Sei sulla pagina 1di 4

Le radici storiche del potere giudiziario

Nelle radici storiche del potere giudiziario le esperienze che maggiormente esercitarono
influenza furono certamente quella francese e quelle prussiane ed austriache, caratterizzate
entrambe, da una tendenza alla razionalizzazione della funzione giudiziaria. In Francia la
giustizia dell’antico regime, prevede una concentrazione del potere giudiziario nelle mani del
sovrano, ma esercitata, attraverso i Parlamenti, il che avevano finito per trasformarsi in un
sistema frammentato in giurisdizioni di vario livello che comportano una difficoltosa ricerca e
individuazione dello stesso giudice competente. La rottura con questa imposizione avviene con
la Costituzione rivoluzionaria del 1791 con la quale si afferma l’idea che la giustizia è resa
gratuitamente da giudici retribuiti dallo Stato, eletti a tempo determinato dal popolo. Al fondo
vi è una concezione, anch’essa tipicamente illuministica, di una legislazione semplice e chiara
tanto da non esigere interpretazioni e da poter così essere semplicemente applicata ai casi
concreti da tutti i cittadini. Il giudice, dunque, non può introdurre alcun elemento soggettivo. È
in questo quadro che si afferma l’istituto del référ legislatif che prevede l’obbligo di rimettere
all’Assemblea legislativa le divergenze interpretative insorte tra giudici per eleminare ogni loro
possibile attività creativa, questo organo si aggiunge all’istituzione del Tribunal de Cassation
(Corte di cassazione). Nella Germania di Federico il grande la rottura con l’antico regime si
esprimeva nella affermazione del principio della soggezione del giudice alla legge e della
uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge stessa, mentre nell’Austria della prima metà del
‘700 il primo passo fu rappresentato dal rendere autonoma l’amministrazione della giustizia dal
sistema dell’amministrazione pubblica. Lo Statuto Albertino del 1848 precisa che la giustizia è
amministrata in nome del re da giudici da quest’ultimo istituiti e condiziona l’intera carriera ed i
meccanismi di promozione dei magistrati ad un rigida contrapposizione all’esecutivo. Verso la
fine dell’800 si comincia a delineare con precisione di contorno una funzione giudiziaria
rigorosamente distinta dall’amministrazione anche se il potere giudiziario non viene ancora
concepito come potere autonomo e indipendente, distinto dall’esecutivo.

La funzione giurisdizionale

Nella Costituzione del 1948 La Costituzione repubblicana del 1948 segna una svolta decisiva
nell’assetto strutturale dell’ordine giudiziario e soprattutto nel sistema dei principi e delle
garanzie relativi all’esercizio della funzione giurisdizionale. La Costituzione fissa alcuni principi
di carattere generale rivolti a tutte le forme di giurisdizione, principi e regole relativi
all’organizzazione del potere giudiziario. Va ricordato, prima di esaminare i principi in
questione, che sebbene l’art 102 affermi il principio secondo cui la funzione giurisdizionale è
esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario,
non detta però alcuna definizione della stessa funzione giurisdizionale, considerandola in
qualche modo presupposta.

La Soggezione del giudice “Soltanto alla Legge”

Il primo e forse più rilevante principio costituzionale, rivolto a tutti i giudici, è quello sancito
dall’art 101 Cost., il quale afferma che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Il termine
legge è riferibile a qualsiasi norma di diritto e non già alla sola legge formale prodotta dal
Parlamento. Questa generale soggezione alla legge esige delle precisazioni. In primo luogo,
essa segna inequivocabilmente l’impossibilità nel nostro ordinamento di configurare una
gerarchia tra giudice e giudice; in altri termini la soggezione solo alla legge esclude la
soggezione del giudice ad altri giudici. In secondo luogo, le competenze del giudice devono
essere previamente definite dalla legge in via generale ed astratta e, infine, garantisce la
libertà interpretativa del singolo giudice. Soggezione alla legge significa anche il diritto ed il
dovere di interpretare tutte le norme giuridiche applicabili al caso concreto secondo la propria
coscienza e senza nessun condizionamento da parte di altri giudici. La legge che il giudice è
chiamato a interpretare, non è chiara e semplice, bensì contiene elementi di oscurità e di
indeterminatezza, i quali impongono operazioni interpretative complesse e sofisticate. Anche i
giudici concorrono, nell’odierno Stato costituzionale, alla creazione del diritto ma in un senso
ovviamente diverso dal legislatore, ovvero grazie alla risoluzione di casi concreti, di singole
controversie nelle quali la creazione d5el diritto costituisce l’effetto indiretto
dell’interpretazione ed applicazione ad ogni singolo caso.

L’autonomia e l’indipendenza della magistratura

L’art 104 Cost. stabilisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da
ogni altro potere. Con questa netta affermazione la Costituzione ha voluto esplicitamente
svincolare la magistratura da ogni altro potere dello Stato. La Corte costituzionale ha
riconosciuto come i singoli giudici, qualora ritengano la propria opera menomata da altri poteri,
possa invocare quelle garanzie di autonomia e di indipendenza che la Costituzione riconosce
all’intero ordine nel suo complesso. L’indipendenza attribuita all’ordine giudiziario deve essere
sia esterna che interna. La prima è riferita all’esigenza di escludere ogni possibile forma di
dipendenza dal potere esecutivo, la seconda nell’impedire ogni interferenza all’interno dello
stesso potere giudiziario, ovvero qualsivoglia influenza tra giudici.

Il consiglio Superiore della Magistratura

L’inamovibilità dei magistrati. La riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario La


Costituzione appronta una serie di complessi strumenti specificamente rivolti a realizzare i
principi di autonomia e di indipendenza, tra i quali, in primo luogo, deve essere ricorda il
Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), che rappresenta lo strumento più penetrante per
realizzare e garantire il principio di indipendenza dei magistrati. Il CSM è composto da
ventisette membri ed è presieduto dal Presidente della repubblica, ne sono membri di diritto il
Primo Presidente ed il Procuratore generale della Corte dei Cassazione, mentre i restanti
ventiquattro membri, che restano in carica per un quadriennio e non sono immediatamente
rieleggibili, sono sedici espressione della stessa magistratura dalla quale vengono eletti e, per i
restanti otto espressione del Parlamento che li elegge in seduta comune. L’affidamento della
presidenza dell’organo allo stesso Presidente della Repubblica vuole simbolicamente conferire
maggiore rilievo all’organo e soprattutto indipendenza istituzionale da altri poteri. Le funzioni
del CSM sono individuate nell’art 105 Cost. che dispone: Spettano al CSM le assunzioni, le
assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei
magistrati. Dunque, l’intero status dei magistrati è affidato al Consiglio il quale viene a
configurarsi come un organo che gestisce ed amministra l’intero ordine giudiziario. Le
deliberazioni del Consiglio costituiscono veri e propri atti amministrativi. Esse sono impugnabili
di fronte al giudice amministrativo qualora i destinatari le ritengano lesive dei propri diritti ed
interessi. Prevale qui l’esigenza, anch’essa di ordine costituzionale, di tutela delle posizioni dei
singoli magistrati che possono lamentare la violazione della legge da parte dello stesso
Consiglio o un errato uso del potere che la Costituzione ad esso attribuisce. Una situazione
particolare riguarda il conferimento degli uffici direttivi che il Consiglio può adottare solo sulla
base di una proposta formulata da una Commissione di concerto con il Ministro della Giustizia.
Il legislatore è più volte intervenuto sulla disciplina del CSM, modificando nel tempo la
originaria legge del 1958 con specifici e puntuali adattamenti. Da ultimo, con la legge n.
44/2002, il legislatore è intervenuto riducendo sensibilmente il numero dei componenti con
una decisione che è apparsa rivolta a restringere l’area di azione che il CSM aveva guadagnato
come organo di rappresentanza e difesa dell’intera magistratura. Una sola funzione tra quelle
svolte dal CSM appare non assimilabile all’attività amministrativa, bensì risulta sostanzialmente
coincidente con quella giurisdizionale. Si tratta dei giudizi con i quali il CSM, attraverso la sua
Sezione disciplinare, può decidere sanzioni a carico di giudici mediante atti che assumono il
valore e la sostanza di vere e proprie sentenze, impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione. L’ulteriore garanzia di inamovibilità dei magistrati è prevista dall’art 107
Cost. che esplicita che i magistrati non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né
destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio Superiore della
Magistratura. Deve poi ricordarsi che la nomina a magistrato può avvenire solo tramite
concorso. Un’ulteriore, rilevantissima, garanzia è poi rappresentata dalla riserva di legge
fissata dall’art. 108 Cost. secondo cui le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni
magistratura sono stabilite con legge.

Le Garanzie relative all’esercizio della funzione giurisdizionale: il diritto di azione e di difesa; il


principio del giudice naturale; il “giusto processo”

L’art 24 Cost. stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi. Si tratta di una disposizione volta a garantire il concreto ed effettivo accesso
alla tutela giurisdizionale da parte del cittadino, sia come singolo che in collettività (c.d. diritto
di azione). L’elaborazione della giurisprudenza costituzionale in tema di diritti di azione si è
rivolta ad individuare, sanzionandole, tutte quelle forme di vincoli che creavano un
condizionamento irragionevole alla possibilità effettiva di rivolgersi ad un giudice per la tutela
delle posizioni giuridiche soggettive. Speculare al diritto di azione si configura l’obbligo del
giudice di decidere, inoltre il principio del giusto processo, sancito dal novellato art 111 Cost.
prevede espressamente il principio della ragionevole durata dei processi come espressione,
oltre che di un interesse collettivo, di un giudizio equo ed imparziale. Quanto al diritto di difesa
sancito dal 2° comma dell’art 24 Cost., l’apporto della giurisprudenza costituzionale è stato
decisivo nell’opera di concretizzazione di questo diritto, desumendo ed individuando singoli e
specifici aspetti da ricondurre al principio di difesa. Il principio del contraddittorio introduce
un’ulteriore forma di garanzia di giustezza del processo, garantendo un doppio grado di
giurisdizione, consentendo di far riesaminare le sentenze da parte di altri giudici. Principio di
rilevanza costituzionale limitatamente al solo processo amministrativo. Un principio altrettanto
rilevante incidenza viene fissato dall’art 25 Cost. secondo cui nessuno può essere distolto dal
giudice naturale precostituito per legge. Per un verso dal principio in questione si desume un
riserva assoluta di legge nella definizione della competenza giurisdizionale. L’organo viene
quindi già preventivamente fissato dall’ordinamento e indipendente da ogni influenza esterna,
proprio perché istituito sulla base di criteri generali fissati in anticipo dalla legge. La
individuazione del giudice competente sarà così frutto esclusivo della applicazione dei criteri già
predeterminati. Il principio inoltre implica il divieto per il legislatore di istituire giudici
straordinari. Con la legge n. 2/1999 si introduce nel nostro ordinamento il principio di giusto
processo. La maggior parte delle novità sembra più che altro diretta ad applicarsi al solo
processo penale, e nel quale ,la legge, deve garantire che la persona accusata di un reato sia
informata nel più breve tempo possibile, ed in forma riservata, circa la natura ed i motivi
dell’accusa, la facoltà concessa all’accusato di interrogare o di far interrogare la persona che
renda dichiarazioni a suo carico, il diritto all’assistenza di un interprete se l’accusato non parla
o non comprende la lingua italiana. Assumono un rilievo di carattere generale, sia la nuova e
più ampia formulazione del principio del contraddittorio, sia il principio concernente la terzietà
ed imparzialità del giudice, entrambi al fine di correttezza e serenità del processo di formazione
della decisione giudiziale. Una fondamentale garanzia è rappresentata dall’obbligo di
motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, e quindi di massima trasparenza della
decisione del giudice. La Costituzione non vincola il legislatore ad adottare un preciso modello
di processo, lasciandolo libero di scegliere a condizione che il processo si realizzino,
pienamente, quelle garanzie fondamentali ed indefettibili che essa, come abbiamo visto,
stabilisce. In primo luogo, va considerato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale
prevista dall’art 112 Cost., che pone a carico del pubblico ministero l’obbligo di attivare l’azione
penale dinanzi a tutte le notizie di reato, senza che possa essere esercitata alcuna
discrezionalità. È indubbio, infine, che il p.m. sia, dalla stessa Costituzione, ricompreso nella
figura del magistrato. La Costituzione fissa rigorosamente il divieto di istituire giudici speciali,
cioè di frammentare la giurisdizione in una pluralità di giudici cui affidare specifiche e
circoscritte materie, questo per prevenire abusi da parte delle maggioranze parlamentari e
difficoltà di ricerca del giudice competente di volta in volta.
I giudici speciali e la giurisdizione amministrativa

I giudici speciali recepiti dalla Costituzione sono disciplinati da apposite leggi che, per ciascuno
di essi, prevedono organizzazione interna, meccanismi di reclutamento e di carriera dei
magistrati. Ciò significa che mentre per la magistratura ordinaria lo strumento per garantire
l’autonomia e l’indipendenza, vale a dire il CSM, è direttamente previsto dalla Costituzione, per
i giudici speciali, sia pure con un ritardo notevole, il legislatore ha provveduto istituendo il
Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, il Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti e il Consiglio della Magistratura militare. Quanto ai Tribunali militari la Costituzione
mantiene la precedente articolazione in Tribunali militari in tempo di guerra e Tribunali militari
in tempo di pace. I primi con giurisdizione sui reati militari compiuti durante un conflitto
bellico, i secondi con giurisdizione sul personale militare in tutti gli altri casi. Più complessa ed
articolata è la giurisdizione affidata alla Corte dei conti, alla quale spettano funzioni
giurisdizionali nei due campi della contabilità pubblica e dei trattamenti pensionistici. Sotto il
primo aspetto la Corte dei conti esercita la giurisdizione su tutti i soggetti che all’interno delle
amministrazioni pubbliche utilizzano denaro o altri titoli al fine di accertare la responsabilità
contabile; sotto il secondo profilo spettano ad essa i giudizi in materia di trattamenti
pensionistici dei dipendenti pubblici e di pensioni di guerra. Ma il ruolo più rilevante spetta
certamente alla giurisdizione amministrativa, per la quale si pongono problemi sia per
identificare correttamente i confini entro i quali essa è chiamata a svolgersi, sia per
comprendere i suoi non sempre facili rapporti con la giurisdizione ordinaria.

I rapporti tra i giudici italiani e la giurisdizione sovranazionale

La Costituzione recepisce un assetto della giurisdizione amministrativa fondato nella distinzione


tra diritti soggettivi ed interessi legittimi. Certamente più semplice si rivela la definizione di
diritto soggettivo, il quale può essere inteso come quella posizione giuridica soggettiva che
riceve una tutela piena ed immediata dall’ordinamento a garanzia di un bene della vita (diritto
di proprietà, credito, al nome, all’integrità fisica); di gran lunga più complesso è il concetto di
interesse legittimo, traducibile in una situazione di vantaggio tutelata nella misura in cui
coincida con l’interesse pubblico al rispetto della legalità. L’art 103 Cost. consente al legislatore
ordinario di distribuire diversamente la giurisdizione sui diritti soggettivi, affidandola al giudice
amministrativo, con il solo limite della tassatività nella determinazione delle materie. La diretta
applicabilità nell’ordinamento interno del diritto comunitario implica ovviamente che i giudici
italiani siano chiamati ad applicare la norma comunitaria. I giudici nazionali possono senz’altro
essere considerati come giudici comunitari quando le controversie coinvolgono situazioni
conformate dal diritto dell’UE. Assume in questa prospettiva un preminente rilievo il
meccanismo del c.d. rinvio pregiudiziale, in forza del quale la Corte di Giustizia dell’unione
Europea è competente ad assicurare l’uniformità dell’interpretazione e dell’applicazione del
diritto comunitario negli Stati membri. Vi è quindi una stretta integrazione tra i sistemi
giurisdizionali, spetta alla Corte comunitaria il fine di assicurare l’uniforme applicazione
nell’ambito di tutti gli Stati membri, come un vero e proprio ordinamento giuridico comunitario.

Potrebbero piacerti anche