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LE CONSEGUENZE DEL REATO

PENE PRINCIPALI E PENE ACCESSORIE


L’afflizione, intesa come irrogazione di una sofferenza consistente nella limitazione
dei diritti, o nella compressione della libertà di un soggetto, è caratteristica comune
a tutte le sanzioni.
Ciò che differenzia la pena dalle altre sanzioni è invece il criterio nominalistico: è
sanzione penale la conseguenza giuridica di un determinato fatto illecito designata
normativamente come pena; essa rappresenta la conseguenza giuridica legata al
compimento di un fatto previsto dalla legge come reato.
Le pene sono assoggettate al principio di stretta legalità e personalità (art. 25 e 27
Cost.) e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Si articolano in principali ed accessorie.
LE PENE PRINCIPALI
Le pene principali sono contenute:
a. ART 17 CODICE PENALE
“Le pene principali stabilite per i delitti sono:
1) [la morte]
2) l'ergastolo 
3) la reclusione 
4) la multa 
Le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono:
1) l'arresto 
2) l'ammenda”
b. Art. 52 d.lgs. n. 274/2000 con il quale sono stati introdotti la permanenza
domiciliare e il lavoro di pubblica utilità quali pene principali per i reati di
competenza del giudice di pace
La mancata indicazione in una fattispecie penale di almeno una di queste pene deve
indurre ad escluderne la natura penale (indefettibilità delle pene principali)
Non rientra più tra le pene principali contemplate dal nostro ordinamento
la pena di morte: fu dapprima eliminata dal codice penale nel 1948 (ART 27) ed in
seguito soppressa e sostituita con la pena dell’ergastolo anche nel diritto penale
militare di guerra nel 1994.
Reclusione ed arresto sono le pene detentive temporanee previste rispettivamente
per delitti e contravvenzioni. La necessaria separazione dei condannati all’una e
all’altra pena è sancito dagli artt. 23 e 25 del codice penale, tuttavia tale principio
non trova nella realtà effettiva attuazione a causa delle condizioni di oggettivo
sovraffollamento degli istituti stessi.
Ai sensi dell’art. 23 la reclusione “si estende da 15 giorni a 24 anni ed è scontata in
uno degli stabilimenti a ciò destinati”; l’articolo 25 dispone che l’arresto “si estende
da 5 giorni a 3 anni”
L’ergastolo consiste invece in una detenzione perpetua (almeno formalmente) e
rappresenta la pena più grave prevista dal nostro ordinamento.
Il carattere della perpetuità risulta tuttavia profondamente eroso tenendo in
considerazione alcuni istituti:
- Liberazione condizionale dopo aver scontato almeno 26 anni di pena (termine
abbreviabile in caso di partecipazione del condannato all’opera di
rieducazione)
- Permessi premio dopo l’espiazione di almeno 10 anni
- Regime di semilibertà trascorsi 20 anni
Da pena fissa è stata quindi trasformato in una sanzione ispirata al c.d. “modello
dell’esecuzione progressiva” in base al quale ad atteggiamenti positivi del
condannato corrisponde un regime esecutivo più elastico.
Numerosi i dubbi circa la legittimità costituzionale dell’ergastolo: il carattere della
perpetuità mal si concilia con il principio per cui le pene devono tendere alla
rieducazione. Tuttavia la Corte Costituzionale ne ha negato l’incostituzionalità con le
ss. 264/1974 e 168/1994:
- Ha negato che la rieducazione del condannato sia l’unica funzione e l’unico
fine della pena 8concezione polifunzionale)
- Ha affermato che la perpetuità non è assoluta, essendo prevista la possibilità
che il soggetto riacquisti la libertà attraverso i vari istituti visti sopra
Constatando quindi che l’ergastolo “non riveste più il carattere della perpetuità”, ha
invece dichiarato illegittima l’applicazione dell’ergastolo al minore imputabile.
La permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità sono pene principali per i
reati sottoposti alla competenza del giudice di pace (oltre che misura alternativa la
prima e sanzione sostitutiva la seconda).
La riforma riconducibile al d.lgs. n. 274/2000 ha attribuito al giudice di pace la
competenza relativa ad una serie di reati previsti nel codice penale, con un duplice
scopo:
I. Ridurre il carico gravante sull’autorità giudiziaria ordinaria
II. Limitare l’ambito applicativo delle pene detentive in relazione a reati di
modesta gravità ma numericamente frequenti
Si tratta comunque di pene applicabili indifferentemente ai delitti ed alle
contravvenzioni.
La permanenza domiciliare comporta l’obbligo di rimanere presso la propria
abitazione o in altro luogo di privata dimora; la durata della pena può essere
ricompresa tra 6 e 45 giorni e normalmente si esegue nei giorni di sabato e
domenica oppure su richiesta del condannato continuativamente.
All’obbligo di non allontanarsi dall’abitazione può sommarsi il divieto di accedere a
luoghi specifici nei giorni in cui il condannato non sia obbligato alla permanenza
domiciliare.
Il lavoro di pubblica utilità consiste invece nella prestazione di attività non retribuite
a favore della collettività; si tratta di misura sanzionatoria applicabile esclusivamente
su richiesta del condannato.
Le pene pecuniarie disciplinate dagli artt. 24 e 26 c.p. sono multa ed ammenda,
rispettivamente previste per delitti e contravvenzioni; possono essere comminate da
sole (alternativamente) oppure insieme alla pena detentiva (congiuntamente).
I limiti della multa oscillano tra 50 e 50.000€ mentre quelli previsti per l’ammenda
tra 20 e 10.000€.
Nel nostro ordinamento sono inoltre previste pene pecuniarie fisse e pene
pecuniarie proporzionali: in quest’ultimo caso si può riferirsi all’ipotesi in cui il
legislatore stabilisce un coefficiente fisso al quale rapportarsi in un’operazione di
moltiplicazione con entità variabili che costituiscono la base del calcolo
ESEMPIO: multa pari al quintuplo del valore della merce
Multa e ammenda possono essere pagate in rate mensili: le rate devono essere
comprese fra 3 e 30 e l’ammontare di ciascuna non può essere inferiore alla soglia
minima di 15 euro. Tale agevolazione può essere disposta dal giudice in relazione
alle condizioni economiche del condannato.
CONVERSIONE DELLE PENE PECUNIARIE
L’insolvibilità del condannato si traduce nella permanente ed assoluta impossibilità
di adempiere al pagamento. In ragione di ciò è stato previsto l’istituto della
conversione della pena pecuniaria in libertà controllata e lavoro sostitutivo (misura
applicabile esclusivamente su richiesta del condannato).
Questo però solo dopo la sentenza 131/1979 con cui la Corte costituzionale dichiarò
illegittima la prassi per cui in caso di insolvenza si doveva procedere
automaticamente con la conversione in pena detentiva; si tratta di una norma cui
era sotteso il rischio di gravi disparità di trattamento tra più ricchi e meno abbienti, e
per questo contraria al principio di uguaglianza.
Quando invece per qualsiasi motivo si deve eseguire un ragguaglio tra pene
pecuniarie e detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250 per ogni giorno di
pena detentiva.
ESEMPIO: per tramutare la pena detentiva breve in corrispondete pena pecuniaria
Il provvedimento di conversione della pena spetta al magistrato di sorveglianza
(salvo nel caso di contravvenzioni per le quali è competente il giudice di pace).
La libertà controllata configura una limitazione della libertà di circolazione del
condannato: tale sanzione consiste nel divieto di allontanarsi dal comune di
residenza e al contempo l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il
locale ufficio di pubblica sicurezza.
Il lavoro sostitutivo in un’attività non retribuita a favore della collettività: si tratta di
prestazioni gratuite in quanto ciò assicura l’omogeneità della sanzione da
conversione con la pena pecuniaria originariamente inflitta.
In caso di violazione delle prescrizioni inerenti la libertà controllata o il lavoro
sostitutivo, la parte residua di tali pene si converte in un uguale periodo di reclusine
o di arresto.

PENE ACCESSORIE
Si qualificano accessorie quelle pene che possono essere applicate esclusivamente
in aggiunta ad una pena principale.
La pena accessoria consegue di diritto alla condanna come effetto penale di essa.
ART 19
Le pene accessorie per i delitti sono:
1) l'interdizione dai pubblici uffici
Questa pena priva il condannato del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro
diritto di natura politica; di ricoprire uffici in seguito a nomina o incarico da parte dello
Stato o di altro ente pubblico (es. posta), ecc.
2) l'interdizione da una professione o da un'arte
Si priva il condannato dalla capacità di esercitare mestieri, attività commerciali per cui è
richiesto uno speciale permesso o una speciale autorizzazione o licenza da parte
dell’autorità (es. vendita di alcolici); La norma in esame ha lo scopo di impedire che i
condannati per determinati delitti commessi strumentalizzando il proprio ruolo possano
continuare l'esercizio della professione o dell'arte, evitando la reiterazione del reato.
3) l'interdizione legale
Questa pena accessoria priva il condannato della capacità d’agire, limitatamente ai diritti
patrimoniali esercitati attraverso un tutore; all’interdetto legale è quindi concessa la
possibilità di contrarre matrimonio, deporre in giudizio, stipulare contratti di lavoro, ecc.
4) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
Si priva il condannato della capacità di esercitare, durante l'interdizione, l'ufficio
di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla
redazione dei documenti contabili societari, nonché ogni altro ufficio con potere di
rappresentanza della persona giuridica o dell'imprenditore
5) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione
La norma si prefigura lo scopo di impedire che determinati soggetti, ritenuti
particolarmente indegni, possano continuare ad avere rapporti contrattuali con la Pubblica
Amministrazione (es. aste, appalti, concorsi, ecc.)
5-bis) l'estinzione del rapporto di impiego o di lavoro
La norma consente l'allontanamento automatico di funzionari condannati per gravi delitti,
senza lasciare alcun margine di discrezionalità all'ente di appartenenza del reo, in quanto si
tratta di situazioni ove la permanenza in servizio getterebbe discredito sulla stessa P.A.,
oltre al fatto che il funzionario si è dimostrato indegno di proseguire il rapporto di lavoro
con la Pubblica Amministrazione.
6) la decadenza o la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale
La norma trova la sua giustificazione nell'esigenza di tutelare il minore da eventuali
comportamenti pericolosi posti in essere da uno o entrambi i genitori, al fine di assicurarne
la crescita adeguata senza pericoli di compromissione della sua salute psicofisica (es.
amministrazione legale dei beni)
Le pene accessorie per le contravvenzioni sono:
1) la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte
2) la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale
di condanna 
Le pene accessorie possono essere perpetue o temporanee.
L’esecuzione della pena accessoria è inoltre di regola subordinata all’esaurimento
dell’esecuzione della pena detentiva: non si tiene conto del tempo in cui il
condannato sconta la pena detentiva o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva.

PENE SOSTITUTIVE DELLE PENE DETENTIVE


1. SEMIDENTENZIONE
2. LIBERTA’ CONTROLLATA
3. PENA PECUNIARIA
Si tratta di sanzioni la cui funzione è quella di evitare il ricorso alla pena detentiva
allorché essa sia di breve durata: la ratio è quella per cui le stesse pene detentive di
breve durata sono considerate inefficienti, desocializzanti, criminogene.
Per BREVE s’intende una detenzione che va da pochi mesi fino a 2 anni
Si parla di effetti criminogeni delle pene detentive brevi
I destinatari sono gli autori di reati lievi, incensurati, per i quali l’ingresso in carcere
non solo segna la rottura dei rapporti di lavoro e familiari ma può anche agevolare
contatti con professionisti del crimine dai quali il condannato apprende più
sofisticate tecniche delittuose, maturando scelte di vita definitivamente orientate
verso la criminalità.
Il piccolo ladro che entra in carcere spesso ne uscirà trasformato in un astuto
rapinatore. L’immigrato nord-africano autore occasionale di spaccio può maturare in
carcere l’adesione ad organizzazioni terroristiche.
Motivi per cui si parla di “lotta alla pena detentiva breve” attraverso (anche) le pene
sostitutive delle pene detentive, in quanto ritenute più idonee al fine della
rieducazione e del reinserimento sociale del reo.
In particolare:
la SEMIDENTENZIONE può sostituire la pena detentiva non superiore a 2ANNI;
la LIBERTA’ CONTROLLATA quella non superiore a 1 ANNO;
la PENA PECUNIARIA quella non superiore a 6 MESI.
È possibile anche che il giudice stabilisca per il condannato a 6 mesi la libertà
controllata o la semidetenzione.
Al pari delle pene detentive, le pene sostitutive sono inflitte dal giudice di cognizione
nella sentenza di condanna.
SEMIDETENZIONE: comporta l’obbligo di trascorrere almeno 10 h al giorno (quelle
notturne) in un apposito istituto penitenziario; sono altresì previste misure limitative
accessorie quali la sospensione della patente di guida, il ritiro del passaporto, il
divieto di detenere armi, ecc.
LIBERTA’ CONTROLLATA: consiste in una limitazione della libertà di circolazione del
condannato
- divieto di allontanarsi dal comune di residenza
- obbligo di presentarsi almeno 1 volta al giorno presso un ufficio di pubblica
sicurezza
In base ai criteri di ragguaglio tra pene detentive e sostitutive, 1 giorno di reclusione
o arresto equivale ad 1 giorno di semidetenzione ovvero a 2 giorni di libertà
controllata.
PENA PECUNIARIA
Il giudice deve anzitutto determinare la somma giornaliera che l’imputato deve
pagare, tenendo conto delle sue condizioni economiche; poi la somma determinata
dovrà essere moltiplicata per il numero dei giorni di pena definitiva inflitta.
La somma si determina tra un minimo di 250€ e un massimo di 2500€ per ciascun
giorno di reclusione: molti hanno ritenuto questo un meccanismo di calcolo
eccessivamente ed irragionevolmente gravoso, specie in relazione ad altri Paesi in
cui il minimo giornaliero viene ricondotto a 1€ (Germania) o 2€ (Spagna)
ESEMPIO: un anziano pensionato per aver sottratto una salsiccia dai banchi del
supermercato viene condannato a 45 giorni di reclusione; il giudice per sostituire la
pena fa riferimento alla pena pecuniaria che risulta comunque eccessiva ovvero pari
a (250€ x 45 gg = 11.250€)
Ulteriori pene sostitutive sono state introdotte nell’ordinamento nel corso del
tempo con riguardo a specifici campi di materie
o CIRCOLAZIONE STRADALE in stato di ebrezza (in assenza di sinistri stradali) e
SPACCIO DI STUPEFACENTI: in taluni casi la pena può essere sostituita con il
LAVORO DI PUBBLICA UTILITA’
o IMMIGRAZIONE: si prevede l’ipotesi dell’ESPULSIONE dal territorio dello Stato
in caso di soggiorno irregolare o altre violazioni

MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE


Le misure alternative alla detenzione costituiscono modalità di esecuzione della
pena detentiva e non tipologie autonome di pena. Una volta accertata la
responsabilità del reo da parte del giudice di cognizione ed irrogata la pena, la
successiva fase esecutiva è rimessa al tribunale di sorveglianza: è proprio questa
figura che si fa carico della decisione circa le misure alternative.
Inoltre, l’applicazione della misura alternativa presuppone l’inizio dell’esecuzione
della pena detentiva (anche se sono numerose le eccezioni alla regola).
Ad oggi si evita l’ingresso in carcere perché queste misure alternative possono
essere richieste e adottate anche prima: quando il giudice di cognizione condanna
l’imputato, della stessa deve essere data notizia al condannato, il quale ha 30
GIORNI per richiedere una misura alternativa al tribunale di sorveglianza
ESEMPIO: oggi la cassazione condanna Paolo Rossi alla reclusione di 3 anni e 6 mesi;
non deve andare subito in carcere perché gli dovrà prima arrivare la notifica
dell’ORDINE DI ESECUZIONE (ossia un atto con cui si comunica che è arrivato il
momento di scontare la pena); il suo difensore avrà 30 giorni per presentare
un’istanza con cui richiedere la misura alternativa quale l’affidamento in prova ai
servizi sociali
La richiesta deve essere valutata ed eventualmente concessa (di nuovo) da un
giudice: come detto, il tribunale di sorveglianza il quale si occupa di procedure
successive al giudicato.
Le misure alternative sono:
1. AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI
Permette al condannato di svolgere lavori socialmente utili (ad esempio, assistere gli
anziani presso una struttura del Comune) fuori dal carcere per un periodo di tempo
pari a quello della pena da scontare. A tal fine, viene elaborato un programma di
trattamento individuale in cui sono indicate le attività che il beneficiario dovrà
svolgere, gli impegni da rispettare ed i controlli a cui sarà sottoposto.
CONDIZIONE OGGETTIVA: condanna non superiore a 3 anni
2. LA DETENZIONE DOMICILIARE
Ai fini di rieducare il reo non è forse più efficace una sua rieducazione presso il
proprio domicilio?! Potremmo dire di sì anche perché le esigenze di prevenzione e
rieducazione sono rispettate.
Ve ne sono di diverse tipologie:
o In primo luogo si applica a coloro che abbiano superato i 70 anni di età, che
non siano stati dichiarati delinquenti abituali o recidivi, e non siano stati
condannati per reati ostativi del beneficio quali violenza sessuale, atti sessuali
con minorenni, violenza sessuale di gruppo, pornografia minorile,
prostituzione minorile, ecc.
o Al di fuori del particolare caso citato sopra, la detenzione domiciliare può
essere concessa nei casi di condanna a reclusione non superiore a 4 anni
(ipotesi ordinaria)
o È applicabile anche a qualsiasi condannato che debba scontare una pena
detentiva non superiore a 2 anni (ipotesi residuale in quanto adottabile
esclusivamente nell’ipotesi in cui non sussistano i presupposti per la
concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale)
o Ancora pensiamo ai soggetti affetti da aids o da gravi deficienze immunitarie
che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura ed
assistenza; questa tipologia è ispirata da esigenze di natura puramente
terapeutica, e del tutto svincolata da limiti di pena
o Infine per le madri di prole di età non superiore a 10 anni, condannate ad una
pena eccedente i 4 anni, che abbiano espiato almeno 1/3 della pena, ovvero
15 anni in caso di condanna all’ergastolo
3. LA SEMILIBERTA’
Consiste nella concessione al condannato di trascorrere parte del giorno fuori
dall'Istituto di pena (la maggior parte del giorno è costretto nell’istituto) per
partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento
sociale.

LIBERAZIONE ANTICIPATA
Questo istituto comporta una detrazione di 45 gg per ogni semestre di pena
scontata a beneficio del condannato a pena detentiva che abbia dato prova di
partecipare al programma rieducativo.
È prevista anche una liberazione anticipata speciale consistente in uno sconto di
pena maggiore rispetto a quella ordinaria, pari a 75 giorni per ogni semestre
espiato.
RINVIO DELL’ESECUZIONE DELLA PENA
Il codice penale contempla una serie tassativa di ipotesi in cui il tribunale di
sorveglianza deve obbligatoriamente rinviare l’esecuzione della pena
 Donna in stato di gravidanza
 Madre dell’infante di età inferiore a 1 anno
 Persona affetta da aids conclamata o altra malattia particolarmente grave, per
effetto della quale versi in condizioni di salute incompatibili con lo stato di
detenzione
Il codice individua anche ipotesi di rinvio discrezionale del tribunale di sorveglianza:
 Se è stata presentata domanda di grazia
 Grave infermità fisica
 Madre di prole di età inferiore a 3 anni

COMMISURAZIONE DELLA PENA


Le pene restrittive della libertà personale, così come le sanzioni pecuniarie, sono
strutturate in forma di cornici edittali: limiti massimi e minimi entro cui il giudice
determina la pena. La stessa corte costituzionale ha affermato il principio della
tendenziale illegittimità delle pene fisse: l’individuazione della pena in rapporto alle
specifiche esigenze del caso concreto è imposto dal principio di uguaglianza, nonché
dai principi della personalità della responsabilità penale e dal finalismo rieducativo
della pena.
Si definisce commisurazione della pena sia la scelta del tipo di sanzione da applicare
sia la determinazione del quantum di pena da infliggere in concreto al reo.
Il modello della discrezionalità giudiziale è comunque vincolato da alcuni fattori:
 La cornice edittale
 Indici di commisurazione della pena (art. 133 c.p.)
 Obbligo di motivazione delle scelte
Nonostante la “teorica” discrezionalità giudiziale vincolata, nella concreta prassi
applicativa, il potere valutativo appare sostanzialmente libero:
in primo luogo di registra la tendenza ad eludere l’obbligo di motivazione,
ricorrendo a formule di stile; in secondo luogo, nella giurisprudenza di merito è
consolidata la prassi di irrogare la pena nel minimo edittale.

ART 133 - CRITERI DI COMMISURAZIONE DELLA PENA


1. LA GRAVITA’ DEL REATO
Essa viene desunta:
- dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo in
cui si compie l’azione
- dalla gravità del danno
- dall’intensità del dolo o dal grado della colpa
2. LA CAPACITA’ A DELINQUERE dell’autore del reato
Essa si desume:
- dai motivi a delinquere
- dal carattere del reo
- dai precedenti penali
- dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo
Mentre gli indici di gravità del reato sono riferiti all’episodio criminoso in sé
considerato, la capacità a delinquere fa riferimento alla personalità del reo.
La capacità a delinquere è inoltre stata al centro di un acceso dibattito dottrinale.
Secondo la scuola di pensiero legata alla concezione retributiva è necessario
osservare la vita del reo precedente all’episodio criminoso; una diversa
interpretazione, coerente invece con la scuola positiva, ritiene che la valutazione
della capacità a delinquere debba avere carattere prognostico.
Va poi detto che, nella moderna dottrina penalistica si sostiene la necessità di una
rilettura costituzionalmente orientata dell’articolo 133.
Assume rilievo preminente il principio della personalità della responsabilità penale:
il canone del “nulla poena sine culpa” presuppone che il requisito della colpevolezza
debba svolgere una funzione preminente anche nello stadio della commisurazione
della pena. Ciò implica che, tra i diversi indici fattuali di gravità del reato, il giudice
dovrà considerare prevalenti l’intensità del dolo e il grado della colpa.
Di conseguenza, la gravità del danno non potrà giustificare l’irrogazione di una pena
sproporzionata rispetto al grado della colpevolezza.
Inoltre, il principio della personalità della pena, non consente l’emanazione di
sanzioni esemplari che fungano da ammonimento deterrente per tutti i consociati:
la misura della singola sanzione non può eccedere in alcun modo il disvalore
soggettivo insito nella realizzazione dello specifico fatto di reato.
Ancora, in riferimento all’articolo 27 comma 3 le pene devono tendere alla
rieducazione del condannato: il giudice ha l’obbligo di scegliere sanzioni idonee, sia
nel tipo che nel quantum, a favorire la risocializzazione del reo, nella prospettiva di
un reinserimento sociale. Il finalismo rieducativo impone che il giudizio
sull’attitudine del reo a commettere futuri reati (capacità a delinquere) debba essere
proiettato verso il futuro.
Un rilievo essenziale deve inoltre riconoscersi nell’articolo 3: i principi di pari dignità
di tutti i cittadini e della loro uguaglianza di fronte alla legge presuppongono:
per un verso, che le differenze di trattamento sul piano giuridico devono avere una
ragionevole giustificazione; per altro verso, che la dignità del condannato deve
comunque essere sempre salvaguardata.
LA COMMISURAZIONE DELLA PENA PECUNIARIA – ART 133 BIS
Il giudice in questo caso, in aggiunta ai criteri di cui all’art. 133, deve prendere in
considerazione anche le condizioni economiche del reo (in primis deve riferirsi al
reddito dell’autore del reato al momento della condanna).
Il giudice può aumentare la multa o l’ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o
diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga
che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia
eccessivamente gravosa.
La pena può considerarsi inefficace se non produce sacrifici sensibili per il reo; può,
al contrario, considerarsi eccessivamente gravosa se comporta un sacrificio
economico intollerabile, secondo i principi di uguaglianza e ragionevolezza.

SANZIONI CIVILI DELLA CONDANNA


Un comportamento umano può al contempo integrare gli estremi di un fatto di
reato e costituire un illecito civile.
ESEMPIO: la sottrazione di un bene altrui, sul versante penale è riconducibile al
furto, sul piano civile costituisce un danno ingiusto che come tale deve essere
risarcito. Pertanto, tra le conseguenze giuridiche del reato il codice penale (parte
generale) contempla anche le sanzioni civili.
 LA RESTITUZIONE
Consiste nella reintegrazione dello stato di fatto preesistente alla
commissione del fatto di reato
 IL RISARCIMENTO DEL DANNO
Si ricorre a questo se la restituzione non risulta possibile, ovvero ogni
qualvolta non risulti sufficiente a riparare il danno.
Il risarcimento consiste nella corresponsione di una somma di denaro
equivalente al pregiudizio cagionato attraverso la commissione del reato.
Ricomprende il danno sia patrimoniale (danno emergente e lucro cessante)
sia non patrimoniale (sofferenza fisica e psichica patita).
 IL RIMBORSO DELLE SPESE PER IL MANTENIMENTO DEL CONDANNATO
Il condannato è civilmente obbligato a rimborsare allo Stato le spese per il suo
mantenimento negli istituti penitenziari: si fa riferimento ad esempio agli
alimenti ed al corredo.
Nel caso il condannato versi in disagiate condizioni economiche e abbia
tenuto regolare condotta, può fruire del beneficio della remissione del debito,
intesa come rinunzia dello Stato al suo diritto di credito
L’obbligazione non si trasmette agli eredi del condannato.

 L’OBBLIGAZIONE CIVILE PER LA MULTA E PER L’AMMENDA


ART 196
Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria è colui che è preposto ad esercitare
una funzione di autorità, direzione o vigilanza nei confronti di un soggetto.
Tale obbligazione di natura sussidiaria sorge solo nel momento in cui il soggetto
sottoposto sia insolvente, e solo nei casi in cui i reati sono stati commessi
per culpa in vigilando, e quindi per una negligente attività di sorveglianza atta a
prevenire reati di quel tipo.
ART 197
Tramite la norma in oggetto viene riconosciuta la figura del civilmente obbligato
in qualsiasi persona giuridica, ad eccezione di Stato, regioni, province e comuni,
tenuta ad un'obbligazione civile di carattere sussidiario, qualora il reato sia stato
commesso da un amministratore, dipendente o rappresentante della persona
giuridica stessa in violazione di un dovere connesso alle mansioni o nell'interesse
dell'ente cui risponde, ed il condannato sia insolvibile.
Le obbligazioni civili per multa ed ammenda costituiscono quindi una forma di
responsabilità civile sussidiaria, funzionale alla corresponsabilizzazione del datore
di lavoro da un lato, della persona giuridica presso cui l’autore presta il proprio
servizio dall’altro.
LE GARANZIE PER LE OBBLIGAZIONI CIVILI
Al fine di garantire l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato, il
codice ha previsto una serie di garanzie.
o IL SEQUESTRO CONSERVATIVO PENALE
Può essere richiesto dal pubblico ministero in qualsiasi stato e grado del
processo, se vi è fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le
garanzie per il pagamento della pena pecuniaria o delle spese di
procedimento. Può essere disposto su beni mobili ed immobili dell’imputato.
o L’AZIONE REVOCATORIA
Vi sono soggetti gli atti fraudolenti compiuti anteriormente e posteriormente
al reato, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso.
o IL PRELIEVO SULLA REMUNERAZIONE corrisposta ai condannati per il lavoro
prestato
LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO E DELLA PENA
Si differenziano per la diversa ampiezza degli effetti estintivi, che è massima in
relazione alle cause estintive del reato, mentre scema progressivamente per le
cause estintive della pena.
LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO
 LA MORTE DEL REO PRIMA DELLA CONDANNA
È la causa estintiva di massima ampiezza (mors omnia solvit): in base a tale
norma, la morte determina un effetto estintivo del reato dato
dall'impossibilità di pervenire all'accertamento in merito alla colpevolezza del
soggetto. Non si estinguono però le obbligazioni civili restitutorie e
risarcitorie.
 LA PRESCRIZIONE DEL REATO
L'istituto della prescrizione del reato trova la propria ratio  nel cosiddetto
principio di economia dei sistemi giudiziari, nonché nell'esigenza di garantire
un effettivo diritto di difesa all'imputato. Per quanto attiene al primo aspetto,
infatti, il passare del tempo spesso affievolisce l'interesse dello Stato a
perseguire reati, per cui di conseguenza è sentita in misura minore l'esigenza
di una tutela penale, nel pieno rispetto della concezione rieducativa della
pena. Al contempo poi, in linea con quanto previsto in materia di equo
processo dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, viene
considerata rilevante la durata non troppo eccessiva del processo, così che la
prescrizione rappresenta lo strumento per evitare abusi da parte del sistema
giudiziario.
Opera allorché dalla commissione del fatto criminoso sia decorso un periodo
di tempo tale per cui l’ordinamento giuridico perde l’interesse alla
repressione del reato commesso; non sono invece mai prescrittibili i reati
puniti con l’ergastolo.
Il tempo necessario a prescrivere il reato è pari al massimo della pena
edittale stabilita dalla legge. In relazione ad alcuni reati il tempo necessario è
invece pari al doppio del massimo edittale, ad esempio per:
disastri colposi;
omicidio colposo stradale o commesso in violazione di norme in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro;
associazione di tipo mafioso o finalizzata al traffico di stupefacenti;
delitti contro l’ambiente;
violenze sessuali; ecc.
Comunque i delitti non si prescrivono prima di 6 anni e le contravvenzioni
prima dei 4.
il corso della prescrizione si interrompe nel caso siano compiuti determinati
atti da parte dell’autorità giudiziaria: ricomincia a decorrere dal giorno
dell’interruzione, ma i termini previsti non possono prolungarsi oltre ¼.
Si sospende invece qualora si verifichi un’ipotesi di forzata inattività
dell’autorità giudiziaria: ad esempio se il giudice ordinario solleva questione di
legittimità costituzionale o se fosse necessaria un’autorizzazione a procedere.
 L’AMNISTIA PROPRIA
È un provvedimento generale ed astratto mediante il quale lo Stato rinuncia a
punire un determinato numero di reati.
Si dice propria se intercorre prima della condanna definitiva, impropria se
concessa in seguito (estingue la pena).
Ai sensi dell’articolo 79 Cost. è concessa dal parlamento con legge deliberata a
maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna camera, in ogni articolo e
nella votazione finale.
Determina l’estinzione dei reati indicati commessi entro il termine stabilito,
che non può tuttavia essere successivo alla data di presentazione del disegno
di legge. In particolare, le figure di reato interessate vengono di regola
individuate dalla legge con riferimento al massimo della pena edittale.
L’amnistiato può rinunciare al provvedimento di clemenza.
 LA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA
Consiste nell’ordine del giudice che l’esecuzione della pena inflitta resti
sospesa per un certo termine (5 anni per i delitti e 3 per le contravvenzioni),
decorso il quale, se il condannato non ha commesso un delitto o una
contravvenzione della stessa indole e ha adempiuto agli obblighi impostigli, il
reato è estinto.
La sospensione condizionale rappresenta un rimedio contro gli effetti negativi
delle pene detentive brevi che hanno effetti criminogeni e desocializzanti
soprattutto nei confronti dei delinquenti primari che non abbiano alle spalle
precedenti di rilevante gravità.
Possono accedervi i soggetti condannati a una pena detentiva inferiore a 2
anni; 2 anni e mezzo per soggetti in età compresa tra 18 e 21 anni e per gli
ultrasettantenni; 3 anni per i minori di 18.
È inoltre necessaria una prognosi favorevole sul futuro comportamento del
reo da parte del giudice.
Non vi possono accedere i soggetti che siano stati dichiarati delinquenti o
contravventori abituali, né coloro che ne abbiano già usufruito una volta.
Può inoltre essere subordinata all’adempimento di uno o più obblighi:
restituzioni, risarcimento, ecc.
Deve invece essere revocata nell’ipotesi in cui, entro i 5 anni per i delitti ed i 2
per le contravvenzioni, il condannato non adempia agli obblighi che gli sono
stati imposti; o ancora nei casi in cui il soggetto commetta un delitto negli
intervalli di tempo su indicati, ovvero una contravvenzione della stessa indole
per la quale venga inflitta la pena dell’arresto.
Una particolare ipotesi di sospensione breve è prevista se la pena non è
superiore ad 1 anno e il danno è stato interamente riparato, oppure il
colpevole si è adoperato spontaneamente per attenuare le conseguenze del
reato: il giudice può quindi ordinare che la sospensione sia solo di 1 anno.
Quindi riassumendo:
PRESUPPOSTI OGGETTIVI
Questo istituto è applicabile a soggetti che siano stati condannati al massimo
a 2 ANNI di carcere (nella configurazione ordinaria del 1904 fino a 6 mesi);
nel caso dei minori fino a 3 anni;
2 anni e 6 mesi per i maggiorenni fino ad anni 21 e per gli ultrasettantenni
PRESUPPOSTI SOGGETTIVI
l’INCENSURATEZZA: il fatto di non avere a carico precedenti penali consente al
giudice di effettuare una PROGNOSI FAVOREVOLE sul futuro comportamento
del reo prevedendo che si asterrà dal commettere ulteriori reati
 LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA
La concessione di tale misura è subordinata alla presenza di alcuni requisiti:
- Commissione di reato punito con la sola pena pecuniaria o con sola
pena edittale detentiva non superiore a 4 anni
- Valutazione prognostica di non recidività
- Prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze
dannose derivanti dal reato nonché il risarcimento del danno cagionato
- La prestazione di lavoro non retribuita di pubblica utilità
- L’osservanza di prescrizioni relative alla dimora, alla libertà di
movimento, al divieto di frequentare determinati reati
 LA REMISSIONE DELLA QUERELA
La denuncia, presentata da chiunque, è uno dei mezzi attraverso il quale il Pubblico
Ministero o la polizia giudiziaria prendono conoscenza di un fatto costituente reato
Nel caso di denuncia, il procedimento si avvia d'ufficio, cioè senza che la persona
offesa dal reato chieda personalmente la punizione dell’autore del reato stesso.
Per poter invece procedere in ordine ad alcuni reati specifici, la legge richiede una
ulteriore condizione (c.d. condizione di procedibilità) che consiste frequentemente
nella cosiddetta querela (ad esempio per i reati di lesioni, percosse, diffamazione,
etc.). Per querela si intende la manifestazione di volontà della persona offesa che
può essere anche rimessa (cioè ritirata se già presentata), o rinunciata (se non è
stata ancora presentata). La legge prevede inoltre che la querela debba essere
presentata entro il termine perentorio di tre mesi, salvo alcuni rari casi specifici in
cui i termini sono più lunghi.
La remissione di querela è causa di estinzione del reato limitata ovviamente ai soli
delitti punibili a querela, salvo i casi in cui sia irrevocabile (es. violenza sessuale).
 L’OBLAZIONE NELLE CONTRAVVENZIONI
Consiste nel pagamento di una somma di denaro.
 IL PERDONO GIUDIZIALE
Si tratta di un istituto riservato ai soli minori.
I presupposti, oltre al limite di età sono:
- Che il soggetto non sia stato condannato a pena detentiva per delitto né
che sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale
- Che il giudice presuma che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori
reati
Si rinuncia a punire il minore che, per la prima volta e occasionalmente, si
renda autore di un reato in ragione degli effetti criminogeni che potrebbero
derivargli dalla pena.
LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA
 LA MORTE DEL REO DOPO LA CONDANNA
 L’AMNISTIA IMPROPRIA
Presenta le stesse caratteristiche dell’amnistia propria ma interviene dopo la
sentenza definitiva di condanna
 LA PRESCRIZIONE DELLA PENA
Il decorso di un determinato intervallo di tempo dalla pronuncia della
condanna produce l’estinzione di tutte le pene principali, ad eccezione
dell’ergastolo.
 L’INDULTO
Come l’amnistia, è un provvedimento a carattere generale.
Nella sua disciplina originaria, esso era espressione del potere di clemenza del
presidente della Repubblica, ma con la riformulazione dell’art.79 la sua
adozione è oggi riservata in via esclusiva al Parlamento, che lo concede con
legge approvata a maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna camera.
La stessa legge individua le tipologie di pena interessate e la loro misura per
l’applicabilità dell’indulto (es. la pena detentiva non superiore a 3 anni).
L’effetto dell’indulto è quello di condonare, in tutto o in parte, la pena
principale inflitta con la sentenza di condanna, ovvero di commutarla con altra
pena meno grave.
 LA GRAZIA
È invece un provvedimento di clemenza individuale, che si rivolge ad uno o
più condannati determinati, la cui concessione è riservata al presidente della
Repubblica (art. 87 cost.)
Può essere concessa a seguito di domanda del condannato, ovvero dal
presidente stesso anche in assenza di domanda. Nell’ipotesi in cui la domanda
non sia stata presentata dall’interessato, questi non può rifiutare il condono o
la commutazione.
 LA NON MENZIONE DELLA CONDANNA NEL CERTIFICATO DEL CASELLARIO
GIUDIZIALE
La non menzione della condanna è inserita tra le cause di estinzione della
pena, ma si tratta in realtà di un beneficio che comporta una limitazione degli
effetti negativi della condanna.
Tale istituto, secondo l'interpretazione che ne ha dato la Corte Costituzionale,
ha la funzione di favorire la risocializazzione del reo, evitando di
compromettere il suo reinserimento nella vita sociale e nel lavoro, mediante
l'eliminazione del pregiudizio che lo stesso potrebbe subire dalla annotazione
della condanna sul certificato del casellario giudiziale.

Il casellario giudiziale consente di ricostruire la storia penale del condannato:


assume un ruolo decisivo sia nella commisurazione della pena, sia ai fini della
produzione degli effetti penali della condanna.
ESEMPIO: nell’ipotesi in cui la certificazione venga richiesta da un privato,
essa può provocare effetti di stigmatizzazione sociale (in particolare, può
compromettere le possibilità di lavoro del condannato).
Le finalità dell’istituto della non menzione della condanna nel certificato del
casellario giudiziale spedito a richiesta di privati consistono proprio nella
rimozione di tali effetti di stigmatizzazione.
La non menzione richiede i seguenti presupposti:
- è indispensabile che si tratti della prima condanna;
- ovvero, allorché vi siano state più condanne per reati commessi in
precedenza, non vengano superati cumulativamente i due anni
di reclusione.
 LA LIBERAZIONE CONDIZIONALE
Configura una causa sospensiva di una parte della pena principale afflitta, a
cui fa seguito l’estinzione di tale pena nel caso in cui il condannato superi la
prova a cui è sottoposto.
L’autorità giurisdizionale competente è il tribunale di sorveglianza che modula
tale figura in base ad un sistema di incentivo premiale, riferito ai progressi
comportamentali manifestati dal condannato nel corso dell’esecuzione.
Presupposto è quindi l’aver scontato parte della condanna alla reclusione.
 LA RIABILITAZIONE (ART 179)
La riabilitazione è una causa estintiva delle pene accessorie.
La ratio è quella di stimolare il condannato a tenere una buona condotta
anche dopo l’espiazione della pena principale.
È un beneficio concesso dal Tribunale di sorveglianza che opera quando la
pena principale è stata scontata o estinta per altra ragione e diretto a
rimettere il reo nella posizione giuridica di cui godeva prima del reato da lui
commesso, estinguendo così le pene accessorie ed ogni altro effetto penale
della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti, a patto che ricorrano
precise condizioni: essa è concessa quando siano decorsi almeno tre anni dal
giorno in cui è terminata l'esecuzione della pena principale o comunque sia
in altro modo estinta, ed il condannato abbia dato prove effettive e costanti
di buona condotta.

MISURE DI SICUREZZA
Accanto alle pene tradizionali è stata prevista una nuova tipologia sanzionatoria,
funzionale alla neutralizzazione della pericolosità sociale di quei soggetti nei cui
confronti la pena risulti insufficiente: si parla di un sistema a doppio binario.
Come le pene, anche le misure di sicurezza sottostanno al principio di legalità
(ex. art. 25 Cost.)
Gli elementi di distinzione tra misure di sicurezza e pene sono:
- l’applicabilità delle misure di sicurezza sia ai soggetti imputabili che ai soggetti
non imputabili mentre le pene possono essere applicate soltanto ai primi;
- il fatto che le pene sono sempre afflittive mentre le misure di sicurezza
potrebbero anche non esserlo;
- il fatto che le pene hanno una durata prestabilita sia pure entro i margini della
cornice edittale mentre le misure di sicurezza sono determinate
esclusivamente nella loro durata minima.
Nei confronti di soggetti imputabili e socialmente pericolosi possono quindi essere
applicate sia la pena sia la misura di sicurezza.
In relazione ad alcune tipologie di misure (libertà vigilata e divieto di soggiorno)
queste possono essere comminate insieme ad una pena detentiva, ma eseguite solo
dopo che la pena sia scontata.
Nell’ipotesi invece in cui la misura di sicurezza sia comminata ad una pena non
detentiva potrà essere eseguita non appena la sentenza di condanna sia divenuta
definitiva.
Esistono due presupposti ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza:
 Oggettivo: commissione di un reato
 Soggettivo: pericolosità sociale del reo (da verificarsi in concreto prima dal
giudice di cognizione e poi costantemente monitorata dal magistrato di
sorveglianza)
Nel codice sono contemplare alcune tipologie specifiche di pericolosità sociale
(tuttavia da verificare poi in concreto – come detto – data l’abrogazione di ogni
forma di presunzione di pericolosità).
- Delinquente abituale: chi, dopo essere stato condannato per due delitti non
colposi, riporti un’altra condanna per delitto non colposo
- Delinquente professionale: colui che, trovandosi nelle condizioni richieste per
la dichiarazione di abitualità, dalla commissione del reato ricavi i propri mezzi
di sussistenza
- Delinquente per tendenza: chi commette delitto non colposo contro la vita o
l’incolumità individuale, rivelando una particolare inclinazione al delitto,
basata sull’indole della malvagità; la dottrina ha più volte evidenziato come
questa figura risulti priva di fondamento criminologico in quanto è
problematico per il giudice accertare lo stato di malvagità.
Le misure di sicurezza possono essere personali e patrimoniali.
MISURE DI SICUREZZA PERSONALI – ART 215
Si distinguono a loro volta in detentive e non detentive
Le prime sono:
o ASSEGNAZIONE A COLONIA AGRICOLA O CASA DI LAVORO
Si distinguono in base al tipo di attività lavorativa anche se nella pratica case
di lavoro risultano inesistenti
o RICOVERO IN CASA DI CURA E DI CUSTODIA
Destinatari di questa misura sono in primis: soggetti colpiti da infermità
psichica, ovvero per sordismo, o per intossicazione cronica da alcol o sostanze
stupefacenti.
La ratio si fonda sull’esigenza di conciliare istanze curative e di custodia:
l’esecuzione dovrebbe quindi consistere in trattamenti idonei a liberare il
soggetto da impulsi delinquenziali di matrice patologica.
La misura viene di fatti eseguita in apposite sezioni degli ospedali psichiatrici
giudiziari. A partire dal 31 marzo 2015, con la chiusura degli ospedali
psichiatrici giudiziari, tale misura è eseguita all’interno di strutture sanitarie
denominate “residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza”
o RICOVERO IN UN OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
Erano istituti con natura essenzialmente terapeutica che tuttavia nella prassi
non presentavano significative differenze rispetto alle carceri in quanto erano
prevalenti profili afflittivi e segreganti.
I destinatari sono soggetti completamente privi di capacità d’intendere e
volere al momento della commissione del fatto.
o RICOVERO IN RIFORMATORIO GIUDIZIARIO
Essendo i minori non ammessi negli istituti sopra, gli stessi verranno accolti in
appositi riformatori presenti in alcune sezioni degli istituti penitenziari
minorili. Si tratta di comunità educative che impongono al minore prescrizioni
attinenti lo studio, il lavoro o comunque attività finalizzate alla rieducazione.
Le seconde:
o LIBERTA’ VIGILATA
o DIVIETO DI SOGGIORNO IN UNO O PIU’ COMUNI
Si estende anche a soste breve ed occasionali
o DIVIETO DI FREQUENTARE OSTERIE E PUBBLICI SPACCI DI BEVANDE
ALCOLICHE
È finalizzata a contrastare fenomeni di criminalità legati all’alcolismo quindi
condannati per un reato commesso in stato di ubriachezza, ove si tratti di
ubriachezza individuale
o ESPULSIONE DELLO STRANIERO DALLO STATO
Questa misura può essere disposta quando lo straniero o il cittadino europeo
siano stati condannati alla reclusine per un tempo superiore a 2 anni.
Si ritiene che l’espulsione o l’allontanamento vadano eseguiti in un momento
successivo rispetto alla espiazione della pena principale: in generale viene
eseguita dopo che la pena detentiva è stata scontata con accompagnamento
della persona alla frontiera.
MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI
Sono due:
o CAUZUONE DI BUONA CONDOTTA
Si esegue mediante il deposito di una somma di denaro presso la cassa delle
ammende, ovvero mediante la prestazione di una garanzia ipotecaria o di una
fideiussione solidale. Se durante l’esecuzione di una misura di sicurezza il
soggetto non commette delitti o contravvenzioni puniti con l’arresto, la
somma viene restituita; altrimenti sarà incamerata dallo Stato.
Tale misura è volta a distogliere il soggetto dalla commissione di nuovi reati.
o CONFISCA
Consiste nell’espropriazione di cose o denaro a favore dello Stato.
Mira ad impedire la circolazione di cose intrinsecamente illecite per prevenire
la commissione di reati o sottrarre all’autore i proventi dell’illecito.

MISURE DI PREVENZIONE
Le misure di prevenzione sono disposte indipendentemente dalla
commissione di un precedente reato nei confronti di soggetti che risultino
pericolosi per la sicurezza pubblica.
Esse si differenziano quindi dalle misure di sicurezza che sono applicabili solo
nei confronti di soggetti pericolosi che abbiano commesso un reato.
Ci sono dubbi di legittimità costituzionale circa:
- Principio di presunzione di non colpevolezza
- Principio di risocializzazione
- Principio di responsabilità personale
- Principio di inviolabilità personale (art. 13 cost.)
La corte costituzionale ha tuttavia ritenuto legittime tali misure perché in ogni
ordinamento il principio di prevenzione e di sicurezza sociale affianca quello di
repressione.
La disciplina è riconducibile al d.lgs. n. 159/2011 “codice delle leggi antimafia e delle
misure di prevenzione”.
Il presupposto applicativo attiene a fattispecie di sospetto ovvero a soggetti
individuabili in base ad attività potenzialmente costituenti reato.
ESEMPIO: coloro che per il tenore di vita debbano ritenersi vivere con proventi di
attività delittuose
Anche in questo caso si distinguono misure di prevenzione PERSONALI e
PATRIMONIALI. Tra le prime possiamo citare:
o L’AVVISO ORALE
In questo caso, la persona sospetta, riceve dal questore della provincia una
comunicazione circa l’esistenza di sospetti a suo carico.
o LA SORVEGLIANZA SPECIALE DI PUBBLICA SICUREZZA
Destinatari di ciò possono essere ad esempio:
coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte dalla legge
coloro che compiano atti preparatori diretti alla ricostruzione del partito fascista
gli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso
o IL FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO
È un atto da parte della Questura con il quale viene ordinato di allontanarsi
dal Comune in cui il sospetto pericolo si trova attualmente
Tra le seconde:
o Il SEQUESTRO e la CONFISCA dei beni di sospetta provenienza illecita

REATI COTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


I delitti contro la è pubblica amministrazione sono contenuti nel titolo II del libro II
del codice penale, a sua volta diviso in due capi:
 DELITTI DEI PUBBLICI UFFICIALI
 DELITTI DEI PRIVATI
Si aggiunge poi un capo che raccoglie le DISPOSIZIONI COMUNI ai capi precedenti:
contiene importanti norme definitorie sulle qualifiche pubblicistiche. che, essendo
date “agli effetti della legge penale”, hanno un ambito di applicazione ben più ampio
di quanto l’intitolazione potrebbe indicare.
Agli effetti della legge penale si accoglie infatti una nozione ampia di P.A. inclusiva
del potere non solo amministrativo ma anche giudiziario ed amministrativo.
L’originario assetto di tutela del codice penale fu necessariamente rivoluzionato
grazie a numerose riforme intervenute a seguito di alcuni fattori:
 entrata in vigore della costituzione
Si pensi che già nel 1944 viene introdotta la causa di giustificazione della reazione
legittima agli atti arbitrari del p.u.
L’ARTICOLO 97 COST. è stato la base per la rilettura di diverse disposizioni del
codice penale e per l’avvio delle riforme: “I pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e
l’imparzialità dell’amministratore”.
Emergono tre elementi fondamentali:
- il principio di legalità
- il buon andamento cioè l’efficienza dell’azione amministrativa in relazione agli
obiettivi pubblici perseguiti
- l’imparzialità regola dell’agire pubblico nell’assicurazione di condizioni di
parità di trattamento
 emergono nuove forme di manifestazione della criminalità politico affaristica
che interessano i rapporti della p.a., da un lato con l’imprenditoria e la classe
politica e, dall’altro, con la criminalità organizzata.
Si pensi nel primo caso alla concussione e corruzione reati per i quali le tangenti
funzionavano come strumento illecito di finanziamento dei partiti; nel secondo
caso la merce di scambio non era invece costituita da tangenti ma da un
pacchetto di voti assicurato.
 l’internazionalizzazione dei traffici commerciali fece sì che si sviluppasse anche
l’interesse per i collegamenti con funzionari esterni alla p.a. italiana
ESEMPIO: si pensi ai funzionari Ue che intendono acquisire indebitamente
finanziamenti che costituiscono elemento strutturale delle politiche euro-
unitarie.
Il complesso delle esigenze di tutela qui succintamente illustrate spiega le
riforme intervenute su un assetto di disciplina che per lungo tempo è rimasto
immutato.
Si ricordano ad esempio la riforma della l. 26 aprile 1990 n. 86
e la l. 6 novembre 2012 n. 190.

LE QUALIFICHE SOGGETTIVE
I delitti contro la p.a. come evidenziato sono ripartiti in due capi rispettivamente
dedicati ai delitti dei p.u. e dei privati.
Questa ripartizione evidenzia già sul piano sistematico l’importanza riconosciuta alle
qualifiche dei soggetti attivi: i delitti collocati nel primo capo sono prevalentemente
reati propri che richiedono in capo all’autore del reato il possesso di una
determinata qualifica soggettiva (p.u.) e per questa ragione sono collocate
nel capo III, tra le disposizioni comuni, le definizioni delle qualifiche di:
1. pubblico ufficiale (p.u.)
2. incaricato di un pubblico servizio (i.p.s.)
3. esercente un servizio di pubblica necessità
Si tratta di qualifiche che valgono “agli effetti della legge penale”.

IL PUBBLICO UFFICIALE – ART. 357


“Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una
pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di
diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla
manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per
mezzo di poteri autoritativi o certificativi”
Anzitutto la definizione è valida “agli effetti della legge penale” ossia è applicabile
laddove una qualsiasi norma penale la richiami.
RATIO LEGISL: la disposizione in esame, di natura definitoria, è stata oggetto di
modifiche sostanziali da parte della legge 26 aprile 1990, n. 86, che ha abolito la
definizione relativa all'impiegato, bastata sul profilo soggettivo dell'incardinamento
del soggetto nella P.A., privilegiando una concezione oggettiva.
La qualifica pubblicistica non è vincolata al rapporto di dipendenza del soggetto da
un ente pubblico (criterio soggettivo) bensì va rapportata alla concreta attività svolta
(CRITERIO OGGETTIVO). Ciò che rileva è la circostanza obiettiva di esercitare una
pubblica funzione, senza che assuma importanza il dato formale dell'esistenza di un
rapporto di pubblico impiego.
Quindi la qualifica non viene desunta dalla natura pubblica dell’ente di
appartenenza, ma dalle caratteristiche della specifica attività svolta,
La funzione legislativa è esercitata dai parlamenti, dal governo nell’approvazione
dei decreti legge e dei decreti legislativi, dai consigli regionali.
La funzione giudiziaria è svolta non solo dalla magistratura giudicante ma anche da
quella inquirente (pubblici ministeri); sono inclusi i magistrati ordinari, quelli
amministrativi e militari, nonché quelli onorari (giudice di pace, tribunale per i
minorenni, ecc.), i giudici della corte costituzionale, il cancelliere in quanto figura
ausiliare al giudice, ed anche periti e consulenti tecnici nel processo civile.
Quanto al difensore è esercente del servizio di pubblica necessità quando svolge
attività difensiva, mente conformemente a quanto stabilito dalla Corte di
Cassazione, assume la qualifica di p.u. nell’attività di verbalizzazione svolta nelle
indagini difensive in quanto “il verbale nel quale il difensore raccoglie le
informazioni è destinato a provare fatti determinati in modo analogo al verbale
redatto dal p.m.”
Più complesso definire la funzione amministrativa ai sensi del comma 2°.
La definizione è incentrata sulle modalità di disciplina e sull’esercizio di determinati
poteri.
Quanto le modalità di disciplina, la funzione amministrativa è disciplinata da
norme di diritto pubblico e da atti autoritativi.
E’ pubblica quella disciplina che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la
discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla
libertà d’agire.
Sono invece atti autoritativi quegli atti d’imperio, nei quali la p.a. agisce in una
posizione di preminenza che le consente di costituire, modificare, estinguere, con
atti unilaterali la sfera giuridica altrui.
Il rinvio agli atti autoritativi, accanto alle norme di diritto pubblico è improprio,
perché gli atti non costituiscono la fonte della disciplina, ma le modalità di
estrinsecazione dell’attività disciplinata da norme di diritto pubblico; pertanto,
sarebbe stato sufficiente il richiamo alle norme di diritto pubblico per qualificare le
modalità di disciplina della funzione amministrativa.
Accanto alle modalità di disciplina, la funzione amministrativa è connotata
dall’esercizio di poteri tipici cioè coloro che esercitano certi poteri:
- potere di formazione e manifestazione della p.a.
Il potere di formazione include tutte le attività finalizzate al processo
decisionale pubblico; il potere di manifestazione della volontà include invece
la rappresentanza esterna in nome e per conto dell’ente
- poteri autoritativi
Sono costituiti da atti di imperio capaci di incidere unilateralmente sulla sfera
giuridica altrui (es. potere di coazione quale arresto, fermo, perquisizione)
- poteri certificativi
Si riferiscono al potere probatorio che si esplica in attività di documentazione
Quindi per quanto riguarda il parametro di delimitazione esterna, viene
assoggettata allo statuto penale della P.A. quell'attività retta da norme di diritto
pubblico e da atti autoritativi; quanto al parametro di delimitazione interna, esso
delimita la nozione in esame da quella dell'incaricato di pubblico servizio (art. 358) e
descrive quelle attività rette da poteri deliberativi, autoritativi, certificativi.

INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO – ART. 358


"Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a
qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della
pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima,
e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione
di opera meramente materiale.”
L'incaricato di pubblico servizio, per l'art. 358 del codice penale, è colui che, pur non
essendo un pubblico ufficiale, svolge un servizio di pubblica utilità
Sono tali ad esempio il custode del cimitero, la guardia giurata che conduca un
furgone portavalori, i presentatori-conduttori delle trasmissioni televisive.
Il pubblico servizio è assoggettato alla medesima disciplina della funzione pubblica,
ma difetta dei poteri tipici che la connotano, quali quelli deliberativi, autoritativi e
certificativi.
Si tratta dunque di una categoria residuale, comprensiva di tutti coloro che non
possono definirsi né pubblici ufficiali (357), né esercenti un servizio di pubblica
necessità (359).
In comune con la nozione di pubblico ufficiale vi è la circostanza obiettiva di
esercitare un pubblico servizio, senza che assuma importanza il dato formale
dell’esistenza di un rapporto di pubblico impiego: fondamentale è quindi l’esercizio
della funzione, da intendersi in senso oggettivo e la destinazione pubblicistica
dell’attività, senza poteri deliberativi, autoritativi e certificativi.
Infatti, la nozione di incaricato di pubblico servizio, caratterizzata in negativo rispetto
alla funzione tipica del pubblico ufficiale, per la mancanza dei poteri tipici di
quest'ultimo.

ESERCENTE UN SERVIZIO DI PUBBLICA NECESSITA’ – ART 359


“Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica
necessità:
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui
esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando
dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico
servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante
un atto della pubblica Amministrazione”
Questa norma ha una rilevanza applicativa marginale.
Le categorie cui fa riferimento la disposizione sono due:
  privati che esercitano determinate professioni il cui esercizio è vietato dalla
legge in assenza di speciale abilitazione, e della cui opera il pubblico sia per
legge obbligato a valersi (ad es. avvocato iscritto all'albo).
Occasionalmente tali esercenti possono assumere la veste di pubblico
ufficiale (art. 357), con configurabilità delle norme penali ad essi dedicati,
come nell'esempio di avvocato nell'atto di autenticare la procura;
Si precisa però che il difensore è esercente un servizio di pubblica necessità
quando svolge la professione forense ma è p.u. nell’atto di verbalizzazione
delle indagini difensive.
Tra le professioni sanitarie sono inclusi: medici, paramedici, infermieri,
ostetriche, veterinari, ecc.
Alle professioni forensi e sanitarie se ne affiancano altre, purché sussistano
due condizioni:
 l’esercizio è condizionato da una speciale abilitazione dello Stato
 deve sussistere l’obbligo per il pubblico di avvalersi del professionista
per lo svolgimento di determinate attività
ESEMPIO: l’architetto che deve presentare un progetto da allegare alla
richiesta di permesso di costruire
 privati che, non svolgendo alcuna pubblica funzione o alcun pubblico servizio,
adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità.
La disposizione del 2° comma è tuttavia rimasta inapplicata in quanto
contrasta con il principio di riserva di legge penale.
Rimetterebbe infatti ad un atto della p.a. la dichiarazione di pubblica
necessità, incidendo così nell’ambito di applicazione delle fattispecie penale
che contemplano l’esercente di questi servizi quale soggetto attivo del reato.

FUNZIONARI STRANIERI E SOVRANAZIONALI – ART 322bis


“Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma (peculato,
concussione, corruzione, ecc.), si applicano anche:
1. 1) ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento europeo, della
Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee;
2. 2) ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari delle
Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità europee; ECC.”
Le definizioni di p.u. e i.p.s. si riferiscono esclusivamente ai soggetti con qualifica
pubblicistica per così dire “domestica” ossia a quei soggetti incardinati nella pubblica
amministrazione italiana.
L’evoluzione della dimensione sovranazionale e degli scambi economici
transnazionali hanno fatto emergere i limiti della disciplina italiana e l’interesse per
lo sviluppo di strategie di contrasto alla corruzione internazionale.
Il legislatore è dunque intervenuto estendendo l’ambito di applicazione di alcune
fattispecie a soggetti connotati da una qualifica pubblicistica che potremmo definire
“sovranazionale” o “straniera”.
Nel 2000 l’articolo 322-bis ha esteso l’applicabilità di alcuni delitti contro la p.a.
anche ai membri degli organi dell’Unione Europea, della Corte Penale
internazionale, di Stati esteri. Si tratta di una clausola di estensione soggettiva
dell’ambito di applicazione di alcune fattispecie.
ESEMPIO: la fattispecie di corruzione è applicabile anche a fatti che vedono coinvolti
funzionari dell’Unione Europea o di p.u. stranieri.
Quindi l’articolo 322-bis individua determinati soggetti che, in ragione delle funzioni
svolte a livello sovranazionale o in ordinamenti di Stati esteri, sono titolari di
funzioni equiparabili a quelle che connotano i p.u. ai sensi dell’articolo 357: così, in
seno all’Unione Europea il Parlamento europeo e la commissione svolgono la
funzione legislativa; alla commissione spettano anche funzioni equiparabili a quelle
amministrative; la Corte di giustizia e la Corte dei conti svolgono funzioni giudiziarie,
così come la corte penale internazionale.
Le persone con le qualifiche ivi indicate, però non acquistano la qualifica di p.u. o di
i.p.s. ma sono “assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni
corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi”.

QUALIFICHE SOGGETTIVE E PROFILI DI DISCIPLINA


La natura dei reati propri di molte fattispecie previste tra i delitti contro la p.a.
solleva diverse questioni che si intrecciano tra l’altro con istituti di parte generale.
o Anzitutto al soggetto titolare formale della qualifica pubblicistica (soggetto di
diritto) va equiparato il funzionario di fatto: tale qualifica presuppone lo
svolgimento, senza valido titolo, di una pubblica funzione; è però necessaria
l’acquiescenza della p.a., in quanto l’esercizio abusivo della funzione integra il
delitto di usurpazione di funzioni e non fonda alcuna qualifica pubblicistica in
capo all’agente.
o Considerato che la qualifica soggettiva è elemento costitutivo del fatto, è
necessario che la stessa sussista al momento in cui il soggetto realizza l’azione
(attualità della qualifica). Tuttavia ci sono particolari ipotesi di
“ultra efficacia” della qualifica: sarà applicabile il delitto di violazione del
segreto di ufficio qualora il p.u. riveli notizie segrete conosciute nell’esercizio
delle funzioni o del servizio svolto, anche una volta persa la qualifica di p.u.
o Nei reati propri è poi possibile il concorso di persone prive di qualifica
pubblicistica, a condizione che l’extraneus dia un contributo alla
consumazione del reato e sia consapevole di concorrere con il soggetto
titolare della qualifica pubblicistica richiesta dalla fattispecie.
Talvolta nel concorso di persone in un reato proprio opera il c.d. mutamento
del titolo di reato (es. l’appropriazione indebita in presenza di p.u. si
trasforma in peculato). In tal caso rispondono di reato proprio anche i
concorrenti che, ignari della qualifica del concorrente, si erano rappresentati
di concorrere in un reato comune: si tratta di un caso di responsabilità
oggettiva, che risponde alla logica dell’unità del titolo di reato in ambito
concorsuale e che andrebbe rivista per garantire il rispetto del principio di
colpevolezza (data la discrasia tra reato oggetto di rappresentazione e reato
del quale il concorrente è chiamato a rispondere).
Unica mitigazione della rigidità della disciplina codicistica è costituita dalla
previsione di una circostanza attenuante facoltativa in favore del concorrente
extraneus, qualora il reato sia più grave di quello voluto.

DELITTI DI PECULATO

peculato semplice peculato mediante profitto


ART 314 comma 1° peculato d’uso dell’errore altrui
ART 314 comma 2° ART 316

L’attuale disciplina dei delitti di peculato è il prodotto della riforma di cui alla
l. n. 86/1990.
PECULATO SEMPLICE ART. 314 COMMA 1°
“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione
del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra
cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni
e sei mesi”
Si tratta di un reato proprio del p.u. e dell’i.p.s., del quale rispondono anche i
soggetti a questi equiparati dall’articolo 322.bis con qualifiche sovranazionali o di
ordinamenti stranieri.
Ha natura plurioffensiva: da un lato, offende il buon andamento della p.a., in quanto
i beni che sono in possesso del soggetto qualificato per ragioni di ufficio o servizio
devono essere utilizzati per le destinazioni pubbliche previste; dall’altro lato, lede il
patrimonio, in quanto l’appropriazione ha ad oggetto beni altrui.
Presupposto della condotta di appropriazione è il possesso o la disponibilità per
ragioni d’ufficio o servizio di denaro o altra cosa mobile altrui: questo requisito
fonda la situazione nella quale si colloca l’abuso della posizione dell’agente pubblico
su beni a lui affidati per ragioni d’ufficio o servizio.
La nozione di possesso di denaro deve intendersi come comprensiva non solo della
detenzione materiale della cosa, ma anche della sua disponibilità giuridica, nel senso
che il soggetto deve essere in grado, mediante atto dispositivo di sua competenza o
connesso a prassi invalse nell’ufficio, di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità
del denaro e di conseguire quanto più costituisca oggetto di appropriazione.
L’ufficio o il servizio devono essere stati l’occasione che ha agevolato la condotta
appropriativa.
Quando, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, l’agente pubblico acquisisce un
bene per conto della p.a. ne ha la disponibilità, come nel caso dell’attività di
riscossione di un tributo per conto dell’ente pubblico: in tal caso il denaro entra
immediatamente nel patrimonio pubblico ed il p.u. che se ne appropri risponde di
peculato.
ESEMPIO: si pensi al caso del gestore di una tabaccheria che omette di versare
all’erario le somme riscosse per conto dell’agenzia delle entrate
La condotta appropriativa ha come oggetto materiale il denaro o altra cosa mobile
altrui: il denaro è stato espressamente menzionato, in quanto il peculato si consuma
prevalentemente in relazione a somme di denaro; è cosa mobile anche l’energia
elettrica e qualunque altra forma energetica economicamente valutabile autonoma
rispetto all’oggetto materiale, in modo da poter essere oggetto di apprensione
indipendentemente dal bene che la produce.
Ne consegue che non è configurabile il peculato di energie lavorative nella condotta
di un dirigente che utilizzi per fini privati un dipendente pubblico in orario di lavoro:
le energie lavorative non possono essere scisse da chi le produce e l’essere umano
non è ovviamente una cosa mobile (sarebbe configurabile al massimo un abuso
d’ufficio).
In forza del principio di offensività in concreto, il peculato è escluso se ha ad oggetto
beni privi di valore economico. Non è invece applicabile la causa di non punibilità
per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis) applicabile ai reati con pena massima
detentiva non superiore a 5 anni, sebbene vi siano casi di appropriazione di beni di
scarso valore.
Denaro e cosa mobile devono essere altrui: altrui è un bene sul quale un terzo
(privato o pubblico) ha la proprietà o altro diritto reale di godimento.
Si tratta di un requisito superfluo: sarebbe bastato a connotare la fattispecie il
riferimento al possesso o disponibilità del bene per ragioni d’ufficio o servizio, in
quanto ad essere rilevante è la destinazione del bene a finalità pubbliche.
Il profilo più significativo della riforma del 1990 risiede nella restrizione della
condotta penalmente rilevante alla sola appropriazione, con l’abrogazione del
peculato per distrazione: nell’appropriazione rientravano gli atti di disposizione
ati dominus, nella distrazione qualsiasi destinazione del bene a finalità diverse da
quelle pubbliche previste.
E’ necessario pertanto definire in termini più precisi la condotta di appropriazione:
accanto al momento negativo dell’espropriazione del bene a finalità pubbliche, si
presenta il momento positivo della impropriazione, ossia il comportarsi nei confronti
del bene come uti dominus (come se fosse il proprietario) alienando il bene,
distruggendolo, consumandolo, non restituendolo).
Ora, l’appropriazione così intesa include non solo le condotte che vanno a favore
dello stesso soggetto agente (es. sottrazione di denaro pubblico fatto transitare sul
proprio conto corrente; utilizzo per finalità private dei fondi destinati a spese di
rappresentanza d’ufficio), ma anche la distrazione del bene verso il soddisfacimento
di interessi di terzi (si pensi al caso di un bene della p.a. che viene trasferito ad un
amico). Il disvalore delle due condotte è del tutto omogeneo, perché in entrambi i
casi c’è un abuso delle funzioni che comporta la definitiva sottrazione del bene alle
finalità pubbliche.
Una questione sulla quale la giurisprudenza si è soffermata, è costituita dalla
rilevanza penale delle condotte di mancato versamento di tributi all’ente titolare
degli stessi da parte dei soggetti incaricati della riscossione che sono i.p.s.: costoro,
nel momento di acquisizione delle somme versate per il pagamento del tributo,
entrano nella disponibilità di un bene per conto della p.a.
La giurisprudenza si era espressa in tal senso in relazione agli albergatori, in caso di
mancato versamento della tassa di soggiorno: tuttavia a seguito della l. n. 77/2020 i
gestori di strutture ricettive hanno perso la qualifica di i.p.s. per cui non possono più
incorrere nel reato di peculato.
Quanto al concorso di persone, è con particolare riguardo al peculato che si pone
un’eventuale applicazione dell’articolo 117 per mutamento del titolo di reato in un
reato proprio in quanto il peculato si differenzia dall’appropriazione indebita in
ragione della qualifica rivestita dal soggetto attivo del reato.

PECULATO D’USO ART. 314 comma 2°


“Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha
agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso
momentaneo, è stata immediatamente restituita”
Non si tratta di una circostanza attenuante del peculato per appropriazione, bensì di
una fattispecie autonoma.
Con il delitto di peculato, il comma 2° condivide il soggetto attivo (p.u. o i.p.s.) ed il
presupposto della condotta (possesso o disponibilità per ragioni d’ufficio o servizio).
La condotta però richiede due elementi aggiuntivi:
 l’uso momentaneo
 l’immediatezza della restituzione dopo l’uso
L’assenza di offensività in concreto va valutata in relazione al duplice profilo lesivo
della fattispecie relativo al buon andamento dell’amministrazione e agli interessi
patrimoniali (si pensi all’uso dell’auto di servizio per urgenti esigenze familiari se
l’uso avviene per un tempo trascurabile o un tragitto limitato).
La gradualità dell’offesa ai beni tutelati permette di applicare al peculato d’uso due
disposizioni: in presenza di una lieve entità dell’offesa interviene la causa di non
punibilità di cui all’articolo 131-bis che richiede la particolare tenuità del fatto e la
non abitualità del comportamento (il peculato d’uso costituisce infatti fattispecie
autonoma di reato rispetto al peculato per distrazione al quale la causa di non
punibilità non è applicabile in ragione dei limiti edittali della pena);
qualora non fosse applicabile l’articolo 131bis, il grado di offensività in concreto
potrebbe consentire di riconoscere l’applicabilità della circostanza attenuante della
lieve entità del fatto.
L’oggetto materiale: si fa riferimento alla cosa senza menzionare il denaro; il
peculato d’uso è configurabile solo in relazione alle cose di specie, che possono
essere restituite dopo l’uso, e non alle cose fungibili, delle quali è possibile solo la
restituzione del tantundem.
Elemento soggettivo è il dolo intenzionale in quanto è necessario che sin dall’inizio
il soggetto abbia intenzione di fare un uso momentaneo del bene e di restituirlo
immediatamente dopo l’uso.
Se il p.u. si appropriasse di un bene di cui ha il possesso per ragioni di ufficio per
farne un uso momentaneo e non riesca a restituirlo immediatamente dopo l’uso per
cause a lui non imputabili, il principio di colpevolezza impone di assicurare
comunque al p.u. che possa rispondere di peculato d’uso e non di peculato per
appropriazione, in quanto sin dall’inizio l’agente ha agito al solo fine di fare un uso
momentaneo del bene e in vista della sua immediata restituzione.
Qualora invece, la mancata restituzione sia rimproverabile al p.u. per dolo o colpa, il
fatto integra gli estremi del più grave peculato per appropriazione.
Il reato si consuma con la restituzione del bene immediatamente dopo l’uso
momentaneo.
In sede applicativa è particolare l’interesse sviluppatosi nei casi del vuoto di cassa e
dell’uso del telefono d’ufficio per scopi privati.
Con il c.d. vuoto di cassa si intende il caso del p.u. che utilizza per scopi privati il
denaro che dispone per ragioni di ufficio o servizio con l’intenzione di restituirlo
prima della scadenza del termine per il rendiconto.
A questo non è applicabile il peculato d’uso che non ha ad oggetto il denaro, ma il
peculato per appropriazione, in quanto, nel momento della riscossione del denaro
da parte del p.u., la p.a. diventa immediatamente proprietario di quanto va versato
nelle casse pubbliche.
La seconda questione è relativa all’utilizzo per fini privati del telefono d’ufficio:
partendo dal presupposto che nel diritto penale sono “cosa mobile” anche le
energie economicamente valutabili, si configurava peculato per appropriazione in
relazione agli impulsi di energia che trasmettono le telefonate e che hanno un valore
economico; le sezioni unite della cassazione hanno però di recente configurato
ipotesi di peculato d’uso in quanto le energie costituite da onde elettromagnetiche
non sono oggetto di previo possesso o disponibilità da parte dell’ente del telefono
(manca requisito essenziale di fattispecie).

PECULATO MEDIANTE PROFITTO DELL’ERRORE ALTRUI – ART 316


“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle
funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente,
per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a
tre anni”
Il fatto è incentrato sulla condotta di giovarsi di un errore altrui, ossia sfruttare una
situazione di errore nella quale una persona già si trova e questo elemento richiede
un legame temporale con l’esercizio delle funzioni o del servizio.
Il soggetto passivo deve, quindi, essere consapevole di pagare il p.u. o l’i.p.s. in
ragione delle funzioni o del servizio svolti; l’errore in cui versa può cadere sia sull’an
che sul quantum dovuto.
E’ essenziale che l’errore non sia indotto dall’agente pubblico, in quanto, se fosse
presente l’induzione in errore attraverso una condotta di artifizio o raggiro, il fatto
integrerebbe la più grave fattispecie di truffa aggravata dall’abuso della qualifica.
La condotta è descritta in modalità duplice come ricevere o trattenere, la cui
distinzione si fonda sul momento in cui il soggetto attivo acquisisce la
consapevolezza dell’errore: ricevere è l’atto di chi ottiene denaro o altra utilità nella
consapevolezza dell’errore in cui versa il soggetto; trattenere dà rilevanza al fatto di
aver ricevuto per errore il bene e di essersi accorto ex post dell’errore.
Oggetto materiale della condotta è costituito da denaro o altra utilità (qualunque
vantaggio anche non patrimoniale).
La condotta è arricchita da un elemento ad illiceità speciale identificato nell’avverbio
“indebitamente”: tuttavia questo requisito, riferendosi alla condotta, risulta inutile
in quanto già assorbito dalla necessità che il soggetto si giovi dell’errore altrui.
Il dolo richiede la consapevolezza dell’errore in cui il soggetto passivo versa.
Il reato si consuma nel momento della ricettazione della somma o in quello in cui si
trattiene il bene nella consapevolezza della consegna avvenuta per errore altrui.

DELITTI A TUTELA DELL’ATTIVITA’ DI FINANZIAMENTO PUBBLICO

CONDOTTA CRIMINOSA

A MONTE A VALLE
indebita percezione di finanziamenti mancata destinazione delle risorse
pubblici agli scopi prefissati

 INDEBITA PERCEZIONE DI EROGAZIONI A DANNO DELLO STATO – ART 316ter


 MALVERSAZIONE A DANNO DELLO STATO – ART 316bis
L’attività di finanziamento pubblico costituisce un importante strumento per lo
sviluppo di politiche pubbliche nelle quali Stato, enti pubblici ed Unione Europea
intervengono per direzionare, sollecitare, sostenere determinate attività.

Si tratta di strumenti quali:


- erogazione di sovvenzioni a tasso agevolato
- esonero dal pagamento di contributi e tasse
Tratti comuni a questi mezzi sono dati dall’ente pubblico erogatore e dall’interesse
pubblico sotteso al finanziamento per lo svolgimento di determinate attività; questo
interesse pubblico spiega perché il bene da tutelare non possa essere limitato alla
dimensione patrimoniale.
Il danno prodotto è dunque principalmente un danno da sviamento di risorse.
Le condotte criminose finalizzate a pregiudicare l’attività di finanziamento pubblico
possono collocarsi a monte oppure a valle dell’erogazione del finanziamento, a
seconda che siano rivolte ad ottenere indebitamente un’erogazione pubblica
(indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche, illecita percezione di fondi del Fondo
europeo) oppure si concretino nella mancata destinazione delle risorse ottenute agli
scopi ai quali erano destinate (malversazione).

INDEBITA PERCEZIONE DI EROGAZIONI A DANNO DELLO STATO ART 316ter


“Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640 bis, chiunque mediante l'utilizzo o la
presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante
l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi,
sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque
denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se
il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso
della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto
offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro
100.000.
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822.
Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito

Quindi l’articolo punisce chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di


dichiarazioni o documenti falsi, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute,
consegua indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolativi o altre
erogazioni dello stesso tipo, concessi dallo Stato, da enti pubblici o dall’Ue.
Si tratta di un reato d’evento a condotta vincolata.
La condotta è duplice:
- può consistere nella condotta attiva di utilizzazione o presentazione di
dichiarazioni o di documenti falsi
- ovvero nella condotta omissiva rispetto ad informazioni dovute
L’evento è costituito dall’indebita percezione dell’erogazione.
Il tipo di erogazione pubblica è indicato in ampi termini: contributi, finanziamenti,
mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo (normazione casistica con
clausola di chiusura). La norma è posta quindi a tutela di qualsiasi attività di
erogazione di denaro con la quale l’ente persegue finalità di pubblico interesse.
La clausola di chiusura è a tal punto ampia da ricomprendere anche le ipotesi di
esenzione totale/parziale da pagamenti dovuti ad un ente pubblico (come nel caso
di un datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto somme a titolo
di indennità per maternità, ottenga dall’Inps il conguaglio di tali somme) o contributi
pubblici erogati per far fronte ad una situazione economica di crisi (si pensi alla
presentazione di una falsa autocertificazione relativa al proprio status di
disoccupazione o del reddito familiare cui consegue ad esempio una minor tassa
universitaria).
Vi rientra anche il decreto rilancio (2020) consistente nell’erogazione di un
contributo a fondo perduto in favore dei soggetti colpiti dall’emergenza
epidemiologica Covid-19 ed esercenti attività d’impresa.
Il reato si consuma con l’ottenimento dell’erogazione: qualora il finanziamento fosse
erogato in più parti la consumazione si sposta al momento dell’acquisizione
dell’ultima rata di finanziamento (reato a consumazione prolungata).
L’erogazione deve quindi essere stata ottenuta indebitamente: è infatti
conseguente alla condotta di false dichiarazioni od omissione di informazioni
dovute.
La norma si caratterizza per la presenza di una soglia di punibilità indicata al 2°
comma: quando la somma percepita indebitamente e pari o inferiore a 3.999 € si
applica soltanto la sanzione amministrativa; quindi se la soglia non viene superata il
fatto integra un illecito amministrativo, al di sopra diviene penalmente rilevante.
Ad ogni modo il modesto superamento del valore soglia del finanziamento ottenuto,
seppur integra la fattispecie penale, potrebbe essere valutato dal giudice per
l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art.
131bis).
Il delitto è doloso ma in caso di finanziamenti sotto-soglia dovrebbe rilevare anche la
percezione colposa del finanziamento: è tuttavia preferibile un’interpretazione
restrittiva in favore dell’imputazione solo dolosa per evitare irragionevoli disparità di
trattamento rispetto alla percezione indebita di finanziamenti di valore superiore al
limite indicato, punibili solo per dolo.
La fattispecie di tentativo è ravvisabile nei casi in cui alla condotta non sia seguita
l’erogazione pubblica salvo che il finanziamento sia superiore al valore-soglia.
Sono previste due circostanze aggravanti:
- se il fatto è commesso da p.u. o i.p.s. con abuso della qualità o dei suoi poteri
- se il fatto offende gli interessi finanziari dell’UE e il danno o il profitto sono
superiori a 100.000€
Con riferimento al rapporto con altre fattispecie ed in particolare con il delitto di
truffa: l’articolo 316ter dispone “salvo che il fatto costituisca il reato previsto
dall’articolo 640bis”. La clausola di riserva è stata oggetto di due diverse letture:
la prima in termini di specialità considera l’articolo 316ter norma speciale rispetto
alla truffa, che, dunque, non si applica laddove la condotta integri una delle modalità
indicate dal 316ter e si ottenga il finanziamento;
la seconda in termini di sussidiarietà considera indebita percezione fattispecie
sussidiaria rispetto all’art. 640bis perché consente di sanzionare condotte che non
rientrano nella truffa aggravata.
Questa seconda lettura è stata seguita dalla Sezioni Unite della cassazione.
ART 640-640bis “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad
altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito.
La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui
all'articolo 640 riguarda contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre
erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri
enti pubblici o delle Comunità europee”

MALVERSAZIONE A DANNO DELLO STATO ART 316bis


“Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o
da altro ente pubblico o dalle Comunità Europee contributi, sovvenzioni,
finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque
denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle
finalità previste, è punito”
La norma riguarda condotte collocate dopo la percezione del finanziamento.
Il bene giuridico tutelato è costituito non tanto dall’interesse patrimoniale dell’ente
erogante (le somme erano state stanziate dall’ente ed il percettore aveva diritto ad
ottenerle), quanto dall’interesse pubblico al perseguimento delle finalità sottese
all’erogazione delle risorse pubbliche.
L’offesa va dunque riferita allo sviamento delle risorse pubbliche dagli obiettivi ai
quali erano destinati.
Soggetto attivo è descritto in modo anomalo attraverso il requisito negativo della
non appartenenza alla p.a.
Presupposto della condotta è costituito dall’ottenimento di specifiche erogazioni
che sono connotate da tre elementi:
o si tratta di contributi, sovvenzioni, finanziamenti in ogni caso erogazioni
vantaggiose per il loro destinatario (mutui a tasso agevolato, contributi a
fondo perduto, previsione di restituzione parziale del finanziamento)
o la fonte del finanziamento è individuata nello Stato, enti pubblici ed Ue
o l’erogazione deve essere destinata a favorire iniziative dirette alla
realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse
Non interessano le prestazioni di tipo assistenziale non connesse ad un facere
del loro precettore (invece rilevanti nelle frodi “a monte”).
Il riferimento alle attività di pubblico interesse può essere letto in due modi
differenti: la visione più restrittiva esclude i finanziamenti rivolti ad incentivare
attività private; quella più ampia invece ritiene che l’interesse pubblico stia a
monte nelle scelte dell’ente erogatore che potrebbe avere interesse a
potenziare lo svolgimento di determinate attività anche private (es. attività
agricole).
La condotta consiste nella mancata destinazione dell’erogazione ricevuta alle
finalità previste: sono certamente incluse le condotte distrattive, ma anche quelle di
semplice omessa utilizzazione del finanziamento ottenuto.
Il reato si consuma allo scadere del termine previsto per lo svolgimento dell’attività.
Quanto al rapporto tra gli artt. 640bis e 316ter i problemi nascono nel caso in cui
con artifizi o raggiri si ottenga il finanziamento che successivamente non viene
destinato alle finalità previste. Le sezioni unite condividono la soluzione che
considera sussistente la commissione di due reati distinti.

DELITTI DI TRANSAZIONE ILLECITA

CONCUSSIONE INDUZIONE INDEBITA CORRUZIONE TRAFFICO DI INFLUENZE


La disciplina del codice Rocco era lineare nel riflettere il rapporto tra agente
pubblico e controparte perché, accanto al delitto di concussione che, attraverso le
condotte di costrizione e induzione, colpiva le prevaricazioni del p.u., affiancava i
delitti di corruzione, incentrati su un accordo paritario (chi promette o paga
l’indebito è concorrente nel reato di corruzione, mentre nella concussione è
soggetto passivo dunque non punibile).
La situazione muta a partire dagli anni Novanta nel corso delle indagini giudiziarie
note come MANI PULITE che hanno svelato mercati di tangenti estorte o pagate per
acquisire vantaggi indebiti.
I casi si connotavano per una forte pervasività delle pubbliche amministrazioni con
conseguente grave alterazione dei rapporti tra p.a., consociati ed imprese da
sempre centro di interessi per l’acquisizione di appalti ed autorizzazioni di vario tipo.
In Italia la corruzione aveva assunto una dimensione sistematica in quanto il
pagamento di tangenti nei rapporti pubblico-privati era diventato la prassi: talvolta
era il p.u. ad abusare della propria posizione di monopolio per costringere o indurre
a dare o promettere utilità indebite; altre volte la tangente non era estorta ma
costituiva una sorta di tassa illegale per accedere ai rapporti con le amministrazioni
pubbliche.
Le indagini giudiziarie quindi dimostrarono la debolezza della disciplina codicistica
rispetto alla complessa realtà criminologica sottostante.
Al contempo il fenomeno della corruzione cominciava ad essere preso in
considerazione a livello sovranazionale per cui l’Italia firmò alcune convenzioni tra le
quali:
- la convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle comunità europee
(1995)
- la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione (1997)
Quindi, anche questi strumenti sovranazionali hanno sollecitato l’adeguamento della
disciplina italiana alla situazione che si stava affermando.
La disciplina dei reati di concussione e corruzione, rimasta per lungo tempo
immobile, a partire dal 1990 è stata oggetto di specifica attenzione da parte del
legislatore.
La l. 86/1990 è intervenuto ad ampliare i reati di corruzione concussione;
La l. 300/2000 ha esteso l’applicazione dei delitti di corruzione e concussione anche
alle persone con qualifiche di p.u. all’interno degli enti sovranazionali o
amministrazioni pubbliche straniere
La Legge Severino (2012) è intervenuta sul fronte preventivo in modo da intercettare
e disincentivare gli scambi corruttivi: un ruolo centrale viene affidato ai piani di anti-
corruzione che spetta alla p.a. elaborare ed adottare. Si tratta di modelli
organizzativi che gli enti devono adottare e far rispettare attraverso la figura
dell’organismo di vigilanza e solo allora potranno essere esonerati da responsabilità
penale (vedi appunti sulla responsabilità dell’ente!)
Vi sono infine state numerose riforme atte ad inasprire il trattamento sanzionatorio.

CONCUSSIONE ART 317


“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua
qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui
o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni”
Si tratta del più grave dei delitti contro la p.a.
Ha natura plurioffensiva in quanto lede:
- gli interessi della p.a. (buon andamento e imparzialità)
- la libertà di autodeterminazione di chi è vittima della prevaricazione
Soggetto attivo è il p.u. e l’i.p.s. (tra l’altro, l’abuso della qualità e dei poteri impone
l’attualità della qualifica!)
Soggetto passivo può essere sia il privato che soggetti con qualifica pubblicistica, il
quale può comunque essere oggetto di coartazione.
La condotta richiede una COSTRIZIONE da realizzarsi abusando della qualità e dei
poteri.
L’ABUSO DEI POTERI riguarda qui poteri che rientrano nella competenza del
soggetto: l’abuso si può tradurre nell’esercizio di questi poteri fuori dai casi
consentiti sia nel mancato esercizio degli stessi (si pensi al comportamento
ostruzionistico del p.u. che non emana un atto che il privato ha diritto ad ottenere).
L’ABUSO DELLA QUALITA’ indica invece la strumentalizzazione della qualifica
rivestita, ma è comunque necessaria l’allusione all’esercizio dei poteri, in quanto
non si comprende, altrimenti, come questa condotta possa avere la capacità di
condizionare la libertà di autodeterminazione della vittima.
La condotta come dicevamo consiste nella COSTRIZIONE.
L’attuale struttura della fattispecie è dovuta alla riforma del 2012 che ha modificato
la formulazione originaria del codice penale che prevedeva invece due modalità
alternative, quali costrizione ed induzione.
La costrizione consiste nel ricorso alla minaccia, intesa come prospettazione di un
male ingiusto la cui realizzazione dipende dallo stesso autore della minaccia, o alla
violenza che richiede l’impiego di energia fisica.
L’induzione è invece una forma di condizionamento psichico che si manifesta nella
blanda spinta a dare o promettere l’indebito (esortazione, sollecitazione,
persuasione, messaggi impliciti).
La costrizione chiaramente presenta una carica intimidatoria più intensa, che pone
l’interlocutore di fronte ad un’alternativa secca (piegarsi alla richiesta o subire il
danno), mentre l’induzione lascia al destinatario un più ampio margine di scelta.
Con la riforma l. n. 190/2012 la condotta dell’induzione ha assunto una propria
autonomia all’interno di una diversa fattispecie quale l’INDUZIONE INDEBITA A DARE
O PROMETTERE UTILITA’ (art 319-quater).
La concussione può quindi realizzarsi solo mediante costrizione.
Il messaggio alla base della riforma è chiaro: i pubblici agenti non vanno pagati per
l’esercizio delle loro funzioni ed il privato che dà o promette l’indebito incorre in
responsabilità penale, salvo che sia vittima di una costrizione, nel qual caso è
soggetto passivo di concussione, della quale risponde solo il pubblico ufficiale.
Questo intervento è noto come “spacchettamento” del delitto di concussione in
quanto quelle che prima erano due modalità alternative della condotta di un unico
reato sono state scisse, andando a costituire le condotte di due fattispecie distinte.
Le Sezioni Unite hanno poi tracciato la differenza tra costrizione ed induzione nei
seguenti termini, cioè fissando un criterio generale affiancato tuttavia dall’analisi di
alcuni casi nei quali il criterio generale non opera.
La COSTRIZIONE sussiste in presenza di una condotta di abuso di poteri o di qualità
che determina nel destinatario della stessa una costrizione psichica relativa che può
essere realizzata tramite minaccia o violenza.
L’INDUZIONE è invece connotata da due diversi profili: anzitutto è presente una
minor capacità di condizionamento del suo destinatario, il quale mantiene una più
ampia libertà di scelta; il secondo elemento è costituito dalla finalità che sorregge la
condotta di dare o promettere l’indebito cioè l’acquisizione di un vantaggio.
Il criterio generale così tracciato trova un temperamento in alcuni casi che le Sezioni
Unite riconducono a “zona grigia” nei quali si rimanda ad un’attenta valutazione del
rapporto che s’instaura tra le parti.
ESEMPIO: casi nei quali si agisce per preservare beni di particolare rilievo o beni
strettamente personali (si pensi alla richiesta di una prestazione sessuale gratuita ad
una prostituta straniera, avanzata dai poliziotti in servizio in cambio della mancata
denuncia della donna per irregolare presenza sul territorio dello Stato).

La condotta abusiva del p.u. deve aver costretto a dare o promettere un’utilità
indebita: dazione e promessa costituiscono evento del reato.
E’ necessario quindi un legame causale tra costrizione, con abuso della qualità o dei
poteri, e dazione o promessa.
L’oggetto materiale della dazione o promessa è costituito da denaro o un’altra
utilità che include qualsiasi interesse del p.u., non necessariamente di tipo
economico in quanto la fattispecie non è posta a tutela di interessi patrimoniali
ESEMPIO: prestazione sessuale
Dazione e promessa devono essere indebite: il reato ad esempio sussiste se la
somma non era dovuta oppure se l’utilità era dovuta al p.u. ma a titolo privato.
Quanto all’elemento soggettivo, si tratta di delitto doloso: l’intraneus (p.u.) deve
essere consapevole di realizzare una costrizione, abusando dei poteri o delle qualità
per far dare a sé o a terzi un’utilità indebita.
Il reato si consuma con la dazione o la promessa (a differenza dell’estorsione in cui
non si richiede la verificazione di un danno): è sufficiente che vi sia stata promessa,
ma se alla promessa segue la dazione, in un’unica soluzione o frazionata in più rate,
si pone il problema di fissare il momento consumativo di una fattispecie che prevede
alternativamente la dazione o la promessa come evento del reato.
TEORIA DEL REATO A DUPLICE SCHEMA: il reato si perfeziona già con l’accettazione
della promessa, ma se a questa segue la dazione dell’utilità, il momento
consumativo si sposta all’atto della dazione; in presenta di utilità corrisposte in rate,
la consumazione si colloca al momento dell’ultima dazione.
Il tentativo di concussione si realizza quanto il p.u. commette atti idonei diretti in
modo non equivoco a costringere il soggetto passivo a dare o promettere l’indebito.
La linea di confine tra tentativo e consumazione diviene più incerta in presenza della
c.d. riserva mentale, cioè quando la promessa è fatta con la riserva mentale di non
pagare: in tal caso il reato non può dirsi consumato in quanto non c’è stata
un’effettiva promessa (è solo apparente).

INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITA’ – ART 319quater


“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di
pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a
dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito
con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.
Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito
con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando
il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto
sono superiori a euro 100.000.”
Si tratta di norma intermedia tra concussione e corruzione: impone di differenziare
questa fattispecie non solo dalla concussione ma anche dalla corruzione propria.
Il criterio discretivo è dato dalla presenza dell’abuso dei poteri o qualità che
determina una posizione di prevaricazione del pubblico agente, mentre nella
corruzione le parti si muovono entro un rapporto paritario di scambio.
 nella concussione il privato è vittima di una costrizione
 nell’induzione indebita è soggetto che subisce il condizionamento psichico
della condotta abusiva del pubblico agente, pur agendo per garantirsi un
vantaggio
 nella corruzione è libero contraente del pactum sceleris
Come già evidenziato, questo delitto è stato inserito dalla l. n. 190/2012 che ha al
contempo soppresso la condotta induttiva nella concussione.
A differenza del delitto di concussione che ha natura plurioffensiva, la fattispecie
tutela solo il buon andamento e l’imparzialità della p.a.
Il primo comma prevede un reato proprio e presenta tutti gli elementi costitutivi
della concussione se non fosse per l’elemento distintivo consistente nella condotta
di INDUZIONE (e non più costrizione).
Si ha induzione in presenza di due elementi:
- minor capacità di condizionare la libertà di autodeterminazione
- scopo di acquisire un vantaggio indebito
Il secondo comma però punisce anche la condotta di chi dà o promette l’utilità
indebita cioè il soggetto indotto: il disvalore della sua condotta starebbe proprio nel
fatto di aver ceduto alla più blanda induzione al fine di acquisire un’utilità non
dovuta.
L’induzione può assumere diverse forme riconducibili a due macro-tipologie:
- la blanda spinta alla prestazione indebita
- la condotta si può realizzare anche a mezzo di induzione in errore
All’indomani della riforma, la dottrina sostenne l’inquadramento del fatto nella
fattispecie di truffa aggravata.
In realtà rientrano nella fattispecie di induzione indebita i casi nei quali la persona
indotta è consapevole di pagare l’indebito e l’errore verte sui poteri che il p.u.
minaccia di esercitare (o non esercitare): in questi casi la punizione del soggetto
indotto in errore conserva la sua ragionevolezza, in quanto quest’ultimo si pone di
fronte ad alla condotta abusiva del p.u. agendo comunque per acquisire un
vantaggio ingiusto.
Non vi rientrano invece i casi nei quali l’errore verte sulla doverosità della dazione o
della promessa (il soggetto quindi paga o promette, ritenendo erroneamente che la
prestazione sia dovuta): questi casi continuano ad essere inquadrati nella truffa
aggravata nella quale chi ha dato o promesso è persona offesa dal reato.
Il reato si consuma nel momento in cui il destinatario della condotta induttiva dà o
promette l’indebito.
Il delitto è compatibile con il tentativo quando il p.u. compie atti idonei in modo non
equivoco ad indurre a dare o promettere una utilità indebita.
Quanto al dolo è necessario che il p.u. abbia coscienza e volontà di abusare delle
qualità e dei poteri come strumento di induzione a dare o promettere un’indebita
utilità. Quanto al soggetto indotto, il dolo, oltre alla rappresentazione della condotta
abusiva del p.u., e del carattere dell’indebito dato o promesso, richiede anche il fine
di trarre un vantaggio.

I DELITTI DI CORRUZIONE
Anzitutto va detto che si tratta di reati-accordo: ai fini della consumazione del reato,
è sufficiente accordarsi per la dazione di utilità indebita in vista del compimento di
un atto o dell’esercizio delle funzioni o in relazione ad un atto già compiuto.
Il disvalore di queste fattispecie è insito nell’accordo e prescinde dall’effettiva
dazione dell’utilità da parte del corruttore o dal compimento dell’atto o
dell’esercizio delle funzioni da parte del pubblico agente corrotto.
TERMINOLOGIA
o il termine corruzione attiva identifica la condotta di chi dà o promette
(corruttore);
o il termine corruzione passiva identifica la condotta di chi riceve l’utilità o
accetta la promessa (corrotto)
o la corruzione antecedente indica l’accordo intervenuto in vista del
compimento di un atto
o la corruzione susseguente indica invece un accordo intervenuto in relazione
ad un atto che il soggetto pubblico ha già compiuto
o la corruzione impropria ha ad oggetto atti conformi ai doveri d’ufficio (art 318)
o nella corruzione propria invece l’accordo illecito ha ad oggetto il compimento
di atti contrari ai doveri d’ufficio, ovvero il ritardo o l’omissione di atti dovuti
LE NORME
L’attuale disciplina dei reati di corruzione è articolata in più norme:
ART 318 prevede la corruzione impropria, considerando esclusivamente la condotta
del p.u.
ART 319 relativo alla corruzione propria, ancora del p.u.
ART 320 estende gli articoli 318 e 319 anche all’i.p.s.
ART 319ter prevede la corruzione in atti giudiziari
ART 321 riguarda la figura del corruttore
ART 322 prevede l’istigazione alla corruzione che consente di incriminare anche
condotte dirette alla conclusione di un accordo corruttivo che non si è poi
consolidato
CONSIDERAZIONI GENERALII
Il bene giuridico tutelato:
- buon andamento ed imparzialità della p.a. (art. 97 Cost.)
- fiducia dei consociati nella correttezza dei comportamenti di coloro che
operano nella p.a.: dazione e promessa di utilità indebite ai p.u., anche se poi
alla pattuizione illecita non si dà attuazione, destabilizzano l’affidamento dei
consociati nella correttezza d’azione della p.a.
La corruzione assume una dimensione macro-offensiva: investe in primo luogo
l’economia, in quanto scambi illeciti alterano la concorrenza; in secondo luogo
vittime degli scambi corruttivi sono i consociati.
Abbiamo già detto che i reati di corruzione sono reati-accordo che richiedono
l’incontro tra due volontà, quella del corrotto e quella del corruttore: le parti
dell’accordo si muovono su un piano paritario e perseguono interessi diversi ma
convergenti, perché il corruttore è interessato all’atto o alle funzioni esercitate dal
p.u. o dall’i.p.s. mentre il corrotto conclude l’accordo per conseguire un’utilità
indebita.
Strutturalmente si tratta quindi di reati a concorso necessario, in quanto, essendo
incentrati sull’accordo (reati bilaterali), hanno come elemento costitutivo la
partecipazione di più persone: alle condotte alternative di dare o promettere
(corruzione attiva), corrispondono quelle di accettare la promessa o ricevere
(corruzione passiva).
ACCETTARE
PROMETTERE
CORRUZIONE CORRUZIONE
ATTIVA PASSIVA
DARE RICEVERE

La consumazione si riduce all’ACCORDO, cioè l’incontro tra le volontà delle parti, che
si concretizza in due modi:
 promessa e accettazione
 immediata dazione e contestuale ricezione
ESEMPIO: Tizio consegna nelle mani di caio una mazzetta e questo se la tiene
Nei reati di corruzione il pactum sceleris ha ad oggetto da un lato l’atto o le funzioni
e, dall’altro, la promessa o la dazione di denaro o altra utilità (non necessariamente
patrimoniale).

CORRUZIONE PER L’ESERCIZIO DELLE FUNZIONI ART 318


“Il pubblico ufficiale, che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri,
indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta
la promessa, è punito con la reclusione da tre a otto anni”
FORMULAZIONE ORIGINARIA "Corruzione per un atto d'ufficio”
"il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio (corruzione impropria e
antecedente), riceve, per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è
dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico
ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione
fino a un anno (corruzione susseguente)"

L’attuale configurazione della norma è dovuta alla riforma della l. 190/2012


Si tratta di un reato proprio, punibile solo se commesso dal pubblico ufficiale al
quale, però, l’art. 320 parifica l’incaricato di pubblico servizio.
La condotta penalmente rilevante è costituita dal pubblico funzionario che riceve
denaro a altra utilità o ne accetta la promessa per l'esercizio delle sue funzioni o
dei poteri (c.d. corruzione impropria).
La norma ha unificato la previgente differenziazione tra corruzione antecedente e
susseguente, a seconda cioè che la retribuzione preceda l'esercizio della funzione
oppure la segua.
La riforma del 2012 ha eliminato il riferimento al compimento di “atti”, spostando
l’accento sull’esercizio delle “funzioni o dei poteri” del pubblico funzionario,
permettendo così di perseguire il fenomeno dell’asservimento della pubblica
funzione agli interessi privati qualora la dazione del denaro o di altra utilità è
correlata alla generica attività, ai generici poteri ed alla generica funzione cui il
soggetto qualificato è preposto.
Nella formulazione originaria, l’atto doveva essere identificato, altrimenti nei casi in
cui fosse stata data un’utilità in relazione alle funzioni esercitate ed in assenza di
specifico atto, si sarebbe applicato l’articolo 319 sulla corruzione propria.
Nella versione moderna, non si richiede che il p.u. compia uno specifico atto, bensì si
ricomprende una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata.
Viene quindi incriminata la corruzione attiva impropria (atti conformi ai doveri
d’ufficio) in quanto il nuovo articolo 318 è in grado di includere sia le dazioni o le
promesse fatte genericamente in relazione alle funzioni esercitate, sia gli accordi
riferiti al compimento di uno specifico atto conforme ai doveri di ufficio.
Si tratta di un reato che si perfeziona alternativamente o con l’accettazione della
promessa o con il ricevimento dell’utilità promessa, condotta che viene quindi
integrata attraverso un accordo (pactum sceleris) fra il corrotto ed il corruttore,
ovvero quando avviene concretamente la remunerazione con denaro o altra utilità.
Da ultimo, si precisa che la fattispecie in esame rappresenta un'ipotesi di reato a
consumazione frazionata, per cui il reato è effettivamente perfetto e consumato già
al momento della promessa, ma le successive dazioni di denaro, non costituendo
post-fatti penalmente irrilevanti, spostano in avanti la consumazione del reato, con
vari effetti, quali il decorso posticipato del termine di prescrizione del reato.

CORRUZIONE PROPRIA ART 319


“Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato
un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai
doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta
la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni”
La fattispecie riguarda il caso di corruzione propria, antecedente o susseguente, che
si contrappone alla corruzione impropria di cui all’articolo 318.
Nella corruzione propria antecedente il p.u. si fa dare o promettere denaro o altra
utilità per compiere l’atto contrario ai doveri d’ufficio o per omettere o ritardare un
atto dovuto.
Nella corruzione propria susseguente invece, l’atto, ovvero l’omissione o il ritardo,
sono già stati compiuti e l’accordo interviene successivamente sebbene sia riferito a
questi.
Discusso è se il parlamentare possa rispondere di corruzione propria (si pensi al
pagamento di una tangente per condizionare l’esercizio del voto in una decisione).
La Cassazione si p espressa nel senso dell’impossibilità di configurare la corruzione
propria in relazione all’attività parlamentare, in quanto non è possibile configurare
atti contrati ai doveri d’ufficio, agendo i parlamentari senza vincolo di mandato e
non essendo sindacabili nell’esercizio del voto. Questo limite non esclude la
possibilità di applicare il nuovo articolo 318 laddove il parlamentare abbia accettato
la promessa o la dazione di utilità indebita in relazione alle funzioni ricoperte.
Oggetto del pactum sceleris può essere:
- un atto contrario ai doveri di ufficio
- l’omissione o il ritardo di un atto dovuto.
Discussa la nozione di atto contrario ai doveri d’ufficio:
si fonda sulla violazione di specifiche norme di fonte primaria e secondaria
(regolamenti, istruzioni, ordini) che devono essere rispettate nell’adottare l’atto o
nel tenere il comportamento; tuttavia la giurisprudenza attribuisce rilevanza anche
alla violazione del dovere di ufficio generico di agire con onestà, correttezza,
imparzialità.

CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI ART 319ter


“Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o
danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica
la pena della reclusione da sei a dodici anni.
Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a
cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l'ingiusta
condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della
reclusione da otto a venti anni”
La norma è stata inserita dalla l. 86/1990: si tratta di una fattispecie autonoma di
reato (non di un’aggravante).
Ha carattere pluri-offensivo:
- buon andamento e imparzialità dell’amministrazione della giustizia
- interessi della parte processuale a danno della quale la corruzione è
realizzata
Per effetto del rinvio esclusivamente agli artt. 318 e 319 (non anche il 320)
rispondono solo i pubblici ufficiali e non anche gli i.p.s.
ESEMPIO: giudice, cancelliere, p.m., ufficiale giudiziario, perito, consulente tecnico
Ne risponde anche il testimone (che è p.u. nell’atto della deposizione)
se il pactum sceleris ha ad oggetto la falsa testimonianza.
La corruzione in atti giudiziari sarebbe configurabile solo rispetto alla corruzione
antecedente in quanto l’art. 319 ter fa riferimento ad un’ipotesi di corruzione
relativa ad un ipotetico accordo finalizzato al danneggiamento o avvantaggiamento
di una parte processuale, accordo che necessariamente interviene prima del
successivo atto (del soggetto corrotto es. testimone, giudice, ecc.)
Per rendere la corruzione susseguente compatibile con la struttura del 319ter le
Sezioni Unite della Cassazione hanno riferito il dolo specifico richiesto non tanto
all’accordo quanto all’atto.
Si trattava di una complessa vicenda nella quale c’era la prova della tangente versata
ad un testimone che aveva deposto il falso, ma il versamento della somma era
avvenuto dopo la deposizione e non c’era la prova di un accordo corruttivo
precedente. Per le sezioni unite ciò che conta è la finalità perseguita dal p.u. al
momento in cui compie l’atto: se essa (per qualsiasi motivo es. inimicizia) è diretta a
favorire o danneggiare una parte processuale, è indifferente che l’utilità data o
promessa sia antecedente o successiva al compimento dell’atto.
Questa traslazione del dolo specifico dall’accordo all’atto non convince, perché
contrasta con il principio di legalità, infatti il 319ter riferisce il fine di danneggiare o
avvantaggiare all’accordo e non all’atto.
Quanto all’elemento soggettivo, si tratta di fattispecie di dolo specifico.
Il comma 2° presenta una circostanza aggravante se dal fatto deriva l’ingiusta
condanna di taluno alla reclusione. Si tratta di un reato aggravato dall’evento, nel
quale l’evento costituisce circostanza aggravante.

ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE ART 322


“Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico
ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per l'esercizio delle sue funzioni o
dei suoi poteri, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena
stabilita nel primo comma dell'articolo 318, ridotta di un terzo.
Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di
un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare
un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa
non sia accettata, alla pena stabilita nell'articolo 319, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un
pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per
l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un
pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro ad altra utilità da
parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319”

Abbiamo già chiarito che il codice penale struttura i delitti di corruzione come reato-
accordo che si consumano con l’incontro delle volontà.
Accanto a queste fattispecie, l’art. 322 contempla i delitti di istigazione alla
corruzione che prendono in considerazione le condotte rivolte ad indurre la
controparte alla conclusione dell’accordo, senza che a questo si giunga.
Si tratta di una fattispecie che punisce in modo autonomo i tentativi di corruzione.
L’articolo 322 contempla quattro fattispecie autonome di istigazione che hanno
come elemento comune la mancata conclusione dell’accordo: l’offerta o la
promessa non devono essere accettate, in quanto, se lo fossero, la corruzione
sarebbe consumata, con applicazione delle relative fattispecie.
I primi due commi prevedono l’istigazione alla corruzione attiva: il primo si riferisce
alla corruzione impropria (per l’esercizio della funzione), il secondo alla corruzione
propria.
I commi terzo e quarto prevedono l’ipotesi in cui l’istigazione proviene dal soggetto
con qualifica pubblicistica (istigazione alla corruzione passiva), si tratta quindi di
reati propri.
La condotta è individuata attraverso il verbo “sollecitare” ovvero istigare.
E’ ovviamente richiesto l’elemento negativo della mancata accettazione della
sollecitazione, cioè l’assenza dell’accordo, elemento costitutivo della fattispecie.

TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE ART 346bis


“Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter e
nei reati di corruzione di cui all'articolo 322 bis, sfruttando o vantando relazioni
esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio,
indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come
prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di
un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue
funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro
anni e sei mesi.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità.”

La norma, tesa a punire le condotte di intermediazione di soggetti terzi nell'opera


di corruzione tra il corrotto ed il corruttore.
Si tratta di un reato necessariamente plurisoggettivo dato che oltre al mediatore è
punito anche il committente della mediazione, come contemplato espressamente
dal comma 2; quindi è un reato a concorso necessario, nel quale le parti
dell’accordo sono poste sullo stesso piano in relazione alle conseguenze
sanzionatorie (modello analogo ai delitti di corruzione).
Rispetto alle fattispecie corruttive, il reato in commento si presenta come una tutela
anticipatoria delle stesse, volta a punire l’intermediario prima che si possa
perfezionare l’accordo corruttivo tra il privato e la Pubblica Amministrazione; infatti
la fattispecie è stata introdotta dal legislatore penale al fine di evitare anche le
attività preparatorie rispetto a quello che potrebbe poi sfociare in una istigazione
alla corruzione.
L'articolo prevede due diverse ipotesi di traffico di influenze illecite:
 un primo caso è rappresentato dal c.d. traffico di influenze gratuito, nel quale
il committente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale al
mediatore affinché quest'ultimo remuneri il pubblico agente per il
compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o l'omissione o il ritardo di
un atto di ufficio.
 La seconda ipotesi è costituita dal c.d. traffico di influenze oneroso, laddove il
committente remunera il mediatore affinché quest'ultimo realizzi una illecita
influenza sul pubblico agente; in questo caso il denaro o il vantaggio
patrimoniale dato o promesso dal committente al mediatore serve a
remunerarlo per l'influenza che quest'ultimo si impegna a porre in essere sul
pubblico agente.
Le condotte sono descritte in modo speculare: farsi dare o promettere da un lato
(intermediario), e dare o promettere dall’altro (committente).
La condotta è poi connotata sul piano modale in quanto deve essere realizzata
“sfruttando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di
pubblico servizio”; il riferimento alle relazioni asserite va riferito ai casi nei quali il
soggetto non ha attualmente queste relazioni, ma è per lui possibile instaurarle.
Lo sfruttare relazioni esistenti invece indica un’effettiva capacità di influenza.
Quanto al rapporto con il delitto di corruzione, la clausola di riserva formalizza il
rapporto di sussidiarietà della norma in analisi.

I DELITTI DI VIOLAZIONE DEI DOVERI FUNZIONALI


ABUSO D’UFFICIO ART 323
“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o
l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in
violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da
atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero
omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un
ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito
con la reclusione da uno a quattro anni”
Bene giuridico tutelato: il buon andamento e l’imparzialità della p.a.
Si tratta di un reato proprio realizzabile dal p.u. o dall’i.p.s.
La condotta presenta due modalità:
 la prima richiede la violazione di specifiche regole di condotta espressamente
previste dalla legge o da atti aventi forza di legge dalle quali non residuino
margini di discrezionalità
 la seconda consiste nella violazione di un obbligo di astensione in presenza di
un interesse proprio o di un prossimo congiunto
Si tratta poi di un reato di evento: è richiesto che la condotta abbia cagionato a sé o
altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno a terzi; il legislatore ha escluso
la rilevanza del vantaggio non patrimoniale.
Il vantaggio patrimoniale va apprezzato in termini economici, quale utilità
economica derivante dalla condotta d’abuso. La patrimonialità sussiste anche
quando viene adottato un atto che è presupposto per l’ottenimento di vantaggi
economici (privilegiare un candidato in un concorso pubblico, dove il vantaggio
patrimoniale è costituito dallo stipendio erogato a seguito dell’assunzione).
Il reato si consuma con l’acquisizione del vantaggio o la causazione del danno.

UTILIZZAZINE DI INVENZIONI O SCOPERTE CONOSCIUTE PER RAGIONI DI UFFICIO


ART 325
“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che impiega, a proprio o
altrui profitto, invenzioni o scoperte scientifiche, o nuove applicazioni industriali, che
egli conosca per ragione dell'ufficio o servizio, e che debbano rimanere segrete, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro
516”
La norma si presenta come una speciale figura d’abuso d’ufficio.
Oggetto materiale del reato sono:
- invenzioni (soluzioni nuove destinate a risolvere problemi tecnici)
- scoperte scientifiche (che riguardano le leggi della scienza)
- nuove applicazioni industriali (modalità tecniche di utilizzazione di principi
scientifici in ambito produttivo)
Questi oggetti materiali della condotta devono essere caratterizzati da due profili:
1. devono essere conosciuti dall’agente per ragioni d’ufficio o servizio
2. dovrebbero rimanere segreti
Si tratta di fattispecie speciale rispetto a quella prevista dal secondo comma dell’art.
326 che punisce il p.u. che si avvale illegittimamente di notizie d’ufficio.

RIVELAZIONE ED UTILIZZAZIONE DI SEGRETI D’UFFICIO ART 326


“l pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i
doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua
qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in
qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare
a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie
di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a
cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena
della reclusione fino a due anni”

Il 1° COMMA punisce il p.u. che rivela notizie di ufficio le quali debbano rimanere
segrete.
Si tratta di un reato proprio ma non è necessario che il p.u. o l’i.p.s. possegga la
qualifica al momento della condotta.
Oggetto materiale della condotta consiste in notizie d’ufficio ovviamente connesse
all’ufficio ricoperto o al servizio svolto, le quali devono essere coperte da segreto.
E’ irrilevante chi sia il titolare dell’interesse di segretezza della notizia potendo
essere la stessa p.a. o un terzo (privato). Se la notizia d’ufficio deve essere
mantenuta segreta nell’interesse privato, il reato assume una dimensione
pluri-offensiva, con la conseguenza che soggetto passivo non è solo la p.a. ma anche
il privato.
La segretezza deve essere imposta da una fonte legale o subordinata, nel rispetto
delle indicazioni della fonte primaria.
Andrà quindi di volta in volta individuata, sulla base della disciplina di riferimento, la
sussistenza del dovere di segretezza e la sua ampiezza.
ESEMPIO: in tema del c.d. “segreto istruttorio” che interessa lo svolgimento delle
funzioni giudiziarie, dovrà farsi riferimento alle disposizioni del codice di procedura
penale per individuare i limiti di segretezza degli atti delle indagini preliminari.
La l.241/90 introduce una limitazione delle notizie da considerare segrete, facendo
riferimento alla c.d. DISCIPLINA DEL DIRITTO D’ACCESSO: la notizia deve essere
comunicata a chi abbia interesse alla conoscenza di un determinato atto; ne limite
quindi in cui si ha diritto d’accesso agli atti, le notizie ad essi inerenti perdono il
carattere di segretezza esclusivamente in relazione ai titolari di tale diritto.
Il rapporto si sovverte: la regola è costituita dalla conoscibilità mediante accesso agli
atti, mentre la segretezza costituisce un’eccezione.
La condotta è duplice:
 RIVELAZIONE consistente nel rendere noto il contenuto della notizia a chi non
è legittimato a conoscerla
 AGEVOLAZIONE consistente nel facilitare la conoscenza della notizia da parte
di terzi estranei (es. lasciando incustodita una pratica amministrativa)
Rivelazione e agevolazione devono avvenire violando i doveri inerenti alle funzioni
o al servizio, o comunque abusando delle qualità.
Bene giuridico tutelato dalla fattispecie è l’interesse legittimo della p.a. o di un
terzo. Va tuttavia valorizzata l’offensività in concreto quindi è da escludere la
rilevanza di notizie marginali.

L’elemento soggettivo è il dolo: è richiesta la consapevolezza del carattere segreto


della notizia.
Il comma 2° prevede però anche la fattispecie di agevolazione colposa (la
rivelazione è invece solo dolosa).
Il reato si consuma con la rivelazione della notizia ad un terzo estraneo.
Il 3° COMMA prevede il delitto di UTILIZZAZIONE DI NOTIZIE D’UFFICIO
si tratta di un reato proprio autonomo rispetto al delitto di cui al primo comma.
La condotta consiste nell’avvalersi di notizie d’ufficio che devono rimanere segrete.
L’introduzione del terzo comma è dovuta alla riforma del 1990 che tuttavia non lo ha
adeguatamente accordato al primo comma. Astrattamente il verbo avvalersi include
anche la rivelazione della notizia: se l’utilizzo comporta anche la rivelazione del suo
contenuto, quale sarà la fattispecie da applicare?
Si può inquadrare l’utilizzo delle notizie segrete con rivelazione delle stesse nel
concorso formale dei reati.

RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO ART 328


“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che
indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza
pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto
senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un
pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non
compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è
punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale
richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre
dalla ricezione della richiesta stessa”
L’attuale conformazione della norma è dovuta alla riforma l. 86/1990.
Nella sua versione originaria prevedeva tre modalità alternative di condotta:
l’omissione indicava il mancato compimento di un atto;
il rifiuto era la manifestazione di volontà di non compiere l’atto;
il ritardo consisteva nel compimento oltre i termini previsti per la sua emanazione.
La nuova versione è completamente riformulata e descrive due reati propri:
a. il primo comma prevede la fattispecie di rifiuto: “il p.u. che indebitamente
rifiuta un atto del suo ufficio che deve essere compiuto senza ritardo, per
ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o di igiene e sanità”
Il reato è posto a tutela del buon andamento della p.a. in quanto finalizzato a
garantire l’adozione di atti urgenti nell’ambito di determinate materie.
La nuova fattispecie prende in considerazione esclusivamente la condotta di
rifiuto a fronte di una richiesta o di un ordine
La giurisprudenza ha proposto un’interpretazione estensiva della norma,
stabilendo che il rifiuto sussiste anche a fronte di una situazione materiale
d’urgenza che impone al soggetto qualificato di intervenire e di fronte alla
quale inerzia assume significato inequivoco di rifiuto di provvedere
ESEMPIO: una guardia medica, che a fronte della situazione di urgenza
rappresentata nella chiamata, non effettua la visita domiciliare, ma si limita ad
indicare al malato di rivolgersi al 118
Il rifiuto non riguarda più qualsiasi atto dell’ufficio o servizio, ma solo
determinati atti delimitati da tre requisiti che devono sussistere:
- atti di competenza dell’ufficio o del servizio
- atti urgenti
- atti inerenti a determinate materie: ragioni di giustizia (atti relativi
all’attività del giudice, del p.m. o della polizia giudiziaria), sicurezza
pubblica (prevenzione dell’incolumità delle persone e dell’integrità
delle cose), ordine pubblico (tenuta della pace pubblica e prevenzione
dei reati), igiene e sanità (atti d’ufficio in ambito medico, ospedaliero,
veterinario)
b. Il secondo comma prevede una distinta fattispecie di omissione di atti
d’ufficio che punisce il p.u. che entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia
interesse non compie l’atto e non espone le ragioni del ritardo
Si tratta di una fattispecie sussidiaria, non applicabile se sussistono gli estremi
di cui al primo comma.
Presuppone la messa in mora del p.u. o dell’i.p.s. la quale prevede alcune
formalità ad substantiam (il mancato rispetto delle stesse non consente di
fondare responsabilità penale).
La diffida ad adempiere deve contenere la richiesta al p.u. di provvedere,
indipendentemente dalla presenza del termine formale “diffida”.
Quanto alla titolarità della richiesta, questa deve provenire da chi abbia
interesse all’emanazione dell’atto e deve essere redatta in forma scritta.
La condotta costitutiva di reato è omissiva e consiste nell’omettere:
- sia l’atto
- sia l’esposizione delle ragioni del ritardo
Per cui, per non incorre in responsabilità penale, il destinatario della
richiesta deve, nel termine di 30 giorni, o emanare l’atto o esporre le
ragioni del ritardo.

RIFIUTO O RITARDO DI OBBEDIENZA COMMESSO DA UN MILITARE ART 329


“Il militare o l'agente della forza pubblica, il quale rifiuta o ritarda indebitamente di
eseguire una richiesta fattagli dall'Autorità competente nelle forme stabilite dalla
legge, è punito con la reclusione fino a due anni”
Si tratta di reato proprio: soggetto attivo può essere sia un militare (esercito,
marina, aeronautica) sia un agente della forza pubblica (carabinieri e guardia di
finanza).
La condotta è descritta in termini alternativi di rifiuto o ritardo a fronte di una
richiesta fatta dall’Autorità competente nelle forme stabilite dalla legge.
La richiesta deve essere effettuata nelle forme previste dalla legge: ne consegue che
il militare o agente della forza pubblica può sindacare solo la legalità formale della
richiesta ma non anche quella sostanziale, salvo che si tratti di ordine
manifestamente criminoso al quale non deve essere data attuazione.
Quanto al rapporto con l’articolo 328 comma 1°, i due reati sono in rapporto di
specialità bilaterale: il 329 è speciale rispetto al soggetto attivo ed a chi presenta la
richiesta di intervento; l’articolo 328 è invece speciale in relazione all’atto che deve
essere compiuto. Pertanto, qualora la richiesta dell’autorità riguardi un atto
urgente, è preferibile ritenere prevalente l’articolo 328, in ragione anche del più
severo trattamento sanzionatorio.

I DELITTI IN MATERIA DI INTERRUZIONE DI UFFICI O SERVIZI


Soggetti attivi di questi delitti possono essere sia autori con qualifica pubblicistica,
sia soggetti privati.

INTERRUZIONI DA PARTE DI ESERCENTI DI IMPRESE DI SERVIZI PUBBLICI O DI


PUBBLICA NECESSITA’ ART 331
“Chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il
servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo
da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno
e con la multa non inferiore a euro 516”
La disciplina originaria del Codice Rocco puniva qualsiasi forma di sciopero da parte
dei lavoratori o di serrata da parte dei datori di lavoro, pertanto prevedeva un
numero di fattispecie più ampio di quello attualmente vigente.
Venuto meno il sistema corporativo, con la caduta del regime, la disciplina penale
del Codice ha posto problemi di compatibilità con l’articolo 39 Cost. (libertà
sindacale) e soprattutto con l’articolo 40 Cost. (diritto allo sciopero).
Quanto all’ambito dei rapporti di lavoro privati la Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità del delitto di sciopero e serrata per fini contrattuali ed anche non
contrattuali (sciopero politico, di protesta, di adesione).
Quanto allo sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali si è escluso il
controllo penale, prevedendo solo sanzioni amministrative in caso di trasgressione
delle regole poste a fondamento del suo esercizio.
(Settimana 10-11 diritto del lavoro) Quindi la corte è stata investita del problema
della costituzionalità a fronte dello sciopero posto in essere dai dipendenti pubblici
ed in particolare a tale proposito ha riconosciuto l’incostituzionalità delle norme
nella misura in cui venga vietato in assoluto ai pubblici dipendenti di scioperare. La
sciopero non può essere precluso ai dipendenti pubblici; il problema era legato alle
MODALITA’ dello stesso.
Non c’è un problema di riconoscimento di diritto ma di modalità legato al
bilanciamento del diritto di sciopero ed altri diritti costituzionalmente garantiti.
Potrebbe essere illegittimo se mettesse a repentaglio altri diritti di rango
costituzionale LEGGE 146/1990
Ne consegue che l’unica norma rimasta tra i delitti dei p.u. è costituita dall’articolo
331.
Si tratta di un reato proprio che ha come soggetto attivo l’esercente di un servizio
pubblico o di pubblica necessità.
Ai fini della fattispecie in esame, non rileva qualunque servizio pubblico o di pubblica
necessità, ma solo quello che sia esercitato in forma d’impresa e solo se il fatto è
commesso da chi esercita tale impresa.
La condotta è duplice:
 interruzione del servizio
 turbamento nella regolarità del servizio, ossia una disfunzione del servizio
ESEMPIO: è stata ritenuta rilevante la chiusura di una farmacia di turno di
reperibilità, essendo stata alterata la regolarità del servizio farmaceutico
INTERRUZIONE DI UN UFFICIO O SERVIZIO PUBBLICO O DI UN SERVIZIO DI PUBBLICA
NECESSITA’ ART 340
“Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge [331], cagiona
una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio
di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno”
La fattispecie si colloca tra i delitti dei privati contro la pubblica amministrazione.
E’ quindi un reato comune nonché fattispecie sussidiaria applicabile se il fatto
concreto non integra gli estremi dell’art. 331.
Bene giuridico tutelato è l’interesse pubblico allo svolgimento di uffici o servizi.
E’ reato a forma libera in quanto rileva qualsiasi condotta che cagiona l’interruzione
o il turbamento della regolarità di un ufficio, servizio pubblico o servizio di pubblica
necessità.
La CASISTICA GIURISPRUDENZIALE è molto varia:
è stato ravvisato il delitto in esame nella condotta dell’addetto alla vigilanza di un
museo che anticipi la chiusura dei locali rispetto all’orario previsti;
oppure nel fatto di parcheggiare un’autovettura in posizione tale da impedire o
comunque ostacolare il transito di un’autoambulanza.

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO
Le riforme delle leggi n. 69/2015 e n. 3/2019 hanno determinato importanti cambi di
rotta nella strategia repressiva rispetto a reati quali concussione, corruzione,
induzione indebita, traffico di influenze.
L’intenzione dello Stato di dimostrarsi intransigente contro la corruzione è ben
indicata dal nome “spazza-corrotti”.
Emerge l’estensione di strumenti repressivi e preventivi che erano stati inizialmente
introdotti per contrastare la criminalità organizzata: aumento delle cornici edittali,
inasprimento delle pene accessorie, operazioni sotto copertura, norme premiali,
misure di prevenzione.
L’AUMENTO DEI LIMITI EDITTALI
Attualmente corruzione, concussione, induzione indebita presentano un identico
limite edittale minimo (sei anni) e massimi edittali con scarti poco significativi (12
anni per concussione, 10 per corruzione, 10 e 6 mesi per induzione indebita).
Il compasso edittale omogeneo segnala un’omogeneità di disvalore.
Svolge comunque un ruolo importante di mitigazione delle pene principali, la
circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità (323bis), che è circostanza
comune applicabile dal giudice cui è rimessa la valutazione complessiva della tenuità
del fatto.
L’INASPRIMENTO DELLE PENE ACCESSORIE
Le riforme del 2015 e 2019 si caratterizzano anche per il forte inasprimento delle
pene accessorie, entro la logica della prevenzione special negativa che persegue la
neutralizzazione degli autori di alcuni reati contro la p.a., in primis dei reati di
corruzione, in modo da escludere i responsabili dalla vita politica ed economica.
E’ stato ampliato l’ambito di applicazione dell’interdizione perpetua dai pubblici
uffici ed è stata introdotta la nuovo pena accessoria della incapacità di contrarre
con la p.a.
La pena accessoria dell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti
del dipendente di amministrazioni od enti pubblici si applica in caso di condanna alla
pena della reclusione non inferiore a due anni.
LA RIPARAZIONE PECUNIARIA
La l. n. 69/2015 introduce un’inedita sanzione a contenuto patrimoniale denominata
riparazione pecuniaria.
Con la sentenza di condanna, per i reati di cui sopra (corruzione, concussione, ecc.),
è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del
reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla
condanna del p.u. o dell’i.p.s. restando impregiudicato il diritto al risarcimento del
danno. Si tratta di una nuova sanzione civile obbligatoria applicata dal giudice
penale rapportata nel quantum al valore del prezzo o del profitto del reato: una
sorta di restituzione del maltolto alla società.
Il carattere obbligatorio ed il fatto che essa non costituisca il risarcimento del danno,
depongono in favore della natura punitiva di questa sanzione civilistica.
LE NORME PREMIALI
Nella disciplina del contrasto alla corruzione sono presenti norme premiali: si tratta
di questioni oggetto di dibattito e posizioni divergenti di dottrina.
Già il “Progetto Mani pulite” sulla riforma dei reati di corruzione (1994) prevedeva
l’introduzione di una causa di non punibilità in favore del corrotto o del corruttore
che avesse denunciato all’autorità giudiziaria, entro certi termini, i nomi delle
persone coinvolte nella transazione illecita.
La proposta nasceva dalla presa d’atto della difficoltà di scoprire accordi corruttivi, in
quanto la punibilità di tutti i partecipanti cementa l’interesse a mantenere segreto
l’accordo.
La riforma del 2012 non introdusse però alcuna norma premiale, sebbene se ne
fosse discusso nel dibattito che portò alla sua approvazione.
Successivamente la l. n. 69/2015 ha previsto all’articolo 323bis comma 2 una
circostanza attenuante a contenuto premiale
“per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia
portata a conseguenze ulteriori, per assicurarsi le prove dei reati e per
l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre
utilità trasferite, la pena è diminuita di 1/3”
La circostanza prevede due condotte alternative:
- una riguarda l’aiuto prestato alle attività di indagine (evitare conseguenze di
ulteriori reati già commessi, assicurare prove, individuare altri responsabili)
- l’altra interessa il recupero della tangente versata
La critica mossa a questa norma premiale sta nel fatto che difficilmente i
responsabili di corruzione sono disposti a denunciare i concorrenti in cambio della
sola riduzione di pena.
Più drasticamente è intervenuta la l. 3/2019 che ha introdotto una causa di non
punibilità sulla proposta del progetto Mani pulite.
La causa di non punibilità è subordinata a due requisiti:
- la denuncia volontaria del reato accompagnata da indicazioni utili e concrete
per assicurare la prova del reato e per individuare altri responsabili
- la messa a disposizione di utilità percepite o di una somma di denaro di valore
equivalente, ovvero l’indicazione di elementi utili e concreti per individuare il
beneficiario effettivo
Al momento comunque non si rinvengono casi di applicazione della nuova
disciplina.
LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA
Il legislatore ha deciso di ampliare la figura, da tempo già nota, del c.d. infiltrato: si
tratta di soggetto qualificato (ufficiali di polizia, carabinieri, finanza, antimafia) che
deve aver agito nell’ambito di operazioni autorizzate.
Si prevede la non punibilità di alcune condotte, se tenute al solo fine di acquisire
elementi di prova in ordine ai delitti: corrispondere denaro o altre utilità in
esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettere o dare denaro o
altre utilità richiesti dal p.u. ecc.
La punibilità permane se è l’infiltrato a farsi parte attiva nel sollecitare il reato,
diventando in tal caso concorrente.
IL REGIME DELLE PRECLUSIONI
La l. 3/2019 ha introdotto una disciplina più severa in relazione all’accesso alle
misure alternative alla detenzione.
Scatta il regime di preclusioni connesso alla collaborazione processuale: il lavoro
all’esterno, i permessi-premio, le misure alternative alla detenzione, la liberazione
condizionale, possono essere concessi ai detenuti per i reati indicati solo se
collaborano con la giustizia a norma dell’art. 323bis, ossia dando indicazioni utili e
concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili.
LA CONFISCA
I reati contro la p.a. sono stati interessati dal processo di progressivo potenziamento
delle forme della confisca che si registra in diversi settori dell’ordinamento penale.
Vi sono più forme di confisca.
Il modello generale di confisca è inquadrato dall’articolo 240.
“Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il
profitto”
Presupposti sono:
- sentenza di condanna
- pericolosità della cosa nel rapporto con il reo
L’articolo 322ter prevede la confisca per equivalente: riguarda beni non collegati al
reato che abbiano un valore equivalente al profitto (utilità economica derivante dal
reato) o al prezzo del reato (vantaggio economico ricevuto per commettere il reato,
con la tangente nei casi di corruzione).
Consente di aggredire beni che non hanno alcun collegamento con il reato oggetto
della sentenza di condanna, l’unico collegamento è rapportato al valore del prezzo e
del profitto; si ha quindi una funzione sanzionatoria, data anche dall’assenza di
pericolosità.
Ai sensi del D.lgs. 159/2011 (Codice antimafia) si può poi far riferimento alla confisca
di prevenzione la quale non presuppone una sentenza di condanna.
E’ una misura equiparabile alle misure di sicurezza (come sostenuto dalla sezioni
unite della cassazione.
Si attiva quando:
- c’è sproporzione tra patrimonio e reddito
- manca la dimostrazione di della provenienza lecita

I DELITTI DEI PRIVATI

VIOLENZA O MINACCIA AD UN P.U. ART 336


“Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un
pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad
omettere un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni.
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere
alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o
per influire, comunque, su di essa”
Il 1° comma punisce chiunque con minaccia o violenza costringe p.u. a fare un atto
contrario ai propri doveri od omettere un atto dell’ufficio o del servizio.
Il 2° comma chiunque con minaccia o violenza costringa p.u. a compiere un atto del
proprio ufficio o servizio
Si tratta di due fattispecie autonome (il secondo comma non è circostanza
attenuante).
Sono reati comuni nei quali la condotta deve essere rivolta al p.u. o all’i.p.s.
Sono inoltre reati plurioffensivi: si vuole tutelare il buon andamento della p.a.
nonché la libertà di autodeterminazione ed incolumità fisica del soggetto passivo.
La condotta consiste in violenza o minaccia.
Per violenza s’intende qualsiasi estrinsecazione di energia con pregiudizio fisico a
danno di cose o persone, quindi una condotta che mette in pericolo l’incolumità
fisica o psichica del soggetto passivo;
la minaccia consiste invece nel prospettare un male ingiusto e futuro, la cui
realizzazione dipende da chi lo prospetta come conseguenza, qualora il soggetto
passivo non dovesse accedere alla richiesta.
Violenza e minaccia devono essere rivolte a scopi specifici che danno luogo, come
dicevamo innanzi, a due fattispecie autonome di reato:
a. nel primo comma lo scopo è l’ottenimento di un atto contrario ai propri
doveri o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio
b. nel secondo comma il fatto è invece commesso per costringere a compiere un
atto del proprio ufficio o servizio
Non è necessario che violenza o minaccia abbiano raggiunto l’effetto al quale erano
dirette: si tratta, infatti, di un reato di pura condotta che si consuma nel momento in
cui violenza o minaccia sono esercitate.
Queste tuttavia devono essere idonee a coartare la libertà di autodeterminazione
del soggetto passivo (offensività in concreto)
ESEMPIO: la minaccia deve essere seria
I due delitti richiedono il dolo: si tratta di dolo specifico finalizzato alla coartazione
del p.u. o dell’i.p.s.

Il delitto è aggravato se violenza o minaccia:


- sono commesse da persona travisata (alterazione dell’aspetto esteriore) che
ne rende difficile il riconoscimento
- sono commesse da più persone riunite
- con scritto anonimo
Nel caso in cui violenza o minaccia siano esercitate nei confronti di più p.u. o i.p.s.
si riconosce il concorso formale di reati in quanto le condotte offendono sia la
libertà di autodeterminazione (bene personale) sia la dimensione offensiva
pubblicistica del buon andamento della p.a.

RESISTENZA A P.U. ART 337


“Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad
un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o
a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi
a cinque anni”
In questo caso si punisce chi usa violenza o minaccia per opporsi al p.u.
Vi sono due elementi comuni tra art 336 e 337:
a. entrambi sono reati comuni
b. in entrambi le modalità della condotta sono costituite da violenza o minaccia
Si differenziano però sotto il profilo teleologico-temporale: nell’articolo 336 la
condotta è diretta a coartare la libertà. di autodeterminazione del soggetto passivo
in relazione ad un atto d’ufficio che non sia ancora stato adottato; nel delitto di
resistenza invece la condotta è contemporanea all’atto e finalizzata ad opporsi alla
sua esecuzione.
Quindi violenza o minaccia devono realizzarsi durante il compimento dell’atto
d’ufficio, per impedirne l’esecuzione.
Il bene giuridico tutelato in questo caso è il buon andamento della p.a. (che non si
specifica nella libera formazione degli atti della p.a. – art. 336) bensì
nell’esecutorietà degli atti in corso di esecuzione – art. 337.
Si è posto il problema della resistenza passiva ossia la rilevanza penale di condotte
di opposizione all’atto ma prive dei contenuti di violenza e minaccia.
La resistenza meramente passiva non rileva
ESEMPIO: i manifestanti che, seduti in strada, si oppongono pacificamente al
passaggio delle forze dell’ordine, non incorrono nel reato
Quanto alla fuga ai posti di blocco di polizia o di inseguimenti da parte di auto delle
forze dell’ordine: la semplice fuga è considerata resistenza passiva dunque non
rileva; rileva invece se è tale da mettere in pericolo l’incolumità delle forze
dell’ordine o di terzi
ESEMPIO: l’ipotesi del guidatore che non si limiti a fuggire, non rispettando l’ordine
di arrestarsi, bensì effettui manovre tali da mettere in pericolo l’integrità fisica di
poliziotti e terzi (es. procedere in contromano)
Ancora, se la resistenza è esercitata nei confronti di più p.u. o i.p.s. si ha pluralità di
reati in concorso formale.
Il reato è a dolo specifico perché la condotta è finalizzata ad impedire l’esecuzione
dell’atto.
Si consuma nel momento in cui si commette la violenza o la minaccia.
OCCULTAMENTO, CUSTODIA O ALTERAZIONE DI MEZZI DI TRASPORTO ART 337BIS
“Chiunque occulti o custodisca mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle
caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche o predisposizioni
tecniche tali da costituire pericolo per l'incolumità fisica degli operatori di polizia, è
punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro
10.329.
La stessa pena di cui al primo comma si applica a chiunque altera mezzi di trasporto
operando modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per
l'incolumità fisica degli operatori di polizia.
Se il colpevole è titolare di concessione o autorizzazione o licenza o di altro titolo
abilitante l'attività, alla condanna consegue la revoca del titolo che legittima la
medesima attività.”
L’articolo è stato introdotto nel 2019 tuttavia non ha mai trovato applicazione
pratica. Punisce chiunque alteri mezzi di trasporto al fine di renderli più efficaci nello
sviare i controlli di polizia e quindi anche potenzialmente pericolosi per l’incolumità
fisica delle forze dell’ordine; nonché si punisce chi li occulti o li custodisca.
Sono previste tre condotte:
I. l’occultamento ossia il nascondimento di mezzi di trasporto, che rispetto alle
caratteristiche omologate, presentino alterazioni o modifiche tali da costituire
pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di polizia
II. la custodia degli stessi mezzi
I mezzi devono presentare congiuntamente due caratteristiche:
- alterazioni, modificazioni o predisposizioni tecniche difformi da quelle
omologate
- la difformità dal modello omologato deve presentare profili di pericolosità
per l’incolumità fisica degli operatori di polizia
III. L’alterazione del mezzo di trasporto
Il reato rimane unico anche se il soggetto tiene più condotte tra quelle descritte.
Qualora chi ha realizzato una delle condotte commetta resistenza a p.u. con il mezzo
dotato delle caratteristiche indicate, si ha concorso di reati eventualmente legati dal
vincolo della continuazione.

VIOLENZA O MINACCIA AD UN CORPO POLITICO, AMMINISTRATIVO O GIUDIZIARIO


O AI SUOI SINGOLI COMPONENTI ART 338
“Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo
politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una rappresentanza
di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio o ai suoi singoli
componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o
per turbarne comunque l'attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il
rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa
dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni
collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora
tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi”
Gli articoli 336 e 337 tutelano la libertà di autodeterminazione di p.u. e i.p.s. o
l’esecuzione di atti d’ufficio; L’articolo 338 invece rivolge la tutela agli organi
collegiali (politici, amministrativi, giudiziari) nonché ai loro singoli componenti.
Analogamente agli articoli 336 e 337 però siamo di fronte ad un reato comune
consistente in una condotta di violenza e minaccia.
Differiscono quindi in quanto al soggetto passivo, ossia i corpi (organi che per
operare richiedono la composizione collegiale).
 corpi politici: Parlamento, Consigli regionali, provinciali, comunali, governo,
giunta
 corpi amministrativi: qualsiasi organo della p.a. che operi in composizione
collegiale (es. all’interno dell’università il consiglio di dipartimento)
 corpi giudiziari: giudici costituiti in collegio (Corte costituzionale, corte di
cassazione, corte dei conti, corte d’appello, ecc.)
 qualsiasi altra autorità costituita in collegio
Rilevano anche i singoli componenti del corpo: se la violenza o la minaccia interessa
esclusivamente l’operato del p.u. come singolo e non come componente dell’organo
si applicano gli articoli 336 e 337; a prevedere applicabile l’articolo 338 solo perché il
p.u. è parte di un collegio, si giungerebbe alla conclusione irragionevole di
prevedere due forme di tutela penale in ragione dell’appartenenza o meno del
soggetto ad un corpo.
Quindi ai fini dell’applicazione dell’articolo in questione si richiede che violenza o
minaccia fosse finalizzata comunque a condizionale l’attività dell’organo, anche se
rivolta al singolo suo componente.
Il secondo comma estende le pene previste dal primo a chi commette il fatto per
ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l’adozione di qualsiasi provvedimento,
ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso.
Il fine di ottenere, ostacolare, impedire il rilascio o l’adozione di un provvedimento
non aggiunge niente di nuovo al primo comma.
Allarga invece l’ambito di incriminazione la rilevanza attribuita alle condotte di
violenza o minaccia di tipo ritorsivo, quando cioè sono realizzate a causa
dell’avvenuto rilascio o adozione del provvedimento.
ESEMPIO: emissione di una sentenza da parte del Tribunale
Il terzo comma, infine, include chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni
collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora
tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione dei servizi.
Quindi la tutela è estesa a organi collegiali di imprese in presenza di due requisiti:
I. devono esercitare servizi pubblici o di pubblica necessità
II. le deliberazioni devono avere ad oggetto l’organizzazione o esecuzione dei
servizi

DELITTI DI OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE ART 341bis


“Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone,
offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto
d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni
La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è
condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è
punibile.
Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante
risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente
di appartenenza della medesima, il reato è estinto”
I delitti di oltraggio sono di tre tipologie:
- oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341bis) di cui ci occupiamo
- oltraggio a un corpo politico, amministrativo, giudiziario
- oltraggio a magistrato in udienza (art. 343)
La disposizione in esame è stata reintrodotta nel codice nel 2009 dopo l’abrogazione
dell’articolo 341, avvenuta nel 1999.
La Corte Costituzionale ne dichiarò infatti l’illegittimità per violazione dell’articolo 3
Cost. in quanto distingueva tra ingiuria o oltraggio a pubblico ufficiale a seconda che
la stessa offesa fosse rivolta ad un privato (ingiuria) oppure a pubblico ufficiale
(oltraggio). Si ritenne che la scelta di equiparare sotto la medesima fattispecie
incriminatrice i fatti commessi a danno di privati o di p.u. era del tutto condivisibile.
RATIO LEGIS: La dottrina tradizionale rivedeva in tale norma la protezione del
prestigio degli organi e dei soggetti investiti di pubbliche funzioni, concezione legata
alla considerazione di privilegio di cui godevano tali soggetti all'epoca
dell'emanazione del Codice Rocco. Ora, come più volte sostenuto dalla stessa Corte
Costituzionale, si preferisce considerare oggetto di tutela l'interesse al buon
andamento della P.A., attuato mediante la difesa dell'onore e del prestigio della
stessa.
La condotta incriminata consiste nell’offesa all’onore e al prestigio del pubblico
ufficiale: la riforma ha però inteso escludere la rilevanza delle offese che investano
esclusivamente la sfera privata del p.u. senza riflettersi sul prestigio della p.a.;
quindi sono rilevanti solo le offese che riguardano l’esercizio delle funzioni del p.u.
mentre se l’offesa rimane limitata alla sfera privata, il fatto integra l’illecito civile di
ingiuria.
Si tratta poi di reato plurioffensivo: si offende la reputazione del p.u. e il prestigio
della p.a.
L’offesa presenta elementi di delimitazione spaziale, personale, temporale,
funzionale:
a. il fatto deve essere, anzitutto, realizzato in luogo pubblico o aperto al
pubblico
b. è necessaria la presenza di più persone in quanto l’offesa stessa deve essere
percepita da più persone
c. il fatto deve essere commesso mentre il pubblico ufficiale compie un atto
d’ufficio, è quindi necessaria la coincidenza temporale tra l’offesa e l’esercizio
delle funzioni ad indicare lo stretto legame tra l’una e l’altro
La fattispecie è a dolo specifico: è necessario che l’agente si rappresenti il contenuto
offensivo della condotta, nonché la qualifica del soggetto passivo e gli altri elementi
costitutivi della fattispecie
Ai fini della consumazione del reato è necessario che l’offesa sia percepita dal p.u.
nonché da almeno altre due persone.
Qualora l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato (circostanza
aggravante) è prevista la causa di non punibilità dell’EXCEPTIO VERITATIS: se la
verità del fatto è provata o se per caso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito viene
condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è
punibile.
Se però l’offesa sta nel modo in cui le espressioni sono rivolte (manca cioè il
requisito della continenza per utilizzare un noto limite che riguarda l’esercizio del
diritto cronaca e critica nel delitto di diffamazione), non trova applicazione la causa
di non punibilità.
Il terzo comma prevede invece una causa di estinzione del reato, qualora il
colpevole ripari interamente il danno non patrimoniale subito dal pubblico ufficiale
e il danno all'immagine subito dall'ente di appartenenza dell'ufficiale medesimo.

OLTRAGGIO A CORPO POLITICO, AMMINISTRATIVO O GIUDIZIARIO ART 342


“Chiunque offende l'onore o il prestigio di un Corpo
Politico, amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di una
pubblica Autorità costituita in collegio, al cospetto del Corpo, della rappresentanza o
del collegio, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica,
o con scritto o disegno, diretti al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa
delle sue funzioni”
L’offesa può riguardare in modo alternativo l’onore o il prestigio.
A differenza del 341bis, le offese rilevano se riguardano l’organo nella sua
collegialità (l’offesa privata ad uno dei componenti del corpo rileva solo se si traduce
in offesa all’organo).
Spetta al giudice determinare il confine tra l’area di rilevanza penale e l’esercizio
della libertà di manifestazione del pensiero: possono a tal fine essere utilizzati i
criteri elaborati dalla giurisprudenza in relazione al delitto di diffamazione a mezzo
stampa quali VERITA’, CONTINENZA, INTERESSE PUBBLICO.
Soggetto passivo dell’offesa può essere:
- un corpo politico, amministrativo, giudiziario
- una sua rappresentanza
- un’autorità costituita in collegio
L’offesa deve avvenire “al cospetto” del corpo, ossia in presenza dell’organo
costituito per l’esercizio delle sue funzioni, anche se non è necessario che tale
esercizio sia attuale, trovando applicazione la norma anche in relazione ad offese
rivolte poco prima o immediatamente dopo lo svolgimento delle funzioni
ESEMPIO: si pensi all’offesa rivolta ad una commissione d’esame immediatamente
dopo che la stessa abbia chiuso i verbali
Il secondo comma equipara l’offesa commessa mediante comunicazione telegrafica,
o con scritto o disegno: l’elencazione dei mezzi è tassativa (non può pertanto essere
realizzata a mezzo del telefono).
Il reato si consuma con la percezione dell’offesa da parte dell’organo collegiale.

OLTRAGGIO A MAGISTRATO IN UDIENZA ART 343


“Chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni”
Consiste nell’offendere l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza.
Siamo in presenza di un delitto plurioffensivo: interesse personale del magistrato ed
interesse pubblico allo svolgimento sereno delle funzioni
L’offesa può riguardare, ancora, l’onore o il prestigio;
può in questo caso essere rivolta tanto alla sfera privata quanto alle funzioni svolte
dal magistrato, tuttavia la necessità che il fatto sia commesso in udienza comporta
sempre il coinvolgimento delle funzioni giudiziarie.
Ovviamente destinatario dell’offesa è il magistrato, ossia chi esercita una funzione
giurisdizionale.
L’offesa deve essere realizzata in udienza, considerando tale qualunque momento
processuale connotato dalla presenza delle parti processuali.

REAZIONE LEGITTIMA AGLI ATTI ARBITRARI DEL P.U. ART 393BIS


“Non si applicano le disposizioni degli articoli 336 (violenza o minaccia a p.u), 337
(resistenza a p.u.), 338(violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo e
giudiziario),  341 bis (oltraggio a p.u.), 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o
l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al
fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue
attribuzioni”
Si tratta dell’ipotesi di reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale.
Si tratta di una circostanza dapprima presente nel Codice Zanardelli, poi soppressa
dal codice Rocco, ritenendo sufficiente a tutelare il privato vittima del
comportamento abusivo, la scriminante della legittima difesa; poi riaffermata nel
1944 e definitivamente reintrodotta nel 2009 nel codice penale con l’articolo qui
presente.
I requisiti della condotta arbitraria e quelli della reazione difensiva sono:
a. la condotta arbitraria deve essere tenuta da p.u. o i.p.s. o da pubblico
impiegato; queste figure devono eccedere con atti arbitrari i limiti delle loro
attribuzioni.
Cosa s’intende per atto arbitrario?
Può anzitutto consistere in un comportamento materiale o in un atto
amministrativo.
Per integrare una condotta arbitraria, si richiede l’eccesso dei limiti delle
attribuzioni del pubblico agente, ossia la condotta deve consistere in un
eccesso di potere, in una violazione di legge o in un’incompetenza.
La norma richiede però anche che tale eccesso avvenga con atti arbitrari che
non possono coincidere con la condotta illegittima: è necessario un quid pluris
costituito dalla consapevolezza di eccedere i limiti delle attribuzioni oppure
da modalità vessatorie (sopraffattorie), aggressive, inurbane (maleducate)
che un ordinamento democratico non può tollerare
ESEMPIO: un agente di polizia, dopo la richiesta di declinare le generalità ad
una persona in auto (immediatamente declinate), tenta con violenza di
costringere la persona ad uscire dal mezzo.
Un secondo orientamento ritiene invece che il riferimento agli atti arbitrari
non indichi un quid pluris rispetto all’eccesso dalle attribuzioni.
b. la reazione legittima agli atti arbitrari può essere sia materiale sia verbale
- si ha reazione materiale quando sono posti in essere i reati di violenza,
minaccia o resistenza a p.u., reati di lesioni personali, violenza privata,
minaccia, danneggiamento, ecc.
- si ha reazione verbale con riferimento ai delitti di oltraggio a p.u.,
magistrato in udienza, nonché a corpo politico, amministrativo o
giudiziario.
Si richiede in nesso di causalità tra l’atto arbitrario e la reazione
(il comportamento deve essere una reazione all’atto arbitrario dell’agente
pubblico) ed anche la proporzionalità.
L’articolo 393bis va considerato come speciale causa di giustificazione applicabile
solo alle fattispecie di reato in esso indicate.

I DELITTI CONTRO LA REGOLARITA’ DI FUNZIONI PUBBLICHE


USURPAZIONE DI FUNZIONI PUBBLICHE ART 347
“Chiunque usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti a un pubblico
impiego è punito con la reclusione fino a due anni.
Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o impiegato il quale, avendo ricevuto
partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospendere le sue funzioni o le
sue attribuzioni, continua ad esercitarle”
Il primo comma punisce chi usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti a
un pubblico impiego.
L’usurpazione è realizzabile da chiunque (reato comune) e consiste nell’esercizio
arbitrario di una funzione pubblica o delle attribuzioni inerenti ad un pubblico
impiego. L’arbitrarietà della condotta è data dall’esercizio non autorizzato delle
funzioni o dell’impiego pubblico.
Sebbene si tratti di un reato comune, della condotta può rispondere anche un p.u.
che svolga funzioni rispetto alle quali sussiste incompetenza assoluta ad esercitarle
(se l’incompetenza non fosse assoluta si ricadrebbe nell’ipotesi dell’abuso d’ufficio).
Il secondo comma dispone che alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale che,
avendo ricevuto partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospendere le
sue funzioni o attribuzioni, continua ad esercitarle.
In questo caso si è di fronte ad un reato proprio.
E’ richiesto il concreto esercizio delle funzioni, in quanto, il solo attribuirsi impieghi
pubblici con i terzi, senza effettivamente esercitarli trova luogo nella fattispecie di
usurpazione di titoli o di onori.

ABUSIVO ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE ART 348


“Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una
speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con
la multa da euro 10.000 a euro 50.000.
La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che
servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che
ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la
trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini
dell'applicazione dell'interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività
regolarmente esercitata.
Si punisce chiunque eserciti abusivamente una professione per la quale è richiesta
speciale abilitazione.
La tutela è rivolta alla collettività che deve poter fare affidamento sul fatto che chi
esercita una professione, per la quale lo Stato richiede una speciale abilitazione, sia
formalmente in possesso della stessa.
Soggetto passivo del reato è lo Stato; privato ed ordine professionale sono da
considerare soggetti solamente danneggiati.
La tutela penale è riferita esclusivamente alle professioni per le quali è richiesta una
speciale abilitazione dello Stato.
Il principio di legalità richiede la presenza di una legge che descriva il possesso del
titolo abilitativo per l’esercizio di una professione (es. avvocato, medico, geometra,
architetto); in assenza di una legge che prescriva il titolo abilitativo per lo
svolgimento di un’attività, l’esercizio della stessa è libero e non si configura il reato
in esame.
La condotta richiede l’esercizio abusivo della professione che si valuta in relazione a
due elementi:
 condizioni formali richieste per lo svolgimento della professione
 individuazione di attività tipiche della professione
L’individuazione delle attività tipiche rinvia alle regole extra-penali riferite alle
singole professioni.
Si distinguono:
a. gli atti riservati: possono essere compiuti esclusivamente dal titolare
dell’abilitazione
b. gli atti di particolare competenza della professione: sono considerati di
particolare competenza della professione ed il loro esercizio, da parte di chi è
privo del titolo abilitativo, non sempre integra la fattispecie in esame
ESEMPIO: svolgere l’attività di massaggiatore non integra l’articolo 348
quando non si tratti di massaggio terapeutico (massaggio estetico o antistress)
ESEMPIO: lasciare che un’amica si sfoghi e darle consigli non integra l’articolo
348 sebbene non si abbia la qualifica di psicoterapeuta
Si tratta di delitto doloso: il compimento dell’atto deve essere accompagnato dalla
consapevolezza dell’assenza della necessaria abilitazione.
Quanto al trattamento sanzionatorio: nella consapevolezza dei rischi per la
collettività derivanti dall’esercizio abusivo della professione, sono state inasprite le
pene:
- la pena principale è stata innalzata
- è prevista la confisca delle cose che servirono furono destinate a commettere
reato
- si ha pubblicazione della sentenza
- ed anche l’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività
regolarmente esercitata; questa disciplina è pensata per i casi nei quali il
soggetto sia abilitato alla professione e realizzi un reato di esercizio abusivo o
per aver travalicato i limiti dell’esercizio della professione (es. geometra che
compie atti propri dell’architetto) o per aver contribuito all’altrui abusivo
esercizio della professione (es. professioni che tollera che nel suo studio
eserciti una persona priva di titolo)

I DELITTI CONTRO LA REGOLARITA’ DELLE GARE


Queste fattispecie sono poste a tutela della regolarità della gara e della libertà di
partecipazione alla stessa.
TURBATA LIBERTA’ DEGLI INCANTI ART 353
“Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi
fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni
private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontanagli offerenti, è
punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro
1.032”
Come detto sopra si tratta di delitto plurioffensivo: coinvolge l’interesse dei singoli
offerenti a partecipare alla selezione (gara) in un regime di libera concorrenza.
L’articolo individua diverse tipologie di gare:
 pubblico incanto: era procedimento ordinario per l’aggiudicazione di un
contratto; si tratta di un meccanismo regolato dalla legge che si svolgeva per
asta pubblica e si concludeva con l’aggiudicazione della gara e la stipulazione
del contratto
 licitazione privata: la gara è limitata ad alcuni soggetti privati che
l’amministrazione invita a comparire, ritenendoli idonei a partecipare
Al di là del nomen iuris ciò che conta è la procedura sotto il profilo sostanziale della
selezione: il contraente viene individuato sulla base di una valutazione
comparativa; quindi l’articolo 353 non è applicabile quando manca una selezione tra
più candidati.
La condotta richiede specifiche modalità:
- violenza: consiste nell’estrinsecazione di energia fisica che può avere ad
oggetto persone
- minaccia: è la prospettazione di un male ingiusto la cui realizzazione dipende
da colui che prospetta la minaccia
- doni: indicano qualsiasi forma di regalia
- promessa: è riferita ad un atto futuro consistente in un vantaggio il cui
contenuto rimane tuttavia indefinito
- collusioni: sono gli accordi diretti a conseguire fini illeciti ed intervengono tra
gli offerenti, o tra offerenti e preposto alla procedura di selezione
- mezzi fraudolenti: infine indicano una modalità d’azione molto generica,
inclusiva di qualsiasi artifizio o raggiro
L’articolo descrive certamente un reato a condotta vincolata ma con alcune
modalità d’azione tipizzate in modo molto ampio.
Si tratta di un reato d’evento in cui sono indicate tre possibili risultati della
condotta:
I. l’impedimento della gara consistente nel mancato espletamento della
procedura
II. il turbamento ossia qualsiasi alterazione del regolare funzionamento della
gara
III. l’allontanamento degli offerenti

ASTENSIONE DAGLI INCANTI ART 354


“Chiunque, per danaro, dato o promesso a lui o ad altri, o per altra utilità a lui o ad
altri data o promessa, si astiene dal concorrere agli incanti o alle licitazioni indicati
nell'articolo precedente, è punito con la reclusione sino a sei mesi o con la multa
fino a euro 516”
L’astensione dagli incanti e dalle licitazioni indica la mancata presentazione della
domanda di partecipazione alla selezione (condotta omissiva): l’astensione non è
ovviamente punita di per sé, in quanto la libertà di partecipare include anche quella
di non partecipare, ma in quanto sia stata condizionata dalla dazione o dalla
promessa di denaro o altra utilità.

TURBATA LIBERTA’ DEL PROCEDIMENTO DI SCELTA DEL CONTRAENTE ART 353BIS


“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o
con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento
amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente
al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica
amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa
da euro 103 a euro 1.032”
La fattispecie incrimina i fatti che si collocano a monte della pubblicazione del
bando finalizzati a condizionarne il contenuto.
La tutela penale è dunque incentrata sulla regolarità del procedimento di
formazione del contenuto del bando.
Il turbamento della regolarità del procedimento di formazione del bando costituisce
l’evento del reato e ne segna anche il momento consumativo: non è quindi
necessario che alla condotta sia seguita la pubblicazione del bando, in quanto è
sufficiente che sia stato turbato il procedimento amministrativo diretto alla sua
formazione.
La clausola di riserva esclude il delitto in esame in presenza di violenze, minacce o
collisioni inquadrabili in altre fattispecie, come la corruzione, l’induzione indebita, la
concussione.

DELITTI A TUTELA DELLE PUBBLICHE FORNITURE


INADEMPIMENTOO DI CONTRATTI DI PUBBLICHE FORNITURE ART 355
“Chiunque, non adempiendo gli obblighi che gli derivano da un contratto di
fornitura concluso con lo Stato, o con un altro ente pubblico, ovvero con un'impresa
esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, fa mancare, in tutto o in parte,
cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico
servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore
a euro 103”
Si tratta di reato proprio che può essere commesso dal fornitore, subfornitore,
mediatore o dal rappresentante del fornitore.
La condotta consiste nella violazione di obblighi contrattuali di fornitura conclusi
con lo Stato o altro ente pubblico, ovvero con un’impresa esercente servizi
pubblici.
La giurisprudenza adotta un’interpretazione molto ampia di “fornitura”, concetto
inclusivo anche di prestazioni lavorative e tecniche di un’impresa, volte ad
assicurare il soddisfacimento delle finalità sottese al servizio pubblico.
Non è sufficiente l’inadempimento degli obblighi contrattuali, bensì è richiesto che
lo stesso cagioni un evento consistente nel far mancare cose od opere che siano
necessarie ad uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio.
La fattispecie è punita sia a titolo di dolo sia di colpa: quest’ultima non convince in
quanto l’illecito penale finisce per sovrapporsi con quello civile, in contrasto con il
principio di sussidiarietà dell’intervento penale.
Circostanze aggravanti riguardano:
- la fornitura di sostanze alimentari o medicinali
- cose destinate all’armamento o all’equipaggiamento delle forze armate dello
Stato
FRODE NELLE PUBBLICHE FORNITURE ART 356
“Chiunque commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o
nell'adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell'articolo precedente, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro
1.032”
La condotta punita si colloca in questo caso in fase di esecuzione del contratto e
consiste nella frode.
L’artifizio o il raggiro collocate in fase esecutiva, devono essere tali da far apparire
l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (ad es. una fornitura di beni
diversi per qualità e quantità rispetto a quella pattuita). E’ un reato di pura condotta
che si consuma con la frode (non rileva alcun evento).
RIASSUNTI DIRITTO PENALE PARTE SPECIALE DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

CAPITOLO I - SISTEMATICA
I reati contro il patrimonio costituiscono uno dei settori più importanti della parte
speciale in ragione della loro rilevanza pratica: in base all’ultimo rilevamento Ista
(2014) su 2.800.000 reati denunciati, ben 2.000.000 risultavano contro il patrimonio,
tra i quali 1.500.00 furti, 40.000 rapine, ecc.
Tali delitti possono essere distinti in tre grandi gruppi:
1. DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO IN SENSO STRETTO
Tra questi si distinguono due ulteriori categorie:
 delitti che offendono il patrimonio STATICO e DETERMINATO in quanto
l’aggressione UNILATERALE si dirige su beni/cose specifici e individuati
(es. furto)
 delitti che offendono il patrimonio DINAMICO e INDETERMINATO e che
sono realizzati attraverso la COOPERAZIONE DELLA VITTIMA (es. truffa)
A questi due sottogruppi se ne può poi aggiungere un terzo quale l’AGGRESSIONE
INFORMATICA/TELEMATICA AL PATRIMONIO.
2. DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO CHE OFFENDONO ANCHE LA PERSONA
DELLA VITTIMA nel senso che per offendere il patrimonio “passano”
attraverso una strumentalizzazione della vittima che si concretizza in
un’aggressione a beni personali (es. rapina, estorsione)
3. DELITTI CHE SI BASANO SULLA CIRCOLAZIONE DI PROVENTI ILLECITI
(es. riciclaggio)

DELITTI CONTRO IL
PATRIMONIO

1
delitti contro
2 delitti contro il 3
delitti che si basano
il patrimonio in patrimonio che
sulla circolazione di
senso stretto offendono anche la
persona della vittima proventi illeciti

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO IN SENSO STRETTO


I delitti contro il patrimonio in senso stretto offendono in via esclusiva gli interessi a
contenuto economico-patrimoniale facenti capo a persone fisiche o giuridiche, vale
a dire gli interessi aventi valore economico derivante dal rapporto che intercorre tra
le persone e le cose.
Tradizionalmente si contrappone una concezione giuridica del patrimonio ad una
concezione economica.
La concezione giuridica si riferisce al patrimonio come rapporto giuridico che una
persona ha nei confronti dei beni.
La concezione economica si riferisce invece al patrimonio come insieme dei beni
economicamente rilevanti appartenenti ad un soggetto, quindi tiene conto del
valore di scambio proprio di un bene.
Più di recente, con l’intenzione di elaborare un concetto unico di patrimonio, si sono
valorizzati i profili personalistico-funzionali del patrimonio, nel senso che esso viene
concepito come l’insieme dei beni e dei rapporti idonei a svolgere una funzione
strumentale di piena realizzazione della persona umana; si è così depotenziata la
prospettiva meramente economicistica a favore della strumentalità delle cose a
interessi personalistici.

LE AGGRESSIONI UNILATERALI E LA COOPERAZIONE DELLA VITTIMA


Come accennato, i delitti contro il patrimonio in senso stretto possono essere divisi
in due tipologie:
- Vi sono delitti che offendono il patrimonio DETERMINATO, consistente in cose
specifiche, mediante AGGRESSIONI UNILATERALI che intaccano la relazione
tra la vittima e la cosa
In questo caso rilevano reati che offendono il patrimonio statico,
concentrandosi su beni/cose determinate appunto: furti, appropriazione
indebita, danneggiamenti, rapine, delitti contro beni immobili
L’aggressione ad un bene determinato non può che essere unilaterale e
viceversa l’aggressione unilaterale non può che avere ad oggetto una cosa
determinata.
- Vi sono poi delitti che offendono il patrimonio INDETERMINATO, inteso come
valoro patrimoniale complessivo, mediante AGGRESSIONI CON LA
COOPERAZIONE DELLA VITTIMA.
In tal caso si offende invece il patrimonio dinamico complessivamente inteso:
tutti i delitti mediante frode, usura, estorsione.
Sussiste un’inevitabile corrispondenza tra un’aggressione mediante la
cooperazione con la vittima e un’aggressione al patrimonio complessivo e
indeterminato della stessa.
All’interno di queste due tipologie di delitti contro il patrimonio, risulta poi possibile
compiere ulteriori sotto-distinzioni.
Tra i delitti basati su un’aggressione unilaterale si può distinguere le aggressioni che
determinano un arricchimento (furti, appropriazione indebita, delitti contro beni
immobili) e aggressioni invece che comportano solo una distruzione del bene
(danneggiamenti). Inoltre all’interno della fattispecie che comporta un
arricchimento si può distinguere tra delitti che hanno ad oggetto beni mobili (furto e
appropriazione indebita) e quelli che hanno ad oggetto immobili.
Invece, tra i delitti basati sulla cooperazione con la vittima si distingue l’ipotesi in cui
sussiste un rapporto paritario tra i protagonisti del conflitto (truffa, altre frodi,
estorsione) e le ipotesi in cui invece sussiste un rapporto non paritario in quanto la
stessa vittima si trova anche in una condizione di inferiorità (circonvenzione di
incapaci).

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO


in sesto stretto

AGGRESSIONI UNILATERALI AGGRESSIONI CON


COOPERAZIONE DELLA VITTIMA

al PATRIMONIO
DETERMINATO O STATICO al PATRIMONIO
INDETERMINATO O DINAMICO

furti, appropriazione indebita,


frode, usura, estorsione
danneggiamenti, rapina,
delitti contro beni immobili

RAPPORTO CONDIZIONE DI
ARRICCHIMENTO DISTRUZIONE DEL BENE PARITARIO INFERIORITA’
furti, appropriazione indebita,
danneggiamenti
delitti contro beni immobili

BENI MOBILI BENI IMMOBILI

I DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE AGGRESSIONE ANCHE ALLA PERSONA


Si colloca all’interno di questa categoria: rapina, estorsione e sequestro di persona a
scopo di estorsione.
Sono fattispecie peculiari e problematiche anche sul piano della
collocazione/classificazione: infatti, a ben vedere, il disvalore di questi fatti si
incentra non solo e non tanto sull’aggiunta all’offesa al patrimonio di un’offesa alla
persona o viceversa, ma piuttosto sulla strumentalizzazione della persona ai fini di
un arricchimento patrimoniale, con la conseguenza che è proprio il nesso
strumentale che intercorre tra il “mezzo” persona della vittima e la finalità di
arricchimento del patrimonio a rendere l’offesa alla persona molto consistente.

DELITTI AVENTI AD OGGETTO PROVENTI ILLECITI


Il terzo ed ultimo gruppo raccoglie delitti che hanno ad oggetto proventi illeciti.
Tutte queste fattispecie si caratterizzano per il fatto che presuppongono la
realizzazione di un precedente delitto dal quale consegue un provento, vale a dire
un’utilità economica, e consistono in una successiva attività nella sostanza
“economica” su questo provento.
Si tratta di reati di: ricettazione, riciclaggio, reimpiego e auto riciclaggio.
Le successive attività compiute sui proventi illeciti determinano un ostacolo alle
indagini compiute per rintracciare i proventi illeciti e quindi gli autori del reato
presupposto; infatti le attività compiute sui proventi tendono non solo ad occultare
il bene, ma anche a ripulirlo dalle “macchie” della sua illiceità ed infine ad investirlo
nella realtà economica “sana”.
Non si può fare a meno di ricordare come questi delitti siano strettamente legati alla
criminalità organizzata: a causa del consistente afflusso di denaro proveniente
proprio dalla realizzazione di reati, le organizzazioni criminali dispongono di
ingentissimi capitali che devono essere necessariamente reinvestiti.

DELITTI SUCCESSIVA ATTIVITA’


PROVENTI ILLECITI
PRESUPPOSTO ECONOMICA sul provento

CAPITOLO II – CONCETTI E ISTITUTI GENERALI

I RAPPORTI TRA ILLECITO CIVILE E PENALE


Soffermiamoci su due questioni alle quali si riducono le differenze tra diritto civile e
penale:
I. tra il disvalore dell’illecito civile e quello dell’illecito penale non può che
esserci differenza, nel senso che il diritto penale tende a punire fatti che non si
esauriscono in illeciti civili, presentando invece un QUID PLURIS di disvalore
che giustifica l’attivazione di una sanzione afflittiva come quella punitiva.
II. la tipizzazione: le fattispecie penali sono state tipizzate dal legislatore in
termini tali da scolpire elementi di disvalore aggiuntivi rispetto all’illecito civile
ovvero elementi costitutivi della fattispecie criminosa in assenza dei quali il
reato non sussiste
ALCUNI CONCETTI RICORRENTI TRA DIRITTO PENALE E DIRITTO CIVILE
Nei delitti contro il patrimonio ricorrono più volte espressioni linguistiche riferibili ad
istituti civilistici: “cosa”, “altruità”, “detenzione”, “possesso”.
Si tratta tuttavia di una coincidenza meramente terminologica, non anche
normativo/concettuale. I concetti civilistici e penalistici vanno dunque tenuti distinti.
In particola il possesso all’interno dell’appropriazione indebita (come vedremo) è
qualcosa in più rispetto alla detenzione ma qualcosa in meno del possesso civilistico
inteso come potere sulla cosa che si manifesta in attività corrispondente all’esercizio
di proprietà o altro diritto reale. Invece, nella fattispecie di turbativa violenta il
possesso di cose immobili finisce per coincidere con quello civilistico, riferendosi a
una situazione che implica il pieno godimento della cosa.
Quindi occorre sempre operare un’autonoma analisi ermeneutica in prospettiva
penalistica, il cui esito può anche coincidere con quello raggiunto in ambito civile.

ALCUNI CONCETTI RICORRENTI


Alcuni concetti ricorrono in più fattispecie.
Già abbiamo accennato al concetto di possesso, presente nell’appropriazione
indebita e nella turbativa violenta.
Diffusissimo il concetto di ALTRUITA’
- furto (cosa mobile altrui)
- rapina (cosa mobile altrui)
- estorsione (altrui danno)
- danneggiamento (cose mobili o immobili altrui)
Il concetto di PROFITTO
- furto (al fine di trarne profitto)
- rapina (per procurare a sé o altri un ingiusto profitto)
- estorsione (per procurare a sé o altri un ingiusto profitto)
Ancora, il concetto di DANNO
- estorsione (con altrui danno)
- truffa (con altrui danno)
Ebbene si pone la questione se si possano dare definizioni comuni e generali oppure
differenziate e specifiche, destinare a mutare a seconda della singola fattispecie.

IL CONCETTO DI ALTRUITA’
Anzitutto bisogna osservare che il concetto di altruità può riferirsi alle cose oggetto
di aggressione (es. furto = cosa mobile altrui) oppure al danno (es. truffa = altrui
danno).
Quando è riferita al danno, l’altruità ha un significato puramente descrittivo, per non
dire addirittura pleonastico.
Assume invece portata normativa quando è riferita alla cosa che costituisce oggetto
dell’aggressione.
La prima questione che si pone è se per “altrui” si debba intendere la cosa di
proprietà oppure anche la cosa rispetto alla quale si esercitano diritto diversi dalla
proprietà, come i diritti di godimento.
La questione ha importanti ricadute pratiche sui soggetti attivi o passivi del delitto.
Sotto il profilo dei soggetti attivi, se si muove dall’idea che per altrui si debba
intendere soltanto il diritto di proprietà, il proprietario non può essere soggetto
attivo; se invece nel concetto di altruità si fa rientrare anche la titolarità di altri diritti
di godimento, anche il proprietario può essere autore del fatto tipico (si pensi al
proprietario che sottrae la cosa al comodatario).
Sotto il profilo dei soggetti passivi, si deve considerare che una parte dei reati contro
il patrimonio è perseguibile a querela e che il titolare della querela è la persona
offesa dal reato. Ebbene quando il fatto è realizzato direttamente ai danni del
proprietario non si pone alcun problema. Ma quando il fatto è realizzato ai danni del
soggetto titolare di diritti di godimento, si pone il problema di chi possa presentare
querela.
Venendo alla soluzione del problema, secondo una posizione più tradizionale, altrui
è la cosa di proprietà di altri con la duplice conseguenza che il proprietario non può
mai essere soggetto attivo e che la querela è riservata solo a lui, unico soggetto
passivo possibile.
Secondo un orientamento più recente, il concetto di altruità deve includere anche i
diritti reali minori, con la duplice conseguenza che lo stesso proprietario può essere
autore dei delitti e che la querela può essere presentata anche dal titolare del diritto
di godimento.
Si deve quindi aderire ad un concetto ALLARGATO di altruità che di conseguenza
espande la qualificazione di soggetto attivo e di soggetto passivo.

IL CONCETTO DI DANNO
[Per il diritto civile, il danno può essere patrimoniale (2043cc) o non patrimoniale
(2059cc.) – Lo stesso è previsto dal diritto penale all’articolo 185 C.P.]
Consideriamo in questo caso che in alcune fattispecie il danno non viene
menzionato (es. furti, rapina, sequestro di persona) e fattispecie in cui invece è
elemento costitutivo esplicito (es. estorsione = altrui danno)
Si tratta tuttavia di una questione centrale che può essere considerata identica in
tutte le fattispecie: è l’offesa dell’interesse tutelato.
Quando dunque si subisce un’offesa in termini di danno nei delitti contro il
patrimonio?
Un primo orientamento non richiede che la cosa abbia un valore economico,
potendo avere anche mero valore affettivo.
Dall’altro lato, v’è chi richiede un’offesa patrimoniale non soltanto economicamente
qualificabile, ma anche apprezzabile e significativa.
Il punto è: può realmente dirsi offensivo il furto di una cosa priva di valore
economico ma che abbia un grande valore affettivo? Tale furto, arreca un danno alla
vittima?
L’esito della inoffensività è l’atipicità del fatto, nonostante che in definitiva siano
stati posti in essere tutti gli elementi costitutivi.
Coerentemente con ciò, si è fatto confluire la scarsa offensività patrimoniale
nell’istituto della particolare tenuità del fatto. L’esiguità del danno concorre a
determinare dunque la tenuità con conseguente esclusione della punibilità.
Quindi Se del patrimonio accogliamo una concezione giuridica, il danno coincide con
la perdita di un diritto o con l’assunzione di un obbligo. Se invece accogliessimo la
concezione economica, allora esso coinciderà con una perdita economico-
patrimoniale.
In ultima analisi possiamo dire che comunque è compito dell’interprete di volta in
volta verificare qual è il concetto di danno o di profitto che il legislatore ha voluto
privilegiare nell’ambito della singola fattispecie incriminatrice.

IL CONCETTO DI PROFITTO GIUSTO/INGIUSTO


Nel codice penale, questo termine sta ad indicare qualsiasi vantaggio, anche non
patrimoniale, traibile dal reato: non va confuso con il prodotto del reato.
Dobbiamo considerare che le fattispecie che richiamano il concetto di profitto lo
intendono come necessariamente ingiusto.
Se la fattispecie criminosa non qualifica lei stessa il danno come ingiusto (es. furto
“al fine di trarne profitto”) spetterà al giudice il compito di verificare in concreto se il
profitto può effettivamente dirsi ingiusto e quindi fondare la tipicità.
ESEMPIO: nella rapina si dovrebbe di volta in volta verificare se il soggetto ha agito
per un profitto per l'appunto ingiusto oppure se ha agito nella convinzione di
realizzare un proprio diritto soggettivo o una pretesa direttamente o indirettamente
tutelata dall’ordinamento.
Osserviamo che l’illiceità del mezzo risulta essere condizione sufficiente
dell’ingiustizia del risultato (es. mezzo = aggressione della persona).
Quando però la legge stessa qualifica il profitto come ingiusto (es. rapina “per
procurare a sé o altri un ingiusto profitto”) vuol dire che il mezzo illecito (es. rapina),
in quanto espressivo di un alto disvalore, non può che rendere il profitto
necessariamente ingiusto. In questi casi il legislatore qualifica il profitto come
ingiusto per impedire al giudice di procedere nella sua valutazione dei fatti.
Quindi, mentre in tutti i reati, il profitto è qualificato come ingiusto, nel furto invece
non viene qualificato, così da lasciare margini per un’eventuale valutazione in
concreto.
Insomma, un fatto carico di disvalore come la rapina non lascia spazi di
discrezionalità e valutazione alla questione della giustizia-ingiustizia, proprio perché
il disvalore è oggettivo e rende il profitto automaticamente ingiusto.
Al contrario, un fatto meno carico di disvalore, perché ad esempio aggressivo del
solo patrimonio, può aprire al tema della giustizia o ingiustizia del profitto, per cui se
il fine è giusto, viene meno lo stesso disvalore del fatto.
LA RILEVANZA DEI RAPPORTI FAMILIARI – ART 649 CP
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno:
1. del coniuge non legalmente separato;
1-bis) della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
2. di un ascendente o discendente  o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o
dell'adottato;
3. di un fratello o di una sorella che con lui convivano
I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a  querela della persona offesa, se commessi a
danno del coniuge legalmente separato o della parte dell’unione civile tra persone dello stesso
sesso, nel caso in cui sia stata manifestata la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello
stato civile e non sia intervenuto lo scioglimento della stessa, ovvero del fratello o della sorella
che non convivano coll'autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell'affine in secondo
grado con lui conviventi.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli
articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso
con violenza alle persone

RATIO: La norma trova la sua ratio nella tutela della famiglia contro eventuali


turbamenti creati da intromissioni della giurisdizione penale all'interno della stessa.
La ratio in ultima analisi è quella dell’INOPPORTUNITA’ (mera scelta politica)
La norma in oggetto prevede la non punibilità per alcune categorie di soggetti in
merito alla commissione di determinati delitti contro il patrimonio a danno di:
 coniuge non legalmente separato
 parte dell’unione civile
 ascendente (bisnonni, nonni, genitori), discendente (figli, nipoti -figli dei figli-),
affini in linea retta (suocera e genero), fratelli e sorelle conviventi con l’autore
Essa risponde a obiettivi di politica criminale, in ordine all'opportunità di punire
condotte messe in atto all'interno di contesti familiari o para-familiari (adottati).
La disposizione si pone infatti o scopo di bilanciare l'interesse alla soppressione di
determinati reati con l'esigenza di non intaccare l'unità familiare.
Mentre per alcuni soggetti la punibilità è esclusa, per altri (nello specifico per i non
conviventi) è subordinata alla presentazione di apposita querela.
 coniuge legalmente separato
 parte dell’unione civile se c’è stata richiesta di scioglimento
 fratello o sorella non conviventi con l’autore del reato
 zio o nipote o affini di 2° grado (congato/a) anche se conviventi con l’autore
del reato
Tuttavia, ai sensi del terzo comma, la causa di esclusione della punibilità non si
estende ai delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione,
nonché a tutti i delitti contro il patrimonio, qualora commessi con violenza sulle
persone.
La giurisprudenza ha chiarito che la norma è inapplicabile anche al delitto di
circonvenzione di incapace, non rilevando solamente la violenza fisica, ma anche
quella morale, come forma di coazione psichica.
CAPITOLO III – I DELITTI DI AGGRESSIONE UNILATERALE
I delitti contro il patrimonio che consistono in aggressioni unilaterali a cose
specifiche possono essere distinti in vari gruppi.
Anzitutto, a seconda che determino uno spostamento o una distruzione di ricchezza,
è possibile distinguerli in delitti che comportano un vantaggio/arricchimento
all’autore e nella sostanza un corrispondente danno alla vittima (furto,
appropriazione indebita e delitti contro beni immobili) e delitti che invece
comportano soltanto un danno alla vittima (danneggiamenti).
All’interno del primo gruppo di delitti basati sull’ARRICCHIMENTO è possibile
distinguere ulteriormente tra aggressioni a cose mobili (furto e appropriazione
indebita) e aggressioni alle cose immobili.
All’interno delle aggressioni di cose mobili si può poi compiere un’ulteriore
distinzione tra furto e appropriazione:
nel furto la cosa che si trova nella disponibilità materiale della vittima viene
aggredita/sottratta direttamente a chi la detiene;
nell’appropriazione indebita invece la cosa si trova già nella disponibilità dell’autore
in virtù di un rapporto pregresso con la vittima la quale aveva autorizzato l’autore a
disporne.

AGGRESSIONI UNILATERALI

ARRICCHIMENTO DELL’AUTORE MERO DANNO ALLA VITTIMA

FURTO APPROPRIAZIONE
cosa nella disponibilità dell’autore

I FURTI
Il furto c.d. SEMPLICE, nel senso di non aggravato, è previsto dall’ART 624.
Vi sono poi ulteriori fattispecie autonome di furto:
 FURTI MAGGIORI cioè più gravi previsti dall’articolo 624 bis consistenti nel
furto in abitazione e nel furto con strappo
 FURTI MINORI più lievi previsti dal 626 consistenti nel furto d’uso, furto per
bisogno, furto di raccolto nei fondi altrui.
Il sistema si completa poi di una serie di circostanze aggravanti (ART 625) e
attenuanti (ART 625 bis)

IL FURTO SEMPLICE – ART 624


COMMA I Chiunque s'impossessa  della cosa mobile  altrui,  sottraendola a chi
la  detiene, al fine di trarne  profitto  per sé o per altri, è punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516.
COMMA II Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia
elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
COMMA III Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o
più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e  625
L’articolo 624 si compone di 3 commi.
I. il primo tipizza il delitto di furto
II. il secondo contiene una norma definitoria che estende il concetto di cosa
mobile anche all’energia elettrica
III. il terzo definisce il regime di procedibilità: il furto è competenza del tribunale
monocratico e procedibile a querela di parte (procedibile d’ufficio solo se
ricorrono circostanze aggravanti)
Si tratta di una tipica fattispecie di AGGRESSIONE UNILATERALE AL PATRIMONIO
consistente nella sottrazione di una cosa determinata che si trova nella disponibilità
di un altro soggetto. Tra autore del reato e cosa aggredita si frappone dunque la
relazione che un altro soggetto ha con la cosa: il furto tende a rompere siffatta
relazione mediante l’aggressione diretta sulla cosa.
Soffermiamoci su questo rapporto della vittima con la cosa.
Le sezioni unite si sono espresse affermando che: il bene giuridico protetto dal
diritto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali ma anche nel
possesso ed anche se questo si costituisce in modo clandestino o illecito (es. furto
del proprietario ai danni del ladro), con la conseguenza che anche al titolare di tale
posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa.
Riassumendo, l’opinione maggioritaria ritiene che la norma sia posta a tutela
della relazione di fatto con la cosa, individuata nel possesso e nella detenzione,
mentre secondo un orientamento più ristretto è posta a tutela di una situazione di
diritto.
OGGETTO MATERIALE DELLA CONDOTTA è la cosa mobile altrui ossia qualsiasi
entità fisico-materiale della realtà esterna.
Anche il concetto di cosa è molto dibattuto.
Anzitutto, si è posto il problema delle energie. Ciò che ha creato problemi è il
carattere “fluido e dinamico” nonché per certi aspetti “non afferrabile”.
Il nostro codice risolve esplicitamente il problema, in quanto al secondo comma
dell’articolo 624 si sancisce che “si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e
ogni altra energia che abbia valore economico”.
Altro problema è posto riguardo ai dati informatici: secondo un primo orientamento
non sono cose mobili; per altro orientamento invece i dati informatici possono
costituire cosa mobile, dovendosi tuttavia verificare ai fini dell’eventuale
configurabilità del furto se viene realizzata o meno una condotta sottrattiva, per cui
non sussiste il furto nel caso di “mera” copiatura di files che restano comunque nella
disponibilità del soggetto passivo.
Per quanto riguarda il valore patrimoniale della cosa, non sono mancate pronunce
che hanno attribuito rilevanza al principio di offensività c.d. in concreto, escludendo
la punibilità di fatti aventi ad oggetto cose di modesta rilevanza economica. Tuttavia,
la prevalente giurisprudenza, facendo leva sull’idea che la fattispecie tutela la
relazione materiale col bene, si orienta nel senso di non attribuire rilevanza al valore
economico della cosa, con la conseguenza che anche la sottrazione di cose che
esprimono un valore soltanto affettivo integra il furto.
Per quanto riguarda la CONDOTTA, la lettera della legge si scompone in due
modalità aggressive: sottrazione ed impossessamento.
Il problema riguarda la necessità di considerare tali condotte distinte o identificate,
con importanti ripercussioni in termini di tentativo e consumazione.
Secondo una prima interpretazione si tratta di due momenti cronologicamente
distinti: la sottrazione determina l’uscita della cosa dalla signoria del precedente
detentore ed equivale dunque alla rottura della relazione materiale ovvero alla
creazione di una nuova relazione tra autore e cosa; segue poi l’impossessamento,
vale a dire la possibilità di disporre liberamente della cosa.
In questa prospettiva, finché si realizza la mera sottrazione il fatto risulta tentato,
divenendo consumato solo nell’ipotesi in cui la cosa esca definitivamente nella cosa
di dominio del detentore.
Secondo altro orientamento invece sottrazione ed impossessamento nella sostanza
coincidono, nel senso che ai fini della realizzazione della condotta tipica è sufficiente
che l’autore sia entrato nella relazione materiale con la cosa; Il furto si perfeziona
quindi con la mera sottrazione.
Le sezioni unite hanno risolto la questione, accreditando la soluzione interpretativa
che distingue tra sottrazione (tentativo) e impossessamento (consumazione).
Va anche precisato che per consolidata giurisprudenza, per aversi consumazione è
necessario che la cosa esca dalla sfera di vigilanza del legittimo detentore o di chi
per lui sia sottoposto alla sorveglianza del bene: se ciò non avviene, il delitto rimane
allo stadio del tentativo ai sensi dell'art. 56.
ESEMPIO: il furto è tentato se Tizio sottrae un bene dallo scaffale di un
supermercato (ed anche in caso di superamento delle casse) in quanto si attribuisce
rilevanza al correttivo della vigilanza/sorveglianza.
Circa L’ELEMENTO SOGGETTIVO, il furto è punito solo a titolo di dolo.
L’errore sull’altruità della cosa esclude il dolo (errore sulla legge extra-penale).
Infine la fattispecie prevede un dolo specifico che deve accompagnare la condotta,
consistente nella finalità di trarre per sé o per altri un profitto, che, secondo
orientamento giurisprudenziale maggioritario, consiste in qualsiasi vantaggio, anche
non di natura patrimoniale.
FURTI MAGGIORI: IL FURTO IN ABITAZIONE E IL FURTO CON STRAPPO
ARTICOLO 624-bis
“Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne
profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o
in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette
anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500.
Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui,
sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di
dosso alla persona.”
Le due fattispecie di furto in abitazione e furto con strappo sono state introdotte
dall’articolo 2 l. 128/2001 che ha contestualmente abrogato le corrispondenti
circostanze aggravanti dell’articolo 625: in sostanza da circostanze aggravanti sono
divenute fattispecie autonome.
RATIO: rendere più rigoroso il trattamento sanzionatorio in relazione al maggior
disvalore connesso alle due tipologie di reato.
Il furto in abitazione avviene infatti all’interno di un luogo in cui si esprime la
personalità del soggetto e del quale si turba la riservatezza; mentre il furto con
strappo determina un coinvolgimento dell’incolumità della persona.
 IL FURTO IN ABITAZIONE
PRIVATA DIMORA: è concetto sicuramente più ampio di quello di abitazione, devono
ricomprendersi tutti quei luoghi, non pubblici, nei quali le persone si trattengono per
compiere attività della loro vita privata, ovvero attività di natura professionale,
culturale o politica.
Questa soluzione è data dalla combinazione di due criteri:
- lo IUS EXCLUDENDI ovvero il potere di “escludere gli altri” di cui gode il
titolare della privata dimora
- luoghi in cui si esplica la personalità della vittima
Così, in orario di apertura, nelle parti chiuse al pubblico è sempre configurabile il
furto in abitazione, mentre nelle parti aperte al pubblico, il furto in abitazione non
risulta configurabile; in orario di chiusura è sempre configurabile, anche nelle parti
che durante il giorno sono “aperte” al pubblico.
Per EDIFICIO si intende una costruzione in muratura dotata di stabilità e staticità
strutturale.
Con ALTRI LUOGHI si ricomprendono invece spazi non statici quali roulotte, camper,
tenda da campeggio, l’automobile.
PERTINENZE sono invece parcheggi, cortili, giardini, campi sportivi, garage, ecc.

La giurisprudenza ritiene che ai fini della configurabilità del reato di furto in


abitazione, sia necessario che sussista un nesso finalistico fra l’ingresso
nell’abitazione e il furto della cosa mobile, nel senso che il soggetto deve entrare nel
luogo destinato a privata dimora al fine di commettere il furto: così, ad es. s è
ritenuto che non integri il reato il fatto di due soggetti che entrano nei locali della
ditta per noleggiare un apparecchio per il caffè ma che approfittano poi
dell’occasionale presenza di altro cliente per impadronirsi del suo borsello.
 IL FURTO CON STRAPPO
Definito volgarmente “scippo”, il furto con strappo deve essere realizzato
strappando la cosa di dosso o di mano alla vittima.
Per quanto riguarda la CONDOTTA, strappare significa esercitare una forza fisica
(una violenza) tale da vincere la resistenza opposta dalla relazione fisico-materiale
che intercorre tra la cosa e la persona (collana intorno al collo o borsetta tenuta in
mano). La cosa deve avere una relazione fisico-materiale con il corpo della persona,
tale per cui essa finisce per unirsi al corpo della stessa.
La VIOLENZA deve essere esercitata direttamente sulla cosa e solo indirettamente
deve colpire anche la persona; se invece è usata direttamente sulla persona, si
configura il delitto di rapina: così è stata qualificata rapina nell’ipotesi in cui il
soggetto strattoni e scaraventi per terra la persona offesa, impossessandosi poi
dell’orologio.
Nel furto con strappo dunque la vittima può risentire della violenza solo in modo
riflesso, come effetto della violenza impiegata sulla cosa per strapparla di mano o di
dosso alla persona, mentre nella rapina la violenza costituisce mezzo attraverso il
quale avviene la sottrazione.
Pacifica è anche la configurabilità della rapina nell’ipotesi in cui, a causa della
resistenza della vittima, la violenza adoperata dal reo si sposti indirettamente sulla
persona (es. il reo colpisce all’addome la vittima) oppure venga esercitata
simultaneamente sulla cosa e sulla persona (es. il reo continua a tirare la borsetta e
percuote la mano che non la molla).
Se la vittima avesse riportato lesioni, sebbene non sia automatica la qualificazione di
rapina, l’autore risponderà di furto con strappo in concorso con lesioni colpose.

ART. 625 AGGRAVANTI


La pena per il fatto previsto dall'art. 624 è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro
927 a euro 1.500:
[1) se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro
luogo destinato ad abitazione];
2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
3) se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso;
4) se il fatto è commesso con destrezza [ovvero strappando la cosa di mano, o di dosso alla
persona];
5) se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli
la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio;
6) se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli
scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande
7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte
a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla
pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
7-bis) se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture
destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi
pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica;
8) se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su
animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria;
8-bis) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
8-ter) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che
abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al
prelievo di denaro
ART. 625-bis ATTENUANTI
Nei casi previsti negli articoli 624, 624 bis e 625 la pena è diminuita da un terzo alla metà qualora il
colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l'individuazione dei correi o di coloro che hanno
acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla
acquistare, ricevere od occultare

L’articolo 625 prevede diverse circostanze aggravanti, tra le quali però ricordiamo
il furto in abitazione e il furto con strappo sono venuti meno nel 2001 e confluite
nell’articolo 624-bis come fattispecie autonome.
L’articolo 625-bis invece prevede una sola circostanza attenuante.
In particolare le aggravanti sono:
 l’uso di violenza sulle cose o di mezzo fraudolento
L’oggetto della VIOLENZA a può essere la cosa sottratta stessa o cose diverse da
quella sottratta (es. ostacoli che possono essere vinti solo con l’utilizzo di violenza)
Si realizza una violenza quando la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è
mutata la destinazione; ancora, per danneggiamento si deve intendere la
distruzione, la dispersione, il deterioramento o il rendere la cosa in tutto o in parte
inservibile.
La violenza sulla cosa deve essere ovviamente strumentale rispetto alla condotta di
sottrazione, per cui antecedente o concomitante ma mai successiva.
Assolutamente pacifico che la violenza possa avere ad oggetto cosa diversa da quella
che poi viene sottratta, come nel caso di manomissione della placca magnetica
antitaccheggio inserita nella merce in vendita nei grandi magazzini.
Più problematico se la violenza possa avere ad oggetto anche le stesse cose che
vengono sottratte: la questione ha riflessi significativi sulla mobilizzazione di cose
immobili. Secondo l’orientamento della giurisprudenza, l’aggravante è configurabile
quando muta la destinazione della cosa da cui viene separata oppure muta la
destinazione della stessa cosa sottratta: così, con riferimento al bene da cui si
separa, si è ritenuta violenta l’asportazione di una ruota mediante sbullonamento,
perché muta la destinazione del veicolo che non è più in grado di muoversi, nonché
l’asportazione della targa perché il ciclomotore che ne è privo non può
legittimamente circolare.
La ratio invece del MEZZO FRAUDOLENTO può essere ravvisata nel superamento di
ostacoli o della vigilanza attraverso modalità per l’appunto ingannatorie.
Si è soliti distinguere tra ostacoli materiali ed ostacoli personali.
ESEMPIO ostacoli materiali: si considera mezzo fraudolento l’apertura di serrature
con una chiave contraffatta, ma anche autentica purché il ladro ne sia venuto in
possesso fraudolentemente.
Per ostacolo personale s’intende invece una vigilanza sulla cosa da parte del
detentore: artifizio o raggiro nei confronti della vittima che tuttavia non è diretto
all’ottenimento di un atto di disposizione (altrimenti truffa) ma più semplicemente a
favorire l’acquisizione unilaterale della cosa, rendendo la vittima una sorta di
esecutore materiale della volontà dell’autore.
ESEMPIO: chi chiede alla vittima di poter adoperare per qualsiasi ragione l’oggetto e
poi si dia alla fuga; l’utilizzo di borsa a doppio fondo o di pancera per nascondere gli
oggetti.
Le sezioni Unite hanno però specificato che il semplice occultamento della refurtiva
addosso alla persona dell’agente (es. mero nascondimento in bosa e tasche) non
integra l’aggravante in quanto modalità necessaria alla stessa sottrazione.
 portare addosso armi o narcotici
 destrezza
La circostanza è stata modificata essendo state soppresse nel 2001 le parole “ovvero
strappando la cosa di mano o di dosso alla persona” (fattispecie autonoma del 624-
bis).
La ratio del furto con destrezza, gergalmente definito “borseggio” deve essere
ricondotta alla particolare insidiosità delle modalità della condotta.
Si ha destrezza in presenza di abilità superiore a quella ordinariamente usata dal
comune ladro, capace di eludere la vigilanza dell’uomo medio;
si considera destrezza anche la condotta di chi approfitta di una situazione di
disattenzione della vittima.
Molto problematica infine l’ipotesi in cui il soggetto approfitti di una situazione
oggettivamente favorevole. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite le quali
hanno affermato che la destrezza richiede un comportamento dell’agente, posto in
essere prima o durante l’impossessamento della cosa, caratterizzato da particolare
abilità, astuzia, avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la
sorveglianza, con la conseguenza che non è destrezza il mero approfittarsi di
situazioni, non provocate dall’agente, di disattenzione o momentaneo
allontanamento del detentore della cosa.
 bagagli di viaggio
La ratio è quella di aggravare l’illecito per due ragioni: ci sono più cose da vigilare, si
frequentano particolari luoghi “aperti al pubblico” dove il bene è più esposto a
condotte aggressive.
 cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, sottoposte a sequestro o
pignoramento, esposte alla pubblica fede, destinate a pubblico servizio
 furto commesso all’interno di mezzi pubblici
 materiale sottratto ad infrastrutture destinate a servizi pubblici
 furto nei confronti di chi fruisce o ha appena fruito di servizi bancari o postali

I FURTI MINORI ARTICOLO 626


Si applica la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a euro 206, e il delitto è punibile
a querela della persona offesa:
1) se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e
questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita;
2) se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente
bisogno;
3) se il fatto consiste nello spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora
spogliati interamente del raccolto.
Tali disposizioni non si applicano se concorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1, 2, 3 e 4
dell'articolo precedente
L’articolo in esame prevede tre fattispecie autonome, perseguibili a querela della
persona offesa:
- furto d’uso
- furto lieve per bisogno
- spigolamento abusivo
Non si applicano le ipotesi di furto minore se ricorrono alcune delle aggravanti del
625 (furto aggravato competenza del tribunale monocratico e non del giudice di
pace) seppur possa trovare applicazione la causa di non punibilità per particolare
tenuità del fatto di cui al 131-bis.
A. FURTO D’USO
Si ha quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa
sottratta, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
Per quanto riguarda la RATIO il minor disvalore viene ravvisato, sul piano soggettivo
nel fatto che l’autore agisce alla sola finalità di fare un uso momentaneo della cosa,
sul piano oggettivo nel fatto che dopo l’utilizzo la cosa viene restituita al titolare.
Circa la struttura, oltre alla sottrazione e all’impossessamento, sono presenti altri
due requisiti: il dolo specifico dello scopo di fare uso momentaneo della cosa e di
restituirla e la condotta dell’immediata restituzione.
L’effettiva restituzione della cosa sottratta esclude l’ipotesi del furto comune,
mentre la volontaria mancata restituzione della predetta cosa, esclude il disposto
relativo al furto d’uso e conseguentemente rende applicabili le gravi sanzioni per il
furto comune, a meno che la mancata restituzione non derivi da caso fortuito o
forza maggiore e allora il soggetto continuerà a rispondere per furto d’uso.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la momentaneità dell’uso
debba essere valutata non in termini cronologici, bensì facendo riferimento al
tempo minimo necessario per un uso conforme alla natura o alla destinazione del
bene: così, ad es. rispetto a un bene come l’automobile, l’uso momentaneo consiste
nella realizzazione di un breve tragitto, mentre è escluso se si tratta di lungo viaggio.
Per quanto riguarda il requisito della restituzione, essa deve essere immediata, nel
senso che tra il momento in cui si è finito di utilizzare la cosa e la restituzione, deve
intercorrere un breve lasso di tempo.
E’ controverso se la volontà restitutoria debba sussistere fin dall’inizio dell’azione
criminosa o possa sopraggiungere anche dopo la sottrazione e/o l’uso momentaneo.
Se si ritiene che la restituzione sia elemento costitutivo o comunque si individua il
minor disvalore nella restituzione della cosa, si ritiene che la volontà debba
sussistere sin dall’inizio, con la conseguenza che se manca si applica il furto comune.
Se invece si muove l’idea che la restituzione non sia elemento costitutivo della
fattispecie, la volontà non è necessaria, essendo piuttosto necessaria la volontà della
mancata restituzione.
In ordine invece all’effettività della restituzione se si ritiene che la restituzione sia
elemento costitutivo, la cosa deve essere restituita, con la conseguenza che se
manca la restituzione per caso fortuito o forza maggiore non rileva, dovendosi
punire il soggetto per furto comune. Se invece si ritiene che la restituzione non sia
elemento costitutivo è la mancata restituzione che deve essere volontaria o
comunque colposa, con la conseguenza che la mancata restituzione per caso
fortuito o forza maggiore esclude la responsabilità per furto comune lasciando
sussistere la responsabilità per furto d’uso.
B. FURTO LIEVE PER BISOGNO
Per integrare il furto lieve per bisogno sono necessari due requisiti:
o il valore tenue della cosa
o il grave ed urgente bisogno: il bisogno è ritenuto grave quando la sua mancata
soddisfazione può comportare un danno rilevante alla persona ed è urgente
quando la sua soddisfazione non può essere differita senza che il danno si
verifichi o aumenti notevolmente il pericolo del suo verificarsi.
In giurisprudenza invece si tende ad attribuire importanza soltanto ai bisogni
materiali attinenti alle esigenze fondamentali della vita fisica, non anche a
quelli affettivi come nel caso del soggetto che compie un furto per acquistare
un biglietto del treno che gli consenta di raggiungere una persona malata.
C. LO SPIGOLAMENTO consiste nella raccolta di spighe rimaste nel campo dopo
la mietitura; IL RASTELLAMENTO indica la raccolta di erbe falciate mediante
rastello; IL RAPOLLAMENTO la raccolta di grappoli d’uva dopo l’effettuazione
della vendemmia.

APPROPRIAZIONE INDEBITA
ARTICOLO 646
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile
altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la
reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
[Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle
circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61.]
L’articolo 646 è composto da due commi:
I. il primo tipizza la fattispecie di appropriazione indebita
II. il secondo prevede una circostanza attenuante
Il delitto punisce chiunque, per procurare a sé o altri un ingiusto profitto, si
appropria del denaro o di cosa mobile altrui si cui abbia a qualsiasi titolo il possesso.
La competenza è del tribunale monocratico.
E’ procedibile a querela ma diviene procedibile d’ufficio se i fatti sono aggravati
dall’articolo 646 comma 2 o dall’articolo 61.
ESEMPIO: risponde di appropriazione indebita chi, avendo ricevuto una cosa in
comodato, la aliena senza l’autorizzazione del proprietario oppure l’amministratore
di condominio che ricevuto dai condomini somme di denaro per provvedere
all’esecuzione di specifici lavori, li utilizzi per finalità personali oppure il promotore
finanziario che non investe e trattiene per sé somme di denaro destinate a fondi di
investimento altrui.
Nel 2016 le tre ipotesi di appropriazione c.d. minori previste dall’articolo 647
(appropriazione di cose smarrite, appropriazione indebita di tesoro, appropriazione
di cosa avuta per errore o caso fortuito) sono state abrogate e degradate ad illecito
civile.
Per quanto riguarda la struttura, il delitto di appropriazione indebita è contiguo al
furto, poiché consiste in un’aggressione unilaterale al patrimonio e si rivolge a cosa
determinata.
Tuttavia si differenzia per due aspetti fondamentali:
il primo sta nel presupposto che mentre nel furto la cosa è nella disponibilità
materiale/detenzione della vittima, nell’appropriazione indebita invece la cosa si
trova nella disponibilità dell’autore del reato; insomma l’autore si trova nel possesso
legittimo della cosa in virtù del fatto che il possessore originario, vittima del delitto,
gli aveva affidato la cosa.
Da qui discende la seconda differenza concernente la condotta: nel furto
l’impossessamento, l’ottenimento di una piena disponibilità della cosa, passa dalla
sottrazione, vale a dire da un comportamento che determina una passaggio dalla
disponibilità meramente fisico-materiale del soggetto vittima al soggetto autore;
nell’appropriazione indebita, invece, essendo la cosa già nella signoria del soggetto
agente, la condotta di impossessamento, denominata non a caso appropriazione,
consiste nel compiere sulla cosa di cui si dispone un’attività incompatibile con la
situazione giuridica di colui che ha legittimato il possesso.
A monte dell’appropriazione indebita esiste una particolare dinamica relazionale a
carattere patrimoniale tra vittima e autore.
Fino al 2019, all’appropriazione indebita si attribuiva un minor disvalore rispetto al
furto: si faceva leva su una cosiddetta “relazione di affidamento” tra autore e vittima
e su quello che veniva valutato come un erroneo affidamento da parte della vittima
sull’autore del reato.
Questo ragionamento tuttavia muta con la riforma del 2019 quando fu elevata
notevolmente la cornice edittale finendo per istituire un trattamento sanzionatorio
più severo del furto. E’ pertanto indubbio che sussistano gli estremi per sollevare
questione di legittimità costituzionale per irragionevolezza della pena edittale per
appropriazione indebita in comparazione con il maggior disvalore del furto.
Il bene giuridico tutelato può essere distinto in base a tre diversi orientamenti:
un primo che considera la fiducia e l’affidamento che la vittima ripone sul
possessore autore;
un secondo che fa riferimento al patrimonio;
ed infine un orientamento intermedio in termini di comportamenti incompatibili con
i diritti del possessore originario.
SOGGETTO PASSIVO: può essere non solo il proprietario ma anche il titolare di un
diritto personale o reale che a sua volta ha dato la cosa in possesso ad altri
SOGGETTO ATTIVO: può essere chiunque
ESEMPIO: usufruttuario, comodatario, locatore, l’appaltatore, ecc.
Per quanto riguarda il PRESUPPOSTO della condotta, esso consiste nel possesso da
parte del soggetto agente che si appropria della cosa: il possesso si può considerare
a metà strada tra mera detenzione e possesso in senso civilistico (relazione di fatto
accompagnata dall’animus possidendi); si può definire come un potere autonomo di
signoria sulla cosa che consente in buona sostanza di disporne ed utilizzarla.
Posto che il possesso è qualcosa di più della mera relazione materiale, all’opposto
esso non può essere identificato con il possesso in senso civilistico.
L’articolo 1140 cc. definisce il possesso come la “situazione di fatto di colui il quale
esercita sopra la cosa poteri che corrispondono al contenuto della proprietà o di
altro diritto reale”; tuttavia in ambito penalistico non occorre che il possessore
ritenga la cosa di sua proprietà (animus possidendi). Ecco allora che il possesso
assume una propria autonomia penalistica: più della detenzione, meno del possesso
civilistico.
Per quanto riguarda la condotta incriminata essa consiste nell’impossessarsi: si
afferma che l’agente deve comportarsi nei confronti della cosa come se fosse
propria.
Esempi più sicuri della fattispecie appropriativa sono:
- l’alienazione non autorizzata di beni altrui
- l’omessa restituzione della cosa
Problematica invece l’ipotesi di utilizzo indebito per cui la cosa viene utilizzata
violando le indicazioni e il vincolo di destinazione, ma non si rompe definitivamente
il rapporto.
ESEMPIO: si pensi all’uso indebito di un’autovettura in comodato d’uso gratuito; il
soggetto riceve il mezzo per motivi di lavoro, ma lo presta a terzi, all’insaputa del
legale rappresentante della società proprietaria.
Particolarmente problematica anche l’ipotesi di condotte distrattive, consistenti
nell’impiego della cosa altrui per il soddisfacimento di una finalità diversa da quella
originariamente impressa dal titolo del possesso (es. concessione di fido bancario).
per quanto riguarda L’OGGETTO MATERIALE della condotta, esso è offerto dalla cosa
mobile o denaro.
Circa il DOLO, la componente volitiva deve tendere ad una rottura del rapporto
contraria all’interesse del possessore originario; la fattispecie prevede anche
il dolo specifico consistente nella finalità di “procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto”.
E’ prevista aggravante speciale di aver commesso il fatto su cose possedute a titolo
di deposito necessario che si ha quando un soggetto è costretto al possesso di beni
altrui da particolari circostanze: si pensi all’ipotesi in cui siano affidate cose a
soggetto per salvarle da un incendio.

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO IMMOBILIARE


QUADRO GENERALE
All’interno di questo gruppo rientrano sei delitti previsti dagli artt. 631, 632, 633,
634, 636, 637.
Sono tutte fattispecie dove l’oggetto materiale su cui incide la condotta è una cosa
immobile.
Nella sistematizzazione possiamo distinguere da un lato, le fattispecie che
compromettono la proprietà (usurpazione, deviazione di acque) e dall’altro le
fattispecie che invece compromettono il possesso/godimento (invasione di terreni,
turbativa violenta del possesso, introduzione/abbandono di animali nel fondo altrui,
ingresso abusivo nel fondo).

DANNEGGIAMENTI
QUADRO GENERALE
In questo gruppo rientrano i delitti previsti dagli artt. 635, 638 e 639 ma la nostra
analisi si concentrerà solo sul 635.
Pur essendo aggressioni unilaterali, i danneggiamenti si differenziano dalle
precedenti (furti, appropriazioni indebite, aggressioni al patrimonio immobiliare)
perché mentre queste ultime sono determinate da motivi di lucro e comportano
uno spostamento illecito della ricchezza a favore dell’autore, i danneggiamenti
producono invece soltanto un danno alla vittima e nessun vantaggio per l’autore.
I danneggiamenti inoltre precisiamo che possono avere ad oggetto sia beni mobili
che immobili.
Tradizionalmente sono considerati meno gravi delle altre aggressioni unilaterali;
tuttavia in tempi più recenti sono sempre più collegati alla tutela di cose pubbliche e
alla sicurezza pubblica.
L’attuale disciplina, come vedremo, risente di questo duplice volto dei
danneggiamenti, per cui, da un lato, rispetto ai danneggiamenti che vengono
realizzati all’interno delle dinamiche relazionali privatistiche, la tendenza è ad
attribuire un disvalore minore, al punto tale da depenalizzarli e degradarli a illeciti
civili; dall’altro lato, rispetto a danneggiamenti che si colorano di caratteri
pubblicistici e collettivi, la tendenza è invece quella di attribuire un disvalore
significativo.

DANNEGGIAMENTO
GENERALE

IPOTESI IPOTESI
PRIVATISTICHE PUBBLICISTICHE

DANNEGGIAMENTO GENERALE (PUNITO CIVILMENTE) E DANNEGGIAMENTI SPECIALI


Il danneggiamento come reato è punito dall’articolo 635 c.p. ed è stato oggetto di
una significativa riforma nel 2016 con cui si è abrogato l’originario 1° comma così da
trasformarlo in illecito civile; si è quindi riformulato lo stesso comma in termini
restrittivi così da distinguere nella sostanza tre ipotesi (danneggiamento con
violenza alla persona o con minaccia, danneggiamento in occasione del delitto
previsto dall’articolo 331 “interruzione di un servizio pubblico o di pubblica
necessità”, e danneggiamento realizzato in occasione di manifestazioni che si
svolgono in luogo pubblico).
Stando alla disciplina vigente quindi il danneggiamento risulta frammentato in due
fattispecie: una generale costituente illecito civile, l’altra speciale consistente in un
reato.
“ (1° COMMA) Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose
mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione del delitto
previsto dall'articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
(2° COMMA) Alla stessa pena soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o
in parte, inservibili le seguenti cose altrui:
1. edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto, o su cose di interesse
storico o artistico ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri
storici ovvero su immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di
risanamento sono in corso o risultano ultimati, o su altre delle cose indicate nel numero 7
dell'articolo;
2. opere destinate all'irrigazione;
3. piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai
forestali destinati al rimboschimento;
4. attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di
manifestazioni sportive.
Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o
immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico
è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Per i reati di cui ai commi precedenti, la sospensione condizionale della pena è subordinata
all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si
oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo
determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità
indicate dal giudice nella sentenza di condanna
Art. 7 D.L. 14 giungo 2019 n.53
Modifiche al codice penale
Al codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930,
n. 1398, sono apportate le seguenti modificazioni:
all'articolo 635:
1) al primo comma le parole «di manifestazioni che si svolgono
in luogo pubblico o aperto al pubblico o» sono soppresse;
2) dopo il secondo comma è inserito il seguente: (3° COMMA) «Chiunque
distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte,
inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di
manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico
è punito con la reclusione da uno a cinque anni.»

Il bene giuridico tutelato è l’integrità della cosa, intesa sia come integrità fisico-
materiale aggredita dalle condotte di distruzione e deterioramento, sia come
integrità funzionale compromessa dalle condotte di dispersione e inservibilità.
Gli eventi che danneggiano il bene sono 4:
- distruzione
- deterioramento
- dispersione (relativa alle sole cose mobili)
- inservibilità
Per la sussistenza del reato si richiede che la condotta abbia cagionato un danno
apprezzabile.
Oggetto materiale possono essere, come accennato, cose mobili o immobili.
Passaggio decisivo è se all’interno del concetto di cosa possano rientrare le risorse
naturali e in modo più specifico l’acqua. Il problema è sorto a partire dagli anni ’70 in
una fase storica in cui mancavano fattispecie a tutela dell’ambiente e delle risorse
naturali, ma è rimasto anche nei decenni successivi nonostante l’introduzione di
apposite normative a tutela dell’ambiente.
Le ipotesi speciali di danneggiamento, costituenti reato, sono previste di nuovo
dall’articolo 635. Il comma primo punisce due ipotesi speciali di danneggiamento:
o danneggiamento con aggressione a persona consistente in violenza o
minaccia
Questa prima ipotesi richiede che il fatto di danneggiamento sia realizzato
contestualmente alla realizzazione di un’aggressione alla persona: durante
l’aggressione, proprio perché l’autore è “in preda” alla violenza, è possibile
dirigere la stessa nei confronti di cose, danneggiandole.
o danneggiamento in occasione del delitto previsto dall’art. 331 (interruzione di
pubblico servizio) quindi danneggiamento realizzato mentre si realizza in
delitto di interruzione di servizio pubblico
Il terzo comma punisce poi un’ulteriore ipotesi speciale consistente nel
danneggiamento in occasione di manifestazioni pubbliche.

Il 2° comma prevede una serie di circostanze aggravanti sulla base della diversa
tipologia di cose mobili o immobili danneggiate.
n. 1 edifici pubblici o destinati ad uso pubblico (es. portone di un istituto scolastico,
ancorchè privato, essendo l’edificio destinato ad uso pubblico); edifici destinati
all’esercizio di un culto; cose di interesse storico e artistico.
n. 2 opere destinate all’irrigazione
n. 3 piante di viti ed alberi
n. 4 attrezzature e impianti sportivi

DELITTI CON LA COOPERAZIONE DELLA VITTIMA


Il patrimonio si può aggredire secondo due modalità:
 estromettendo la vittima e aggredendo direttamente il patrimonio altrui,
rivolgendo la condotta offensiva sulle cose specifiche (aggressioni unilaterali)
 aggredendolo nel suo ammontare complessivo e indistinto, incidendo
sull’autodeterminazione della vittima e facendo in modo che essa compia un
atto di disposizione del proprio patrimonio a favore dell’autore (aggressioni
con cooperazione della vittima)
I delitti di cooperazione con la vittima aggrediscono quindi il patrimonio indistinto e
necessitano proprio per questo della cooperazione della vittima.
In questi, dunque l’offesa al patrimonio passa sempre da un’offesa anche
all’autodeterminazione.
Si possono distinguere ulteriormente due gruppi:
 vi sono ipotesi in cui l’incidenza sull’autodeterminazione è compiuta
attraverso modalità fraudolente/ingannatorie per cui la vittima compie un
atto dispositivo perché tratta in inganno
 altre ipotesi in cui l’incidenza avviene senza inganno ma attraverso lo
sfruttamento di particolari condizioni di vulnerabilità della vittima (maggior
disvalore)
LE FRODI
Ricomprendono: truffa, insolvenza fraudolenta, fraudolento danneggiamento di
beni assicurati.
LA TRUFFA
ART. 640 “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un
ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con
la multa da euro 51 a euro 1.032.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea
o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario
o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità;
2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze
previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall'articolo 61, primo
comma, numero 7

L’articolo è composto da 3 commi:


- il primo prevede la fattispecie tipica
- il secondo circostanze aggravanti
- il terzo il regime di procedibilità
La truffa punisce “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore,
procura a sé o altri un ingiusto profitto con altrui danno”
Risponde di truffa ad esempio, chi vende a una persona un’auto come fosse nuova,
quando invece è usata oppure chi induce taluno a chiudere una polizza assicurativa
che invece è mera carta straccia, non esistendo neppure la compagnia assicurativa.
La competenza è devoluta al Tribunale monocratico ed è perseguibile a querela
salvo l’ipotesi in cui ricorrano circostanze aggravanti per cui diviene perseguibile
d’ufficio.
Per quanto riguarda la struttura, la truffa è un delitto che si basa sulla cooperazione
della vittima e presuppone una relazione interpersonale tra vittima e autore in un
contesto di scambio economico-commerciale.
L’aggressione è diretta al patrimonio nella sua entità complessiva e si concretizza
mediante un atto dispositivo della vittima compiuto a seguito di un errore derivante
da una condotta fraudolenta.

condotta errore atto danno


fraudolenta dispositivo patrimoniale

Lo scopo di tutela riguarda ovviamente il patrimonio, ma anche la libertà di


autodeterminazione della vittima che viene in sostanza viziata attraverso l’inganno e
quindi la buona fede contrattuale da intendersi come affidamento riposto dalla
vittima sulla correttezza nell’attività contrattuale dell’autore.
Soggetto passivo della truffa è di regola colui nei confronti del quale è rivolto
l’inganno, il quale compie l’atto dispositivo e subisce il danno patrimoniale.
Non sempre però la vittima coincide con il soggetto che subisce il danno
ESEMPIO: consideriamo l’ipotesi in cui vittima è il rappresentante legale di un ente;
in questa ipotesi si ritiene che vi siano due soggetti passivi titolari del potere di
querela.
Soggetto attivo può invece essere chiunque

ERRORE VS IGNORANZA
Si pone il problema se l’ignoranza possa essere paragonata all’errore.
L’ignoranza è una condizione psichica che esiste a prescindere dalla frode e prima
ancora dalla relazione con il soggetto. Assume quindi rilevanza quando si trasforma
(per così dire) in errore, vale a dire quando la vittima che ignora, interagisce con
l’autore del reato chiedendo su una determinata circostanza che ignora e l’autore dà
false informazioni. Ma senza l’attivazione della vittima l’ignoranza resta tale e non
può dirsi errore.
ERRORE VS DUBBIO
Il dubbio implica che in soggetto abbia nella propria mente due rappresentazioni (X
e Y) una conforme alla realtà effettiva ed una difforme vale a dire erronea.
La decisione nel dubbio non può dirsi frutto dell’inganno perché assunta
liberamente.
ERRORE E MENZOGNA
Problematica la questione se nel concetto di artifizio e raggiro possa rientrarvi anche
la falsità. La falsità può consistere nella mera menzogna circa il contenuto di
dichiarazioni (es. falsa dichiarazione) oppure nell’alterazione della realtà fisico-
materiale (in presenza di falsi documenti si parlerebbe di falso materiale).
Non vi sono ragioni per escludere entrambe le falsità dal concetto di artifizio o
raggiro, potendosi considerare la falsità la modalità più tipica e diffusa di artificio.
La mera menzogna assume rilevanza se accompagnata da altri elementi di contesti
ESEMPIO: produzione di documento scritto contenente false dichiarazioni
ESEMPIO: avendo la vittima manifestato perplessità o dubbi, l’autore pronuncia
ulteriori dichiarazioni a sostegno della menzogna (“ma davvero pensi che ti
mentirei?!”)
Non assume rilevanza in termini di artifizio la dichiarazione all’ufficiale giudiziario
che i beni da pignorare appartengono ad altri.
Quindi oltre alla mera menzogna si richiede qualcosa in più, una circostanza
particolare.
ERRORE E SILENZIO
Altro punto problematico è il silenzio, vale a dire l’omissione: la giurisprudenza non
esita ad attribuire rilevanza al mero silenzio sulle circostanze necessarie per
assumere la decisione.
Osserviamo però che a riguardo ci sono notevoli dubbi: se si attribuisse rilievo al
mero silenzio, anche nell’ipotesi in cui l’errore sia già esistente e quindi la condotta
omissiva consisterebbe in un approfittamento dell’errore altrui, potremmo dire
rilevante anche la mera menzogna (ma così non è).
Ecco allora che qualcuno attribuisce rilevanza al silenzio/omissione sulla base
dell’esistenza di doveri/obblighi di dire la verità, ragion per cui se vi sono obblighi di
dire la verità, ma il soggetto tace, il silenzio assume rilevanza. La questione è
comunque delicatissima.

L’errore deve essere indotto dalla condotta del soggetto agente attraverso modalità
peculiari, consistenti in artifizi e raggiri.
L’artifizio consiste in una manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna,
provocata mediante la simulazione (fingere vero ciò che non lo è) di circostanze
inesistenti oppure mediante la dissimulazione (negare ciò che è vero) di circostanze
esistenti, indispensabili per una piena e consapevole decisione.
Il raggiro consiste invece in un’attività di persuasione e insistenza capace di incidere
più sulla psiche e capacità cognitiva del soggetto passivo che sulla realtà materiale.

Ad ogni modo, in quanto evento psichico, la prova dell’errore risulta essere molto
problematica. Si discute se la valutazione debba essere compiuta ex ante o ex post:
più condivisa la prospettiva ex post, in quanto in applicazione del principio di
offensività, una volta accertato l’errore ci si interroga sulla realle idoneità
ingannatoria. Essendo però un evento psichico, tende a sfuggire anche alla
possibilità di una ricostruzione rigorosamente ex post basata su leggi scientifiche.
L’accertamento richiede dunque tre passaggi:
- individuazione dell’errore
- individuazione di comportamenti specifici che si ritiene abbiano generato
l’errore (causalità)
- giudizio di idoneità ingannatoria per misurare l’eventuale capacità di
difendersi da parte della vittima

Una volta che raggiri e artifizi hanno indotto un soggetto in errore, la cooperazione
con la vittima si concretizza nell’atto dispositivo da parte di questa.
L’atto dispositivo può incidere anche sul patrimonio di un soggetto diverso da quello
che ha subito l’inganno (es. ente).
Ci si è poi chiesti se può assumere rilevanza il mancato compimento dell’atto
dispositivo, con la conclusione che ha rilevanza anche un atto dispositivo consistente
nell’omissione di un atto che avrebbe permesso di ottenere un profitto.
ESEMPIO: la vittima cade in errore e non compie quella attività che se avesse
compiuto avrebbe portato al conseguimento di una utilità (danno da mancato
guadagno).
La truffa richiede poi il procurare a sé o altri un profitto che a differenza del danno
(solo patrimoniale) può consistere in un qualsiasi vantaggio, anche non economico.
Quindi mentre il danno deve avere necessariamente carattere patrimoniale, il
profitto può avere anche natura morale o affettiva, in grado così di avvantaggiare
l'agente o un terzo.
Il profitto deve essere ingiusto: secondo un primo orientamento il carattere ingiusto
(fondante la tipicità) o giusto (esclude la tipicità) del profitto deve essere valutato in
concreto di volta in volta dal giudice; secondo altra interpretazione invece è sempre
ingiusto in quanto il mezzo in sé ingiusto della frode, rende il profitto
necessariamente ingiusto.
Infine la sequenza di eventi prevede espressamente il danno, effettivo pregiudizio
accertabile e valutabile in termini certamente di danno economico, discussa la
consistenza non prettamente economica.
La linea interpretativa più accreditata è quella che attribuisce rilevanza a quei danni
che, pur essendo privi di una valenza economica, in quanto ad esempio le
prestazioni sono proporzionali, presentano una inidoneità a soddisfare bisogni
personali, con la conseguenza che la concezione economica è corretta con quella
personalistica.
ESEMPIO: la truffa contrattuale caratterizzata dalla proporzione circa il valore
economico delle due prestazioni dove però l’acquirente è determinato all’acquisto
dall’artificio; si pensi all’ipotesi in cui il venditore venda al compratore un bene che
sa non gli servirà.
ESEMPIO: truffa in assunzione quando cioè il reo dichiari false qualità professionali
per ottenere un impiego; il danno può essere ravvisato nelle spese da sostenere per
riparare all’errore (nuova assunzione) ma anche nell’alterazione della graduatoria
degli altri concorrenti (non prettamente patrimoniale).
Elemento soggettivo è chiaramente il dolo.
La truffa si perfeziona nel momento in cui vengono ad esistenza tutti gli elementi
costitutivi del fatto tipico. Aspetto centrale per individuare il momento di perfezione
della truffa è il modo di concepire il danno.
Se si adotta un concetto di danno non economico è sufficiente la stipula (es. truffa
contrattuale): si comprime in tal caso l’istituto della truffa tentata.
Se invece si adotta un concetto economico di danno, è necessario andare oltre alla
stipula e attendere che si verifichi il pregiudizio economico effettivo: aumenta in tal
caso lo spazio per l’integrazione del delitto tentato.
Delicata a riguardo la c.d. truffa in atti, quando cioè si sottoscrive un titolo di credito
o ci si impegna a una prestazione futura.
L’atto dispositivo in tal caso non consiste in un solo atto bensì in una pluralità di atti:
la frode è unica, ma l’atto dispositivo è frazionato, quindi si può parlare di reato a
consumazione prolungata. La truffa è perfezionata con la prima rata; gli episodi
successivi rilevano ai fini della prescrizione.
Andando avanti, il secondo comma dell’articolo 640 prevede alcune circostanze
aggravanti che oltre ad un incremento di pena, determinano il passaggio dalla
procedibilità a querela a quella d’ufficio.
n.1 fatto commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico
n.2 fatto commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo
immaginario (il timore non deve insorgere da una minaccia ma da un
comportamento fraudolento, altrimenti ricadremmo nell’ipotesi dell’estorsione).
n.3 fatto commesso in presenza di minorata difesa

Per quanto riguarda il rapporto con altri reati, problematico il rapporto tra truffa e
furto aggravato da mezzo fraudolento: quest’ultimo ha la consistenza di un artificio
nei confronti della vittima, che tuttavia non è diretto all’ottenimento di un atto di
disposizione (altrimenti truffa), ma più semplicemente a favorire l’acquisizione
unilaterale della cosa, rendendo la vittima una sorta di esecutore materiale della
volontà dell’autore.
Per quanto riguarda invece il rapporto truffa-appropriazione indebita mentre nella
prima gli artifizi ed i raggiri servono per ottenere il possesso attraverso l’atto
dispositivo della vittima, nell’appropriazione indebita gli eventuali artifizi e raggiri
intervengono dopo l’ottenimento del possesso per concretizzare la condotta
appropriativa.

ARTICOLI 640 comma 2° n. 1 - 640-bis - 316-ter


Con l’incremento dello stato sociale, sono aumentate anche le occasioni di richieste
economiche da parte dei consociati nei confronti della pubblica amministrazione e
quindi le occasioni per realizzare truffe ai danni dello stato per il perseguimento di
erogazioni pubbliche.
Tali fatti esprimono un disvalore peculiare:
in parte minore in quanto l’autore non entra nemmeno in contatto diretto con la
vittima bensì mediante modalità mediate e indirette (es. documentazione);
in parte maggiore in ragione al danno pubblicistico e collettivo che si viene a
determinare.
Distinguiamo quindi le tre diverse fattispecie.
1. TRUFFA AGGRAVATA AI DANNI DELLO STATO ART 640 comma 2° n. 1
(già prevista nel codice del 1930)
2. TRUFFA AGGRAVATA PER IL CONSEGUIMENTO DI EROGAZIONI PUBBLICHE
ART 640-bis (introdotta nel 1990)
Si è posto il problema se costituisse una circostanza aggravante o
un’autonoma fattispecie delittuosa. Le Sezioni Unite hanno accolto la
soluzione che qualifica il fatto come circostanza aggravante. In sostanza il
legislatore avrebbe trasportato la circostanza originariamente prevista
dall’articolo 640 comma 2 n. 1 nell’articolo 640-bis, prevedendo un
trattamento sanzionatorio più afflittivo.
3. INDEBITA PERCEZIONE DI EROGAZIONI A DANNO DELLO STATO ART 316-ter
(introdotta nel 2000)
“Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640 bis, chiunque mediante
l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi (falso materiale) o
attestanti cose non vere (falso ideologico), ovvero mediante l'omissione di informazioni
dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti,
mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o
erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni”
RATIO LEGIS: La norma tutela il buon andamento della P.A., nonché la libera
formazione della volontà dell'ente.
Rapporto problematico quello che intercorre tra tale articolo e il 640-bis.
L’articolo 316-ter dovrebbe garantire una tutela aggiuntiva e complementare
rispetto a quella prevista dal 640-bis.
La norma in esame è stata inserita dal legislatore al fine di estendere la
punibilità a condotte che difettino degli estremi della truffa aggravata ai danni
dello Stato di cui all'art. 640 bis.
Secondo un indirizzo condiviso anche dalle Sezioni Unite, i reati di indebita
percezione di erogazioni a danno dello stato e di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche sono tra loro in rapporto di
sussidiarietà e non di specialità, dovendosi applicare il primo solo quando
difettino gli estremi della truffa e, quindi, in presenza di condotte da cui non
sia conseguita l’induzione in errore dell’ente erogante.

INSOLVENZA FRAUDOLENTA – ART. 641


Chiunque,  dissimulando il proprio  stato d'insolvenza, contrae un'obbligazione  col
proposito di non adempierla è punito, a querela  della persona offesa, qualora
l'obbligazione non sia adempiuta, con la  reclusione  fino a due anni o con
la  multa fino a euro 516.
L'adempimento  dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato”
In sostanza l’insolvenza fraudolenta riguarda attività commerciali dove si presume la
capacità di adempiere che tuttavia manca e viene nascosta.
Il delitto punisce “chiunque dissimulando il proprio stato d’insolvenza, contrae
un’obbligazione col proposito di non adempierla […] qualora l’obbligazione non sia
adempiuta”.
Inoltre, il comma 2 dell’art. 641 sancisce prevede una causa di non punibilità:
“l’adempimento dell’obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato”.
La struttura del delitto prevede l’esistenza di due condotte:
 è necessario che sia contratta un’obbligazione civile con il proposito di non
adempierla e adottando una modalità comportamentale consistente nella
dissimulazione del proprio stato di insolvenza
 il contraente deve non adempiere l’obbligazione che ha contratto
Tra questi due comportamenti dell’autore sta l’atto di disposizione patrimoniale
della vittima e quindi la cooperazione, dalla quale consegue poi il danno
patrimoniale.
Si tratta di un delitto che si pone a metà strada tra truffa e illecito civile derivante
dall’inadempimento contrattuale ma avente qualcosa in più dello stesso: lo stato di
insolvenza dissimulato colora la fattispecie di una componente fraudolenta.
L’insolvenza fraudolenta consiste dunque in un illecito civile aggravato, per cui
oggetto di tutela è la buona fede contrattuale vale a dire l’affidamento che ogni
contraente fa sulla correttezza del comportamento dell’altro contraente.
Presupposto è lo stato di insolvenza dell’agente che contrae obbligazione.
Ma cosa deve intendersi per insolvenza?
In ambito civilistico si distingue tra inadempimento (specifica impossibilità) e
insolvenza (generale impossibilità), ma le Sezioni unite hanno chiarito che
nell’ambito penale la nozione di “insolvibilità” è differente.
Si è ritenuto che il legislatore abbia dato rilevanza alla impossibilità specifica per cui
“lo stato di insolvenza, oggetto di dissimulazione, consiste non solo nel mancato
pagamento, ma anche, e soprattutto, nella condizione di insolvibilità rappresentata
dalla mancanza della possibilità di pagare che non sia manifesta all’altra parte
contraente”
Seconda questione riguarda se lo stato di insolvenza debba sussistere al momento in
cui viene contratta l’obbligazione oppure anche in momento successivo: il problema
si è risolto nel senso della sussistenza al momento della contrazione
dell’obbligazione.
Lo stato di insolvenza deve essere dissimulato: questo elemento costituisce il perno
attorno al quale ruota il disvalore della fattispecie. Il contraente vittima si trova nella
condizione di errore e ignoranza e l’agente tiene un comportamento che dissimula,
cela, nasconde lo stato di insolvenza.
Si pone il problema se la dissimulazione possa essere integrata dal mero silenzio ma
a rigore la risposta non può che essere negativa.
L’atto di disposizione della vittima è requisito tacito trattandosi di un reato che
esige la cooperazione della vittima.
E all’atto di disposizione deve seguire l’inadempimento dell’obbligazione da parte
del dissimulatore.
Quindi in sostanza si richiedono due comportamenti:
 contrazione mediante dissimulazione
 inadempimento
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, il dolo, poiché l’obbligazione deve
essere stata conclusa con il proposito non adempiere, si ricava che il delitto non
sussiste in caso di dolo eventuale (solo dolo intenzionale).
L’ultimo comma esclude la punibilità in presenza di adempimento prima della
condanna: modernamente si può assistere ad una tendenza politico-criminale ad
attribuire efficacia estintiva a condotte riparatorie.

GLI ABUSI DI CONDIZIONI DI INFERIORITA’


All’interno delle condotte fraudolente, si può distinguere tra quelle dirette a
ingannare persone non vulnerabili quindi in grado di difendersi da eventuali
condotte aggressive e condotte dirette a sfruttare particolari condizioni di
vulnerabilità delle persone, le quali hanno quindi minori capacità cognitive e in
definitiva una sorta di minorata difesa.
Se rispetto al primo tipo di persone il disvalore della frode assume i connotati del
vero e proprio inganno (artifizio o raggiro), rispetto alle persone vulnerabili non è
necessario arrivare a tali comportamenti, essendo sufficiente uno sfruttamento delle
condizioni di vulnerabilità.
Quindi, rispetto alle persone vulnerabili, un’offesa all’autodeterminazione si ha già
quando si sfruttano le condizioni di vulnerabilità.
Originariamente si trattavano congiuntamente la circonvenzione di persone incapaci
e l’usura in quanto entrambe si basavano sullo sfruttamento di condizioni di
vulnerabilità della vittima: la circonvenzione su condizioni di vulnerabilità derivanti
direttamente dalla persona (età, deficienza psichica), l’usura su fattore esterno
quale lo stato di bisogno economico.
Attualmente le due fattispecie si trattano in maniera distinta, in quanto la seconda è
posta a tutela di attività di esercizio del credito.

CINCONVENZIONE DI PERSONE INCAPACI


ART. 643 “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni,
delle passioni o della inesperienza di una persona  minore, ovvero abusando
dello  stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se
non  interdetta  o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi
effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la  reclusione  da due a sei
anni e con la multa  da euro 206 a euro 2.065.”
Quindi la norma punisce chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto,
abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore,
ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche
se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi
effetto giuridico per lei o per altri dannoso.
Procedibile d’ufficio è competente il tribunale monocratico.
Per quanto riguarda la struttura: si tratta di un delitto con la cooperazione della
vittima. Lo schema quindi è molto simile alla truffa ma si differenzia per alcuni tratti
peculiari.
Presupposto: particolari condizioni di vulnerabilità della vittima connesse all’età o
alla psiche.
Dopo di che, l’agente compie un’attività che invece di essere fraudolenta (artifizi o
raggiri) consiste nell’abuso delle particolari condizioni di vulnerabilità concernenti
la vittima e, senza passare dall’errore che contraddistingue la truffa, l’abuso induce
la vittima a compiere l’atto dispositivo dal quale non derivano un profitto o un
danno, bensì effetti giuridici dannosi per la stessa vittima o per altri.
Lo scopo di tutela è duplice:
- da un lato il patrimonio e l’autodeterminazione patrimoniale
- dall’altro, orientamento fortemente personalistico ed evolutivo,
l’autodeterminazione della vittima e la vulnerabilità della persona stessa
Il requisito dell’abuso invece progressivamente depotenziato, attribuisce rilevanza
anche alla mera induzione consistente in attività di pressione e suggestione
psicologica.
Effetto giuridico dannoso, riferibile anche a soggetti terzi: l’espressione “effetto
giuridico dannoso” al posto di “danno” risulta meno rigorosa e più ampia,
suscettibile di essere svincolata dalla dimensione patrimonialistica.
L’effetto giuridico va sottolineato, può colpire anche i terzi.
ESEMPIO: il soggetto che fa testamento, non produce effetti patrimoniali dannosi
per sé, mentre li produce nei confronti di terzi, sebbene in termini soltanto
potenziali.
Soggetto passivo: è il soggetto circonvenuto oppure anche il terzo su cui ricade
l’effetto pregiudizievole dell’atto dispositivo; se si valorizza la componente
personalistica soggetto passivo può essere soltanto il primo, se invece si pone in
risalto la componente patrimoniale allora si accoglie anche la seconda soluzione.
Ad ogni modo, la circostanza della procedibilità d’ufficio e la fisiologica attrazione
della fattispecie verso la tutela personalistica, induce a ritenere che soggetto passivo
possa essere solo il circonvenuto.
Soggetto attivo: può essere chiunque
Presupposto: particolari condizioni di vulnerabilità.
Si distingue tra la persona minore di età (inesperienze, passioni, bisogni) e quella
affetta da infermità o deficienza psichica, a prescindere dall’interdizione e dalla
inabilitazione. Con riguardo al secondo punto, non deve necessariamente consistere
in una vera e propria malattia mentale, ma deve provocare una significativa
menomazione delle facoltà intellettive e volitive; si intende quindi un’alterazione
dello stato mentale dipendente da particolari situazioni fisiche (età avanzata, stato
febbrile, fragilità del carattere e della personalità); si ritiene penalmente rilevante
anche lo sfruttamento di uno stato temporaneo di minor presenza psichica, come
avviene nel caso di abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti.
Si è però assistito ad una eccessiva dilatazione del concetto di deficienza al punto da
ricomprendervi qualunque condizione di debolezza o disagio psichico.
In ordine all’accertamento, là dove ci si attenesse rigorosamente alla deficienza
psichica, sarebbe opportuna la perizia; tuttavia nel momento in cui si è proceduto
alla dilatazione, si prescinde dal sapere medico-scientifico, con la conseguenza che
l’accertamento viene affidato ad un giudice di merito.
La condotta consiste nell’induzione mediante abuso.
Si possono individuare a riguardo due orientamenti:
da un lato, non ci si accontenta del presupposto delle condizioni di inferiorità e della
“mera” induzione, ma si esige che l’induzione sia rigorosamente il frutto di un abuso
delle condizioni di inferiorità/vulnerabilità;
dall’altro v’è un orientamento che nella sostanza fa leva sulla mera induzione,
mettendo in secondo piano l’abuso, o meglio il rapporto strumentale che deve
sussistere tra le condizioni, lo sfruttamento e l’induzione: in questa prospettiva
finisce per assumere disvalore ogni comportamento che, instaurandosi all’interno
della dinamica economico-commerciale, crea una sorta di dislivello tra i contraenti.
In questa prospettiva, le condotte di abuso e induzione si identificano con qualsiasi
pressione morale, sollecitazione e suggestione, capaci di far sì che il soggetto passivo
presti il suo consenso al compimento dell’atto dannoso.
Atto ed effetti giuridici dannosi sono i due eventi conseguenti all’abuso.
Gli atti ai quali si è attribuita rilevanza sono spesso rigorosamente patrimonialistici,
dandosi rilievo sia a quelli che producono effetti dannosi immediati, sia a quelli che
producono effetti dannosi potenziali: donazione di denaro (immediato), cessione di
beni immobili ad un prezzo estremamente basso (immediato), apertura di un
libretto cointestato (potenziale). Ma la tendenza è di attribuire rilevanza anche ad
atti che non sono rigorosamente patrimonialistici: contrazione di matrimonio,
adozione di un figlio, accettazione della carica di amministratore unico di una società
in stato di dissesto.
L’estensione ad atti che non hanno carattere patrimoniale è dovuta soprattutto al
fatto che gli effetti giuridici dannosi possono riguardare anche soggetti terzi.
A differenza poi della truffa, dove il profitto è evento, nella circonvenzione di
incapaci è dolo specifico e non è qualificato come ingiusto: da un lato c’è chi ritiene
che la mancanza di qualifica espressa consenta di andare di volta in volta a valutare
se il profitto perseguito sia ingiusto oppure no (coerentemente con l’idea che la
fattispecie sia a tutela del patrimonio); dall’altro c’è invece chi ritiene che il profitto
sia sempre di per sé necessariamente ingiusto (questo tanto più si tenda a dar
valore alla componente personalistica).
Assai problematico il momento di perfezionamento: si discute se coincida con il
compimento dell’atto oppure con la produzione degli effetti giuridici dannosi.
Trattandosi di reato di evento, non c’è alcun dubbio che per la perfezione del delitto
si debba attendere la verificazione degli effetti giuridici dannosi.
Tuttavia il problema si sposta sulla componente patrimonialistica.
Là dove si da rilevanza ad atti che non hanno natura patrimoniale e quindi si
producono effetti giuridici dannosi non patrimoniali, atto ed effetti tendono a
coincidere e quindi il momento di perfezionamento del delitto si ha con il
compimento dell’atto stesso: es. contrazione di matrimonio.
Là dove invece si da rilevanza ad atti che hanno natura patrimoniale, la perfezione
diviene problematica.
ESEMPIO: l’apertura di un libretto cointestato di per sé non produce danni
patrimoniali che invece si verificano nel momento in cui il cointestatario preleva del
denaro dal conto corrente (discrasia tra atto ed effetto).
Truffa vs Circonvenzione di incapaci
per alcuni la differenza è data considerando le condizioni della vittima, per altri le
modalità della condotta.
Punto vero è che la deficienza psichica è compatibile sia con l’errore sia con l’abuso,
con la conseguenza che se si è operato con artifizi e raggiri determinando un errore,
si avrà truffa, mentre se si è operato con abuso, in assenza di errore, si avrà
circonvenzione.

L’USURA
ART. 644 “Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto
qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di
altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con
la multa da euro 5.000 a euro 30.000.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma,
procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri,
per la mediazione, un compenso usurario.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che
avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari
risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero
all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà
economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un
terzo alla metà:
1. se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o
di intermediazione finanziaria mobiliare;
2. se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o
proprietà immobiliari;
3. se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4. se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o
artigianale;
L’articolo prevede due ipotesi di usura:
 quella attinente all’esercizio di ATTIVITA’ DI CREDITO (comma 1): il primo
comma punisce chiunque si fa promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per
altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o
altri vantaggi usurari.
Rispetto a questa ipotesi si possono distinguere due varianti a seconda delle
modalità di calcolo del tasso usurario:
o quella c.d. LEGALE (astratta, rigida, oggettiva) “la legge stabilisce il limite oltre
il quale gli interessi sono sempre usurari”
o quella c.d. GIUDIZIALE (concreta, elastica, soggettiva) “sono altresì usurari gli
interessi, anche se inferiori a tale limite (quello legale), che avuto riguardo alle
concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari,
risultano comunque sproporzionati.
Per quanto riguarda il tasso in concreto, presupposto negativo è che il tasso
sia inferiore al limite stabilito dalla legge. Le condizioni positive sono due: da
un lato il tasso deve essere sproporzionato rispetto alla prestazione, dall’altro
il soggetto che dà o promette si deve trovare in condizioni di difficoltà
economica o finanziaria.
 quella attinente all’ATTIVITA’ DI MEDIAZIONE (comma 2): punisce chi procura
a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé
o altri, per la mediazione, un compenso usurario.
Si ha quindi quando oggetto della mediazione è l’attività di credito, che non
deve essere usuraria, mentre è il compenso dato o promesso al mediatore
che è usurario.
Cosa s’intende per usura?
Si tratta in sostanza dell’ipotesi in cui si abbia un contratto a prestazioni
corrispettive, per cui una parte si impegna a dare o promettere denaro o altra utilità
e la controparte si impegna a restituire il capitale; ovviamente l’operazione ha un
costo, il c.d. tasso di interesse, ragion per cui la controparte che si impegna a
restituire il capitale, si impegna anche a pagare una somma di denaro aggiuntiva.
Così Tizio presta a Caio 1000€: Caio dovrà restituire 1000€ pagando per esempio
210€ al mese per 5 mesi + 50€ di interessi
L’usura è pertanto un delitto c.d. CONTRATTO
Il tasso di interesse si dice usurario quando è SPROPORZIONATO.
Il disvalore del fatto si concentra proprio su questa sproporzione tra prestazioni.
Tra l’altro la sproporzione si valuta anche nel caso in cui chi ottiene il prestito non
abbia problemi economici: un tasso eccessivo finisce difatti per compromettere
l’interesse pubblico dell’economia, sia perché consente a chi presta di arricchirsi
indebitamente, sia perché drena risorse al soggetto che chiede il prestito per
compiere attività utili per la società.
La fattispecie dell’usura ha subito nel tempo una notevole trasformazione.
In estrema sintesi si può affermare che si è passati da un delitto a tutela di un
soggetto vulnerabile il cui disvalore si incentrava sulla condotta di approfittamento
dello stato di bisogno, a un delitto a tutela di interessi pubblicistici come il corretto
esercizio dell’attività di erogazione, gestione e riscossione di un credito, senza
trascurare l’offesa economica privatistica che l’usura può arrecare alla vittima.
Originariamente (1930) la fattispecie puniva chi si faceva dare o prometteva
interessi usurai approfittando dello stato di bisogno di una persona.
La svolta si ha nel 2006 quando il disvalore del fatto tipico viene interamente
incentrato sul tasso di interesse usurario applicato all’operazione a prescindere
dall’approfittamento. Si distinguono in questo contesto storico le due modalità di
calcolo del tasso usurario, quella per legge in astratto e quella ad opera del giudice
in concreto.
Quindi prima della riforma, lo scopo della tutela era il patrimonio della vittima; dopo
la riforma si vuole tutelare invece il corretto esercizio dell’attività creditizia, quindi
più in generale l’economia.
Soggetto attivo e soggetto passivo sono coloro che chiudono il contratto di credito
con tasso usurario. Vittima può essere persona fisica ma anche un ente collettivo.
La condotta consiste nel farsi dare o promettere.
Oggetto di scambio può essere il denaro, i beni mobiliari, beni immobiliari ed anche
prestazioni economicamente valutabili.
Problematici poi gli interessi MORATORI cioè quelli legati al ritardo nel pagamento,
ossia a una condotta inadempiente del debitore.
Il momento di perfezionamento del reato è quello della promessa ovvero della
pattuizione.
Il comma 5° prevede delle circostanze aggravanti le quali possono essere raccolte in
tre diversi gruppi:
- la circostanza n. 1 riguarda il soggetto attivo
- la n.3 e n.4 riguardano le condizioni del soggetto passivo
- la n.2 riguarda l’operazione usuraria ovvero se l’autore ha chiesto in garanzia
partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari

I DELITTI INFORMATICI CONTRO IL PATRIMONIO


Le innovazioni informatiche e telematiche hanno determinato una vera e propria
rivoluzione anche in ambito penalistico.
In termini generalissimi, si aprì una riflessione: se forgiare nuove fattispecie a tutela
di beni giuridici informatici del tutto inediti oppure se utilizzare la tutela forgiata per
beni già esistenti aprendosi l’ulteriore alternativa se adattare le vecchie fattispecie in
via interpretativa oppure se introdurne comunque di nuove.
ESEMPIO: con riferimento alla tutela del patrimonio alla truffa furono ricondotte le
c.d. truffe online; attraverso il danneggiamento vennero punite le condotte di chi si
introduceva nei sistemi e cancellava programmi o dati
Il sistema si è mosso nella seconda prospettiva: a causa dei limiti posti dal principio
di legalità, si è posta l’esigenza di introdurre nuove fattispecie.
In particolare:
1. LA FRODE INFORMATICA ART 640-ter
2. I DANNEGGIAMENTI INFORMATICI ART 635-bis-ter-quater-quinquies
Nozioni comuni ad entrambe le fattispecie:
le condotte che hanno ad oggetto informazioni, dati e programmi sono meno gravi
di quelle che hanno ad oggetto un sistema telematico o informatico, e ciò perché
mentre le prime attengono a “realtà” che non si possono considerare strutturali, le
seconde invece attengono ad aspetti strutturali di funzionamento.
Informazioni, dati e programmi finiscono per essere trattati come cose che si
distaccano dal sistema informatico o telematico.
Circa le informazioni si tratta di entità che non godono di autonomia, in quanto
sono ciò che i dati esprimono e rappresentano in forma codificata.
Concetto chiave quello di dato da intendersi come entità immateriale codificata in
una forma non tangibile (elettronica). Ogni dato contiene quindi informazioni in
quanto le stesse sono rappresentate dai dati.
L’aggressione al sistema informatico passa necessariamente dall’aggressione a dati
e programmi.
Per sistema telematico si intende invece quel sistema che consente la connessione
tra diversi sistemi informatici.
LA FRODE INFORMATICA – ART 640-bis
“Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema
informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni
o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o
ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e
con la multa da euro 51 a euro 1.032.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui
al secondo e terzo comma o taluna delle circostanze previste dall'articolo 61, primo comma,
numero 5, limitatamente all'aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento
all'età, e numero 7”
Il delitto punisce quindi chiunque alterando il funzionamento di un sistema
informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati,
informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico, procura
a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Il delitto è procedibile a querela salvo alcune ipotesi particolari.
La frode informatica, consiste in una alterazione del sistema cui segue una sorta di
ERRORE del sistema stesso.
Se la truffa con la cooperazione di una persona consiste nella frode e nell’errore, la
truffa che riguarda la realtà informatica prescinde dalla persona, ma non dal
sistema, e quindi determina una alterazione del procedimento di elaborazione dei
dati dal quale consegue un risultato alterato (che nella truffa corrisponde all’errore).
La struttura della fattispecie si presenta pertanto ambigua.
Da un lato è analoga a quella della truffa (per le particolari modalità fraudolente
quali l’intervento e l’alterazione del sistema), ma se ne differenzia per alcuni aspetti
fondamentali tra cui appunto l’errore.
Dall’altro lato la struttura è analoga a quella del furto (aggressione unilaterale) ma
se ne differenzia in quanto si prevedono eventi di profitto e danno.
Bene giuridico tutelato è il patrimonio inteso secondo un’accezione economica, ma
risulta difficile prescindere da una certa rilevanza del regolare funzionamento dei
sistemi informatici e telematici.
Soggetto passivo il titolare del bene patrimoniale
Oggetto materiale della condotta il sistema informatico o telematico, i dati,
i programmi, le informazioni.
La condotta può consistere nell’alterazione (cioè nella determinazione di una
modifica dei meccanismi di funzionamento del procedimento di elaborazione dei
dati) o nell’intervento senza diritto.
ESEMPIO dell’intervento senza diritto: integra frode informatica l’impiegato di banca
che ha diritto di accedere ai conti correnti dei clienti ma che una volta entrato,
compie un’operazione economica non autorizzata dal titolare del conto, a proprio
favore o di altri.
Sebbene avente diritto in astratto, ciò non può dirsi vero in concreto: si tratta
dell’ipotesi prevista dal comma 2° in termini di abuso delle qualità di operatore del
sistema.
Ulteriori eventi oltre all’alterazione e l’intervento sono il profitto e il danno.
DANNEGGIAMENTI DI DATI O SISTEMI INFORMATICI PRIVATISTICI (ART. 635-bis-
quarter) O PUBBLICISTICI (ART. 635-ter-quinquies)
ART. 635-bis “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella,
altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della
persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni”
ART. 635-ter “chiunque commette un fatto diretto a distruggere, deteriorare, cancellare, alterare o
sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente
pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità, è punito con la reclusione da uno a
quattro anni”
ART. 635-quarter “Chiunque, mediante le condotte di cui all’articolo 635 bis, ovvero attraverso
l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende, in
tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il
funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni”
ART. 635-quinquies “Se il fatto di cui all’articolo 635 quater è diretto a distruggere, danneggiare,
rendere, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad
ostacolarne gravemente il funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni”

Soffermandosi sul carattere pubblicistico, questo è dato dall’utilizzo da parte dello


Stato o di altri enti pubblici o comunque dalla pubblica utilità del dato o del
programma.
Per tutte queste fattispecie si pone il problema del rapporto con l’illecito punitivo
civile del danneggiamento allorquando l’aggressione ha ad oggetto la parte fisica del
sistema (hardware).

I DELITTI DI AGGRESSIONE ANCHE ALLA PERSONA


Molte fattispecie contro il patrimonio aggrediscono anche la persona.
In questa prospettiva si muovono già le fattispecie che implicano una cooperazione
della vittima, dove l’aggressione al patrimonio passa da un’alterazione della libertà
di autodeterminazione mediante frode o abuso di condizioni di vulnerabilità; a
queste fattispecie se ne possono affiancare altre dove l’aggressione alla persona si fa
ancora più preponderante e significativa, perché la modalità comportamentale si
basa nella sostanza sulla violenza.
In questo gruppo rientrano sia aggressioni unilaterali dirette a cose determinate
(rapina – 628) sia aggressioni al patrimonio come entità complessiva le quali
necessitano di una cooperazione con la vittima (estorsione – 629); inoltre vi rientra il
sequestro di persona a scopo di estorsione.
Punto centrale nella ricostruzione di queste fattispecie è il ruolo che si attribuisce
all’offesa alla persona e più precisamente alla strumentalizzazione della vittima: in
particolare per quanto riguarda il sequestro di persona a scopo di estorsione,
proprio la circostanza che il pagamento del “riscatto” costituisca il prezzo della
liberazione, rivela come la persona, potremmo dire addirittura un soggetto terzo
innocente, sia degradato a merce di scambio, a vera e propria cosa, così da
avvicinarsi molto ai delitti contro la personalità della vittima.

LE RAPINE – ART. 628


“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante  violenza alla
persona  o minaccia, s'impossessa  della cosa mobile  altrui, sottraendola  a chi
la  detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro
927 a euro 2.500.
Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la
sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per
procurare a sé o ad altri l'impunità”
L’articolo 628 prevede due ipotesi di rapina:
 (1° comma) RAPINA PROPRIA: chiunque, per procurare a sé o ad altri un
ingiusto profitto, mediante VIOLENZA ALLA PERSONA o MINACCIA,
s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene”;
l’aggressione alla persona è quindi antecedente o concomitante rispetto
all’aggressione al patrimonio.
 (2° comma) RAPINA IMPROPRIA: “chi adopera violenza o minaccia
immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso
della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità; prima si compie
l’aggressione al patrimonio mediante sottrazione e dopo l’aggressione alla
persona finalizzata all’impossessamento o all’impunità.
La competenza è devoluta al TRIBUNALE MONOCRATICO o COLLEGIALE a
seconda che si tratti di una delle fattispecie base oppure aggravate.
La procedibilità è d’UFFICIO.
Per quanto riguarda la struttura: al pari del furto, la rapina consiste in
un’aggressione unilaterale al patrimonio, orientata verso cosa specifica, ma a
differenza di questo, l’aggressione al patrimonio passa da un’aggressione alla
persona; nel furto si tende ad evitare qualsiasi contatto con la vittima
estromettendola e agendo a sua insaputa in un contesto di “clandestinità”,
mentre nella dinamica della rapina, tra l’autore e la cosa si frappone la vittima
che viene neutralizzata mediante la violenza.
La rapina si compone quindi di due aggressioni:
una diretta al patrimonio mediante la sottrazione e l’impossessamento della cosa
mobile altrui; l’altra diretta alla persona attraverso le modalità della violenza e
della minaccia.
Lo scopo della tutela quindi, essendo la rapina un reato pluri offensivo, è sia il
patrimonio che la persona.
Quanto al rapporto che intercorre tra le due aggressioni: le sezioni unite hanno
affermato che “nella formulazione della norma svolge un ruolo centrale la
necessità di un collegamento logico- temporale tra le condotte di aggressione al
patrimonio e di aggressione alla persona, attraverso una successione di
immediatezza”.
Sulla stessa scia si è mossa la corte costituzionale: “il tratto qualificante delle
previsioni confluite nell’art. 628 è dato dal ricorso a una condotta violenta o
minacciosa nel medesimo contesto – spazio temporale – di una aggressione
patrimoniale, e proprio questo vale a giustificare la costruzione di un reato
complesso, di cui sono elementi costitutivi più fatti che costituirebbero reato di
per sé stessi (es. minaccia, percosse, violenza privata, ecc.)

LA RAPINA PRIOPRIA comma 1°


Quanto al soggetto passivo, consideriamo l’ipotesi problematica in cui lo stato di
possesso e il diritto di proprietà facciano capo a persone fisicamente diverse: è
preferibile ritenere che il proprietario estraneo alla violenza sia solo soggetto
danneggiato (colui che ha subito il danno patrimoniale) ma non anche vittima.
In secondo luogo, problemi si pongo in ragione della plurioffensività del fatto.
Di regola, soggetto all’aggressione patrimoniale e soggetto dell’aggressione
personale coincidono. Tuttavia ci possono essere casi in cui manca tale
coincidenza, come quando l’autore usa violenza verso un soggetto ma sottrae e
s’impossessa di una cosa di altro soggetto.
Secondo un primo orientamento, volto a valorizzare l’offesa patrimoniale a
scapito dell’aggressione alla persona, soggetto passivo della rapina può essere
soltanto il titolare dell’interesse patrimoniale, non anche il soggetto che subisce
l’aggressione personale, la quale è destinata ad avere altra qualificazione
(minaccia, percosse, lesioni, ecc.); secondo altro orientamento, invece, volto a
valorizzare il legame strumentale tra le due aggressioni, il soggetto dovrebbe
rispondere di una sola rapina ai danni dei due soggetti.
Quindi, al di là della problematica dei soggetti passivi, è pacifico che la violenza e
la minaccia possano essere esercitate direttamente contro il possessore ovvero
nei confronti di altra persona diversa dal detentore della cosa, purché tra
l’aggressione alla persona e l’aggressione al patrimonio sussista un nesso di
causalità nel senso che l’impossessamento deve derivare dalla violenza.
Infine, vi sono ipotesi in cui un soggetto rapina più persone in un unico contesto
spazio-temporale: vi sono in tal caso ragioni di sostenere che vi siano più reati di
rapina.
Il soggetto attivo può essere chiunque. Come per il furto, problematica la figura
del proprietario in considerazione del requisito dell’altruità della cosa: secondo
alcuni il proprietario non può mai realizzare una rapina ma tuttalpiù una violenza
privata, secondo altri invece può lui stesso commettere rapina (a maggior
ragione se si sostiene che il proprietario possa realizzare un furto).
Altri requisiti sono:
- il concetto di cosa mobile altrui
- dolo specifico - profitto: come nel furto, la giurisprudenza esclude la
necessità che il profitto debba avere necessariamente carattere
patrimoniale, potendo consistere in qualsiasi utilità.
- per quanto riguarda il carattere ingiusto o giusto del profitto l’aggressione
alla persona rende la finalità sempre e comunque di per sé ingiusta
Circa invece il tentativo:
esso è pacificamente ammesso nella rapina propria, allorché il soggetto agente
abbia commesso violenza o minaccia, senza riuscire a sottrarre la cosa.

LA RAPINA IMPROPRIA comma 2°


Consiste nella sottrazione patrimoniale e poi nell’aggressione alla persona;
l’aggressione alla persona deve essere realizzata immediatamente dopo la
sottrazione e può essere finalizzata ad ottenere l’impossessamento oppure a
garantire l’impunità.
Il rapporto cronologico tra sottrazione della cosa e comportamento violento deve
essere di estrema vicinanza sul piano spazio-temporale.
Violenza e minaccia non devono essere utilizzate necessariamente contro il
derubato, potendo essere realizzate contro terzi che, con la propria presenza o
attività, costituiscono un ostacolo al mantenimento della cosa oppure un pericolo
per l’impunità.
Nella rapina impropria si p in presenza di un doppio dolo specifico: oltre alla finalità
di un profitto ingiusto, il soggetto, dopo la sottrazione, deve agire con lo scopo di
assicurarsi il possesso o l’impunità. Questa ulteriore finalità, insieme all’avverbio
“immediatamente”, svolge una funzione fondamentale per rafforzare una
connessione tra le due aggressioni patrimoniale e alla persona.
Lo scopo di assicurarsi il possesso si ha quando la violenza o la minaccia sono usate
per raggiungere il potere di fatto autonomo sulla cosa e presuppone la permanenza
della sottrazione.
Lo scopo di assicurarsi l’impunità si ha invece quando la violenza o la minaccia sono
commesse al fine di sottrarsi alle conseguenze penali del delitto commesso.
Con riferimento al tentativo di rapina impropria:
pacifica l’ipotesi in cui il soggetto abbia sottratto la cosa e poi successivamente abbia
tentato di percuotere la vittima per scappare o per assicurarsi il possesso, ma sia
stato fermato ad esempio dalle forze di polizia.
L'ipotesi inversa, in cui il soggetto abbia tentato di sottrarre la cosa (senza riuscirvi),
e poi abbia usato violenza o minaccia, è stata invece oggetto di ampio dibattito,
risoltosi poi nell'ammissibilità anche di tale figura di delitto tentato.

Il terzo comma individua poi delle circostanze aggravanti che possono essere
raccolte in tre gruppi.
Nel primo quelle che riguardano l’aggressione alla persona:
- se commessa con armi o da più persone riunite
- consistente nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire
- se il soggetto appartiene ad associazione di stampo mafioso
Nel secondo gruppo rientrano due circostanze in cui si dà rilievo a luoghi particolari:
- isolati o affollati
- trasporti pubblici
Infine il terzo gruppo attribuisce rilevanza a particolari contesti o stati in cui si trova
la vittima:
- persona offesa che abbia appena usufruito dei servizi di istituti di credito,
ufficio postali, sportelli automatici
- persona ultrasessantacinquenne
ESTORSIONE – ART. 629
“ Chiunque, mediante violenza  o minaccia, costringendo taluno a fare o ad
omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno,
è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro
4.000.
La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da da euro 5.000 a euro
15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso
dell'articolo precedente.”
L’articolo si compone di due commi: il primo descrive la fattispecie, il secondo le
aggravanti.
L’estorsione punisce chiunque, mediante VIOLENZA O MINACCIA, costringendo
taluno a fare od omettere qualcosa, procura a sé o altri un ingiusto profitto con
altrui danno”.
ESEMPIO: commette estorsione chi, minacciando di rivelare la relazione
extraconiugale alla moglie, costringe il marito a pagare una somma di denaro in
cambio del silenzio.
La competenza è del Tribunale monocratico o collegiale in caso di aggravanti;
La procedibilità è d’ufficio.
Per quanto riguarda la struttura: anche l’estorsione si compone di due aggressioni
una al patrimonio ed una alla persona.
VIOLENZA PRIVATA – RAPINA - TRUFFA
Si avvicina molto alla violenza privata la quale punisce “chiunque, con violenza o
minaccia, costringe altri a fare tollerare od omettere qualche cosa” e quindi
l’estorsione è per la prima parte una violenza privata.
Ma marcate sono anche le analogie con la rapina, anche se tuttavia, l’estorsione è
un’aggressione che prevede una cooperazione con la vittima e quindi aggressione al
patrimonio inteso come entità complessiva.
Se si muove dall’aggressione al patrimonio, il delitto di estorsione presenta inoltre
somiglianze con la truffa: si basa infatti sulla cooperazione della vittima ma se ne
differenzia perché l’atto dispositivo non è frutto di modalità fraudolente, bensì
costrittive.
L’estorsione è quindi nella sostanza strutturalmente identica alla truffa, con la
differenza che al posto della frode (artifizi e raggiri) stanno le modalità costrittive
(violenza e minaccia).
In estrema sintesi si può dire che l’estorsione a differenza della rapina, si basa sulla
cooperazione della vittima, ma si differenzia dalla truffa perché l’atto dispositivo si
ottiene mediante violenza o minaccia.
Trattandosi di un delitto plurioffensivo, lo scopo della tutela è duplice: da un lato il
patrimonio, dall’altro la libertà di autodeterminazione.
Soggetto passivo: risulta problematica l’ipotesi in cui la violenza o minaccia
riguardano un soggetto e la costrizione che determina l’atto dispositivo è subita da
altro soggetto
ESEMPIO: minaccia effettuata ad un figlio tale per cui il padre sia costretto a dare
una somma di denaro
Pacifica è l’integrazione dell’estorsione ai danni del padre, sia perché subisce il
danno patrimoniale, sia perché l’effetto costrittivo si. produce sulla sua volontà.
Problematica invece la qualificazione rispetto al figlio che ha materialmente subito la
violenza: ritenerlo vittima di estorsione risulta eccessivo, per la mancanza
dell’effetto coercitivo, risultando quindi opportuno qualificare la violenza a seconda
del delitto che di volta involta è stato commesso (minaccia, percosse, ecc.)
Soggetto attivo può invece essere chiunque.
Le condotte che rilevano ai fini della tipicità sono: violenza e minaccia (le stesse
della rapina) di un male ingiusto.
La violenza deve invece essere tale da non coartare completamente la volontà della
vittima, configurandosi altrimenti il più grave delitto di rapina. Il soggetto passivo
deve dunque avere un margine di autodeterminazione, nel senso di poter scegliere
se cedere all'estorsione o subire il male minacciato.
Senza dubbio è minaccia la prospettazione di un male di per sé ingiusto, quale che
sia la finalità perseguita “se non paghi ti ammazzo”; detto ciò bisogna poi andare a
verificare se la finalità per la quale la minaccia è stata posta in essere sia giusta o
ingiusta: se il soggetto ha minacciato il male di per sé ingiusto per una finalità giusta,
vi sono gli estremi per un esercizio arbitrario delle proprie ragioni; diversamente se
il soggetto ha minacciato il male di per sé ingiusto per una finalità ingiusta, il fatto
integra gli estremi dell’estorsione.
Quando si prospetta un male che di per sé è giusto “se non paghi ti faccio causa” si
tende a verificare se il diritto preteso risulta ragionevolmente fondato, ed in tal caso
la minaccia non sussiste; mentre sussiste quando il diritto risulta privo di
fondamento.
Le ipotesi più problematiche sono quelle che consistono nella prospettazione
dell’esercizio di un diritto
ESEMPIO: il soggetto prospetta di non rinnovare la locazione se la controparte non si
decide a pagare un canone più alto;
ESEMPIO: il soggetto prospetta di vendere ad un giornale fotografie compromettenti
se non viene pagata una somma di denaro.
Non c’è dubbio che l’esercizio di un diritto non può essere considerato un male.
D’altra parte però si è fatta sempre più strada l’idea che si possa andare a valutare
anche la finalità per la quale l’esercizio del diritto viene prospettato, distinguendo
tra esercizio legittimo ed abuso del diritto. In questa prospettiva, l’esercizio di un
diritto può dirsi illegittimo quando viene esercitato in maniera disfunzionale rispetto
agli scopi per cui l’ordinamento attribuisce il diritto stesso.
ESEMPIO: pubblicare fotografie carpite nel rispetto della legge è connesso a finalità
di informazione e non all’arricchimento personale. In tal caso si tratterebbe quindi di
minaccia di un male ingiusto.
Un mezzo di per sé giusto, diviene ingiusto per le finalità ingiuste.
Ad ogni modo, violenza e minaccia di un male ingiusto devono produrre un effetto
di costrizione della vittima (evento psichico) dal quale deve derivare l’evento
ulteriore del fare od omettere, vale a dire l’atto dispositivo.
Infine, come ultimo evento abbiamo le conseguenze del profitto e del danno.
violenza e minaccia costrizione atto dispositivo profitto e danno
Il momento di perfezionamento del delitto, è connesso al verificarsi di un danno
patrimoniale in capo alla vittima, che tuttavia dipende da come si concepisce
l’evento del danno, ovvero se si richiede un danno effettivo o solo potenziale. Se si
esige un danno effettivo, perché il delitto si perfezioni è necessario che si produca
l’effettiva diminuzione patrimoniale
ESEMPIO: se è stato consegnato un assegno si deve comunque attendere la
riscossione
Se invece si ritiene sufficiente il danno potenziale, già la consegna dell’assegno
integra la fattispecie perfetta.
Trattandosi di un reato di evento, è configurabile il tentativo, purché siano posti in
essere atti idonei ed univoci e, nonostante ciò, l’attività criminosa si sia fermata,
indipendentemente dalla volontà del reo, prima che questo conseguisse un profitto,
con un danno per altri. È, peraltro, configurabile sia il tentativo incompiuto, come
nel caso in cui una lettera minatoria non sia pervenuta al destinatario perché
intercettata dalla polizia, sia il tentativo compiuto, il quale sussiste, ad esempio,
qualora l'agente venga arrestato prima della consegna di una somma di denaro da
parte della vittima.

SEQUESTRO DI PERSONA A SCOPO DI ESTORSIONE – ART 630


1° comma definisce la fattispecie: “Chiunque sequestra una persona allo scopo di
conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è
punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.”
E’ reato procedibile d’ufficio, la competenza è devoluta alla Corte d’Assise.
Il fenomeno del sequestro di persona a scopo di estorsione si prospetta
particolarmente carico di disvalore perché comporta una notevole
strumentalizzazione della vittima, la quale viene degradata a cosa ovvero a merce di
scambio; altro tratto peculiare è la modalità costrittiva, che non si basa sulla
prospettazione di un male, ma sulla protrazione di un male già in atto, la cui
cessazione è connessa (solo in termini potenziali) al pagamento del riscatto.
Sul piano strutturale si tratta di una fattispecie decisamente particolare che
presenta caratteri propri del sequestro di persona e dell’estorsione.
Rispetto al sequestro di persona, si presenta come fattispecie speciale, data la
presenza del dolo specifico quale il profitto = prezzo per la liberazione.
Rispetto all’estorsione, il discorso è più complesso: da un lato la condotta costrittiva
si specifica nel sequestro; dall’altro, il profitto, da ritenere intrinsecamente ingiusto,
diviene dolo specifico.
Quanto allo scopo di tutela esistono 3 orientamenti:
- il primo incentra il disvalore sull’aggressione del patrimonio e quindi
concepisce il delitto come una forma speciale di estorsione
- il secondo si focalizza sull’aggressione alla libertà personale della vittima e
quindi concepisce il delitto come una forma speciale di sequestro di persona
- il terzo concepisce il reato non tanto offensivo della libertà personale, ma
piuttosto della personalità della vittima
Soggetto passivo è colui che subisce il sequestro; colui che subisce il riscatto è
invece soggetto ad estorsione.
Soggetto attivo può essere chiunque.
Per quanto riguarda la condotta, questione cruciale è la durata in quanto essendo
un reato permanente, la protrazione della condotta è centrale.
Al dolo come elemento soggettivo si aggiunge il dolo specifico descritto come
“ingiusto profitto quale prezzo della liberazione”.
Il profitto è da ritenere esclusivamente patrimoniale in quanto altre finalità rilevano
ai fini dell’integrazione di altre diverse fattispecie (es. sequestro a scopo di
terrorismo). Quanto all’ingiustizia del profitto, l’utilizzo di una violenza come il
sequestro di persona, seppur per un fine giusto, rende tale finalità necessariamente
ingiusta.
Il 2° e 3° comma introducono due aggravanti speciali, connesse alla causazione della
morte del sequestrato: morte cagionata con dolo e morte cagionata senza dolo.
I commi 4° e 5° prevedono invece due circostanze attenuanti connesse a
comportamenti di dissociazione: la prima consiste nell’adoperarsi per la liberazione
dell’ostaggio, la seconda prevede due condotte alternative: evitare che l’attività
criminosa sia portata a conseguenze ulteriori oppure collaborare sul piano
processuale.

I DELITTI A CONTRASTO DELLA CIRCOLAZIONE ILLECITA DEI BENI


Tratto comune a tutte le fattispecie che esamineremo è la precedente commissione
di un illecito, definito appunto PRESUPPOSTO, dal quale consegue un provento
illecito cioè un’utilità economicamente apprezzabile, “macchiata” dalla derivazione
delittuosa: l’utilità è illecita perché frutto della realizzazione di un delitto.
Distinguiamo:
 ricettazione, riciclaggio e impiego, contraddistinte dal fatto che autore del
delitto presupposto e autore dell’attività avente ad oggetto il provento
delittuoso sono diversi
 autoriciclaggio che invece punisce lo stesso soggetto autore del delitto
presupposto per le ulteriori attività compiute sul provento delittuoso
Queste fattispecie possono essere concepite secondo due diverse prospettive.
1. in termini dipendenti dai delitti presupposto: si parla in tal caso di delitti che
offendono il patrimonio e l’amministrazione della giustizia
2. valorizzando la loro autonomia dal reato presupposto: si parla di delitti che
hanno come disvalore la creazione di un mercato illecito e la reimmissione di
utilità illecite nel mercato lecito, falsando così il sistema economico
I delitti contro la circolazione illecita di beni (soprattutto riciclaggio ed auto
riciclaggio) sono stati oggetto di numerosi interventi normativi internazionali e
sovranazionali.
La Convenzione contro il Traffico illecito di Stupefacenti e di sostanze psicotrope,
adottata dalle Nazioni Unite a Vienna nel 1998 prevede l’incriminazione delle
condotte non solo di produzione e commercio di stupefacenti, ma anche di
contraffazione o dissimulazione di beni, nella consapevolezza che provengano da
reati legati agli stupefacenti.
I primi strumenti normativi adottati a livello europeo, invece, si incentrano sulla
confisca del provento e sulla congelazione del profitto da esso ricavabile.
Tornando al sistema italiano, è necessario distinguere tra una configurazione legale
ed una configurazione vivente, derivante dalla prassi applicativa.
Per quanto riguarda ricettazione, riciclaggio e impiego, la configurazione legislativa
del sistema appare piuttosto chiara e lineare in quanto il legislatore non ha fatto
altro che prevedere una serie di delitto che corrispondono ai diversi passaggi in cui si
può articolare il percorso del provento delittuoso: dopo la commissione del delitto
presupposto, il provento può essere ricevuto da soggetti diversi dall’autore del
delitto presupposto, entrando nel circuito illecito (ricettazione); successivamente
può essere ripulito, venendogli così tolta la macchia di illiceità impressa dalla
provenienza delittuosa (riciclaggio); una volta ripulito, il provento viene reinvestito
nelle attività economiche e quindi reimmesso nel circuito lecito (impiego).
Tale quadro così lineare e privo di sovrapposizioni in astratto, nella realtà applicativa
presenta diversi aspetti problematici circa i rapporti tra questi delitti.
In particolare, tra ricettazione e riciclaggio: se da un lato sembra chiaro che chi
commette riciclaggio non può rispondere anche di ricettazione e viceversa, dall’altro
lato, però, è indubbio che l’autore del riciclaggio deve prima ricevere il provento
illecito e quindi nella sostanza commette una ricettazione, ponendosi così il
problema se e come la ricettazione possa/debba essere assorbita dal riciclaggio.
Problematici anche i rapporti tra riciclaggio e impiego: si deve osservare come la
stessa attività di riciclaggio, teoricamente destinata a ripulire, sia anche di per sé
attività a carattere economico-finanziario, per cui la ripulitura consiste spesso in
un’attività economico-finanziaria che consente di immettere i beni in circuiti illeciti.
Ebbene come si distinguono riciclaggio ed impiego?
LA RICETTAZIONE – ART 648
“Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri
un profitto, acquista, riceve od occulta  denaro o cose provenienti da un
qualsiasi  delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od
occultare, è punito con la reclusione  da due ad otto anni e con la multa  da euro
516 a euro 10.329”
Il delitto di ricettazione punisce, fuori dai casi di concorso nel reato, chi, al fine di
procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose
provenienti da qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare,
ricevere od occultare.
Competenza: Tribunale monocratico
Procedibilità: d’ufficio
Per comprendere il fenomeno della ricettazione ci si deve soffermare sulle
dinamiche delle attività che hanno ad oggetto proventi delittuosi.
Realizzato il delitto e conseguita l’utilità, l’autore del delitto ha spesso interesse a
trasferire l’utilità così come vi possono essere terzi, estranei al delitto presupposto,
interessati ad ottenere l’utilità che da esso deriva.
ESEMPIO: Tizio, dopo il furto di gioielli, in cambio di denaro, li traferisce a Caio,
titolare di un’oreficeria.
Nonostante che alla ricettazione partecipino due soggetti, l’autore del delitto
presupposto che realizza la condotta di cessione del provento illecito (parte attiva) e
il soggetto estraneo al delitto presupposto che riceve l’utilità, la ricettazione punisce
solo questo secondo soggetto “passivo”.
Si ritiene infatti che la condotta di cessione del provento da parte dell’autore del
delitto presupposto costituisca un mero post factum, in quanto il successivo impiego
del provento delittuoso rappresenta una “naturale” prosecuzione, quasi un
perfezionamento, della medesima condotta criminosa, mentre la condotta di
ricezione può essere “colpita” soltanto da un’incriminazione ad oc costituita per
l’appunto dal delitto di ricettazione.
Un’importante novità sul punto è costituita dalla nuova fattispecie di auto-
riciclaggio, destinata a colpire proprio alcune delle ipotesi che abbiamo definito di
“ricettazione attiva” e non punibili attraverso la ricettazione.
Quanto allo scopo della tutela si possono delineare due prospettive:
- una dipendente o “ancillare” dal delitto presupposto
In tal caso si ritiene che la ricettazione sia collegata alla tutela dei beni
patrimoniali; questa concezione entra però in crisi quando nel 1930, con
l’entrata in vigore del codice Rocco, con cui si prevede che la ricettazione
possa esse connessa a delitti presupposto non offensivi del patrimonio.
Si passa dunque ad una seconda concezione ancillare, che continua
comunque a connettere ricettazione e delitto presupposto, ma che fa leva
sull’amministrazione della giustizia: con l’incriminazione della ricettazione si
tende ad evitare la dispersione delle cose provenienti dal delitto, dispersione
che creerebbe un ostacolo all’accertamento del delitto già compiuto nonché
al recupero della cosa andata perduta.
Si è però evidenziato che proprio la circolazione del bene può produrre
l’effetto contrario di fornire agli organi della repressione penale l’occasione di
individuare e scoprire gli autori del delitto presupposto.
- Ecco che acquista sempre più credito la prospettiva autonomista della
ricezione rispetto al delitto presupposto, destinata a dare un’impronta
economicistica alla fattispecie: in buona sostanza il traffico illecito che sta alla
base della ricettazione risulta parallelo rispetto al traffico lecito e dà luogo ad
arricchimenti illeciti
RATIO LEGIS: ad ogni modo il delitto di ricettazione trova il proprio fondamento nella
tutela del patrimonio del singolo, cui secondo parte della dottrina dovrebbe
avvicinarsi anche l'interesse della giustizia alla punizione dei colpevoli del reato
presupposto, la cui identificazione sarebbe compromessa dalla circolazione dei beni
frutto dello stesso reato.
Presupposto della fattispecie è il delitto presupposto ovvero qualsiasi delitto dal
quale si consegui un provento (denaro o cose).
Per quanto riguarda il soggetto attivo la fattispecie si apre con la clausola di riserva
“fuori dai casi di concorso nel reato”: ciò significa che autore del reato può essere
chiunque tranne l’autore o i concorrenti nel reato presupposto (a queste condotte si
dà rilevanza attraverso la nuova fattispecie dell’auto-riciclaggio).
Si ritiene inoltre che non possa essere autore di ricettazione colui che è danneggiato
dal delitto presupposto (si pensi a chi ha subito il furto), nonché l’eventuale
proprietario della cosa nell’ipotesi in cui vi sia una scissione tra danneggiato e
proprietario.
Per quanto riguarda la condotta, la ricettazione prevede in realtà due ipotesi.
La ricettazione può essere:
 RICETTAZIONE DIRETTA: l'autore di ricettazione ha un rapporto diretto con
l’autore del delitto presupposto e può consistere nell’acquisto, nella ricezione
o nell’occultamento.
 RICETTAZIONE MEDIATA: tra autore della ricettazione e autore del delitto
presupposto si colloca un terzo, non concorrente nel delitto presupposto, che
si intromette nel far acquistare, ricevere od occultare.
Non è necessaria la vera e propria intermediazione sul piano della consegna,
essendo sufficiente l’intromissione, il mettere in contatto; dall’altro lato,
questo contatto deve comunque consistere quanto meno in un accordo, che
può essere tra autore del delitto presupposto e intermediario o tra
intermediario e potenziale ricettatore.
Quanto al dolo come elemento soggettivo si pongono problemi sul piano della
componente conoscitiva, con riferimento alla provenienza delittuosa delle cose.
Se il soggetto è convinto che la cosa abbia una provenienza lecita, mentre invece
non ce l’ha, oppure ignora completamente che la cosa sia illecita, si è in presenza
dell’ipotesi di errore sul fatto, destinata ad escludere il dolo.
Punto veramente problematico quindi è il dubbio sulla provenienza delittuosa della
cosa, questione che è resa ulteriormente complessa dal rapporto che intercorre tra
la ricettazione e la contravvenzione dell’incauto acquisto (art. 712) che punisce
“chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve
a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi la offre o per
la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato”.
Posto che la cosa presenta indizi di derivazione illecita da cui scaturisce il dubbio, se
l’attività di acquisto è condotta con negligenza e disattenzione, si ha incauto
acquisto, se invece tale attività è condotta in termini tali da accettare la provenienza
illecita, e quindi nella sostanza senza compiere alcun approfondimento, si ha
ricettazione.
Per quanto riguarda il dolo specifico, consiste nel procurarsi un profitto, da
intendersi in senso ampio, come utilità o vantaggio anche non patrimoniale.
Problematico il momento di perfezione in virtù della problematicità della condotta
di acquisto (con riflessi su quella di ricezione). Se si ritiene sufficiente l’accordo, si
estende l’ambito di applicazione delle ipotesi perfette; se invece si richiede la
consegna e quindi la ricezione, con il mero accordo si ha soltanto un’ipotesi tentata.
Per quanto riguarda le circostanze:
aggravante speciale è quella che ricorre quando il fatto riguarda denaro o cose
provenienti da alcuni delitti contro il patrimonio quali furto, rapina, estorsione
(comma 1° prima parte).
Il comma 2° prevede invece una circostanza attenuante: la particolare tenuità del
fatto.
Per quanto riguarda il rapporto con il favoreggiamento reale (art. 379), la
giurisprudenza tende a basare la distinzione sulla finalità dell’agente, per cui se
agisce con finalità di aiutare l’autore del delitto presupposto, si avrà
favoreggiamento, mentre se agisce per perseguire un profitto proprio, si ha
ricettazione.
RICICLAGGIO – ART. 648-bis
“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque  sostituisce  o trasferisce denaro, beni
o altre utilità provenienti da  delitto non colposo; ovvero compie in relazione ad essi
altre  operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza
delittuosa, è punito con la  reclusione da quattro a dodici anni e con la multa  da euro
5.000 a euro 25.000”
Il riciclaggio punisce, fuori dai casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o
trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da altro delitto non colposo,
ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare
l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
La competenza è del TRIBUNALE COLLEGIALE e la procedibilità d’ufficio.
Il fenomeno del riciclaggio è molto complesso: per alcuni aspetti si accosta alla
ricettazione, per altri se ne allontana.
Se le condotte di ricettazione sono destinate a creare una circolazione illecita dei
beni “parallela” a quella lecita, le condotte di riciclaggio sono destinate a
reimmettere denaro e cose nel circuito economico lecito: insomma, mentre la
ricettazione trasferisce ricchezza illecita destinata a restare statica, il riciclaggio
trasferisce la ricchezza illecita nel circuito lecito.
Si distinguono due diversi modi di configurare la fattispecie:
 da un lato, il riciclaggio viene concepito come un reato contro
l’amministrazione della giustizia in quanto mediante la ripulitura è capace di
ostacolare le indagini
 dall’altro, viene concepito a tutela dell’ordine economico, della stabilità del
mercato e della libera concorrenza: l’immissione nei circuiti economici leciti,
di prodotti delittuosi, determina una profonda alterazione dei meccanismi di
libera concorrenza.
Presupposto del fatto è un delitto che, a differenza della ricettazione, deve essere
non colposo ovvero deve essere doloso.
L’oggetto materiale consiste in denaro, cose o altre utilità.
Quanto al soggetto attivo è condizionato dalla CLAUSOLA DI RISERVA: il soggetto
non solo non deve aver concorso nel reato presupposto, ma deve anche aver
ricevuto il bene e quindi posto in essere una ricettazione, con la conseguenza che la
ricettazione costituisce una sorta di presupposto del riciclaggio.
Il riciclaggio suppone la ricettazione che quindi viene assorbita nel riciclaggio.
La fattispecie descrive infine 3 condotte:
“sostituzione, trasferimento e qualsiasi altra operazione, in modo da ostacolare
l’identificazione della provenienza illecita della cosa”
Punto iniziale è capire se l’inciso “in moda da ostacolare l’identificazione della
provenienza illecita” sia da riferire a tutte le condotte o solo a quella consistente in
“qualsiasi altra operazione”.
Se ci si muove nella prima prospettiva, si guarda al riciclaggio come fattispecie volta
a tutelare l’amministrazione della giustizia;
Se invece ci si muove nella seconda prospettiva le prime due condotte muovono
verso la tutela dell’ordine economico, mentre l’ultima verso la tutela
dell’amministrazione della giustizia.
La sostituzione consiste nel trasformare il denaro e le utilità macchiate in quanto
provenienti dal delitto in denaro e utilità diverse quindi necessariamente pulite,
cancellando così il collegamento con il delitto.
ESEMPIO: cambio delle banconote con altre banconote, deposito in banca e
successivo prelievo, più in generale qualsiasi attività di investimento che trasforma il
denaro in titoli o azioni.
Il trasferimento consiste nello spostamento della titolarità/dominio da un soggetto
a un altro: si ritiene che non implichi una sostituzione nel senso che le cose sono
nella sostanza le stesse.
Infine, la condotta può consistere in qualsiasi operazione capace di ostacolare
l’identificazione della provenienza illecita: si tratta di condotta a forma libera ma
dai contorni individuabili in una specifica attività fraudolenta avente tipico effetto
dissimulatorio.
Per quanto riguarda le circostanze:
- (2° comma) aggravante speciale consistente nell’aver commesso il fatto
criminoso nell’esercizio di attività professionale
- (3° comma) attenuante concernente il delitto presupposto, per cui se il
provento deriva da un delitto per il quale è stabilita la reclusione inferiore nel
massimo a 5 anni, la pena è diminuita.
IMPIEGO DI DENARO, BENI O ALTRE UTILITA’ DI PROVENIENZA ILLECITA
ART 648-ter
“Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli
articoli 648  e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o
altre  utilità  provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici
anni e con la multa  da euro 5.000 a euro”
Il delitto di impiego punisce chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi
di ricettazione e riciclaggio, impiega in attività economiche e finanziarie denaro, beni
o altre utilità provenienti dal delitto.
Competente è ancora il Tribunale collegiale e la procedibilità d’ufficio.
Il delitto di impiego è strettamente connesso alla fattispecie di riciclaggio e può
essere considerato il frutto di una visione che nella sostanza scompone il fenomeno
del riciclaggio in due fasi: da un lato quella della ripulitura, dall’altro quella del
reinvestimento dell’utilità.
Come detto nelle scorse pagine, se in astratto il quadro ha una sua coerenza e risulta
piuttosto chiaro, nella prassi molto problematico è trovare uno spazio applicativo
autonomo di questa fattispecie.
Lo scopo è indubbiamente la tutela dell’ordine economico alterato dalla immissione
nel circuito lecito di proventi illeciti.
Posto che la fattispecie richiede come presupposto denaro, beni o utilità prevenienti
da delitto, particolarmente delicata la clausola di riserva, per cui il soggetto deve
agire non solo fuori dei casi di concorso nel delitto presupposto, ma anche fuori dei
casi di concorso nella ricettazione e nel riciclaggio, con la conseguenza che il
provento deve essere oggetto di un delitto presupposto (es. frode fiscale), dopo di
che deve essere passato nelle mani di un altro soggetto (ricettazione oppure
riciclaggio), ed infine con un passaggio ulteriore deve essere arrivato al soggetto
agente, sulla base di una ricezione che non può per l’appunto costituire un concorso
nel riciclaggio.
La prospettiva è quella di ritenere che riciclaggio e impiego attengono a passaggi
diversi, per cui il primo implica ripulitura, il secondo invece implica un impiego
economico in prospettiva di delitto contro l’ordine economico.
Tuttavia, sempre come accennato, il quadro si complica perché non solo mediante il
riciclaggio spesso si realizza anche un impiego, anche nell’ipotesi in cui si ritenga che
sono reati diversi, per cui il riciclaggio è per ostacolare, mentre l’impiego per
investire, non ha molto senso prevedere il riciclaggio come delitto presupposto
dell’impiego.
Quindi l’impiego finisce per trovare scarsa applicazione.
Riassumendo il discorso sul rapporto riciclaggio-impiego: le due fattispecie non
possono interferire perché l’impiego può trovare applicazione soltanto dopo che è
stato compiuto il riciclaggio; quindi prima si ripulisce e successivamente si investe.
Tuttavia, sempre più volte come accennato, problemi di interferenza di possono
porre, per la semplice ragione che la stessa attività di riciclaggio ha in sé caratteri
economici e quella dell’impiego può creare ostacoli all’identificazione della
provenienza illecita.
Stando all’orientamento più consolidato, quando all’interno dell’attività economica
prevale l’idoneità ad occultare la provenienza illecita, a sviare le indagini, si ha
riciclaggio, mentre quando prevale la dimensione economico-finanziaria, si ha
reimpiego.
In verità sarebbe necessaria una riforma legislativa volta ad abrogare l’impiego e a
ricostruire il riciclaggio come fattispecie offensiva dell’economia.
La condotta tipica consiste nell’impiegare il provento in attività economiche o
finanziarie: si tratta di “mera” utilizzazione di capitali illeciti a prescindere da
qualsiasi obiettivo o risultato utile per l’agente.

L’AUTORICICLAGGIO – ART 648-ter.1


“Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a
euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto
impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o
speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale
delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza
delittuosa”
L’auto-riciclaggio punisce chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un
delitto doloso, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie,
imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla
commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione
della loro provenienza delittuosa.
Gli elementi materiali del suddetto delitto sono:
a) la commissione di un delitto non colposo;
b) che dal suddetto delitto sia derivato un provento (denaro, beni o le altre utilità)
economicamente apprezzabile;
c) che il suddetto provento sia stato reinvestito in attività economiche, finanziarie,
imprenditoriali o speculative;
d) che l’operazione di reinvestimento abbia costituito un ostacolo alla
identificazione della provenienza delittuosa del provento del reato presupposto.
Il Comma 4° prevede inoltre che: “non sono però punibili le condotte per cui il
denaro, i beni o altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento
personale”
L’evoluzione storico-normativa: giova ripercorrere brevemente il dibattito che ha
preceduto l’introduzione dell’art. 648-ter.1; deve infatti ricordarsi che il difetto di
incriminazione dell’auto-riciclaggio è stato per lungo tempo giustificato sulla base
del divieto di bis in idem, ovvero del criterio dell’assorbimento, alla stregua del quale
perseguire per riciclaggio l’autore del delitto presupposto avrebbe significato
addebitare due volte al medesimo soggetto un accadimento unitariamente valutato
dal punto di vista normativo, quindi sanzionare due volte un medesimo
fatto. Tuttavia, a seguito di ampio dibattito, ed anche al fine di assecondare varie
sollecitazioni internazionali, con L. 186/2014 (art. 3, comma 3) è stata disposta
l’introduzione dell’art. 648-ter.1, che ha comportato il superamento della
tradizionale posizione, determinandosi la punibilità anche della condotta di auto-
riciclaggio, con la quale, è stato correttamente osservato, si tutela un bene giuridico
diverso da quello del reato presupposto (spesso punito meno gravemente del
riciclaggio; si pensi, ad esempio, al peculato, alle corruzioni, all’appropriazione
indebita, al furto, alla truffa, alle frodi fiscali). Dunque, la punizione dei reati contro il
patrimonio non può “consumare” anche la condotta di auto-riciclaggio, che infatti
aggredisce altro bene giuridico, e cioè l’ordine pubblico economico.
Trattasi di reato proprio, che può essere commesso solamente dall'autore del reato
presupposto o dal concorrente nel medesimo.
L’idea è quella di punire anche l’autore del delitto presupposto che compie ulteriori
attività aventi ad oggetto i proventi delittuosi.
L’autore del delitto presupposto (furto, rapina, evasione fiscale, bancarotta
fraudolenta) impiega direttamente il provento delittuoso, alla stessa stregua di
quanto avviene nella ricettazione, con la differenza che mentre nella ricettazione
l’autore del delitto presupposto non è punibile (clausola di riserva), nell’ipotesi di
auto-riciclaggio, l’autore del delitto presupposto risulta punibile, proprio per la
mancanza della clausola di riserva.
Sul piano della condotta l’auto-riciclaggio assume invece caratteri accostabili al
riciclaggio e all’impiego. Da un lato vengono tipizzati comportamenti di impiego e di
sostituzione/trasferimento previsti rispettivamente dalle fattispecie di impiego e
riciclaggio; dall’altro le attività devono avere carattere economico-finanziario (tratto
dall’impiego) e devono ostacolare concretamente l’identificazione della loro
provenienza delittuosa (carattere tipico del riciclaggio).
In conclusione, l’incriminazione sembra coprire parte di comportamenti che prima
sarebbero rientrati nel “lato attivo” non punibile della ricettazione: si pensi
all’ipotesi di chi mediante un furto ottiene un quadro di valore che poi rivende.
Ma soprattutto è diretta a colpire comportamenti del “lato attivo” della ricettazione
capaci di incidere sull’economia e quindi di avere una portata offensiva molto più
consistente del mero arricchimento personale.
Lo scopo di tutela è:
- l’amministrazione della giustizia (tipica del riciclaggio)
- l’ordine economico (tipico dell’impiego); lo si capisce soprattutto leggendo il
comma 4° che esclude la punibilità del mero arricchimento personale
conseguente al delitto presupposto
Il delitto presupposto, nell’ipotesi dell’auto-riciclaggio, deve essere non colposo,
ovvero doloso.
Fondamentale è poi accertare chi lo ha commesso in quanto solo chi è autore o
concorrente può realizzare la fattispecie di auto-riciclaggio.
Quindi vera questione problematica è il soggetto attivo.
IPOTESI 1: un soggetto estraneo al delitto presupposto si limita a ricevere il
provento; mentre l’autore del delitto presupposto risponde di auto-riciclaggio, il
terzo estraneo risponde di ricettazione
IPOTESI 2: un soggetto estraneo al delitto presupposto non solo riceve il provento,
ma lo impiega; l’autore risponde di auto-riciclaggio mentre il terzo di riciclaggio.
IPOTESI 3: Assai dibattuta è la questione se il concorrente nel solo auto-riciclaggio,
estraneo al reato presupposto, debba rispondere di riciclaggio o della meno grave
figura di auto-riciclaggio. La dottrina prevalente opta per tale ultima ipotesi.
La condotta può consistere nell’impiego, sostituzione e trasferimento.
I tratti tipici della condotta sono: quello economico (tratto dalla fattispecie
dell’impiego) e la concreta capacità di ostacolare l’identificazione (tratta dal
riciclaggio).
Ulteriore carattere della condotta è svolto dal 4° comma capace di limitare
ulteriormente il tipo criminoso, espungendo dal perimetro della tipicità del delitto
quegli impieghi sorretti da finalità di mero consumo, consistenti nella mera spendita
e quindi incapaci di alterare l’ordine economico.
Quanto alle circostanze.
Il secondo comma prevede un’attenuante per i delitti puniti con la reclusione nel
massimo inferiore a 5 anni; il terzo comma una disciplina che disinnesca l’attenuante
quando il delitto presupposto è aggravato dalla circostanza della mafiosità.
Il quinto comma prevede una circostanza aggravante per i fatti commessi
nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria.

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