Sei sulla pagina 1di 85

Esecuzione penale

Diritto dell'esecuzione penale (B000341)

4 0
Manuale dell'esecuzione penitenziaria

PRINCIPI COSTITUZIONALI E NORMATIVA PENITENZIARIA

1. Principi costituzionali e fase esecutiva della pena


La sent. definitiva di condanna fa venir meno la presunzione di non colpevolezza (art. 27.2
Cost.) e apre il procedimento destinato a dare attuazione alla pronuncia giudiziale.
Il passaggio alla fase esecutiva non segna una caduta delle garanzie riconosciute all’imputato
fin dall’inizio del procedimento penale, ma un loro adattamento al sopravvenuto status di
condannato.
La fase esecutiva tiene conto dei principi costituzionali dettati per il procedimento di
cognizione:
art. 25.2 Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso. Principio di legalità: la sanzione deve essere prefissata dalla legge in maniera
da consentire però l’adeguamento alle circostanze in base al principio retributivo.
art. 13.2 La pena deve essere legalmente determinata per atto motivato dell’autorità giudiziaria
nei soli casi e modi previsti dalla legge (= attraverso una sent. di condanna definitiva).
e dei principi costituzionali specificatamente dedicati alla fase esecutiva:
art. 13.4 E’ punita ogni violenza fisica o morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà. La norma rende costituzionalmente compatibile una pena restrittiva della libertà
personale e la coazione implicita nella sua applicazione, mentre qualifica come illecita ogni
violenza fisica o morale non finalizzata a consentire l’esecuzione della pena.
art. 27.3 Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato. La pena restrittiva della libertà personale non è in sé
contraria al senso di umanità (ma potrebbe diventarlo attraverso modalità vessatorie
dell’esecuzione). La pena non esaurisce i suoi fini nella retribuzione del reato, ma il legislatore
deve porsi anche il problema del rientro del condannato nella società dalla quale si è
autoescluso con il reato, una volta che la pena abbia termine.
Il principio rieducativo è forse più implicito nella pena non detentiva -> anche da questo deriva
la scelta, oggi prevalente, del legislatore contraria all’espiazione carceraria delle pene detentive
brevi, la quale risulterebbe essenzialmente retributiva e fortemente antieducativa.
In questo contesto, la stessa pena pecuniaria, anche se non accompagnata da un trattamento
rieducativo, può essere considerata anch’essa rieducativa secondo quanto previsto per tutte le
pene dall’art.27.3.
Ciò non toglie che il principio rieducativo sia da perseguire in concreto con riguardo particolare
alle pene carcerarie, per impedire che venga assunta valenza esclusiva dalla componente
afflittiva concretantesi nella restrizione della libertà personale.

2. La pena rieducativa come interesse sociale più che individuale


Tutte le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, ciò non solo per il
‘miglioramento del reo’, ma anche per tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la
delinquenza.
Avendo la pena per sua natura contenuto afflittivo, la finalità del rieducare è affidata
principalmente ai modi della sua esecuzione: l’efficacia rieducativa non dipende solo dalla
durata della pena, ma soprattutto dal suo regime di esecuzione.

4 0
Di qui un invito al legislatore a delineare una esecuzione flessibile, ricca di istituti e misure
rieducative capaci di tener conto e di stimolare l’evoluzione della personalità e della condotta
del soggetto.
L’art. 27.3 Cost. non esclude che la pena sia polifunzionale né introduce alcuna presunzione che
con l’espiazione della pena il condannato sia stato rieducato.
Esso non consente una rieducazione coattiva: la norma auspica che vi sia una spontanea
collaborazione del condannato quale premessa essenziale per la sua rieducazione.
L’art. 27.3, però, non fornisce elementi ulteriori in grado di dare una contenuto concreto alla
‘rieducazione’ che il legislatore deve perseguire attraverso l’esecuzione della pena. La Corte
Cost. ha proposto l’endiadi ravvedimento del condannato - reinserimento nel corpo sociale,
precisando che il secondo deve essere conseguenza del primo (sent. 274/1983).
Si può concludere che l’art. 27.3 esclude la logica custodialistica (quella del Codice Rocco, per
cui la pena è lo strumento per isolare per il tempo determinato in sentenza gli autori del reato
ritenuti meritevoli della privazione della libertà personale) e abbraccia la logica rieducativa
manifestando, non l’obiettivo di escludere dal contesto sociale chi se ne è dimostrato indegno,
ma la preoccupazione del rientro di tale soggetto nella società una volta che la pena abbia
avuto termine.

3. Riflessi processuali dell’art. 27 co. 3 Cost.


L’art. 27.3 pone in luce la necessità che tutte le pene abbiano funzione rieducativa, ma non
detta alcuna regola consequenziale al raggiungimento o meno dell’obiettivo.
Se ne potrebbe dedurre che la Cost. esprime una preferenza per il rientro nella società di chi si
è rieducato attraverso l’espiazione, ma non gli assicura alcun vantaggio rispetto a chi, non
rieducato, comunque a fine pena rientrerà nella società.
Questa interpretazione va respinta sulla base di una lettura sistematica e logica della norma:
esigere l’espiazione integrale della pena da un soggetto già rieducato significa applicare una
pena per definizione non rieducativa -> incostituzionale. Inoltre, la percezione da parte del
condannato dell’inutilità della collaborazione alla rieducazione potrebbe tradursi in minor
stabilità della stessa.
La Corte Cost., infatti, ha più volte difeso e auspicato quegli istituti, penitenziari e non,
finalizzati al recupero sociale del reo.
Non è consentito presumere che con l’espiazione integrale della pena si sia realizzata la
rieducazione del condannato, ma non è nemmeno sempre necessario attendere l’espiazione
integrale della pena per poter riconoscere l’avvenuta rieducazione.
Del resto, la finalità rieducativa non è conseguita necessariamente con la permanenza in
carcere fino alla decorrenza finale della pena inflitta, ma può essere stimolata, incoraggiata e
perseguita con modalità esplicative extracarcerarie, che risultano non il premio o la ricompensa
della rieducazione conseguita, ma una modalità di conseguimento.
Dall’art. 27.3 Cost., quindi, si ricava direttamente l’obbligo per il legislatore di tenere non solo
presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a
realizzarle e le forme atte a garantirle. Obbligo che ha costituito il leit motiv di tutte le riforme
succedutesi a partire dal 1975.
In particolare, in tema di regime di sorveglianza speciale, la Corte Cost. ha chiarito che
l’accentuata tutela della sicurezza, se legittima un regime differenziato, non fa venir meno la
finalità rieducativa.
Il forte richiamo alla giurisdizione nella fase esecutiva della pena ha come premessa una
valutazione dell’insufficienza della scelta del legislatore di demandare agli organi
dell’amministrazione penitenziaria la salvaguardia dei diritti e degli interessi dei soggetti

4 0
detenuti, non essendovi altrimenti controllo che l’uso della discrezionalità tecnica non degradi
in potere incontrollato dell’amministrazione. Ne è seguito un processo di spostamento a favore
della giurisdizione sia del potere di assumere decisioni che del potere di controllare l’esplicarsi
dell’azione amm. in ambito penitenziario. L’ampliamento della giurisdizione risponde ad un
bisogno di legalità nella fase esecutiva della pena, premessa indispensabile per il rispetto della
dignità della persona detenuta e per la sua risocializzazione.
La scelta a favore della giurisdizione non può dirsi completa se non si privilegia una
giurisdizione rieducativa: si è puntato sulla giurisdizione di sorveglianza. In controtendenza, ma
con l’obiettivo di sollevare la magistratura di sorveglianza da un eccesso di carico di lavoro,
sono la valutazione dell’esito della messa alla prova (giudica di cognizione) e l’applicazione del
lavoro di pubblica utilità ai tossicodipendenti (giudice con sent. di condanna o
patteggiamento).

4. La finalità rieducativa: contenuto ed estrinsecazioni nella normativa penitenziaria


La rieducazione non può essere raggiunta coattivamente, ma vi è la necessità della attiva
collaborazione del soggetto interessato.
La pena inflitta è stata determinata tenendo conto della gravità del fatto e della personalità del
reo (art. 133 cp). L’espiazione della pena e il decorso del tempo non possono incidere sulla
gravità del fatto come evento naturale e giuridico, ma possono modificare la personalità el reo.
La rieducazione cui mira l’art. 27.3 non è l’accettazione supina delle regole dell’ambiente in cui il
condannato è costretto a vivere, senso di responsabilità e correttezza nel comportamento
personale, nella attività organizzate negli istituti (che possono essere perseguiti e assicurati
anche coattivamente), ma va verificata nel fattivo operare del condannato nella società esterna
-> cessazione della pericolosità sociale, innocuizzazione del reo, garanzia che al ritorno nella
società libera non seguirà la ripresa della propensione a delinquere o il cedimento alle occasioni
di reato.
A fronte di una società aperta e pluralista, è da escludere che la rieducazione debba coincidere
con l’imposizione di un modello dominante o con una deprivazione della personalità: rieducato
non è colui che, trovandosi nella condizioni in cui ha commesso il reato, si asterrebbe dal
commetterlo ma colui che, in qualsiasi condizione (anche ideale per l’impunità), si asterrebbe
dal delinquere, riconoscendo il valore della regola più che il timore della sanzione.
In questa prospettiva si collocano le Regole minime per il trattamento dei detenuti del Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa (Risoluzione 5/1973), sulla scia del testo approvato
dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1955. E le norme del sistema penitenziario introdotte
dopo il 1975.
L’affermazione a livello costituzionale del principio rieducativo impone un dovere di
adempimento da parte del legislatore.
- la rinuncia a chiedere una osservazione della personalità, per almeno 3 mesi in istituto
- la previsione di un avviso al condannato circa la possibilità di ottenere una misura alternativa
senza una previa detenzione
- la rinuncia a richiedere per l’affidamento in prova senza osservazione in istituto che il
condannato abbia subito un periodo di custodia cautelare
- la scelta di favorire l’impiego delle misure alternative anche in assenza della pronuncia
dell’organo competente.

5. La legislazione penitenziaria e le norme di riferimento

4 0
Il nucleo centrale della normativa penitenziaria è la legge 354/1975 - Norme sull’ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà - e il D.P.R. 431/1976
- Approvazione del regolamento di esecuzione della legge 354/1975.
Segnano l’uscita dalla c.d. stagione dell’emergenza la legge 304/1982 - Misure per la difesa
dell’ordine costituzionale - e legge 532/1982 istitutiva del tribunale della libertà.
Legge 663/1986 (Gozzini) - Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà. Rivalorizza il fine rieducativo della pena, ma
introduce il regime di sorveglianza particolare (41-bis) per una nuova emergenza, quella della
criminalità organizzata.
D.P.R. 248/1989 modifiche al regolamento penitenziario
Legge 395/1990 Ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria
D.L. 152/1991 conv. L.203/1991 Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata
D.L. 306/1992 conv. L.356/1992 Modifiche urgenti al cpp e provvedimenti di contrasto alla
criminalità organizzata
D.L. 187/1993 conv. L. 296/1993 Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonché
sull’espulsione dei cittadini stranieri
L. 165/1998 (Simeone-Saraceni) ha ridisegnato la fase esecutiva della pena sia sotto il profilo
degli adempimenti successivi alla sent. di condanna a pena detentiva sia sotto quello
dell’accesso alle misure alternative alla detenzione
D.P.R. 230/2000 Nuovo regolamento di esecuzione
L. 193/2000 Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti
L. 40/2001 (rivista dalla l.62/2011) Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra
detenute madri e figli minori
L. 277/2002 Modifiche alla l. 354/1975 in materia di liberazione anticipata
L. 279/2002 Modifiche degli artt. 4-bis e 41-bis della l. 354/1975 (materia poi regolata ex novo
con la l.94/2009)
D.P.R. 136/2012 Interviene sul Regolamento del 2000 con una Carta dei diritti e dei doveri del
detenuto e dell’internato.

4 0
LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA E I SOGGETTI
DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

1. La magistratura di sorveglianza
= giudice ordinario e specializzato, cui è affidato il compito di garantire che nel corso della fase
esecutiva la pena sia sempre adeguata all’evoluzione della personalità del condannato e
rimanga funzionale al raggiungimento del fine rieducativo.
art. 68 I magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non debbono essere adibiti ad altre
funzioni giudiziarie.
L’articolazione interna della magistratura di sorveglianza si fonda sugli UFFICI DI
SORVEGLIANZA = costituiti nelle sedi individuate dalla Tabella A l.354/1975,
composti da diversi magistrati di sorveglianza (di cassazione, di appello o di tribunale), ognuno
dei quali ha giurisdizione su singole CIRCOSCRIZIONI di tribunale comprese nella giurisdizione
complessiva dell’ufficio. Il magistrato di sorveglianza opera come giudice monocratico rispetto
alla circoscrizione di tribunale a lui attribuita.
Presso ciascun Distretto di Corte d’Appello e in ogni circoscrizione territoriale di sezione
distaccata di Corte d’Appello è istituito il TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA (art. 70).
Composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione +
esperti in psicologia, pedagogia, psichiatria, criminologia, servizio sociale (nominati dal CSM per
periodi triennali rinnovabili).
Il Tribunale di Sorveglianza opera quale giudice collegiale composto da:
- Presidente del Tribunale (magistrato di Cass. o, nelle sedi distaccate di Corte d’Appello,
magistrato d’Appello) -> in caso di assenza o impedimento il collegio è presieduto dal
magistrato di sorveglianza che segue il pres. nell’ordine delle funzioni giudiziarie e, a parità di
funzioni, nell’anzianità
- un magistrato di sorveglianza
- 2 esperti
Uno dei due giudici togati deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è
posto il condannato o l’internato in ordine alla cui posizione si deve provvedere. Per garantire
che uno dei componenti del collegio abbia una conoscenza diretta del soggetto e possa
valutare al meglio gli aspetti della personalità.
Il collegio decide a maggioranza: in caso di parità prevale il voto del presidente

Competenza per materia


Il tribunale di sorveglianza e il magistrato di sorveglianza esercitano funzioni giurisdizionali su
materie differenti.
Magistrato di sorveglianza (art. 678 cpp, art. 71):
- rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie
- remissione del debito
- applicazione, esecuzione, trasformazione e revoca delle misure di sicurezza
- esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata
- dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere
+ previsioni speciali:
- concessione della liberazione anticipata (art. 69-bis)
- limitazioni e controlli della corrispondenza dei detenuti (art. 18-ter)
- sospensione dell’esecuzione della pena in attesa della decisione del tribunale di
sorveglianza sull’istanza di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47)
o alla semilibertà (art. 50)

4 0
- applicazione provvisoria della detenzione domiciliare rispetto ai condannati in esecuzione
di pena (art. 47-ter)
- rimedi risarcitori in conseguenza della violazione dell’art. 3 CEDU (art. 35)
Tribunale di sorveglianza (art. 70, artt. 682, 683, 684 cpp):
- concessione, revoca o cessazione dell’affidamento in prova al servizio sociale (compresi i
casi particolari d.p.r. 309/1990)
- detenzione domiciliare, semilibertà, liberazione condizionale
- revoca della riduzione di pena conseguente alla liberazione anticipata
- concessione e revoca della riabilitazione
- differimento obbligatorio o facoltativo della esecuzione delle pene detentive, delle misure
di sicurezza detentive e delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà
controllata
- estinzione della pena in conseguenza della liberazione condizionale e dell’affidamento in
prova al servizio sociale
+ giudice d’appello per le decisioni del magistrato di sorveglianza in tema di misure di sicurezza
o riguardanti la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere
+ competenza a decidere i reclami avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza in
materia di permessi e di riduzione della pena per liberazione anticipata
+ competenza sui reclami riguardanti l’applicazione del regime di sorveglianza particolare
Non è espressamente regolata l’ipotesi di incompetenza per materia -> trova applicazione
analogica, in quanto compatibile, la disciplina codicistica.

Competenza per territorio


Criterio del locus custodiae: la competenza per territorio appartiene al tribunale o al magistrato
che ha giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato al
momento dell’instaurazione del procedimento di sorveglianza (art. 677 cpp).
Eventuali mutamenti del luogo di detenzione o la scarcerazione dopo l’instaurazione del
procedimento non incidono sulla competenza già radicata.
(Parte della giurisprudenza ritiene che, se l’esecuzione delle misure alternative alla detenzione
si svolge in luogo diverso, rientrante nella competenza per territorio di un altro giudice,
quest’ultimo diviene competente anche per decidere sull’eventuale revoca della misura stessa.
Sul punto permane un contrasto giurisprudenziale).
Quando l’interessato non è detenuto o internato la competenza appartiene al tribunale o al
magistrato che ha giurisdizione sul luogo di residenza o domicilio del soggetto.
Se domicilio e residenza sono ignoti, la competenza spetta al tribunale o al magistrato del
luogo in cui fu pronunciata la sentenza; in caso di più sentenza, del luogo in cui fu pronunciata
quella divenuta irrevocabile per ultima (art. 677.2 cpp).
Nell’ipotesi di richiesta di applicazione di misure alternative alla detenzione avanzata dal
condannato al quale è stato notificato l’ordine di esecuzione sospeso, la competenza spetta al
tribunale avente giurisdizione sul luogo in cui ha sede l’ufficio del pm che ha emesso l’ordine di
esecuzione delle pene detentive (art. 656 co. 5-6).
In relazione all’esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, la competenza
spetta al magistrato del luogo di residenza del condannato (art. 62 l. 689/1981).
Competente a decidere sull’istanza di sospensione dell’esecuzione della pena è il tribunale del
luogo di residenza dell’interessato per d.p.r. 309/1990 (art. 91).
Quando i provvedimenti di liberazione condizionale, assegnazione al lavoro all’esterno,
concessione di permessi premio e ammissione alle misure alternative alla detenzione sono
adottati nei confronti di persona sottoposta a speciali misure di protezione, la competenza

4 0
spetta al tribunale o magistrato del luogo in cui ha sede la Commissione centrale per la
definizione e applicazione delle speciali misure di protezione (d.l. 8/1991 conv. l.82/1991).
Manca una specifica disciplina per l’incompetenza territoriale: si applicano analogicamente, in
quanto compatibili, le regole dettate dal cpp.

2. L’amministrazione penitenziaria
Fin dal r.d. 1718/1922, l’amministrazione penitenziaria è affidata al Ministero della Giustizia
(conferma d.lgs. 300/1999).
La materia penitenziaria è attribuita al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP).
Organi decentrati del DAP sono i Provveditorati Generali, i quali operano nel settore degli
istituti e servizi per adulti sulla base di programmi e direttive del DAP e nei rapporti con gli enti
locali, le regioni e il Servizio sanitario nazionale.
A ciascun provveditorato è preposto un dirigente superiore degli istituti di prevenzione e di
pena con funzioni di Provveditore Regionale, dipendente gerarchicamente dal Direttore
generale dell’amministrazione penitenziaria.

5. L’educatore
art. 80 Inizialmente operante solo nel settore penitenziario minorile, ha fatto il suo primo
ingresso negli istituti per adulti nel 1997. Funge da elemento di raccordo tra il detenuto e
l’istituzione penitenziaria.
Ha il compito di stimolare l’adesione del detenuto al progetto di trattamento nell’ambito della
rieducazione, incoraggiando le motivazioni positive e l’impegno dei soggetti affinché ognuno di
essi sviluppi un atteggiamento collaborativo e costruttivo. Sostiene il detenuto in un percorso
di revisione critica del proprio vissuto, attraverso l’individuazione e rimozione delle cause che
hanno determinato il comportamento deviante e l’accettazione di nuovi valori etici e sociali.

Attività di osservazione
L’educatore partecipa all’attività di osservazione scientifica della personalità dei detenuti ed
internati. L’attività di osservazione si basa soprattutto sullo strumento del colloquio.
Inoltre, l’educatore dispone di altri strumenti operativi, tra i quali, in particolare, l’osservazione
‘partecipata’, in cui sono coinvolti numerosi altri soggetti istituzionali in grado di fornire
informazioni relative al comportamento del detenuto.
All’interno degli istituti è creato un GRUPPO DI OSSERVAZIONE E TRATTAMENTO (GOT):
gruppo dalla composizione variabile, del quale fanno parte le diverse figure che interagiscono
con il detenuto nel contesto carcerario (assistente sociale, personale di pp, volontari), sotto il
coordinamento dell’educatore.
L’educatore funge da elemento di continuità tra il GOT e l’EQUIPE DI OSSERVAZIONE: gruppo di
operatori più ristretto, presieduto dal direttore dell’istituto, composto da educatore, assistente
sociale, medico, un rappresentante della pp, professionisti art. 80 secondo le necessità.
Di tutte le informazioni raccolte, l’educatore rende atto attraverso una registrazione sintetica
nella cartella personale.
L’educatore ha la SEGRETERIA TECNICA del GOT:
- mantiene i collegamenti tra i diversi componenti dell’équipe
- predispone la documentazione e gli atti relativi all’osservazione, aggiornando i casi
- assicura che il rapporto di sintesi venga formulato nei tempi normativamente previsti (9 mesi
rapporto di sintesi = conclude la fase di osservazione scientifica della personalità
1. parte -> informazioni esperienza di vita del soggetto prima del suo ingresso in istituto
2. parte -> programmi di intervento ritenuti più adeguati per il suo reinserimento sociale.

4 0
Attività di trattamento dei condannati e di sostegno degli imputati
L’educatore si occupa del trattamento rieducativo dei condannati e internati (art. 82). Può
adottare strategie individuali o di gruppo, coordinandosi con tutto il personale addetto
all’attività di rieducazione.
Inoltre, l’educatore si occupa del sostegno ai soggetti imputati, rispetto ai quali non si può
configurare un vero e proprio percorso rieducativo. L’educatore si occupa dello svolgimento di
attività ‘educative’ nei confronti degli imputati, consistenti nell’offerta di interventi diretti a
sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali, quando sia consentito (disponibilità
dell’interessato - limitazioni all’attività in comune per ragioni processuali).

9. Uffici di esecuzione penale esterna


(l. 154/2005 -> art. 72) Sono articolazioni territoriali ed operative dell’amm. penitenziaria,
autonome rispetto agli istituti e alla magistratura di sorveglianza, il cui più importante ambito di
intervento attiene all’esecuzione delle sanzioni penali non detentive e della misure alternative
alla detenzione. La funzione principale è quella di aiutare il condannato, soprattutto nel
mantenimento o nella ricostruzione dei legami affettivi e lavorativi, sia durante la detenzione
sia nella fase del reinserimento.
Su tutto il territorio nazionale sono attualmente presenti 58 Uepe e 29 sedi distaccate.
Le competenze degli Uepe si dividono in due aree di intervento, a secondo della attinenza a:
1. Attività degli istituti di pena
- Su richiesta del direttore degli istituti, consulenza per favorire il buon esito del trattamento
- Assistenza alle famiglie dei soggetti ristretti, nella prospettiva di conservare e migliorare i
rapporti dei detenuti con i familiari; il direttore dell’istituto di pena può sollecitare
l’intervento degli operatori sociali presso i familiari che non mantengono rapporti con il
detenuto
- Si occupano del trattamento del dimettendo, assistenza ai dimessi e sostegno alle famiglie
nella fase che precede il ritorno del detenuto
- Vigilanza e assistenza nei confronti dei soggetti ammessi al regime di semilibertà o di lavoro
all’esterno
- Forniscono al condannato e ai servizi assistenziali territoriali le indicazioni utili a stabilire
validi collegamenti per gli eventuali problemi di competenze degli enti locali, nella fase di
esecuzione dei permessi premio
- Presenza all’interno di numerose commissioni che operano all’interno degli istituti
2. Magistratura di sorveglianza
- Svolgimento, su richiesta del magistrato di sorveglianza, delle inchieste necessarie a fornire i
dati occorrenti sia per l’applicazione, la modificazione e la proroga delle misure di sicurezza,
sia per il trattamento dei condannati
- Assistenza e sostegno dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza non detentive o misure
alternative alla detenzione
In particolare, nei confronti dei soggetti ammessi all’affidamento in prova al servizio sociale
e alla detenzione domiciliare - proposta del programma di trattamento
- controllo sulle condotte del condannato
l. 10/2014 -> art. 47.8 In casi di urgenza, il direttore dell’Uepe può autorizzare deroghe
temporanee alle prescrizioni cui deve attenersi l’affidato, dandone immediata
comunicazione al magistrato di sorveglianza.
(norma ispirata ad una sorta di ‘principio di sussidiarietà’, che consente di alleggerire il
magistrato di sorveglianza da un ingente numero di richieste ed è più congeniale alle
esigenze pratiche e di celerità in caso di urgenza).

4 0
- Competenza in relazione all’affidamento in prova e alla libertà controllata dei
tossicodipendenti e alcooldipendenti
- Consulenza rispetto ai provvedimenti della magistratura di sorveglianza
- L. 67/2014 competenze in materia di messa alla prova (art. 646-bis cpp):
- redazione del programma di trattamento, all’esito di un’indagine socio-familiare
- controllo dell’imputato
- riferire al giudice sull’andamento della prova, al max. ogni 3 mesi
- relazione conclusiva sul corso e l’esito della prova

4 0
TRATTAMENTO DEI DETENUTI

Tipologie di istituti
Il Titolo II L. 354 si occupa delle disposizioni relative all’organizzazione penitenziaria e, in
particolare, della tipologia degli istituti.
art. 8 d.lgs.272/1989 (+ art. 59) propone la prima generale distinzione:
• ISTITUTI PER ADULTI
• ISTITUTI PER MINORENNI
Per i minori, nell’attuazione dei compiti istituzionali, ci si avvale anche della collaborazione di
esperti in pedagogia, psicologia, sociologia e criminologia.
Le pene detentive e le misure di sicurezza si eseguono come le modalità previste per i
minorenni, anche nei confronti di coloro che nel corso dell’esecuzione abbiano compiuto il
18esimo anno di età, ma non il 25esimo. Sempre che, per quanti abbiano già compiuto il
21esimo anno di età, non ricorrano particolari ragioni di sicurezza.
Le suddette disposizioni si applicano anche quando l’esecuzione ha inizio dopo il compimento
del 18esimo anno di età.
art. 59 Gli istituti penitenziari per adulti si differenziano, a loro volta, in relazione alle diverse
finalità del trattamento penitenziario sottese alle diverse realtà detentive:
• ISTITUTI DI CUSTODIA CAUTELARE (art. 60)
• ISTITUTI PER L’ESECUZIONE DELLE PENE (art. 61)
Si distinguono in:
• case di arresto: per l’espiazione della pena dell’arresto
• case di reclusione: per l’espiazione della pena della reclusione
Sebbene il cp preveda tre diverse pene detentive (anche l’ergastolo), il legislatore ha ritenuto
di non prevedere un istituto apposito, in adeguamento a quanto emerso dall’esperienza
passata, che ha dimostrato la negatività di un raggruppamento di individui tutti sottoposti a
pena perpetua.
Per quanto concerne le case di arresto, l’esiguo numero di condannati da assegnare a tali
istituti ne ha comportato la mancata istituzione -> nei rari casi in cui vi sia da scontare la pena
dell’arresto ci si serve degli istituti di custodia cautelare.
Sezioni di case di arresto possono essere istituite presso le case di custodia mandamentali o
circondariali, mentre sezioni di case di reclusione possono essere istituite solo presso le case di
custodia circondariali.
In assenza di dette sezioni, il provveditore regionale dell’amm. penitenziaria, per esigenze
particolari, può assegnare i condannati alla pena dell’arresto o della reclusione alle case di
custodia cautelare.
Ciò costituisce un’eccezione alla regola della distinzione tra imputati e condannati.
• ISTITUTI PER L’ESECUZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA (art. 62)
Sono gli istituti per l’esecuzione delle m.s. detentive destinati ad ospitare gli ‘internati’ che, a
causa della loro pericolosità sociale, siano sottoposti ad una delle m.s. previste dal cp: colonie
agricole, case di lavoro, case di cura e custodia, ospedali psichiatrici giudiziari
(è in atto il processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, il cui completamente
doveva avvenire entro il 31 marzo 2015).
• CENTRI DI OSSERVAZIONE (art. 63)
La loro sfera di azione può essere definita di tipo ‘diagnostico’ e si snoda in 4 settori di attività:
1. attività di osservazione scientifica della personalità dei condannati e degli internati
2. attività di consulenza per analoghe attività di osservazione svolte dagli operatori nei singoli
istituti ordinari di assegnazione

4 0
3. perizie medico-legali sulle persone sottoposte a procedimento penale
4. ricerca scientifica volta a definire i criteri e metodi di osservazione e di trattamento.
Poi, vi sono:
• ISTITUTI A CUSTODIA ATTENUATA PER DETENUTE MADRI (c.d. ICAM)
Strutture extracarcerarie, concepite per sopperire a particolari esigenze, come l’interesse del
minore in tenera età a godere dell’affetto e delle cure materne in una fase nevralgica del suo
sviluppo psico-fisico. Tali esigenze sono tutelate dalla Costituzione (tutela della famiglia, diritto-
dovere di educazione dei figli, protezione dell’infanzia) e da normative sovranazionali, anche in
situazioni di privazione della libertà personale dei soggetti cui esse fanno capo.
art. 285-bis cpp Se la persona da sottoporre a custodia cautelare è donna incinta o madre di
prole di età < 6 anni o padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a
dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso uno dei predetti istituti, ove
le esigenze cautelari lo consentano.
art. 47-quinquies Salvo nei confronti delle madri condannate per uno dei delitti art. 4-bis,
l’espiazione di almeno 1/3 della pena o di almeno 15 anni può avvenire presso un istituto a
custodia attenuata per detenute madri, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli.
Gli istituti sono organizzati in unità di piccole dimensioni chiuse o semi-chiuse, dotate di sistemi
di sicurezza non riconoscibili dai bambini, con eliminazione di ogni riferimento all’edilizia
carceraria, con spazi dedicati alle attività ludiche dei bambini, e con personale di pp senza
divisa.
• CASE FAMIGLIA PROTETTE
art. 284 cpp Il giudice può disporre gli arresti domiciliari presso una di queste case, ove sia
istituita.
art. 47-ter La pena della reclusione non > 4 anni, anche se costituente parte residua di maggior
pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate in dette case, quando trattasi di
donna incinta o madre di prole di età < 10 anni con lei convivente.
art. 47-quinquies In caso di detenzione domiciliare, nelle predette ipotesi, in caso di
impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la
stessa può essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite.
art. 4 l.62/2011 Le caratteristiche tipologiche delle case famiglia protette sono determinate con
decreto del Ministro della Giustizia, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali
-> decreto 26 luglio 2012
- collocate in località dove sia possibile l’accesso ai servizi territoriali, socio-sanitari e
ospedalieri e che possano usufruire di una rete integrata sia a sostegno del minore sia dei
genitori
- consentire agli ospiti una vita quotidiana ispirata a modelli comunitari, tenuto conto del
prevalente interesse del minore
- ospitano non oltre 6 nuclei di genitori con relativa prole
- le stanze dovranno tener conto delle esigenze di riservatezza e differenziazione venutesi a
determinare per l’estensione del dettato anche ai soggetti di sesso maschile
- camere di pernottamento e servizi igienici sono distinti; sono in comune i servizi
indispensabili per il funzionamento della struttura (cucina, lavanderia)
- previsti spazi da destinare al gioco dei bambini
- previsti locali da destinare alle esigenze di istruzione differenziata sulla base dell’età dei
minori
- previsto un ambiente per le visite mediche

4 0
- previsto un locale, di dimensioni sufficientemente ampie, per consentire gli incontri personali
(colloqui con gli operatori, i rappresentanti del territorio e del sociale, incontri e contatti con
gli altri figli e i familiari).
• ISTITUTI A CUSTODIA ATTENUATA PER IL TRATTAMENTO DEI TOSSICODIPENDENTI
(c.d. ICATT)
art. 95 d.p.r. 309/1990 La pena detentiva nei confronti di persona condannata per reati
commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendente deve essere scontata in istituti
idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi.

Trattamento dei detenuti


= insieme delle regole di condotta rivolte ai condannati e agli internati
Nell’ordinamento abbiamo
- trattamento penitenziario in senso ampio e generale : operante indiscriminatamente nei
confronti di tutti i soggetti in vinculis
- trattamento in senso specifico e ristretto (c.d. rieducativo) : rivolto in via esclusiva a
condannati e internati
- trattamento riservato ai soli imputati
La normativa italiana discende dalla Cost. e dalle Convenzioni internazionali, in particolare
Regole penitenziarie europee Racc. 3/1987 (rivista con la Racc. 2/2006).
art. 1 Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto
della dignità della persona.
Esso è improntato ad un’assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità,
razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina. Non possono essere adottate
restrizioni non giustificabili con le predette esigenze o, nei confronti degli imputati, non
indispensabili a fini giudiziari.
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.
Se si tratta di imputati, il loro trattamento deve essere informato al principio che essi non
possono essere considerati colpevole sino alla condanna definitiva (= persone sottoposte alle
indagini).
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo
che tenda, anche attraverso contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli
stessi -> interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali e a
promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali e
delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale.
Gli strumenti a tal fine utilizzati sono l’istruzione, il lavoro, la religione, i contatti con il mondo
esterno, le attività culturali, sportive, ricreative.
Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche
condizioni dei soggetti -> principio della INDIVIDUALIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO.
-> art. 13 Il trattamento deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun
soggetto.
Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l’osservazione scientifica della
personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.
L’osservazione va compiuta all’inizio dell’esecuzione e in prosecuzione, in modo che, in base ai
risultati, sia compilato il relativo programma.
Il programma va approvato con decreto del magistrato di sorveglianza, può essere integrato e
modificato nel corso dell’esecuzione.
Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite nella cartella personale.

4 0
I principi direttivi del trattamento possono essere modulati, sulla scorta di specifiche esigenze,
in funzione della specifica categoria dei soggetti che ne siano destinatari.
Trattamento di rigore per:
- Detenuti e internati art. 4-bis
- Tossicodipendenti e minori
- Condannati per reati sessuali nei confronti di minori (art. 13-bis essi possono sottoporsi a un
trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno)
- Appartenenti alle forse dell’ordine: Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Corpo della Guardia
di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Corpo di Polizia Penitenziaria (per questi ultimi è
prevista l’esecuzione della pena negli stabilimenti penali militari)
Per i collaboratori di giustizia (d.m. 144/2006):
- Godono dei diritti e sono sottoposti ai doveri previsti dalla legge dell’ord. pen. e dal reg. esec.
- Le modalità di esercizio dei diritti e di adempimento dei doveri possono essere modificate
soltanto al fine di garantire la genuinità delle dichiarazioni, di assicurare la riservatezza nonché
di tutelare l’incolumità personale del detenuto o internato
- Nei loro confronti l’Amm. penitenziaria deve adottare, a richiesta della autorità preposte alla
loro tutela e, in caso di urgenza, di propria iniziativa, le misure di protezione necessarie ad
assicurare l’incolumità personale
- La direzione dell’istituto di pena deve altresì adottare tutte le misure di sostegno e di
trattamento, compatibili con le esigenze di sicurezza, idonee ad evitare che le condizioni di vita
di tali soggetti risultino deteriori rispetto a quelle degli altri detenuti
- Provvedimenti immediati che devono essere prontamente adottati: misure necessarie ad
evitare l’incontro con altre persone che collaborano con la giustizia, colloqui a fini investigativi,
comunicazioni epistolari, telefoniche o telegrafiche, specifiche misure volte a garantire la
sicurezza.

I rapporti e i colloqui con il difensore


art. 24.2 Cost. diritto alla difesa tecnica = diritto all’assistenza da parte di un esercente la
professione legale per tutta la durata dello stesso procedimento
Nell’ord. pen. manca una norma che riconosca il diritto al colloquio con il proprio difensore al
condannato o internato. Ne deriverebbe che i colloqui con i difensori resterebbero disciplinati
dall’art. 18, che prevede la destinazione ad essi degli appositi locali a ciò specificatamente
predisposti, distinti da quelli utilizzati per gli altri colloqui.
Il colloquio con il difensore quindi dovrebbe essere ricondotto ai colloqui in genere con altre
persone e quindi sarebbe sottoposto ad un provvedimento di autorizzazione del direttore (->
così si demanderebbe alla discrezionalità della amm. pen. la possibilità di limitare e comprimere
un diritto costituzionalmente garantito qual è quello di difesa.
La C.Cost. (sent. 212/1997) ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 18 nella parte in cui esso non
prevede che il detenuto, condannato in via definitiva, ha diritto di conferire con il difensore fin
dall’inizio dell’esecuzione della pena e senza alcuna valutazione discrezionale dell’amm.
Anche per la corrispondenza con il difensore si riproponeva analoga situazione normativa, oggi
risolta con la l.95/2004 -> art. 18-ter.
Per quanto riguarda la possibilità di sottoporre ad intercettazione le conversazioni o le
comunicazioni intercorrenti tra il condannato detenuto e il proprio difensore, l’art. 103.5 cpp le
vieta, ma sembra fissare (al contrario di quello che accade per corrispondenza e colloqui) una
regola valida per tutti, imputati e condannati (si parla di ‘persone assistite’).

4 0
Per i soggetti sottoposti al 41-bis sono previsti limiti anche per i colloqui con i difensori: max. 3
volte alla settimana un colloquio o una telefonata della stessa durata di quelli previsti con i
familiari.

La corrispondenza
La corrispondenza epistolare e telegrafica non subisce alcuna compressione (al contrario di
quanto prevedeva il Codice Rocco). L’amm. pen. deve porre a disposizione di coloro che ne
siano sprovvisti, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza stessa e,
settimanalmente, gratuitamente, ai detenuti che non possono provvedervi a loro spese,
l’occorrente per scrivere una lettere e per l’affrancatura ordinaria.
La corrispondenza, sia in arrivo che in partenza, è sottoposta a ispezione al fine di impedire
l’introduzione o la spedizione di valori o oggetti non consentiti (però no controlli sullo scritto).
Questa materia è disciplinata dalla legge 95/2004, elaborata alla luce delle numerose condanne
dell’Italia da parte della CorteEDU, per violazione dell’art. 8.2 CEDU (tutela della vita privata e
familiare, del domicilio, della corrispondenza) e art. 13 CEDU (ricorso di fronte a un’istanza
nazionale in caso di violazione dei diritti CEDU).
Del resto, forti dubbi erano stati sollevati in ordine alla sua compatibilità con l’art. 15 Cost., che
ammette limitazioni della libertà e segretezza di comunicazione e corrispondenza solo per atto
motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
art. 18-ter Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati ovvero per
ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere previsti, per una durata non > 6
mesi, prorogabile per periodi non > 3 mesi
A. limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa
B. sottoesposizione della corrispondenza a visto di controllo
C. controllo del contesto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della
medesima
Immunità per la corrispondenza indirizzata a: soggetti art. 103.5 cpp (difensori, investigatori
privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, consulenti tecnici e loro ausiliari),
autorità giudiziaria, autorità art. 35 (direttore dell’istituto, ispettori, capo del Dipartimento
dell’amm. pen., Ministro della Giustizia, magistrato di sorveglianza, autorità giudiziarie e
sanitarie in visita all’istituto, Presidente della Giunta Regionale, Capo di Stato), membri del
Parlamento, Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono
cittadini, organismi internazionali amm. o giudiziari preposti alla tutelare dei diritti dell’uomo
cui l’Italia partecipa.
Tali provvedimenti sono adottati con decreto motivato, su richiesta del pm o del direttore
dell’istituto, da parte del magistrato di sorveglianza.
Il detenuto o l’internato possono proporre reclamo al tribunale di sorveglianza, se il provv. è
stato adottato dal magistrato di sorveglianza.
Avverso l’ordinanza pronunciata all’esito del reclamo è ammesso il ricorso per Cass.
Nel caso del visto di controllo, se il magistrato di sorveglianza non vi provvedere direttamente,
può delegare il controllo al direttore o a un appartenente all’amm. pen. designato dal direttore.
Se l’autorità giudiziaria ritenga, poi, che la corrispondenza non debba essere consegnata,
dispone che la stessa sia trattenuta (pre-sequestro); il detenuto ne deve essere
immediatamente informato.
Nel caso di controllo delle buste, l’apertura delle buste deve essere effettuata alla presenza del
detenuto o dell’internato.
Le S.U.Cass. hanno escluso la legittimità di un controllo occulto della corrispondenza,
affermando che la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazione artt. 266 ss.

4 0
cpp non è applicabile alla corrispondenza e che, pertanto, si devono seguire le forme del
sequestro di corrispondenza artt. 254 e 353 cpp.
art. 38 reg. es. La direzione può consentire la ricezione di fax (solo in arrivo); possono essere
sottoposti alle stesse limitazioni della corrispondenza epistolare.
Telefonate. art. 39 reg. es. Sono escluse quelle in arrivo: l’interessato avrà soltanto notizia del
nominativo della persona che ha chiamato, purché non ostino particolari ragioni di cautela.
Nel caso in cui la chiamata provenga da congiunto o convivente anch’esso detenuto, si dà corso
alla conversazione, purché entrambi siano stati autorizzati.
Le telefonate verso l’esterno sono ammesse con i congiunti o i conviventi, ovvero con persone
diverse, allorché ricorrano ragionevoli e verificati motivi. Una volta a settimana, non + 10 minuti.
Quando si tratta di detenuti 4-bis: max. 2 colloqui al mese; si può derogare,
- per motivi di urgenza o particolare rilevanza
- se si tratta di conversazione con prole di età inferiore a 10 anni
- nel caso di trasferimento del detenuto
Il detenuto deve rivolgere un’istanza scritta all’autorità competente al rilascio
dell’autorizzazione (per il detenuto il direttore), indicando il numero richiesto e le persone con
cui vuole parlare. L’autorizzazione è efficace fino a che non intervenga la revoca o fino a che
sussistano i motivi indicati. Il contatto telefonico poi è stabilito dal personale dell’istituto.
E’ possibile disporre controlli sul contenuto delle telefonate. L’autorità giudiziaria può disporre
che le conversazioni vengano ascoltate e registrate a mezzo di idonee apparecchiature.
La registrazione è sempre disposta detenuto 4-bis.
Circolare Dipartimento amm. pen. 26 aprile 2010 Devono essere consentite le chiamate ai
cellulari, ai detenuti comuni di media sicurezza che non abbiano effettuato colloqui visivi né
telefonici per un periodo di almeno 15 giorni, nel rispetto della procedura delineata.
Collaboratori di giustizia: si applicano le disposizioni artt. 18 - 18-ter e 38-39 reg. es.
Può essere concessa l’autorizzazione al colloquio telefonico con propri familiari o conviventi
sottoposti a protezione mediante connessione ad utenza cellulare, purché il Servizio centrale di
protezione attesti la disponibilità dell’utenza da parte del familiare o del convivente. La
connessione sarà effettuata dalla direzione dell’istituto tramite il personale addetto e a spese
del detenuto.

Permessi di necessità
Permesso = strumento attraverso il quale si consente al detenuto di trascorrere un breve
periodo di tempo nell’ambiente libero, con l’obbligo del rientro nella struttura penitenziaria alla
scadenza del termine in esso stabilito.
L’istituto del permesso è stato introdotto con la riforma del 1975 (nel progetto di riforma si era
previsto un permesso di tipo premiale).
art. 30 Permessi di necessità. Concessi in caso di:
- imminente pericolo di vita di un familiare o convivente
- eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità
- il co. 2 prevedeva la possibilità che fossero concessi anche per gravi e accertati motivi
(rimessi all’apprezzamento del magistrato) -> 1977 ulteriore restrizione.
Prima di concedere l’istanza, l’autorità procedente deve assumere informazioni sulla
sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di pubblica sicurezza, e accertare la
pericolosità della persona destinata a fruire del permesso.
Qualora emergano elementi che possano far dubitare sullo spontaneo rientro in istituto o sul
pericolo di commissione di reati, è possibile la concessione del permesso con la scorta.

4 0
In ogni caso, in caso di imminente ed accertato pericolo di vita di un familiare o convivente, il
detenuto ha comunque diritto ad essere ammesso a fruire del beneficio onde recarsi a visitare
l’infermo, eventualmente con la scorta.
Competente sulla concessione del premesso è il magistrato di sorveglianza (x condannato o
internato) o l’autorità giudiziaria (x imputati), con decreto motivato.
Particolari problemi di competenza sorgono in relazione all’ipotesi in cui l’interessato sia
detenuto in duplice veste di condannato e di imputato.
Cass.: da un lato, ha ritenuto sufficiente la pronunzia del solo giudice della cognizione, dall’altro
(ma in modo minoritario), ha ritenuto la necessità di una doppia pronuncia, rilevando la
diversità dei criteri di valutazione che devono, in punto, essere utilizzati (il magistrato di sorv.
dovrà basarsi sulla condotta tenuta in carcere, il giudice procedente sulle esigenze del proc. in
corso).
Il permesso può avere durata max. 5 giorni, oltre al tempo necessario per raggiungere il luogo e
per fare ritorno. Il giudice, oltre a specificare l’obbligo della scorta, deve stabilire le opportune
prescrizioni (osservanza di particolari orari, presentazione alle autorità di pubblica sicurezza,
obblighi di permanenza nel domicilio per un tempo determinato).
Se il detenuto non fa rientro nell’istituto penitenziario senza giustificato motivo,
qualora l’assenza si protragga per > 3h ma < 12h -> punizione disciplinare
qualora l’assenza si protragga per > 12 h -> delitto di evasione (art. 385 cp).
Per l’internato:
qualora l’assenza si protragga per < 3h -> punizione disciplinare
qualora l’assenza si protragga per > 3h -> l’esecuzione della misura di sicurezza dovrebbe
ricominciare a decorrere per intero dall’inizio.
Il provvedimento di concessione o revoca del permesso è reclinabile, entro 24h (a pena di
inammissibilità), al Tribunale di Sorveglianza (x condannati) o alla Corte d’Appello (x imputati).
Secondo un primo orientamento, la decisione poi non si considerava ricorribile per Cass.;
questo orientamento è stato superato dalla giurisprudenza successiva che ha invece ritenuto il
permesso una misura incidente sulla libertà personale, come tale tutelabile ex art. 111.7 Cost.
mediante lo strumento del ricorso per Cass. per violazione di legge.

Permessi premio
Introdotto a seguito della Riforma Gozgzini 1986 -> art. 30-ter, rivisitato dal d.l. 78/2013 conv. l.
94/2013.
E’ parte integrante del programma di trattamento, in quanto consente un iniziale reinserimento
del condannato nella società.
Possono essere concessi solo ai condannati. Sulla base di una valutazione del comportamento
del detenuto nel corso dell’espiazione della pena.
Se si tratta di condanna alla reclusione non > 4 anni -> in qualsiasi momento dell’esecuzione
Se si tratta di condanna alla reclusione > 4 anni -> dopo l’espiazione di almeno 1/4 della pena
Condannati all’ergastolo -> dopo l’espiazione di almeno 10 anni
Condannati 4-bis -> dopo l’espiazione di almeno metà della pena, comunque non oltre 10 anni
art. 30-quater (l. 251/2005) Per i detenuti ai quali sia stata applicata la recidiva art. 99 cp:
Se si tratta di condanna alla reclusione non > 4 anni -> dopo espiazione di almeno 1/3 della pena
Se si tratta di condanna alla reclusione > 4 anni -> dopo l’espiazione di almeno metà della pena
Condannati all’ergastolo -> dopo l’espiazione di 2/3 della pena, comunque non oltre 15 anni.
Nei confronti dei soggetti che hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso
commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione della misura restrittiva della libertà
personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi 2 anni dalla commissione del fatto.

4 0
Tre requisiti:
1. che il condannato abbia tenuto regolare condotta = costante senso di responsabilità e
correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate dagli istituti e nelle
eventuali attività lavorative o culturali. Parere obbligatorio, ma non vincolante, del direttore
dell’istituto
2. che il condannato non risulti socialmente pericoloso = giudizio prognostico circa la
probabilità che il soggetto commetta nuovi fatti di reato in futuro
3. che il permesso consenta di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro
Il provvedimento è adottato dal magistrato di sorveglianza con decreto motivato.
E’ ammesso reclamo al Tribunale di Sorveglianza.
La durata del permesso non può superare 45 giorni in ciascun anno di espiazione della pena. Il
singolo permesso non può avere durata > 15 giorni. Il tempo necessario per raggiungere il luogo
di fruizione del permesso non si aggiunge alla durata del beneficio.
(Per i minori singolo permesso 30 giorni, tot 100 giorni in un anno).
Il tempo trascorso dal detenuto in permesso è computato ad ogni effetto nella durata della
misura restrittiva della libertà personale.
Nei casi di mancato rientro o se il soggetto si dimostra non meritevole del beneficio, il tempo
invece è escluso dal computo della pena o della misura con decreto motivato del magistrato di
sorveglianza. In caso di mancato rientro si applica la stessa normativa prevista per i permessi di
necessità.
La concessione dei permessi premio non può essere accordata:
- al condannato che sia stato riconosciuto colpevole del delitto di evasione
- al condannato nei confronti del quale è stata disposta la revoca di una misura alternativa
- ai condannati per taluni delitti art. 4-bis, nei cui confronti si procede o è pronunciata
condanna per un delitto doloso punito con la reclusione non < nel max. 3 anni, commesso da
chi ha posto in essere una condotta punibile ex art. 385 cp ovvero durante il lavoro
all’esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa
- ai condannati per i delitti di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, se
hanno cagionato la morte del sequestrato (devono aver espiato almeno 2/3 pena irrogato o
26 anni nel caso dell’ergastolo).

Licenze
L’art. 30-ter si riferisce esclusivamente ai condannati -> l’istituto si estende anche agli imputati e
gli internati?
La limitazione ai condannati è una precisa scelta del legislatore.
Il permesso premio fa riferimento al trattamento rieducativo proprio dei condannati,
trattamento non compatibile con la figura degli imputati.
Poi, per gli imputati tutte le esigenze alle quali è preordinato il permesso possono essere
soddisfatte dalla normativa in tema di misure cautelari, diverse e alternative alla custodia in
carcere.
Per gli internati, analoghe esigenze possono essere soddisfatte dall’istituto delle licenze art. 53
- licenza di 6 mesi nel periodo immediatamente precedente la scadenza fissata per il riesame
della pericolosità
- licenza non > 15 giorni per gravi esigenze personali o familiari
- licenza non > 30 giorni una volta all’anno al fine di favorire il riadattamento sociale
- stesse licenze art. 52 previste per condannati per gli internati in semilibertà.

4 0
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

Le misure alternative mirano a risolvere le tre principali esigenze del sistema penitenziario
contemporaneamente: rieducazione del reo, effettività della pena e governo della popolazione
carceraria.
Una prima categoria di m.a. viene applicata già dal giudice della cognizione, al quale è attribuito
il potere di scegliere, allorché deve pronunciare una sent. di condanna a pene brevi, una
sanzione diversa dalla pena tradizionale -> sanzioni sostitutive l. 689/1981 (semidetenzione,
libertà controllata, pena pecuniaria), d.lgs. 274/2000 (pene applicabili dal giudice di pace), l.
49/2006 (lavoro di pubblica utilità per il condannato tossicodipendente).
Una seconda categoria di m.a. è stata attribuita alla competenza del magistrato di sorveglianza,
il quale ha il potere di sostituire, in presenza di determinati requisiti oggettivi e di merito, la
pena detentiva inflitta dal giudice di cognizione con misure di natura diversa (ma tutte
accomunate dal fatto di comportare un distacco, totale o parziale, dall’istituto penitenziario) ->
misure alternative alla detenzione
l. 354/1075, riforma Gozgzini (l. 663/1986) e riforma Simeone-Saraceni 1998 -> Capo VI l. 354
+ liberazione condizionale artt. 176 ss.

Recidiva
Il sistema delle m.a. è stato profondamente modificato, in senso restrittivo, dalla legge
251/2005 legge ex Cirielli. Essa prevede la RECIDIVA REITERATA quale fatto ostativo o limitativo
ai fini della concessione delle m.a.
Recidiva = fatto di chi, dopo essere stato condannato per un delitti non colposo, ne commette
un altro (art. 99 cp)
non più = fatto di chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro
La recidiva si è svincolata dalla reiterazione, anche occasionale, di reati, per ancorarsi
esclusivamente alla ricaduta volontaria del condannato nel delitto.
In questa nuova accezione la recidiva assume una funzione di orientamento decisiva:
commettere un altro delitto non colposo, dopo che si è già stati dichiarati recidivi, è indice
rivelatore che il sistema penitenziario, nella sua proiezione special-preventiva, nei confronti di
quel condannato non ha funzionato, così che questi non merita un trattamento caratterizzato
da m.a.
Di recente, il legislatore, però, sembra aver invertito la rotta, abrogando molte delle previsioni
della legge 251.
- il riferimento alla recidiva reiterata è scomparso dagli artt. 47-ter e 50-bis (determinazione
della pena da espiare per essere ammessi alla detenzione domiciliare e alla semilibertà)
- è rimasto negli artt. 30-quater (permessi premio) e 58-quater (affidamento in prova,
detenzione domiciliare, semilibertà non + di 1 volta al condannato al quale sia stata applicata
la recidiva).
Alla stessa ratio della non meritevolezza prevista dalla legge 251, si ispira l’art. 58-quater,
secondo il quale l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova
al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concesse per
un periodo di 3 anni al condannato colpevole di evasione.

4 0
AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
Avrebbe dovuto costituire la forma più ampia e completa di m.a.
Le aspettative però rimasero deluse per due ordini di ragioni:
1. Parziale coincidenza dell’ambito di applicazione dell’affidamento con la sospensione
condizionale della pena. Nella stesura originaria, la pena detentiva inflitta non poteva essere
superiore a 2 anni e 6 mesi di reclusione (sospensione condizionale 2 anni) -> coincidenza
totale tra i due istituti, che si risolveva a favore della sospensione -> situazione residuale di
condannati a pena non sospesa che difficilmente poteva aspirare all’affidamento in prova.
2. Disciplina dell’istituto, soprattutto periodo di osservazione (per almeno 3 mesi) prima della
decisione del tribunale di sorveglianza.
La riforma del 1986 ha rivoluzionato il contenuto dell’affidamento, poi riforma l. 165/1998.

Pena detentiva inflitta


art. 47 Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al
servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
L’individuazione del significato di pena detentiva inflitta ha dato luogo a forti contrasti in
dottrina e giurisprudenza. Malgrado il significato letterale della norma fosse evidente (= pena
stabilita in concreto dal giudice con la sent. di condanna), cominciò a farsi strada
un’interpretazione logica della norma, secondo la quale doveva intendersi la pena residua da
espiare in concreto -> in particolare, il problema si pose per le condanne per le quali era
intervenuta una causa estintiva della pena, tale da ridurre la sanzione da espiare entro il limite
dei 3 anni.
sent. Cass. 1989 La pena inflitta rimane sempre quella irrogata con la sent. o le sent. di
condanna, influendo le cause estintive soltanto nella determinazione della pena in concreto da
eseguire. Non poteva però considerarsi pena inflitta quella estinta a seguito di amnistia
impropria.
Il tribunale di sorveglianza di Brescia sollevò giudizio di legittimità dell’art. 47 nella parte in cui
considerava ostativo il limite di pena dei 3 anni con riferimento anche al cumulo di pene inflitte
con diverse sent. di condanna ciascuna con sanzione inferiore a 3 anni -> C.Cost. sent. 386/1989
dichiarò illegittimo l’art. 47 nella parte in cui non prevedeva, nelle ipotesi di pene cumulate o
espiate senza soluzione di continuità, la detraibilità delle pene rilevante ai fini della
determinazione del limite dei 3 anni. Inoltre, sottolineò l’irrazionalità dell’esclusione dal
computo, ai fini della valutazione dell’ammissibilità dell’istanza di affidamento, di quelle pene
venute meno proprio per la causa principale di consumazione della pena, l’espiazione.
La questione non poteva restare confinata nell’ambito del cumulo delle pene inflitte con
diverse sent. di condanna, ma doveva estendersi a tutte le ipotesi nelle quali l’espiazione della
pena, inflitta anche con un’unica sentenza, facesse residuare una pena non > 3 anni.
Ordinanza interlocutoria 509/1990 il principio di scioglimento progressivo del cumulo doveva
essere inteso anche con riferimento a pene inflitte con unica sent. per una pluralità di reati.
Sent. 17/1992 Interpretò l’art. 47 nel senso che l’affidamento in prova poteva essere concesso in
tutti i casi in cui il residuo di pena inferiore a 3 anni si riferisse a una pena irrogata per un unico
reato.
art. 14-bis l. 356/1992 interpretazione autentica dell’art. 47: deve trattarsi della pena da espiare,
tenuto conto anche dell’applicazione di eventuali cause estintive.
Si fa riferimento alla pena residua da espiare in concreto, dopo aver detratto da quella inflitta la
pena eventualmente estinta e quella eventualmente già espiata dal condannato (Cass. 1993).
Alla base di questa interpretazione sta la considerazione che lo status di condannato ad una
pena ab origine < 3 anni deve ritenersi analogo, sotto il profilo del trattamento penitenziario, a

4 0
quello del condannato ad una pena più lunga, che residua da espiare 3 anni. Ciò che invece non
si giustifica è la detrazione della pena estinta per altre cause, nota di natura clemenziale
all’interno dell’ordinamento che perdurerà fino a quando esisteranno gli istituti dell’amnistia e
dell’indulto.
Il nuovo significato di ‘pena detentiva inflitta’ ha fatto assumere all’affidamento in prova una
funzione completamente diversa da quella per la quale era stato concepito dal legislatore ->
m.a. oggi applicabile a tutte le condanne, alla sola condizione che restino da espiare non + di 3
anni.
Questa interpretazione però pone un problema di sovrapposizione dell’affidamento con la
liberazione condizionale, da sempre destinata alle pene > 30 mesi -> si dà la precedenza
all’affidamento, per il quale sono richieste condizioni meno rigorose rispetto al ‘sicura
ravvedimento’ previsto per la liberazione condizionale; la l.c. troverà spazio nelle ipotesi di
pena residua > 3 anni.

L’affidamento senza osservazione in istituto


art. 47 co. 2 Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della
personalità, condotta collegialmente per almeno 1 mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere
che il provvedimento stesso contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del
pericolo che egli commetta altri reati.
La necessità dell’osservazione in istituto oggi deve ritenersi di fatto abolita.
Una delle critiche più frequenti all’affidamento in prova era quella di prevedere come
necessaria l’osservazione in istituto e quindi l’inizio dell’esecuzione della pena in carcere.
Poi riforma 1986 co. 3 L’affidamento in prova poteva essere disposto senza osservazione
quando il condannato, dopo un periodo di custodia cautelare, avesse goduto di un periodo di
libertà serbando un comportamento tale da consentire il giudizio co. 2.
sent. C.Cost. 569/1989 Illegittimo il co.3 nella parte in cui non prevedeva che, anche
indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o custodia cautelare, il condannato
potesse essere ammesso all’affidamento se, in presenza delle altre condizioni di legge, avesse
serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al co. 2.
l. 165/1998 attuale formulazione co. 3 L'affidamento in prova al servizio sociale può essere
disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la
commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al co. 2.
Prima si prevedeva che l’interessato, che si trovasse in stato di libertà, dovesse presentare
istanza al pm competente per l’esecuzione affinché non emettesse l’ordine di esecuzione o
sospendesse l’ordine già emesso ma non eseguito, nell’attesa della pronuncia del tribunale di
sorveglianza al quale doveva trasmettere gli atti per la decisione (entro 45 giorni - termine
ordinatorio).
Oggi la procedura è regolata dall’art. 656.5 cpp, che prevede una sospensione ex officio da
parte del pm, nell’ipotesi in cui il condannato a pena detentiva non > 3 anni possa beneficiare
dell’affidamento, o della detenzione domiciliare, la semilibertà o la sospensione della pena.
L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al suo
difensore, con l’avviso che, entro 30 giorni, possono presentare istanza volta ad ottenere una
misura alternativa.
L’istanza è trasmessa dal pm al tribunale di sorveglianza unitamente alla documentazione. Il
tribunale decide entro 45 giorni (termine ordinatorio).
D.l. 78/2013 conv. l. 94/2013 -> art. 656 co. 4-bis Il pm, prima di emettere l’ordine di esecuzione,
deve verificare, in riferimento agli eventuali periodi di custodia cautelare patiti dal condannato,
se, computando (idealmente) le detrazioni che al condannato spetterebbero per la condotta

4 0
tenuta in tali periodi, la pena residua rientri nei limiti di cui all’art. 656.5. In tal caso, il pm deve
trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza, affinché provveda all’eventuale applicazione
della liberazione anticipata e solo dopo la decisione del tribunale potrà emettere provv.
sospensivi o di carcerazione.
Non per coloro che si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la
sent. diviene definitiva (il pm deve mantenere la carcerazione, ma, sussistendo gli altri
presupposti co. 4-bis inviare gli atti al tribunale per la decisione sulla liberazione anticipata) né
per i condannati per i delitti art. 4-bis.
Prima della legge 165/1998 ci si chiedeva se il procedimento di affidamento senza osservazione
in istituto potesse applicarsi anche al condannato in regime di arresti domiciliari.
La Cass. era contrastante.
art. 656 co. 10 Nella situazione co. 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto
oggetto della condanna da eseguire e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del co.
4-bis non > limiti co. 5, il pm sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli
atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di
una delle misure alternative. Il condannato non ritorna in libertà, ma fino al momento della
decisione permane nello stato detentivo e il tempo corrispondente è considerato come pena
espiata.

Applicazione provvisoria della misura


art. 47 co. 4 Se l'istanza di affidamento è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della
pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui
l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione
del condannato (-> ordina l’applicazione provvisoria dell’affidamento), quando sono offerte
concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento
in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia
pericolo di fuga.
L’applicazione provvisoria opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il
magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro 60 giorni.
Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena, e non può essere accordata altra
sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.
Si trattava di una norma eccessivamente rigorosa -> il legislatore ha ammesso che l’istanza
rigettata potesse successivamente essere riproposta in presenza di nuovi elementi di prova che
la rendessero ammissibile.
Alla luce di tutte queste osservazioni, il requisito dell’osservazione in istituto deve ormai
ritenersi abrogato, sia nel caso di condannato libero che nel caso di detenuto.
L. 10/2014 -> co. 3-bis Nuova ipotesi applicativa della misura alternativa al condannato che deve
espiare una pena, anche residua, non > 4 anni, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno
precedente alla richiesta, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al co. 2. Il
comportamento da prendere in considerazione può essere stato trascorso dal condannato
tanto in espiazione di pena o di misura cautelare, quanto in libertà.

Prescrizioni
art. 47 co. 5 All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il
soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà
di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.
co. 7 Nel verbale deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della
vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.

4 0
Queste costituiscono le prescrizioni minime obbligatorie imposte, in ogni caso, a tutti gli
affidati. Ma possono essere imposte anche altre prescrizioni.
co. 6 Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di
affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un
comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di
svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.
Il verbale delle prescrizioni deve essere sottoscritto dall’affidata; dalla sottoscrizione ha inizio
l’affidamento in prova.
co. 8 Nel corso dell’affidamento, le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di
sorveglianza. In caso di urgenza, su proposta del direttore dell’Uepe, il magistrato di
sorveglianza può autorizzare deroghe temporanee alle prescrizioni.

Revoca
art. 47 co. 11 L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla
legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
Occorre una deliberazione iniziale del magistrato di sorveglianza diretta a stabilire se la
violazione sia tanto grave da determinare un’incompatibilità con la prosecuzione della prova (la
violazione non grave potrebbe comportare solo un inasprimento delle prescrizioni).
Il magistrato di sorveglianza investe il tribunale di sorveglianza competente a decidere sulla
revoca. Egli dispone la sospensione dell’affidamento, ordinando l’accompagnamento del
trasgressore in istituto, e trasmette gli atti al tribunale. La decisione deve intervenire entro 30
giorni dalla ricezione degli atti (termine perentorio, a pena di inefficacia della sospensione).
Il procedimento di revoca può essere instaurato anche in assenza della sospensione o anche al
di fuori dell’iniziativa del magistrato di sorveglianza (la richiesta di revoca può essere
presentata direttamente dal pm).
Questione dibattuta in passato era se il tempo intercorso tra l’inizio dell’affidamento e
l’esecuzione del provv. di revoca potesse essere considerato interamente quale pena espiata.
sent. C.Cost. 185/1985 Nel caso di revoca non dipendente da un fatto colpevole del condannato
(annullamento più che revoca), il tempo trascorso in affidamento doveva essere considerato
interamente quale periodo di pena espiata e quindi la revoca doveva operare ex nunc.
La revoca, invece, avrebbe dovuto operare ex tunc in tutti i casi in cui fosse collegata alla
violazione di leggi o di prescrizioni e dipendere da un fatto colpevole del condannato, che così
dimostrava di non essere meritevole della misura.
La questione venne riproposta -> sent. 343/1987 dichiarato illegittimo il co. 11 art. 47 nella parte
in cui, nel caso di revoca per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova,
non consente al tribunale di determinare la residua pena da espiare, tenuto conto della durata
delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il periodo di
affidamento.
La sent. affida al tribunale di sorveglianza il potere discrezionale di determinare quanta parte
del periodo trascorso in affidamento possa considerarsi come pena espiata, e quindi il potere di
rideterminare la pena inflitta dal giudice penale di cognizione (solo però in favore del reo).
La sent. inoltre ha riconosciuto che anche le limitazioni della libertà personale diverse dalla
custodia in carcere e dagli arresti domiciliare hanno un costo per il soggetto che le subisce, e
pertanto vanno ragguagliate ad un certo periodo di espiazione di pena in carcere -> illegittimità
art. 177 in tema di revoca della liberazione condizionale. Ma andrebbero riviste anche tutte
quelle norme in tema di misure coercitive di cui dovrebbe tenersi conto nei casi in cui segue una
condanna a pena detentiva.

4 0
Esito positivo della prova
art. 47 co. 12 L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro
effetto penale.
Anche la pena pecuniaria? Il tribunale di sorveglianza, qualora l'interessato si trovi in disagiate
condizioni economiche, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già
riscossa (d.l. 272/2005 conv. l. 49/2006, dopo sent. Cass. 1995 in senso contrario).
Inoltre, l’esito positivo esclude la rilevanza della condanna ai fini della recidiva (Cass. 2011).
Dubbi sul significato di esito positivo:
1. Scadenza del periodo di prova, senza che siano intervenute revoche -> esito positivo
automatico, quindi basterebbe una decisione de plano per decretare gli effetti esistitivi che
scaturiscono
2. Non devono essere intervenute cause di revoca + l’affidato deve aver dimostrato in positivo
di aver tratto profitto dalla prova -> valutazione della magistratura di sorveglianza che
garantisca il contraddittorio prima della decisione del tribunale di sorveglianza
Nonostante qualche decisione giurisprudenziale nel senso più rigoroso, appare difficile
contestare l’esito positivo della prova allorché l’affidato non abbia tenuto un comportamento
incompatibile con la prosecuzione della prova.

Casi particolari di affidamento in prova


art. 47-bis (l. 297/1985, l. 663/1986) Disciplina particolare di affidamento in prova per tossico/
alcol dipendenti. Poi abrogato per ragioni di coordinamento con art. 94 d.p.r. 309/1990 (oggi
riformato dal d.l. 272/2005 conv. l. 49/2006).
1. Se la pena detentiva non > 6 anni (4 anni art. 4-bis) deve essere eseguita
2. nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente (certificato)
3. che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi
l'interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per
proseguire o intraprendere l'attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato
con una unità sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata.
Alla domanda deve essere allegata, a pena di inammissibilità, certificazione rilasciata da una
struttura sanitaria pubblica attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza e la
idoneità, ai fini del recupero del condannato, del programma concordato.
Per il resto, valgono le stesse condizioni previste per l’affidamento in prova nei casi ordinari.
Se la domanda è presentata prima che l’ordine di carcerazione sia eseguito, si seguirà la
procedura art. 656 cpp, altrimenti si applica l’art. 94, che prevede la presentazione della
domanda al magistrato di sorveglianza, il quale può disporre l’applicazione provvisoria della
misura.
Poi gli atti vanno trasmessi al tribunale di sorveglianza che deve decidere entro 45 giorni dal
ricevimento dell’istanza (termine ordinatorio).
co. 3 Il tribunale, anche acquisendo copia degli atti del procedimento (mentre di solito il
tribunale di sorveglianza prescinde dagli atti del processo di cognizione), deve accertare la
validità del programma terapeutico concordato e l’attualità ed effettività dello stato di tossico/
alcool dipendenza.
A questo punto si pone il quesito se questa regola possa essere considerata manifestazione di
un principio generale da valere per qualsiasi accertamento della magistratura di sorveglianza? Si
ritiene che la risposta debba essere la meno restrittiva, posto che né le norme relative
all’esecuzione né quelle relative al processo di cognizione, pongono limitazioni ai poteri di
indagine del giudice.

4 0
co. 4 L’esecuzione della pena si considera iniziata dalla data del verbale di affidamento.
Tuttavia, qualora il programma terapeutico risulti già in corso al momento della decisione, il
tribunale può determinare una diversa data di decorrenza dell’esecuzione, più favorevole.
co. 5 Prevedeva che la sospensione non potesse essere disposta più di 2 volte (mentre per
quella ordinaria non vi era alcun limite). La legge. 10/2014 ha abrogato il co. 5.
co. 6 bis Qualora nel corso dell’affidamento l’interessato abbia positivamente terminato la
parte terapeutica del programma, il magistrato di sorveglianza, precisa rideterminazione delle
prescrizioni, può disporne la prosecuzione ai fini del reinserimento sociale anche quando la
pena residua superi quella prevista per l’affidamento ordinario.
co. 6 ter Obblighi di segnalazione all’autorità giudiziaria da parte del responsabile della
struttura delle violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma. L’omessa
denuncia, qualora le violazioni integrino un reato, comporta una comunicazione dell’autorità
giudiziaria alle autorità amm. per la sospensione o revoca dell’autorizzazione artt. 116 e
dell’accreditamento art. 117.

DETENZIONE DOMICILIARE
l. 663/1986 art. 47-ter -> per colmare la lacuna della mancanza di una misura intermedia tra
l’espiazione della pena nel carcere e l’espiazione fuori dal carcere attraverso l’affidamento in
prova o la liberazione condizionale, ancora più evidente dopo che era stato introdotto l’istituto
degli arresti domiciliari tra le misure cautelari.
Modifiche poi l. 165/1998, l. 40/2001, l. 251/2005 generalizzazione dell’applicazione agli
ultra70enni, purché non delinquenti abituali, professionali, per tendenza o recidivi.
La norma non si applica a
- condannati per reati Libro II Titolo XII Capo III sez. 1 e artt. 609-bis, quater, octies cp
- condannati art. 51 co. 3bis cpp
- condannati 4-bis -> non si applicano le preclusioni alla d.d. speciale per detenute madri e alla
d.d. ordinaria per donna incinta o madre di prole di età < 10 anni o padre in condizioni
analoghe, quando la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata (sent. C.Cost. 239/2014).

Requisiti oggettivi e soggettivi


art. 47-ter La pena della reclusione non > 4 anni, anche se costituente parte residua di maggiore
pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro
luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza quando si
tratta di
- donna incinta o madre di prole di età < 10 anni con lei convivente
- padre, esercente la potestà, di prole di età < 10 anni con lui convivente, quando la madre sia
deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole
- persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i
presidi sanitari territoriali
- persona di età > 60 anni, se inabile anche parzialmente
- persona < 21 anni per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia
+ madre o padre convivente con figlio portatore di handicap totalmente invalidante (sent.
C.Cost. 350/2003)
co. 1-bis La d.d. può essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non
> 2 anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, quando non ricorrono i
presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad
evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.
Non si applica ai condannati per reati 4-bis -> divieto assoluto (Cass. 5600/1999)

4 0
La d.d. biennale è del tutto svincolata dai requisiti soggettivi del co. 1.
co. 1-ter Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione
della pena artt. 146-147 cp, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite co. 1,
può disporre l’applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo il termine di durata, che
può essere prorogato.
Così, da un lato, si evita al condannato di dover rinviare l’esecuzione della pena che può essere
subito espiata in forma alternativa anche se supera il residuo di 4 anni; dall’altro, sono costretti
al regime domiciliare condannati anche pericolosi che per ragioni di salute avrebbero
acquistato la libertà.

Procedimento
Se è iniziata l’esecuzione della pena, l’istanza si propone al tribunale di sorveglianza.
Nel caso in cui vi sia un grave pregiudizio dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza è
rivolta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura
(poi trasmette l’ordinanza al tribunale immediatamente, per la decisione definitiva entro 60 g).
Il giudice deve accertare le condizioni di cui al co.1 e verificare l’opportunità concreta del
trattamento alternativo.
Nel disporre la d.d., il tribunale ne fissa le modalità ex art. 284 cpp -> può imporre al
condannato particolari limiti e divieti di comunicare con persone diverse da quelle che con lui
coabitano o lo assistono o autorizzare il condannato ad assentarsi nel corso della giornata dal
luogo della detenzione per il tempo strettamente necessario per provvedere alle indispensabili
esigenze di vita se versa in assoluta indigenza o mancano persone che possono provvedervi.
La d.d. è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni
dettate, appare incompatibile con la concessione della misura. E’ vietata concedere una nuova
misura per 3 anni.
La d.d. deve essere revocata (r. obbligatoria) quando vengono a cessare le condizioni co. 1 e 1-
bis. Il divieto è definitivo.
Il periodo trascorso in d.d. deve considerarsi a tutti gli effetti come pena espiata.
L’allontanamento senza giustificato motivo del condannato dalla propria abitazione comporta
la punizione per il reato di evasione -> dalla denuncia sospensione del beneficio e revoca.
sent. C.Cost. 173/1997 Illegittimo l’automatismo della sospensione a seguito di denuncia per
evasione: spetterà al magistrato di sorveglianza verificare, caso per caso, se la condotta
presenti le caratteristiche soggettive o oggettive del reato di evasione, disponendo in caso
positivo la sospensione.
sent. C.Cost. 177/2009 Censurata la differenza di trattamento tra la d.d. generica e la d.d.
speciale (artt. 47-quinquies e sexies), nella quale è previsto un regime più flessibile per i ritardi
(per i ritardi < 12h è precluso ogni automatismo della revoca).
Muovendo dal presupposti di identità di ratio (tutela del minore), la C.Cost. ha ritenuto
irragionevole che la madre di prole < 10 anni, che abbia da scontare una pena < 4 anni, per
l’ipotesi di ritardo di rientro nel domicilio, subisca un trattamento sanzionatorio, più severo di
quella che, in uguali condizioni, abbia ancora da espiare una pena di durata maggiore.
-> incostituzionalità art. 47-ter nella parte in cui non limita la punibilità dell’evasione al solo
allontanamento > 12 h.

Il condannato nei confronti del quale è disposta la d.d. non è sottoposto al regime
penitenziario. Non si applicano né le norme sul regime interno degli istituti né quelle sulle spese
dell’amm. pen (nessun onere grava sull’amm. pen. per il mantenimento, la cura, l’assistenza
medica).

4 0
Sono, invece, applicabili tutte le norme previste dalla legge pen. e dal reg. es. che concernono
gli elementi del trattamento e le misure alternative alla detenzione, di cui il condannato in d.d.
potrà usufruire alla stessa stregua degli altri condannati.

l. 199/2010 (stabilizzata con la l. 9/2012) -> esecuzione presso il domicilio delle pene detentive
non > 18 mesi, anche se costituenti parte residua di maggior pena.
No:
- condannati 4-bis
- delinquenti abituali, professionali, per tendenza
- detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare
- se vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga
- o sussistono specifiche ragioni per ritenere che possa commettere altri delitti
- o non sussiste l’idoneità e l’effettività del domicilio.
Quando la pena detentiva non > 18 mesi, il pm, salvo che debba emettere il decreto di
sospensione, sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza
ritardo al magistrato di sorveglianza affinché disponga che la pena venga eseguita presso il
domicilio.
La richiesta è corredata da un verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio.
Se il condannato è già detenuto, la pena detentiva non > 18 mesi è eseguita ugualmente nel
domicilio. Non è consentita la sospensione; il pm o le altre parti ne fanno richiesta al magistrato
di sorveglianza. La richiesta è corredata da verbale sull’idoneità del domicilio e relazione del
direttore dell’istituto penitenziario sulla condotta tenuta durante la detenzione.
Il magistrato di sorveglianza decide entro 5 giorni. Copia del decreto è trasmessa al pm e
all’Uepe per gli interventi di sostegno e controllo.

SEMILIBERTA’
L’istituto di maggior successo, sia per i risultati sia per la frequenza di applicazione.
Non è considerata una vera e propria m.a. alla detenzione, ma solo una diversa modalità di
espiazione della pena.
art. 48 Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di
trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o
comunque utili al reinserimento sociale.
Occorre una concreta individuazione, già prima del provvedimento ammissivo, dell’attività che
il semilibero dovrà svolgere e che sia accertata la sua funzionalità al reinserimento sociale.
Diversa dalla semidetenzione = sanzione sostitutiva che il giudice di cognizione può applicare,
nei limiti di cui all’art. 58 l.689/1981, allorché ritenga di dover determinare la durata della pena
detentiva entro il limite di 2 anni (la sl. invece è applicata dal tribunale di sorveglianza in sede
esecutiva).
Inoltre, per la sd è irrilevante il modo di impiego del tempo da trascorrere in libertà (per la sl
invece la parte del giorno trascorsa fuori dall’istituto deve essere impiegata per partecipare ad
attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale).
I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o
apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili. Possono essere assegnati
anche ad edifici o parti di edifici di civile abitazione. A discrezionalità del tribunale (solo per la
detenuta madre di figlio < 3 anni, vi è un obbligo di assegnarla ad un edificio di civile
abitazione).

4 0
La separazione dei semiliberi dai detenuti si prefigge diversi scopi: evitare la coabitazione con
detenuti pericolosi, diversità dei controlli, prevenzione di condotte illecite che potrebbero
essere favorite dall’utilizzazione dei semiliberi da parte degli altri detenuti.

Forme di semilibertà
Nella sua stesura originaria la legge pen. prevedeva due forme di semilibertà: una obbligatoria
(art. 49) e una facoltativa (art. 50).
art. 49 Espiazione in regime di semilibertà delle pene detentive derivanti dalla conversione di
pene pecuniaria, sempre che il condannato non fosse affidato in prova al servizio sociale o
ammesso al lavoro alle dipendenze di enti pubblici.
Abrogato dalla l. 689/1981: conversione della pena pecuniaria in sanzioni sostitutive di libertà
controllata o lavoro sostitutivo.

Semilibertà facoltativa
art. 50 Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della
reclusione non > 6 mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale (sl. per pene
brevi).
Fuori dei casi previsti dal co. 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà
soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per
taluno dei delitti art. 4-bis, di almeno 2/3 di essa (sl. per pene lunghe).
Tuttavia, nei casi previsti dall’art. 47 (pene non > 3 anni), se mancano i presupposti per
l'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da art. 4-bis può
essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di metà della pena (sl. per
pene intermedie).
L'internato può esservi ammesso in ogni tempo.
Si prevedono, quindi, tre ipotesi di sl:
1. SEMILIBERTA’ PER PENE BREVI
E’ una forma automatica di semilibertà, vero e proprio surrogato della detenzione piena: non si
richiede la prova dell’attività lavorativa, istruttiva o comunque utile al reinserimento sociale né
la prova dei progressi compiuti nel corso del trattamento.
co. 6 Nei casi previsti dal co. 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di
reinserimento nella vita sociale, la semilibertà può essere altresì disposta successivamente
all'inizio dell'esecuzione della pena (se non vi è stata sospensione della pena art. 656).
In tal caso, si applica l'articolo 47 co. 4, in quanto compatibile.
Il condannato deve presentare apposita istanza al tribunale di sorveglianza competente in
relazione al luogo di esecuzione e deve offrire concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei
presupposti per l’ammissione, al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di
detenzione e all’assenza di pericolo di fuga.
L’unica ipotesi nella quale, in presenza di una pena breve, non è possibile ottenere la sl è quella
del condannato in espiazione di pena derivante dalla conversione di una sanzione sostitutiva
art. 67 l. 689/1981.
2. SEMILIBERTA’ PER PENE INTERMEDIE
E’ una forma di semilibertà surrogatoria rispetto all’affidamento in prova, in tutti i casi in cui,
pur sussistendo le condizioni oggettive per l’affidamento, manchi quella prognosi soggettiva
necessaria per l’applicazione della misura (= prova che la partecipazione all’attività educativa in
carcere abbia raggiunto nel condannato una soglia di ripensamento tale da far ritenere
definitivamente cessato il collegamento con i modelli culturali che avevano determinato le
manifestazioni concrete di pericolosità).

4 0
In tali casi, non potendosi applicare l’affidamento in prova, si facilita la concessione della sl,
escludendo la condizione dell’espiazione di almeno metà della pena.
Può essere concessa ancor prima dell’inizio del trattamento penitenziario (non è più richiesta
l’osservazione art. 47 e i progressi nel corso del trattamento). Il tribunale deve solo verificare
l’esistenza delle condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
3. SEMILIBERTA’ PER PENE LUNGHE
Si inserisce nella fase intermedia del trattamento, prima della liberazione condizionale.
Occorre che il condannato abbia espiato metà della pena.
La metà della pena deve essere calcolata con riferimento alla pena che resta concretamente da
espiare, detratti custodia cautelare o arresti domiciliari e pena condonata.
Se vi è una pluralità di pene senza soluzione di continuità, il calcolo deve aver riguardo al
cumulo delle pene inflitte.
In caso di commissione di reati durante l’espiazione di pena, il calcolo deve essere effettuato
con riferimento al cumulo risultante dalla pena rimasta da scontare nel momento della
commissione del nuovo reato e da quella irrogata per tale reato.
Il cumulo può essere scisso a vantaggio del condannato quando dovrebbe operare per pene
inflitte per reati art. 4-bis e per reati non ostativi: il giudice dovrà dichiarare espiata prima la
pena inflitta per i reati ostativi e poi quella inflitta per gli altri reati in modo da poterla valutare
con se fosse una pena autonoma.
co. 3 Nel computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta
congiuntamente a quella detentiva.
Problema controverso è quello relativo alla possibilità di ottenere la sl anteriormente all’inizio
dell’esecuzione della pena definitiva per il condannato che ha già espiato metà della pena in
custodia cautelare. La giurisprudenza prevalente propone soluzione negativa, stante il
requisito co. 4 dal quale è escluso l’imputato.
co. 4 L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel
corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del
soggetto nella società.
Ciò postula che il trattamento penitenziario si sia svolto per un certo periodo di tempo che
consenta di effettuare una valutazione. I progressi non possono identificarsi con il giudizio
positivo circa l’osservanza della disciplina carceraria e dell’espletamento dell’attività lavorativa,
ma devono consistere in un’evoluzione della personalità.
Tale requisito è richiesto anche per gli internati.

Semilibertà per i condannati minorenni


art. 79 Le norme pen. si applicano anche nei confronti dei minorenni sottoposti a misure penali
fino a quando non sarà provveduto con apposita legge. Non si è ancora provveduto.
sent. C.Cost. 46/1978 ha autorizzato i giudici ordinari a compiere un’interpretazione delle
norme in senso favorevole alle prospettive di recupero del minore.
Tra le varie questioni, vi è quella della possibilità di concedere ai minori la semilibertà per pene
lunghe prima dell’espiazione di metà della pena.
L’art. 50.2 per gli adulti si pone in contrasto con l’art. 21 r.d.l. 1404/1934 che stabilisce che la
liberazione condizionale dei condannati che commisero il reato quando erano < 18 anni può
essere ordinata in qualunque momento dell’esecuzione e qualunque sia la durata della pena
detentiva inflitta. Ne discenderebbe che per un beneficio meno pieno, come la sl, sarebbero
richieste condizioni oggettive più gravose.
Con la conseguenza che si allungherebbero i tempi per la concessione della liberazione
condizionale: il giudice, prima di concedere la l.c. vorrà attendere l’espiazione di metà della

4 0
pena per sperimentare prima l’utilità e opportunità della sl, che consente minore libertà ma è
anche meno rischiosa.
Tale situazione ha indotto alcuni giudice di merito (Trib. Milano 1979) a interpretare la norma
adeguandola ai valori costituzionali, pervenendo così alla conclusione che la sl per pene lunghe
può essere concessa ai minorenni che dimostrino progressi nel corso del trattamento in
qualsiasi momento dell’esecuzione, anche prima dell’espiazione di metà pena.
La posizione contraria della Cass. è stata superata dalla C.Cost. che ha autorizzato l’interprete a
compiere un’interpretazione delle varie norme nel rispetto dei principi costituzionali.

Semilibertà per i condannati all’ergastolo e per i recidivi


La legge 1975 non prevedeva la concessione della sl per i condannati all’ergastolo.
La legge Gozgzini 663/1986 ha determinato in 20 anni il periodo di pena che deve essere espiato
dal condannato dall’ergastolo prima di essere ammesso alla sl.
Tale periodo può essere abbreviato attraverso la concessione delle riduzioni di pena ex art. 54,
ma non sottraendo la pena coperta da condono. Qualora la pena dell’ergastolo sia inclusa in un
provv. di unificazione di pene concorrenti insieme a pene temporanee, già in parte scontate,
non può tenersi conto delle pene espiate prima della commissione del fatto per il quale è stato
inflitto l’ergastolo (perchè altrimenti si creerebbe una situazione di vantaggio del condannato
all’ergastolo che sta espiando pene precedente rispetto al condannato incensurato).
art. 58-quater co. 7-bis Ai detenuti ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata non può essere
concessa la sl più di una volta.

Revoca
Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si
appalesi idoneo al trattamento.
La revoca è dichiarata dal tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto
penitenziario nel quale si trova il condannato in sl.
In caso di revoca, il periodo trascorso in sl è computato come pena espiata.
Il legislatore non fa riferimento alle cause della revoca, ma ad una generica non idoneità del
trattamento.
La revoca può prescindere da qualsiasi violazione di legge o del programma di trattamento.
Una ipotesi di revoca è che il condannato rimanga assente dall'istituto senza giustificato
motivo, per non + 12 h -> punizione disciplinare e può essere proposta la revoca.
Se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile per evasione.
La denuncia per il delitto di evasione importa la sospensione del beneficio e la condanna ne
importa la revoca (automatica).
All'internato ammesso al regime di semilibertà che rimane assente dall'istituto senza
giustificato motivo, per oltre 3 h, si applicano sanzioni disciplinari e può essere proposta la
revoca. Se rimane assente per + 12 h, non può essere denunciato per evasione (solo il
condannato), l’unica sanzione è la revoca (facoltativa).

LIBERAZIONE ANTICIPATA
Non è una m.a., costituisce una riduzione di pena concessa a seguito di un comportamento
meritevole del detenuto che ha l’effetto di anticipare la sua liberazione.
Unico istituto non toccato dalla controriforma del 1991 in poi, indispensabile per il
raggiungimento dei fini costituzionali della pena.

4 0
art. 54 Al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all’opera di
rieducazione, è concessa, quale riconoscimento, ai fini del suo più efficace reinserimento nella
società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata.

Partecipazione all’opera di rieducazione


Gli elementi di valutazione della partecipazione alla rieducazione sono descritti nell’art. 103 reg.
es. La prova viene desunta da
- impegno nel trarre profitto dalle opportunità offerte nel corso del trattamento
- atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari
- qualità dei rapporti intrattenuti con i compagni, i familiari e la comunità esterna.
L’accertamento del primo requisito è condizionato dal tipo e dalla qualità di opportunità offerte
al detenuto.
Nel caso in cui, per carenze strutturali e organizzative, non si sia provveduto ad un programma
individuale di trattamento, non può comunque essere negata la libertà anticipata al
condannato per non aver partecipato ad un trattamento che non gli è mai stato offerto non per
sua colpa (paradossalmente, sarà più facile realizzare il requisito di merito: più sono le attività
offerte, maggiore deve essere l’impegno). In questo caso il giudice potrà solo valutare la
regolarità della condotta.

Semestralizzazione
Dopo la riforma del 1986, il legislatore ha optato per una valutazione dei semestri di pena
espiata FRAZIONATA.
Ogni semestre, il condannato ottiene una valutazione e, quindi, nel caso di esito favorevole, ha
un incentivo alla partecipazione al programma di trattamento.
Vi possono, però, essere valutazioni contrastanti: eventuali valutazioni negative, che con una
valutazione globale avrebbero potuto essere inglobate in una valutazione finale positiva,
rimangono esclusiva dalla riduzione della pena.
La valutazione frazionata è prevalsa nella giurisprudenza della Cass. e ha ricevuto il definitivo
avallo dalla C.Cost. con la sent. 276/1990.
La giurisprudenza ha avvertito che i singoli semestri non possono essere considerati come
compartimenti insuscettibili di comunicazione tra di loro. Al contrario, qualora si verificasse in
un semestre un fatto negativo particolarmente grave, questo potrebbe fungere da chiave
interpretativa per valutare il comportamento tenuto nei semestri contigui. Viceversa, un fatto
particolarmente positivo potrebbe servire a riscattare semestri precedenti contigui di segno
negativo.
Le ordinanze in tema di l.a., una volta divenute definitive, precludono il successivo riesame del
comportamento del condannato; fatta eccezione per l’ipotesi in cui si accerti che la situazione
di fatto sulla quale la decisione era fondata era in realtà diversa.
Il semestre è il periodo minimo da prendere in considerazione. Un temperamento può essere
rappresentato dalla possibilità di computare il semestre attraverso la sommatoria di più periodi
di detenzione intervallati da periodi trascorsi in stato di libertà, cui può essere aggiunto
l’eventuale periodo di custodia cautelare + periodo trascorso in semilibertà o in regime di
arresti domiciliare.
Esclusa la l.a. per i periodi trascorsi in affidamento in prova o liberazione condizionale, per
mancanza dell’attualità della detenzione. La giurisprudenza più recente ha però ammesso che
la riduzione di pena può essere richiesta dal condannato in liberazione condizionale con
riferimento al periodo di espiazione di pena o di custodia cautelare.

4 0
Sempre ammessa invece la richiesta da parte del condannato che ha ottenuto il differimento
della pena ex art. 147 cp.
Oggi il problema interpretativo non si pone più, l.277/2002 -> art. 47 co. 12-bis All’affidato in
prova al servizio sociale, che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concerto
recupero sociale, può essere concessa la detrazione di pena di cui all’art. 54.
Si ritiene che la norma si possa estendere anche al liberato condizionalmente.
Agli effetti del computo della pena che occorre aver espiato per accedere ai permessi premio, la
semilibertà e la liberazione condizionale, la parte di pena detratta si considera come scontata
(presunzione di espiazione della pena detratta).

Revoca
La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione, successivamente
alla concessione del beneficio, comporta la revoca.
Deve trattarsi di condanna inflitta con sent. irrevocabile.
Non rileva il delitto commesso dopo la liberazione per fine pena, salvo il caso della libertà
vigilata.
Sent. C.Cost. 186/1995 Illegittimità nella parte in cui è prevista la revoca automatica della l.a.,
anziché la revoca se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare
incompatibile con il mantenimento del beneficio.

Liberazione anticipata speciale


d.l. 146/2013 conv. l. 10/2014 -> aumento della detrazione di pena concessa con la l.a. pari a 75
giorni per ogni singolo semestre. Ipotesi valida per 2 anni dall’entrata in vigore della legge.
Inoltre, chi abbia usufruito della l.a. a decorrere dal 1 gennaio 2010, potrà vedersi riconosciuta
un’ulteriore detrazione di 30 giorni, purché nel successivo corso dell’esecuzione abbia dato
prova di partecipazione all’opera di rieducazione.
No
- condannati delitti art. 4-bis
- condannati in affidamento al servizio sociale o in detenzione domiciliare
- condannati ammessi all’esecuzione di pena presso il domicilio

LIBERAZIONE CONDIZIONALE
E’ disciplinata dagli artt. 176-177 cp, tra le cause estintive della pena, anche se ormai si considera
rientrante a pieno titolo tra le m.a. alla detenzione.
Originariamente prevista dal Codice Zanardelli 1889, che attribuiva al Ministro della Giustizia la
facoltà di concedere la l.c. al detenuto, in presenza di una sua generica buona condotta (era un
‘beneficio’, non un diritto del condannato al verificarsi di determinati presupposti).
Il Codice Penale 1930 limitò il potere del Ministro alla sola concessione della l.c., attribuendo
invece la competenza per la revoca al giudice dell’esecuzione.
Questo smistamento di competenze si è protratto per diversi decenni, anche dopo l’entrata in
vigore della Cost., a causa dell’incapacità di attuare la riforma dell’ord. pen.
L’idea era che il bene della libertà personale doveva essere adeguatamente tutelato solo fino a
quando non si fosse accertata con un giusto processo la responsabilità dell’imputato; dopo il
passaggio in giudicato della condanna non residuavano diritti soggettivi da tutelare nel corso
dell’espiazione della pena.
Vi era anche uno scarso intervento della C.Cost., dovuto al fatto che la struttura del giudizio di
legittimità non prevede un intervento ex officio della Corte, ma presuppone un’investitura da
parte del giudice ordinario che sollevi l’eccezione di legittimità costituzionale: ma nel settore

4 0
penitenziario mancavano giudici con funzioni giurisdizionali che potessero sollevare eccezioni
di legittimità. L’unico giudice operante in sede esecutiva era il giudice di sorveglianza che, però
svolgeva limitate funzioni di controllo e di consulenza.
sent. 110/1974 Illegittimità art. 207 cp nella parte in cui conferiva al Ministro della Giustizia la
competenza per la revoca anticipata delle misure di sicurezza.
sent. 204/1974 Il passaggio in giudicato della condanna non determina la privazione dei diritti
soggettivi del condannato e neppure del diritto di libertà, che egli riacquista non appena si
verifichino le condizioni previste dalla legge per la sua liberazione.
Tale accertamento, concernendo un diritto soggettivo, non può essere demandato ad un
organo amministrativo, ma deve essere compiuto da un organo giudiziario nel contesto di un
procedimento giurisdizionale.
La sent. dichiarava l’illegittimità dell’art. 43 disp. att. cp, creando una situazione di vacatio legis.
Legge 6/1975 ha assegnato alla Corte d’Appello la competenza a concedere la l.c.
Non la magistratura di sorveglianza (come prevede la legge ord. pen. per le m.a.) -> sfasatura
corretta con la riforma 1986: competenza al tribunale di sorveglianza.

Presupposti oggettivi
Presupposto ineliminabile è l’espiazione di una parte della pena inflitta.
art. 176 Il condannato deve aver espiato almeno 30 mesi e comunque almeno metà della pena
inflittagli -> la l.c. non può essere concessa per condanne < 5 anni di reclusione.
La pena residua da scontare non deve superare i 5 anni.
ergastolo: espiazione di almeno 26 anni
recidi: espiati almeno 4 anni di pena e non meno di 3/4 della pena inflitta
Ai fini del computo della pena, il tempo trascorso dal detenuto in licenza o permesso è
computato ad ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale e la parte
di pena detratta ai fini della liberazione anticipata si considera come scontata.
Queste limitazioni temporali non si applicano ai condannati che erano minori al momento in cui
commisero il fatto: per i minori la l.c. può essere chiesta in qualsiasi momento dell’esecuzione e
qualunque sia la durata della pena inflitta.
Inoltre, la concessione della l.c. è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti
dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
E’ sufficiente provare che il condannato nei limiti delle proprie possibilità economiche si sia
adoperato seriamente per adempiere le obbligazioni civili, consistenti non solo nel risarcimento
del danno ma anche nel pagamento delle spese processuali. L’obbligo può ritenersi soddisfatto
anche in caso di adempimento parziale o di impossibilità legata al comportamento del creditore
che renda in concreto impossibile il soddisfacimento totale o parziale dell’obbligazione.
E’ escluso il presupposto del ‘perdono’ della persona offesa.

Sicuro ravvedimento
Il condannato può ottenere la l.c. solo a condizione che durante l’esecuzione della pena tenga
una condotta tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento.
Dopo la legge pen. la verifica del ‘sicuro ravvedimento’ si fonda su elementi oggettivi ed
esteriori desunti dal trattamento penitenziario e si colloca al vertice di una gamma di
comportamenti meritevoli del condannato: regolare condotta - partecipazione all’opera di
rieducazione - progressione del trattamento - sicuro ravvedimento
tratti dalla natura e dalla qualità dei rapporti con i compagni, il personale carcerario, i propri
familiari, dalla volontà del reinserimento sociale con l’attività di studio e lavoro, dalle
manifestazioni di altruismo e solidarietà sociale.

4 0
La sussistenza del sicuro ravvedimento presuppone l’avvenuto riconoscimento dei requisiti di
merito minori e la positiva sperimentazione delle misure alternative collegate a quei requisiti.
E’ superata la concezione del ‘ravvedimento’ che presupponeva la confessione del condannato.
La l.c. oggi non può essere negata al condannato che, pur non confessando, sia così esemplare
da mostrare realizzata la sua risocializzazione. L’unica condizione che è richiesta in questo caso
è che il condannato, pur continuando a proclamarsi innocente, dia prova di aver compreso il
significato antisociale del delitto per il quale è stato condannato, anche se la proclamata
innocenza rende più difficoltoso il giudizio sul ravvedimento.

Status del liberato condizionalmente


Il liberato c. è sottoposto a regime di libertà vigilata ex artt. 177 e 230 cp. Il regime di l.v. ha
durata pari alla pena che resta da espiare.
Nell’ordinanza è fissato il termine massimo entro il quale, dopo la scarcerazione, l’interessato
dovrà presentarsi all’ufficio di sorveglianza del luogo ove si esegue la libertà vigilata, per
l’applicazione delle necessarie prescrizioni, le quali sostanzialmente coincidono con quelle
previste per l’affidamento in prova.
Il riferimento all’art. 230 deve intendersi limitato ai contenuti delle prescrizioni ma non alla
forma, non trattandosi di vera e propria applicazione di una misura di sicurezza, il cui
presupposto darebbe la pericolosità del condannato (qui esclusa).
Lo status del liberato deve essere equiparato a tutti gli effetti a quello del condannato in
espiazione in forma alternativa alla detenzione in carcere.

Esiti
Esito positivo. art. 177.2 Estinzione della pena e revoca delle misure di sicurezza personali
ordinate dal giudice, in seguito al decorso del tempo corrispondente alla pena inflitta o 5 anni
dalla data del provvedimento di concessione nel caso dell’ergastolo.
La declaratoria è pronunciata dal tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo di
residenza del liberato, attraverso una procedura de plano.
Esito negativo. art. 177.1 Si ha in caso di revoca, che è dichiarata dal tribunale di sorveglianza
- se il liberato commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole rispetto al
reato per il quale riportò la condanna
- se il liberato trasgredisce agli obblighi imposti con libertà vigilata.
Il tribunale deve valutare la gravità della violazione al fine di stabilire se la stessa risulti
incompatibile con il mantenimento del beneficio. La C.Cost. (1998) ha escluso l’automatismo
del co. 1, ma va escluso anche in relazione al co. 2
La C.Cost. (1989) ha escluso l’effetto ex tunc della revoca: il tribunale determina la pena
detentiva che occorre ancora scontare, tenendo conto del comportamento del condannato,
del tempo trascorso in l.c., nonché delle restrizioni della libertà.

4 0
IL PROCEDIMENTO DI SORVEGLIANZA

La disciplina di tale procedimento risponde all’esigenza di giurisdizionalizzazione


dell’esecuzione. Già la legge-delega vincolava il legislatore alla ‘giurisdizionalizzazione dei
procedimenti concernenti la modifica e la esecuzione della pena e l’applicazione delle misure di
sicurezza’, con la previsione esplicita della ‘garanzia del contraddittorio’.
Il legislatore del ’75 dette forma ad un apposito rito di sorveglianza (art. 71), poi artt. 71-bis - 71-
sexies Capo II-bis. Nel 1986 si pervenne ad ulteriori modifiche, nell’intento di una reductio ad
unitatem dei disordinati e incoerenti moduli procedimentali fino ad allora sorti.
Il legislatore del 1988 aveva l’obiettivo di ricondurre ad unità procedure disciplinate da leggi
diverse e la convinzione che la molteplici regole particolari allora vigenti dovessero trovare un
assetto nuovo e definitivo nel cpp.
L’unificazione del rito base post iudicatum è stata raggiunta con il rinvio nell’art. 678 all’art. 666
-> ma ciò si è risolto in un inopportuno appiattimento del ‘nuovo’ modello sulle esigenze del
rito di esecuzione, non di rado divergenti da quelle del rito di sorveglianza.
Inoltre, nel primo impianto della normativa penitenziaria, il rito di sorveglianza era stato
concepito e modellato in funzione delle finalità rieducative. Il moltiplicarsi nel tempo dei rinvii
da parte del legislatore al modello procedimentale di sorveglianza ha finito per recidere il
collegamento funzionale tra rito di sorveglianza e finalità rieducativa.

Ambito di applicazione
art. 678 co. 1 Il procedimento tipo si applica, avanti al tribunale di sorveglianza, nelle materia di
sua competenza.
Seguendo la lettera, rimarrebbero travolti, per abrogazione implicita, tutti i modelli semplificati
pur previsti, dalla normativa pen. per singole materie attribuite al tribunale di sorveglianza.
Al fine di evitare un simile effetto demolitori art. 236 co. 2 disp. att. cpp Nelle materie di
competenza del tribunale di sorveglianza continuano a osservarsi le disposizioni processuali
della legge ord. pen. diverse da quelle contenute nel Capo II-bis Titolo II -> scompare solo la
disciplina degli artt. 71 ss.; mentre permangono gli altri congegni processuali previsti dalla legge
pen.
La formula aperta dell’art. 678 implica che il modello art. 678 si applicherà, in via automatica, a
qualsiasi nuova materia che nel futuro dovesse risultare attribuita alla cognizione del tribunale
di sorveglianza.
Il magistrato di sorveglianza, invece, decide secondo il modello art. 678 solo nelle materie
tassativamente elencate nel co. 1: ricoveri per infermità psichica sopravvenuta, decisioni in
tema di misure di sicurezza, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza
a delinquere. In ordine ad ogni altra attribuzione non risulterà applicabile il modello base: il
magistrato decide, solitamente, de plano, senza formalità di procedura.

Instaurazione del procedimento


art. 678 co. 1 Il procedimento di sorveglianza si instaura a richiesta del pm, dell’interessato, del
difensore o d’ufficio. L’affidamento in prova, la semilibertà, le licenze, la liberazione anticipata,
la remissione del debito possono essere richieste altresì dai prossimi congiunti ovvero proposti
dal consiglio di disciplina.
- D’UFFICIO Mentre il procedimento d’esecuzione deve avviarsi, a pena di nullità, su impulso di
parte. L’iniziativa ex officio risponde ai caratteri della giurisdizione rieducativa, ispirata
all’esigenza di verificare e favorire il processo di socializzazione del soggetto in sintonia con le
finalità della pena.

4 0
Sono state mosse critiche, però, in ordine all’ipotesi forse piò frequente di attivazione del rito
ex officio iudicis, cioè la revoca delle misure alternative alla detenzione: in tal caso, infatti,
riemerge la figura del giudice imparziale, chiamato a decidere nella contrapposizione dialettica
tra le aspettative dell’interessato e le istanze del pm (-> dubbi cost. art. 111 Cost.).
Il potere d’ufficio è del tutto compatibile con stimoli esterni provenienti da fonti diverse
(direttore istituto pen, servizio sociale): tali stimoli, tuttavia, non configurandosi come formale
domanda, saranno inidonei a determinare, in capo al giudice, un obbligo giuridico di procedere.
- PM Innovazione introdotta dal cpp 1988. L’ufficio del pm cui è attribuito il potere di iniziativa è
il Procuratore generale presso la Corte d’appello davanti al tribunale di sorv., il Procuratore
della Repubblica presso il tribunale della sede dell’ufficio di sorveglianza davanti al magistrato
di sorv. (co. 3).
L’iniziativa del pm consente un bilanciamento rispetto alle incongruenze dell’iniziativa d’ufficio
in ordine alla revoca di benefici penitenziari ed è in linea con gli sviluppi del modello verso una
progressiva espansione dell’area applicativa del rito di sorveglianza.
L’iniziativa del pm deve essere esclusa in ordine a materie che presuppongono un’indagine sulla
rieducazione del condannato.
- INTERESSATO Ipotesi più frequente di avvio del rito di sorveglianza.
- DIFENSORE E’ un potere di iniziativa autonomo (già previsto da dottrina e giurisprudenza), al
quale però l’interessato può togliere effetto. Si ritiene che il difensore debba essere munito di
un mandato ad hoc (no prorogatio del mandato difensivo conferito nel processo di cognizione
o l’incarico attribuito nell’ambito del procedimento di esecuzione)
- PROSSIMI CONGIUNTI (ascendenti, discendenti, coniuge, fratelli e sorelle, zii e nipoti, affini
nello stesso grado salvo che sia morto il coniuge e non vi sia prole). L’interessato può togliere
efficacia alla domanda proposta da altri nel suo interesse.
- CONSIGLIO DI DISCIPLINA DELL’IST. PEN. (direttore + sanitario + educatore)
- TUTORE E CURATORE DELL’INFERMO DI MENTE Non espressamente previsto, si ricava in via
implicita dall’art. 666 co. 8 cpp (Al tutore e al curatore competono gli stessi diritti
dell’interessato), applicabile al rito di sorveglianza in forza del generale rinvio all’art. 666
nell’art. 678.

ATTI PRELIMINARI
Deliberazione di ammissibilità della domanda
art. 666 co. 2 Il magistrato di sorveglianza ovvero il presidente del tribunale procede al
controllo di ammissibilità della domanda. La domanda è inammissibile per:
- manifesta infondatezza per difetto delle condizioni di legge
si rischia di sottendere una valutazione di merito, che mal si concilia con la ricognizione dei
presupposti processuali della domanda: occorre scongiurare ogni interpretazione
eccessivamente liberale del presupposto. La richiesta deve apparire infondata per ‘difetto
delle condizioni di legge’: la carenza delle condizioni di legge deve emergere prima facie,
senza necessità di analisi approfondite, le condizioni di legge devono essere intese
rigorosamente e in senso restrittivo come quei requisiti che non implicano alcuna
valutazione discrezionale, ma sono posti direttamente dalla legge
- se l’atto introduttivo costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui
medesimi elementi
una precedente pronuncia sul medesimo oggetto determina un effetto preclusivo. Ma un
ruolo fondamentale è attribuito al fattore tempo: solo un lasso temporale assai stretto tra la
prima richiesta e la seconda potrà condurre alla declaratoria di inammissibilità, dovendosi in
ogni altro caso favorire l’esplicarsi del contraddittorio in udienza.

4 0
Il soggetto legittimato decide con decreto motivato di inammissibilità, ricopribile per Cass. nei
15 giorni successivi alla notifica.

Nomina del difensore d’ufficio all’interessato che ne sia privo (art. 666 co. 3).
La nomina del difensore avviene dopo la declaratoria di ammissibilità della richiesta. Pertanto,
nell’ipotesi in cui sia dichiarata inammissibile la richiesta proposta da chi sia privo di difensore di
fiducia, vi è il rischio che la ricorribilità per Cass. avverso il decreto di inammissibilità, si riduca a
garanzia labiale -> disciplina deficitaria sotto il profilo del diritto di difesa e della parità delle
armi tra le parti.

Fissazione della data dell’udienza e notificazione e comunicazione alle parti (art. 666 co. 3).
L’avviso deve contenere, a pena di nullità assoluta:
- indicazione dell’autorità giudiziaria procedente, del luogo giorno e ora dell’udienza
- esatta individuazione dell’oggetto del procedimento.
L’avviso va notificato alle parti e comunicato al pm almeno 10 giorni prima della data
dell’udienza, a pena di nullità assoluta (x interessato e difensore) e nullità intermedia (x pm).
Fino a 5 giorni prima della data dell’udienza, le parti hanno facoltà di depositare memorie in
cancelleria. Quindi, anche il giudice deve depositare in cancelleria, a disposizione delle parti, la
documentazione precostituita all’udienza.

UDIENZA CAMERALE
L’udienza si celebra in camera di consiglio, con la necessaria partecipazione del pm e del
difensore. Di regola, l’udienza si dovrebbe svolgere in assenza del pubblico; sent. C.Cost.
135/2014 incostituzionalità art. 678 co. 1 e artt. 666 co. 3 e 679 co. 1 nella parte in cui non
consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di
sicurezza si svolga davanti al magistrato e al tribunale di sorv., nelle forme dell’udienza
pubblica.
Il modello è quello di un contraddittorio orale necessario.
1. Accertamento della regolare costituzione delle parti
2. Relazione della causa da parte del presidente o altro componente del collegio (ar. 45 dis. att)
3. Fase di trattazione: acquisizione del materiale in precedenza formatosi, assunzione di
ulteriori prove, audizione dell’interessato nei limiti in cui risulti prevista e possibile
4. Discussione: le parti tecniche argomentano circa l’attività compiuta e il materiale acquisito
nel corso dell’udienza, formulando le richieste conclusive

Partecipazione del difensore


Se l’assenza del difensore dipenda da omissione o patologie della citazione o della notifica .> il
giudice dovrà predisporre la rinnovazione dell’atto.
Se l’assenza del difensore è dovuta a legittimo impedimento e questo è stato prontamente
comunicato
-> artt. 485-488 cpp: obbligo di sospensione dell’udienza, non se l’imputato è assistito da due
difensori o il difensore ha designato un sostituto o l’imputato chiede che si proceda in assenza
del difensore) - riferiti solo al dibattimento e ritenuti inestensibili ai riti camerali a
contraddittorio necessario (Cass. 1998)
-> l. 479/1999 artt. 420-bis ss. (artt. 484 co. 2 bis per dibattimento).
Resta un deficit di garanzia per il rito art. 666, il quale residuerebbe, pressoché, isolato, come
modello a contraddittorio necessario in cui l’impedimento del difensore darebbe luogo solo alla
nomina del difensore d’ufficio ex art. 97.4.

4 0
Urge un intervento legislativo che imponga anche in questo caso la sospensione o il rinvio
dell’udienza in caso di legittimo impedimento del difensore. Nelle more, si potrebbe ritenere
estensibile il meccanismo art. 420-ter co. 5 anche ai riti di esecuzione e sorveglianza.

Intervento dell’interessato
art. 666 co. 4
- L’interessato che ne fa richiesta è sentito personalmente.
Nessun particolare problema si pone in relazione all’interessato in stato di libertà.
- Se è detenuto o internato in luogo all’interno della circoscrizione del giudice, l’interessato
diviene titolare di un diritto soggettivo all’audizione, che il giudice è obbligato a disporre
statuendo circa ogni adempimento a ciò strumentale.
- Se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima
del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di
disporre la traduzione avanti a sè, rendendo così possibile la diretta partecipazione di questi
all’udienza camerale.
La ratio di questa scelta è illustrata dalla Relazione al Progetto Preliminare al cpp: le esigenze
organizzative e di sicurezza sarebbero state compromesse ove si fosse optato per un
indiscriminato diritto dei detenuti alla traduzione -> spesso il giudice dell’esecuzione ha sede in
luogo distante da quello dove è ristretto il condannato, si voleva evitare il rischio di iniziative a
parte di criminali pericolosi strumentali a ottenere unicamente il trasferimento (es. per tentare
la fuga). L’autodifesa, d’altronde, è comunque estrinsecatile attraverso l’audizione per
rogatoria del soggetto effettuata dal magistrato di sorveglianza del luogo, pur se ciò comporti
un innegabile ma giustificato sacrificio del principio di immediatezza.
Occorre, però, chiedersi de l’omologazione del rito di esecuzione e del rito di sorveglianza, in
ordine ai profili dell’autodifesa dell’interessato in vinculis risponda davvero a logica: il rito di
esecuzione affronta in prevalenza problematiche di diritto, con trascurabili riflessi in fatto, così
da rendere pressoché irrilevante la diretta partecipazione dell’interessato all’udienza; nel
procedimento di sorveglianza invece i profili fattuali rivestono, di solito, ruoli di assoluta
centralità nel quadro della materia del decidere e, in tal senso, l’appiattimento sul modello del
proc. di esecuzione non ha certo prodotto risultati apprezzabili.
Il peculiare regime previsto dall’art. 666.4 (assimilabile all’art. 127.3 in ordine al modello
camerale in genere) suscita, peraltro, dubbi di legittimità cost., con riguardo agli artt. 24 e 111
Cost. e 3 Cost. (il livello delle garanzie partecipative viene fatto dipendere da un fattore non
solo del tutto casuale ma anche per intero rimesso alla discrezionalità dell’amm. pen. quale il
locus custodiae).
sent. C.Cost. 45/1991 ha suggerito una lettura della norma volta a rendere meno sfumata la
potestà del giudice di disporre la comparizione avanti a sé del soggetto in vinculis che ne abbia
fatto richiesta. La C.Cost. ha riesplorato la propria precedente pronuncia 98/1982 (avente ad
oggetto l’art. 630 cpp 1930 che disciplinava il rito dei c.d. incidenti di esecuzione): ove ricorrano
ipotesi in cui siano prese in esame questioni di fatto concernenti la condotta dell’interessato, si
impone la diretta audizione del medesimo affinché il giudice stesso possa formarsi il
convincimento nel modo più diretto e completo. Muovendo da questo precedente, la Corte ha
ritenuto legittimo l’art. 127.3; ma per analogia i principi stabiliti nella sent. sono certamente
estensibili anche al meccanismo dell’art. 666.4.
sent. S.U. Cass. 1995 (Carlutti) Riconoscimento di un vero e proprio diritto dell’interessato in
vinculis a partecipare personalmente all’udienza in camera di consiglio, ove solo ne faccia
richiesta, a prescindere dal locus custodiae e sempre che la questione rivesta profili fattuali che
rendano insurrogabile l’audizione personale del soggetto.

4 0
Conseguenze in caso di omessa traduzione dell’interessato in vinculis che abbia fatto richiesta
di partecipazione all’udienza camerale ma non sia stato posto in condizione di presentarsi?
Anche su questo punto si erano profilati contrasti interpretativi.
S.U. Cass. 1995 Una volta che il soggetto in vinculis abbia manifestato la volontà di comparire,
l’ordine di traduzione e la sua esecuzione costituiscono atti indefettibili della procedura diretta
alla regolare costituzione del contraddittorio -> omessa citazione : nullità assoluta.
Teleconferenza. l.11/1998 A mezzo di appositi dispositivi tecnologici, viene attivato un
collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da
assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i
luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto.
La partecipazione dell’imputato o del condannato all’udienza camerale avviene a distanza
sempre che ricorra uno dei presupposti art. 146-bis disp. att.:
- qualora sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico
- qualora il procedimento sia di particolare complessità e la partecipazione a distanza risulti
necessaria a evitare ritardi nel suo svolgimento
- qualora si tratti di detenuto art. 41-bis.
La partecipazione a distanza costituisce un meccanismo idoneo a superare le incertezze e i
deficit di tutela dell’attuale struttura dell’art. 666.4.

Prove
art. 666.5 il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di
cui abbia bisogno. Se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del
contraddittorio.
art. 185 disp. att. Il giudice, nell’assumere le prove a norma dell’art. 666.5, procede senza
particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l’esame dei testimoni e
l’espletamento della perizia.
art. 678.2 (solo per il proc. di sorveglianza) Quando si procede nei confronti di persona
sottoposta a osservazione scientifica della personalità, il giudice acquisisce la relativa
documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento.
Spetta al giudice un ruolo di netta preminenza sul piano dell’iniziativa probatoria; mentre non si
fa nessuna menzione esplicita circa un ‘diritto alla prova’ delle parti. Si tratta di un modello
antitetico rispetto a quello del Libro III cpp.
Inoltre, l’ammissione della prova sarebbe improntata al criterio della necessità-opportunità
(non quello della pertinenza-rilevanza art. 187).
Questo modello, incentrato sul giudice ‘signore della prova, si attaglia al primo nucleo della
giurisdizione rieducativa (caratterizzato dal paradigma del giudizio sull’uomo), ma risulta del
tutto eccentrico alla luce della dilatazione dello spettro devoluto al giudice della cognizione.
Questi rilievi assumono pregnanza a fronte del nuovo art. 111 Cost.; tanto che, facendo leva sul
dato testuale, si è recentemente proposto di distinguere tra assunzione e ammissione della
prova, facendo defluire quest’ultima nell’alveo dello schema del processo di parti e rimettendo,
dunque, l’iniziativa probatoria all’impulso della parte interessata.
Il procedimento di sorveglianza può dirsi il regno della prova precostituita, mentre solo
eventuale è il ricorso alla prova costituenda. Il giudice dà luogo, innanzitutto, alla richiesta di
documenti e informazioni; se e nella misura in cui occorra assumere nuove prove, si procederà
in udienza nel rispetto del contraddittorio.
Anche questo aspetto evidenzia una vistosa contrapposizione tra processo di cognizione e rito
di sorveglianza.

4 0
Le prove cui l’art. 666.5 si riferisce sono, innanzitutto, i documenti. La prova documentale
costituisce la più classica tra le prove precostituite. Tra i documenti primario rilievo ha la cartella
personale del detenuto o internato: indicazioni generali e particolari del trattamento, dati
giudiziari, biografici, sanitari del soggetto, sviluppi del trattamento e risultati.
Rispetto alla cartella personale - si è affermato - qualsiasi altra prova è incompleta.
La cartella dovrebbe essere oggetto di acquisizione in via integrale; un indirizzo interpretativo,
tuttavia, ammette in funzione quasi surrogatoria, l’acquisibilità della c.d. ‘relazione di sintesi’,
elaborata dagli operatori penitenziari su richiesta del giudice di sorveglianza, che rappresenta la
situazione allo stato esistente.
Tra gli ulteriori documenti acquisibili: documentazione del centro distrettuale di servizio sociale
ovvero da altre agenzie di servizio sociale, certificati del casellario giudiziario, sent. irrevocabili
e sent. straniere riconosciute in Italia.
Accanto ai documenti, l’art. 666.5 annovera le informazioni. Si tratta di dati conoscitivi
eterogenei, strumentali ai fini della decisione, di cui il giudice può fare richiesta a qualsiasi
ufficio o ente pubblico; l’ente richiesto potrà fornire i dati attraverso una dichiarazione orale del
funzionario o in forma scritta.
Tra le informazioni: quelle provenienti dagli organi di polizia, le informative obbligatorie che
vanno richieste ex art. 4-biss al comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica o al
questore (anche se obbligatorie non vincolanti).
Solo ove residuino coni d’ombra, non esplorati attraverso documenti e informazioni, il giudice
procede ad assumere ulteriori prove.
Tra le prove costituende, spicca la consulenza dei tecnici del trattamento = psicologo,
educatore, assistente sociale, direttore istituto pen. (?), appartenenti al corpo di pp (?),
professionisti esterni di cui l’amm. pen. può avvalersi proprio per l’attività di osservazione e
trattamento (-> deve trattarsi di operatori concretamente coinvolti nell’attività trattamentale
nei confronti del soggetto).
Rientra, altresì, tra le prove costituende tipiche la perizia criminologica, mirante a stabilire
l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità
dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Si tratta di
mezzo di prova estromesso dall’area del processo di cognizione (art. 220.2).
Poi vi possono essere ulteriori mezzi si prova, come la testimonianza.
La prova precostituita fa ingresso nel processo attraverso l’operazione di acquisizione: se il
supporto documentale è già allegato in precedenza al fascicolo è posto a disposizione delle
parti già in sede di atti preliminari; se invece viene ad esistenza nel corso del proc. entrerà in
fascicolo per i stranite di un apposito provv. istruttorio di acquisizione. Perché il documento
possa considerarsi ‘legittimamente acquisito’ occorre che il giudice si avvalga dello strumento
tecnico della lettura o dell’indicazione dell’atto.
Per quanto riguarda la prova costituenda, si ritiene che non si possa far luogo all’esame
incrociato; non manca tuttavia chi ritiene eccezionalmente utilizzabile la tecnica dell’esame
incrociato, ove le parti ne facciano richiesta e il giudice la autorizzi, a fronte di particolare
delicatezza e complessità della prova testimoniale. Una recente opinione tende a ritenere
ormai imprescindibile, anche in sede di sorv., l’adozione dell’esame incrociato ove si tratti di
assumere una qualsiasi prova dichiarativa.

DECISIONE
La decisione deve essere adottata dal medesimo giudice (persona fisica) avanti al quale si è
svolta l’udienza (principio di immutabilità art. 525 cpp).

4 0
Modifiche poi l. 165/1998, l. 40/2001, l. 251/2005 generalizzazione dell’applicazione agli
ultra70enni, purché non delinquenti abituali, professionali, per tendenza o recidivi.
La norma non si applica a
- condannati per reati Libro II Titolo XII Capo III sez. 1 e artt. 609-bis, quater, octies cp
- condannati art. 51 co. 3bis cpp
- condannati 4-bis -> non si applicano le preclusioni alla d.d. speciale per detenute madri e alla
d.d. ordinaria per donna incinta o madre di prole di età < 10 anni o padre in condizioni
analoghe, quando la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata (sent. C.Cost. 239/2014).

Requisiti oggettivi e soggettivi


art. 47-ter La pena della reclusione non > 4 anni, anche se costituente parte residua di maggiore
pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro
luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza quando si
tratta di
- donna incinta o madre di prole di età < 10 anni con lei convivente
- padre, esercente la potestà, di prole di età < 10 anni con lui convivente, quando la madre sia
deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole
- persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i
presidi sanitari territoriali
- persona di età > 60 anni, se inabile anche parzialmente
- persona < 21 anni per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia
+ madre o padre convivente con figlio portatore di handicap totalmente invalidante (sent.
C.Cost. 350/2003)
co. 1-bis La d.d. può essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non
> 2 anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, quando non ricorrono i
presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad
evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.
Non si applica ai condannati per reati 4-bis -> divieto assoluto (Cass. 5600/1999)

4 0
La d.d. biennale è del tutto svincolata dai requisiti soggettivi del co. 1.
co. 1-ter Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione
della pena artt. 146-147 cp, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite co. 1,
può disporre l’applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo il termine di durata, che
può essere prorogato.
Così, da un lato, si evita al condannato di dover rinviare l’esecuzione della pena che può essere
subito espiata in forma alternativa anche se supera il residuo di 4 anni; dall’altro, sono costretti
al regime domiciliare condannati anche pericolosi che per ragioni di salute avrebbero
acquistato la libertà.

Procedimento
Se è iniziata l’esecuzione della pena, l’istanza si propone al tribunale di sorveglianza.
Nel caso in cui vi sia un grave pregiudizio dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza è
rivolta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura
(poi trasmette l’ordinanza al tribunale immediatamente, per la decisione definitiva entro 60 g).
Il giudice deve accertare le condizioni di cui al co.1 e verificare l’opportunità concreta del
trattamento alternativo.
Nel disporre la d.d., il tribunale ne fissa le modalità ex art. 284 cpp -> può imporre al
condannato particolari limiti e divieti di comunicare con persone diverse da quelle che con lui
coabitano o lo assistono o autorizzare il condannato ad assentarsi nel corso della giornata dal
luogo della detenzione per il tempo strettamente necessario per provvedere alle indispensabili
esigenze di vita se versa in assoluta indigenza o mancano persone che possono provvedervi.
La d.d. è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni
dettate, appare incompatibile con la concessione della misura. E’ vietata concedere una nuova
misura per 3 anni.
La d.d. deve essere revocata (r. obbligatoria) quando vengono a cessare le condizioni co. 1 e 1-
bis. Il divieto è definitivo.
Il periodo trascorso in d.d. deve considerarsi a tutti gli effetti come pena espiata.
L’allontanamento senza giustificato motivo del condannato dalla propria abitazione comporta
la punizione per il reato di evasione -> dalla denuncia sospensione del beneficio e revoca.
sent. C.Cost. 173/1997 Illegittimo l’automatismo della sospensione a seguito di denuncia per
evasione: spetterà al magistrato di sorveglianza verificare, caso per caso, se la condotta
presenti le caratteristiche soggettive o4oggettive0 del reato di evasione, disponendo in caso
positivo la sospensione.
sent. C.Cost. 177/2009 Censurata la differenza di trattamento tra la d.d. generica e la d.d.
speciale (artt. 47-quinquies e sexies), nella quale è previsto un regime più flessibile per i ritardi
(per i ritardi < 12h è precluso ogni automatismo della revoca).
Muovendo dal presupposti di identità di ratio (tutela del minore), la C.Cost. ha ritenuto
irragionevole che la madre di prole < 10 anni, che abbia da scontare una pena < 4 anni, per
l’ipotesi di ritardo di rientro nel domicilio, subisca un trattamento sanzionatorio, più severo di
quella che, in uguali condizioni, abbia ancora da espiare una pena di durata maggiore.
-> incostituzionalità art. 47-ter nella parte in cui non limita la punibilità dell’evasione al solo
allontanamento > 12 h.

Il condannato nei confronti del quale è disposta la d.d. non è sottoposto al regime
penitenziario. Non si applicano né le norme sul regime interno degli istituti né quelle sulle spese
dell’amm. pen (nessun onere grava sull’amm. pen. per il mantenimento, la cura, l’assistenza
medica).

4 0
Sono, invece, applicabili tutte le norme previste dalla legge pen. e dal reg. es. che concernono
gli elementi del trattamento e le misure alternative alla detenzione, di cui il condannato in d.d.
potrà usufruire alla stessa stregua degli altri condannati.

l. 199/2010 (stabilizzata con la l. 9/2012) -> esecuzione presso il domicilio delle pene detentive
non > 18 mesi, anche se costituenti parte residua di maggior pena.
No:
- condannati 4-bis
- delinquenti abituali, professionali, per tendenza
- detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare
- se vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga
- o sussistono specifiche ragioni per ritenere che possa commettere altri delitti
- o non sussiste l’idoneità e l’effettività del domicilio.
Quando la pena detentiva non > 18 mesi, il pm, salvo che debba emettere il decreto di
sospensione, sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza
ritardo al magistrato di sorveglianza affinché disponga che la pena venga eseguita presso il
domicilio.
La richiesta è corredata da un verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio.
Se il condannato è già detenuto, la pena detentiva non > 18 mesi è eseguita ugualmente nel
domicilio. Non è consentita la sospensione; il pm o le altre parti ne fanno richiesta al magistrato
di sorveglianza. La richiesta è corredata da verbale sull’idoneità del domicilio e relazione del
direttore dell’istituto penitenziario sulla condotta tenuta durante la detenzione.
Il magistrato di sorveglianza decide entro 5 giorni. Copia del decreto è trasmessa al pm e
all’Uepe per gli interventi di sostegno e controllo.

SEMILIBERTA’
L’istituto di maggior successo, sia per i risultati sia per la frequenza di applicazione.
Non è considerata una vera e propria m.a. alla detenzione, ma solo una diversa modalità di
espiazione della pena.
art. 48 Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di
trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o
comunque utili al reinserimento sociale.
Occorre una concreta individuazione, già prima del provvedimento ammissivo, dell’attività che
il semilibero dovrà svolgere e che sia accertata la sua funzionalità al reinserimento sociale.
Diversa dalla semidetenzione = sanzione sostitutiva che il giudice di cognizione può applicare,
nei limiti di cui all’art. 58 l.689/1981, allorché ritenga di dover determinare la durata della pena
detentiva entro il limite di 2 anni (la sl. invece è applicata dal tribunale di sorveglianza in sede
esecutiva).
Inoltre, per la sd è irrilevante il modo di impiego del tempo da trascorrere in libertà (per la sl
invece la parte del giorno trascorsa fuori dall’istituto deve essere impiegata per partecipare ad
attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale).
I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o
apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili. Possono essere assegnati
anche ad edifici o parti di edifici di civile abitazione. A discrezionalità del tribunale (solo per la
detenuta madre di figlio < 3 anni, vi è un obbligo di assegnarla ad un edificio di civile
abitazione).
4 0
La separazione dei semiliberi dai detenuti si prefigge diversi scopi: evitare la coabitazione con
detenuti pericolosi, diversità dei controlli, prevenzione di condotte illecite che potrebbero
essere favorite dall’utilizzazione dei semiliberi da parte degli altri detenuti.

Forme di semilibertà
Nella sua stesura originaria la legge pen. prevedeva due forme di semilibertà: una obbligatoria
(art. 49) e una facoltativa (art. 50).
art. 49 Espiazione in regime di semilibertà delle pene detentive derivanti dalla conversione di
pene pecuniaria, sempre che il condannato non fosse affidato in prova al servizio sociale o
ammesso al lavoro alle dipendenze di enti4 pubblici.
0
Abrogato dalla l. 689/1981: conversione della pena pecuniaria in sanzioni sostitutive di libertà
controllata o lavoro sostitutivo.
Semilibertà facoltativa
art. 50 Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della
reclusione non > 6 mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale (sl. per pene
brevi).
Fuori dei casi previsti dal co. 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà
soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per
taluno dei delitti art. 4-bis, di almeno 2/3 di essa (sl. per pene lunghe).
Tuttavia, nei casi previsti dall’art. 47 (pene non > 3 anni), se mancano i presupposti per
l'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da art. 4-bis può
essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di metà della pena (sl. per
pene intermedie).
L'internato può esservi ammesso in ogni tempo.
Si prevedono, quindi, tre ipotesi di sl:
1. SEMILIBERTA’ PER PENE BREVI
E’ una forma automatica di semilibertà, vero e proprio surrogato della detenzione piena: non si
richiede la prova dell’attività lavorativa, istruttiva o comunque utile al reinserimento sociale né
la prova dei progressi compiuti nel corso del trattamento.
co. 6 Nei casi previsti dal co. 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di
reinserimento nella vita sociale, la semilibertà può essere altresì disposta successivamente
all'inizio dell'esecuzione della pena (se non vi è stata sospensione della pena art. 656).
In tal caso, si applica l'articolo 47 co. 4, in quanto compatibile.
Il condannato deve presentare apposita istanza al tribunale di sorveglianza competente in
relazione al luogo di esecuzione e deve offrire concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei
presupposti per l’ammissione, al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di
detenzione e all’assenza di pericolo di fuga.
L’unica ipotesi nella quale, in presenza di una pena breve, non è possibile ottenere la sl è quella
del condannato in espiazione di pena derivante dalla conversione di una sanzione sostitutiva
art. 67 l. 689/1981.
2. SEMILIBERTA’ PER PENE INTERMEDIE
E’ una forma di semilibertà surrogatoria rispetto all’affidamento in prova, in tutti i casi in cui,
pur sussistendo le condizioni oggettive per l’affidamento, manchi quella prognosi soggettiva
necessaria per l’applicazione della misura (= prova che la partecipazione all’attività educativa in
carcere abbia raggiunto nel condannato una soglia di ripensamento tale da far ritenere
definitivamente cessato il collegamento con i modelli culturali che avevano determinato le
manifestazioni concrete di pericolosità).

4 0
In tali casi, non potendosi applicare l’affidamento in prova, si facilita la concessione della sl,
escludendo la condizione dell’espiazione di almeno metà della pena.
Può essere concessa ancor prima dell’inizio del trattamento penitenziario (non è più richiesta
l’osservazione art. 47 e i progressi nel corso del trattamento). Il tribunale deve solo verificare
l’esistenza delle condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
3. SEMILIBERTA’ PER PENE LUNGHE
Si inserisce nella fase intermedia del trattamento, prima della liberazione condizionale.
Occorre che il condannato abbia espiato metà della pena.
La metà della pena deve essere calcolata con riferimento alla pena che resta concretamente da
espiare, detratti custodia cautelare o arresti domiciliari e pena condonata.
Se vi è una pluralità di pene senza soluzione di continuità, il calcolo deve aver riguardo al
cumulo delle pene inflitte.
In caso di commissione di reati durante l’espiazione di pena, il calcolo deve essere effettuato
con riferimento al cumulo risultante dalla pena rimasta da scontare nel momento della
commissione del nuovo reato e da quella irrogata per tale reato.
Il cumulo può essere scisso a vantaggio del condannato quando dovrebbe operare per pene
inflitte per reati art. 4-bis e per reati non ostativi: il giudice dovrà dichiarare espiata prima la
pena inflitta per i reati ostativi e poi quella inflitta per gli altri reati in modo da poterla valutare
con se fosse una pena autonoma.
co. 3 Nel computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta
congiuntamente a quella detentiva.
Problema controverso è quello relativo alla possibilità di ottenere la sl anteriormente all’inizio
dell’esecuzione della pena definitiva per il condannato che ha già espiato metà della pena in
custodia cautelare. La giurisprudenza prevalente propone soluzione negativa, stante il
4 0
requisito co. 4 dal quale è escluso l’imputato.
co. 4 L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel
corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del
soggetto nella società.
Ciò postula che il trattamento penitenziario si sia svolto per un certo periodo di tempo che
consenta di effettuare una valutazione. I progressi non possono identificarsi con il giudizio
positivo circa l’osservanza della disciplina carceraria e dell’espletamento dell’attività lavorativa,
ma devono consistere in un’evoluzione della personalità.
Tale requisito è richiesto anche per gli internati.

Semilibertà per i condannati minorenni


art. 79 Le norme pen. si applicano anche nei confronti dei minorenni sottoposti a misure penali
fino a quando non sarà provveduto con apposita legge. Non si è ancora provveduto.
sent. C.Cost. 46/1978 ha autorizzato i giudici ordinari a compiere un’interpretazione delle
norme in senso favorevole alle prospettive di recupero del minore.
Tra le varie questioni, vi è quella della possibilità di concedere ai minori la semilibertà per pene
lunghe prima dell’espiazione di metà della pena.
L’art. 50.2 per gli adulti si pone in contrasto con l’art. 21 r.d.l. 1404/1934 che stabilisce che la
liberazione condizionale dei condannati che commisero il reato quando erano < 18 anni può
essere ordinata in qualunque momento dell’esecuzione e qualunque sia la durata della pena
detentiva inflitta. Ne discenderebbe che per un beneficio meno pieno, come la sl, sarebbero
richieste condizioni oggettive più gravose.
Con la conseguenza che si allungherebbero i tempi per la concessione della liberazione
condizionale: il giudice, prima di concedere la l.c. vorrà attendere l’espiazione di metà della

4 0
pena per sperimentare prima l’utilità e opportunità della sl, che consente minore libertà ma è
anche meno rischiosa.
Tale situazione ha indotto alcuni giudice di merito (Trib. Milano 1979) a interpretare la norma
adeguandola ai valori costituzionali, pervenendo così alla conclusione che la sl per pene lunghe
può essere concessa ai minorenni che dimostrino progressi nel corso del trattamento in
qualsiasi momento dell’esecuzione, anche prima dell’espiazione di metà pena.
La posizione contraria della Cass. è stata superata dalla C.Cost. che ha autorizzato l’interprete a
compiere un’interpretazione delle varie norme nel rispetto dei principi costituzionali.

Semilibertà per i condannati all’ergastolo e per i recidivi


La legge 1975 non prevedeva la concessione della sl per i condannati all’ergastolo.
La legge Gozgzini 663/1986 ha determinato in 20 anni il periodo di pena che deve essere espiato
dal condannato dall’ergastolo prima di essere ammesso alla sl.
Tale periodo può essere abbreviato attraverso la concessione delle riduzioni di pena ex art. 54,
ma non sottraendo la pena coperta da condono. Qualora la pena dell’ergastolo sia inclusa in un
provv. di unificazione di pene concorrenti insieme a pene temporanee, già in parte scontate,
non può tenersi conto delle pene espiate prima della commissione del fatto per il quale è stato
inflitto l’ergastolo (perchè altrimenti si creerebbe una situazione di vantaggio del condannato
all’ergastolo che sta espiando pene precedente rispetto al condannato incensurato).
art. 58-quater co. 7-bis Ai detenuti ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata non può essere
concessa la sl più di una volta.

Revoca
Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si
appalesi idoneo al trattamento.
La revoca è dichiarata dal tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto
penitenziario nel quale si trova il condannato in sl.
In caso di revoca, il periodo trascorso in sl è computato come pena espiata.
Il legislatore non fa riferimento alle cause della revoca, ma ad una generica non idoneità del
trattamento.
La revoca può prescindere da qualsiasi violazione di legge o del programma di trattamento.
Una ipotesi di revoca è che il condannato rimanga assente dall'istituto senza giustificato
motivo, per non + 12 h -> punizione disciplinare e può essere proposta la revoca.
Se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile per evasione.
La denuncia per il delitto di evasione importa la sospensione del beneficio e la condanna ne
importa la revoca (automatica).
All'internato ammesso al regime di semilibertà che rimane assente dall'istituto senza
giustificato motivo, per oltre 3 h, si applicano sanzioni disciplinari e può essere proposta la
revoca. Se rimane assente per + 12 h, 4 non0 può essere denunciato per evasione (solo il
condannato), l’unica sanzione è la revoca (facoltativa).
LIBERAZIONE ANTICIPATA
Non è una m.a., costituisce una riduzione di pena concessa a seguito di un comportamento
meritevole del detenuto che ha l’effetto di anticipare la sua liberazione.
Unico istituto non toccato dalla controriforma del 1991 in poi, indispensabile per il
raggiungimento dei fini costituzionali della pena.

art. 54 Al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all’opera di
4 0
rieducazione, è concessa, quale riconoscimento, ai fini del suo più efficace reinserimento nella
società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata.
Partecipazione all’opera di rieducazione
Gli elementi di valutazione della partecipazione alla rieducazione sono descritti nell’art. 103 reg.
es. La prova viene desunta da
- impegno nel trarre profitto dalle opportunità offerte nel corso del trattamento
- atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari
- qualità dei rapporti intrattenuti con i compagni, i familiari e la comunità esterna.
L’accertamento del primo requisito è condizionato dal tipo e dalla qualità di opportunità offerte
al detenuto.
Nel caso in cui, per carenze strutturali e organizzative, non si sia provveduto ad un programma
individuale di trattamento, non può comunque essere negata la libertà anticipata al
condannato per non aver partecipato ad un trattamento che non gli è mai stato offerto non per
sua colpa (paradossalmente, sarà più facile realizzare il requisito di merito: più sono le attività
offerte, maggiore deve essere l’impegno). In questo caso il giudice potrà solo valutare la
regolarità della condotta.

Semestralizzazione
Dopo la riforma del 1986, il legislatore ha optato per una valutazione dei semestri di pena
espiata FRAZIONATA.
Ogni semestre, il condannato ottiene una valutazione e, quindi, nel caso di esito favorevole, ha
un incentivo alla partecipazione al programma di trattamento.
Vi possono, però, essere valutazioni contrastanti: eventuali valutazioni negative, che con una
valutazione globale avrebbero potuto essere inglobate in una valutazione finale positiva,
rimangono esclusiva dalla riduzione della pena.
La valutazione frazionata è prevalsa nella giurisprudenza della Cass. e ha ricevuto il definitivo
avallo dalla C.Cost. con la sent. 276/1990.
La giurisprudenza ha avvertito che i singoli semestri non possono essere considerati come
compartimenti insuscettibili di comunicazione tra di loro. Al contrario, qualora si verificasse in
un semestre un fatto negativo particolarmente grave, questo potrebbe fungere da chiave
interpretativa per valutare il comportamento tenuto nei semestri contigui. Viceversa, un fatto
particolarmente positivo potrebbe servire a riscattare semestri precedenti contigui di segno
negativo.
Le ordinanze in tema di l.a., una volta divenute definitive, precludono il successivo riesame del
comportamento del condannato; fatta eccezione per l’ipotesi in cui si accerti che la situazione
di fatto sulla quale la decisione era fondata era in realtà diversa.
Il semestre è il periodo minimo da prendere in considerazione. Un temperamento può essere
rappresentato dalla possibilità di computare il semestre attraverso la sommatoria di più periodi
di detenzione intervallati da periodi trascorsi in stato di libertà, cui può essere aggiunto
l’eventuale periodo di custodia cautelare + periodo trascorso in semilibertà o in regime di
arresti domiciliare.
Esclusa la l.a. per i periodi trascorsi in affidamento in prova o liberazione condizionale, per
mancanza dell’attualità della detenzione. La giurisprudenza più recente ha però ammesso che
la riduzione di pena può essere richiesta dal condannato in liberazione condizionale con
riferimento al periodo di espiazione di pena o di custodia cautelare.

4 0
Sempre ammessa invece la richiesta da parte del condannato che ha ottenuto il differimento
della pena ex art. 147 cp.
Oggi il problema interpretativo non si pone più, l.277/2002 -> art. 47 co. 12-bis All’affidato in
prova al servizio sociale, che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concerto
recupero sociale, può essere concessa la detrazione di pena di cui all’art. 54.
Si ritiene che la norma si possa estendere anche al liberato condizionalmente.
Agli effetti del computo della pena che occorre aver espiato per accedere ai permessi premio, la
semilibertà e la liberazione condizionale, la parte di pena detratta si considera come scontata
(presunzione di espiazione della pena detratta).

Revoca
La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione, successivamente
alla concessione del beneficio, comporta la revoca.
Deve trattarsi di condanna inflitta con sent. irrevocabile.
Non rileva il delitto commesso dopo la liberazione per fine pena, salvo il caso della libertà
vigilata. 4 0
Sent. C.Cost. 186/1995 Illegittimità nella parte in cui è prevista la revoca automatica della l.a.,
anziché la revoca se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare
incompatibile con il mantenimento del beneficio.

Liberazione anticipata speciale


d.l. 146/2013 conv. l. 10/2014 -> aumento della detrazione di pena concessa con la l.a. pari a 75
giorni per ogni singolo semestre. Ipotesi valida per 2 anni dall’entrata in vigore della legge.
Inoltre, chi abbia usufruito della l.a. a decorrere dal 1 gennaio 2010, potrà vedersi riconosciuta
un’ulteriore detrazione di 30 giorni, purché nel successivo corso dell’esecuzione abbia dato
prova di partecipazione all’opera di rieducazione.
No
- condannati delitti art. 4-bis
- condannati in affidamento al servizio sociale o in detenzione domiciliare
- condannati ammessi all’esecuzione di pena presso il domicilio

LIBERAZIONE CONDIZIONALE
E’ disciplinata dagli artt. 176-177 cp, tra le cause estintive della pena, anche se ormai si considera
rientrante a pieno titolo tra le m.a. alla detenzione.
Originariamente prevista dal Codice Zanardelli 1889, che attribuiva al Ministro della Giustizia la
facoltà di concedere la l.c. al detenuto, in presenza di una sua generica buona condotta (era un
‘beneficio’, non un diritto del condannato al verificarsi di determinati presupposti).
Il Codice Penale 1930 limitò il potere del Ministro alla sola concessione della l.c., attribuendo
invece la competenza per la revoca al giudice dell’esecuzione.
Questo smistamento di competenze si è protratto per diversi decenni, anche dopo l’entrata in
vigore della Cost., a causa dell’incapacità di attuare la riforma dell’ord. pen.
L’idea era che il bene della libertà personale doveva essere adeguatamente tutelato solo fino a
quando non si fosse accertata con un giusto processo la responsabilità dell’imputato; dopo il
passaggio in giudicato della condanna non residuavano diritti soggettivi da tutelare nel corso
dell’espiazione della pena.
Vi era anche uno scarso intervento della C.Cost., dovuto al fatto che la struttura del giudizio di
legittimità non prevede un intervento ex officio della Corte, ma presuppone un’investitura da
parte del giudice ordinario che sollevi l’eccezione di legittimità costituzionale: ma nel settore

4 0
penitenziario mancavano giudici con funzioni giurisdizionali che potessero sollevare eccezioni
di legittimità. L’unico giudice operante in sede esecutiva era il giudice di sorveglianza che, però
svolgeva limitate funzioni di controllo e di consulenza.
sent. 110/1974 Illegittimità art. 207 cp nella parte in cui conferiva al Ministro della Giustizia la
competenza per la revoca anticipata delle misure di sicurezza.
sent. 204/1974 Il passaggio in giudicato della condanna non determina la privazione dei diritti
soggettivi del condannato e neppure del diritto di libertà, che egli riacquista non appena si
verifichino le condizioni previste dalla legge per la sua liberazione.
Tale accertamento, concernendo un diritto soggettivo, non può essere demandato ad un
organo amministrativo, ma deve essere compiuto da un organo giudiziario nel contesto di un
procedimento giurisdizionale.
La sent. dichiarava l’illegittimità dell’art. 43 disp. att. cp, creando una situazione di vacatio legis.
Legge 6/1975 ha assegnato alla Corte d’Appello la competenza a concedere la l.c.
Non la magistratura di sorveglianza (come prevede la legge ord. pen. per le m.a.) -> sfasatura
corretta con la riforma 1986: competenza al tribunale di sorveglianza.

Presupposti oggettivi
Presupposto ineliminabile è l’espiazione di una parte della pena inflitta.
art. 176 Il condannato deve aver espiato almeno 30 mesi e comunque almeno metà della pena
inflittagli -> la l.c. non può essere concessa per condanne < 5 anni di reclusione.
La pena residua da scontare non deve superare i 5 anni.
ergastolo: espiazione di almeno 26 anni
recidi: espiati almeno 4 anni di pena e non meno di 3/4 della pena inflitta
Ai fini del computo della pena, il tempo trascorso dal detenuto in licenza o permesso è
computato ad ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale e la parte
di pena detratta ai fini della liberazione anticipata si considera come scontata.
Queste limitazioni temporali non si applicano ai condannati che erano minori al momento in cui
commisero il fatto: per i minori la l.c. può essere chiesta in qualsiasi momento dell’esecuzione e
qualunque sia la durata della pena inflitta.
Inoltre, la concessione della l.c. è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti
4 0
dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
E’ sufficiente provare che il condannato nei limiti delle proprie possibilità economiche si sia
adoperato seriamente per adempiere le obbligazioni civili, consistenti non solo nel risarcimento
del danno ma anche nel pagamento delle spese processuali. L’obbligo può ritenersi soddisfatto
anche in caso di adempimento parziale o di impossibilità legata al comportamento del creditore
che renda in concreto impossibile il soddisfacimento totale o parziale dell’obbligazione.
E’ escluso il presupposto del ‘perdono’ della persona offesa.

Sicuro ravvedimento
Il condannato può ottenere la l.c. solo a condizione che durante l’esecuzione della pena tenga
una condotta tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento.
Dopo la legge pen. la verifica del ‘sicuro ravvedimento’ si fonda su elementi oggettivi ed
esteriori desunti dal trattamento penitenziario e si colloca al vertice di una gamma di
comportamenti meritevoli del condannato: regolare condotta - partecipazione all’opera di
rieducazione - progressione del trattamento - sicuro ravvedimento
tratti dalla natura e dalla qualità dei rapporti con i compagni, il personale carcerario, i propri
familiari, dalla volontà del reinserimento sociale con l’attività di studio e lavoro, dalle
manifestazioni di altruismo e solidarietà sociale.

4 0
La sussistenza del sicuro ravvedimento presuppone l’avvenuto riconoscimento dei requisiti di
merito minori e la positiva sperimentazione delle misure alternative collegate a quei requisiti.
E’ superata la concezione del ‘ravvedimento’ che presupponeva la confessione del condannato.
La l.c. oggi non può essere negata al condannato che, pur non confessando, sia così esemplare
da mostrare realizzata la sua risocializzazione. L’unica condizione che è richiesta in questo caso
è che il condannato, pur continuando a proclamarsi innocente, dia prova di aver compreso il
significato antisociale del delitto per il quale è stato condannato, anche se la proclamata
innocenza rende più difficoltoso il giudizio sul ravvedimento.

Status del liberato condizionalmente


Il liberato c. è sottoposto a regime di libertà vigilata ex artt. 177 e 230 cp. Il regime di l.v. ha
durata pari alla pena che resta da espiare.
Nell’ordinanza è fissato il termine massimo entro il quale, dopo la scarcerazione, l’interessato
dovrà presentarsi all’ufficio di sorveglianza del luogo ove si esegue la libertà vigilata, per
l’applicazione delle necessarie prescrizioni, le quali sostanzialmente coincidono con quelle
previste per l’affidamento in prova.
Il riferimento all’art. 230 deve intendersi limitato ai contenuti delle prescrizioni ma non alla
forma, non trattandosi di vera e propria applicazione di una misura di sicurezza, il cui
presupposto darebbe la pericolosità del condannato (qui esclusa).
Lo status del liberato deve essere equiparato a tutti gli effetti a quello del condannato in
espiazione in forma alternativa alla detenzione in carcere.

Esiti
Esito positivo. art. 177.2 Estinzione della pena e revoca delle misure di sicurezza personali
ordinate dal giudice, in seguito al decorso del tempo corrispondente alla pena inflitta o 5 anni
dalla data del provvedimento di concessione nel caso dell’ergastolo.
La declaratoria è pronunciata dal tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo di
residenza del liberato, attraverso una procedura de plano.
Esito negativo. art. 177.1 Si ha in caso di revoca, che è dichiarata dal tribunale di sorveglianza
- se il liberato commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole rispetto al
reato per il quale riportò la condanna
- se il liberato trasgredisce agli obblighi imposti con libertà vigilata.
Il tribunale deve valutare la gravità della violazione al fine di stabilire se la stessa risulti
incompatibile con il mantenimento del beneficio. La C.Cost. (1998) ha escluso l’automatismo
del co. 1, ma va escluso anche in relazione al co. 2
La C.Cost. (1989) ha escluso l’effetto ex tunc della revoca: il tribunale determina la pena
detentiva che occorre ancora scontare, tenendo conto del comportamento del condannato,
del tempo trascorso in l.c., nonché delle restrizioni della libertà.

4 0
IL PROCEDIMENTO DI SORVEGLIANZA

La disciplina di tale procedimento risponde all’esigenza di giurisdizionalizzazione


dell’esecuzione. Già la legge-delega vincolava il legislatore alla ‘giurisdizionalizzazione dei
procedimenti concernenti la modifica e la esecuzione della pena e l’applicazione delle misure di
sicurezza’, con la previsione esplicita della ‘garanzia del contraddittorio’.
Il legislatore del ’75 dette forma ad un apposito
4 0 rito di sorveglianza (art. 71), poi artt. 71-bis - 71-
sexies Capo II-bis. Nel 1986 si pervenne ad ulteriori modifiche, nell’intento di una reductio ad
unitatem dei disordinati e incoerenti moduli procedimentali fino ad allora sorti.
Il legislatore del 1988 aveva l’obiettivo di ricondurre ad unità procedure disciplinate da leggi
diverse e la convinzione che la molteplici regole particolari allora vigenti dovessero trovare un
assetto nuovo e definitivo nel cpp.
L’unificazione del rito base post iudicatum è stata raggiunta con il rinvio nell’art. 678 all’art. 666
-> ma ciò si è risolto in un inopportuno appiattimento del ‘nuovo’ modello sulle esigenze del
rito di esecuzione, non di rado divergenti da quelle del rito di sorveglianza.
Inoltre, nel primo impianto della normativa penitenziaria, il rito di sorveglianza era stato
concepito e modellato in funzione delle finalità rieducative. Il moltiplicarsi nel tempo dei rinvii
da parte del legislatore al modello procedimentale di sorveglianza ha finito per recidere il
collegamento funzionale tra rito di sorveglianza e finalità rieducativa.

Ambito di applicazione
art. 678 co. 1 Il procedimento tipo si applica, avanti al tribunale di sorveglianza, nelle materia di
sua competenza.
Seguendo la lettera, rimarrebbero travolti, per abrogazione implicita, tutti i modelli semplificati
pur previsti, dalla normativa pen. per singole materie attribuite al tribunale di sorveglianza.
Al fine di evitare un simile effetto demolitori art. 236 co. 2 disp. att. cpp Nelle materie di
competenza del tribunale di sorveglianza continuano a osservarsi le disposizioni processuali
della legge ord. pen. diverse da quelle contenute nel Capo II-bis Titolo II -> scompare solo la
disciplina degli artt. 71 ss.; mentre permangono gli altri congegni processuali previsti dalla legge
pen.
La formula aperta dell’art. 678 implica che il modello art. 678 si applicherà, in via automatica, a
qualsiasi nuova materia che nel futuro dovesse risultare attribuita alla cognizione del tribunale
di sorveglianza.
Il magistrato di sorveglianza, invece, decide secondo il modello art. 678 solo nelle materie
tassativamente elencate nel co. 1: ricoveri per infermità psichica sopravvenuta, decisioni in
tema di misure di sicurezza, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza
a delinquere. In ordine ad ogni altra attribuzione non risulterà applicabile il modello base: il
magistrato decide, solitamente, de plano, senza formalità di procedura.

Instaurazione del procedimento


art. 678 co. 1 Il procedimento di sorveglianza si instaura a richiesta del pm, dell’interessato, del
difensore o d’ufficio. L’affidamento in prova, la semilibertà, le licenze, la liberazione anticipata,
la remissione del debito possono essere richieste altresì dai prossimi congiunti ovvero proposti
dal consiglio di disciplina.
- D’UFFICIO Mentre il procedimento d’esecuzione deve avviarsi, a pena di nullità, su impulso di
parte. L’iniziativa ex officio risponde ai caratteri della giurisdizione rieducativa, ispirata
all’esigenza di verificare e favorire il processo di socializzazione del soggetto in sintonia con le
finalità della pena.

4 0
Sono state mosse critiche, però, in ordine all’ipotesi forse piò frequente di attivazione del rito
ex officio iudicis, cioè la revoca delle misure alternative alla detenzione: in tal caso, infatti,
riemerge la figura del giudice imparziale, chiamato a decidere nella contrapposizione dialettica
tra le aspettative dell’interessato e le istanze del pm (-> dubbi cost. art. 111 Cost.).
Il potere d’ufficio è del tutto compatibile con stimoli esterni provenienti da fonti diverse
(direttore istituto pen, servizio sociale): tali stimoli, tuttavia, non configurandosi come formale
domanda, saranno inidonei a determinare, in capo al giudice, un obbligo giuridico di procedere.
- PM Innovazione introdotta dal cpp 1988. L’ufficio del pm cui è attribuito il potere di iniziativa è
il Procuratore generale presso la Corte d’appello davanti al tribunale di sorv., il Procuratore
della Repubblica presso il tribunale della sede dell’ufficio di sorveglianza davanti al magistrato
di sorv. (co. 3).
L’iniziativa del pm consente un bilanciamento rispetto alle incongruenze dell’iniziativa d’ufficio
in ordine alla revoca di benefici penitenziari ed è in linea con gli sviluppi del modello verso una
progressiva espansione dell’area applicativa del rito di sorveglianza.
L’iniziativa del pm deve essere esclusa in ordine a materie che presuppongono un’indagine sulla
rieducazione del condannato.
- INTERESSATO Ipotesi più frequente di avvio del rito di sorveglianza.
- DIFENSORE E’ un potere di iniziativa autonomo (già previsto da dottrina e giurisprudenza), al
quale però l’interessato può togliere effetto. Si ritiene che il difensore debba essere munito di
un mandato ad hoc (no prorogatio del mandato difensivo conferito nel processo di cognizione
o l’incarico attribuito nell’ambito del procedimento di esecuzione)
4
- PROSSIMI CONGIUNTI (ascendenti, discendenti, 0 coniuge, fratelli e sorelle, zii e nipoti, affini
nello stesso grado salvo che sia morto il coniuge e non vi sia prole). L’interessato può togliere
efficacia alla domanda proposta da altri nel suo interesse.
- CONSIGLIO DI DISCIPLINA DELL’IST. PEN. (direttore + sanitario + educatore)
- TUTORE E CURATORE DELL’INFERMO DI MENTE Non espressamente previsto, si ricava in via
implicita dall’art. 666 co. 8 cpp (Al tutore e al curatore competono gli stessi diritti
dell’interessato), applicabile al rito di sorveglianza in forza del generale rinvio all’art. 666
nell’art. 678.

ATTI PRELIMINARI
Deliberazione di ammissibilità della domanda
art. 666 co. 2 Il magistrato di sorveglianza ovvero il presidente del tribunale procede al
controllo di ammissibilità della domanda. La domanda è inammissibile per:
- manifesta infondatezza per difetto delle condizioni di legge
si rischia di sottendere una valutazione di merito, che mal si concilia con la ricognizione dei
presupposti processuali della domanda: occorre scongiurare ogni interpretazione
eccessivamente liberale del presupposto. La richiesta deve apparire infondata per ‘difetto
delle condizioni di legge’: la carenza delle condizioni di legge deve emergere prima facie,
senza necessità di analisi approfondite, le condizioni di legge devono essere intese
rigorosamente e in senso restrittivo come quei requisiti che non implicano alcuna
valutazione discrezionale, ma sono posti direttamente dalla legge
- se l’atto introduttivo costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui
medesimi elementi
una precedente pronuncia sul medesimo oggetto determina un effetto preclusivo. Ma un
ruolo fondamentale è attribuito al fattore tempo: solo un lasso temporale assai stretto tra la
prima richiesta e la seconda potrà condurre alla declaratoria di inammissibilità, dovendosi in
ogni altro caso favorire l’esplicarsi del contraddittorio in udienza.

4 0
Il soggetto legittimato decide con decreto motivato di inammissibilità, ricopribile per Cass. nei
15 giorni successivi alla notifica.

Nomina del difensore d’ufficio all’interessato che ne sia privo (art. 666 co. 3).
La nomina del difensore avviene dopo la declaratoria di ammissibilità della richiesta. Pertanto,
nell’ipotesi in cui sia dichiarata inammissibile la richiesta proposta da chi sia privo di difensore di
fiducia, vi è il rischio che la ricorribilità per Cass. avverso il decreto di inammissibilità, si riduca a
garanzia labiale -> disciplina deficitaria sotto il profilo del diritto di difesa e della parità delle
armi tra le parti.

Fissazione della data dell’udienza e notificazione e comunicazione alle parti (art. 666 co. 3).
L’avviso deve contenere, a pena di nullità assoluta:
- indicazione dell’autorità giudiziaria procedente, del luogo giorno e ora dell’udienza
- esatta individuazione dell’oggetto del procedimento.
L’avviso va notificato alle parti e comunicato al pm almeno 10 giorni prima della data
dell’udienza, a pena di nullità assoluta (x interessato e difensore) e nullità intermedia (x pm).
Fino a 5 giorni prima della data dell’udienza, le parti hanno facoltà di depositare memorie in
cancelleria. Quindi, anche il giudice deve depositare in cancelleria, a disposizione delle parti, la
documentazione precostituita all’udienza.

UDIENZA CAMERALE
L’udienza si celebra in camera di consiglio, con la necessaria partecipazione del pm e del
difensore. Di regola, l’udienza si dovrebbe svolgere in assenza del pubblico; sent. C.Cost.
135/2014 incostituzionalità art. 678 co. 1 e artt. 666 co. 3 e 679 co. 1 nella parte in cui non
consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di
sicurezza si svolga davanti al magistrato e al tribunale di sorv., nelle forme dell’udienza
pubblica.
Il modello è quello di un contraddittorio orale necessario.
1. Accertamento della regolare costituzione delle parti
2. Relazione della causa da parte del presidente o altro componente del collegio (ar. 45 dis. att)
3. Fase di trattazione: acquisizione del materiale in precedenza formatosi, assunzione di
ulteriori prove, audizione dell’interessato nei limiti in cui risulti prevista e possibile
4. Discussione: le parti tecniche argomentano circa l’attività compiuta e il materiale acquisito
nel corso dell’udienza, formulando le richieste conclusive

Partecipazione del difensore


4 0
Se l’assenza del difensore dipenda da omissione o patologie della citazione o della notifica .> il
giudice dovrà predisporre la rinnovazione dell’atto.
Se l’assenza del difensore è dovuta a legittimo impedimento e questo è stato prontamente
comunicato
-> artt. 485-488 cpp: obbligo di sospensione dell’udienza, non se l’imputato è assistito da due
difensori o il difensore ha designato un sostituto o l’imputato chiede che si proceda in assenza
del difensore) - riferiti solo al dibattimento e ritenuti inestensibili ai riti camerali a
contraddittorio necessario (Cass. 1998)
-> l. 479/1999 artt. 420-bis ss. (artt. 484 co. 2 bis per dibattimento).
Resta un deficit di garanzia per il rito art. 666, il quale residuerebbe, pressoché, isolato, come
modello a contraddittorio necessario in cui l’impedimento del difensore darebbe luogo solo alla
nomina del difensore d’ufficio ex art. 97.4.

4 0

Urge un intervento legislativo che imponga anche in questo caso la sospensione o il rinvio
dell’udienza in caso di legittimo impedimento del difensore. Nelle more, si potrebbe ritenere
estensibile il meccanismo art. 420-ter co. 5 anche ai riti di esecuzione e sorveglianza.

Intervento dell’interessato
art. 666 co. 4
- L’interessato che ne fa richiesta è sentito personalmente.
Nessun particolare problema si pone in relazione all’interessato in stato di libertà.
- Se è detenuto o internato in luogo all’interno della circoscrizione del giudice, l’interessato
diviene titolare di un diritto soggettivo all’audizione, che il giudice è obbligato a disporre
statuendo circa ogni adempimento a ciò strumentale.
- Se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima
del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di
disporre la traduzione avanti a sè, rendendo così possibile la diretta partecipazione di questi
all’udienza camerale.
La ratio di questa scelta è illustrata dalla Relazione al Progetto Preliminare al cpp: le esigenze
organizzative e di sicurezza sarebbero state compromesse ove si fosse optato per un
indiscriminato diritto dei detenuti alla traduzione -> spesso il giudice dell’esecuzione ha sede in
luogo distante da quello dove è ristretto il condannato, si voleva evitare il rischio di iniziative a
parte di criminali pericolosi strumentali a ottenere unicamente il trasferimento (es. per tentare
la fuga). L’autodifesa, d’altronde, è comunque estrinsecatile attraverso l’audizione per
rogatoria del soggetto effettuata dal magistrato di sorveglianza del luogo, pur se ciò comporti
un innegabile ma giustificato sacrificio del principio di immediatezza.
Occorre, però, chiedersi de l’omologazione del rito di esecuzione e del rito di sorveglianza, in
ordine ai profili dell’autodifesa dell’interessato in vinculis risponda davvero a logica: il rito di
esecuzione affronta in prevalenza problematiche di diritto, con trascurabili riflessi in fatto, così
da rendere pressoché irrilevante la diretta partecipazione dell’interessato all’udienza; nel
procedimento di sorveglianza invece i profili fattuali rivestono, di solito, ruoli di assoluta
centralità nel quadro della materia del decidere e, in tal senso, l’appiattimento sul modello del
proc. di esecuzione non ha certo prodotto risultati apprezzabili.
Il peculiare regime previsto dall’art. 666.4 (assimilabile all’art. 127.3 in ordine al modello
camerale in genere) suscita, peraltro, dubbi di legittimità cost., con riguardo agli artt. 24 e 111
Cost. e 3 Cost. (il livello delle garanzie partecipative viene fatto dipendere da un fattore non
solo del tutto casuale ma anche per intero rimesso alla discrezionalità dell’amm. pen. quale il
locus custodiae).
sent. C.Cost. 45/1991 ha suggerito una lettura della norma volta a rendere meno sfumata la
potestà del giudice di disporre la comparizione avanti a sé del soggetto in vinculis che ne abbia
fatto richiesta. La C.Cost. ha riesplorato la propria precedente pronuncia 98/1982 (avente ad
oggetto l’art. 630 cpp 1930 che disciplinava il rito dei c.d. incidenti di esecuzione): ove ricorrano
ipotesi in cui siano prese in esame questioni di fatto concernenti la condotta dell’interessato, si
impone la diretta audizione del medesimo affinché il giudice stesso possa formarsi il
convincimento nel modo più diretto e completo. Muovendo da questo precedente, la Corte ha
ritenuto legittimo l’art. 127.3; ma per analogia i principi stabiliti nella sent. sono certamente
estensibili anche al meccanismo dell’art. 666.4.
sent. S.U. Cass. 1995 (Carlutti) Riconoscimento di un vero e proprio diritto dell’interessato in
vinculis a partecipare personalmente all’udienza in camera di consiglio, ove solo ne faccia
richiesta, a prescindere dal locus custodiae e sempre che la questione rivesta profili fattuali che
rendano insurrogabile l’audizione personale del soggetto.

4 0
Conseguenze in caso di omessa traduzione dell’interessato in vinculis che abbia fatto richiesta
di partecipazione all’udienza camerale ma non sia stato posto in condizione di presentarsi?
Anche su questo punto si erano profilati contrasti interpretativi.
S.U. Cass. 1995 Una volta che il soggetto in vinculis abbia manifestato la volontà di comparire,
l’ordine di traduzione e la sua esecuzione costituiscono atti indefettibili della procedura diretta
alla regolare costituzione del contraddittorio -> omessa citazione : nullità assoluta.
Teleconferenza. l.11/1998 A mezzo di appositi dispositivi tecnologici, viene attivato un
collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da
assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i
luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto.
La partecipazione dell’imputato o del condannato all’udienza camerale avviene a distanza
sempre che ricorra uno dei presupposti art. 146-bis disp. att.:
- qualora sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico
4
- qualora il procedimento sia di particolare 0
complessità e la partecipazione a distanza risulti
necessaria a evitare ritardi nel suo svolgimento
qualora si tratti di detenuto art. 41-bis.
La partecipazione a distanza costituisce un meccanismo idoneo a superare le incertezze e i
deficit di tutela dell’attuale struttura dell’art. 666.4.

Prove
art. 666.5 il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di
cui abbia bisogno. Se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del
contraddittorio.
art. 185 disp. att. Il giudice, nell’assumere le prove a norma dell’art. 666.5, procede senza
particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l’esame dei testimoni e
l’espletamento della perizia.
art. 678.2 (solo per il proc. di sorveglianza) Quando si procede nei confronti di persona
sottoposta a osservazione scientifica della personalità, il giudice acquisisce la relativa
documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento.
Spetta al giudice un ruolo di netta preminenza sul piano dell’iniziativa probatoria; mentre non si
fa nessuna menzione esplicita circa un ‘diritto alla prova’ delle parti. Si tratta di un modello
antitetico rispetto a quello del Libro III cpp.
Inoltre, l’ammissione della prova sarebbe improntata al criterio della necessità-opportunità
(non quello della pertinenza-rilevanza art. 187).
Questo modello, incentrato sul giudice ‘signore della prova, si attaglia al primo nucleo della
giurisdizione rieducativa (caratterizzato dal paradigma del giudizio sull’uomo), ma risulta del
tutto eccentrico alla luce della dilatazione dello spettro devoluto al giudice della cognizione.
Questi rilievi assumono pregnanza a fronte del nuovo art. 111 Cost.; tanto che, facendo leva sul
dato testuale, si è recentemente proposto di distinguere tra assunzione e ammissione della
prova, facendo defluire quest’ultima nell’alveo dello schema del processo di parti e rimettendo,
dunque, l’iniziativa probatoria all’impulso della parte interessata.
Il procedimento di sorveglianza può dirsi il regno della prova precostituita, mentre solo
eventuale è il ricorso alla prova costituenda. Il giudice dà luogo, innanzitutto, alla richiesta di
documenti e informazioni; se e nella misura in cui occorra assumere nuove prove, si procederà
in udienza nel rispetto del contraddittorio.
Anche questo aspetto evidenzia una vistosa contrapposizione tra processo di cognizione e rito
di sorveglianza.

4 0
Le prove cui l’art. 666.5 si riferisce sono, innanzitutto, i documenti. La prova documentale
costituisce la più classica tra le prove precostituite. Tra i documenti primario rilievo ha la cartella
personale del detenuto o internato: indicazioni generali e particolari del trattamento, dati
giudiziari, biografici, sanitari del soggetto, sviluppi del trattamento e risultati.
Rispetto alla cartella personale - si è affermato - qualsiasi altra prova è incompleta.
La cartella dovrebbe essere oggetto di acquisizione in via integrale; un indirizzo interpretativo,
tuttavia, ammette in funzione quasi surrogatoria, l’acquisibilità della c.d. ‘relazione di sintesi’,
elaborata dagli operatori penitenziari su richiesta del giudice di sorveglianza, che rappresenta la
situazione allo stato esistente.
Tra gli ulteriori documenti acquisibili: documentazione del centro distrettuale di servizio sociale
ovvero da altre agenzie di servizio sociale, certificati del casellario giudiziario, sent. irrevocabili
e sent. straniere riconosciute in Italia.
Accanto ai documenti, l’art. 666.5 annovera le informazioni. Si tratta di dati conoscitivi
eterogenei, strumentali ai fini della decisione, di cui il giudice può fare richiesta a qualsiasi
ufficio o ente pubblico; l’ente richiesto potrà fornire i dati attraverso una dichiarazione orale del
funzionario o in forma scritta.
Tra le informazioni: quelle provenienti dagli organi di polizia, le informative obbligatorie che
vanno richieste ex art. 4-biss al comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica o al
questore (anche se obbligatorie non vincolanti).
Solo ove residuino coni d’ombra, non esplorati attraverso documenti e informazioni, il giudice
procede ad assumere ulteriori prove.
Tra le prove costituende, spicca la consulenza dei tecnici del trattamento = psicologo,
educatore, assistente sociale, direttore istituto pen. (?), appartenenti al corpo di pp (?),
professionisti esterni di cui l’amm. pen. può avvalersi proprio per l’attività di osservazione e
trattamento (-> deve trattarsi di operatori concretamente coinvolti nell’attività trattamentale
nei confronti del soggetto).
Rientra, altresì, tra le prove costituende tipiche la perizia criminologica, mirante a stabilire
l’abitualità o la professionalità nel reato,4 la tendenza
0 a delinquere, il carattere e la personalità
dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Si tratta di
mezzo di prova estromesso dall’area del processo di cognizione (art. 220.2).
Poi vi possono essere ulteriori mezzi si prova, come la testimonianza.
La prova precostituita fa ingresso nel processo attraverso l’operazione di acquisizione: se il
supporto documentale è già allegato in precedenza al fascicolo è posto a disposizione delle
parti già in sede di atti preliminari; se invece viene ad esistenza nel corso del proc. entrerà in
fascicolo per i stranite di un apposito provv. istruttorio di acquisizione. Perché il documento
possa considerarsi ‘legittimamente acquisito’ occorre che il giudice si avvalga dello strumento
tecnico della lettura o dell’indicazione dell’atto.
Per quanto riguarda la prova costituenda, si ritiene che non si possa far luogo all’esame
incrociato; non manca tuttavia chi ritiene eccezionalmente utilizzabile la tecnica dell’esame
incrociato, ove le parti ne facciano richiesta e il giudice la autorizzi, a fronte di particolare
delicatezza e complessità della prova testimoniale. Una recente opinione tende a ritenere
ormai imprescindibile, anche in sede di sorv., l’adozione dell’esame incrociato ove si tratti di
assumere una qualsiasi prova dichiarativa.

DECISIONE
La decisione deve essere adottata dal medesimo giudice (persona fisica) avanti al quale si è
svolta l’udienza (principio di immutabilità art. 525 cpp).

4 0
Nessuna norma fissa il principio di immediatezza per il rito di sorveglianza: non dà luogo ad
alcuna patologia la circostanza che il giudice non emetta la decisione immediatamente dopo
l’epilogo dell’udienza camerale, ma ‘si riservi’ di adottare e depositarla dopo.
art. 666 co. 6 Le decisione assume la forma dell’ordinanza, sempre motivata a pena di nullità.
L’ordinanza va poi notificata alle parti e comunicata al pm, per intero, senza ritardo; da tale
data decorre il termine di 15 giorni per il ricorso per Cass.

Ricorso per Cassazione


Criticata la scelta di prevedere la sola ricorribilità per Cass. per legittimità: scartata l’ipotesi non
praticabile dell’istituzione di un organismo giurisdizionale ad hoc, non sarebbe stato comunque
semplice individuare un organo idoneo a svolgere il ruolo di giudice d’appello avverso le
pronunce del tribunale di sorveglianza. Proprio perciò si era, ormai da tempo, suggerita la
possibilità di attribuire alla Cass. funzioni di controllo anche nel merito.
De iure condito, comunque la decisione che conclude il rito di sorveglianza è ricorribile solo per
Cass.
L’art. 666 co. 6 rinvia alle norme sulle impugnazioni in generale e a quelle che regolano il rito in
camera di consiglio avanti alla Cass. -> art. 611.
La Corte giudicherà sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle
altre parti senza l’intervento dei difensori. E’ ammessa la presentazione di motivi nuovi, di
memorie difensive e di replica.
art. 666 co. 7 La presentazione del ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza impugnata
(deroga all’effetto sospensivo dell’impugnazione); tuttavia, è potestà del giudice di
sorveglianza che l’ha emessa disporre, con decreto motivato, su richiesta di parte, la
sospensione dell’esecuzione. Nessun rimedio è espressamente previsto avverso il decreto di
sospensione; deve ritenersi ammissibile il ricorso per Cass. ex art. 111 allorché il provv. incida
sulla libertà personale del soggetto.

4 0
IL PROCEDIMENTO PER RECLAMO

art. 35 Facoltà per i detenuti e gli internati di rivolgere doglianze ad autorità interne o esterne
all’organizzazione penitenziaria o al magistrato di sorveglianza per lamentare situazioni lesive
4
di diritti o di interessi tramite istanze o reclami 0scritti o orali, anche in busta chiusa.
Nessuna regola sugli esiti o sulle modalità dell’intervento.
Nessun rimedio era previsto in caso di mancata adozione di provvedimenti né alcuno
strumento per garantire efficacia cogente ai provvedimenti eventualmente assunti per
eliminare violazioni dei diritti dei condannati.
Legge 450/1977 Reclamo in materia di permessi art. 30-bis Facoltà di presentare impugnazione
entro 24h dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza sull’istanza di
permesso. L’organo adito, assunte se del caso informazioni, provvede entro 10 giorni.
Anche questo un procedimento prettamente amministrativo.
L. 663/1986 art. 14-ter + artt. 53-bis e 69.6
Il reclamo inizia a delinearsi come un mezzo preordinato ad assicurare un completo esame nel
merito di alcuni provvedimenti emessi inaudita altera parte e ritenuti dal detenuto lesivi dei
propri diritti.

Il reclamo giurisdizionale previsto dall’art. 14-ter rientra tra i PROCEDIMENTI DI SORVEGLIANZA


ATIPICI o SPECIALI (= procedimenti che presentano significative diversità strutturali rispetto al
meccanismo ordinario delineato dalla normativa generale, originariamente dettata dagli artt. 71
ss. ord. pen., poi collocata nel cpp.
La specialità in tal caso dipende
- dalla maggiore snellezza del procedimento: tempi più rapidi di proposizione e di decisione
del reclamo
- dal marginale ruolo rivestito dall’interessato: nel proc. ordinario è prevista la presenza del
pm e del difensore e, anche se in misura eventuale e limitata qualora si tratti di persona in
vinculis, quella dell’interessato; nel proc. art. 14-ter la presenza dell’interessato non è
nemmeno possibile, ha una mera facoltà di presentare memorie scritte
- dalla struttura del procedimento: deroga rispetto ad un procedimento di sorveglianza
- dalla tecnica legislativa, che consiste nell’interpolare nell’ordinamento pen. l’art. 14-ter
unitamente ad altre singole ipotesi di reclamo che a tale disciplina fanno riferimento.

La legge-delega al cpp enunciava un’esigenza di coordinamento dei procedimenti di esecuzione


di sorveglianza con i principi in essa sanciti. Il legislatore ha ritenuto di unificare i due sistemi.
Ciò è avvenuto attraverso due operazioni normative:
1. collocazione della disciplina del procedimento di sorveglianza nel nuovo cpp (art. 678)
2. il magistrato e il tribunale di sorveglianza devono attualmente procedere a norma dell’art.
666, dettato per il proc. di esecuzione.
Nonostante l’intento di armonizzazione, sono subito sorte perplessità in relazione alla
sopravvivenza o meno delle preesistenti norma in materia di reclamo.
art. 236.2 disp. att. Nelle materie di competenza del tribunale di sorveglianza continuano ad
osservarsi le disposizioni processuali della l. 354/1975 diverse da quelle contenute nel Capo II bis
Titolo II.
Tale disposizione si è rivelata un vero e proprio rompicapo per gli interpreti.
Ciò che conta sottolineare è come le disposizioni in materia di reclamo siano sfuggite alla
riforma processuale 1988: ciò va considerato la risultante di una specifica ‘resistenza’ del ceppo

4 0
del reclamo e della sua originaria impronta amministrativistica alle più generali modifiche
riguardanti il processo penale e quello di sorveglianza.

Il procedimento
co. 1 Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare, può
essere proposto dall'interessato o dal suo difensore reclamo al tribunale di sorveglianza nel
termine di 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo (termine considerato di
tipo ordinatorio).
Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento.
Il normale procedimento di sorveglianza può essere iniziato anche su proposta del pm o
d’ufficio (art. 678).
co. 2 Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro 10 giorni
dalla ricezione del reclamo.
L’ordinanza in camera di consiglio è la stessa forma prevista in via generale dall’art. 678.
Nulla si dice in relazione al carattere e l’ampiezza del sindacato riconosciuto al tribunale di
sorveglianza. Da un lato, giocava un ruolo decisivo una tradizione ancorata all’originaria
connotazione amministrativistica del reclamo, con le inevitabili ricadute circa la cognizione e
l’intervento del giudice; dall’altro emergeva l’esigenza di assicurare un effettivo controllo
dotato di caratteri pienamente giurisdizionali, al di là dell’esercizio del semplice potere di
4 0
disapplicazione dei provv. amm. I tribunali manifestavano una progressiva tendenza
all’annullamento anziché alla mera disapplicazione, in ragione del fatto che l’acquisizione degli
atti e la facoltà di integrazione istruttoria riconosciuta ai giudici di sorveglianza autorizzavano
un sindacato, oltre che di legittimità, anche nel merito -> possibile non solo l’annullamento ma
anche una modifica del provvedimento.
co. 3 Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pm, che formulano le
rispettive conclusioni dopo aver esposto le proprie ragioni nella discussione.
L'interessato e l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie.
Il procedimento ordinario prevede la possibilità per l’interessato di partecipare, ma con
limitazioni: presenza eventuale e subordinata alla espressa richiesta di essere sentito
personalmente, se libero o detenuto in un istituto ubicato nella circoscrizione del giudice
procedente; se detenuto in un istituto ubicato al di fuori di detta circoscrizione, è contemplata
al massimo la facoltà di essere sentito, prima dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del
luogo, salvo che il giudice ritenga di dover disporre la traduzione (art. 666.4).
co. 4 Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni del Capo II-bis Titolo II.
E’ una prescrizione di difficile interpretazione, dato che l’art. 236.2 disp. att. ha escluso
espressamente proprio tali disposizioni dal novero di quelle che si applicano in sede di processo
penitenziario.
Interpretazione logico-sistematica. Il rinvio dovrebbe essere inteso, dato il tenore della norma
di coordinamento, alla vigente disciplina del procedimento di sorveglianza, al punto di rendere
applicabili le maggiori garanzie degli artt. 677, 678, 679 cpp.
Ma tale interpretazione non si è fatta strada nella realtà applicativa.
Il proc. si conclude con un’ordinanza di: inammissibilità, rigetto per infondatezza o
accoglimento.
Altra questione problematica è quella della ricorribilità per Cass. avverso l’ordinanza che mette
capo al procedimento per reclamo.
L’art. 71-ter ord. pen. contemplava il ricorso per Cass. per violazione di legge, entro 10 giorni
dalla comunicazione del provv. e prevedeva la legittimazione dell’amm. pen. L’art. 666.6 non
annovera l’amm. pen. tra i soggetti legittimati: ostacolo aggirabile ritenendone la qualità di

4 0
parte, sebbene sui generis. Mediante un generico rinvio ‘alle disposizioni sulle impugnazioni’, in
quanto compatibili, il ricorso deve essere proposto entro il termine perentorio di 15 giorni, dalla
data di notificazione o di comunicazione integrale del provvedimento.

Il ‘nuovo’ reclamo giurisdizionale


Con il d.l. 146/2013 conv. l. 10/2014 è assicurato a detenuti e internati il ricorso ad un
procedimento giurisdizionale di reclamo esperibile innanzi al magistrato di sorveglianza in
grado di porre fine alle lesioni subite nel corso del trattamento penitenziario.
Accanto ad un primo livello di reclamo generico, previsto dall’art. 35, è stato collocato il nuovo
reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35-bis.
L’ambito applicativo del nuovo istituto è circoscritto a due ipotesi art. 69:
- provvedimenti concernenti le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e
la competenza dell’organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa
- inosservanza da parte dell’amm. di disposizioni previste dall’ord. pen e reg. es., dalla quale
derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti.
In questi casi il procedimento si svolge ai sensi degli artt. 666 e 678.
co. 1 Una volta superata positivamente la fase-filtro, volta a vagliare i casi di manifesta
inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666.2, il magistrato di sorveglianza fissa la data
dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso anche all’amm. pen., che ha diritto di
comparire o di trasmettere osservazioni e richieste.
L’interessato può partecipare, previa richiesta di essere sentito personalmente, se libero o
detenuto in un istituto ubicato nella circoscrizione del giudice procedente; se detenuto in un
istituto ubicato al di fuori di detta circoscrizione, è contemplata al massimo la facoltà di essere
sentito, prima dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga
di dover disporre la traduzione (art. 666.4).
Il reclamo deve essere proposto entro 10 giorni dalla comunicazione del provv. di irrogazione
della sanzione e, in caso di accoglimento, il magistrato di sorveglianza ne dispone
l’annullamento.
Nei casi di pregiudizio ai diritti del detenuto, una volta accertata la sussistenza e l’attualità del
pregiudizio, il magistrato di sorveglianza ordina all’amm. di porre rimedio entro il termine
indicato dal giudice.
Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso reclamo al tribunale di
sorveglianza entro 15 giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della
decisione stessa. La decisione del tribunale4 è ricopribile
0 per Cass. per violazione di legge.
co. 5 In caso di mancata esecuzione dei provvedimenti del giudice, l’interessato o il suo
difensore munito di procura speciale possono richiedere l’ottemperanza al magistrato di
sorveglianza che ha emesso il provvedimento -> giudizio di ottemperanza art. 112 d.l. 104/2010
(codice processo amm.).
Resta dubbio se possano o meno includersi nella ‘mancata esecuzione’ anche le ipotesi in cui la
pronuncia, pur non restando completamente inattuata, riceva un’esecuzione inesatta.
Il magistrato procede ai sensi dell’art. 666 e 678 cpp e, qualora accolga la richiesta,
- ordina l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del
programma attuativo predisposto dall’amm. pen. al fine di dare esecuzione al provv.
- dichiara nulli gli atti in violazione o elusione del provv. rimasto ineseguito
- nomina, ove occorra, un commissario ad acta (resta oscuro il novero dei soggetti tra i quali
sia possibile individuare il comm.)
- è stata soppressa la possibilità di condannare l’amm. al pagamento di una penalità o di una
mora.

4 0
Restava, tuttavia, irrisolto il problema di garantire un ‘rimedio compensativo’, in grado di
consentire alle persone incarcerate in condizioni lesive della loro dignità di ottenere una
qualche forma di riparazione per la violazione subita (CorteEDU Torreggiani 2013) -> d.l. 92/2014
conv. l.117/2014 art. 35-ter: rimedio risarcitorio in favore dei detenuti e degli internati che
abbiano subito un trattamento in violazione dell’art. 3 CEDU.
Il magistrato di sorveglianza può adottare provvedimenti di natura risarcitoria, ogni qualvolta il
pregiudizio subito dal detenuto consista in condizioni detentive, protratte per un periodo di
tempo non < 15 giorni, tali da violare l’art. 3 CEDU come interpretato dalla giurisprudenza
europea (condizioni inumane e degradanti volte a ledere la dignità del detenuto).
Il provvedimento consiste una una riduzione della pena detentiva ancora da espiare, pari, nella
durata, a 1 giorno/ogni 10 giorni durante i quali il richiedente ha subito il pregiudizio.
Quando il periodo di pena ancora da espiare non contente la detrazione dell’intera misura
percentuale ovvero il periodo di detenzione è stato < 15 giorni, il magistrato di sorveglianza
liquida al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una
somma di denaro pari a 8€ per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio.
Tutte le altre ipotesi di danno o i casi in cui chi abbia subito il pregiudizio si trovi in stato di
custodia cautelare non computabile nella determinazione della pena da espiare o abbia
terminato di espiare la pena detentiva, continueranno ad essere attratte nella competenza del
giudice civile.
Essi devono proporre azione di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio
hanno la residenza, entro 6 mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia
cautelare in carcere, a pena di decadenza. I
l tribunale adito decide in composizione monocratica nella forme art. 737 cpc, all’esito del quale
il decreto non è soggetto a reclamo.

4 0
4 0
4 0
DIRITTO EUROPEO E SISTEMA PENITENITENZIARIO

Originariamente la fase dell’esecuzione penale poteva risultare avulsa dalle influenze europee e
saldamente ancorata a paradigmi di tipo nazionale. E’ stata la sent. Torreggiani della CorteEDU
a far comprendere lo stretto rapporto tra tutela multilivello dei diritti in Europa e realtà
carceraria. Dalla sent. il legislatore italiano si è impegnato in una sorta di ricorsa per
ottemperare alle indicazioni in essa contenute e far fronte ad uno shock che ha investito il
nostro modello penitenziario.
In realtà, al di là della sent. Torreggiani, il diritto europeo possiede un lungo retroterra di
attenzione per la fase dell’esecuzione della pena: si può affermare che vada delineandosi uno
Statuto detentivo europeo, al quale legislatore interno e operatore nazionale debbono fare
preciso riferimento nel loro agire.

CEDU
art. 5 CEDU assicura ad ogni persona il diritto alla libertà e ne consente la privazione sulla base
di alcuni parametri di legittimità e sulla scorta di specifiche ipotesi di carattere tassativo.
La riduzione del soggetto in una condizione restrittiva della libertà personale comporta
comunque l’obbligo per le autorità statuali di improntare la detenzione al pieno rispetto
dell’intero catalogo dei valori sanciti dalla CEDU: diritto a non subire torture e trattamenti
inumani e degradanti (art. 3), rispetto della vita privata, della libertà di religione, della libertà di
espressione etc.
La CEDU non individua regole precise di trattamento dei detenuti. Sono i documenti adottati in
seno al Consiglio d’Europa a fornire precise indicazioni al riguardo.
Indubbiamente, però, il bagaglio più significativo viene a consolidarsi grazie all’operato della
Corte, che consente all’interprete di intravedere
4 0 in filigrana, nelle pieghe delle singole sent,, i
contorni dello Statuto detentivo europeo.
La Corte però è chiamata ad esprimersi su singoli casi di trattamento pen. che siano sfociati in
una violazione della CEDU, con l’effetto che le vicende sotto la loro cognizione sottendono
sempre peculiarità fattuali e specifiche normative nazionali di riferimento.
Sul ricorrente grava l’onere di dimostrare un fumus di verosimiglianza dei fatti ellegati, con
spostamento in capo al Governo resistente della prova dell’assenza dei maltrattamenti.
Nella logica di protezione dei diritti fondamentali, appare di estrema importanza il concetto di
‘soglia minima di gravità’, quale spartiacque tra comportamenti in violazione della norma
convenzionale e comportamenti leciti ancorché severi: fattori soggettivi (trattamento subito in
termini di caratteristiche soggettive della persona) e fattori oggettivi (trattamento inflitto, in
termini di durata, intensità) vengono presi in considerazione per stabilire, nel caso concreto, se
la soglia deve intendersi superata e in quale categoria inserire il comportamento violato.
L’art. 3 ha carattere assoluto e inderogabile: la possibilità per il legislatore nazionale di
restringere il trattamento pen. ordinario per ragioni di sicurezza (es. art. 41-bis) trova in esso
sempre una barriera.
In merito al tema dell’ergastolo, sent. Vinter e altri c. RU 2013 L’assenza di un meccanismo di
riesame che permetta di valutare la necessità della protrazione dell’ergastolo in relazione ai fini
legittimi della pena stessa, tra cui la finalità rieducativa, trasforma la sanzione detentiva a vita in
una pena inumana e degradante.
Comitato dei Ministri (organo ausiliario CorteEDU) Regole penitenziarie europee 1987
(poi riviste nel 2006). Rientrano nella categoria della soft law: non sono immediatamente
applicabili negli ordinamenti nazionali o azionabili direttamente dai detenuti, ma sono usate

4 0
sempre più spesso dalla CorteEDU come parametri interpretativi per il suo sindacato
giurisdizionale.
art. 6 La detenzione deve essere gestita in modo da facilitare il rientro nella società libera delle
persone private della libertà
art. 7 incoraggia la cooperazione con i servizi sociali esterni e, per quanto possibile, la
partecipazione della società civili alla vita pen.
+ Regole europee sulla messa alla prova (2010), Codice etico europeo per il personale
penitenziario (2012), Racc. sulla detenzione provvisoria, la sua esecuzione e le garanzie contro
gli abusi (2006).

Comitato per la prevenzione della tortura


Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani
e degradanti 1987 (rec. l. 7/1989).
L’accordo internazionale ha istituito un organismo ad hoc, il Comitato per la prevenzione della
tortura (CPT), incaricato di esaminare il trattamento delle persone private della libertà, così da
rafforzare, se necessario, la loro protezione.
I membri sono esperti indipendenti (1 per ogni Stato), dotati di competenze anche
extragiuridiche. Il mandato ha durata 4 anni, rinnovabile max. 2 volte.
I componenti non partecipano alle visite ispettive che riguardano il proprio Paese (imparzialità).
Il CPT non è un organo investigativo, ma uno strumento che persegue finalità preventive. A
seguito delle visite, il CPT inoltra un report alle Autorità statali, rivolgendo loro le indicazioni
necessarie e le misure più appropriate per rimediare alla situazione che si assume illegittima.
In mancanza di collaborazione da parte dello Stato, il CPT può rilasciare una dichiarazione
pubblica che chiarisca i termini dell’infrazione e renda noto il report.
Ogni anno viene pubblicata una relazione generale per fare il punto sulla situazione dei vari
Stati.
L’operato del CPT influenza direttamente la CorteEDu.
Il CPT può venire in aiuto nello stabilire il background fattuale che occorre come prova alla
Corte per una denunciata violazione della CEDU.

Sentenza Torregiani (2013)


All’origine della pronuncia europea si pongono 7 ricorsi proposti contro l’Italia per le condizioni
cui erano sottoposti alcuni detenuti durante la permanenza nelle carceri, per un periodo
ricompero tra i 14 e 54 mesi a seconda dei casi. Si denunciava, in particolare, la situazione di
sovraffollamento che poneva i soggetti a condurre la propria vita pen. in uno spazio spesso
inferiore ai 3 m2.
La Corte ha accertato la violazione dell’art. 3 CEDU rispetto ai ricorrenti, condannando lo Stato
italiano a corrispondere, a titolo di equa soddisfazione per il nocumento subito, somme di
entità correlata al periodo di detenzione in condizioni di sovraffollamento.
La Corte ha scelto di emettere una c.d.4 sentenza-pilota
0 (= pronuncia che priva lo Stato della
consueta libertà di scelta sulle misure da adottare per ottemperare al dictum del giudice
sovranazionale). Ravvisato un malfunzionamento cronico nel sistema pen. itlaiano, la Corte ha
messo in mora l’Italia, concedendo un periodo di 1 anno per attuare, sotto la supervisione del
Comitato dei Ministri, le prescritte azioni correttive, finalizzate a riparare le violazioni ‘seriali’
dell’art. 3 CEDU.
L’anno successivo, quindi, è stato caratterizzato da un forte fermento giurisprudenziale e
legislativo. Tutti provvedimenti emergenziali che hanno comunque consentito all’Italia di

superare un primo esame da parte del Comitato dei Ministri, il quale ha fissato una nuova
scadenza per ulteriori apprezzamenti sui risultati raggiunti al giugno 2015.
La sent. Torregiani ha esteso i suoi effetti4 anche
0 sul piano della collaborazione internazionale in
materia penale. In alcuni procedimenti per la concessione dell’estradizione in Italia, i giudici
stranieri hanno rilevato i rischio di trattamenti inumani e degradanti nella carceri italiane,
negando appunto la consegna del detenuto alle autorità italiane (es. cittadino italiano
condannato per reati di stampo mafioso dall’Inghilterra 2014).

Il diritto alla salute in carcere


Le pronunce sul punto possono essere distinte in 3 categorie:
1. Violazioni macroscopiche delle norme igieniche, idonee a cagionare un nocumento alla
condizione sanitaria
2. Inadeguatezza o intempestività della somministrazione di cure mediche
3. Incompatibilità delle condizioni di detenzione con lo stato di salute del recluso
Sent. Contrada c. Italia (2014) La Corte ha denunciato ancora l’Italia per le condizioni in cui versa
il sistema carcerario italiano, in particolare per la mancata concessione della misura presso il
domicilio, in quanto la permanenza nel carcere ha sottoposto la persona a disagi o prove di
un’intensità superiore al livello di inevitabile sofferenza insita nella detenzione.
Allo stesso modo sent. Cara-Damiani 2012 (cittadino italiano di età avanzata affetto da
paraperesi agli arti inferiori, disturbi cardiaci e intestinali) e sent. Cirillo 2013 (detenuto affetto
da una patologia potenzialmente paralizzante).
Sent. G.C. c. Italia (2014) Caso di mancata predisposizione delle cure necessarie e di mancata
collocazione in cella singola nei riguardi di un detenuto che soffriva di una grave forma di
incontinenza.
L’uso accentuato della carcerazione, anche in funzione cautelare, nel nostra sistema reca
indubbiamente l’effetto collaterale di una scarsa attenzione per gli standard fissati dalla CEDu
in materia di incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto affetto da gravi patologie
rispetto ad uno stato di detenzione in carcere prolungato nel tempo.

NORME DELL’UE
Parlamento europeo Risoluzione 2011 La detenzione preventiva è una misura eccezionale e
periodi eccessivamente lunghi di carcerazione preventiva hanno un effetto negativo sugli
individui, possono pregiudicare la cooperazione giudiziaria tra Stati membri e sono in contrasto
con i valori dell’UE.
Commissione europea Relazione 2014 Le misure custodia di carattere preventivo assumono,
segnatamente nei confronti degli stranieri, una operatività sproporzionata, in quanto spesso gli
organi giurisdizionali penali ordinano la detenzione di non residenti per timore che non si
presentino al processo mentre, in una situazione analoga, un residente sarebbe probabilmente
sottoposto a uno strumento meno coercitivo.
—> Decisione quadro 289/2009/GAI Possibilità di applicare la misura cautelare all’estero nel
Paese di residenza dell’indagato, in maniera che con più facilità si potesse disporre un
provvedimento a matrice non detentiva nello Stato membro di origine.
L’autorità dello Stato di emissione trasmetterebbe direttamente allo Stato di esecuzione la
decisione sulle misure cautelari non detentive; in caso di riconoscimento della decisione da
parte dello Stato di esecuzione, quest’ultimo adotterebbe tutti gli accorgimenti necessari alla
sorveglianza delle misure cautelari.
Disciplina che va coordinata con l’istituto del c.d. mandato d’arresto europeo: uno Stato
potrebbe non emettere il mandato d’arresto facendo affidamento sulla ‘sorveglianza’ da parte

4 0
dell’altro Paese, in ordine alla misura applicata e alle garanzie predisposte affinché il soggetto si
presenti al momento del giudizio. Lo strumento è stato recepito da un numero limitato di Stati,
non l’Italia.
Parlamento europeo Risoluzione 2012 Seria preoccupazione per la situazione dei detenuti
Carta di Nizza proibisce categoricamente non solo la tortura, ma anche le pene e i trattamenti
inumani e degradanti (art. 4).
Direttive
64/2010 diritto alla interpretazione e traduzione
13/2012 diritto all’informazione nei procedimenti penali
48/2013 diritto al difensore e a comunicare con persone terze dopo l’arresto
29/2012 Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato
- introdotte prerogative di stampo informativo in favore della persona offesa del tutto
sconosciute al nostro sistema (informazione della scarcerazione o della evasione della
persona in custodia cautelare)
- si apre la strada a forme di giustizia ripartiva nella fase di esecuzione della pena.
Questo potenziale ingresso della vittima nella esecuzione pen. deve essere ponderato con
grande attenzione: non sono auspicabili4dinamiche 0 di ‘privatizzazione’ della pena -> il diritto di
essere prese in considerazione non può tramutarsi per le vittime in un potere di incidere
direttamente sulla pretesa punitiva dello Stato, quasi che le sanziono fossero rimesse
direttamente nelle loro mani.

4 0
IL PM E L’ESECUZIONE DELLA PENA DETENTIVA

Il pm è il promotore dell’esecuzione, cura d’ufficio l’esecuzione dei provvedimenti irrevocabili.


Competente, di regola, è il pm presso il giudice dell’esecuzione (quello che ha deliberato il
provv. da eseguire).
- esecuzione di misure di sicurezza diverse dalla confisca -> pm presso il magistrato di
sorveglianza
- esecuzione di pene oggetto di provvedimenti emessi da giudici diversi -> pm presso il giudice
che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo
- esecuzione delle sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità -> pm
del circondario in cui ha sede l’ufficio del giudice di pace che emesso il provv.
- esecuzione in Italia di sent. straniera a seguito di riconoscimento a norma di accordi
internazionali -> procuratore generale presso la Corte d’Appello che ha deliberato il
riconoscimento
Il pm può svolgere attività meramente materiali di trasmissione agli organi giurisdizionali o alle
autorità competenti, ma può assumere anche determinazioni in materia di libertà personale.
E’ però con riferimento all’esecuzione della sent. di condanna che si rivela la posizione di primo
piano del pm come fulcro della fase esecutiva.
Spetta al pm delineare un piano esecutivo, che definisce l’an e il quantum della sanzione
detentiva da scontare.
Al fine di consentire una verifica sulle determinazioni del pm e di rendere effettiva la tutela
giurisdizionale è prevista la notifica al difensore dell’interessato, a pena di nullità, entro 30
giorni dall’emissione di alcuni provvedimenti (art. 655.5 cpp).
Profili critici: L’attuale sistema consente al giudice soltanto un controllo eventuale ex post sulle
determinazioni del pm che incidono sulla libertà personale -> frizione art. 13 e art. 111 Cost.
La progressiva espansione dei poteri esercitati dal pm nella fase dell’esecuzione penale, frutto
di talune modifiche legislative, imporrebbe de iure condendo, di ripensare un nuovo assetto
sulla base di diversi equilibri, che segnino il recupero dell’esclusiva qualità di parte del pm e
riservino al giudice la determinazione del profilo sanzionatorio.

Ordine di esecuzione 4 0
art. 656 Quando deve essere eseguita una sent. di condanna a pena detentiva, spetta al pm
emettere un ‘ordine di esecuzione’, con il quale viene disposta la carcerazione del condannato

Potrebbero piacerti anche