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PENE ACCESSORIE
Si qualificano accessorie quelle pene che possono essere applicate esclusivamente
in aggiunta ad una pena principale.
La pena accessoria consegue di diritto alla condanna come effetto penale di essa.
ART 19
Le pene accessorie per i delitti sono:
1) l'interdizione dai pubblici uffici
Questa pena priva il condannato del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro
diritto di natura politica; di ricoprire uffici in seguito a nomina o incarico da parte dello
Stato o di altro ente pubblico (es. posta), ecc.
2) l'interdizione da una professione o da un'arte
Si priva il condannato dalla capacità di esercitare mestieri, attività commerciali per cui è
richiesto uno speciale permesso o una speciale autorizzazione o licenza da parte
dell’autorità (es. vendita di alcolici); La norma in esame ha lo scopo di impedire che i
condannati per determinati delitti commessi strumentalizzando il proprio ruolo possano
continuare l'esercizio della professione o dell'arte, evitando la reiterazione del reato.
3) l'interdizione legale
Questa pena accessoria priva il condannato della capacità d’agire, limitatamente ai diritti
patrimoniali esercitati attraverso un tutore; all’interdetto legale è quindi concessa la
possibilità di contrarre matrimonio, deporre in giudizio, stipulare contratti di lavoro, ecc.
4) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
Si priva il condannato della capacità di esercitare, durante l'interdizione, l'ufficio
di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla
redazione dei documenti contabili societari, nonché ogni altro ufficio con potere di
rappresentanza della persona giuridica o dell'imprenditore
5) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione
La norma si prefigura lo scopo di impedire che determinati soggetti, ritenuti
particolarmente indegni, possano continuare ad avere rapporti contrattuali con la Pubblica
Amministrazione (es. aste, appalti, concorsi, ecc.)
5-bis) l'estinzione del rapporto di impiego o di lavoro
La norma consente l'allontanamento automatico di funzionari condannati per gravi delitti,
senza lasciare alcun margine di discrezionalità all'ente di appartenenza del reo, in quanto si
tratta di situazioni ove la permanenza in servizio getterebbe discredito sulla stessa P.A.,
oltre al fatto che il funzionario si è dimostrato indegno di proseguire il rapporto di lavoro
con la Pubblica Amministrazione.
6) la decadenza o la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale
La norma trova la sua giustificazione nell'esigenza di tutelare il minore da eventuali
comportamenti pericolosi posti in essere da uno o entrambi i genitori, al fine di assicurarne
la crescita adeguata senza pericoli di compromissione della sua salute psicofisica (es.
amministrazione legale dei beni)
Le pene accessorie per le contravvenzioni sono:
1) la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte
2) la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale
di condanna
Le pene accessorie possono essere perpetue o temporanee.
L’esecuzione della pena accessoria è inoltre di regola subordinata all’esaurimento
dell’esecuzione della pena detentiva: non si tiene conto del tempo in cui il
condannato sconta la pena detentiva o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva.
LIBERAZIONE ANTICIPATA
Questo istituto comporta una detrazione di 45 gg per ogni semestre di pena
scontata a beneficio del condannato a pena detentiva che abbia dato prova di
partecipare al programma rieducativo.
È prevista anche una liberazione anticipata speciale consistente in uno sconto di
pena maggiore rispetto a quella ordinaria, pari a 75 giorni per ogni semestre
espiato.
RINVIO DELL’ESECUZIONE DELLA PENA
Il codice penale contempla una serie tassativa di ipotesi in cui il tribunale di
sorveglianza deve obbligatoriamente rinviare l’esecuzione della pena
Donna in stato di gravidanza
Madre dell’infante di età inferiore a 1 anno
Persona affetta da aids conclamata o altra malattia particolarmente grave, per
effetto della quale versi in condizioni di salute incompatibili con lo stato di
detenzione
Il codice individua anche ipotesi di rinvio discrezionale del tribunale di sorveglianza:
Se è stata presentata domanda di grazia
Grave infermità fisica
Madre di prole di età inferiore a 3 anni
MISURE DI SICUREZZA
Accanto alle pene tradizionali è stata prevista una nuova tipologia sanzionatoria,
funzionale alla neutralizzazione della pericolosità sociale di quei soggetti nei cui
confronti la pena risulti insufficiente: si parla di un sistema a doppio binario.
Come le pene, anche le misure di sicurezza sottostanno al principio di legalità
(ex. art. 25 Cost.)
Gli elementi di distinzione tra misure di sicurezza e pene sono:
- l’applicabilità delle misure di sicurezza sia ai soggetti imputabili che ai soggetti
non imputabili mentre le pene possono essere applicate soltanto ai primi;
- il fatto che le pene sono sempre afflittive mentre le misure di sicurezza
potrebbero anche non esserlo;
- il fatto che le pene hanno una durata prestabilita sia pure entro i margini della
cornice edittale mentre le misure di sicurezza sono determinate
esclusivamente nella loro durata minima.
Nei confronti di soggetti imputabili e socialmente pericolosi possono quindi essere
applicate sia la pena sia la misura di sicurezza.
In relazione ad alcune tipologie di misure (libertà vigilata e divieto di soggiorno)
queste possono essere comminate insieme ad una pena detentiva, ma eseguite solo
dopo che la pena sia scontata.
Nell’ipotesi invece in cui la misura di sicurezza sia comminata ad una pena non
detentiva potrà essere eseguita non appena la sentenza di condanna sia divenuta
definitiva.
Esistono due presupposti ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza:
Oggettivo: commissione di un reato
Soggettivo: pericolosità sociale del reo (da verificarsi in concreto prima dal
giudice di cognizione e poi costantemente monitorata dal magistrato di
sorveglianza)
Nel codice sono contemplare alcune tipologie specifiche di pericolosità sociale
(tuttavia da verificare poi in concreto – come detto – data l’abrogazione di ogni
forma di presunzione di pericolosità).
- Delinquente abituale: chi, dopo essere stato condannato per due delitti non
colposi, riporti un’altra condanna per delitto non colposo
- Delinquente professionale: colui che, trovandosi nelle condizioni richieste per
la dichiarazione di abitualità, dalla commissione del reato ricavi i propri mezzi
di sussistenza
- Delinquente per tendenza: chi commette delitto non colposo contro la vita o
l’incolumità individuale, rivelando una particolare inclinazione al delitto,
basata sull’indole della malvagità; la dottrina ha più volte evidenziato come
questa figura risulti priva di fondamento criminologico in quanto è
problematico per il giudice accertare lo stato di malvagità.
Le misure di sicurezza possono essere personali e patrimoniali.
MISURE DI SICUREZZA PERSONALI – ART 215
Si distinguono a loro volta in detentive e non detentive
Le prime sono:
o ASSEGNAZIONE A COLONIA AGRICOLA O CASA DI LAVORO
Si distinguono in base al tipo di attività lavorativa anche se nella pratica case
di lavoro risultano inesistenti
o RICOVERO IN CASA DI CURA E DI CUSTODIA
Destinatari di questa misura sono in primis: soggetti colpiti da infermità
psichica, ovvero per sordismo, o per intossicazione cronica da alcol o sostanze
stupefacenti.
La ratio si fonda sull’esigenza di conciliare istanze curative e di custodia:
l’esecuzione dovrebbe quindi consistere in trattamenti idonei a liberare il
soggetto da impulsi delinquenziali di matrice patologica.
La misura viene di fatti eseguita in apposite sezioni degli ospedali psichiatrici
giudiziari. A partire dal 31 marzo 2015, con la chiusura degli ospedali
psichiatrici giudiziari, tale misura è eseguita all’interno di strutture sanitarie
denominate “residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza”
o RICOVERO IN UN OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
Erano istituti con natura essenzialmente terapeutica che tuttavia nella prassi
non presentavano significative differenze rispetto alle carceri in quanto erano
prevalenti profili afflittivi e segreganti.
I destinatari sono soggetti completamente privi di capacità d’intendere e
volere al momento della commissione del fatto.
o RICOVERO IN RIFORMATORIO GIUDIZIARIO
Essendo i minori non ammessi negli istituti sopra, gli stessi verranno accolti in
appositi riformatori presenti in alcune sezioni degli istituti penitenziari
minorili. Si tratta di comunità educative che impongono al minore prescrizioni
attinenti lo studio, il lavoro o comunque attività finalizzate alla rieducazione.
Le seconde:
o LIBERTA’ VIGILATA
o DIVIETO DI SOGGIORNO IN UNO O PIU’ COMUNI
Si estende anche a soste breve ed occasionali
o DIVIETO DI FREQUENTARE OSTERIE E PUBBLICI SPACCI DI BEVANDE
ALCOLICHE
È finalizzata a contrastare fenomeni di criminalità legati all’alcolismo quindi
condannati per un reato commesso in stato di ubriachezza, ove si tratti di
ubriachezza individuale
o ESPULSIONE DELLO STRANIERO DALLO STATO
Questa misura può essere disposta quando lo straniero o il cittadino europeo
siano stati condannati alla reclusine per un tempo superiore a 2 anni.
Si ritiene che l’espulsione o l’allontanamento vadano eseguiti in un momento
successivo rispetto alla espiazione della pena principale: in generale viene
eseguita dopo che la pena detentiva è stata scontata con accompagnamento
della persona alla frontiera.
MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI
Sono due:
o CAUZUONE DI BUONA CONDOTTA
Si esegue mediante il deposito di una somma di denaro presso la cassa delle
ammende, ovvero mediante la prestazione di una garanzia ipotecaria o di una
fideiussione solidale. Se durante l’esecuzione di una misura di sicurezza il
soggetto non commette delitti o contravvenzioni puniti con l’arresto, la
somma viene restituita; altrimenti sarà incamerata dallo Stato.
Tale misura è volta a distogliere il soggetto dalla commissione di nuovi reati.
o CONFISCA
Consiste nell’espropriazione di cose o denaro a favore dello Stato.
Mira ad impedire la circolazione di cose intrinsecamente illecite per prevenire
la commissione di reati o sottrarre all’autore i proventi dell’illecito.
MISURE DI PREVENZIONE
Le misure di prevenzione sono disposte indipendentemente dalla
commissione di un precedente reato nei confronti di soggetti che risultino
pericolosi per la sicurezza pubblica.
Esse si differenziano quindi dalle misure di sicurezza che sono applicabili solo
nei confronti di soggetti pericolosi che abbiano commesso un reato.
Ci sono dubbi di legittimità costituzionale circa:
- Principio di presunzione di non colpevolezza
- Principio di risocializzazione
- Principio di responsabilità personale
- Principio di inviolabilità personale (art. 13 cost.)
La corte costituzionale ha tuttavia ritenuto legittime tali misure perché in ogni
ordinamento il principio di prevenzione e di sicurezza sociale affianca quello di
repressione.
La disciplina è riconducibile al d.lgs. n. 159/2011 “codice delle leggi antimafia e delle
misure di prevenzione”.
Il presupposto applicativo attiene a fattispecie di sospetto ovvero a soggetti
individuabili in base ad attività potenzialmente costituenti reato.
ESEMPIO: coloro che per il tenore di vita debbano ritenersi vivere con proventi di
attività delittuose
Anche in questo caso si distinguono misure di prevenzione PERSONALI e
PATRIMONIALI. Tra le prime possiamo citare:
o L’AVVISO ORALE
In questo caso, la persona sospetta, riceve dal questore della provincia una
comunicazione circa l’esistenza di sospetti a suo carico.
o LA SORVEGLIANZA SPECIALE DI PUBBLICA SICUREZZA
Destinatari di ciò possono essere ad esempio:
coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte dalla legge
coloro che compiano atti preparatori diretti alla ricostruzione del partito fascista
gli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso
o IL FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO
È un atto da parte della Questura con il quale viene ordinato di allontanarsi
dal Comune in cui il sospetto pericolo si trova attualmente
Tra le seconde:
o Il SEQUESTRO e la CONFISCA dei beni di sospetta provenienza illecita
LE QUALIFICHE SOGGETTIVE
I delitti contro la p.a. come evidenziato sono ripartiti in due capi rispettivamente
dedicati ai delitti dei p.u. e dei privati.
Questa ripartizione evidenzia già sul piano sistematico l’importanza riconosciuta alle
qualifiche dei soggetti attivi: i delitti collocati nel primo capo sono prevalentemente
reati propri che richiedono in capo all’autore del reato il possesso di una
determinata qualifica soggettiva (p.u.) e per questa ragione sono collocate
nel capo III, tra le disposizioni comuni, le definizioni delle qualifiche di:
1. pubblico ufficiale (p.u.)
2. incaricato di un pubblico servizio (i.p.s.)
3. esercente un servizio di pubblica necessità
Si tratta di qualifiche che valgono “agli effetti della legge penale”.
DELITTI DI PECULATO
L’attuale disciplina dei delitti di peculato è il prodotto della riforma di cui alla
l. n. 86/1990.
PECULATO SEMPLICE ART. 314 COMMA 1°
“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione
del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra
cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni
e sei mesi”
Si tratta di un reato proprio del p.u. e dell’i.p.s., del quale rispondono anche i
soggetti a questi equiparati dall’articolo 322.bis con qualifiche sovranazionali o di
ordinamenti stranieri.
Ha natura plurioffensiva: da un lato, offende il buon andamento della p.a., in quanto
i beni che sono in possesso del soggetto qualificato per ragioni di ufficio o servizio
devono essere utilizzati per le destinazioni pubbliche previste; dall’altro lato, lede il
patrimonio, in quanto l’appropriazione ha ad oggetto beni altrui.
Presupposto della condotta di appropriazione è il possesso o la disponibilità per
ragioni d’ufficio o servizio di denaro o altra cosa mobile altrui: questo requisito
fonda la situazione nella quale si colloca l’abuso della posizione dell’agente pubblico
su beni a lui affidati per ragioni d’ufficio o servizio.
La nozione di possesso di denaro deve intendersi come comprensiva non solo della
detenzione materiale della cosa, ma anche della sua disponibilità giuridica, nel senso
che il soggetto deve essere in grado, mediante atto dispositivo di sua competenza o
connesso a prassi invalse nell’ufficio, di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità
del denaro e di conseguire quanto più costituisca oggetto di appropriazione.
L’ufficio o il servizio devono essere stati l’occasione che ha agevolato la condotta
appropriativa.
Quando, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, l’agente pubblico acquisisce un
bene per conto della p.a. ne ha la disponibilità, come nel caso dell’attività di
riscossione di un tributo per conto dell’ente pubblico: in tal caso il denaro entra
immediatamente nel patrimonio pubblico ed il p.u. che se ne appropri risponde di
peculato.
ESEMPIO: si pensi al caso del gestore di una tabaccheria che omette di versare
all’erario le somme riscosse per conto dell’agenzia delle entrate
La condotta appropriativa ha come oggetto materiale il denaro o altra cosa mobile
altrui: il denaro è stato espressamente menzionato, in quanto il peculato si consuma
prevalentemente in relazione a somme di denaro; è cosa mobile anche l’energia
elettrica e qualunque altra forma energetica economicamente valutabile autonoma
rispetto all’oggetto materiale, in modo da poter essere oggetto di apprensione
indipendentemente dal bene che la produce.
Ne consegue che non è configurabile il peculato di energie lavorative nella condotta
di un dirigente che utilizzi per fini privati un dipendente pubblico in orario di lavoro:
le energie lavorative non possono essere scisse da chi le produce e l’essere umano
non è ovviamente una cosa mobile (sarebbe configurabile al massimo un abuso
d’ufficio).
In forza del principio di offensività in concreto, il peculato è escluso se ha ad oggetto
beni privi di valore economico. Non è invece applicabile la causa di non punibilità
per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis) applicabile ai reati con pena massima
detentiva non superiore a 5 anni, sebbene vi siano casi di appropriazione di beni di
scarso valore.
Denaro e cosa mobile devono essere altrui: altrui è un bene sul quale un terzo
(privato o pubblico) ha la proprietà o altro diritto reale di godimento.
Si tratta di un requisito superfluo: sarebbe bastato a connotare la fattispecie il
riferimento al possesso o disponibilità del bene per ragioni d’ufficio o servizio, in
quanto ad essere rilevante è la destinazione del bene a finalità pubbliche.
Il profilo più significativo della riforma del 1990 risiede nella restrizione della
condotta penalmente rilevante alla sola appropriazione, con l’abrogazione del
peculato per distrazione: nell’appropriazione rientravano gli atti di disposizione
ati dominus, nella distrazione qualsiasi destinazione del bene a finalità diverse da
quelle pubbliche previste.
E’ necessario pertanto definire in termini più precisi la condotta di appropriazione:
accanto al momento negativo dell’espropriazione del bene a finalità pubbliche, si
presenta il momento positivo della impropriazione, ossia il comportarsi nei confronti
del bene come uti dominus (come se fosse il proprietario) alienando il bene,
distruggendolo, consumandolo, non restituendolo).
Ora, l’appropriazione così intesa include non solo le condotte che vanno a favore
dello stesso soggetto agente (es. sottrazione di denaro pubblico fatto transitare sul
proprio conto corrente; utilizzo per finalità private dei fondi destinati a spese di
rappresentanza d’ufficio), ma anche la distrazione del bene verso il soddisfacimento
di interessi di terzi (si pensi al caso di un bene della p.a. che viene trasferito ad un
amico). Il disvalore delle due condotte è del tutto omogeneo, perché in entrambi i
casi c’è un abuso delle funzioni che comporta la definitiva sottrazione del bene alle
finalità pubbliche.
Una questione sulla quale la giurisprudenza si è soffermata, è costituita dalla
rilevanza penale delle condotte di mancato versamento di tributi all’ente titolare
degli stessi da parte dei soggetti incaricati della riscossione che sono i.p.s.: costoro,
nel momento di acquisizione delle somme versate per il pagamento del tributo,
entrano nella disponibilità di un bene per conto della p.a.
La giurisprudenza si era espressa in tal senso in relazione agli albergatori, in caso di
mancato versamento della tassa di soggiorno: tuttavia a seguito della l. n. 77/2020 i
gestori di strutture ricettive hanno perso la qualifica di i.p.s. per cui non possono più
incorrere nel reato di peculato.
Quanto al concorso di persone, è con particolare riguardo al peculato che si pone
un’eventuale applicazione dell’articolo 117 per mutamento del titolo di reato in un
reato proprio in quanto il peculato si differenzia dall’appropriazione indebita in
ragione della qualifica rivestita dal soggetto attivo del reato.
CONDOTTA CRIMINOSA
A MONTE A VALLE
indebita percezione di finanziamenti mancata destinazione delle risorse
pubblici agli scopi prefissati
La condotta abusiva del p.u. deve aver costretto a dare o promettere un’utilità
indebita: dazione e promessa costituiscono evento del reato.
E’ necessario quindi un legame causale tra costrizione, con abuso della qualità o dei
poteri, e dazione o promessa.
L’oggetto materiale della dazione o promessa è costituito da denaro o un’altra
utilità che include qualsiasi interesse del p.u., non necessariamente di tipo
economico in quanto la fattispecie non è posta a tutela di interessi patrimoniali
ESEMPIO: prestazione sessuale
Dazione e promessa devono essere indebite: il reato ad esempio sussiste se la
somma non era dovuta oppure se l’utilità era dovuta al p.u. ma a titolo privato.
Quanto all’elemento soggettivo, si tratta di delitto doloso: l’intraneus (p.u.) deve
essere consapevole di realizzare una costrizione, abusando dei poteri o delle qualità
per far dare a sé o a terzi un’utilità indebita.
Il reato si consuma con la dazione o la promessa (a differenza dell’estorsione in cui
non si richiede la verificazione di un danno): è sufficiente che vi sia stata promessa,
ma se alla promessa segue la dazione, in un’unica soluzione o frazionata in più rate,
si pone il problema di fissare il momento consumativo di una fattispecie che prevede
alternativamente la dazione o la promessa come evento del reato.
TEORIA DEL REATO A DUPLICE SCHEMA: il reato si perfeziona già con l’accettazione
della promessa, ma se a questa segue la dazione dell’utilità, il momento
consumativo si sposta all’atto della dazione; in presenta di utilità corrisposte in rate,
la consumazione si colloca al momento dell’ultima dazione.
Il tentativo di concussione si realizza quanto il p.u. commette atti idonei diretti in
modo non equivoco a costringere il soggetto passivo a dare o promettere l’indebito.
La linea di confine tra tentativo e consumazione diviene più incerta in presenza della
c.d. riserva mentale, cioè quando la promessa è fatta con la riserva mentale di non
pagare: in tal caso il reato non può dirsi consumato in quanto non c’è stata
un’effettiva promessa (è solo apparente).
I DELITTI DI CORRUZIONE
Anzitutto va detto che si tratta di reati-accordo: ai fini della consumazione del reato,
è sufficiente accordarsi per la dazione di utilità indebita in vista del compimento di
un atto o dell’esercizio delle funzioni o in relazione ad un atto già compiuto.
Il disvalore di queste fattispecie è insito nell’accordo e prescinde dall’effettiva
dazione dell’utilità da parte del corruttore o dal compimento dell’atto o
dell’esercizio delle funzioni da parte del pubblico agente corrotto.
TERMINOLOGIA
o il termine corruzione attiva identifica la condotta di chi dà o promette
(corruttore);
o il termine corruzione passiva identifica la condotta di chi riceve l’utilità o
accetta la promessa (corrotto)
o la corruzione antecedente indica l’accordo intervenuto in vista del
compimento di un atto
o la corruzione susseguente indica invece un accordo intervenuto in relazione
ad un atto che il soggetto pubblico ha già compiuto
o la corruzione impropria ha ad oggetto atti conformi ai doveri d’ufficio (art 318)
o nella corruzione propria invece l’accordo illecito ha ad oggetto il compimento
di atti contrari ai doveri d’ufficio, ovvero il ritardo o l’omissione di atti dovuti
LE NORME
L’attuale disciplina dei reati di corruzione è articolata in più norme:
ART 318 prevede la corruzione impropria, considerando esclusivamente la condotta
del p.u.
ART 319 relativo alla corruzione propria, ancora del p.u.
ART 320 estende gli articoli 318 e 319 anche all’i.p.s.
ART 319ter prevede la corruzione in atti giudiziari
ART 321 riguarda la figura del corruttore
ART 322 prevede l’istigazione alla corruzione che consente di incriminare anche
condotte dirette alla conclusione di un accordo corruttivo che non si è poi
consolidato
CONSIDERAZIONI GENERALII
Il bene giuridico tutelato:
- buon andamento ed imparzialità della p.a. (art. 97 Cost.)
- fiducia dei consociati nella correttezza dei comportamenti di coloro che
operano nella p.a.: dazione e promessa di utilità indebite ai p.u., anche se poi
alla pattuizione illecita non si dà attuazione, destabilizzano l’affidamento dei
consociati nella correttezza d’azione della p.a.
La corruzione assume una dimensione macro-offensiva: investe in primo luogo
l’economia, in quanto scambi illeciti alterano la concorrenza; in secondo luogo
vittime degli scambi corruttivi sono i consociati.
Abbiamo già detto che i reati di corruzione sono reati-accordo che richiedono
l’incontro tra due volontà, quella del corrotto e quella del corruttore: le parti
dell’accordo si muovono su un piano paritario e perseguono interessi diversi ma
convergenti, perché il corruttore è interessato all’atto o alle funzioni esercitate dal
p.u. o dall’i.p.s. mentre il corrotto conclude l’accordo per conseguire un’utilità
indebita.
Strutturalmente si tratta quindi di reati a concorso necessario, in quanto, essendo
incentrati sull’accordo (reati bilaterali), hanno come elemento costitutivo la
partecipazione di più persone: alle condotte alternative di dare o promettere
(corruzione attiva), corrispondono quelle di accettare la promessa o ricevere
(corruzione passiva).
ACCETTARE
PROMETTERE
CORRUZIONE CORRUZIONE
ATTIVA PASSIVA
DARE RICEVERE
La consumazione si riduce all’ACCORDO, cioè l’incontro tra le volontà delle parti, che
si concretizza in due modi:
promessa e accettazione
immediata dazione e contestuale ricezione
ESEMPIO: Tizio consegna nelle mani di caio una mazzetta e questo se la tiene
Nei reati di corruzione il pactum sceleris ha ad oggetto da un lato l’atto o le funzioni
e, dall’altro, la promessa o la dazione di denaro o altra utilità (non necessariamente
patrimoniale).
Abbiamo già chiarito che il codice penale struttura i delitti di corruzione come reato-
accordo che si consumano con l’incontro delle volontà.
Accanto a queste fattispecie, l’art. 322 contempla i delitti di istigazione alla
corruzione che prendono in considerazione le condotte rivolte ad indurre la
controparte alla conclusione dell’accordo, senza che a questo si giunga.
Si tratta di una fattispecie che punisce in modo autonomo i tentativi di corruzione.
L’articolo 322 contempla quattro fattispecie autonome di istigazione che hanno
come elemento comune la mancata conclusione dell’accordo: l’offerta o la
promessa non devono essere accettate, in quanto, se lo fossero, la corruzione
sarebbe consumata, con applicazione delle relative fattispecie.
I primi due commi prevedono l’istigazione alla corruzione attiva: il primo si riferisce
alla corruzione impropria (per l’esercizio della funzione), il secondo alla corruzione
propria.
I commi terzo e quarto prevedono l’ipotesi in cui l’istigazione proviene dal soggetto
con qualifica pubblicistica (istigazione alla corruzione passiva), si tratta quindi di
reati propri.
La condotta è individuata attraverso il verbo “sollecitare” ovvero istigare.
E’ ovviamente richiesto l’elemento negativo della mancata accettazione della
sollecitazione, cioè l’assenza dell’accordo, elemento costitutivo della fattispecie.
Il 1° COMMA punisce il p.u. che rivela notizie di ufficio le quali debbano rimanere
segrete.
Si tratta di un reato proprio ma non è necessario che il p.u. o l’i.p.s. possegga la
qualifica al momento della condotta.
Oggetto materiale della condotta consiste in notizie d’ufficio ovviamente connesse
all’ufficio ricoperto o al servizio svolto, le quali devono essere coperte da segreto.
E’ irrilevante chi sia il titolare dell’interesse di segretezza della notizia potendo
essere la stessa p.a. o un terzo (privato). Se la notizia d’ufficio deve essere
mantenuta segreta nell’interesse privato, il reato assume una dimensione
pluri-offensiva, con la conseguenza che soggetto passivo non è solo la p.a. ma anche
il privato.
La segretezza deve essere imposta da una fonte legale o subordinata, nel rispetto
delle indicazioni della fonte primaria.
Andrà quindi di volta in volta individuata, sulla base della disciplina di riferimento, la
sussistenza del dovere di segretezza e la sua ampiezza.
ESEMPIO: in tema del c.d. “segreto istruttorio” che interessa lo svolgimento delle
funzioni giudiziarie, dovrà farsi riferimento alle disposizioni del codice di procedura
penale per individuare i limiti di segretezza degli atti delle indagini preliminari.
La l.241/90 introduce una limitazione delle notizie da considerare segrete, facendo
riferimento alla c.d. DISCIPLINA DEL DIRITTO D’ACCESSO: la notizia deve essere
comunicata a chi abbia interesse alla conoscenza di un determinato atto; ne limite
quindi in cui si ha diritto d’accesso agli atti, le notizie ad essi inerenti perdono il
carattere di segretezza esclusivamente in relazione ai titolari di tale diritto.
Il rapporto si sovverte: la regola è costituita dalla conoscibilità mediante accesso agli
atti, mentre la segretezza costituisce un’eccezione.
La condotta è duplice:
RIVELAZIONE consistente nel rendere noto il contenuto della notizia a chi non
è legittimato a conoscerla
AGEVOLAZIONE consistente nel facilitare la conoscenza della notizia da parte
di terzi estranei (es. lasciando incustodita una pratica amministrativa)
Rivelazione e agevolazione devono avvenire violando i doveri inerenti alle funzioni
o al servizio, o comunque abusando delle qualità.
Bene giuridico tutelato dalla fattispecie è l’interesse legittimo della p.a. o di un
terzo. Va tuttavia valorizzata l’offensività in concreto quindi è da escludere la
rilevanza di notizie marginali.
IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO
Le riforme delle leggi n. 69/2015 e n. 3/2019 hanno determinato importanti cambi di
rotta nella strategia repressiva rispetto a reati quali concussione, corruzione,
induzione indebita, traffico di influenze.
L’intenzione dello Stato di dimostrarsi intransigente contro la corruzione è ben
indicata dal nome “spazza-corrotti”.
Emerge l’estensione di strumenti repressivi e preventivi che erano stati inizialmente
introdotti per contrastare la criminalità organizzata: aumento delle cornici edittali,
inasprimento delle pene accessorie, operazioni sotto copertura, norme premiali,
misure di prevenzione.
L’AUMENTO DEI LIMITI EDITTALI
Attualmente corruzione, concussione, induzione indebita presentano un identico
limite edittale minimo (sei anni) e massimi edittali con scarti poco significativi (12
anni per concussione, 10 per corruzione, 10 e 6 mesi per induzione indebita).
Il compasso edittale omogeneo segnala un’omogeneità di disvalore.
Svolge comunque un ruolo importante di mitigazione delle pene principali, la
circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità (323bis), che è circostanza
comune applicabile dal giudice cui è rimessa la valutazione complessiva della tenuità
del fatto.
L’INASPRIMENTO DELLE PENE ACCESSORIE
Le riforme del 2015 e 2019 si caratterizzano anche per il forte inasprimento delle
pene accessorie, entro la logica della prevenzione special negativa che persegue la
neutralizzazione degli autori di alcuni reati contro la p.a., in primis dei reati di
corruzione, in modo da escludere i responsabili dalla vita politica ed economica.
E’ stato ampliato l’ambito di applicazione dell’interdizione perpetua dai pubblici
uffici ed è stata introdotta la nuovo pena accessoria della incapacità di contrarre
con la p.a.
La pena accessoria dell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti
del dipendente di amministrazioni od enti pubblici si applica in caso di condanna alla
pena della reclusione non inferiore a due anni.
LA RIPARAZIONE PECUNIARIA
La l. n. 69/2015 introduce un’inedita sanzione a contenuto patrimoniale denominata
riparazione pecuniaria.
Con la sentenza di condanna, per i reati di cui sopra (corruzione, concussione, ecc.),
è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del
reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla
condanna del p.u. o dell’i.p.s. restando impregiudicato il diritto al risarcimento del
danno. Si tratta di una nuova sanzione civile obbligatoria applicata dal giudice
penale rapportata nel quantum al valore del prezzo o del profitto del reato: una
sorta di restituzione del maltolto alla società.
Il carattere obbligatorio ed il fatto che essa non costituisca il risarcimento del danno,
depongono in favore della natura punitiva di questa sanzione civilistica.
LE NORME PREMIALI
Nella disciplina del contrasto alla corruzione sono presenti norme premiali: si tratta
di questioni oggetto di dibattito e posizioni divergenti di dottrina.
Già il “Progetto Mani pulite” sulla riforma dei reati di corruzione (1994) prevedeva
l’introduzione di una causa di non punibilità in favore del corrotto o del corruttore
che avesse denunciato all’autorità giudiziaria, entro certi termini, i nomi delle
persone coinvolte nella transazione illecita.
La proposta nasceva dalla presa d’atto della difficoltà di scoprire accordi corruttivi, in
quanto la punibilità di tutti i partecipanti cementa l’interesse a mantenere segreto
l’accordo.
La riforma del 2012 non introdusse però alcuna norma premiale, sebbene se ne
fosse discusso nel dibattito che portò alla sua approvazione.
Successivamente la l. n. 69/2015 ha previsto all’articolo 323bis comma 2 una
circostanza attenuante a contenuto premiale
“per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia
portata a conseguenze ulteriori, per assicurarsi le prove dei reati e per
l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre
utilità trasferite, la pena è diminuita di 1/3”
La circostanza prevede due condotte alternative:
- una riguarda l’aiuto prestato alle attività di indagine (evitare conseguenze di
ulteriori reati già commessi, assicurare prove, individuare altri responsabili)
- l’altra interessa il recupero della tangente versata
La critica mossa a questa norma premiale sta nel fatto che difficilmente i
responsabili di corruzione sono disposti a denunciare i concorrenti in cambio della
sola riduzione di pena.
Più drasticamente è intervenuta la l. 3/2019 che ha introdotto una causa di non
punibilità sulla proposta del progetto Mani pulite.
La causa di non punibilità è subordinata a due requisiti:
- la denuncia volontaria del reato accompagnata da indicazioni utili e concrete
per assicurare la prova del reato e per individuare altri responsabili
- la messa a disposizione di utilità percepite o di una somma di denaro di valore
equivalente, ovvero l’indicazione di elementi utili e concreti per individuare il
beneficiario effettivo
Al momento comunque non si rinvengono casi di applicazione della nuova
disciplina.
LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA
Il legislatore ha deciso di ampliare la figura, da tempo già nota, del c.d. infiltrato: si
tratta di soggetto qualificato (ufficiali di polizia, carabinieri, finanza, antimafia) che
deve aver agito nell’ambito di operazioni autorizzate.
Si prevede la non punibilità di alcune condotte, se tenute al solo fine di acquisire
elementi di prova in ordine ai delitti: corrispondere denaro o altre utilità in
esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettere o dare denaro o
altre utilità richiesti dal p.u. ecc.
La punibilità permane se è l’infiltrato a farsi parte attiva nel sollecitare il reato,
diventando in tal caso concorrente.
IL REGIME DELLE PRECLUSIONI
La l. 3/2019 ha introdotto una disciplina più severa in relazione all’accesso alle
misure alternative alla detenzione.
Scatta il regime di preclusioni connesso alla collaborazione processuale: il lavoro
all’esterno, i permessi-premio, le misure alternative alla detenzione, la liberazione
condizionale, possono essere concessi ai detenuti per i reati indicati solo se
collaborano con la giustizia a norma dell’art. 323bis, ossia dando indicazioni utili e
concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili.
LA CONFISCA
I reati contro la p.a. sono stati interessati dal processo di progressivo potenziamento
delle forme della confisca che si registra in diversi settori dell’ordinamento penale.
Vi sono più forme di confisca.
Il modello generale di confisca è inquadrato dall’articolo 240.
“Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il
profitto”
Presupposti sono:
- sentenza di condanna
- pericolosità della cosa nel rapporto con il reo
L’articolo 322ter prevede la confisca per equivalente: riguarda beni non collegati al
reato che abbiano un valore equivalente al profitto (utilità economica derivante dal
reato) o al prezzo del reato (vantaggio economico ricevuto per commettere il reato,
con la tangente nei casi di corruzione).
Consente di aggredire beni che non hanno alcun collegamento con il reato oggetto
della sentenza di condanna, l’unico collegamento è rapportato al valore del prezzo e
del profitto; si ha quindi una funzione sanzionatoria, data anche dall’assenza di
pericolosità.
Ai sensi del D.lgs. 159/2011 (Codice antimafia) si può poi far riferimento alla confisca
di prevenzione la quale non presuppone una sentenza di condanna.
E’ una misura equiparabile alle misure di sicurezza (come sostenuto dalla sezioni
unite della cassazione.
Si attiva quando:
- c’è sproporzione tra patrimonio e reddito
- manca la dimostrazione di della provenienza lecita
CAPITOLO I - SISTEMATICA
I reati contro il patrimonio costituiscono uno dei settori più importanti della parte
speciale in ragione della loro rilevanza pratica: in base all’ultimo rilevamento Ista
(2014) su 2.800.000 reati denunciati, ben 2.000.000 risultavano contro il patrimonio,
tra i quali 1.500.00 furti, 40.000 rapine, ecc.
Tali delitti possono essere distinti in tre grandi gruppi:
1. DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO IN SENSO STRETTO
Tra questi si distinguono due ulteriori categorie:
delitti che offendono il patrimonio STATICO e DETERMINATO in quanto
l’aggressione UNILATERALE si dirige su beni/cose specifici e individuati
(es. furto)
delitti che offendono il patrimonio DINAMICO e INDETERMINATO e che
sono realizzati attraverso la COOPERAZIONE DELLA VITTIMA (es. truffa)
A questi due sottogruppi se ne può poi aggiungere un terzo quale l’AGGRESSIONE
INFORMATICA/TELEMATICA AL PATRIMONIO.
2. DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO CHE OFFENDONO ANCHE LA PERSONA
DELLA VITTIMA nel senso che per offendere il patrimonio “passano”
attraverso una strumentalizzazione della vittima che si concretizza in
un’aggressione a beni personali (es. rapina, estorsione)
3. DELITTI CHE SI BASANO SULLA CIRCOLAZIONE DI PROVENTI ILLECITI
(es. riciclaggio)
DELITTI CONTRO IL
PATRIMONIO
1
delitti contro
2 delitti contro il 3
delitti che si basano
il patrimonio in patrimonio che
sulla circolazione di
senso stretto offendono anche la
persona della vittima proventi illeciti
al PATRIMONIO
DETERMINATO O STATICO al PATRIMONIO
INDETERMINATO O DINAMICO
RAPPORTO CONDIZIONE DI
ARRICCHIMENTO DISTRUZIONE DEL BENE PARITARIO INFERIORITA’
furti, appropriazione indebita,
danneggiamenti
delitti contro beni immobili
IL CONCETTO DI ALTRUITA’
Anzitutto bisogna osservare che il concetto di altruità può riferirsi alle cose oggetto
di aggressione (es. furto = cosa mobile altrui) oppure al danno (es. truffa = altrui
danno).
Quando è riferita al danno, l’altruità ha un significato puramente descrittivo, per non
dire addirittura pleonastico.
Assume invece portata normativa quando è riferita alla cosa che costituisce oggetto
dell’aggressione.
La prima questione che si pone è se per “altrui” si debba intendere la cosa di
proprietà oppure anche la cosa rispetto alla quale si esercitano diritto diversi dalla
proprietà, come i diritti di godimento.
La questione ha importanti ricadute pratiche sui soggetti attivi o passivi del delitto.
Sotto il profilo dei soggetti attivi, se si muove dall’idea che per altrui si debba
intendere soltanto il diritto di proprietà, il proprietario non può essere soggetto
attivo; se invece nel concetto di altruità si fa rientrare anche la titolarità di altri diritti
di godimento, anche il proprietario può essere autore del fatto tipico (si pensi al
proprietario che sottrae la cosa al comodatario).
Sotto il profilo dei soggetti passivi, si deve considerare che una parte dei reati contro
il patrimonio è perseguibile a querela e che il titolare della querela è la persona
offesa dal reato. Ebbene quando il fatto è realizzato direttamente ai danni del
proprietario non si pone alcun problema. Ma quando il fatto è realizzato ai danni del
soggetto titolare di diritti di godimento, si pone il problema di chi possa presentare
querela.
Venendo alla soluzione del problema, secondo una posizione più tradizionale, altrui
è la cosa di proprietà di altri con la duplice conseguenza che il proprietario non può
mai essere soggetto attivo e che la querela è riservata solo a lui, unico soggetto
passivo possibile.
Secondo un orientamento più recente, il concetto di altruità deve includere anche i
diritti reali minori, con la duplice conseguenza che lo stesso proprietario può essere
autore dei delitti e che la querela può essere presentata anche dal titolare del diritto
di godimento.
Si deve quindi aderire ad un concetto ALLARGATO di altruità che di conseguenza
espande la qualificazione di soggetto attivo e di soggetto passivo.
IL CONCETTO DI DANNO
[Per il diritto civile, il danno può essere patrimoniale (2043cc) o non patrimoniale
(2059cc.) – Lo stesso è previsto dal diritto penale all’articolo 185 C.P.]
Consideriamo in questo caso che in alcune fattispecie il danno non viene
menzionato (es. furti, rapina, sequestro di persona) e fattispecie in cui invece è
elemento costitutivo esplicito (es. estorsione = altrui danno)
Si tratta tuttavia di una questione centrale che può essere considerata identica in
tutte le fattispecie: è l’offesa dell’interesse tutelato.
Quando dunque si subisce un’offesa in termini di danno nei delitti contro il
patrimonio?
Un primo orientamento non richiede che la cosa abbia un valore economico,
potendo avere anche mero valore affettivo.
Dall’altro lato, v’è chi richiede un’offesa patrimoniale non soltanto economicamente
qualificabile, ma anche apprezzabile e significativa.
Il punto è: può realmente dirsi offensivo il furto di una cosa priva di valore
economico ma che abbia un grande valore affettivo? Tale furto, arreca un danno alla
vittima?
L’esito della inoffensività è l’atipicità del fatto, nonostante che in definitiva siano
stati posti in essere tutti gli elementi costitutivi.
Coerentemente con ciò, si è fatto confluire la scarsa offensività patrimoniale
nell’istituto della particolare tenuità del fatto. L’esiguità del danno concorre a
determinare dunque la tenuità con conseguente esclusione della punibilità.
Quindi Se del patrimonio accogliamo una concezione giuridica, il danno coincide con
la perdita di un diritto o con l’assunzione di un obbligo. Se invece accogliessimo la
concezione economica, allora esso coinciderà con una perdita economico-
patrimoniale.
In ultima analisi possiamo dire che comunque è compito dell’interprete di volta in
volta verificare qual è il concetto di danno o di profitto che il legislatore ha voluto
privilegiare nell’ambito della singola fattispecie incriminatrice.
AGGRESSIONI UNILATERALI
FURTO APPROPRIAZIONE
cosa nella disponibilità dell’autore
I FURTI
Il furto c.d. SEMPLICE, nel senso di non aggravato, è previsto dall’ART 624.
Vi sono poi ulteriori fattispecie autonome di furto:
FURTI MAGGIORI cioè più gravi previsti dall’articolo 624 bis consistenti nel
furto in abitazione e nel furto con strappo
FURTI MINORI più lievi previsti dal 626 consistenti nel furto d’uso, furto per
bisogno, furto di raccolto nei fondi altrui.
Il sistema si completa poi di una serie di circostanze aggravanti (ART 625) e
attenuanti (ART 625 bis)
L’articolo 625 prevede diverse circostanze aggravanti, tra le quali però ricordiamo
il furto in abitazione e il furto con strappo sono venuti meno nel 2001 e confluite
nell’articolo 624-bis come fattispecie autonome.
L’articolo 625-bis invece prevede una sola circostanza attenuante.
In particolare le aggravanti sono:
l’uso di violenza sulle cose o di mezzo fraudolento
L’oggetto della VIOLENZA a può essere la cosa sottratta stessa o cose diverse da
quella sottratta (es. ostacoli che possono essere vinti solo con l’utilizzo di violenza)
Si realizza una violenza quando la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è
mutata la destinazione; ancora, per danneggiamento si deve intendere la
distruzione, la dispersione, il deterioramento o il rendere la cosa in tutto o in parte
inservibile.
La violenza sulla cosa deve essere ovviamente strumentale rispetto alla condotta di
sottrazione, per cui antecedente o concomitante ma mai successiva.
Assolutamente pacifico che la violenza possa avere ad oggetto cosa diversa da quella
che poi viene sottratta, come nel caso di manomissione della placca magnetica
antitaccheggio inserita nella merce in vendita nei grandi magazzini.
Più problematico se la violenza possa avere ad oggetto anche le stesse cose che
vengono sottratte: la questione ha riflessi significativi sulla mobilizzazione di cose
immobili. Secondo l’orientamento della giurisprudenza, l’aggravante è configurabile
quando muta la destinazione della cosa da cui viene separata oppure muta la
destinazione della stessa cosa sottratta: così, con riferimento al bene da cui si
separa, si è ritenuta violenta l’asportazione di una ruota mediante sbullonamento,
perché muta la destinazione del veicolo che non è più in grado di muoversi, nonché
l’asportazione della targa perché il ciclomotore che ne è privo non può
legittimamente circolare.
La ratio invece del MEZZO FRAUDOLENTO può essere ravvisata nel superamento di
ostacoli o della vigilanza attraverso modalità per l’appunto ingannatorie.
Si è soliti distinguere tra ostacoli materiali ed ostacoli personali.
ESEMPIO ostacoli materiali: si considera mezzo fraudolento l’apertura di serrature
con una chiave contraffatta, ma anche autentica purché il ladro ne sia venuto in
possesso fraudolentemente.
Per ostacolo personale s’intende invece una vigilanza sulla cosa da parte del
detentore: artifizio o raggiro nei confronti della vittima che tuttavia non è diretto
all’ottenimento di un atto di disposizione (altrimenti truffa) ma più semplicemente a
favorire l’acquisizione unilaterale della cosa, rendendo la vittima una sorta di
esecutore materiale della volontà dell’autore.
ESEMPIO: chi chiede alla vittima di poter adoperare per qualsiasi ragione l’oggetto e
poi si dia alla fuga; l’utilizzo di borsa a doppio fondo o di pancera per nascondere gli
oggetti.
Le sezioni Unite hanno però specificato che il semplice occultamento della refurtiva
addosso alla persona dell’agente (es. mero nascondimento in bosa e tasche) non
integra l’aggravante in quanto modalità necessaria alla stessa sottrazione.
portare addosso armi o narcotici
destrezza
La circostanza è stata modificata essendo state soppresse nel 2001 le parole “ovvero
strappando la cosa di mano o di dosso alla persona” (fattispecie autonoma del 624-
bis).
La ratio del furto con destrezza, gergalmente definito “borseggio” deve essere
ricondotta alla particolare insidiosità delle modalità della condotta.
Si ha destrezza in presenza di abilità superiore a quella ordinariamente usata dal
comune ladro, capace di eludere la vigilanza dell’uomo medio;
si considera destrezza anche la condotta di chi approfitta di una situazione di
disattenzione della vittima.
Molto problematica infine l’ipotesi in cui il soggetto approfitti di una situazione
oggettivamente favorevole. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite le quali
hanno affermato che la destrezza richiede un comportamento dell’agente, posto in
essere prima o durante l’impossessamento della cosa, caratterizzato da particolare
abilità, astuzia, avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la
sorveglianza, con la conseguenza che non è destrezza il mero approfittarsi di
situazioni, non provocate dall’agente, di disattenzione o momentaneo
allontanamento del detentore della cosa.
bagagli di viaggio
La ratio è quella di aggravare l’illecito per due ragioni: ci sono più cose da vigilare, si
frequentano particolari luoghi “aperti al pubblico” dove il bene è più esposto a
condotte aggressive.
cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, sottoposte a sequestro o
pignoramento, esposte alla pubblica fede, destinate a pubblico servizio
furto commesso all’interno di mezzi pubblici
materiale sottratto ad infrastrutture destinate a servizi pubblici
furto nei confronti di chi fruisce o ha appena fruito di servizi bancari o postali
APPROPRIAZIONE INDEBITA
ARTICOLO 646
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile
altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la
reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
[Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle
circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61.]
L’articolo 646 è composto da due commi:
I. il primo tipizza la fattispecie di appropriazione indebita
II. il secondo prevede una circostanza attenuante
Il delitto punisce chiunque, per procurare a sé o altri un ingiusto profitto, si
appropria del denaro o di cosa mobile altrui si cui abbia a qualsiasi titolo il possesso.
La competenza è del tribunale monocratico.
E’ procedibile a querela ma diviene procedibile d’ufficio se i fatti sono aggravati
dall’articolo 646 comma 2 o dall’articolo 61.
ESEMPIO: risponde di appropriazione indebita chi, avendo ricevuto una cosa in
comodato, la aliena senza l’autorizzazione del proprietario oppure l’amministratore
di condominio che ricevuto dai condomini somme di denaro per provvedere
all’esecuzione di specifici lavori, li utilizzi per finalità personali oppure il promotore
finanziario che non investe e trattiene per sé somme di denaro destinate a fondi di
investimento altrui.
Nel 2016 le tre ipotesi di appropriazione c.d. minori previste dall’articolo 647
(appropriazione di cose smarrite, appropriazione indebita di tesoro, appropriazione
di cosa avuta per errore o caso fortuito) sono state abrogate e degradate ad illecito
civile.
Per quanto riguarda la struttura, il delitto di appropriazione indebita è contiguo al
furto, poiché consiste in un’aggressione unilaterale al patrimonio e si rivolge a cosa
determinata.
Tuttavia si differenzia per due aspetti fondamentali:
il primo sta nel presupposto che mentre nel furto la cosa è nella disponibilità
materiale/detenzione della vittima, nell’appropriazione indebita invece la cosa si
trova nella disponibilità dell’autore del reato; insomma l’autore si trova nel possesso
legittimo della cosa in virtù del fatto che il possessore originario, vittima del delitto,
gli aveva affidato la cosa.
Da qui discende la seconda differenza concernente la condotta: nel furto
l’impossessamento, l’ottenimento di una piena disponibilità della cosa, passa dalla
sottrazione, vale a dire da un comportamento che determina una passaggio dalla
disponibilità meramente fisico-materiale del soggetto vittima al soggetto autore;
nell’appropriazione indebita, invece, essendo la cosa già nella signoria del soggetto
agente, la condotta di impossessamento, denominata non a caso appropriazione,
consiste nel compiere sulla cosa di cui si dispone un’attività incompatibile con la
situazione giuridica di colui che ha legittimato il possesso.
A monte dell’appropriazione indebita esiste una particolare dinamica relazionale a
carattere patrimoniale tra vittima e autore.
Fino al 2019, all’appropriazione indebita si attribuiva un minor disvalore rispetto al
furto: si faceva leva su una cosiddetta “relazione di affidamento” tra autore e vittima
e su quello che veniva valutato come un erroneo affidamento da parte della vittima
sull’autore del reato.
Questo ragionamento tuttavia muta con la riforma del 2019 quando fu elevata
notevolmente la cornice edittale finendo per istituire un trattamento sanzionatorio
più severo del furto. E’ pertanto indubbio che sussistano gli estremi per sollevare
questione di legittimità costituzionale per irragionevolezza della pena edittale per
appropriazione indebita in comparazione con il maggior disvalore del furto.
Il bene giuridico tutelato può essere distinto in base a tre diversi orientamenti:
un primo che considera la fiducia e l’affidamento che la vittima ripone sul
possessore autore;
un secondo che fa riferimento al patrimonio;
ed infine un orientamento intermedio in termini di comportamenti incompatibili con
i diritti del possessore originario.
SOGGETTO PASSIVO: può essere non solo il proprietario ma anche il titolare di un
diritto personale o reale che a sua volta ha dato la cosa in possesso ad altri
SOGGETTO ATTIVO: può essere chiunque
ESEMPIO: usufruttuario, comodatario, locatore, l’appaltatore, ecc.
Per quanto riguarda il PRESUPPOSTO della condotta, esso consiste nel possesso da
parte del soggetto agente che si appropria della cosa: il possesso si può considerare
a metà strada tra mera detenzione e possesso in senso civilistico (relazione di fatto
accompagnata dall’animus possidendi); si può definire come un potere autonomo di
signoria sulla cosa che consente in buona sostanza di disporne ed utilizzarla.
Posto che il possesso è qualcosa di più della mera relazione materiale, all’opposto
esso non può essere identificato con il possesso in senso civilistico.
L’articolo 1140 cc. definisce il possesso come la “situazione di fatto di colui il quale
esercita sopra la cosa poteri che corrispondono al contenuto della proprietà o di
altro diritto reale”; tuttavia in ambito penalistico non occorre che il possessore
ritenga la cosa di sua proprietà (animus possidendi). Ecco allora che il possesso
assume una propria autonomia penalistica: più della detenzione, meno del possesso
civilistico.
Per quanto riguarda la condotta incriminata essa consiste nell’impossessarsi: si
afferma che l’agente deve comportarsi nei confronti della cosa come se fosse
propria.
Esempi più sicuri della fattispecie appropriativa sono:
- l’alienazione non autorizzata di beni altrui
- l’omessa restituzione della cosa
Problematica invece l’ipotesi di utilizzo indebito per cui la cosa viene utilizzata
violando le indicazioni e il vincolo di destinazione, ma non si rompe definitivamente
il rapporto.
ESEMPIO: si pensi all’uso indebito di un’autovettura in comodato d’uso gratuito; il
soggetto riceve il mezzo per motivi di lavoro, ma lo presta a terzi, all’insaputa del
legale rappresentante della società proprietaria.
Particolarmente problematica anche l’ipotesi di condotte distrattive, consistenti
nell’impiego della cosa altrui per il soddisfacimento di una finalità diversa da quella
originariamente impressa dal titolo del possesso (es. concessione di fido bancario).
per quanto riguarda L’OGGETTO MATERIALE della condotta, esso è offerto dalla cosa
mobile o denaro.
Circa il DOLO, la componente volitiva deve tendere ad una rottura del rapporto
contraria all’interesse del possessore originario; la fattispecie prevede anche
il dolo specifico consistente nella finalità di “procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto”.
E’ prevista aggravante speciale di aver commesso il fatto su cose possedute a titolo
di deposito necessario che si ha quando un soggetto è costretto al possesso di beni
altrui da particolari circostanze: si pensi all’ipotesi in cui siano affidate cose a
soggetto per salvarle da un incendio.
DANNEGGIAMENTI
QUADRO GENERALE
In questo gruppo rientrano i delitti previsti dagli artt. 635, 638 e 639 ma la nostra
analisi si concentrerà solo sul 635.
Pur essendo aggressioni unilaterali, i danneggiamenti si differenziano dalle
precedenti (furti, appropriazioni indebite, aggressioni al patrimonio immobiliare)
perché mentre queste ultime sono determinate da motivi di lucro e comportano
uno spostamento illecito della ricchezza a favore dell’autore, i danneggiamenti
producono invece soltanto un danno alla vittima e nessun vantaggio per l’autore.
I danneggiamenti inoltre precisiamo che possono avere ad oggetto sia beni mobili
che immobili.
Tradizionalmente sono considerati meno gravi delle altre aggressioni unilaterali;
tuttavia in tempi più recenti sono sempre più collegati alla tutela di cose pubbliche e
alla sicurezza pubblica.
L’attuale disciplina, come vedremo, risente di questo duplice volto dei
danneggiamenti, per cui, da un lato, rispetto ai danneggiamenti che vengono
realizzati all’interno delle dinamiche relazionali privatistiche, la tendenza è ad
attribuire un disvalore minore, al punto tale da depenalizzarli e degradarli a illeciti
civili; dall’altro lato, rispetto a danneggiamenti che si colorano di caratteri
pubblicistici e collettivi, la tendenza è invece quella di attribuire un disvalore
significativo.
DANNEGGIAMENTO
GENERALE
IPOTESI IPOTESI
PRIVATISTICHE PUBBLICISTICHE
Il bene giuridico tutelato è l’integrità della cosa, intesa sia come integrità fisico-
materiale aggredita dalle condotte di distruzione e deterioramento, sia come
integrità funzionale compromessa dalle condotte di dispersione e inservibilità.
Gli eventi che danneggiano il bene sono 4:
- distruzione
- deterioramento
- dispersione (relativa alle sole cose mobili)
- inservibilità
Per la sussistenza del reato si richiede che la condotta abbia cagionato un danno
apprezzabile.
Oggetto materiale possono essere, come accennato, cose mobili o immobili.
Passaggio decisivo è se all’interno del concetto di cosa possano rientrare le risorse
naturali e in modo più specifico l’acqua. Il problema è sorto a partire dagli anni ’70 in
una fase storica in cui mancavano fattispecie a tutela dell’ambiente e delle risorse
naturali, ma è rimasto anche nei decenni successivi nonostante l’introduzione di
apposite normative a tutela dell’ambiente.
Le ipotesi speciali di danneggiamento, costituenti reato, sono previste di nuovo
dall’articolo 635. Il comma primo punisce due ipotesi speciali di danneggiamento:
o danneggiamento con aggressione a persona consistente in violenza o
minaccia
Questa prima ipotesi richiede che il fatto di danneggiamento sia realizzato
contestualmente alla realizzazione di un’aggressione alla persona: durante
l’aggressione, proprio perché l’autore è “in preda” alla violenza, è possibile
dirigere la stessa nei confronti di cose, danneggiandole.
o danneggiamento in occasione del delitto previsto dall’art. 331 (interruzione di
pubblico servizio) quindi danneggiamento realizzato mentre si realizza in
delitto di interruzione di servizio pubblico
Il terzo comma punisce poi un’ulteriore ipotesi speciale consistente nel
danneggiamento in occasione di manifestazioni pubbliche.
Il 2° comma prevede una serie di circostanze aggravanti sulla base della diversa
tipologia di cose mobili o immobili danneggiate.
n. 1 edifici pubblici o destinati ad uso pubblico (es. portone di un istituto scolastico,
ancorchè privato, essendo l’edificio destinato ad uso pubblico); edifici destinati
all’esercizio di un culto; cose di interesse storico e artistico.
n. 2 opere destinate all’irrigazione
n. 3 piante di viti ed alberi
n. 4 attrezzature e impianti sportivi
ERRORE VS IGNORANZA
Si pone il problema se l’ignoranza possa essere paragonata all’errore.
L’ignoranza è una condizione psichica che esiste a prescindere dalla frode e prima
ancora dalla relazione con il soggetto. Assume quindi rilevanza quando si trasforma
(per così dire) in errore, vale a dire quando la vittima che ignora, interagisce con
l’autore del reato chiedendo su una determinata circostanza che ignora e l’autore dà
false informazioni. Ma senza l’attivazione della vittima l’ignoranza resta tale e non
può dirsi errore.
ERRORE VS DUBBIO
Il dubbio implica che in soggetto abbia nella propria mente due rappresentazioni (X
e Y) una conforme alla realtà effettiva ed una difforme vale a dire erronea.
La decisione nel dubbio non può dirsi frutto dell’inganno perché assunta
liberamente.
ERRORE E MENZOGNA
Problematica la questione se nel concetto di artifizio e raggiro possa rientrarvi anche
la falsità. La falsità può consistere nella mera menzogna circa il contenuto di
dichiarazioni (es. falsa dichiarazione) oppure nell’alterazione della realtà fisico-
materiale (in presenza di falsi documenti si parlerebbe di falso materiale).
Non vi sono ragioni per escludere entrambe le falsità dal concetto di artifizio o
raggiro, potendosi considerare la falsità la modalità più tipica e diffusa di artificio.
La mera menzogna assume rilevanza se accompagnata da altri elementi di contesti
ESEMPIO: produzione di documento scritto contenente false dichiarazioni
ESEMPIO: avendo la vittima manifestato perplessità o dubbi, l’autore pronuncia
ulteriori dichiarazioni a sostegno della menzogna (“ma davvero pensi che ti
mentirei?!”)
Non assume rilevanza in termini di artifizio la dichiarazione all’ufficiale giudiziario
che i beni da pignorare appartengono ad altri.
Quindi oltre alla mera menzogna si richiede qualcosa in più, una circostanza
particolare.
ERRORE E SILENZIO
Altro punto problematico è il silenzio, vale a dire l’omissione: la giurisprudenza non
esita ad attribuire rilevanza al mero silenzio sulle circostanze necessarie per
assumere la decisione.
Osserviamo però che a riguardo ci sono notevoli dubbi: se si attribuisse rilievo al
mero silenzio, anche nell’ipotesi in cui l’errore sia già esistente e quindi la condotta
omissiva consisterebbe in un approfittamento dell’errore altrui, potremmo dire
rilevante anche la mera menzogna (ma così non è).
Ecco allora che qualcuno attribuisce rilevanza al silenzio/omissione sulla base
dell’esistenza di doveri/obblighi di dire la verità, ragion per cui se vi sono obblighi di
dire la verità, ma il soggetto tace, il silenzio assume rilevanza. La questione è
comunque delicatissima.
L’errore deve essere indotto dalla condotta del soggetto agente attraverso modalità
peculiari, consistenti in artifizi e raggiri.
L’artifizio consiste in una manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna,
provocata mediante la simulazione (fingere vero ciò che non lo è) di circostanze
inesistenti oppure mediante la dissimulazione (negare ciò che è vero) di circostanze
esistenti, indispensabili per una piena e consapevole decisione.
Il raggiro consiste invece in un’attività di persuasione e insistenza capace di incidere
più sulla psiche e capacità cognitiva del soggetto passivo che sulla realtà materiale.
Ad ogni modo, in quanto evento psichico, la prova dell’errore risulta essere molto
problematica. Si discute se la valutazione debba essere compiuta ex ante o ex post:
più condivisa la prospettiva ex post, in quanto in applicazione del principio di
offensività, una volta accertato l’errore ci si interroga sulla realle idoneità
ingannatoria. Essendo però un evento psichico, tende a sfuggire anche alla
possibilità di una ricostruzione rigorosamente ex post basata su leggi scientifiche.
L’accertamento richiede dunque tre passaggi:
- individuazione dell’errore
- individuazione di comportamenti specifici che si ritiene abbiano generato
l’errore (causalità)
- giudizio di idoneità ingannatoria per misurare l’eventuale capacità di
difendersi da parte della vittima
Una volta che raggiri e artifizi hanno indotto un soggetto in errore, la cooperazione
con la vittima si concretizza nell’atto dispositivo da parte di questa.
L’atto dispositivo può incidere anche sul patrimonio di un soggetto diverso da quello
che ha subito l’inganno (es. ente).
Ci si è poi chiesti se può assumere rilevanza il mancato compimento dell’atto
dispositivo, con la conclusione che ha rilevanza anche un atto dispositivo consistente
nell’omissione di un atto che avrebbe permesso di ottenere un profitto.
ESEMPIO: la vittima cade in errore e non compie quella attività che se avesse
compiuto avrebbe portato al conseguimento di una utilità (danno da mancato
guadagno).
La truffa richiede poi il procurare a sé o altri un profitto che a differenza del danno
(solo patrimoniale) può consistere in un qualsiasi vantaggio, anche non economico.
Quindi mentre il danno deve avere necessariamente carattere patrimoniale, il
profitto può avere anche natura morale o affettiva, in grado così di avvantaggiare
l'agente o un terzo.
Il profitto deve essere ingiusto: secondo un primo orientamento il carattere ingiusto
(fondante la tipicità) o giusto (esclude la tipicità) del profitto deve essere valutato in
concreto di volta in volta dal giudice; secondo altra interpretazione invece è sempre
ingiusto in quanto il mezzo in sé ingiusto della frode, rende il profitto
necessariamente ingiusto.
Infine la sequenza di eventi prevede espressamente il danno, effettivo pregiudizio
accertabile e valutabile in termini certamente di danno economico, discussa la
consistenza non prettamente economica.
La linea interpretativa più accreditata è quella che attribuisce rilevanza a quei danni
che, pur essendo privi di una valenza economica, in quanto ad esempio le
prestazioni sono proporzionali, presentano una inidoneità a soddisfare bisogni
personali, con la conseguenza che la concezione economica è corretta con quella
personalistica.
ESEMPIO: la truffa contrattuale caratterizzata dalla proporzione circa il valore
economico delle due prestazioni dove però l’acquirente è determinato all’acquisto
dall’artificio; si pensi all’ipotesi in cui il venditore venda al compratore un bene che
sa non gli servirà.
ESEMPIO: truffa in assunzione quando cioè il reo dichiari false qualità professionali
per ottenere un impiego; il danno può essere ravvisato nelle spese da sostenere per
riparare all’errore (nuova assunzione) ma anche nell’alterazione della graduatoria
degli altri concorrenti (non prettamente patrimoniale).
Elemento soggettivo è chiaramente il dolo.
La truffa si perfeziona nel momento in cui vengono ad esistenza tutti gli elementi
costitutivi del fatto tipico. Aspetto centrale per individuare il momento di perfezione
della truffa è il modo di concepire il danno.
Se si adotta un concetto di danno non economico è sufficiente la stipula (es. truffa
contrattuale): si comprime in tal caso l’istituto della truffa tentata.
Se invece si adotta un concetto economico di danno, è necessario andare oltre alla
stipula e attendere che si verifichi il pregiudizio economico effettivo: aumenta in tal
caso lo spazio per l’integrazione del delitto tentato.
Delicata a riguardo la c.d. truffa in atti, quando cioè si sottoscrive un titolo di credito
o ci si impegna a una prestazione futura.
L’atto dispositivo in tal caso non consiste in un solo atto bensì in una pluralità di atti:
la frode è unica, ma l’atto dispositivo è frazionato, quindi si può parlare di reato a
consumazione prolungata. La truffa è perfezionata con la prima rata; gli episodi
successivi rilevano ai fini della prescrizione.
Andando avanti, il secondo comma dell’articolo 640 prevede alcune circostanze
aggravanti che oltre ad un incremento di pena, determinano il passaggio dalla
procedibilità a querela a quella d’ufficio.
n.1 fatto commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico
n.2 fatto commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo
immaginario (il timore non deve insorgere da una minaccia ma da un
comportamento fraudolento, altrimenti ricadremmo nell’ipotesi dell’estorsione).
n.3 fatto commesso in presenza di minorata difesa
Per quanto riguarda il rapporto con altri reati, problematico il rapporto tra truffa e
furto aggravato da mezzo fraudolento: quest’ultimo ha la consistenza di un artificio
nei confronti della vittima, che tuttavia non è diretto all’ottenimento di un atto di
disposizione (altrimenti truffa), ma più semplicemente a favorire l’acquisizione
unilaterale della cosa, rendendo la vittima una sorta di esecutore materiale della
volontà dell’autore.
Per quanto riguarda invece il rapporto truffa-appropriazione indebita mentre nella
prima gli artifizi ed i raggiri servono per ottenere il possesso attraverso l’atto
dispositivo della vittima, nell’appropriazione indebita gli eventuali artifizi e raggiri
intervengono dopo l’ottenimento del possesso per concretizzare la condotta
appropriativa.
L’USURA
ART. 644 “Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto
qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di
altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con
la multa da euro 5.000 a euro 30.000.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma,
procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri,
per la mediazione, un compenso usurario.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che
avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari
risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero
all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà
economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un
terzo alla metà:
1. se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o
di intermediazione finanziaria mobiliare;
2. se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o
proprietà immobiliari;
3. se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4. se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o
artigianale;
L’articolo prevede due ipotesi di usura:
quella attinente all’esercizio di ATTIVITA’ DI CREDITO (comma 1): il primo
comma punisce chiunque si fa promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per
altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o
altri vantaggi usurari.
Rispetto a questa ipotesi si possono distinguere due varianti a seconda delle
modalità di calcolo del tasso usurario:
o quella c.d. LEGALE (astratta, rigida, oggettiva) “la legge stabilisce il limite oltre
il quale gli interessi sono sempre usurari”
o quella c.d. GIUDIZIALE (concreta, elastica, soggettiva) “sono altresì usurari gli
interessi, anche se inferiori a tale limite (quello legale), che avuto riguardo alle
concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari,
risultano comunque sproporzionati.
Per quanto riguarda il tasso in concreto, presupposto negativo è che il tasso
sia inferiore al limite stabilito dalla legge. Le condizioni positive sono due: da
un lato il tasso deve essere sproporzionato rispetto alla prestazione, dall’altro
il soggetto che dà o promette si deve trovare in condizioni di difficoltà
economica o finanziaria.
quella attinente all’ATTIVITA’ DI MEDIAZIONE (comma 2): punisce chi procura
a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé
o altri, per la mediazione, un compenso usurario.
Si ha quindi quando oggetto della mediazione è l’attività di credito, che non
deve essere usuraria, mentre è il compenso dato o promesso al mediatore
che è usurario.
Cosa s’intende per usura?
Si tratta in sostanza dell’ipotesi in cui si abbia un contratto a prestazioni
corrispettive, per cui una parte si impegna a dare o promettere denaro o altra utilità
e la controparte si impegna a restituire il capitale; ovviamente l’operazione ha un
costo, il c.d. tasso di interesse, ragion per cui la controparte che si impegna a
restituire il capitale, si impegna anche a pagare una somma di denaro aggiuntiva.
Così Tizio presta a Caio 1000€: Caio dovrà restituire 1000€ pagando per esempio
210€ al mese per 5 mesi + 50€ di interessi
L’usura è pertanto un delitto c.d. CONTRATTO
Il tasso di interesse si dice usurario quando è SPROPORZIONATO.
Il disvalore del fatto si concentra proprio su questa sproporzione tra prestazioni.
Tra l’altro la sproporzione si valuta anche nel caso in cui chi ottiene il prestito non
abbia problemi economici: un tasso eccessivo finisce difatti per compromettere
l’interesse pubblico dell’economia, sia perché consente a chi presta di arricchirsi
indebitamente, sia perché drena risorse al soggetto che chiede il prestito per
compiere attività utili per la società.
La fattispecie dell’usura ha subito nel tempo una notevole trasformazione.
In estrema sintesi si può affermare che si è passati da un delitto a tutela di un
soggetto vulnerabile il cui disvalore si incentrava sulla condotta di approfittamento
dello stato di bisogno, a un delitto a tutela di interessi pubblicistici come il corretto
esercizio dell’attività di erogazione, gestione e riscossione di un credito, senza
trascurare l’offesa economica privatistica che l’usura può arrecare alla vittima.
Originariamente (1930) la fattispecie puniva chi si faceva dare o prometteva
interessi usurai approfittando dello stato di bisogno di una persona.
La svolta si ha nel 2006 quando il disvalore del fatto tipico viene interamente
incentrato sul tasso di interesse usurario applicato all’operazione a prescindere
dall’approfittamento. Si distinguono in questo contesto storico le due modalità di
calcolo del tasso usurario, quella per legge in astratto e quella ad opera del giudice
in concreto.
Quindi prima della riforma, lo scopo della tutela era il patrimonio della vittima; dopo
la riforma si vuole tutelare invece il corretto esercizio dell’attività creditizia, quindi
più in generale l’economia.
Soggetto attivo e soggetto passivo sono coloro che chiudono il contratto di credito
con tasso usurario. Vittima può essere persona fisica ma anche un ente collettivo.
La condotta consiste nel farsi dare o promettere.
Oggetto di scambio può essere il denaro, i beni mobiliari, beni immobiliari ed anche
prestazioni economicamente valutabili.
Problematici poi gli interessi MORATORI cioè quelli legati al ritardo nel pagamento,
ossia a una condotta inadempiente del debitore.
Il momento di perfezionamento del reato è quello della promessa ovvero della
pattuizione.
Il comma 5° prevede delle circostanze aggravanti le quali possono essere raccolte in
tre diversi gruppi:
- la circostanza n. 1 riguarda il soggetto attivo
- la n.3 e n.4 riguardano le condizioni del soggetto passivo
- la n.2 riguarda l’operazione usuraria ovvero se l’autore ha chiesto in garanzia
partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari
Il terzo comma individua poi delle circostanze aggravanti che possono essere
raccolte in tre gruppi.
Nel primo quelle che riguardano l’aggressione alla persona:
- se commessa con armi o da più persone riunite
- consistente nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire
- se il soggetto appartiene ad associazione di stampo mafioso
Nel secondo gruppo rientrano due circostanze in cui si dà rilievo a luoghi particolari:
- isolati o affollati
- trasporti pubblici
Infine il terzo gruppo attribuisce rilevanza a particolari contesti o stati in cui si trova
la vittima:
- persona offesa che abbia appena usufruito dei servizi di istituti di credito,
ufficio postali, sportelli automatici
- persona ultrasessantacinquenne
ESTORSIONE – ART. 629
“ Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad
omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno,
è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro
4.000.
La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da da euro 5.000 a euro
15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso
dell'articolo precedente.”
L’articolo si compone di due commi: il primo descrive la fattispecie, il secondo le
aggravanti.
L’estorsione punisce chiunque, mediante VIOLENZA O MINACCIA, costringendo
taluno a fare od omettere qualcosa, procura a sé o altri un ingiusto profitto con
altrui danno”.
ESEMPIO: commette estorsione chi, minacciando di rivelare la relazione
extraconiugale alla moglie, costringe il marito a pagare una somma di denaro in
cambio del silenzio.
La competenza è del Tribunale monocratico o collegiale in caso di aggravanti;
La procedibilità è d’ufficio.
Per quanto riguarda la struttura: anche l’estorsione si compone di due aggressioni
una al patrimonio ed una alla persona.
VIOLENZA PRIVATA – RAPINA - TRUFFA
Si avvicina molto alla violenza privata la quale punisce “chiunque, con violenza o
minaccia, costringe altri a fare tollerare od omettere qualche cosa” e quindi
l’estorsione è per la prima parte una violenza privata.
Ma marcate sono anche le analogie con la rapina, anche se tuttavia, l’estorsione è
un’aggressione che prevede una cooperazione con la vittima e quindi aggressione al
patrimonio inteso come entità complessiva.
Se si muove dall’aggressione al patrimonio, il delitto di estorsione presenta inoltre
somiglianze con la truffa: si basa infatti sulla cooperazione della vittima ma se ne
differenzia perché l’atto dispositivo non è frutto di modalità fraudolente, bensì
costrittive.
L’estorsione è quindi nella sostanza strutturalmente identica alla truffa, con la
differenza che al posto della frode (artifizi e raggiri) stanno le modalità costrittive
(violenza e minaccia).
In estrema sintesi si può dire che l’estorsione a differenza della rapina, si basa sulla
cooperazione della vittima, ma si differenzia dalla truffa perché l’atto dispositivo si
ottiene mediante violenza o minaccia.
Trattandosi di un delitto plurioffensivo, lo scopo della tutela è duplice: da un lato il
patrimonio, dall’altro la libertà di autodeterminazione.
Soggetto passivo: risulta problematica l’ipotesi in cui la violenza o minaccia
riguardano un soggetto e la costrizione che determina l’atto dispositivo è subita da
altro soggetto
ESEMPIO: minaccia effettuata ad un figlio tale per cui il padre sia costretto a dare
una somma di denaro
Pacifica è l’integrazione dell’estorsione ai danni del padre, sia perché subisce il
danno patrimoniale, sia perché l’effetto costrittivo si. produce sulla sua volontà.
Problematica invece la qualificazione rispetto al figlio che ha materialmente subito la
violenza: ritenerlo vittima di estorsione risulta eccessivo, per la mancanza
dell’effetto coercitivo, risultando quindi opportuno qualificare la violenza a seconda
del delitto che di volta involta è stato commesso (minaccia, percosse, ecc.)
Soggetto attivo può invece essere chiunque.
Le condotte che rilevano ai fini della tipicità sono: violenza e minaccia (le stesse
della rapina) di un male ingiusto.
La violenza deve invece essere tale da non coartare completamente la volontà della
vittima, configurandosi altrimenti il più grave delitto di rapina. Il soggetto passivo
deve dunque avere un margine di autodeterminazione, nel senso di poter scegliere
se cedere all'estorsione o subire il male minacciato.
Senza dubbio è minaccia la prospettazione di un male di per sé ingiusto, quale che
sia la finalità perseguita “se non paghi ti ammazzo”; detto ciò bisogna poi andare a
verificare se la finalità per la quale la minaccia è stata posta in essere sia giusta o
ingiusta: se il soggetto ha minacciato il male di per sé ingiusto per una finalità giusta,
vi sono gli estremi per un esercizio arbitrario delle proprie ragioni; diversamente se
il soggetto ha minacciato il male di per sé ingiusto per una finalità ingiusta, il fatto
integra gli estremi dell’estorsione.
Quando si prospetta un male che di per sé è giusto “se non paghi ti faccio causa” si
tende a verificare se il diritto preteso risulta ragionevolmente fondato, ed in tal caso
la minaccia non sussiste; mentre sussiste quando il diritto risulta privo di
fondamento.
Le ipotesi più problematiche sono quelle che consistono nella prospettazione
dell’esercizio di un diritto
ESEMPIO: il soggetto prospetta di non rinnovare la locazione se la controparte non si
decide a pagare un canone più alto;
ESEMPIO: il soggetto prospetta di vendere ad un giornale fotografie compromettenti
se non viene pagata una somma di denaro.
Non c’è dubbio che l’esercizio di un diritto non può essere considerato un male.
D’altra parte però si è fatta sempre più strada l’idea che si possa andare a valutare
anche la finalità per la quale l’esercizio del diritto viene prospettato, distinguendo
tra esercizio legittimo ed abuso del diritto. In questa prospettiva, l’esercizio di un
diritto può dirsi illegittimo quando viene esercitato in maniera disfunzionale rispetto
agli scopi per cui l’ordinamento attribuisce il diritto stesso.
ESEMPIO: pubblicare fotografie carpite nel rispetto della legge è connesso a finalità
di informazione e non all’arricchimento personale. In tal caso si tratterebbe quindi di
minaccia di un male ingiusto.
Un mezzo di per sé giusto, diviene ingiusto per le finalità ingiuste.
Ad ogni modo, violenza e minaccia di un male ingiusto devono produrre un effetto
di costrizione della vittima (evento psichico) dal quale deve derivare l’evento
ulteriore del fare od omettere, vale a dire l’atto dispositivo.
Infine, come ultimo evento abbiamo le conseguenze del profitto e del danno.
violenza e minaccia costrizione atto dispositivo profitto e danno
Il momento di perfezionamento del delitto, è connesso al verificarsi di un danno
patrimoniale in capo alla vittima, che tuttavia dipende da come si concepisce
l’evento del danno, ovvero se si richiede un danno effettivo o solo potenziale. Se si
esige un danno effettivo, perché il delitto si perfezioni è necessario che si produca
l’effettiva diminuzione patrimoniale
ESEMPIO: se è stato consegnato un assegno si deve comunque attendere la
riscossione
Se invece si ritiene sufficiente il danno potenziale, già la consegna dell’assegno
integra la fattispecie perfetta.
Trattandosi di un reato di evento, è configurabile il tentativo, purché siano posti in
essere atti idonei ed univoci e, nonostante ciò, l’attività criminosa si sia fermata,
indipendentemente dalla volontà del reo, prima che questo conseguisse un profitto,
con un danno per altri. È, peraltro, configurabile sia il tentativo incompiuto, come
nel caso in cui una lettera minatoria non sia pervenuta al destinatario perché
intercettata dalla polizia, sia il tentativo compiuto, il quale sussiste, ad esempio,
qualora l'agente venga arrestato prima della consegna di una somma di denaro da
parte della vittima.