbligo di penalizzazione imposto dalla Costituzione è quello di cui all’art. 13, co. 4, Cost: “è punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.

le situazioni permeate di valore costituzionalmente compatibile non debbono necessariamente essere tutelate con pena.

3. IL PRINCIPIO DI PROPORZIONE

Oltre che dal principio di offensività, le scelte del legislatore penale incontrano altri due limiti,
discendenti dal principio di proporzione e dal principio di sussidiarietà.
Si tratta di due principi che operano congiuntamente ma che, di seguito, verranno esposti
disgiuntamente solo per comodità espositiva, partendo dal principio di proporzione.

Il principio di proporzione impone una valutazione comparativa


tra benefici
e costi
del ricorso alla pena, benefici e costi per i cittadini e per la società nel suo complesso.
Non occorre mai dimenticare, infatti, che il diritto penale è un’arma a doppio taglio:

da un lato, costituisce un strumento di tutela


delle libertà e dei diritti dei consociati;

ARMA A DOPPIO TAGLIO dall’altro, impone limitazioni e sacrifici alle


libertà e ai diritti dei consociati [sia in via
preventiva con le norme (divieti, comandi), sia
successivamente con le pene].

Il legislatore, pertanto, prima di prevedere un determinato comportamento come reato, dovrebbe


soppesare i benefici e i costi di tale sua scelta incriminatrice, dovrebbe cioè usare una sorta di bilancia
a due piatti, mettendo su un piatto i benefici e sull’altro i costi derivanti dalla scelta
incriminatrice 11
derivanti dalla scelta
incriminatrice

BENEFICI COSTI

Tutela del bene giuridico 1. Sacrificio


attraverso la previsione di un →
a) della libertà individuale
→ pene detentive;
reato auspicata diminuzione

dei comportamenti offensivi di b) del patrimonio pene
quel determinato bene giuridico, pecuniarie;
e, quindi, rafforzamento della c) della dignità dell’autore del
sua tutela. reato;
2. eventuali effetti criminogeni:
a) incentivo alla commissione di
ulteriori reati (per commettere o
occultare il reato x, o per
assicurarsi il profitto del reato x,
viene commesso il reato y);
b) contagio criminale in carcere;
3. eventuali effetti
desocializzanti del carcere.
4. costi sociali della pena (ad
esempio, effetti negativi sulla

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famiglia del condannato o sul suo
gruppo sociale di appartenenza).

Solo se i benefici sopravanzano (pesano di più) dei costi, allora il legislatore potrebbe procedere a
prevedere un determinato comportamento come reato:

Esempio 1
Previsione come REATO
della sosta dell’auto fuori
dalle aree consentite (tale
BENEFICIO fino al 1967). COSTI

tutela particolarmente intensa patrimonio


del bene giuridico “corretta - sacrifici su libertà
circolazione stradale”. dignità
È un bene importante, - eventuali effetti
“compatibile” con la criminogeni:
Costituzione, ma sicuramente a) falsificazione di
di rango non primario. documenti,di
targhe, falsa
testimonianza, etc.
b) contagio
criminale in carcere.

Nel 1967 il legislatore, preso atto di questa sproporzione, ha depenalizzato il reato in parola, operando il
suo passaggio dalla categoria degli illeciti penali (reati) alla categoria degli illeciti amministrativi.

Come avviene il passaggio (c.d. depenalizzazione) di un illecito dalla categoria dei “reati”
alla categoria degli “illeciti amministrativi?

Esempio 2

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Previsione come REATO della
interruzione volontaria della
gravidanza sempre e comunque
BENEFICIO (incondizionatamente). Era così fino al COSTI
1978, vale a dire fino a quando è
rimasto in vigore l’art. 547 c.p.

tutela del bene giuridico • soliti sacrifici


“vita in fieri”. Tutela derivanti dalla pena;
delle chance di vita del •
possibili danni alla
concepito = bene di salute psicofisica della
notevolissima importan- donna, non pronta alla
za, indubbiamente com- maternità;
patibile con i valori •
fenomenodegli
costituzionali. aborti clandestini, con
conseguenti gravi rischi per
la salute fisica e la vita della
donna e del nascituro;



effetti criminogeni
incentivo a commettere
ulteriori reati: in particolare
estorsioni compiute da chi
fosse venuto a conoscenza
dell’aborto clandestino.
Il legislatore, prendendo atto di questa palese sproporzione, con la l. 194 del 1978, ha proceduto ad
una parziale decriminalizzazione dell’aborto.

Che diffe enza c’è tra decriminalizzazione e depenalizzazione?


Come avviene la decriminalizzazione?

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Esempio 3

Previsione come REATO del consumo di sostanze stupefacenti


BENEFICI COSTI

Tutela della salute, bene di notevole Sacrifici derivanti dalla pena sulla libertà,
importanza, espressamente menzionato nella il patrimonio e la dignità del condannato:
Costituzione (art. 32, co. 1); tutela della Effetti criminogeni:
sicurezza pubblica.
1) alimen azione del mercato illegale, a tutto
vantaggio delle associazioni criminose che tale
mercato controllano;
2) criminalità di conseguenza: reati patrimoniali
per procurarsi soldi per acquisto di droghe, il cui
prezzo è elevato perché sono illegali;
3) sovraffollamento carcerario: carceri piene di
autori di reati connessi all’uso e al traffico delle
sostanze stupefacenti;
4) contagio criminale nelle carceri così ben affollate;
5) ostacoli al superamento della condizione di
tossicodipendente.

Si tratta di una incriminazione che è stata a lungo oggetto di valutazioni controverse fino al
referendum del 1993, il quale ha infine decretato l’irrilevanza penale del consumo personale di
sostanze stupefacenti.

4. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ O EXTREMA (ULTIMA) RATIO

Passiamo ora ad illustrare il terzo vincolo alla scelta, da parte del legislatore, dei comportamenti
costituenti reato: il principio di sussidiarietà.

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Questo terzo limite logico-costituzionale alle scelte incriminatrici del legislatore può essere
espresso nei seguenti termini: la pena deve intervenire solo in via sussidiaria, quale ultima (o
extrema) ratio, solo quando falliscono o fallirebbero altri tipi di reazioni e interventi statali diretti a
tutelare il bene giuridico.
Si deve utilizzare la pena – cioè lo strumento più atroce della potestà statale – so o quando nessun
altro strumento (sanzionatorio o non) sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela

altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di offesa concetto della
“necessità/indispensabilità della pena”.
La pena deve essere intesa quale ultima ratio; la pena deve essere usata dal legislatore come il
bravo giocatore di carte usa l’asso di briscola: solo quando non può portare a casa il risultato
giocando altre carte!

Adesso, per meglio evidenziare il collegamento del principio di sussidiarietà con il principio di
proporzione (abbiamo detto sopra: si t atta di due principi che operano congiuntamente), vi ri-
propongo, nella prospettiva del principio di sussidiarietà, gli stessi esempi già trattati a proposito del
principio di “proporzione”.

Disponibilità di ALTRI STR MENTI SANZIONATORI NON PENALI?


1) sosta vietata (bene giuridico = circolazione stradale): sanzione amministrativa pecuniaria,
detrazione punti dalla patente; rimozione ed eventualmente sequestro del veicolo; “ganasce”;

2) consumo di sostanze stupefacenti (bene giuridico = salute): sospensione patente, sospensione


porto d’armi, sospensione passaporto, sospensione permesso di soggiorno (v. art. 75 t.u. stup.).

Disponibilità di ALTRI STRUMENTI NON SANZIONATORI ?

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3) aborto (bene giuridico = “vita del nascituro”): più che punire la gestante potrebbe essere utile
aiutare la donna e salvaguardare la vita del nascituro con mezzi preventivi, quali, ad esempio, una
consulenza individualizzata, aiuti economici e sociali affinché possa più consapevolmente ed
efficacemente assumersi la sua responsabilità verso il concepito; o, ancora prima, u a corretta e
diffusa educazione sessuale (per non parlare, poi, di interventi sul piano educativo, scolastico, che
ostino alla diffusione di un’idea commerciale e sbagliata della sessualità, specie di quella
femminile). In tal senso, ad esempio, art. 2. L. 194/78: pone a carico dei consultori familiari dei
compiti di informazione ed intervento.
Come statuito dalla Corte costituzionale tedesca con una sentenza su analoga materia del 28 giugno
1993, “un’efficace tutela della vita prenatale è possibile soltanto con, e mai contro la madre”.


Un’OCCASIONE PERSA: delitto di mutilazione degli organi genitali femminili di cui all’art. 583 bis tutela del
bene giuridico “SALUTE FISICA E PSICO-SESSUALE, DIGNITÀ DELLA DONNA” affidata in via pressoché
esclusiva alla PENA, quando, invece, in alternativa o almeno in aggiunta alla pena, un’efficace tutela del predetto bene
giuridico si sarebbe potuta ottenere:
All’estero

campagne d’informazione circa i possibili danni alla salute


In Italia
(nelle scuole, nei consultori)
Consentire riti “simbolici” alterna ivi in strutture
ospedaliere;
Concessione di asilo a donne che fuggono dal paese
d’origine per non sottoporsi (sé o le proprie figlie) alle mutilazioni
genitali femminili.

Quali sono i fondamenti costituzionali dei principi di proporzione e sussidiarietà?


Così come per il principio di offensività, non esiste una norma costituzionale ad hoc.
Anche per individuare il fondamento costituzionale di questi due principi è, quindi, necessario
procedere ad di una interpretazione sistematica, ad una lettura congiunta e coordinata di più norme
costituzionali: artt. 3, 27, co. 3, 2, 13, co. 1 Cost.


Art . 3 Cost. valutazione con criteri di ragionevolezza: il bilanciamento costi/benefici operato
dal legislat re deve essere ragionevole;

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3 → →
Art . 27 Cost. funzione della pena rieducazione. La rieducazione presuppone una certa
disponibilità del condannato a farsi rieducare; ma siffatta disponibilità mancherà sempre se il
condannato percepisce la pena come sproporzionata, eccessiva, inutile, vessatoria.

sacrificabili SOLO
- in termini proporzionali

Art. 2 Cost. diritti inviolabili dell’uomo; all’offesa al bene giuridico

Art. 13, co. 1, Cost. libertà personale inviolabile; realizzata;
- quando non ci siano altri
strumenti di tutela, egualmente
efficaci del bene giuridico.

5. IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA (rinvio)

Oltre che dai principi di offensività, proporzione e sussidiarietà, un ulteriore limite per il legislatore
nella individuazione dei reati (vale a dire nelle sue scelte incriminatrici) è costituito dal principio di
colpevolezza.
In virtù di tale principio, il reato deve essere personalmente rimproverabile al suo autore. Deve,
cioè, essere possibile muovere all’autore del fatto di reato un rimprovero del seguente tipo: perché
non hai agito diversamente pur potendo agire diversamente? perché lo hai fatto pur avendo avuto
la possibilità di non farlo?
Il principio di colpevolezza limita la responsabilità penale alle sole conseguenze controllabili dal
soggetto agente, non for uite, non al di fuori della sua sfera di controllo.
Ma sul punto dovremo tornare diffusamente in seguito. Per il momento, ci basti sottolineare che il
fondamento cost tuzionale del principio di colpevolezza si desume dagli artt. 27, co. 1, 27, co. 3, e
25, co. 2, Cost.

Giunti al termine di queste prime lezioni, possiamo fornire una definizione più sofisticata di reato che ci acc
mpagnerà nelle prossime lezioni:
reato = comportamento, tenuto colpevolmente dal suo autore, offensivo di un bene giuridico, il quale, nel rispetto dei
principi di proporzione e sussidiarietà, è sanzionato con la pena.

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