ANTIGIURIDICITÀ E RILETTURA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE ALLA LUCE
DEI VALORI FONDAMENTALI IN MATERIA PENALE Un altro ramo è dato dalle scriminanti procedurali, cioè un nuovo statuto delle scriminanti si apre ormai nella teoria del reato, perché si è iniziato a capire che la risoluzione dei conflitti non potesse passare soltanto attraverso un bilanciamento tra valori, la tecnica di bilanciamento, cioè una legittimazione ex post da parte del giudice, affidata al caso concreto. Ci sono delle situazioni nelle quali l’ordinamento deve fare una scelta, o meglio, deve aiutare a scegliere; cioè l’ordinamento civile si rende conto che non può scegliere sempre, perché se sceglie diventa paternalistico e dunque assume una conformazione liceizzante contraria alla sua struttura democratica, e quindi diventa necessario, in certe situazioni, che la legge non scegliesse, ma aiutasse a scegliere. La tecnica fondamentale per cui questo avveniva e poteva avvenire era appunto lo strumento della giustificazione, uno strumento del quale, sul terreno della riserva di legge si dà forza, e quindi crea anche un’opposizione a quel nullus connaturato alle cause di giustificazione; ricordiamo il problema dell’analogia, e qui si da forza questo limite attraverso la definizione di condizione predeterminate; dunque la struttura della giustificazione abbandona gli elementi: della difesa del diritto; dell’autotutela e della proporzione, per assumere quelli dell’autotutela, però annulla gli estremi e si focalizza su un nuovo elemento, che è quello della possibilità che nel momento in cui un soggetto decida, non abbia una conoscenza assoluta della situazione nella quale va ad operare, e dunque la struttura si fonda quí sulla necessità di agire e deficit assoluto di conoscenza. Ciò non significa che il soggetto non debba conoscere, ma deve conoscere nei limiti umani della conoscenza più razionale possibile, ma oltre quella, secondo il principio, ultra posse nemo obbligati, <oltre di quella conoscenza razionale non vi è possibilità di adempimento>. Dunque c’è un momento nel quale un soggetto deve agire, altrimenti il mondo nn va avanti, allora l’ordinamento civile, una volta che si è assicurato che tutto che è stato fatto nei limiti razionali di questa conoscenza, c’è una necessità di agire e fa un passo indietro, ma solo a determinate condizioni; e stabilisce le condizioni per cui fa un osso indietro ed affida alla giustificazione la tutela dei beni primari (N.B), passaggio storico perché siamo stati abituati a pensare ad una incriminazione che tutela beni, ma si è iniziato a capire che ci sono casi in cui bisogna risolverlo più avanti avanti questo problema, e lo risolviamo con una causa di giustificazione. Nasce così la scriminante procedurale, perché le condizioni costituiscono una procedura, che non è la procedura ad essere tutelata, altrimenti la violazione della norma secondaria che tutela la procedura vuol dire che sto tutelando funzioni e non beni, realizzo una scomposizione di amministrativizzazione del diretto penale; diventa formale e non sostanziale. Dunque questa procedura è volta a tutelare un valore e in via primario lo tutelo con una causa di giustificazione che a seconda del valore che hanno come riferimento di tutela primaria, si scindono in due: A seconda che la procedura sia strumentale alla tutela di un valore fondamentale, da intendersi come esercizio di un diritto fondamentale, e si intende il pluralismo etico, cioè vale a dire l’autodeterminazione laicamente intesa di un individuo. L’autodeterminazione a sua volta ha due ramificazioni: 1. Una data dall’art.13Cost. Che è espressione della libertà personale. Questa autodeterminazione, però, non costituisce diritto perché questa procedura deve tutelare in via primaria l’esercizio di un diritto fondamentale, che deve essere diritto però, nell’art. 13 abbiamo un’autodeterminazione che si estrinseca in manifestazioni di libertà, ma non costituiscono diritto. [ES: la libertà di suicidarsi non costituisce diritto, è una facoltà, perché sul piano delle aporie sistematiche, se immaginassi il suicidio come diritto, vale a dire che chi lo impedisce realizza un reato; e chi si dimena per assecondare la sua manifestazione di libertà sta esercitando un diritto illegittimo di difesa, la guerra civile. Ecco perché nel 13 l’autodeterminazione non è diritto.