Nella maggior parte dei casi questa regolamentazione per così dire
statica, è sufficiente a governare la realtà giuridica e a risolvere
ogni possibile conflitto d’interessi, poiché il titolare del diritto (della
diversa situazione giuridica attiva) riesce comunque a realizzare il
cornetto vantaggio assicuratogli dal diritto sostanziale grazie al
comportamento del soggetto obbligato.
Uno dei profili più dibattuti, quanto al tema della giurisdizione c.d.
condizionata attiene però alla possibilità che l’esercizio del diritto
d’azione sia differito nel tempo e subordinato al preventivo
esperimento di un rimedio non giurisdizionale (es. ricorso
amministrativo, o tentativo di conciliazione stragiudiziale -> ipotesi
quantomai attuale giacché:
- il dlgs. 28|2010 ha reso obbligatorio l’esperimento preliminare di
un procedimento di mediazione in settori molto vasti del
contenzioso civile (condominio, diritti reali, locazione)
- il dlgs. 134|2014 ha eso parimenti obbligatoria la preventiva
instaurazione di una procedura di negoziazione assistita nelle cause
di risarcimento danni da circolazione di veicoli o natanti e di quelle
aventi ad oggetto domande di pagamento per somme non superiori
a 50.000 euro.
A questo riguardo l’orientamento della corte può così riassumersi :
un siffatto differimento è legittimo a patto che
a) possa condierarsi obiettivamente giustificato dalla salvaguardia
di interessi generali o da finalità di giustizia ( es. nel caso della
“conciliazione obbligatoria” dall’esigenza di evitare un sovraccarico
degli uffici giudiziari )
1) TUTELA COGNITIVA
Come già detto questa ha l’obiettivo minimo ed essenziale quello di
fare certezza relativamente all’esistenza e al modo di essere del
diritto o comunque del rapporto giuridico controverso.
In base all’art. 2909 c.c. : l’accertamento contenuto nella sentenza
passata in giudicato “FA STATO” ad ogni effetto tra le parti, i loro
eredi o i loro aventi causa. per sentenza “passata in giudicato”,
s’intende quella che ha raggiunto un considerevole grado di
stabilità, in quanto non è più soggetta alle impugnazioni “ordinarie”,
bensì soltanto a quelle “straordinarie” previste in ipotesi particolari.
2) TUTELA ESECUTIVA
Serve a garantire al titolare del diritto la concreta realizzazione del
suo interesse, ossia il conseguimento del bene giuridico
riconosciutogli dal diritto sostanziale in via coattiva e dunque
facendo a meno della collaborazione del obbligato, attraverso un
complesso di attività che possono essere meramente materiali e
implicare l’uso della forza (si pensi alla ricerca delle cose da
assoggettare a pignoramento, che potrebbe rendere necessaria ad
esempio l’apertura di porte o cassetti) o può produrre modificazioni
nella sfera giuridica del soggetto esecutivo (cosa che avviene in
particolare, con la vendita forzata o l’assegnazione dei beni
pignorati).
3) TUTELA CAUTELARE
Essa non mira né all’accertamento né all’accertamento né alla
soddisfazione coatta del credito, bensì ad approntare una tutela
essenzialmente provvisoria, finalizzata ad evitare il diritto
medesimo subisca , nel tempo occorrente per portare a compimento
un processo di cognizione e\o di esecuzione , un danno o comunque
un pregiudizio, in tutto in parte irreversibile ed irrimediabile, tale da
rendere inutile (ovvero priva di effettività) la tutela giurisdizionale.
La svolta si ebbe però con la sent. 190 del 1985 -> concernente la
tutela dei diritti soggettivi del pubblico impiegato nel processo
amministrativo, nella quale la Consulta (pur operando in quel caso
sull’art. 3 e non sul 24 Cost.) sancì l’essenzialità della tutela
cautelare, principio ribadito, anche in altre occasioni con rif. all’art.
24.
Oggi pertanto è lecito affermare che la tutela in questione trova una
sua autonoma e ben distinta collocazione nell’ambito della diritto
alla tutela giurisdizionale, e l’autonoma rilevanza di una tutela
provvisoria è stata esplicitamente riconosciuta, d’altronde, anche
dalla giurisprudenza comunitaria ( Corte di Giust. - sent. 13.3.2007)
Ciò spiega come mai in dottrina sia molto dibattuto il problema dei
limiti all’azione di accertamento:
• non sembrano sorgere particolari dubbi in relazione ai diritti reali ed
assoluti in genere -> poiché ad essi corrisponde, dal lato passivo,
un generico dovere di astensione dell’intera collettività
• ben più controversa è l’ammissibilità del mero accertamento di
diritti relativi , aventi cioè ad oggetto una specifica prestazione da
parte di un soggetto determinato. Per questi ultimi, pericolosamente
discussa è la configurabilità dell’azione di accertamento negativo ,
tenuto conto che quando l’attore chiede, ad es., di accertare
l’inesistenza di un credito vantano dal convenuto nei suo confRonti,
non è affatto chiaro quale sia il diritto ch’egli fa valere in giudizio.
- azioni di condanna =
Ipotesi di gran lunga più frequente è che l’attore non si limiti a
domandare l’accertamento del diritto dedotto in giudizio (la cui
esistenza, potrebbe in molti casi non essere neppure contestata) ,
ma chieda altresì al giudice di verificarne l’intervenuta lesione a
causa dell’inadempimento del soggetto titolare della situazione
giuridica passiva e conseguentemente condannare quest’ultimo alla
prestazione di dare o fare necessaria per realizzare il proprio
interesse. Tale pronuncia costituisce poi il presupposto
bell’attuazione coattiva del diritto: effetto tipico e primario della
sentenza di condanna è proprio l’idoneità a dar vita all’esecuzione
coattiva.
- azione costitutiva =
L’art. 2908 c.c. prevede che il giudice “nei casi previsti dalla legge”
possa “costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con
effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. In generale quindi
l’azione costitutiva è quella che può condurre alla nascita di un
diritto o di uno status (az. costitutiva in senso stretto) , oppure alla
modificazione o all’estinzione di rapporti giuridici preesistenti.
Posto che nel codice del 1865, una siffatta azione non era affatto
contemplata, e nelle suddette ipotesi, spettava all’attore “deluso”
una mera tutela risarcitoria, la dottrina meno recente era solita
ravvisare alla base dell’azione costitutiva un diritto potestativo ->
caratterizzato dall’avere ad oggetto il prodursi di un determinato
effetto o modificazione nella sfera giuridica di un altro soggetto che
si trova in posizione di soggezione rispetto ad esso. Si è
giustamente osservato, più recentemente, che l’esercizio di un
diritto potestativo produce di per sé l’effetto modificativo-estintivo
del rapporto (si pensi al dir. di recedere dal contratto) come
conseguenza della mera manifestazione di volontà proveniente dal
titolare del diritto - sicché qualora dovesse sorgere una
controversia circa i presupposti o le modalità di esercizio del diritto
medesimo, al giudice verrebbe chiesto un provvedimento
meramente dichiarativo.
Perché?
- azione costitutiva -> poiché trattandosi di un’azione consentita in
ipotesi tipiche, a valutazione circa l’interesse sarebbe stata
condotta a monte dal legislatore
- azione di condanna -> poiché la sentenza di condanna presuppone,
come fatto costitutivo, l’inadempimento e quindi la lesione già
attuale del diritto, da cui non può non scaturire l’interesse alla
tutela giurisdizionale.
Ipotesi peculiari in cui il requisito in esame viene in rilevo pure in
relazione a domande costitutive e di condanna -> allorquando
l’azione di condanna abbia ad oggetto obblighi infungibili o non
suscettibili di esecuzione forzata. Per queste ultime in particolare
proprio l’interesse ad agire
potrebbe limitare la proponibilità dell’azione .
= oggi sembra prevalere l’opinione secondo cui l’int. ad agire
svolgerebbe un ruolo autonomamente apprezzabile solo nell’ambito
dell’azione di m.accertamento e in quel cautelare - ma la tematica
risulta essere piuttosto
controversa; tant’è che vi sono ipotesi in cui il legislatore dà luogo
ad una sorta i commistione tra legittimazione ed interesse ad agire,
poiché si serve di quest’ultimo per attribuire la legittimazione
(straordinaria) ad agire, a
soggetti diversi da quelli titolari del rapporto controverso.
Si ritiene inoltre che l’art. 24.2. Cost sancisca pure il diritto (e non
certamente l’obbligo) alla difesa tecnica = ossia ad avvalersi di un
intermediario professionalmente qualificato per sostenere le proprie
ragioni dinanzi agli organi giudiziari e siffatta interpretazione
sembra confermata dalla circostanza che al comma 3 art. 42 si
legge: “ sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi
per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
I fatti secondari:
secondo l’opinione prevalente sono quelli che rilevano solo in via
indiretta per l’esistenza o l’inesistenza del diritto edotto in giudizio,
giacché sono del tutto estranei alla fattispecie legale invocata
dall’attore e operano sono sul terreno probatorio, consentendo l
giudice di affermare, mediante un procedimento logico-deduttivo,
l’esistenza o l’inesistenza o comunque un modo di essere di un fatto
principale.
Es. Nel giudizio in cui fosse stato chiesto l’annullamento di un
contratto perché stipulato da persona incapace di intendere e di
volere, i fatti secondari potrebbero riguardare episodi
immediatamente anteriori o successivi alla conclusione del
contratto, idonei a dimostrare il vizio di mente del contraente.
LA COMPETENZA -
Si è soliti definire la competenza come la parte di giurisdizione
concretamente attribuita a ciascun giudice. Le norme sulla
competenza cioè, servono a ripartire il complesso degli affari civili
tra i diversi uffici giudiziari - i criteri adoperati a tal fine, sono 3:
Art. 14.
(Cause relative a somme di danaro e a beni mobili)
Art. 15-bis.
(Esecuzione forzata) (1).
(1) Articolo inserito dall'art. 27, comma 1, lett. a) numero 2 del d.lgs.
13 luglio 2017, n. 116; le disposizioni di cui all'art. 27 citato entrano
in vigore il 31 ottobre 2021.
Art. 18.
(Foro generale delle persone fisiche)
Salvo che la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del
luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, e, se questi
sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora.
Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nello
Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del
luogo in cui risiede l'attore.
Art. 19.
(Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non
riconosciute)
Art. 20.
(Foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione)
Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il
giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione
dedotta in giudizio. (= fori facoltativi concorrenti con quello
generale da individuare mediante un’indagine sostanziale diretta a
stabilire
- dove si è concluso il contratto (forum contractus)
- dove si è verificato l’illecito da cui discende l’obbligazione
extracontrattuale (forum commossi delicti)
- o il luogo dove deve avvenire l’adempimento ( forum destinatae
soluzionis)
Art. 21.
(Foro per le cause relative a diritti reali e ad azioni possessorie)
Per le cause relative a diritti reali su beni immobili, per le cause in
materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende,
nonché per le cause relative ad apposizione di termini ed
osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o
dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi, è
competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda.
Qualora l'immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie, è
competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la
parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato; quando non è
sottoposto a tributo, è competente ogni giudice nella cui
circoscrizione si trova una parte dell'immobile.
Per le azioni possessorie e per la denuncia di nuova opera e di
danno temuto e' competente il giudice del luogo nel quale è
avvenuto il fatto denunciato.
Art. 25.
(Foro della pubblica amministrazione) -
l’articolo 25 è chiaramente ispirato ad un trattamento di favore della
pubblica amministrazione. Contra in realtà di due disposizioni
distinte:
Art. 26.
(Foro dell'esecuzione forzata)
(1) Comma così sostituito dall’art. 19, comma 1, lett. a), D.L. 12
settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10
novembre 2014, n. 162; per l’applicazione di tale disposizione, vedi
l’art. 19, comma 6 del medesimo D.L. 132/2014.
Art. 28.
(Foro stabilito per accordo delle parti)
Art. 29.
(Forma ed effetti dell'accordo delle parti)
______
- IL REGIME DELL’INCOMPETENZA:
La relativa disciplina, profondamente modificata, dapprima nel 1990
e poi dalla novella del 2009, orientata nel senso di un complessivo
ridimensionamento delle conseguenze dell’incompetenza è
contenuta nell’art. 38 c.p.c. che distingue tra rilievo
dell’incompetenza:
a. ad opera del convenuto - in quanto unica parte legittimata a
sollevare la relativa eccezione
b. e quello d’ufficio
Art. 38. (1)
(Incompetenza)
Ciò che può concretamente fare il p.m. nei giudizi in cui prende arte,
dipende dalla circostanza che si tratti o no di cause in cui egli è
titolare del potere d’azione. Cioè, se ricorre una delle ipotesi in cui
potrebbe lui stesso agire: il p.m. avrà una posizione del tutto
analoga a quella delle parti private e potendo esercitare tutti i
poteri processuali che ad esse competono ex art. 72 (compreso il
potere di impugnare egli stesso la sentenza - potere ce si è soliti
ricollegare al diritto d’azione.
Negli altri casi invece, tranne nel caso di processi dinanzi alla corte
si cassazione in cui non vi è alcuna attività istruttoria e il p.m. si
limita ad esporre oralmente le proprie motivate conclusioni - egli ha
poteri subordinati in qualche misura a quelli delle parti e finalizzati
essenzialmente ala ricerca all verità materiale = può produrre
documenti, dedurre prove, nei soli limiti tracciati dalle domande
proposte dalle parti. Di regola dunque, in questa cause non ha
neppure il potere di impugnare se non l’ha fatto una delle parti, se
non avvalendosi di un particolare rimedio ex art. 397 “revocazione
straordinaria” - che l’ordinamento gli accorda quando:
- trattandosi di ipotesi di intervento obbligatorio, non sia stato
sentito
- o quando la sentenza sia l’effetto della collusione posta in opera
dalla parti per frodare la legge.
Eccezione:
= prevista per le sentenze relative alla case matrimoniali, escluse
quelle di separazione personale dei coniugi, nonché quelle
dichiarative dell0efficiacia o dell’inefficacia di sentenze straniere
concernenti cause matrimoniali:
qui il p.m., pur non disponendo del potere di azione, può usufruire
delle medesime impugnazioni che competono alle parti - che
possono essere proposte oltretutto, tanto dal p.m. presso il giudice
a quo (che ha reso la decisione) quanto presso il giudice
competente per l’impugnazione entro il termine ordinario (che
decorre dalla comunicazione della sentenza).
Questa eccezione fu introdotta da una legge del 1950 con la finalità
di evitare che soprattutto attraverso la delibazione di sentenze
straniere potessero trovare ingresso nel nostro ordinamento
decisioni contrastanti con l’allora indiscusso principio di
indissolubilità del matrimonio - oggi anacronistica del tutto
irragionevole.
PS: la peculiare posizione del p.m trova riscontro per un verso nel
potere di astensione ex art. 73 (che ne escludere la ricusazione) e
per altro verso in due privilegi che solitamente gli si riconosce,
subordinati all’eventuale soccombenza nelle cause che egli stesso
abbia proposto=
- andare comunque esente dalla condanna alle spese processuali
- poter impugnare indipendentemente dalle conclusioni che aveva
formulato e dunque anche quando le sue richieste siano state
accolte dalla sentenza.
Continenza di cause:
Diversamente dalla litispendenza, la nozione di continenza di cause
è solo presupposta ma non definita nel comma 2 dell’art. 39 - sicché
non è chiaro a quale situazione il legislatore abbia inteso riferirsi ed
in cosa essa differisca tanto dalla litispendenza, quanto dalla
connessione contemplata all’art. 40.
Quel che è certo è che in questo caso si tratta di cause in qualche
misura diverse, ancorché avvinte da nessi particolarmente intensi -
quindi obiettivo del legislatore non è quello di eliminarne una di
esse, bensì di assicurarne la trattazione congiunta e unitaria (il c.d.
simultaneus processor), soprattutto al fine di evitare possibili
contrasti di giudicato.
Anche in questa ipotesi si applica il criterio della prevenzione = a
spogliarsi della causa dev’essere preferibilmente il giudice
successivamente adito che deve dichiarare con ordinanza e nel
contempo fissare un termine perentorio per la riassunzione ella
causa davanti all’altro giudice.
NB: se però il giudice adito preventivamente non è competente*
anche per la causa promossa davanti al secondo giudice, è lui a
dover dichiarare la continenza, spogliandosi conseguentemente ella
caso e rimettendola al giudice adito per secondo. Di talchè le
sezioni unite con sentenza del 2006, ne hanno dedotto che il
secondo giudice, prima di dichiarare la continenza deve verificare la
competenza del primo giudice, non soltanto sulla causa proposta
successivamente, ma anche su quella preveniente.
Litispendenza internazionale:
La situazione contemplata dall’art. 39.1 ossia, la contemporanea
presenza di due o più cause identiche, dinanzi ad uffici giudiziari
diversi, ben potrebbe coinvolgere - oltre al giudice italiano, giudici
di un altro stato. La disc. pertinente si desume in questi casi
dall’art. 7 della l. 218\1995 - ai sensi del quale “quando nel corso del
giudizio sia eccepita la previa pendenza tra le stese parti di
domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo davanti
ad un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il
procedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento
italiano, sospende il giudizio”.
Connessione di cause:
*** non è altrettanto chiaro cosa debba intendersi per identità del
titolo = spesso si afferma che con questa espressione il legislatore
alluderebbe puramente e semplicemente alla causa petendi - cioè
all’insieme dei fatti costituivo posti rispettivamente alla base delle
diverse domande - che peraltro non potrà essere perfettamente
uguale per domande diverse, sicché si aggiungerà che si tratta di
una coincidenza soltanto parziale. Ma l’impressione è che il
legislatore non abbia inteso riferiti genericamente alle ragioni della
domanda (così come invece avviene con l’art. 163 c.3 n. 4) bensì,
all’identità del rapporto giuridico sostanziale, rispettivamente
dedotto in giudizio - anche quando per taluna delle cause, tale
rapporto corrisponda ad una parte soltanto della causa pretendi.
Es. il locatore chiede per un verso il pagamento dei canoni arretrati,
e per l’altro il risarcimento dei danni derivanti dal deterioramento
del bene locato = le domande sono oggettivamente connesse per il
titolo in 1uanto fondate entrambe sul medesimo contratto di
locazione.
Segue:
▪ a) l’accessorietà
L’art. 31 stabilisce che la domanda accessoria può cumularsi con
quella principale, dinanzi al giudice territorialmente competente per
quest’ultima - fermo restando, che se le domande sono proposte
contro la medesima parte, il loro valore si somma ai sensi del 10
comma 2.
Il legislatore omette di precisare il concetto di accessorietà ->
accessoria = la domanda che, dal punto di vista del risultato
perseguito dall’attore, ha un rilievo secondario rispetto alla
domanda principale ed il cui accoglimento, nel contempo, è
subordinato all’accoglimento di quest’ultima, da cui discende in
modo pressoché automatico.
Es: domanda principale di risoluzione del contratto di
compravendita e domanda (accessoria) di restituzione o di rilascio
del bene - o ancora, domanda relativa al pagamento del capitale del
debito e domanda concernente i relativi interessi.
▪ b) garanzia
L’art. 32 fa riferimento all’ipotesi in cui un soggetto (che dicesi
garante) è obbligato a tenere indenne un altro soggetto (garantito)
dalle conseguenze economiche negative che possono a quest’ultimo
derivar dall’eventuale soccombenza in una causa promossa nei suoi
confronti da un terzo.
Es: obbligo di garanzia che grava sul venditore per l’evizione che il
compratore subisca per effetto di diritti fatti valere da un terzo sul
bene (vedi artl 1483).
In questi casi è evidente che il diritto alla garanzia dipende
dall’esistenza del diritto vantato dal terzo nei confronti del garantito
- ma ciò non esclude la possibilità che la domanda di garanzia era
proposta autonomamente, dopo che il giudizio principale (cioè
quello promosso dal terzo) si è già concluso con la soccombenza del
garantito - con il rischio però che il garante, rimasto estraneo al
primo processo e dunque non vincolato dalla relativa decisione,
possa rimettere in discussione nel secondo processo, anche il
diritto del terzo.
Tale eventualità è esplicitamente contemplate quanto all’ipotesi di
evizione - che può costituire il modello normativo di riferimento
anche con riguardo alle alle altre fattispecie analoghe - dall’art.
1485 c.c.: secondo cui, il compratore convenuto in giudizio da un
terzo che prende di avere i diritti anche sulla cosa venduta, ha
l’onere di richiamare in causa il venditore - affinché quest’ultimo
possa contrastare la pretesa del terzo.
nb: qualora non assolva a quest’onere e venga poi condannato, egli
perde il diritto alla garanzia se il venditore (nel processo contro di
lui - promosso dal compratore vitto) “prova che esistevano ragioni
sufficienti per far respingere la domanda.
▪ c) accertamento incidentale
L’art. 34 contempla l’ipotesi in cui per legge o per esplicita domanda
di una delle parti debba decessi con efficacia di giudicato una
questione pregiudiziale appartenente per materia o per valore alla
competenza di un giudice superiore -> l’art. prevede che in tal caso
il giudice adito deve rimettere la suda al giudice superiore,
assegnando un termine perentorio per la riassunzione della stessa.
Le questioni pregiudiziali cui la norma si riferisce non sono
evidentemente quelle di rito, attinenti alla sussistenza di
presupposti processuali o condizioni dell’azione - bensì quelle di
merito = concernenti l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto
giuridico diverso da quello oggetto del processo, che però
condiziona anche l’esistenza\l’inesistenza di quest’ultimo.
Solo per le questioni di merito infatti può accadere che il giudice
originariamente adito, essendo chiamato a giudicarecon efficacia di
giudicato anche sul rapporto pregiudiziale, si accorga che esso
esorbita la propria competenza.
Competenza =
⁃ se la causa pregiudiziale attiene alla competenza per materia o
valore di un giudice inferiore -> nulla quaestio
⁃ se esorbita la competenza del giudice adito -> quest’ultimo rimette
entrambe le cause al giudice superiore, amiche si realizzi il s.p.
dinanzi a lui. (La disciplina fin qui enunciata conferma (a contrario)
che la trattazione congiunta di cause connesse per pregiudizialità-
dipendenza non può mai trovare ostacolo nella diversa competenza
per territorio derogabile prevista per le singole cause.)
▪ d) compensazione
Art. 35 -> prende in considerazione il caso in cui sorga una
particolare questione pregiudiziale, avente ad oggetto la presenza
di un controcredito opposto in compensazione (legale o giudiziale).
La compensazione si traduce in fatto estintivo del debito, essa dà
luogo ad un eccezione - che il convenuto allega al sol fine di
ottenere il rigetto della domanda - non dovrebbe, stando ai principi,
di per sé estendere l’ambito oggettivo del giudizio, a meno che
essendo sorta questione pregiudiziale sull’esistenza del
controcredito, una delle parti non avanzi esplicita domanda di
accertamento incidentale, ai sensi dell’art. 34.
▪ e) domanda rincovenzionale
Ultima ipotesi di connessione qualificata contemplata all’art. 36:
quest’ultimo in realtà non fornisce una definizione della domanda
riconvenzionale, ma si limita a disciplinare le domande
riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio
dall’attore o da quello che già appartiene alla causa in quanto
eccezione. Queste domande possono essere cumulate alla
principale e decise nello stesso proc. purchè non eccedono la
competenza per materia o valore del giudice adito - in caso
contrario il giudice può applicare le disposizioni dei due articoli
precedenti ( ovvero eventualmente può rimettere al giudice
superiore la sola causa riguardante la domanda riconvenzionale
quando quella principale sia fondata su titolo non controverso o
facilmente accertabile\ altrimenti gli rimette entrambe le cause).
L’art. 40 detta una serie di criteri che mirano a stabilire per ogni
possibile combinazione di riti differenti quale sia quello prevalente
da utilizzare per tutte le cause cumulate. Tale disciplina, applicabile
ai soli processi a cognizione pena prende però in considerazione le
sole ipotesi di connessione qualificata, con esclusione della
connessione oggettiva semplice e dimostra che il rito è sempre
derogabile in presenza di un legame particolaemrtne intenso fra più
cause (a differenza di quanto l’opinione prevalente ritene per la
competenza).
Art. 40 c. 3 e 4 - criteri:
• (in linea di principio) se una delle cause connesse è soggetta rito
ordinario -> viene preferito questo e dev’essere utilizzato anche
nelle cause che sarebbero ordinariamente soggette ad un ritorno
diverso
• se però una delle cause rientra in quelle di cui agli art. 409-432 -> è
il rito risultante ex art. 414 a prevalere su tutti, incluso quello
ordinario
• (in tutti gli altri casi) se infine nessuna delle cause è soggetta al rito
ordinario, e o rientri tra quelle ex di cui agli art. 409 e 442 troverà
applicazione:
• a) il rito speciale previsto per la causa in ragione della quale viene
determinata la competenza
• o quello previsto per la causa di maggior valore.
Conseguenze dell’eventuale violazione dei predetti criteri = il
giudice provvede a norma delgi art. 426-7 e 439 = il giudice, perfino
quando il vizio venga sopporto in appello (e sempre che esso
afferisca al solo rito e non anche alla competenza) deve limitarsi a
disporre il passaggio dal rito ordinario a quello speciale o viceversa.
peraltro però, l’ultimo comma dell’art. 40 si riferisce alle
conseguenza della violazione dei criteri con riguardo alle sole
ipotesi mezionate nel comma 3 dell’art. 40 e non anche nel 4 -
tuttavia, posto che tutto lascia intendere che si tratti di una mera
svista del legislatore, non preclusiva di un’applicazione analogica
del principio enunciato - la norma ha un notevole rilevo in quanto
lascia intendere che gli art. 426-7-39 dettati per il processo del
lavoro, siano in realtà espressione di un principio di ordine generale
che esclude che l’errore sul rito abbia conseguenze fatali e il
processo e sia causa di nullità degli atti in esso compiuti.
Infatti l’art. 2909 c.c. - che concerne i limiti soffittavi del giudicato,
esclude che la sentenza possa fare stato anche nei confronti di
soggetti contitolari del rapporto giuridico oggetto della decisione,
che non abbiano però acquistato la qualità di parte nel processo =>
la sentenza a contraddittorio non integro non potrebbe in alcun
modo muovere ai litisconsorti c.d. pretermessi.
L’opinione più diffusa incede, che pone le sue radici nelle teorie di
Chiovenda e ancor più di Redenti ritiene che: la necessità del
litisconsorzio può essere imposta in questi casi, a tutela
dell’oggettiva utilità della sentenza (in relazione al risultato che
l’autore si prefigge). L’art. 102 opererebbe le situazioni in cui gli
effetti del provvedimento chiesto al giudice non possono prodursi se
non congiuntamente per tutti i titolari del rapporto plurisoggettivo
dedotto in giudizio quale causa petendi - pena l’assoluta sua
inutilità (una tesi che trova seguito in Costantino, sviluppata nel
codice vigente).
Si tratta in definitiva di tutte tele ipotesi in cui se la decisione non
potesse dispiegare la sua efficacia rispetto a tutti i contitolari del
rapporto non sarebbe di alcuna utilità per l’attore, il quale non
potrebbe raggiungere il risultato che vuole perseguire: es. sentenza
di scioglimento della comunione pronunciata senza la
partecipazione di alcuni condomini. (sentenza inutiliter data).
▪ L’intervento volontario
Prescindendo da ipotesi particolari (es. intervento del litisconsorzio
necessario pretermesso ex art. 268, e successore a titolo
particolare nel diritto controverso ex art. 111.3) l’intervento
volontario, derivante cioè dall’iniziativa del terzo è disciplinato
dall’art. 105 che secondo la dottrina ne contempla 3 forme diverse:
a) principale
b) adesivo autonomo - anche detto litisconsortile
c) adesivo dipendente
Nelle prime due fattispecie l’interveniente fa etere nel processo un
proprio diritto = propone una domande a seconda dei casi, contro
tutte le parti originarie o contro taluna di esse -> sicché l’intervento
detemrina sempre un ampliamento anche oggettivo del giudizio.
Nell’int. adesivo dipendente invece -> l’oggetto del processo resta
immutato in quanto il terzo si limita a sostenere le ragioni di alcuna
delle parti.
a) intervento principale:
E’ detto, non causalmente anche ad opponendum\ad eslcudendum
perchè il terzo propone una propria domanda contro tutte le parti
originarie, facendo valere un diritto autonomo rispetto a quello già
dedotto in giudizio e con esso incompatibile. Autonomo = prescinde
sul piano sostanziale dll’esistenza del diritto vantato da ciascuna
delle parti \ incompatibile = sempre sul piano sostanziale non può
coesistere con esso in quanto riguarda lo “stesso bene della vita”.
Si tratterò quindi di ipotesi di connessione per identità dell’oggetto
-> che dà luogo a relazioni di incompatibilità o alternatività tra le
domande.
Esempi più frequentemente addotti:
il terzo interviene in un giudizio in cui le parti si contendono la
proprietà di un certo bene, esercita a propria volta un’azione di
rivendica dello stesso bene sostenendo di avere acquistato la
proprietà in base ad titolo autonomo (es. ha usucapito) - sarebbe
diverso se l’interveniente sostenesse di averlo acquistato da una
delle parti, perchè in quel caso il suo diritto verrebbe dipendere
evidentemente dall’esistenza del diritto del suo dante causa.
In ipotesi come quella in esempio, il diritto del terzo ben potrebbe
essere tutelato in un autonomo processo, senza dover temere alcun
pregiudizio giuridico dalla sentenza nel frattempo pronunciata tra le
parti = se il terzo decide di intervenire è solo per ragioni di
economia processuale oppure, in qualche caso per evitare che la
domanda tra le parti possa rendergli di fatto più difficoltosa la
successiva realizzazione del proprio diritto.
Per aversi invece una sentenza di condanna del terzo, o a favore del
torso, deve ritenersi indispensabile, alla luce del 99 e 112 (tenuto
conto che uno degli elementi identificativi della domanda giudiziale
è proprio quello soggettivo) , una specifica domanda, proveniente da
una delle parti (solitamente l’attore) o dal terzo -> non essendo
pensabile che la domanda originaria, contrariamente a quanto
affermato di solito dalla giurisprudenza - possa estendersi
autonomamente nei confronti del terzo, o a suo favore.
Volume II - salta
Rito formale =
▪ Il rito formale aveva la peculiarità di cominciare senza la fissazione
nell’atto introduttivo di un’udienza - bensì con l’assegnazione al
convenuto di un termine* assai breve per comparire. * termine che
in realtà indicava soltanto il momento entro cui i procuratori delle
parti dovevano provvedere a costituirsi nella cancelleria
depositando i rispettivi mandati.
▪ Dopo tale costituzione, aveva inizio uno scambio di comparse dalla
durata potenzialmente illimitata che doveva servire ad approfondire
e trattare per iscritto tutte le questioni preliminari, processuali o di
merito, prima che la causa fosse porta dinanzi al giudice per esservi
discussa oralmente - e ciò al fine di evitare durante la discussione
orale ogni possibile sorpresa dovuta a nuove allegazione
▪ nella fase preparatoria invece le parti non incontravano alcuna
limitazione nell rispettive attività difensive (possibilità di proporre
nuove istanze e o di produrre nuovi documenti) fino a quando una di
esse, rinunciando a rispondere, non avesse fatto iscriver la casa sul
ruolo di spedizione, ed era solo in questo momento che vinca
concretamente investito della controversia il giudice
▪ sul presupposto che dovesse decidere quantomeno su una
questione preliminare o sull’intera causa qualora questa fosse in
condizione di essere definita.
Rito sommario =
▪ il convenuto veniva citato per comparire ad udienza fissa
direttamente dinanzi al giudice e la causa veniva iscritta
immediatamente a ruolo prima ancora dell’udienza.
▪ nella prassi fu subito preferito questo procedimento a quello
formale, sia per la maggiore semplicità sia perchè consentiva un
contatto diretto e immediato tra le parti e il giudice. E infatti lo
stesso, mediante una generosa applicazione della norma che
consentiva al presidente di autorizzare il ricorso al rito formale
anche dinanzi ai tribunali e alle corti -> tale rito, da ipotesi
eccezionale divenne ben presto di fatto, il vero procedimento
ordinario.
▪ Ciò spiega perchè il legislatore nel 1901 (l.107) avvertì l’esigenza di
integrarne e riformarne la scarna disciplina.
NB: D’altro canto a differenza che nel rito formale la causa arriva
all’udienza ad istruttoria ancora aperta. giacché non erano previsti
rigidi sbarramenti temporali per le allegazioni delle parti + era
possibile che queste deducessero nuove domande\presentassero
nuovi documenti direttamente all’udienza -> in quel caso, ove si
fosse trattato di elementi che per importanza o per numero
richiedevano maturo esame, il presidente rinviava la discussione ad
una udienza successiva (…).
Una volta che la proposta sia stata comunicata per iscritto alle
parti, queste hanno 7 giorni (t. perentorio) per far pervenire al
mediatore, sempre per iscritto l’accettazione o il rifiuto della stessa
- fermo testando che la mancata risposta entro il termine = rifiuto.
La conclusione del procedimento di mediazione dovrebbe comunque
formalizzarsi poi in un processo verbale nel quale si consacrerà
l’accordo o si darà atto della mancata riuscita della conciliazione.
a) In caso di fallimento della mediazione -> il mediatore deve indicare
nel suddetto verbale l’eventuale proposta e dare atto dell’eventuale
mancata partecipazione di taluna delle parti al procedimento di
mediazione.
b) Passando invece all’ipotesi in cui le parti siano pervenute ad un
accordo -> gli effetti di tale accordo sono diversi a seconda che le
parti siano state o no tutte assistiti da un avvocato.
c)
d) b1) In caso affermativo = gli avvocati devono attestare e verificare
la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine
pubblico - e inoltre, il verbale in cui l’accordo è consacrato
costituisce senz’altro titolo esecutivo, aprendo la strada
analogamente al verbale di conciliazione giudiziale, a qualunque
forma di esecuzione forzata .
Infine non va trascurata la circostanza che l’accordo raggiunto
dinanzi al mediatore, potrebbe anche prevedere misure di
esecuzione indirette 8vedi ad esempio il pagamento do una somma
di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti
nell’accordo medesimo - o per il ritardo nel loro adempimento.
Modalità costituzione =
si attua in generale attraverso il deposito in cancelleria del
fascicolo di parte contenente
⁃ l’originale del primo atto processuale della parte stessa ( cioè
citazione per l’attore \ comparsa di risposta per il convenuto )
⁃ le copie destinate al fascicolo d’ufficio
⁃ la procura, quando sia stata conferita con atto separato
⁃ i documenti offerti ev. in comunicazione.
Stando a quanto disposto dal codice art. 72e ss. disp att questo
fascicolo è destinato ad ospitare tutti gli altri atti (citazione,
comparse, memorie) compiuti dalla parte o ad essa notificati e tutti
i documenti prodotti dalla parte stessa. A conferma dell’avvenuto
deposito è prevista che ogni atto o documento sia riportato in un
apposito indice del facile che il cancellerie è tenuto a sottoscrivere
in occasione di ogni nuova inserzione o produzione. Con l’attrazione
el c.d. processo elettivo però, questa disc, è stata pressoché
superata - per ciascuna causa un unico fascino virtuale informatico
- nel quale confluiscono tutti glia ti e documenti in domato
elettronico depositati dalle parti con modalità telematiche - ossia
trasmessi mediante posta elettronica certificata.
Costituzione dell’attore
Deve avvenire entro 10 giorni successivi alla notificazione della
citazione - il termine si riduce a 5gg allorché abbia usufruito
dell’abbreviazione dei termini di comparizione prevista dal 163 bis.
la costituzione si effetti attraverso il deposito in cancelleria del
fascicolo, che contiene come già detto l’originale della citazione -
comprovante l’avvenuta notificazione. Se la citazione dev’essere
notificata più parti -> è opinione prevalente che il t. decorra sempre
dalla prima notifica ma l’orinale della notificazione può essere
inserito nel fascicolo entro 10 gg dalla notifica.
Notificazioni
Dal momento della costituzione in giudizio, il difensore procuratore
diviene, salvo che la legge non disponga altrimenti, il naturale
destinatario di tutte le notificazioni e le comunicazioni in luogo della
parte rappresentata. (= quando
rappresenta più parti, la noti. o comunicazione è validamente
seguita con la consegna di una copia soltanto dell’atto.)
Non essendo più necessario che l’avvocato elegga domicilio nel
luogo in cui ha sede il giudice adito - il difensore è obbligato a
munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata.
ovviamente se la parte è costituita personalmente, le notificazioni e
le comunicazioni ad essa dirette si fanno nella residenza dichiara o
nel domicilio eletto al momento della costituzione.
Oggetto:
la sintetica formula “ingiunzione di pagamento o di consegna” è
equivalente a quella ex 633 che consente di utilizzare il
procedimento di ingiunzione per:
- i crediti in danaro, nonché i crediti di una determinata quantità di
cose fungibili
- il diritto alla consegna di una cosa mobile determinata.
Presupposti:
- è necessario che del diritto si fornisca una prova scritta -> laddove
per prova scritta s’intende anche un documento che nel processo a
cognizione prove non varrebbe come vera e propria prova, seppure
libera.
- al parti del decreto ingiuntivo, il provvedimento in esame viene
concesso anche se il diritto dipende da una controprestazione o una
condizione, purchè il creditore offra elementi atti a fr presumere
l’adempimento della controprestazione o l’avveramento della
condizione.
Fin qui i presupposti cui è subordinata la concessione
dell’ordinanza, sono uguali a quelli alla base del decreto ingiuntivo -
posto peraltro che anch’essa appartiene al gneiss dei provvedimenti
sommari, in quanto:
a) si fonda su una cognizione incompleta
b) la prova sulla cui base viene pronunciata potrebbe non essere
sufficiente a condurre, nel giudizio a cognizione piene, ad una
sentenza di accoglimento della domanda - tuttavia le differenze
rispetto al d.i. sono notevoli se si tiene in conto della circostanza
che la presenza del preteso debitore in giudizio, gli consente di
contrastare attivamente e nel modo più vario la domanda di
ingiunzione.
Ovviamente quello che non è messo in discussione, è che il giudice,
nonostante la prova scritta, debba comunque verificare che ll
concessione del provvedimento non ostino ragioni giuridiche o
impedimenti processuali, o fatti estintivi, modificativi, impeditivi già
risultanti dagli atti.
Bisogna inoltre sottolineare un’importante differenza con l’ordinanza
di pagamento delle somme non contestate ex art 186-bis ->
l’ordinanza di ingiunzione infatti non costituisce di per sé titolo
esecutivo - a meno che il giudice, sussistendone i presupposti, non
l’abbia dichiarata immediatamente (e provvisoriamente) esecutiva.
Inoltre, il debitore ingiunto non ha nemmeno l’onere (ovviamente
nell’ipotesi in cui questo si sia costituito) di proporre una formale
opposizione, che è implicita nell’avvenuta sua costituzione e l’unico
effetto negativo che il provvedimento determina a suo danno è
quello di spostare su di lui, l’onere della prosecuzione del giudizio -
tenendo conto che l’eventuale estinzione del giudizio, fa acquistare
efficacia esecutiva all’ordinanza che non ne sia già munita.
a) art. 642 secondo cui il d.i. può essere dichiarato esecutivo fin dal
momento in cui viene pronunciato se
- il credito è fondato su cambiale, assegno, certificato di
liquidazione o atto ricevuto da notaio o altro p.u. autorizzato
- quando sussiste pericolo di grave pregiudizio o di ritardo
- o in presenza di documentazione sottoscritta dal debitore
comprovante il diritto fatto valere.
b) art. 648.1 che prevede che il decreto che non sia stato reso
provvisoriamente esecutivo al momento della pronuncia, possa
diventarlo allorché l’opposizione non è andata su prova scritta o di
pronta soluzione (semplice rapida acquisizione) mediante un
ulteriore provvedimento el giudice.
Frutto anch’esso delle riforme degli anni 90’ prevede che: “il giudice
istruttore, una volta esaurita l’istruzione può disporre con ordinanza,
su istanza di parte, il pagamento di somme, oppure il rilascio\la
consegna di beni nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova -
prevedendo anche sulle spese processuali.
L’ordinanza costituisce titolo esecutivo, è revocabile con la
sentenza che definisce il giudizio e si “converte” automaticamente
in sentenza in due ipotesi:
a) se la parte intimata non manifesta, entro un breve termine, la
volontà che sia pronunciata la sentenza
b) nonché quando, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza il
processo si estingua.
Si tratta dunque di un provvedimento schiettamente anticipatori
che, pur essendo provvisorio, ha in sé l’attitudine a divenire
definitivo qualora si verifichino i presupposti per la sua
trasformazione in sentenza. E in realtà, ha poco di sommario se si
tiene conto che la sua pronuncia è ammessa solo al termine
dell’istruzione , e quindi sulla base di una cognizione
sufficientemente esauriente.
3.2 I presupposti
Affinché possa addiverrai alla pronuncia del’ordinanza in esame, è
necessaria oltre all’istanza della parte, che sia terminata
l’istruzione - ciò implica
a) che il provvedimento non possa essere pronunciato prima che il
giudice abbia invitato le parti alla precisazione delle conclusioni
b) che esso, come già osservato, non dovrebbe avere alcun aspetto
di sommarietà - poichè presuppone una causa già matura per la
decisione.
Deve ritenersi che l’ordinanza in questione non possa essere
chiesta dopo la rimessione della causa al collegio o comunque dopo
che la stesa, al termine dell’udienza di precisazione delle
conclusioni, sia passata nella fase decisoria perché: 1) in questa fas
non c’è spazio per ulteriori attività delle parti, 2) ciò non
consentirebbe all’altra parte alcun contraddittorio.
(….)
b) tesi restrittive
l’opinione tradizionale è foriera di una serie di inconvenienti - specie
perchè la sospensione costi ricostruita ben si presta a essere
adoperata a fini strumentali, traducendosi in un vero e proprio
temporaneo diniego di giustizia. Obiezioni:
{Il c.p.p del 98’ ha però mutato radicalmente l’assetto dei rapporti
tra giudizi penale e civile (o amm.) realizzando un’ampia autonomia
delle giurisdizioni:
- in particolare, per quanto attiene alla potenziale efficacia
vincolante del giudicato penale, il mutamento risulta molto evidente
nel giudizio civile con riguardo a “restituzioni e risarcimento del
danno conseguente dal reato” - che nel sistema previgente il g.
civile non sarebbe mai potuto procedere autonomamente dal
processo penale e in ogni caso avrebbe risentito del giudicato
formatosi in quel processo.
Oggi invece il legislatore distingue abbastanza nettamente tra
giudicato di condanna e g. di assoluzione.
a) G. di condanna -> esso fa stato, seppure a talune condizioni
“quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua
illiceità penale, e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso
b) giudicato di assoluzione -> fa egualmente stato in linea di
principio quanto all’accertamento che il fatto non sussiste, o che
l’imputato non lo ha commesso, o che è stato compiuto
nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà
legittima, ma con due importanti limitazioni:
⁃ anzitutto l’efficacia del giudicato di assoluzione presuppone che il
danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di
costituirsi parte civile nel p.penale
⁃ inoltre, tale efficacia non si produce allorché il danneggiato abbia
esercitato l’azione in sede civile a norma del 75 c.2.
⁃
Se a questo si aggiunge che nel nuovo c.p.p. manca una
disposizione corrispondente al vecchio art. 3.2 che prevedeva
l’obbligatoria sospensione del processo civile in caso di pendenza
di un processo penale “influente” sulla decisione, si possono
dedurre due importanti conseguenze:
1. l’azione civile risarcitoria, allorché non venga
successivamente trasferita nel processo penale (mediante la
costituzione di parte civile) - o nel caso in cui sia promossa
quando ormai non è più ammessa in quella sede la costituzione di
parte civile -> deve procedere autonomamente - non essendone
consentita la sospensione.
2. E quando procede autonomamente dinanzi al giudice civile,
la sentenza penale irrevocabile successivamente intervenuta fa
stato di regola solo “secundum eventum litis” -> cioè solo quando
sia di condanna - il che significa che potrà operare solamente a
favore del danneggiato e non anche a suo svantaggio.
Per quel che concerne poi gli altri giudizi, civili o amministrativi -
diversi da quelli di danno, ai sensi del 654 c.p.p è previsto che. la
sentenza penale irrevocabile, che sia di condanna o di
assoluzione, può fare stato soltanto nei confronti di chi,
imputato\parte civile\o amministrativo, abbia effettivamente
partecipato al relativo processo, allorché nel g. civile o
amministrativo si controverte intorno ad un diritto il cui
riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti
materiali che furono soggetto del processo penale, purchè:
- tali fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della
decisione
- e purchè la legge civile non ponga limitazioni alla prova della
posizione soggettiva controversa.
Del tutto diverso è il rapporto tra il giudice e i fatti: infatti non solo
non è possibile presumete che il giudice conosca direttamente i
fatti rilevanti per la decisione, ma per ragioni che attengono alla sua
imparzialità e alla necessità di verificare l’iter logico attraverso il
quale egli perviene ad accertare i fatti stessi -> al giudice è vietata
l’utilizzazione della sua scienza privata = la diretta e e personale
conoscenza che egli abbia di tali fatti, così come è vietato ricevere
private informazioni sulle cause pendenti davanti a sé. (ex art. 97
disp att.)
L’unica eccezione è rappresentata data possibilità o più
esattamente dal dovere di porre a fondamento della decisione “
senza bisogno di prova” le nozioni di fatto che rientrano nella
comune esperienza - concetto che, secondo l’opinione che appare
preferibile, individua i fatti notori = quei fatti che nel tempo e nel
luogo in cui si svolge il processo possono considerarsi patrimonio di
comune conoscenza da parte dell’uomo medio, e quindi in certo
senso “storicizzati”.
Quel che è certo, è che in ogni caso, alla luce del 115 c.c. - devono
considerarsi eccezionali le ipotesi in cui il giudice è abilitato a
disporre di propria iniziativa i mezzi di prova. Infatti se si guarda al
processo ordinario - (vedi invece art. 421 per rito del lavoro) i poteri
istruttori esercitabili d’ufficio sono piuttosto circoscritti becchi
potenzialmente molto incisivi e riguardano (prescindendo dalla
consulenza tecnica - che generalmente non viene neanche
considerata un vero e proprio mezzo di prova):
• ispezione giudiziale (118)
• richiesta di informazioni alla P.A. (213)
• interrogatorio libero (117)
• giuramento suppletorio (2736 n.2)
• e la prova testimoniale solo per i giudizi dinanzi al tribunale in
composizione monocratica (281 tre).
Classificazioni:
a) Prova diretta\indiretta -> secondo l’accezione più diffusa tale
distinzione attiene alla modalità di conoscenza del fatto (oggetto di
prova) da parte del giudice, in relazione alla fonte materiale della
prova: in questo senso l’unica prova realmente diretta sarebbe
l’ispezione - che consiste nell’esame obiettivo di una cosa o più
raramente di una persona - da cui il giudice può immediatamente
percepire i fatti da provare. In tutti gli altri casi, la conoscenza è
solo mediata e si attua mediante la l’esame di un documento\una
dichiarazione di scienza rappresentativa del factum probandum.
Stando però ad una diversa accezione -la distinzione batterebbe
all’oggetto della prova = diretta -> prova destinata ad accertare un
fatto principale \ indiretta -> attiene ad un fatto secondario da cui il
giudice poi può risalire all’esistenza\inesistenza di un fatto
principale.
b) Prova diretta\ prova contraria -> la distinzione si riferisce
semplicemente alla circostanza che la prova vera sull’esistenza o
sull’inesistenza di una determinato fatto
c) Prova precostituita\ costituenda -> La prova precostituita è quella
che persiste al processo - o comunque si fuma al di fuori dello
stesso - e pertanto si identifica con a prova documentale, nelle sue
vare specie. Quella costituenda invece, si forma direttamente nel
processo, grazie ad apposita attività istruttoria di assunzione.
Tale differenza spiega perché, mentre la prova precostituita viene
acquisita al processo mediante la mera sua produzione, sulla quale
non vi è (almeno di regola) un sindacato preventivo del giudice,
la prova costituenda invece è subordinata ad un esplicito
provvedimento di ammissione, che presuppone la verifica
dell’ammissibilità e della rilevanza della prova stessa.
Argomenti Mancanti:
- spese processo (ma studiatele)
- remissione in termini (leggere bene)
- notificazioni (leggere bene)
- giudice di pace (mai sentito chiedere)